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Idee per crescere - Medri

Smart working: soluzione forzata o possibilità per un cambiamento duraturo?

Negli scorsi mesi, in tutto il mondo, le aziende hanno dovuto fare i conti con un nuovo modo di lavorare, che ha comporato qualche difficoltà ma anche molti vantaggi

di Davide Medri

Le recenti vicende legate all’emergenza Covid-19 hanno portato alla ribalta l’adozione dello smart working come opzione per consentire ai dipendenti di lavorare da casa (o comunque senza recarsi in ufficio). Alcune aziende lo avevano già implementato in passato, altre si sono trovate costrette a farlo a causa delle misure restrittive, spesso con diffidenza e in mezzo a molte resistenze.

In questo articolo, analizzerò i vari aspetti connessi a questa tematica, incoraggiando una riflessione su questa esperienza, nonché una verifica puntuale dei vantaggi che questa formula può portare alle organizzazioni e ai loro dipendenti.

Prima di proseguire, però, vorrei fare una precisazione di carattere storico: lo smart working, sebbene all’epoca non fosse ancora chiamato così, era largamente praticato già prima della rivoluzione industriale. Numerose attività – fossero esse agricole, artigianali, o professionali – venivano infatti svolte nello stesso luogo in cui si abitava, o nelle immediate vicinanze. Quindi, niente di nuovo sotto il sole. È stata la nascita delle industrie a portare le persone ad allontanarsi dalle proprie abitazioni per avvicinarsi alle fabbriche e ai mezzi di produzione.

Questo resta tuttora inevitabile per le attività legate a impianti produttivi e di trasformazione. Ma per una serie di realtà impiegatizie questo vincolo non esiste più: grazie a Internet e agli strumenti per lavorare in mobilità, è possibile eseguire la quasi totalità dei propri compiti pur rimanendo lontani dal luogo di lavoro.

Indubbiamente, ci sono figure professionali che più facilmente possono adottare questa modalità operativa, anche in misura totale, e altre per le quali essa comporta più ostacoli.

Ma l’argomento va affrontato senza pregiudizi. Se gestito in modo adeguato, infatti, lo smart working può portare vantaggio a due parti tradizionalmente con interessi contrapposti (aziende e dipendenti), innescando una situazione “win-win”.

Cos’è lo smart working?

Ecco una definizione di smart working che ritengo emblematica.

«Smart working significa ripensare il lavoro in un’ottica più intelligente, mettere in discussione i tradizionali vincoli legati a luogo e orario, lasciando alle persone maggiore autonomia nel definire le modalità di lavoro a fronte di una loro maggiore responsabilizzazione sui risultati. Autonomia, ma anche flessibilità, responsabilizzazione, valorizzazione dei talenti e fiducia diventano i principi chiave di questo nuovo approccio» (dall’articolo “Una bussola per il viaggio”, in “Smart working: cambiano le coordinate”, supplemento al n. 9/2015 di Harvard Business Review Italia).

Parliamo quindi di qualcosa di ben diverso rispetto al cosiddetto telelavoro, che si limita al trasferimento della postazione di lavoro presso l’abitazione del lavoratore, mantenendo intatti i presupposti e i vincoli caratteristici del lavoro svolto in ufficio (orari, modalità operative, strumenti di comunicazione, etc.).

Prendendo in considerazione lo smart working nel suo senso più ampio, passiamo a individuare le aree che vengono coinvolte nella sua implementazione: la cultura aziendale, gli spazi di lavoro, la tecnologia, e i sistemi HR.

Tutto parte dalla cultura aziendale

Per comprendere se e quanto un’organizzazione sia già naturalmente predisposta allo smart working, o se esistono fattori che ne ostacoleranno l’adozione, è opportuno analizzare la cultura aziendale. Non basta adottare differenti procedure o introdurre nuovi regolamenti e forme contrattuali. Come ha saggiamente affermato Peter Drucker, «la cultura aziendale si mangia la strategia a colazione».

Se quindi l’azienda possiede una cultura avversa o resistente al cambiamento, con una leadership fortemente gerarchizzata e orientata al controllo, oltre che una comunicazione fortemente unidirezionale, senza propensione alla condivisione della conoscenza, sicuramente l’adozione dello smart working risulterà molto difficile. L’apertura al cambiamento, la flessibilità, la comunicazione aperta, l’orientamento ai risultati sono condizioni necessarie, anche se non sufficienti, perché questa pratica possa attecchire efficacemente in azienda.

Spazi di lavoro e tecnologie

Spazi di lavoro e tecnologia sono spesso strettamente connessi, e condizionano sia la motivazione sia la performance dello “smart-worker”. Indipendentemente dal luogo in cui si trova, per svolgere efficacemente il suo lavoro lo “smart-worker” dovrebbe evitare soluzioni di fortuna e fruire di condizioni e strumenti adeguati: una seduta confortevole, un ambiente areato di frequente, un’illuminazione riposante per gli occhi, un laptop performante, una connessione veloce e stabile. Se poi la sua attività si svolge prevalentemente al computer, meglio collegare il laptop ad un monitor esterno più grande di quello integrato.

Sistemi HR

I sistemi HR devono ovviamente essere adeguati – in termini di modalità contrattuali, flessibilità di orari, retribuzioni, ferie e permessi, postazioni di lavoro e altro – per essere compatibili con le nuove e differenti modalità operative.

Andiamo ora a vedere quali sono le implicazioni dello smart working per le tre categorie di attori coinvolti (l’azienda, i manager e i loro collaboratori), tenendo in considerazione sia fattori logistici e organizzativi, sia fattori di carattere umano e relazionale.

Il collaboratore “smart worker”

Lo smart working presenta indubbi vantaggi per il collaboratore. Primi fra tutti l’azzeramento di tempi e costi di trasferimento (che contribuisce a ridurre lo stress e la stanchezza fisica) e la maggiore libertà di movimento.

D’altra parte, però, può portare all’insorgere di sorgere alcune problematiche. Nella fattispecie: isolamento e minore socialità; perdita dello spazio fisico di riferimento; difficoltà nel gestire il proprio tempo e nel lavorare in un contesto casalingo non favorevole; difficoltà di interazione con l’azienda; criticità connesse con la tecnologia; difficoltà di automisurazione; maggiore sedentarietà, rischio di burnout (v. box). Si tratta di problematiche reali, che hanno portato numerosi dipendenti a chiedere di essere reintegrati al più presto nel contesto fisico aziendale, nonostante i vantaggi di cui stavano godendo.

Il manager alle prese con lo smart working

Per gestire e risolvere i problemi dei suoi collaboratori “smart-worker”, il manager deve affrontare due tipi di sfide.

Da una parte, deve adeguarsi alla perdita di controllo connessa con la distanza fisica dal collaboratore. Questo avviene attraverso un processo di concessone di fiducia e responsabilizzazione, nonché tramite l’utilizzo della delega, che spesso non risulta spontaneo e automatico, ed è condizionato dalla cultura aziendale (v. sopra). È necessario abbandonare il paradigma della reperibilità in ogni momento, e del «dove sei adesso?».

D’altra parte, paradossalmente, il manager deve rappresentare una guida e un punto di riferimento per ovviare al senso di distacco e di smarrimento dei membri della sua squadra. Deve quindi impegnarsi a rivedere e modificare una serie di politiche e di comportamenti per andare incontro alle nuove esigenze dei suoi collaboratori.

Nella fattispecie, il manager deve fornire obiettivi chiari e scegliere di valutare per risultati e performance, attribuendo minore peso agli aspetti comportamentali come il rispetto degli orari. Inoltre, deve fissare chiare regole di comunicazione, favorendo lo scambio trasversale di informazioni e abbandonando lo stile di comunicazione unidirezionale (v. box). Infine, deve riuscire a mantenere viva la comunicazione interpersonale, creando anche momenti conviviali in ambiente virtuale (es. coffee talks), che attenuino la sensazione di distacco e tengano vivo il senso di appartenenza all’azienda; e porre maggiore attenzione al bilanciamento vita/lavoro, evitando ad esempio comunicazioni serali o nei giorni festivi.

E l’azienda?

Qual è l’atteggiamento che proprietà aziendale e top management dovrebbero adottare nei confronti dello smart working? Senz’altro, sarà opportuno adottare un atteggiamento favorevole, sposando la filosofia della flessibilità. Si può concedere alle persone di aderire su base volontaria, si possono attuare formule miste, con parziale presenza in azienda, cercando di trovare – anche attraverso un periodo di sperimentazione – la modalità ideale. Sarà inoltre necessario porre maggiore attenzione alle tematiche della tutela della privacy e della sicurezza delle informazioni. Sia adeguando i sistemi informativi, sia fornendo formazione a tutti i dipendenti.

In conclusione, risulta chiaro che lo smart working può generare indubbi vantaggi (sia per l’azienda, che per il manager e i dipendenti) purché venga affrontato con un approccio sistemico che coinvolga tutte le funzioni aziendali, ai vari livelli, e ne valuti attentamente tutte le implicazioni e ripercussioni. Grandi aziende come Vodafone, Barilla, ABB, American Express lo stanno adottando da tempo con profitto e soddisfazione generale.

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