Dal monopolio alle reti private

Page 1


IL MONOPOLIO E GLI ARGOMENTI A SUO SOSTEGNO Il monopolio è la situazione nella quale un solo soggetto detiene esclusivamente il controllo della produzione e/o della diffusione di un determinato bene o servizio. In quasi tutti i paesi europei, sia i sistemi radiofonici sia quelli televisivi, hanno posseduto tale caratteristica dalle origini fino agli anni Settanta. Nel sistema radiotelevisivo, dove la forma di mercato adottata influenza i contenuti della comunicazione, la scelta del monopolio è stata normalmente giustificata con considerazioni di natura tecnica, politica, culturale e sociopsicologica. La giustificazione tecnica del monopolio si riferisce alla scarsità delle frequenze disponibili, quindi, dato che la disponibilità dell’etere è limitata, l’alternativa al monopolio non sarebbe la concorrenza aperta fra una pluralità di soggetti, ma un sistema di oligopolio. Secondo la giustificazione politica, infatti, in queste condizioni il regime monopolistico sottoposto al controllo pubblico democratico è la forma migliore per assicurare pluralismo. L’argomento sociopsicologico a favore del monopolio radiotelevisivo fa invece riferimento ai potenziali effetti che questo può avere, in particolare nei confronti dei gruppi sociali più deboli, come adolescenti e bambini. L’aspetto culturale, invece, si riferisce alle potenzialità educative e non, dei due mezzi di comunicazione. In passato il regime monopolistico pubblico nel sistema radiotelevisivo veniva concepito come garanzia al pubblico servizio, solo recentemente questo abbinamento è risultato superabile. IL SERVIZIO PUBBLICO RADIOTELEVISIVO Il concetto di servizio pubblico radiotelevisivo si basa sull’idea che i programmi radiofonici e televisivi costituiscano un bene pubblico, d’importanza generale. Per questo non è un fatto da affidare al mercato e per questo lo stato si fa garante. Il modello radiotelevisivo adottato varia da paese a paese, per esempio negli Stati Uniti si è sviluppato un modello basato sulla competizione tra compagnie private finanziate commercialmente, ovvero attraverso gli introiti pubblicitari, mentre in Europa è stato adottato un modello che prevede un controllo diretto statale sul sistema radiotelevisivo. In Italia, le funzioni principali attribuite ai servizi pubblici sono le seguenti: • un servizio generale a tutti disponibile, senza distinzioni reddituali, geografiche, ecc; • un servizio che offre una programmazione equilibrata fra i vari generi di programmi; • un servizio che sia imparziale nei confronti dell’informazione politica; • un servizio che abbia una certa indipendenza sia dall’influenza governativa sia dalle pressioni commerciali. Nella storia dell’Europa occidentale non tutti i servizi pubblici hanno garantito questi quattro compiti, in modo particolare l’ultimo e questo problema si è verificato in maniera più accentuata in Italia. Al momento della nascita della repubblica il concetto di servizio pubblico si basava sui principi contenuti nella nuova costituzione repubblicana: il monopolio viene infatti legittimato dall’idea che “a fini di utilità generale la legge può riservare allo stato determinate imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali ed abbiano carattere di preminente interesse generale” (art. 43). In questo articolo vengono ribaditi il monopolio, il sistema di finanziamento misto e la dipendenza diretta dallo stato. Successivamente il concetto di servizio pubblico in Italia viene rivisto e nel dopoguerra si basa invece su ideali democratici: assicurare un servizio radiotelevisivo accessibile a tutti a livello nazionale, concorrere alla crescita nazionale del paese, rendere possibile la formazione di un opinione pubblica consapevole garantendo accesso e visibilità alle varie forze politiche e culturali e rappresentando i fatti in modo completo e imparziale, tutelando le minoranze. STORIA DEL MONOPOLIO RADIOTELELEVISIVO La storia della televisione italiana parte nel 1954, quando la Rai (dal 1944 Radio Audizioni Italia e poi dal 1954 Radiotelevisione Italiana), un’impresa pubblica a partecipazione statale, inizia le trasmissioni regolari. La vicenda televisiva si intreccia però con quella della radio, che in Italia nacque tre decenni prima, in ritardo rispetto agli altri paesi del continente. La storia della radio in Italia inizia infatti nel 1924 quando il ministero delle Comunicazioni firma la convenzione con


l’URI (Unione Radiofonica Italiana), che poi nel 1927, quando il governo fascista rinnova per venticinque anni la concessione in esclusiva, diventerà EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche). È in questo modo che nasce il sistema monopolistico delle radiocomunicazioni italiane, con caratteristiche che sono presenti ancore nel broadcasting del nostro paese: • la concessionaria (URI, poi EIAR) ha l’esclusività su tutto il territorio nazionale del servizio e da ciò deriva la situazione di monopolio; • la subordinazione all’esecutivo politico, in modo particolare nell’ambito dell’informazione; • un sistema di finanziamento misto che comprende il canone di abbonamento e gli introiti pubblicitari. Nel 1931 una circolare governativa riserva all’EIAR il compito di iniziare le sperimentazioni in ambito televisivo, nei fatti però queste ricerche inizieranno otto anni dopo, nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale che interruppe lo sviluppo della televisione italiana. Dopo la fine della guerra vengono ripresi gli studi sulla trasmissione, ma l’anno considerato canonico per le sperimentazioni televisive è il 1952, quando la Rai installa a Milano un impianto trasmittente completo e uno studio di ripresa. Sempre nel 1952, il governo rinnova la convenzione fra stato e Rai, alla quale viene affidata anche la trasmissione di programmi televisivi. I punti su cui si basa questo accordo sono i seguenti: • concessione per altri vent’anni dei servizi radiofonici; • estensione della concessione alla televisione circolare e ai servizi telediffusi su filo o su cavo; • obbligo di trasferimento della direzione generale a Roma; • trasferimento della maggioranza delle azioni all’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale); • introduzione nel consiglio di amministrazione della Rai di rappresentanti dei ministeri di Esteri, Finanze, Poste, già presenti, ma anche di membri della presidenza del consiglio e del ministero del Tesoro; • conferma del canone di utenza riscosso tramite gli uffici del registro; • regolamentazione della pubblicità. La corte costituzionale fu però chiamata varie volte ad esprime il proprio giudizio su tale materia, in quanto il regime di monopolio pubblico radiotelevisivo sembrava essere in contrasto con l’art. 21 c. 1 della Costituzione: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La prima sentenza della corte costituzionale, sentenza n.59 del 1960, sostenne la legittimità del monopolio pubblico dal punto di vista costituzionale, in quanto il numero limitato dei canali utilizzabili per le trasmissioni avrebbe consentito a poche emittenti private la possibilità di effettuare le trasmissioni. ANTENNE LIBERE E LA FINE DEL MONOPOLIO Nei prima anni Settanta avvengono una serie di cambiamenti importanti: il monopolio Rai, infatti, non viene attaccato solo dall’interno (a causa delle numerose discussioni sulla riforma in questa materia e le lotte per il potere), ma anche dall’esterno, in quanto sia in ambito radiofonico sia in quello televisivo nascono le prime emittenti private, chiamate “libere”. Questo fenomeno fu favorito particolarmente dall’abbassamento dei costi del materiale per la produzione di programmi e la diffusione del segnale. In questi anni molte emittenti private vennero fatte chiudere da un funzionario delle Poste perché trasmetteranno il proprio segnale senza autorizzazione del ministero. Nonostante queste difficoltà iniziali le televisioni e radio locali acquisiscono sempre maggiore


importanza e iniziano a minacciare il monopolio della Rai. Alla fine del 1974 esistono già centinaia di reti via cavo: i primi provvedimenti giudiziari contro le trasmittenti private vengono presi però quando si è già creato il mercato e una sentenza della corte costituzionale del 1974 (n. 226) avvia la liberalizzazione del mercato, almeno in “ambito locale”. Questa sentenza afferma che le emittenti via cavo in ambito locale non devono chiedere l’autorizzazione al ministero delle Poste, in quanto non ci sono rischi di causare la nascita di oligopoli. Tale provvedimento non dà una definizione precisa di ambito locale, ma di sicuro favorisce la nascita di reti private. Il monopolio statale subisce inoltre un altro attacco da parte delle trasmittenti straniere. Il 1 giugno del 1974, il ministero delle Poste ordina che i ripetitori istriani e svizzeri, che trasmettevano il proprio segnale in Italia, siano abbattuti in quanto non è lecito che le due emittenti trasmettono nel territorio italiano. Circa un mese dopo, attraverso la sentenza n. 225 la corte Costituzionale sancisce che lo stato mantiene il monopolio dell’etere e che però sono illegittimi tutti questi provvedimenti che deliberano l’oscuramento di una rete radiotelevisiva. A questo punto le televisioni e radio straniere via etere si considerano legittimate a trasmettere il proprio segnale, e quindi molte altre emittenti estere iniziano le loro trasmissioni in Italia. La presenza di emittenti straniere e private sul mercato è sempre maggiore e avevano dunque già intaccato il monopolio ancor prima della riforma della Rai. LA RIFORMA DELLA RAI Nel 1975, dopo molti anni di discussioni, si riesce a giungere ad un accordo per la riforma della Rai. Il 14 aprile del 1975 viene infatti approvata la legge 103, appunto detta riforma Rai, proposta dal capo del governo Aldo Moro. I punti di questa legge riprendono le varie sentenze della corte costituzionale del 1974 e quelli fondamentali sono i seguenti: • la Rai resta una società per azioni, non diviene quindi un ente pubblico; • controllo parlamentare e non governativo: il Parlamento infatti, organo rappresentativo di tutti i cittadini tramite un’apposita commissione di vigilanza aveva il compito di controllare l’emittente pubblica; • viene regolamentata la pubblicità: la Rai non può infatti trasmettere più del 5% di comunicazione commerciale sul totale della programmazione; • pluralismo verticale: imponeva che l’azienda utilizzando diversificate strutture centrali fornisse programmi di informazione imparziali; • pluralismo orizzontale: in riferimento alla necessità di fornire rappresentanza a tutte le realtà del paese, tutelando la presenza delle singole minoranze locali; • il primo e il secondo canale vengono messi in concorrenza tra di loro e ad ogni rete viene assegnato un direttore di rete; • si stabilisce la nascita della Terza Rete Rai entro il dicembre del 1978, questa dovrà avere carattere regionale; • riconoscimento del diritto d’accesso: ovverosia l’opportunità di dare spazio imparzialmente a tutti i gruppi politici, religiosi e culturali; • le radiotelevisioni locali non possono interconnettersi tra loro e il loro bacino d’utenza deve essere limitato; • le emittenti straniere possono trasmettere in Italia a patto che non disturbino il segnale della Rai e non raccolgano pubblicità nel territorio italiano. La riforma Rai risulta essere una sorta di compromesso, in quanto tale legge è caratterizzata dalla presenza di numerose cautele e contraddizioni. Le principali riguardano le competenze che spettano ai vari organi della programmazione (si crea confusione tra i compiti del Parlamento, del Consiglio


di amministrazione, del Direttore generale, dei Vicedirettori e della Direzione di rete) e sul piano finanziario (possono intervenire la Commissione parlamentare e il Consiglio di amministrazione e se a fine anno le spese hanno superato del 10% le entrate dell’azienda, allora il Consiglio di amministrazione e il Direttore generale decadono, provocando così il rischio di paralizzare l’azienda). Al momento della sua promulgazione la riforma della Rai risulta inoltre già superata dai fatti reali: vengono infatti regolamentate solo le emittenti private via cavo e non quelle ormai in via di sviluppo, che trasmettono via etere. Con la riforma il Consiglio di amministrazione diviene la rappresentazione del volere di tutto il Parlamento, sia maggioranza sia minoranza, e i vari partiti e il potere politico hanno un maggior peso sulla scelta dei componenti del Consiglio di amministrazione. Questo implica un rallentamento dell’operato dell’intero Consiglio di amministrazione. In questi periodi si diffonde inoltre la pratica della lottizzazione, ovvero della divisione degli incarichi dirigenziali fra i rappresentanti dei vari partiti. I palinsesti aumentano il numero di ore, la Rai intende accontentare i gusti di tutti e per questo si indirizza maggiormente verso programmi di intrattenimento e svago. Nel 1979, un anno dopo a quello previsto, nasce Raitre, il terzo canale Rai, questo ritardo è dovuto alle varie discussioni all’interno del Consiglio di amministrazione. Successivamente, con la sentenza n.202 del 1976, la Corte costituzionale cambiò parere, affermando che il monopolio statale era legittimo solo a livello nazionale, mentre a livello locale potevano essere ammesse emittenti private. Tale sentenza mutò notevolmente il mondo dell’informazione: infatti da questo periodo cessa il monopolio della Rai sul piano locale e nascono le prime radio e televisioni private. In questa situazione le emittenti private si svilupparono senza alcuna regola, diventando così sempre più numerose, da una situazione di monopolio pubblico si passò infatti a una situazione di duopolio, dominata quindi da due grandi gruppi: la Rai, emittente pubblica e la Fininvest, emittente privata. Secondo la Corte costituzionale, però, tale situazione di duopolio contraddiceva il principio del pluralismo garantito dall’art. 21 della Costituzione, e il Parlamentato venne quindi chiamato a intervenire più volte. GLI ANNI OTTANTA La fine degli anni Settanta è caratterizzata da una ripresa economica e termina inoltre il periodo dei grandi movimenti e inizia un’epoca in cui la dimensione privata prevale su quella collettiva. Lo scenario sociale italiano inizia a cambiare, affiancandosi a quello americano e inizia l’era del consumo. Le aziende capiscono che per guidare le scelte dei consumatori sui prodotti, bisogna utilizzare delle strategie e uno dei mezzi necessari è la pubblicità. Il mercato pubblicitario invade così il mondo radiotelevisivo, nascono nuove concessionarie pubblicitarie e così la Sipra, concessionaria pubblicitaria della Rai, vede attaccato il suo monopolio. Lo sviluppo dell’apparecchio televisivo e di quello radiofonico commerciale è agevolato dalla presenza di una società propensa al consumo, dal fatto che le tre reti di stato non garantiscono pluralismo e dall’assenza di una legislazione precisa che regoli la nascita delle emittenti private. Con riferimento alla storia della radiotelevisione e alla nascita delle reti libere, gli anni Ottanta possono essere suddivisi in due momenti: • 1979-1984: gli editori entrano nel mondo radiotelevisivo; • 1984-1990: nascita e sviluppo dell’impero di “Sua Emittenza”, Silvio Berlusconi. 1979-1984: Gli editori entrano nel mondo radiotelevisivo Dopo una prima fase di nascita delle radiotelevisioni private locali, anche i grandi editori e imprenditori, approfittando del periodo di completa assenza legislativa, fondano delle emittenti commerciali. La legge 103 del 1975 (riforma Rai) e la successiva sentenza della corte costituzionale n. 202 del 1976, avevano stabilito che le televisioni private via etere potevano trasmettere il loro segnale purché non eccedessero l’ambito locale. Per ovviare a tale limitazione, le emittenti private iniziano a distribuire videocassette, che vengono trasmesse su ogni emittente locale, con orari leggermente sfalsati. Uno dei primi ad acquisire questa strategia fu l’imprenditore milanese Silvio Berlusconi, che entrò nel mondo dei media nel 1978 con l’acquisto de “il Giornale” e della televisione locale TeleMilano. Nel 1980, quando il suo consorzio non era ancora stato registrato


(Canale 5 viene infatti registrato giuridicamente nel 1981), Berlusconi si dimostra battagliero nei confronti della Rai e inizia la sua guerra degli ascolti e dei diritti contro di essa. Anche altri editori, oltre a Berlusconi, fondano reti televisive e radiofoniche private: Rizzoli, Rusconi, Mondadori, Tanzi. Il primo editore a entrare nel mercato televisivo privato è Rizzoli. Quest’ultimo, però, venne denunciato dalla Rai perché trasmetteva in diretta su scala nazionale, il pretore di Roma lo invitava quindi a non trasmettere a livello nazionale e oppresso dai debiti fu costretto ad abbandonare i suoi progetti nel mondo televisivo. Il secondo editore ad entrare in scena è Rusconi, ma anche questo, sommerso da pesanti debiti, è costretto a vendere il circuito che aveva creato (Italia 1) a Berlusconi, che espande la propria offerta. Nello stesso periodo di Rusconi, anche Mondadori, con altri editori di minore importanza, fonda Retequattro. Mondadori inizia una battaglia di ascolti e pubblicità contro Canale 5, ma il canale di Berlusconi ha la meglio e Retequattro viene acquistata da Berlusconi stesso. Nel 1984 “Sua Emittenza” possiede quindi ben tre reti nazionali. L’unico proprietario di reti televisive che riesce a sopravvivere è dunque Silvio Berlusconi i cui tre punti di forza sono: • aver capito che la pubblicità deve essere in ambito nazionale e non locale, in modo da far fronte agli elevati costi di una televisione; • aver capito che la pubblicità è legata alla televisione commerciale e quindi ha creato una concessionaria pubblicitaria interna (Publitalia); • aver capito che la programmazione televisiva deve cercare di comunicare con il telespettatore, creare delle abitudini e intrattenerlo in modo leggero. Possedendo tre reti nazionali Berlusconi adotta una strategia di network, infatti ogni rete Fininvest ha un preciso target di riferimento: Canale 5 si rivolge a un pubblico familiare ed eterogeneo, Italia 1 è la rete destinata ai giovani e Retequattro è dedicata alle casalinghe e alle persone più anziane. Essendo così svariate le tre reti di Berlusconi, strutturano la loro programmazione in modo da non sottrarsi il pubblico l’una con l’altra e si contrappongono così ai canali Rai. La Rai, invece, da un lato deve cercare di garantire il servizio pubblico e dall’altro sente la necessità di far fronte alle reti private (anche sul piano della raccolta pubblicitaria) e così il concetto di servizio pubblico diventa sempre meno chiaro. Per quanto riguarda l’ambito radiofonico, sempre a partire dagli anni Ottanta i primi editori hanno iniziato ad entrare in questo tipo di mercato, ma questo fenomeno è andato via via crescendo a partire dagli anni Novanta. La presenza più importante è quella del Gruppo Editoriale “L’Espresso”, attivo appunto fin dal 1980, ed un’altro ingresso di notevole importanza è quello del “Sole 24Ore”. L’ingresso dei grandi gruppi editoriali rappresenta, soprattutto in ambito radiofonico, un riconoscimento del valore creato dalla radiofonia privata e un elemento di dinamizzazione destinato ad aprire una nuova fase evolutiva del settore. Tutto questo può stimolare, secondo i radiofonici, nuovi progetti e opportunità contribuendo a promuovere la radio tra i media di valore, accanto a TV, stampa e Internet. 1984-1990: Nascita e sviluppo dell’impero di sua emittenza Il 1984 è un anno duro per le emittenti televisive private in quanto viene stabilito che sia oscurato il segnale delle reti Fininvest e siano sequestrate le cassette contenenti i programmi, in quanto queste reti trasmettono in un ambito che va oltre il locale. Le reti di Berlusconi vengono quindi oscurate. Dopo pochi giorni il capo del governo, Bettino Craxi, emana un decreto legge chiamato “salva private”: le emittenti possono continuare a trasmettere almeno fino a che venga emanata un’apposita legge in materia. Dopo circa un mese, il decreto non viene approvato dalla camere e le reti di Berlusconi vengono nuovamente oscurate. Poco dopo viene presentato il decreto bis: le reti private possono trasmettere con cassette registrate, ma non hanno diritto alla diretta. Nel 1984 viene nominato il nuovo consiglio di amministrazione della Rai, quest’ultima è inoltre travolta da pesanti debiti e deve fronteggiare la Fininvest per la guerra degli ascolti. Per cercare di risolvere quest’ultima questione la Rai allunga il numero di ore di trasmissione e aumenta il budget per la realizzazione dei programmi televisivi. Seguendo il modello delle tv private, anche la Rai dedica i


primi due canali a programmi di intrattenimento leggero, mentre Raitre viene riservato alla trasmissione di nuovi tipi di programmi sperimentali. IL DUOPOLIO IMPERFETTO: TRA CRISI ED EVOLUZIONE Nei vent’anni successivi all’affermarsi di Silvio Berlusconi come proprietario della Fininvest (che dal 1996 diventa Mediaset), la Rai ostacolata dalla varie emittenti private, soprattutto da quelle televisive, non è in grado di ridefinire il suo mandato di “servizio pubblico” e arriva ad una programmazione indirizzata a creare audience. Anche gli anni novanta possono essere divisi in due periodi: • 1990-1996: tra politica e regolamentazione; • 1996-2003: il mercato verso la maturità e l’abbondanza. 1990-1996: Tra politica e regolamentazione I primi anni Novanta sono caratterizzati dall’approvazione della legge Mammì, la legge sulla regolamentazione del sistema radiotelevisivo, dopo anni d’assenza legislativa e da una profonda crisi della radiotelevisione di stato (conti in rosso, continui cambiamenti al vertice, ecc.). Questi anni sono influenzati da due avvenimenti politico-sociali: nel 1992 con l’arresto di Mario Chiesa scoppia a Milano lo scandalo di tangentopoli dal quale emergono complicati legami tra il potere politico e il sistema economico finanziario nazionale (con forti ripercussioni sul rapporto tra televisione, in modo particolare, e politica) e nel 1994 nasce il partito di Forza Italia, il cui leader è proprio Silvio Berlusconi. Nello stesso anno Berlusconi sale al governo, iniziando il periodo cosiddetto del “conflitto di interessi”, cioè della concentrazione del potere televisivo pubblico e privato e politico nelle sue mani. Il 5 agosto del 1990 viene appunto approvata le legge n. 223, o legge Mammì (dal nome del ministro delle Poste che, insieme al presidente del consiglio Andreotti, propone e fa approvare questa legge), tale legge chiude un periodo di prolungata assenza legislativa. I punti fondamentali di questa legge sono i seguenti: • Rai e Fininvest possono possedere tre reti ciascuna perché a tre è fissato il massimo numero di reti nazionali che possono essere detenute da un solo soggetto; • sempre in materia antitrust, chi è proprietario di tre reti televisive non può avere quotidiani, mentre chi possiede due reti o una rete tv nazionale può detenere quotidiani, ma con tiratura limitata; • tutte le reti televisive che hanno licenza per trasmettere a livello nazionale devono trasmettere anche il telegiornale; • viene istituito il Garante delle radiodiffusioni e dell’editoria, con compiti di vigilanza e di assicurare la par condicio; • anche le reti commerciali possono trasmettere in diretta; • viene stabilito un tetto massimo per la pubblicità. In pratica la legge Mammì non fa altro che regolarizzare la situazione del sistema radiotelevisivo che si era venuta a formare durante gli anni Ottanta. Nel 1992 viene emanato il piano di concessioni definitivo per le emittenti che sono autorizzate a trasmettere su tutto il territorio nazionale. Dopo l’approvazione della legge Mammì il presidente della Rai si dimette dall’incarico e fu sostituito. Quest’ultimo deve far fronte ad una situazione difficile, dal punto di vista economico e dal contrasto con le reti Fininvest. Per aiutare la Rai il governo interviene con il decreto “salva Rai”, che stabilisce l’aumento del capitale sociale della Sipra. I vertici Rai sono toccati solo in modo indiretto da Tangentopoli, ma la scomparsa dei partiti tradizionali e l’avvento della “seconda repubblica” creano disorientamento tra i vari organi direttivi dell’azienda statale, abituati alla lottizzazione e alla partitocrazia. Per porre rimedio a questo disorientamento, si cerca un nuovo modo per eleggere i consiglieri di amministrazione della Rai, viene così promulgata la cosiddetta “legge


antilottizzazione”, secondo la quale gli organi di amministrazione vengono eletti dai Presidenti della Camera e del Senato, quindi con un maggior distacco dalla politica. Subito dopo l’approvazione di questa legge, inizia il breve periodo della “Rai dei professori”, ossia entrano nel Consiglio di amministrazione della tv di stato le figure esterne al gioco politico. Viene nominato presidente Rai Demattè (prorettore dell’Università Bocconi di Milano), mentre i suoi cinque consiglieri sono: Feliciano Benvenuti, Tullio Gregory, Paolo Murialdi, Elvira Sellerio e Gianni Locatelli. Questi cercano di rinnovare e migliorare i meccanismi di governo della Rai in modo da ridurre la spese, eliminando molti dirigenti. Pochi mesi dopo viene eletto presidente del consiglio Berlusconi, questo segna la fine dell’era dei professori. A causa del “tradimento” della Lega, poco prima della fine del 1994, Berlusconi è costretto ad abbandonare la carica di Presidente del consiglio. Nel 1995 vengono indetti quattro referendum in materia radiotelevisiva: tre quesiti del referendum si riferiscono all’abrogazione di alcune parti della legge Mammì, su questi prevalgono i no, il quarto si riferisce invece alla privatizzazione della Rai, e vincono i sì. 1996-2003: Il mercato verso la maturità e l’abbondanza Negli ultimi anni Novanta e negli anni Duemila nuovi media si diffondono, come Internet, la pay-tv via satellite, i dvd, ecc., che però non mettono in crisi la centralità della tv generalista del duopolio Rai e Mediaset che registrano lievi cali nell’ascolto, soprattutto a causa delle televisioni a pagamento. La dirigenza Rai continua ad essere piuttosto instabile e ciò non le consente di ridefinire il proprio progetto e missione di servizio pubblico nel nuovo contesto. Nel 1996 scade la validità della situazione provvisoria che era stata dichiarata illegittima dalla corte costituzionale e Mediaset rischia l’oscuramento di una rete. Un decreto del governo Prodi proroga però tale situazione fino al dicembre 1997, ma nel luglio dello stesso anno, viene approvata la legge Maccanico (dal nome dell’allora ministro delle Telecomunicazioni). Tale legge disciplina i seguenti punti: • viene istituita l’Autorità per le garanzie della comunicazione, in sostituzione del Garante (le cui attività principali sono: garanzia, controllo e proposta); • è ridefinito il criterio antitrust: un unico soggetto non può possedere più del 20% del totale delle frequenze televisive e non può superare il 30% delle risorse complessive del sistema; • la Rai deve trasformare una sua rete in un canale senza pubblicità. Il secondo punto di tale legge (disciplina antitrust) prevede la trasformazione di uno dei canali Mediaset in canale satellitare; in una postilla viene però specificato che tale spostamento si dovrà fare solo quando il sistema satellitare avrà una diffusione “congrua”. Nel 2002 il ministro della Comunicazione Maurizio Gasparri propone un disegno di legge per il riassetto complessivo del sistema radiotelevisivo. Con questa legge vengono abbassati i limiti antitrust e viene abolita anche la norma che vieta gli incroci proprietari fra televisione ed editoria a stampa. Inoltre, il passaggio dalla televisione analogica al sistema digitale viene fissato per il 2006. Questo disegno di legge sana di fatto la posizione della terza rete Mediaset (Retequattro), che potrà continuare a trasmettere in via terrestre fino all’esaurimento del sistema analogico. Infine il disegno prevede una parziale e limitata privatizzazione della Rai a partire dal 2004. Ridefinizione del ruolo del servizio pubblico e del suo aspetto proprietario, accesso equilibrato alle risorse radiotelevisive, conflitto d’interessi e concentrazione del potere mediatico, passaggio al digitale e moltiplicazione dell’offerta sono i più importanti problemi dalla cui risoluzione dipendono il pluralismo e la maturità della televisione in modo particolare. All’inizio del nuovo millennio queste questioni non sono ancora state risolte in modo convincente.



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.