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cosmesi bio

di Diana Malcangi, Consulente Scientifca esterna NATRUE e Mark Smith, Diretore generale NATRUE

Uno dei trend della cosmesi più importanti del 2022 è senza dubbio quello degli ingredienti fermentati, dei probiotici, prebiotici e postbiotici, e in generale dei cosmetici che preservano la flora microbica naturale della nostra pelle.

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Questo trend si è affermato gradualmente negli ultimi anni, all’inizio lentamente, poi la sua popolarità è cresciuta man mano che progredivano le ricerche sul microbiota cutaneo e i produttori di materie prime iniziavano a sperimentare la fermentazione di ingredienti naturali: quest’anno è diventato uno dei trend più importanti.

Già nel 2013 erano comparsi sul mercato i primissimi “cosmetici con probiotici” (cioè con lattobacilli vivi dello yogurt) e nel 2015 un’azienda americana proponeva nel mondo beauty il “potere cosmetico della sporcizia”. Si trattava di uno spray a base di Nitrosomonas eutropha, un batterio che vive nella polvere e nell’acqua stagnante e che grazie alla capacità di metabolizzare l’ammoniaca (presente nel nostro sudore) in nitriti sarebbe in grado di migliorare l’aspetto delle rughe e i segni dell’acne e il benessere fisiologico della pelle.

Il principio affermato dall’azienda in questione e supportato in parte dalla comunità scientifica è che nel mondo occidentale siamo fin troppo puliti, ultra disinfettati: questo eccesso di pulizia può alterare il nostro microbiota cutaneo ed esporre la pelle a squilibri che possono provocare inestetismi e addirittura patologie. Occorrerebbe dunque preservare la flora naturale epidermica, poiché la varietà e il giusto equilibrio tra le varie specie batteriche può tenere lontane le proliferazioni di specie indesiderate e mantenere la pelle nel suo stato ottimale.

Il microbiota cutaneo viene studiato da anni ma l’interesse scientifico verso di esso è cresciuto molto a partire dalla prima decade degli anni 2000 per poi mostrare

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negli ultimi 10 anni una crescita molto rapida a giudicare dal numero di pubblicazioni presenti in letteratura. Parallelamente, è cresciuto l’interesse dell’industria cosmetica verso l’idea che i batteri possano essere amici della pelle (e non solo nemici da combattere). Di conseguenza si sono affacciati sul mercato beauty i cosmetici contenenti lattobacilli, estratti vegetali fermentati e un gran numero di ingredienti ottenuti attraverso processi biotecnologici fermentativi.

Microbiota e microbioma

Microbiota e microbioma sono due parole sempre più popolari nei lanci di nuovi cosmetici e sono usate spesso come sinonimi, ma hanno significati diversi.

Microbiota esprime una popolazione di microrganismi (batteri, funghi, muffe, lieviti, virus, parassiti) che colonizza un determinato luogo. Il termine microbioma invece indica la totalità del patrimonio genetico posseduto dal microbiota, cioè i geni che quest’ultimo è in grado di esprimere.

Il corpo umano vive da sempre in simbiosi con i microrganismi, i quali si trovano soprattutto nell’intestino dove hanno funzione digestiva (idrolizzano i nutrienti che provengono dal cibo e ne permettono l’assorbimento), biosintetica (producono vitamine), protettiva (creano una barriera alla proliferazione incontrollata dei patogeni), immuno-modulante (determinano qualità e quantità della risposta del nostro organismo alle infezioni, tenendolo “allenato”), antiossidante (producono molecole antiossidanti).

Il ruolo del microbiota appare sempre più importante ed è implicato in molte patologie diverse, dai disturbi metabolici

Microbioma della pelle umana

Rappresentazione dell’olobionte (Helen Spence-Jonespng)

come l’obesità (1), all’osteoporosi (2) alle patologie neuro-psichiatriche (asse microbi-intestino-cervello) (3), alle allergie (4), al cancro (5) e alle malattie della pelle.

Il nostro corpo non è sterile, specialmente nelle parti comunicanti con l’esterno (pelle, cavità orale, vie respiratorie, apparato intestinale, uro-genitale, congiuntiva, canale uditivo esterno), ma gli scienziati iniziano a ipotizzare la presenza di un microbioma specifico anche in altre zone del corpo.

La composizione del microbiota umano non è fissa bensì variabile, ed è influenzata dalla geografia, dalle condizioni esterne, dall’alimentazione, dall’età. Pare che il microbiota si formi durante la vita fetale (in opposizione al precedente paradigma di “utero sterile”). La placenta, il liquido amniotico, il sangue del cordone ombelicale e i tessuti fetali hanno ciascuno il proprio microbiota specifico, influenzato dalla salute e dalle abitudini materne e, al momento del parto, durante il passaggio nel canale vaginale, il neonato viene esposto alla complessa popolazione di microrganismi che lo popolano.

Nel corpo umano, il numero dei microrganismi residenti di origine esterna è addirittura superiore al numero di cellule che compongono il corpo umano stesso. Una stima fatta nel 1970 indicava un rapporto di 10:1 (6), mentre studi più recenti hanno ridimensionato il rapporto a circa 1,3:1 (es. per un uomo di 20-30 anni che pesa 70 kg ed è alto 1,70 m ci sono mediamente 39 trilioni di batteri per 30 trilioni di cellule umane) (7)

Il microbiota è importante soprattutto per quanto riguarda il nostro intestino, che è l’organo più “popolato” ma qui ci concentreremo sulla pelle e sui cosmetici.

Il microbiota della pelle

L’epidermide è ricoperta da un mantello idrolipidico naturale composto da acqua, lipidi, acidi organici, proteine, amminoacidi, sali minerali che costituisce il terreno d’elezione per vari tipi di microrganismi che costituiscono la flora cutanea, la quale si autoregola (omeostasi).

Sulla pelle il microbiota si forma al momento della nascita, si modifica durante l’adolescenza e si stabilizza durante la vita adulta (8), ma resta comunque influenzato da fattori esterni.

In condizioni normali, la flora residente è composta dai cosiddetti batteri “buoni” della cute (commensali), che vivono stabilmente sulla superficie cutanea, si nutrono di sostanze prodotte dalla pelle e non provocano alcun danno all’organismo, anzi svolgono un ruolo importante nella sua difesa da fattori esterni potenzialmente nocivi. I commensali più comuni sulla pelle sono lo stafilococco dell’epidermide, i micrococchi, i difteroidi anaerobici, i corynebacteria e i propionibacteria.

La flora temporanea, invece, è costituita dalle specie che entrano in contatto con la cute per un tempo limitato. Tra questi microrganismi possono esserci anche agenti patogeni potenzialmente in grado di causare disturbi e malattie.

Il microbiota cutaneo cambia anche a seconda delle zone del corpo, che hanno un grado di idratazione, pH e percentuale di sebo diversi, e che possono essere più o meno esposte all’ambiente esterno. Ci sono a esempio zone più umide e meno

Staphylococcus epidermidis

esposte (ascelle, ombelico, gomito interno, inguine, pianta del piede, ecc.), popolate da batteri delle specie Staphylococcus e Corynebacterium, e zone più sebacee (fronte, pieghe nasolabiali, zone retro auricolari) che sembrano avere una popolazione microbica meno varia e caratterizzata per lo più da batteri della specie Propionibacterium (questi ultimi abbondano sulla pelle dei soggetti affetti da acne). La popolazione dei microrganismi sulla superficie cutanea non è omogenea, ed è quindi difficile determinare l’equilibrio ottimale tra i vari ceppi, non solo tra un individuo e l’altro, ma anche nello stesso individuo.

La flora residente si autoregola, ma può andare incontro a squilibri: ad esempio la crescita incontrollata di uno dei microrganismi come Staphylococcus aureus può determinare infezioni. Una flora cutanea “povera” (con minore varietà di specie) può associarsi alla comparsa di sintomi cutanei lievi ma anche di alcune malattie infiammatorie della pelle come l’acne (9) o la dermatite atopica (10).

Mantenere una fora cutanea sana

Il rapporto tra i disagi della pelle e la composizione del microbiota, di cui la letteratura scientifica parla ampiamente, ci fa intuire quanto sia importante mantenere in equilibrio la flora cutanea. Questo equilibrio è chiamato eubiosi e corrisponde a un microbiota stabile, con la giusta diversità e che funziona bene. Al contrario, lo squilibrio viene chiamato disbiosi, e può essere causato da patologie (cutanee o sistemiche), alimentazione squilibrata, shock (fisici, termici, chimici) e stress.

Purtroppo non è stata mai stabilita una correlazione diretta e inequivocabile tra squilibrio del microbiota e patogenesi della psoriasi (11), della dermatite atopica (12), della rosacea (13) e dell’acne (14), ed è possibile che si tratti piuttosto di malattie multifattoriali in cui anche il microbiota cutaneo ha probabilmente un ruolo.

D’altra parte, però, arricchire la flora cutanea con specie diverse e batteri “buoni” sembra avere un effetto positivo anche sulla prevenzione e nel trattamento di alcune problematiche della pelle e nella riduzione degli inestetismi. Ad esempio, un estratto di Lactobacillus reuteri DSM 17938 ha dimostrato di avere effetti antiinfiammatori, antimicrobici e di miglioramento della funzione barriera (15), mentre l’estratto di Lactobacillus plantarum HY7714 ha dimostrato di migliorare l’idratazione della pelle, la luminosità, l’elasticità e di ridurre la profondità delle rughe (16). Alcuni di questi effetti cosmetici, inoltre, si ottengono sia nel caso del microrganismo vivo, sia dell’estratto lisato.

Staphylococcus epidermidis (cc HansN) Cosmetici benefci per la fora cutanea

I cosmetici “con probiotici” o che promettono di “riequilibrare la flora cutanea” come dicevamo all’inizio dell’articolo stanno riscuotendo grande interesse sul mercato. Il consumatore medio, infatti, conosce già i benefici dei probiotici, dei prebiotici e degli alimenti fermentati per l’intestino e quindi associa caratteristiche benefiche anche ai cosmetici che li contengono (che sia supportato scientificamente o meno). Il marketing dei cosmetici cavalca quest’onda di interesse, supportata in parte dagli studi scientifici sulla microflora cutanea, e propone cosmetici “benefici per il microbiota cutaneo” attirando l’attenzione su ingredienti come i lattobacilli, le fibre solubili ad azione prebiotica (es. inulina) e in generale qualsiasi ingrediente ottenuto grazie alla fermentazione.

Un cosmetico può davvero essere “probiotico” per la pelle?

I cosmetici che contengono lattobacilli, estratti fermentati o fibre prebiotiche hanno davvero un effetto riequilibrante sul microbioma cutaneo? I lattobacilli vengono inseriti vivi all’interno della formulazione? E se sì, quanto sopravvivono? (ad esempio in presenza dei conservanti).

Il primo nemico di una flora cutanea variegata e ben equilibrata è rappresentato proprio dalle sostanze antibatteriche biocide, che non distinguono tra microrganismi “buoni” e “cattivi” nel loro meccanismo di azione.

I prodotti cosmetici possono essere conservati in vari modi, in genere con sostanze antibatteriche, batteriostatiche e antifungine che hanno funzione di “conservanti”. Conservare adeguatamente i cosmetici è necessario per impedire la proliferazione di microrganismi indesiderati, prolungando la vita del prodotto sullo scaffale e la fase di utilizzo da parte del consumatore dopo l’apertura della confezione.

Tuttavia l’aggiunta dei conservanti (“sostanze destinate esclusivamente o prevalentemente ad inibire lo sviluppo di microorganismi nel prodotto cosmetico”) (17) così come evita la proliferazione dei batteri indesiderati, allo stesso tempo potrebbe disturbare la flora cutanea buona.

Se da un lato, da studi in-vitro (18), in particolare alle concentrazioni massime di utilizzo (19), i conservanti hanno mostrato di avere un impatto sulla microflora, studi successivi realizzati in-vivo hanno invece mostrato che il microbioma cutaneo non è influenzato in modo sostanziale dai prodotti contenenti conservanti (20) alle concentrazioni consentite dalla legge. Insomma, applicando le normali creme cosmetiche sulla nostra pelle non corriamo il rischio di disturbare il microbiota.

Il claim: la cosmesi probiotica

Come accennato prima, in base ad alcuni studi disponibili (15,16), la presenza di lattobacilli in una crema topica potrebbe riequilibrare la microflora, migliorare l’idratazione e la funzione barriera e aiutare a contrastare gli inestetismi. Di conseguenza la dicitura “cosmesi probiotica”, per quanto leggermente forzata, potrebbe non essere totalmente fuorviante, nel momento in cui l’azienda sia in grado dimostrare con studi clinici i risultati del prodotto in termini di efficacia cutanea. Il problema, però, è che questo termine non è regolamentato a livello internazionale e non esistono linee guida per i claim sui “cosmetici probiotici”, di conseguenza il consumatore è esposto al rischio di pubblicità ingannevole. A ogni modo, restano sempre validi i criteri comuni per giustificare i claim sui prodotti cosmetici disposti dal Regolamento (EU) n. 655/2013, in particolare i criteri di “Supporto probatorio” (qualsiasi claim deve essere supportato da prove valide) e “Onestà” (a esempio, non spingersi al di là di quanto viene provato).

Pro-biotici, pre-biotici, post-biotici

Secondo la definizione dell’OMS, i probiotici sono “organismi vivi che se somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell’ospite”. Naturalmente si parla di microrganismi somministrati oralmente; ma come dicevamo sopra, la cosmesi, sempre alla ricerca di nuovi concept di funzionalità, ha “preso in prestito” questo termine. Occorre però tenere sempre presente che i cosmetici, per definizione, non sono prodotti da ingerire.

Da un punto di vista formulativo, non è semplice inserire batteri vivi all’interno di un prodotto cosmetico: la difficoltà maggiore è proprio quella di mantenerli vivi per lungo tempo, specialmente quando sono presenti i conservanti.

Tecnicamente è come andare contemporaneamente in due direzioni opposte: mantenere un cosmetico sicuro, cioè non contaminato da batteri indesiderati, e allo stesso tempo mantenere vivi per lungo tempo i batteri “amici”.

Esistono comunque alcuni modi per allungare la vita dei ceppi benefici: a esempio quello di incapsularli all’interno di liposomi (21). Di recente sono stati lanciati alcuni cosmetici contenenti lattobacilli microincapsulati: la maggior parte dei prodotti riporta però sulla confezione una scadenza breve.

Una strada cosmetica alternativa e certamente più battuta è quella di utilizzare i batteri disattivati (v. oltre nel paragrafo “post-biotici”) poiché si è visto, a esempio, che anche i ceppi lisati o tindalizzati possono avere effetti benefici sulla pelle. I ceppi tindalizzati sono quelli sottoposti a trattamenti che li disattivano termicamente lasciandoli integri, mentre i lisati sono ceppi disgregati. Entrambi, quando vengono usati come ingredienti cosmetici, mantengono alcune proprietà sulla pelle simili a quelle dei ceppi vivi, migliorano a esempio la funzione barriera oppure

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mostrano attività antirughe e anti-melanogenesi (22), ma naturalmente non contribuiscono ad arricchire e diversificare la flora cutanea. Hanno però il vantaggio di non essere inibiti dai conservanti. Per questo tipo di prodotti, il claim “cosmesi probiotica” è tuttavia ancora meno supportato, perché appunto si tratta di microrganismi non vivi.

I pre-biotici, invece, non sono microrganismi: si tratta di sostanze organiche che costituiscono il terreno migliore per il mantenimento di una microflora benefica. I prebiotici sono a esempio fibre e zuccheri come inulina, glicosamminoglicani, beta-glucani, oligofruttosaccaridi, che sono in genere ottenuti da fonti vegetali oppure prodotti per via biotecnologica. Si tratta in realtà di sostanze già note e utilizzate da tempo in cosmesi (a esempio come idratatanti). A differenza dei microrganismi vivi, esse sono facili da incorporare nelle formulazioni e del tutto sicure, e non hanno problemi normativi, a patto di poter dimostrare la loro funzione “pre-biotica” anche per la pelle (cioè favorire la crescita e la sopravvivenza dei microrganismi benefici che già si trovano nel microbiota cutaneo), cosa per nulla ovvia.

La categoria dei “post-biotici” può rappresentare invece quelle sostanze che derivano dai microrganismi stessi (es. ceppi lisati o tindalizzati) oppure dal loro metabolismo, come ad esempio acidi grassi a corta catena (SCFA), enzimi, peptidi, vitamine e acidi organici che si ottengono tramite fermentazione. Si tratta di un campo molto interessante e che apre varie strade perché, cambiando il microrganismo o il substrato di fermentazione si possono produrre molte sostanze diverse, ciascuna con le sue specifiche caratteristiche chimiche e proprietà cosmetiche.

I cosiddetti “estratti fermentati” rientrano in questa categoria: si tratta di estratti vegetali in cui vengono coltivati particolari

ceppi batterici che, con il loro metabolismo, migliorano le caratteristiche dell’estratto stesso. Per esempio, alcuni batteri sono in grado di idrolizzare i polisaccaridi o le proteine dell’estratto, rendendole più biodisponibili a livello cutaneo, o di produrre vitamine, peptidi e altre sostanze interessanti da un punto di vista funzionale.

Tra i postbiotici potremmo includere anche un’altra categoria di sostanze, quelle di origine biotecnologica. Facendo lavorare i microrganismi in condizioni controllate è possibile infatti ottenere innumerevoli molecole che prima si ottenevano da fonti

non rinnovabili, oppure che prevedevano l’uccisione degli animali. A esempio quasi tutto l’acido ialuronico utilizzato oggi in cosmesi si ottiene dalla fermentazione del glucosio a opera di uno streptococco, invece che col vecchio metodo dell’estrazione dalle creste di gallo.

Il metodo fermentativo ha vantaggi evidenti dal punto di vista del profilo di sicurezza e soprattutto di evitare inutili crudeltà per gli animali.

L’industria dei cosmetici naturali è pionera nei processi biotecnologici

L’industria delle materie prime cosmetiche ha assunto un ruolo pionieristico nelle metodiche di fermentazione biotecnologica, spinta soprattutto da esigenze di maggiore sostenibilità, e sta creando moltissime alternative di origine vegetale ai derivati sintetici.

Oggi moltissime sostanze – dai piccoli amminoacidi fino ai grandi polimeri di

zuccheri – sono ottenuti con la fermentazione di vegetali attraverso l’uso di microrganismi, anziché sinteticamente.

In questo contesto, i cosmetici che abbiano caratteristiche di naturalità certificate rappresentano una scelta decisiva, nell’ottica green. Lo standard NATRUE, con i suoi criteri severi che escludono le sostanze sintetiche dalle formulazioni e ammettono

solo quelle naturali, di derivazione naturale e natural-identiche, accoglie e promuove metodi di fermentazione che utilizzano microrganismi non-OGM per la produzione di polimeri naturali, miscele complesse e molecole singole.

Tra i prodotti certificati NATRUE ce ne sono molti che contengono lattobacilli, saccaromiceti, fibre prebiotiche solubili come l’inulina (dalla Cicoria), polisaccaridi (da frutti e alghe, ecc.) e una grande varietà di estratti vegetali e molecole ottenute da fermentazione.

Per chi volesse cercarli o esplorarli, sono consultabili sul database presente all’interno del sito www.natrue.org inserendo l’ingrediente desiderato come chiave di ricerca.

Le fermentazioni sono un’enorme opportunità di innovazione e rappresentano spesso la chiave per ottenere la massima sostenibilità nei processi della chimica verde. L’industria cosmetica è probabilmente uno dei settori che ha dato maggiore spazio alla chimica delle fermentazioni e alla biotecnologia, soprattutto grazie al crescente interesse dei consumatori consapevoli e alla richiesta di evitare i derivati sintetici. In questo contesto, spesso macchiato dal greenwashing, diventa essenziale che le aziende si conformino a regole severe che garantiscano ai consumatori autentica naturalità. Scegliere i prodotti che portano il marchio di certificazione NATRUE, i quali hanno superato rigidi controlli nella formulazione e nella produzione da parte di organismi di ispezione indipendenti, rappresenta la massima garanzia per i consumatori che scelgono di portare nella loro vita più natura e più sostenibilità.

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