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J. J. Winckelmann 1717–1768 I “Monumenti antichi inediti” Storia di un’opera illustrata

m.a.x. museo via Dante Alighieri 6 Chiasso, Svizzera +41 91 695 08 88 centroculturalechiasso.ch

5.02.2017 – 7.05.2017 inaugurazione sabato 4.02.2017 ore 16.30

martedì – domenica 10.00 – 12.00 14.00 – 18.00 lunedì chiuso


In di ce 04

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Give Me Yesterday

Il Poldi Pezzoli

l’osservatorio di fondazione prada 08

Luciano Rigolini

in conversazione

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Mattia Bonetti l’incontro

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Da non perdere robert wilson the first family marco scorti

dentro la casa museo 22

L’agenda 25

Mirabilia


Give Me Yesterday L’Osservatorio di Fondazione Prada Testo: Stefano Menichini

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tocento; inoltre, prende qui sede l’indagine sulla fotografia attuale, le cui configurazioni sono determinate dal contatto fra la costante evoluzione mediale e il corpo della società, lungo il corso del flusso digitale che ne attraversa l’esistenza. In questo contesto, l’onnipresenza di differenti device di riproduzione e post-produzione del reale, connessi all’ampia varietà di piattaforme di condivisione virtuale, confondono lo statuto ontologico della fotografia, liquefacendone così anche le formalizzazioni categoriche e pratiche. Le sfere del lavoro e dello svago, del pubblico e del privato, dell’estetico e dell’ine-

n senso letterale la parola “osservatorio” indica luoghi privilegiati per godere di un panorama, oppure attrezzati con dispositivi utili alla ricerca scientifica. In senso figurato, invece, esso è un luogo fisico o immateriale favorevole alla comprensione di specifici fenomeni culturali, giudicati curiosi e meritevoli d’attenzione. Il nuovo spazio di Fondazione Prada, situato al quinto e sesto piano della Galleria Vittorio Emanuele II, concilia entrambi i significati di questo termine: Osservatorio permette, grazie ad ampie finestrature, di ammirare l’orizzonte di Milano dalla sommità di uno dei passage più iconici dell’Ot-

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Joanna Piotrowska, XXV Frowst, 2013-2014, Silver gelatin hand print, Courtesy Joanna Piotrowska

del privato diventa oggi la calcolata e progettuale messa in scena di esperienze e affetti, secondo moduli poietici ed espositivi che intersecano la razionalità dell’archivio alla casualità del blog, le consuetudini della moda al concettualismo dell’arte contemporanea. I quattordici artisti presenti offrono una campionatura della globalità del fenomeno, alla cui impossibile sistematizzazione rimanda la scelta di un display ricco di interruzioni e riprese, caotico come la camera di un ragazzo. È Ryan McGinley (New Jersey, 1977) il primo a mutare l’approccio genuino al diario personale in una program-

stetico sono gettate in un caleidoscopio, la cui lente ne frammenta e ricompone i molteplici riflessi combinandosi in nuove simmetrie. Proprio i valori della fluidità e della mobilità qualificano Give Me Yesterday, la mostra curata da Francesco Zanot sulla fotografia come diario personale negli anni Duemila. Legata alla quotidianità individuale, essa fuoriesce lentamente dagli auratici album di famiglia sino a esplodere nell’arte massificata degli anni Sessanta; trovati in Larry Clark, Wolfgang Tillmans e Richard Billingham gli esponenti di uno sguardo schietto e di un rapporto spontaneo col soggetto rappresentato, l’investigazione

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Leigh Ledare, Mom as Baby Jane, 2005 © Leigh Ledare Courtesy Guido Costa Projects A pagina 4 Immagine della mostra “Give Me Yesterday”, Foto Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti / Courtesy Fondazione Prada

L’autoscatto è il gesto assieme più caratterizzante e ambiguo della contemporaneità. Il suo portato narcisistico può assumere diverse sfaccettature, da quella surreale della giovanissima tumblr star Izumi Miyazaki (Giappone, 1994), compilatrice di perturbanti composizioni no sense, a quella performativa e catartica di Tomé Duarte (Portogallo, 1979), che esorcizza l’influenza della ex compagna nella propria vita indossandone gli abiti lasciati a casa. Viceversa, rivolti alla collettività sono Wen Ling (Cina, 1976), che registra gli eventi minimi di Pechino caricandoli sul primo photoblog cinese, chiuso dal regime nel 2008 perché fonte di aggiornamento per migliaia di adolescenti, e Greg Reynolds (Kentucky, 1958), il quale valuta il potenziale politico di riprese girate trent’anni fa come missionario presso un’organizzazione evangelica. Proclamatosi omosessuale e abbandonata la comunità, l’autore torna su quelle immagini per riconoscere che la camera gli permetteva di esprimere un modo

mata simulazione di vitalistica giovinezza. Il buon selvaggio è nudo nella natura, ma il suo infantile stupore risulta dall’oculato casting di modelli e ambientazioni, con colori saturi e situazioni atmosferiche ispirati alla Hudson River School e ai pittori di Barbizon. A sovrapporre sentimenti istintivi e rigorosa disciplina è anche Melanie Bonajo (Olanda, 1978), che per dieci anni si è fotografata ogniqualvolta ha pianto. Il catalogo di anti-selfie così ottenuto è dispiegato in mostra come un lacrimevole wallpaper — nota ironica, esso riveste anche una porta antipanico. Agli antipodi di un tale decorativismo si situa la profonda ricerca di Joanna Piotrowska (Polonia, 1985), che ha chiesto ai propri soggetti di compiere le azioni più intime integrandole alle posture psicoterapeutiche di Bert Hellinger, finalizzate a trattare il rimosso psichico tipico delle relazioni familiari. L’uso clinico del bianco e nero è necessario a interpretare la plasticità delle pose assunte, quali linguaggio dell’inner self e delle pulsioni umane più irrequiete.

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Lebohang Kganye, Her-story: Ke dutse pela dipalesa II, 2013 Inkjet print on cotton rag paper 21 x 15 cm / 21 x 15 cm © Lebohanf Kganye, Courtesy AFRONOVA GALLERY

calore e filologia dell’operazione, è la serie Her-story di Lebohang Kganye (Sudafrica, 1990): la giovane preleva dall’album di sua nonna le immagini della madre scomparsa; individuati abiti, accessori, ambienti e arredi di tali scatti, Kganye può effettivamente impersonare la donna in nuove fotografie, complici la somiglianza genetica e l’aiuto della sorella minore dietro l’obiettivo. I ritratti ottenuti sono dunque sovrimpressi digitalmente su quelli di partenza, e ciò che ne risulta parla di continuità genealogica nella matrice identitaria, di attualizzazione della memoria tramite incarnazione dell’assente. «Lei è sempre presente dentro di me», ci ha confidato l’artista.

d’essere che gli era impossibile esternare altrimenti. Meritano infine di essere seguite, all’interno della mostra, le tracce lasciate dall’amore materno. La dimensione casalinga di questo sentimento è evocata negli oggetti riordinati dalla madre di Maurice van Es (Olanda, 1984), cui è dedicata un’attenzione tipologica tale da farne emergere le proprietà scultoree e metafisiche. Leigh Ledare (Washington, 1976), guardando a Nan Goldin, ritrae la mamma negli atteggiamenti più disparati: dal rituale giornaliero di vestizione e toilette fino ai momenti mondani della sera o a quelli intimi di un rapporto sessuale, Tina è l’oggetto della devozione trasgressiva e a tratti grottesca del figlio. Legato al ready-made è invece il libro che Vendula Knopová (Repubblica Ceca, 1987) realizza con le fotografie sottratte all’hard disk della madre: l’artista, dopo un processo di selezione e stampa, vi interviene pittoricamente, risignificando in tal modo la narrazione familiare. Più commovente, per

GIVE ME YESTERDAY 21.12.2016 – 12.03.2017 Fondazione Prada Milano Osservatorio Galleria Vittorio Emanuele II 20121 Milano +39 02 5666 2611 www.fondazioneprada.org

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Luciano Rigolini In conversazione

a cura di Diego Stephani

Luciano Rigolini Ultimamente sono molto impegnato, sto lavorando a diversi progetti… Diego Stephani E di cosa si tratta? Sono tue fotografie? LR È proprio questo il punto: sono tutti miei lavori, anche se le immagini non le ho scattate io. Non vi è nulla di nuovo in questo atto, se si pensa che già nel 1917 Marcel Duchamp presentò un orinatoio, lo capovolse, lo firmò e gli diede il titolo di Fontaine. Ciò nonostante, ancora oggi abbiamo una certa resistenza a comprendere l’essenza di quel gesto. A questo proposito, vorrei citare un estratto dal manifesto del movimento neo-appropriazionista, presentato nel 2011 nell’ambito dei Rencontres de la Photographie di Arles: “Adesso, siamo una specie di editori, noi tutti ricicliamo, tagliamo e incolliamo, scarichiamo e remixiamo. Possiamo far fare tutto alle immagini.Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è un occhio, un cervello, una macchina fotografica, un telefono, un computer, uno scanner, un punto di vista. […] Noi creiamo più che mai, perché le nostre risorse sono illimitate e le possibilità infinte. […] Questo potenziale tecnologico ha delle ripercussioni estetiche. Cambia il concetto stesso di creazione. Ne risultano dei lavori che somigliano a dei giochi, che trasformano l’antico in nuovo, rivalutano il banale. Dei lavori che hanno una storia, ma si iscrivono pienamente nel presente.Vogliamo ridare a questi lavori un nuovo statuto.” Penso, infatti, che l’atto concettuale sia un atto di creazione. Non è la realizzazione dell’immagine ad essere importante, ma la sua rilettura attraverso un atto di appropriazione, per conferirle un nuovo statuto. È questa la ragion d’essere del mio lavoro.

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Luciano Rigolini, in occasione della mostra personale al Centro culturale svizzero, Parigi - 2012

DS Susan Sontag scriveva che tutto è già stato fotografato in fondo… LR Concordo. Esiste pure un’infinita quantità di immagini e documenti senza alcuna pretesa artistica; è sufficiente uno sguardo per rivelarli e trascenderli in opera d’arte. Sono convinto che uno sguardo su un’immagine sia un atto fotografico: opero una rilettura su un piano estetico e narrativo, che si rapporta alla storia dell’arte e della fotografia, di immagini che originariamente avevano una funzione, documentaria, didattica, scientifica o altro, azzerandone la loro funzione originaria. Eliminando la funzione originaria a un’immagine trovata, lo sguardo su di essa cambia, modificandone il senso. È questa l’essenza del mio lavoro di autore e di artista. Il mio punto di vista conferisce una nuova lettura dell’immagine, pur rispettandone la natura intrinseca iniziale. L’immagine resta quella che è, non la manipolo. DS Ti riferisci al tuo libro What you see? LR What you see è stato il mio primo libro e una delle mie prime mostre (alla Fotostiftung di Winterthur) in termini di appropriazione. Si tratta di foto intime amatoriali, non riuscite, sbagliate, ma non solo. Il lavoro di selezione delle fotografie è durato una decina di anni. Alla fine ho voluto semplicemente restituire la paternità del lavoro ai suoi artefici, da qui il titolo. Le ho rilette e coniugate in un libro in modo da creare un discorso estetico-narrativo personale, che le portasse su un altro piano. In questo senso ho voluto sfatare l’atto creativo dell’artista, perché si tratta di fotografie anonime, delle quali mi sono

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semplicemente appropriato attraverso la mia sensibilità. È in questa dinamica tra immagine trovata e lettura personale che sta la tensione creativa del mio approccio alla fotografia. DS Quanto è importante il soggetto fotografato?

“Sono interessato a quello che succede nel vuoto esistente tra un’immagine e un’altra; è lì che ha origine il percorso narrativo.”

LR Per me non è importante ciò che viene rappresentato, quindi il significato, ma il significante. Ovvero, il soggetto diventa il pretesto per una riflessione sulla fotografia stessa. Per quanto mi concerne, il mito della ‘bella immagine’ è morto; per me la fotografia è il medium più verosimile di rappresentazione della realtà nella consapevolezza,però,che un’immagine della realtà non è la realtà. Questo scarto tra realtà e immagine della realtà è ciò che più mi affascina. È all’interno di questo concetto che indago ed elaboro le mise en abîme, trascendendo il documento fotografico in opera. Il mio rapporto alla fotografia in sostanza riposa su una dimensione intellettuale, filosofica ed estetica. Ritengo triviale ridurre la fotografia al soggetto, così come mi è difficile concepire la fotografia come un’immagine da appendere a una parete. DS Tornando infine alla mia domanda iniziale: su cosa stai lavorando ora?

LR A fine 2017 uscirà un mio libro con immagini trovate negli archivi della NASA edito da Patrick Frey, a Zurigo, e in aprile esporrò delle opere alla Fondation Cartier di Parigi nell’ambito di un’importante mostra dedicata alla fotografia e l’automobile, Auto Photo. Al momento sto lavorando sul concetto di dittico. Un’immagine singola mi è ormai quasi insignificante. Penso che stia emergendo in fotografia tutto il mio percorso in ambito cinematografico; il rapporto tra due o più immagini, il concetto spazio-tempo della sequenza. Sono interessato a quello che succede nel vuoto esistente tra un’immagine e un’altra; è lì che ha origine il percorso narrativo.

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Mattia Bonetti L’INCONTRO

Dopo gli studi al CSIA di Lugano, lavora a Roma e Como prima di trasferirsi a Parigi, dove vive e lavora tutt’ora. Che cosa rappresentava Parigi negli anni Settanta? Cosa hai trovato al tuo arrivo? Nel 1972 mi sono trasferito a Parigi perché era la meta ideale dopo gli studi sul tessile. Al mio arrivo ho trovato una Città, una grande metropoli, una capitale del gusto sia per l’arte, antica e sperimentale, sia per la moda. In quegli anni c’erano poche gallerie, come Yvon Lambert e Liliane & Michel Durand-Dessert, che mostravano l’arte astratta americana, l’Arte povera, l’Arte concettuale, e contemporaneamente nasceva il Centre Pompidou, un momento dunque caratterizzato da una grande effervescenza artistica. Io allora mi occupavo di creazione tessile, che ho continuato a fare fino agli inizi degli anni Ottanta, e frequentavo la scena emergente che gravitava attorno al gruppo Les Gazolines. Erano anni in cui la società era molto permeabile e mischiata, poi, con il flagello dell’AIDS, molto è cambiato. La creazione tessile mi ha stancato presto e mi sono avvicinato alla fotografia. Ho avuto la fortuna di conoscere due soci che avevano una galleria di fotografia dove ho avuto una mostra nel 1982, durante la quale ho venduto il mio primo lavoro a Thomas Amman. Dalla fotografia infine al design, con l’incontro della mia socia Elizabeth Garouste, dalla quale mi sono separato nel 2000; insieme abbiamo lavorato agli interni del night club Le Palace e nel 1987 è arrivata la commissione che ci ha lanciati internazionalmente: la creazione integrale e la realizzazione degli ambienti per la maison haute couture di Christian Lacroix.

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a cura di Daniele Agostini


Mattia Bonetti, Tree table for private client, foto: Stéphane Briolant

Osservando alcune delle tue creazioni, il confine fra design e scultura risulta molto labile Alcune miei creazioni sono sicuramente imparentate con la scultura, sebbene la loro funzione è sempre ben definita, anche quando mi avvicino al figurativo. Durante la realizzazione, per esempio per i modelli in bronzo, metto le mani sulla creta, sul gesso, sul polistirolo, e quindi anche la pratica si avvicina a quella dello scultore, cosa che un designer oggi non fa molto perché lavora prevalentemente con il computer. Però, ribadisco, i miei oggetti hanno sempre (o almeno fin’ora) una funzione precisa. Quali sono i tuoi riferimenti? A cosa ti ispiri nel creare questi oggetti che sembrano usciti da un universo onirico e surreale? Senz’altro c’è molto Surrealismo nel mio lavoro, ma sono anche influenzato dalla cultura pop e quella manga, come si può osservare, per esempio, nell’opera iconica Abyss (2004), un tavolo

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da pranzo in bronzo che rievoca il mondo degli abissi marini. Quando un collezionista americano mi ha commissionato un tavolo d’entrata che dialogasse con la natura per la casa di campagna, gli ho detto:“facciamo un albero”. Il risultato è un fusto in bronzo un po’ manga, con le fronde che appaiono come nuvolette, nello stesso tempo vicino a certa pittura naïf; ho perfino realizzato l’erba che è appoggiata al di sotto. La contaminazione fra le forme è accompagnata dalla contaminazione tra materiali: dal bronzo al plexiglas passando per marmo, pietre preziose, acciaio e vetro. Esiste un limite a queste sperimentazioni? No, non c’è un limite. Lavorando spesso su commissione, cerco di dare forma a dei sogni, a dei desideri, a cose che potrebbero sembrare impensabili nello stato di veglia. Alcune cose si possono fare e immaginare in diversi modi e in diversi materiali. In questo momento, per esempio, mi piacerebbe lavorare con il silicone, trovare un modo per consolidarlo, oppure fare dei mobili molli, sarebbe uno splendido lavoro di tipo concettuale. I tuoi lavori vengono assemblati da più artigiani partendo da un tuo disegno iniziale. Qual’è il processo che porta allo sviluppo dell’oggetto dallo stato mentale a quello concreto? Ho imparato a disegnare fiori, stoffe e motivi cachemire su carta; il volume mi era estraneo. Il disegno, o schizzo, che include già lo stato finale, un compimento, è per me la base di tutto: lo accompagno sempre al progetto perché ne è la sua essenza. In una fase successiva, realizzo il modellino in scala ridotta; sono molto esigente, l’artigiano coinvolto riceve tutte queste informazioni prima di produrre insieme il modello in scala naturale, non lascio alcuna libertà. Quando invece lavoro la creta, sono io a modellarla: è come Geppetto che scolpisce Pinocchio, non può farlo qualcun’altro, deve farlo Geppetto.

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Da non perdere

Robert Wilson, Lady Gaga, The head of Saint John the Baptist - Milky Way, 2013

Mark Shaw, Anche nell’imminenza della battaglia elettorale il presidente trascorre le domeniche con la famiglia, 1959 Stampa alla gelatina sali d’argento, 1964 Timbro copyright 1964, Mark Shaw, altri timbri e annotazioni al retro, 23 x 32.5 cm

ROBERT WILSON TALES Nelle sale della storica Villa Panza l’artista americano Robert Wilson (Waco, 1941) ha progettato una mostra che mette in dialogo gli spazi neoclassici e gli arredi dei secoli scorsi con un’importante selezione di suoi Video Portraits. Nelle opere video sono mutuate tematiche dell’arte tradizionale ma anche immagini della cultura contemporanea che Wilson declina a favore del suo caratteristico linguaggio teatrale. Nel parco della Villa, l’artista ha inoltre realizzato un’installazione site specific permanente: A House for Giuseppe Panza, un tableau vivant col quale vuole mettere in luce l’indole dell’importante collezionista.

THE FIRST FAMILY LA FAMIGLIA KENNEDY ALLA CASA BIANCA

04.11.2016 – 15.10.2017

15.12.2016 – 24.02.2017

Villa e Collezione Panza Piazza Litta 1 21100 Varese

Photographica Fine Art Via Cantonale 9 6900 Lugano

+39 0332 283960 www.visitfai.it/villapanza

+41 91 923 96 57 www.photographicafineart.com

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La famiglia Kennedy viene raccontata attraverso la lente dell’obiettivo di Mark Shaw, il fotografo ufficiale della più celebrata famiglia americana degli anni Sessanta, con una serie di scatti intimi che ritraggono John F. Kennedy, l’icona Jackie Kennedy e i loro figli, colti in momenti pubblici e privati. A corollario di questo nucleo, vi sono alcune fotografie dei contemporanei Eve Arnold, Cornell Capa, George Dumond e Roger Malloch.


Marco Scorti, Golena, 2015 acrilico su tela 180 x 300 cm

MARCO SCORTI PREMIO MANOR TICINO 2016 Il Museo d’arte della Svizzera italiana espone i lavori del giovane artista ticinese Marco Scorti, vincitore del Premio Manor Ticino 2016. La ricerca dell’artista, che predilige il medium della pittura, è focalizzata sul paesaggio, sia di piccolo che di grande formato, dove la natura, contaminata con elementi di urbanizzazione, diventa l’input per una narrazione arricchita di elementi di suspense e mistero.

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12.11.2016 – 12.02.2017 MASILugano, LAC Piazza Bernardino Luini 6 6900 Lugano +41 58 866 42 00 www.masilugano.ch



Il Poldi Pezzoli DENTRO LA CASA MUSEO Testo: Nicholas Costa

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Milano, percorrendo via Manzoni, tra boutique e bar anni Ottanta, è facile distrarsi e mancare una tappa d’obbligo nel circuito meneghino dei musei. Ospitata in un palazzo neoclassico - il cui aspetto deve molto a Simone Cantoni - la Casa Museo Poldi Pezzoli conserva il frutto dell’attività collezionistica degli omonimi proprietari e di svariati privati milanesi, che hanno contribuito nel tempo a rendere sempre più consistente ed eterogeneo il suo patrimonio. Gian Giacomo Poldi Pezzoli nasce a Milano il 27 luglio 1822; è battezzato con il nome del nonno materno: il marchese Gian Giacomo Trivulzio, collezionista di rarità e oggetti preziosi, grande bibliofilo a cui si deve la nascita della Biblioteca Trivulziana. Rimasto orfano di padre all’età di undici anni, Gian Giacomo cresce sotto la tutela della madre, che nutre quell’aspirazione genetica al collezionismo, acquistando a sua volta pezzi unici e antichi. Esiliato per aver preso parte ai moti risorgimentali del 1848, Gian Giacomo

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peregrina per l’Europa, prima nella vicina Lugano, poi in Francia e in Inghilterra. È proprio grazie a questi viaggi formativi che nasce quel gusto eclettico cui si deve l’aspetto odierno della casa museo. Gli ambienti, in parte ricreati dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale, sono infatti ispirati agli arredi delle diverse epoche del passato: lo scalone ricorda le eleganti spirali barocche del Borromini, l’anticamera è in stile rocaille francese, la Sala Nera ospita curiosi mobili in stile rinascimentale di grandissima tendenza in quegli anni (a questo proposito si veda Casa Bagatti Valsecchi, altro gioiello della Milano di metà Ottocento), non ultimo lo splendido Gabinetto di Studio con richiami al Medioevo fiorentino. Oltre a rinnovare gli ambienti, Gian Giacomo implementa la collezione di famiglia. La prima serie di acquisti riguarda una sua passione giovanile: le armi antiche, oggi riunite nella Sala delle Armi con un intervento di Arnaldo Pomodoro. Ma il grande vanto della casa museo è legato alla cospicua raccolta di


Sandro Botticelli (Firenze, 1445 circa -1510), Compianto sul Cristo morto, 1499-1500 circa tempera su tavola © Milano, Museo Poldi Pezzoli

Sandro Botticelli (Firenze, 1445 circa -1510), Madonna col Bambino detta “Madonna del Libro”, 1482 - 1483 circa tempera su tavola © Milano, Museo Poldi Pezzoli

ficio pubblico in perpetuo colle norme in corso per la Pinacoteca di Brera”; è proprio grazie alla redazione di questo documento che nel 1879, alla morte improvvisa del collezionista, il futuro di questa strabordante raccolta di opere si delinea in modo chiaro. Inaugurata il 25 aprile 1881, con un allestimento praticamente invariato, la collezione cresce grazie alle sapienti attenzioni dei sui direttori che acquistano, tra gli altri, il Ritratto di Martin Lutero dipinto da Cranach il Vecchio. Nel 1943 i bombardamenti

opere del rinascimento italiano, Gian Giacomo è infatti grande amico di personaggi come il critico Giovanni Morelli e Charles Eastlake, direttore della National Gallery di Londra, grandi connoisseur capaci di indirizzare l’amico verso straordinari pezzi di autori toscani, veneti e lombardi, tra cui il Ritratto di giovane donna del Pollaiolo e l’Imago Pietatis di Giovanni Bellini. Nel 1861, Gian Giacomo Poldi Pezzoli redige un testamento in cui detta che la casa e tutte le opere vadano “ad uso e bene-

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aerei distruggono il palazzo di via Manzoni e i danni sono in larga parte irreparabili: crollano i tetti, i soffitti decorati a stucco e le pareti, ma la collezione è salva grazie al preventivo spostamento nei rifugi antiaerei. Alla fine della guerra, lo Stato italiano finanzia la ricostruzione del museo. Sono recuperate con attenzione quasi filologica le parti meno danneggiate, come lo Scalone antico, mentre delle ricchissime decorazioni viene restituita una versione

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più leggera e forse più consona al gusto contemporaneo. Il museo riapre al pubblico il 3 dicembre 1951. Alla metà degli anni Settanta viene riallestita l’ala sinistra del primo piano su progetto di Luigi Caccia Dominioni. Oggi il Museo Poldi Pezzoli fa parte di un circuito di case museo milanesi, mete dedicate a chi vuole scoprire altri modi di esporre e di avvicinarsi alle molteplici sensibilità di epoche ormai lontane.



Piero del Pollaiolo (attribuito a) (Firenze 1443 - Roma 1496), Ritratto di donna, Š Milano, Museo Poldi Pezzoli

Museo Poldi Pezzoli Via Manzoni 12 20121 Milano

A pagina 18 Salone Dorato, Š Meritalia, foto di Walter Gumiero

+39 02 4889 6334 www.museopoldipezzoli.it

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L’agenda

L’ANIMA DEL SEGNO HARTUNG - CAVALLI STRAZZA 08.10.2016 – 29.01.2017 Museo Civico Villa dei Cedri Piazza San Biagio 9 6500 Bellinzona +41 91 821 85 20 www.villacedri.ch

COSTELLAZIONE FOTOGRAFIE DA UNA COLLEZIONE PRIVATA 04.12.2016 – 18.02.2017 CONS ARC / GALLERIA Via Gruetli 1 6830 Chiasso +41 91 683 79 49 www.consarc.ch

J. J. WINCKELMANN (1717-1768). I “MONUMENTI ANTICHI INEDITI” 05.02.2017 – 07.05.2017 m.a.x.museo Via Dante Alighieri 6 6830 Chiasso +41 91 695 08 88 www.centroculturalechiasso.ch

LA BAMBINAIA DI RITA HAYWORTH KATJA SNOZZI. RITRATTI FOTOGRAFICI 27.11.2016 – 05.03.2017 Museo Vincenzo Vela Largo Vela 6853 Ligornetto +41 58 481 30 40 www.museo-vela.ch

MARCO D’ANNA. OLTRE fino al 14 gennaio 2017 CERAMICA / CÉRAMIQUE / KERAMIK dal 19 febbraio 2017 Buchmann Galerie Via Gamee 6927 Agra +41 91 980 08 30 www.buchmanngalerie.com

THOMAS VIRNICH MAILÄNDER DOM fino a inizio febbraio 2017 LAWRENCE CARROLL “I WANT TO GO HOME” dal 18 febbraio 2017 Buchmann Lugano Via Della Posta 2 6900 Lugano +41 91 980 08 30 www.buchmanngalerie.com

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Per gli orari di apertura si prega di contattare i musei e le gallerie o di consultare il loro sito.

ANDY WARHOL 19.01.2017 – 04.04.2017 Galleria Allegra Ravizza Via Nassa 3A 6900 Lugano +41 91 224 31 87 www.allegraravizza.com

SUGGESTIONI ITALIANE: VEDUTE DAL GRAND TOUR 21.11.2016 – 25.02.2017 Galleria Canesso Lugano Piazza Riforma 2 6900 Lugano +41 91 682 89 80 www.galleriacanesso.ch

THE FIRST FAMILY LA FAMIGLIA KENNEDY ALLA CASA BIANCA

MARCO SCORTI PREMIO MANOR TICINO 2016

15.12.2016 – 24.02.2017

12.11.2016 – 12.02.2017

Photographica Fine Art Via Cantonale 9 6900 Lugano

MASILugano, LAC Piazza Bernardino Luini 6 6900 Lugano

+41 91 923 96 57 www.photographicafineart.com

+41 58 866 42 00 www.masilugano.ch

Esperimenti di sintesi delle arti. André Bloc e Gianni Monnet in un percorso fra esponenti dell’arte concreta

MERET OPPENHEIM OPERE IN DIALOGO

04.11.2016 – 31.01.2017 Studio Dabbeni Corso Pestalozzi 1 6900 Lugano +41 91 923 29 80 www.studiodabbeni.ch

11.02.2017 – 28.05.2017 MASILugano, LAC Piazza Bernardino Luini 6 6900 Lugano +41 58 866 42 00 www.masilugano.ch


PER KIRKEBY I LUOGHI DELL’ANIMA DEL GRANDE MAESTRO SCANDINAVO

ERICH LINDENBERG E GABRIELA Maria MÜLLER NEL RIVERBERO DELLA NATURA

02.10.2016 – 29.01.2017

03.12.2016 – 12.03.2017

Museo d’arte Mendrisio Piazzetta dei Serviti 1 6850 Mendrisio

Museo di Villa Pia Via Cantonale 24 6948 Porza

+41 58 688 33 50 www.museo.mendrisio.ch

+41 91 940 18 64 www.fondazionelindenberg.org

COLLETTIVA: AT THE SAME PLACE BY COINCIDENCE

LEGNI PREZIOSI SCULTURE, BUSTI, RELIQUIARI E TABERNACOLI DAL MEDIOEVO AL SETTECENTO

10.12.2016 – 21.01.2017 OnArte Via San Gottardo 139 6648 Minusio +41 91 735 89 39 www.onarte.ch

16.10.2016 – 22.01.2017 Pinacoteca cantonale Giovanni Züst Piazza Santo Stefano 6862 Rancate +41 91 816 47 91 www.ti.ch/zuest

BARBARA PROBST 12 MOMENTS 10.12.2016 – 25.03.2017 Galleria Monica De Cardenas Chesa Albertini Via Maistra 41 7524 Zuoz | St. Mortiz +41 81 868 80 80 www.monicadecardenas.com


Mirabilia Fiere Artgenève

ArteFiera Bologna

ARCOmadrid

26-29.01.2017

27-30.01.2017

22-26.02.2017

LOUISE BOURGEOIS

PIETRO PAOLO RUBENS E LA NASCITA DEL BAROCCO

Mostre ERNST LUDWIG KIRCHNER: HIEROGLYPHEN

13.10.2016 – 26.02.2017 23.09.2016 – 26.02.2017

26.10.2016 – 26.02.2017

Hamburger Bahnhof, Berlino

Lousiana Museum of Modern Art, Humlebæk

CY TWOMBLY

ROBERT RAUSCHENBERG

ANISH KAPOOR

30.11.2016 – 24.04.2017

01.12.2016 – 02.04.2017

17.12.2016 – 17.04.2017

Centre Pompidou, Parigi

Tate Modern, Londra

MACRO, Roma

JOEL SHAPIRO FLOOR WALL CEILING

WOLFGANG TILLMANS

11.01.2017 – 17.04.2017

15.02.2017 – 11.06.2017

Kunstmuseum Winterthur

Tate Modern, Londra

25

Palazzo Reale, Milano


Im pres sum Rivista bimestrale cartacea fondata a Lugano nel 2014, d’Arte è diffusa gratuitamente in una selezione di gallerie d’arte e di musei ticinesi e all’Istituto Svizzero di Milano. è uno strumento di turismo culturale legato alle arti visive. darte.ch facebook.com/darterivista

Direttore & Editore Daniele Agostini daniele@darte.ch

Pubblicità & Advertorial Daniele Agostini daniele@darte.ch

Direzione Artistica & Grafica Muriel Hediger

In copertina Sala Nera © Museo Poldi Pezzoli, Milano

Progetto grafico Ennes Bentaïba

Scriveteci! Per contattarci o semplicemente dirci Ciao! hello@darte.ch

Contributi Daniele Agostini Nicholas Costa Stefano Menichini Diego Stephani Hanno collaborato Francesca Benini Alice Nicotra

© 2014-2017 d’Arte, Tutti i diritti riservati.



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