Italia Publishers - Anno XXX - n° 05/2018 - Prezzo euro 10,00 - Iscrizione al ROC n° 26062 del 23/11/2015 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LOM/MI
MEETING LEADERS
Nilpeter, innovatore della tecnologia narrow web e family business globale da quasi 100 anni SPECIALE
Calcolare il vero costo totale di proprietà di una macchina da stampa per etichette TECNOLOGIE
Canon fa il suo ingresso nel mercato dell’etichetta con la nuova Océ LabelStream 4000
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Partnership aggiunge vero valore al nostro business
All4Labels
Adrian Tippenhauer, CEO
Jan Oberbeck, CEO
Tim Fiedler, CEO
Matthias Kurtz, CEO
nilpeter.com
sommario 05
EDITORIALE
5 |
Etichette e pack, digitali ma con i piedi per terra
NEWS
6 |
Novità, tecnologie e tendenze dai player del mercato digitale
10
MEETING LEADERS
10 |
L’ibridazione dell’etichetta è un family business globale da quasi 100 anni
SPECIALE
18 |
Calcolare il vero costo totale di proprietà di una macchina da stampa per etichette
TECNOLOGIE 62 |
Nel print-for-pay e in cantina, l’etichetta vinicola è sempre più digitale
66 |
Gallus Smartfire: l’entry‑level intelligente che rivoluziona la produzione di etichette
STRATEGIE 22 |
Non l’inkjet ma l’intelligenza artificiale per digitalizzare (sul serio) il packaging
26 |
Per SUN Automation la stampa digitale su ondulato è single-pass e base acqua
30 |
I pionieri dell’etichetta multi-output vincono la sfida del quality matching
34 |
L’inkjet single-pass è pronto per le esigenze “specialty” dei big del packaging
38 |
Soluzioni iper-tecniche, alta qualità e ibridazione, ecco la ricetta per crescere
42 |
La retail factory guarda al futuro tra artigianalità, tecnologia e Industry 4.0
46 |
Label printing: per Konica Minolta in medio stat virtus
48 |
Tra il top dell’analogico e del digitale, i big delle labels guardano all’ibrido
52 |
Eurolabel ancora più forte nel digitale con l’inkjet narrow-web Domino N610i
56 |
OKI inaugura la sua nuova casa in Italia, e scommette sullo specialty printing
58 |
Canon fa il suo ingresso nel mercato dell’etichetta con la nuova Océ LabelStream 4000
2
EVENTI 70 |
E-commerce, sicurezza e sostenibilità, temi chiave tra i brand owner del packaging
74 |
Agfa alza ancora l’asticella nell’inkjet con formati XL, velocità e automazione al top
78 |
La community dell’etichetta celebra il passato, guarda al futuro e apre al digitale
26
34
58
inserzionisti Agfa ATP Color B+B International Bullmer Camporese Durst EDP Awards Elitron IPM
pag. 15 pag. 61 pag. 13 pag. 17 pag. 51 IV cop. pag. 69 pag. 25
Eurmoma FachPack Fenix Digital Group Fotoba Highcon International Paper Kodak Komori
pag. 41 pag. 80 pag. 4 pag. 3 pag. 37 pag. 9 III cop. II cop.
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pag. 73 pag. 1 pag. 77 pag. 55 pag. 45 pag. 7 pag. 33
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Italia Publishers – Anno XXX – n° 08 2018 Registrazione: Tribunale di Milano n. 74 del 12/2/94 Iscrizione al ROC n° 26062 del 23/11/2015 Direttore responsabile Silvia Guglielmi silvia@densitymedia.com
Redazione Caterina Pucci caterina@densitymedia.com
Co-editore Lorenzo Villa lorenzo@densitymedia.com
Collaboratori Sean Smyth
di Lorenzo Villa // lorenzo@densitymedia.com
Etichette e pack, digitali ma con i piedi per terra
Responsabile operativo Gabriele Lo Surdo gabriele@densitymedia.com Pubblicità marketing@densitymedia.com Amministrazione amministrazione@densitymedia.com Copertina Sara Ciprandi www.saraciprandi.com
editoriale
Stampa Unigrafica www.unigrafica.it
Tiratura 5.000 copie
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Associato a
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Edito da
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Stando a quanto successo nell’ultimo anno, riflettendo su quanto afferma il nostro esperto Sean Smyth a pagina 18 – un dato tra tutti sono le 78 macchine inkjet presentate a Labelexpo 2017 – e limitandosi a osservare le numerose novità e installazioni di cui vi parliamo in questo numero, verrebbe spontaneo affermare che le tecnologie di stampa analogiche hanno le ore contate. O più pragmaticamente che, nell’industria del packaging, l’ibridazione è già una realtà consolidata. Ma sarebbe una lettura semplicistica ed enfatica, che non ci appartiene. Al contrario, lo sforzo che abbiamo fatto per incontrare imprenditori, esperti e costruttori ci racconta una storia diversa. Una storia incoraggiante per il digitale, ma che trova la sua vera morale solo leggendo bene tra le righe. Quelle righe e quelle pagine che vi invito a interpretare con grande attenzione. A partire dalle parole di Sean Smyth, che a pagina 18 non si limita a sponsorizzare l’inkjet, ma ci racconta piuttosto delle mille incognite insite nel calcolo del ROI di un sistema di stampa e converting digitale o ibrido. Non importa che costi poche migliaia o qualche milione di euro. Per continuare a pagina 20 con il punto di vista di Federico d’Annunzio, portavoce di BOBST, che ci consegna una sua particolare visione della digitalizzazione. E naturalmente il nostro report sulla visita a Nilpeter, che a pagina 10 vi presentiamo come protagonista della nostra rubrica Meeting Leaders. Ma soprattutto devono far riflettere, rispettivamente a pagina 34, 38 e 48, le testimonianze di Rondo, Italgrafica Sistemi e Insignis Etiketten, tre pionieri che hanno investito in forme spinte di digitalizzazione e ibridazione, e per questo ne colgono i plus tanto quanto i limiti. La morale (se una morale c’è) è che il packaging è un mercato dinamico e redditizio, ma anche straordinariamente tecnico e non aggredibile con approcci sconclusionati. Un settore che ha accolto il digitale con le braccia e con la mente aperte – più di quanto abbiano fatto le Graphic Arts negli ultimi vent’anni – ma che ha ottime ragioni per difendere una coesistenza indefinita tra offset, flexo, rotocalco, serigrafia, inkjet e toner. Un esempio di diversity e di rigore che ci ispira e ci incoraggia.
news MCA Digital cresce nel Nord Ovest con la rete di Futurgrafica Il caldo estivo non ferma le grandi manovre in corso nell’ambito della distribuzione a valore aggiunto per l’industria del printing. A far parlare di sé è ancora una volta MCA Digital, che dal suo quartier generale di Padova ha saputo conquistare un numero sempre maggiore di clienti su tutto il territorio nazionale. Complici un management ispirato e focalizzato, cui si aggiungono le indiscutibili competenze del suo team commerciale e tecnico. Un team che a partire da luglio si è ampliato, con l’ufficializzazione della cessione del ramo d’azienda specializzato
nella commercializzazione di attrezzature per la stampa da parte di Futurgrafica, cui fa capo un gruppo di venditori esperti e ben introdotti in Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta. Inutile dire che l’operazione, capitolo conclusivo di una collaborazione di lungo termine tra le due società, non potrà che rafforzare la leadership di MCA Digital nella proposizione, vendita e installazione delle tecnologie di stampa HP Latex. Una gamma di grande successo, cui da qualche settimana si è aggiunta la nuova versione flatbed R2000 da 2,5 metri di luce. mcadigital.it
|| Luca Pascon di Futurgrafica e Cristina Del Guasta di MCA Digital
|| Lo speech di apertura del Chairman di dscoop EMEA, Eran Friedman
dscoop EMEA 2018 a Vienna tra tecnologia e ispirazione dscoop è una community internazionale che ormai conta più di 8.000 membri in tutto il mondo, nata come piattaforma di collaborazione e di confronto tra gli utilizzatori di HP Indigo e apertasi poi ad altri operatori. A metà giugno i membri dell’area EMEA si sono riuniti a Vienna per il grande evento annuale, che gli habitué hanno imparato ad apprezzare per i validi contenuti formativi, le straordinarie opportunità di networking, il vasto padiglione dedicato alle tecnologie
di HP e dei suoi partner, ma anche i tanti speech pensati per regalare a imprenditori del printing, creativi e brand owner momenti di pura ispirazione. Il focus di Unleashing Print - così è stato denominata la conferenza di Vienna - sono stati in particolare i 5 game changer che stanno trasformando la nostra industria, tra cui l’ormai ineludibile interazione coi brand, l’automazione e la digitalizzazione in chiave industry 4.0. dscoop.com
A settembre a FachPack va in scena l’ecosistema del packaging Con 1.500 espositori e oltre 40.000 visitatori, FachPack si propone come lo show di riferimento del 2018 per l’industria del confezionamento e le tecnologie correlate. La fiera, che aprirà i battenti a Norimberga dal 25 al 27 settembre, avrà un format ricco di spunti e novità rispetto alle passate edizioni. Sul piano dei contenuti, in particolare, gli organizzatori hanno investito in un programma seminariale improntato su temi chiave per gli operatori del settore, come la digitalizzazione, la sostenibilità
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e il design dell’imballaggio. Il nuovo padiglione 8, in particolare, avrà un sofisticato look “black & white” e sarà dedicato al packaging di fascia premium e alla stampa di packaging: qui i visitatori potranno approfondire tematiche correlate alla comunicazione del brand attraverso gli imballaggi, ai nuovi materiali e alle nuove tecnologie. Per facilitare la visita della manifestazione, FachPack ha creato un innovativo tool di navigazione ispirato al principio “Find, don’t search!”. fachpack.de
|| Il design e la stampa di packaging saranno tra gli highlight di FachPack 2018
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Piccole e Medie serie? Produrre in casa è facile e redditizio!
MC System è pronta a “nobilitare” il printing globale con Xerox e EFI Oltre a rappresentare un barlume di luce in uno show piuttosto povero di idee e vere novità, la partecipazione di MC System a Print4All ha segnato un momento di svolta per l’azienda. Autentica “ospite d’onore” sullo stand di Xerox con l’ormai noto brand Bianco Digitale, la società umbra ha sfruttato la connessione con i suoi partner elettivi per aprire una stagione rivoluzionaria sotto il profilo tecnologico e industriale. Dopo il riconoscimento internazionale da parte di Xerox, che ha già avviato la commercializzazione del modello Color C60 in versione Bianco Digitale in diversi Paesi europei, a giugno è
stata presentata in anteprima la più potente soluzione basata su Xerox Versant 180, abbinata a un potente controller EFI Fiery dedicato. «L’ufficializzazione delle partnership globali con Xerox e EFI, con cui condividiamo piattaforme e progetti di engineering, sono la premessa per rendere accessibili a un vasto pubblico soluzioni a toner capaci di stampare argento, oro, clear, colori fluo, bianco coprente e di sicurezza, e in futuro Pantone e altre tinte speciali» – ha affermato Enzo Lepri, co-Fondatore di MC System. Evoluzioni e retroscena del progetto nei numeri di Italia Publishers dell’autunno. biancodigitale.it
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|| In alto, il team di MC System, capitanato da Enzo Lepri e Paolo Fronduti, posa insieme al management di Xerox Italia e ad Alessandro Bellotti di EFI per la presentazione della prima Xerox Versant 180 in versione Bianco Digitale
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news La stampa decorativa e funzionale torna a Milano per InPrint 2018 Quello di InPrint è ormai un format consolidato, che vede protagoniste le tecnologie dedicate alla stampa di differenti superfici per applicazioni correlate al manufacturing. Lo show, che si svolge annualmente, viene organizzato ad anni alterni in Germania (Monaco) e in Italia (Milano), due paesi accomunati da un’economia fortemente vocata all’industria. Più pesante e matura quella tedesca, più sfaccettata e fondata sulle PMI quella italiana. Lo show, che si terrà nei
padiglioni cittadini del Mi.Co dal 20 al 22 novembre, si prefigge ancora una volta l’obiettivo di descrivere la complessità di un ecosistema complesso e collaborativo, cui concorrono grandi costruttori (tra gli altri Fujifilm, Agfa, Konica Minolta, Mimaki), produttori di chimiche specialistiche e integratori. I visitatori, oltre a stampatori più o meno specializzati, includono un certo numero di brand owner e industrial designer. inprintitaly.com
|| Stampa inkjet single pass per il settore del flooring sullo stand Cefla a InPrint 2017: solo una delle tante applicazioni di stampa industriale presentate in fiera.
Ricoh riduce il gap tra l’inkjet a bobina e l’offset con Pro VC70000
getFIT è la app che compara i costi di stampa tra offset e inkjet Se il presunto maggior costo del digitale rispetto all’offset è una delle principali cause di mal di testa tra gli stampatori, Fujifilm ha creato un tool pensato per offrire un primo livello di chiarezza. Per ovvie ragioni, la nuova app prende in considerazione solo la tecnologia inkjet proprietaria Jet Press di casa Fuji, ma si pone l’obiettivo di stimare i possibili risparmi sulla base di commesse di stampa e requisiti aziendali reali. Basata sul web, la app può effettuare stime sul consumo di inchiostro e sui tempi di lavorazione.
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A beneficiare delle potenzialità di getFIT sono anche i distributori e partner di Fujifilm, che sono così in grado di costruire con gli stampatori un confronto più concreto sull’opportunità (o meno) di abbracciare il digitale. «È uno strumento straordinario e apprezzato, che ci consente di dimostrare agli stampatori offset il vero potenziale di investire in una Jet Press e il cambiamento che può imprimere alla loro attività» – spiega Enrico Camporese, di Camporese Macchine Grafiche. imagineinkjet.com
Nel percorso evolutivo in chiave inkjet, la multinazionale giapponese continua ad alzare l’asticella e ad ampliare il portfolio prodotti con macchine production evolute e qualitative. La fortunata gamma di macchine continuos feed di casa Ricoh, già ricca di modelli in grado di soddisfare quasi ogni requisito di qualità, produttività e budget, si arricchisce di un nuovo modello denominato Pro VC70000, capace di stampare fino a 150 m/min a 1.200 dpi, il cui principale plus risiede in una nuovissima formulazione degli inchiostri. La nuova chimica consente infatti
di ottenere elevate prestazioni e un più ampio gamut cromatico su un’ampia gamma di supporti, incluse le carte patinate per l’offset e i materiali non pretrattati, con grandi vantaggi per l’utilizzatore sul piano operativo ed economico. «Siamo certi che la nuova piattaforma e i nuovi inchiostri siano esattamente ciò che il settore stava aspettando – ha dichiarato Giorgio Bavuso, Direttore Commercial & Industrial Printing di Ricoh Italia – Aiuteremo i fornitori di servizi di stampa nel passaggio al digitale». ricoh.it
Primefire 106 apre nuovi scenari per il packaging Made in USA Lo sbarco di una Primefire 106 in Nord America è senza dubbio una notizia che merita attenzione anche alle nostre latitudini, segno che anche in un mercato di enormi volumi come quello statunitense si creano le condizioni per un utilizzo spinto del digitale nel printing e nel packaging. Ad installare la B1 digitale di Heidelberg è Warneke Paper Box, basata a Denver, Colorado. Da oltre un secolo l’azienda produce packaging in cartone teso, scatole, materiali per il punto vendita e materiali cartotecnici, con un focus particolare su qualità, tempi di consegna e
attenzione al cliente. Uno dei plus che ha convinto Warneke ad affrontare l’investimento è stata la piena corrispondenza qualitativa con l’offset: una caratteristica che permette al converter americano di gestire le commesse con la massima flessibilità, valorizzando l’inkjet per i lavori particolarmente urgenti, le ristampe in piccoli quantitativi e ovviamente le produzioni con dati variabili. Primefire 106, lo ricordiamo, è dotata di un engine inkjet a 7 colori e può stampare fino a 2.500 fogli/ora con una risoluzione di 1.200x1.200 dpi. heidelberg.com
|| In alto, Steve Huppert, Vice President e COO e Stacy Warneke, President e CEO di Warneke Paper Box. Qui sopra, un dettaglio delle barre di stampa di Primefire 106, equipaggiate con teste inkjet industriali Fujifilm SAMBA.
meeting leaders Ormai prossima al secolo di vita, la danese Nilpeter è vista dagli etichettifici di tutto il mondo come un’ambasciatrice globale di innovazione ed eccellenza
L’ibridazione dell’etichetta è un family business globale da quasi 100 anni di Lorenzo Villa // lorenzo@densitymedia.com
A
d accoglierci al nostro arrivo a Slagelse c’è una bandiera italiana, che ci incuriosisce e ci regala un sussulto d’orgoglio, ma soprattutto ci restituisce immediatamente lo spirito cosmopolita e generoso di un’azienda che è preceduta dalla sua reputazione. «Ci piace far sentire a casa tutti i nostri ospiti e per questo abbiamo un magazzino con centinaia di bandiere nazionali. A volte anche più di una, per quei Paesi
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in cui sappiamo esserci un particolare sentimento di appartenenza regionale» – ci spiega Anne Emborg, Marketing Manager di Nilpeter, che sarà la nostra guida durante la visita. Visitare Nilpeter nel suo quartier generale Danese è un passo imprescindibile per completare il processo di conoscenza e metabolizzazione della vera essenza di questa azienda, nata nel 1919 e oggi guidata dal CEO Lars Eriksen e dal giovane COO Peter Eriksen che rappresentano rispettivamente la terza e la
quarta generazione della famiglia che da sempre possiede Nilpeter. Qui tutto e tutti sono espressione di cura, pulizia e genuina cortesia. E vivere una giornata con dirigenti, impiegati e semplici operai ti fa capire che non è mai un atteggiamento di facciata. Una cultura della diversità e dell’ibridazione che viene da lontano Nilpeter può affermare, a buona ragione, di essere tra i costruttori
dell’industria dell’etichetta che da sempre hanno sostenuto l’innovazione e creduto nell’ibridazione. Sono gli anni Sessanta quando il costruttore danese immette sul mercato la sua prima flexo rotativa, mentre a metà degli anni ’90 lancia la sua prima piattaforma ibrida che combina flexo, offset, rotocalco e serigrafia. Risale al || In alto, il quartier generale di Nilpeter. Durante tutta la nostra visita in azienda, la bandiera italiana ha sventolato accanto a quella danese.
meeting leaders
intervista a Jakob Landberg Sales and Marketing Director, Nilpeter A/S
“Le strette relazioni che abbiamo con i clienti ci portano a volte ad abbracciare sfide reciproche, in un processo di innovazione bidirezionale.”
Come si può essere globali con un’organizzazione snella? Anzitutto prendendo decisioni rapide. Un esempio? Anni fa ero al Labelexpo India e un giovane imprenditore mi ha presentato un business plan per introdurre Nilpeter in Medio Oriente, con le linee guida e un’idea di budget. Ebbene, ho portato a casa la proposta di venerdì pomeriggio, l’ho mostrata alla proprietà e al CFO e poche ore dopo ho richiamato quel giovane dicendo che volevamo procedere. Ha funzionato e funziona così bene dappertutto? A volte va bene, a volte meno, ma a guidarci sono sempre l’entusiasmo, la positività, il desiderio di esprimere il nostro potenziale e portare il marchio Nilpeter più vicino ai clienti finali. In America, per esempio, abbiamo scelto di procedere con un’acquisizione, stabilendo anche un’unità produttiva locale. In Italia, che è uno dei nostri mercati più importanti, abbiamo scommesso su persone giovani ma di valore, come Angelo Tribocco. La sfida è trovare uomini di calibro, che hanno l’iniziativa e la forza per portare avanti un messaggio di innovazione, diventare ambasciatori di Nilpeter e consentirci di mettere radici. L’idea di fondo è essere un player locale, ma su scala globale. Come interagite e condividete strategie e decisioni? Stiamo lavorando a un progetto denominato One Company,
lontano 1996 anche una pionieristica alleanza con Xeikon. Dal 2015, infine, l’azienda danese ha ufficialmente lanciato PANORAMA, una soluzione che permette di integrare in linea moduli analogici e un engine digitale sviluppato in collaborazione con Screen. Proprio PANORAMA e la visione di Nilpeter della trasformazione digitale sono stati una delle ragioni del nostro viaggio a Slagelse, dove Nilpeter ha costruito il proprio quartier generale nei primi anni ’80 dopo l’acquisizione di un costruttore locale e il trasloco dalla sede storica di Copenhagen.
mirato a creare un legame sempre più forte tra le aziende figlie e la società madre. Oggi abbiamo diverse società, sistemi di gestione del business, fatturazione, pianificazione e quant’altro. Ma abbiamo iniziato a condividere l’innovazione, i servizi e le esigenze locali su una piattaforma comune, così da creare una base di conoscenza condivisa, comune all’intera rete. Qual è il segreto del successo commerciale di Nilpeter? Un dialogo bidirezionale con il cliente: molti clienti vengono da noi con le loro applicazioni più critiche e ci chiedono come fare a produrle. Spesso la risposta è un mix tra soluzioni di stampa, converting e processi organizzativi. Alcune nostre attrezzature rispondono ad applicazioni specialistiche, come le etichette multipagina, e implicano un dialogo molto forte e molto tecnico, che coinvolge tanto il venditore quanto lo staff tecnico. A volte è necessario combinare molte tecniche di stampa per creare il prodotto desiderato dal cliente: digitale, flexo, offset, laminazione. Può anche succedere che, in base alla richiesta di uno specifico cliente, vengano progettati nuovi elementi che poi entrano a far parte del nostro portfolio. Una strategia sartoriale? Non la definirei strategia, ma le strette relazioni che abbiamo con i clienti ci portano a volte ad abbracciare sfide reciproche, un
processo di innovazione bidirezionale. Siamo noi a presentare qualcosa di nuovo, o il cliente ci dice: “Ho questa pazza idea. Possiamo farlo?” Molto spesso diciamo sì. La stampa digitale è stata e resta più una spina nel fianco che un credo per molti costruttori dell’analogico... Che all’ultimo Labelexpo ci fossero decine di macchine inkjet fa riflettere. Mi viene da dire che per Nilpeter l’ibridazione era già un dato di fatto negli anni ’70 e negli anni ‘90 abbiamo abbracciato con serenità la via del digitale, installando una cinquantina di macchine con motore Xeikon. Ma erano gli albori e la nostra filosofia è che ogni prodotto debba essere estremamente robusto e durare nel tempo: se un engine diventa obsoleto troppo velocemente ti obbliga a reinvestire o cambiarlo. Nei primi anni Duemila abbiamo deciso che l’inkjet sarebbe stato il futuro, ma soprattutto che l’ibrido sarebbe stata la chiave. Siamo ripartiti con FFEI, portando sul mercato un certo numero di macchine, ma i tempi non erano ancora maturi e l’inkjet aveva ancora dei limiti, a partire dalla scarsa durata delle teste. Panorama, in partnership con Screen, è la terza generazione e beneficia di tutto ciò che abbiamo imparato combinando sistemi convezionali e inkjet. Anzitutto, i due engine lavorano davvero in combinata, ottimizzano i materiali e non creando ulteriori scarti e ineficienze.
Un concentrato di competenza, formazione ed esperienza Il sapore vintage del suo design esterno e interno rende la sede di Nilpeter ancora più stupefacente e innovativa: i due livelli della palazzina direzionale sono connessi da un grande spazio aperto in cui management, tecnici, venditori, marketing, impiegati amministrativi e addetti al customer service lavorano insieme. Nonostante la totale assenza di pareti, ovunque regnano pace, ordine e silenzio. Uniche eccezioni sono l’ufficio del responsabile finanziario
|| L’area dedicata alle soluzioni PANORAMA del Technology Center di Nilpeter
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meeting leaders Se l’inkjet è “solo” l’ingrediente di un piatto perfetto, arriva PANORAMA Ci siamo chiesti più volte perché Nilpeter tenda a porre l’accento sulla propria offerta digitale in modo meno nevrotico di altri brand. Dopo aver conosciuto l’azienda dall’interno ci siamo persuasi che non è una mancanza di sicurezza. Tutt’altro! Più semplicemente, forte delle esperienze pregresse in campo digitale,
il costruttore danese non sembra avere alcun interesse a usare il digitale come un argomento d’effetto. L’idea che ci siamo fatti è che lo tratti piuttosto in modo agnostico, come una delle differenti opzioni di ibridazione al servizio di quei converter che davvero ne hanno necessità, o che potranno beneficiarne. Per
questo PANORAMA nasce come un modulo stand-alone, utilizzabile per produzioni full digital su materiali adesivi in bobina di larghezza massima 350 mm. Ma al tempo stesso può essere facilmente integrata in configurazioni ibride di diversa natura e complessità. Queste possono includere moduli flexo e diverse opzioni di
converting, con velocità lineari che vanno dai 30 a 60 m/min. Il modulo PANORAMA, prodotto in esclusiva per Nilpeter da Screen, è caratterizzato dall’enorme touch screen con cui l’operatore può controllare la macchina, mentre i moduli tradizionali integrati sono dotati del tablet integrato ormai in uso su tutti i sistemi Nilpeter.
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|| 1) La linea ibrida Nilpeter PANORAMA installata presso il Technology Center di Slagelse al momento della nostra visita in azienda. 2) La configurazione ibrida prevede la possibilità di posizionare in linea moduli flexo e offset, sia a monte che a valle del motore di stampa inkjet. 3) Tutte le macchine Nilpeter sono interamente controllabili da tablet.
e le sale riunioni, riservate agli ospiti e alle riunioni commerciali. Nello stesso edificio sorge il grande Technology Center, dove è riprodotto un ambiente produttivo per la stampa di etichette. Lungo un percorso che si snoda dalla prestampa alla preparazione dei polimeri, fino alla stampa e converting con le più evolute piattaforme Nilpeter, tra cui una linea PANORAMA ibrida. «Il Technology Center è dedicato alle attività dimostrative e di formazione dei nostri tecnici di tutto il mondo, ma anche uno spazio di testing per
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materiali e applicazioni particolari di clienti e prospect – ci spiega Anne Emborg – il tempo medio di preparazione di una specifica configurazione dimostrativa è di due giorni, cui segue una giornata di demo. Per le macchine offset, invece, ci appoggiamo sempre di più ai nostri clienti locali più rilevanti e affezionati, come Grafical e Nuceria per il mercato italiano». Un engineering “over the top” sulle due sponde dell’Atlantico La produzione delle macchine è concentrata in un grandioso
La soluzione sta nella giusta formula
B+B= Progettazione
Prestampa
Poststampa
Gestione
• ArtiosCAD • ArtiosCAD Display Store • Studio
• ICUT-Suite • Automation Engine • WebCenter
• Kongsberg XE • Kongsberg X • Kongsberg C • Kongsberg XP Auto
• Packway • Sprint • Docupoint
B+B INTERNATIONAL S.r.l. WWW.BBINTERNATIONAL.COM - INFO@BBINTERNATIONAL.COM - TEL: +39 0423 289090
meeting leaders
intervista a Peter Eriksen Chief Operating Officer, Nilpeter A/S
“Nilpeter è la nostra vita: trascorriamo gran parte di ogni nostra giornata pensando e agendo per conto dell’azienda e questo ci rende orgogliosi.”
padiglione industriale a campate, anch’esso senza muri di separazione tra i reparti, cui negli anni si sono aggiunti edifici secondari. La prima fermata è al livello superiore dell’edificio, dove ha sede il grande open space del Technical Development: qui ingegneri e progettisti lavorano ogni giorno per elaborare soluzioni di sviluppo strategico, basate sulle esigenze dei clienti e sulle loro applicazioni specifiche. «Non progettiamo nuove macchine – spiega Anne Emborg – ma piuttosto nuovi design e nuovi componenti che ci consentono di offrire risposte tailor made a richieste talvolta uniche». In quest’area dell’edificio ha sede anche l’ufficio acquisti, che gestisce l’approvvigionamento di tutti i componenti forniti
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Cosa rende speciale il legame tra la tua famiglia e la storia di Nilpeter, da generazioni? Abbiamo una lunga storia, che rappresenta un patrimonio insostituibile e che facciamo del nostro meglio per preservare. Sappiamo cosa significa avere un’azienda privata e quanto sia importante che i membri della famiglia siano al 100% dediti alla società. È qualcosa che, tutto sommato, ci rende simili agli utilizzatori delle nostre macchine. La maggior parte dei nostri migliori clienti sono piccole e medie aziende famigliari, con cui condividiamo il DNA e che spesso preferiscono fare business con noi piuttosto che con una multinazionale. Penso di parlare anche a nome di mio padre dicendo che Nilpeter è la nostra vita: trascorriamo gran parte di ogni nostra giornata pensando e agendo per conto dell’azienda e questo ci rende orgogliosi. Siamo felici di lavorare con i nostri collaboratori e consideriamo tutti loro parte della famiglia Nilpeter. Non solo le persone che lavorano qui, ma anche i nostri clienti. In definitiva, penso che questa sia una grande motivazione per andare al lavoro tutti i giorni e non solo per gestire qualcosa di buono che ti è stato tramandato dalle generazioni precedenti. da terze parti: questi entrano dal fondo del padiglione produttivo, vengono inviati al controllo di qualità e quindi stoccati in un magazzino automatizzato justin-time. Grazie a un sistema di ordering correlato alle commesse, questo prepara con precisione i componenti necessari per costruire ogni modulo, riordinando in tempo reale gli eventuali pezzi in fase di esaurimento e azzerando il rischio di esaurimento scorte. Nella grande area dedicata alla produzione vengono quindi assemblati i sub-componenti di ogni macchina – ad esempio moduli flexo e offset, sbobinatori e rewinder – che vengono infine integrati sulla base macchina ordinata dal cliente. «Normalmente in quest’area assembliamo anche
Ma la portata delle sfide a volte supera e travolge la passione. Come quella del digitale... Il crescente affollamento nell’arena del digitale sta in parte distorcendo la concorrenza e là fuori c’è una grande area grigia, in cui dobbiamo definire al meglio la nostra posizione. È un trend che ci vede estremamente attenti, ma che in fondo rende solo la sfida più eccitante.
di veramente innovativo e dirompente richiede un sacco di soldi, e implica un sacco di rischi. Ma far parte di un gruppo più ampio di società ben finanziate ci mette in una posizione sicura. Nilpeter è un’azienda finanziariamente solida e abbiamo buoni partner finanziari che supportano le nostre ambizioni. Il fattore più importante, poi, sono le nostre persone, che inventano prodotti innovativi ed erogano servizi innovativi.
Qual è il valore più grande per te e per la tua famiglia? Essere sempre all’altezza di ciò che diciamo. Possiamo sbagliare, ma ci assicuriamo sempre che le nostre persone riescano a stare bene, superando insieme gli ostacoli e raggiungendo tutti insieme un risultato finale di successo.
Quanto è importante, per il successo Nilpeter, essere nata e avere sede in Danimarca? Qui abbiamo una cultura speciale, anche sotto il profilo manageriale. In Nilpeter, ad esempio, non abbiamo stanze designate per il management o per altri ruoli. Manteniamo un ambiente aperto e, se hai un problema, ti ritrovi insieme, ne discuti e trovi una soluzione. Fa parte della cultura danese, del nostro modo di fare business, e cerchiamo di portarlo anche fuori dai nostri confini. La stampa digitale ne è un chiaro esempio: molte aziende tendono ad assumere esperti e a metterli in posizioni chiave per accelerare lo sviluppo e il business. Noi abbiamo un partner tecnologico giapponese, è vero, ma tutto è progettato con una filosofia danese.
Significa che l’errore fa parte della cultura aziendale? Quando sei determinato a raggiungere obiettivi ambiziosi e vuoi cambiare le cose, è naturale che lungo il percorso commetti degli errori. Ma è come ti adatti, come te ne occupi, che ti qualifica come azienda. Ci sono molti aspetti che amiamo dell’essere un’azienda privata, a partire da un processo decisionale molto veloce. Per esempio, oggi costruire qualcosa
|| Le persone, il loro benessere e la capacità di accompagnarle nel raggiungimento degli obiettivi comuni sono elementi centrali nella filosofia aziendale di Nilpeter
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meeting leaders
Anne Emborg Marketing Manager, Nilpeter A/S
“Costruiamo qui ogni singola parte della macchina, non compriamo nulla da fuori tranne l’acciaio. Questa è la precondizione per avere assoluta precisione in stampa.” 12 macchine in contemporanea, ma molto dipende dalle configurazioni, che possono arrivare anche a 20 metri di lunghezza e occupano due moduli – chiarisce Anne Emborg – anche il tempo di consegna medio è di 3-4 mesi, ma dipende molto dai singoli casi 1
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perché le nostre configurazioni non sono quasi mai standard». Terminata la produzione, le macchine vengono testate e spesso collaudate dal cliente direttamente in fabbrica. Solo in alcuni casi, per esempio le configurazioni più grandi o non replicabili presso il sito produttivo, l’assemblaggio finale viene eseguito presso il cliente. I moduli PANORAMA, sempre disponibili in un ampio stock nelle due versioni DP-3 e DP-3+ (quest’ultima con il colore arancio aggiuntivo) sono costruiti in Giappone da Screen su specifiche di Nilpeter, e a Slagelse vengono assemblati con il resto della macchina. A seguito dell’acquisizione dell’americana Rotopress nel 2001, Nilpeter ha dato vita a un polo produttivo d’eccellenza a Cincinnati, Ohio. Questo riproduce in tutto e per tutto, solo in scala leggermente ridotta, il sito produttivo di Slagelse. Costruzione autarchica per una perfezione assoluta Il principale edificio esterno all’area di assemblaggio è dedicato
alla carpenteria metallica. Orgogliosamente, infatti, Nilpeter non acquista alcun componente chiave da fornitori esterni, ma costruisce ogni singolo pezzo internamente, partendo da barre e tondini di acciaio pieno. Appena entrati nell’area di lavorazione, si viene accolti da una torre di stoccaggio che contiene sempre almeno 80 tonnellate di acciaio. Questo viene prelevato automaticamente e inviato, grazie all’evoluto sistema FMS (Flexible Manufacturing System) ai centri di fresatura robotizzati operativi 24/7. Le unità di milling lavorano senza sosta giorno e notte, mentre gli ingegneri di Nilpeter effettuano minuziosi controlli di qualità su ogni singolo pezzo, albero o cilindro. Le tolleranze sono quasi inesistenti e se il pezzo presenta incongruenze viene scartato. «Nulla è lasciato al caso ed è ciò che rende le nostre macchine diverse da quelle dei competitor. Qui noi costruiamo ogni singola parte della macchina, non compriamo nulla da fuori tranne l’acciaio – spiega Anne Emborg – questa è la
precondizione per avere assoluta precisione in stampa. Anche se hai i migliori cilindri, ma poi hai una base macchine instabile, avrai un risultato discutibile». Nello stesso edificio della carpenteria ha poi sede una grande officina, dall’aria oldfashioned e popolata di giovani tecnici: è l’area dedicata all’apprendistato, che rappresenta un valore fondante per Nilpeter e consente di formare le nuove leve di montatori, tecnici e ingegneri, che negli anni a venire garantiranno lo sviluppo aziendale. «Realizziamo internamente anche tutte le parti di ricambio per le nostre macchine, anche le più vecchie e ormai fuori produzione. – conclude orgogliosa Emborg – Per fare questo conserviamo un campione di ogni singolo pezzo e abbiamo tutti gli stampi, così da poter evadere velocemente qualsiasi richiesta dei clienti o del service». Inutile dire che, nonostante ci troviamo in un’officina, tutto è immacolato e anche i rifiuti industriali seguono i più virtuosi percorsi di riciclo.
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|| 1) e 2) Il magazzino automatizzato contiene, riordina se a fine stock e rende disponibili ai tecnici dell’assemblaggio tutti i componenti necessari alla costruzione di ogni singola macchina. 3) La precisione totale è garantita da macchine utensili robotizzate. 4) Le macchine sono assemblate e collaudate a Slagelse prima di essere inviate al cliente.
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speciale Nonostante il titolo possa far pensare all’articolo più noioso al mondo, non smettete di leggere: l’argomento trattato è fondamentale per qualsiasi produttore di etichette
Calcolare il vero costo totale di proprietà di una macchina da stampa per etichette di Sean Smyth // sean@seansmyth.co.uk
I
|| La stampa EPM a tre colori su HP Indigo può contribuire ad aumentare la produttività e ridurre i costi di stampa
metodi per produrre etichette continuano a evolversi. Smithers Pira elabora statistiche di mercato, per l’industria della stampa e dell’imballaggio, e previsioni che si sono dimostrate accurate per molti anni. In tutta Europa il digitale continua ad erodere quote di mercato alla stampa di etichette con tecnologie flessografiche ed offset. Tra le tecnologie digitali, l’inkjet è quella
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che sta crescendo più rapidamente. Le previsioni tengono conto di molti fattori, tra i quali la demografia e i cambiamenti nei modelli di vendita. È in corso una grande trasformazione del mercato dovuta al proliferare di siti dedicati a offerte speciali, piattaforme e-/m-commerce, nonché modelli di business basati su pacchi a tema in abbonamento. Un altro fattore che influenza le previsioni riguarda le funzionalità richieste
al prodotto: ci sono cose che semplicemente non si possono fare usando la stampa convenzionale. Infine il fattore tra i più significativi è quello relativo ai costi di produzione. Con il cambiamento della tecnologia, cambiano anche i processi e, con essi, la struttura di costi che li riguarda. Le aziende che hanno adottato o adottanno le giuste tecnologie digitali hanno o avranno un importante vantaggio competitivo sulle altre.
Oltre a scrivere e tenere seminari, Sean Smyth è un analista di mercato attivo nelle industrie della stampa e della cartotecnica. È un tecnologo della stampa e ha lavorato in aziende grandi e piccole (anche come proprietario) dove ha utilizzato la tecnologia per un semplice scopo: fare soldi. Smyth è inoltre uno stratega aziendale; lavora con brand, costruttori di attrezzature, fornitori materiali di consumo e converter, cercando di dar loro strumenti ed indicazioni per sfruttare le tante opportunità derivanti dall’adozione della stampa digitale da parte di stampatori, etichettifici e cartotecniche. Smyth è infine ricercatore, consulente e direttore non esecutivo presso Smithers Pira.
speciale Digital, hybrid and flexo labels web production cost comparison
Drying method Magnetic tooling bought
Inkjet hybrid press
Inkjet press
Flexo narrow web
Toner 1
Toner 2
Toner 3
Flexo semi-rotary die cut
Flexo rotary die cut
CONFIGURE
UV
UV
n/a
n/a
n/a
UV
UV
n/a
n/a
n/a
n/a
n/a
n/a
Select tools n/a
Type of rotary tooling
Solid die tools
n/a
n/a
n/a
n/a
n/a
n/a
€ 1,040,000
€ 700,000
€ 400,000
€ 650,000
€ 1,800,000
€ 500,000
€ 600,000
€ 560,000
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7%
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7%
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7%
7%
7%
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Total annual service cost
€ 41,600
€ 28,000
€ 5,000
€ 24,000
€ 60,000
€ 22,500
€ 12,000
€ 11,200
Annual energy use
€ 14,723
€ 14,723
€ 19,125
€ 8,580
€ 15,120
€ 19,200
€ 19,125
€ 21,675
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€ 22.00
€ 22.00
€ 22.00
€ 22.00
€ 22.00
€ 22.00
€ 22.00
€ 22.00
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Weekly hours per shift
37.5
37.5
37.5
37.5
37.5
37.5
37.5
37.5
Energy cost per kW h
€ 0.08
€ 0.08
€ 0.08
€ 0.08
€ 0.08
€ 0.08
€ 0.08
€ 0.08
Total hourly rate on press
€ 96.37
€ 73.34
€ 51.26
€ 67.78
€ 144.75
€ 61.65
€ 54.76
€ 53.59
Total capital cost Depreciation period (years) Cost of capital
(specific to a design)
Press operation
Printers (operators) per machine Total hourly labour cost Number of shifts in operation
Digitale e ibrido: un mercato sempre più affollato Quando un converter decide di investire in una nuova tecnologia di stampa, ha un’ampia scelta. Una macchina flexo narrow web, magari con bianco serigrafico, coating e finitura integrata, piuttosto che una macchina digitale standalone, con finitura near-line. Ci sono macchine ibride flexo/inkjet, con cui i costruttori contano di offrire il meglio dei due mondi. E ci sono macchine completamente digitali. HP Indigo resta il fornitore numero uno e continua a sviluppare la tecnologia della serie 20000, ampiamente utilizzata per la produzione di etichette, seguita da Xeikon. Le nuove piattaforme Cheetah offrono maggiore velocità rispetto ai modelli precedenti e l’azienda è ora il maggior fornitore di tecnologia inkjet nel settore, in seguito all’acquisizione di Jetrion da EFI. A Labelexpo l’anno scorso c’erano 78 fornitori di macchine inkjet a presentare le loro attrezzature, oltre a varie altre macchine da stampa inkjet di fascia più bassa. A giugno c’è stato poi l’arrivo di un nuovo fornitore, Canon Océ, mentre Gallus ha
mostrato Smartfire, la sua prima macchina inkjet stand-alone. Secondo FINAT, l’anno scorso le macchine inkjet hanno superato le vendite di quelle a toner in Europa, rappresentando il 59% delle nuove installazioni. La sfida di determinare il costo È importante capire come vengono costruiti i costi e utilizzare uno strumento realistico per la determinazione dei costi è probabilmente il modo migliore per inserire misurazioni reali, eseguire i calcoli e realizzare un modello economico. Un modello adatto consentirà di fare un confronto diretto tra i differenti metodi di produzione disponibili. La maggior parte dei produttori di apparecchiature offrono questi strumenti, ma i converter sono spesso diffidenti riguardo i risultati, se questi sono favorevoli al costruttore. Lo strumento di comparazione dei costi trattato in questo articolo è stato sviluppato e perfezionato per molti anni, inizialmente come necessità dell’autore di definire la tipologia di investimento più appropriata. A questo sono stati poi apportati
vari miglioramenti, così da renderlo utile per una gamma di prodotti, incluse le etichette. Sono molti i fattori che determinano il costo di un’etichetta e non tutti sono correlati al metodo di stampa. Quindi limitiamoci a quelli che lo sono. Il modello può quindi utilizzare costi reali: non quelli di listino, ma i veri valori pagati dai converter. Questi dati non sono facili da evincere, perché nella pratica c’è una grande varietà di meccanismi di addebito. Anche per la stessa macchina. Come un’azienda utilizza la macchina determinerà infatti il suo costo, ed è un dato di fatto che una macchina genera soldi solo quando viene utilizzata. Questo è particolarmente vero nel caso delle macchine digitali, dove un maggior tasso di utilizzo si traduce in costi più bassi. La barra laterale evidenzia gli elementi che determinano il costo di un’etichetta. Come funziona il modello? Il modello prende in considerazioni una serie di fattori base, insieme ad altri che includono l’utilizzo di energia, e calcola così il costo di produzione. Questo
|| Una porzione del complesso foglio di calcolo utilizzato da Sean Smyth per mettere a confronto le varie voci di costo inerenti la produzione di etichette con differenti metodi
includerà anche il finishing, perché molte configurazioni ibride possono finire l’etichetta in un solo passaggio, mentre altre potrebbero utilizzare un processo in due passaggi e aumentare il tempo di produzione. Inoltre verrà definito quanto è costata l’attrezzatura (la maggior parte dei converter pensa di aver fatto un buon affare), in che periodo di tempo questa viene deprezzata e il costo degli interessi del finanziamento. Di norma l’attrezzatura avrà un costo orario su cui definire il recupero dei costi, che includerà la forza lavoro. Questo valore dipenderà dai turni programmati e dall’uptime della macchina, tenendo conto di avviamenti, fermi macchina, manutenzione programmata, calibrazione, configurazione, sostituzione dei consumabili e altro. Il costo della commessa terrà conto del tempo di produzione, dei tempi di setup e preparazione, oltre al tempo di esecuzione del lavoro, che
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speciale
Cost comparison of near-line and hybrid labels € 0,500
€ 0,450
€ 0,400
Unit cost of 100x100mm labels
€ 0,350
€ 0,300
Inkjet hybrid press Inkjet press Flexo narrow web
€ 0,250
Toner 1
utilizzati. Il modello può diventare poi piuttosto sofisticato e includere il finishing, in quanto alcune macchine da stampa includono più processi e opzioni di converting, e in questo caso è necessario evincere il costo complessivo di produzione. Per alcune macchine può poi essere necessario l’utilizzo di un primer o di un materiale pretrattato, e anche questo deve essere preso in considerazione.
Toner 2 Toner 3
€ 0,200
Flexo semi-rotary die cut Flexo rotary die cut € 0,150
€ 0,100
€ 0,050
€ 0,000 1
50
100
250
500
1.000
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2.000
3.000
4.000
5.000
6.000
7.500
10.000
Linear metres (non-linear scale)
dipenderà dalla velocità operativa della macchina. Anche a parità di attrezzatura, i fattori saranno differenti per ciascun etichettificio. E una diversa cultura aziendale potrà aprire differenti scenari: 1. Usare la macchina da stampa digitale anche per basse tirature, in sostituzione di una flexo. 2. Ottimizzare la produzione digitale per rendere competitive le lunghe tirature. 3. Sfruttare le funzionalità specifiche della macchina da stampa digitale. 4. Investire ancora di più per ampliare ed ottimizzare i servizi. Alcune aziende seguiranno le tecniche di Lean Manufacturing per minimizzare il tempo di setup e i tempi morti, spingendo le macchine da stampa alla massima velocità e utilizzando il parametro dell’efficienza operativa complessiva come indicatore chiave delle performance, in una cultura di miglioramento continuo. Qualsiasi strategia venga seguita, questa determinerà la componente del costo dell’attrezzatura e questa potrebbe cambiare nel tempo. Dipenderà dalle specifiche del macchinario ordinato e dalla possibilità o meno che questo possa subire aggiornamenti. La piattaforma Xeikon, ad esempio, è modulare e può subire upgrade,
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anche per un periodo di tempo limitato, se c’è necessità di sviluppare volumi più alti durante certi periodi dell’anno. La manutenzione e il servizio avranno un costo, che varierà a seconda del numero delle macchine e del livello di risposta richiesto. Alcuni fornitori offriranno uno sconto sul contratto di manutenzione se gli operatori raggiungono elevati livelli di training. Il prezzo del toner o dell’inchiostro è poi un fattore critico, sia che si paghi a click o in base al consumo. Ci possono anche essere più livelli di prezzo in base ai volumi e, naturalmente, alla trattativa. Tutti questi fattori possono essere inseriti nel modello e il risultato è mostrato nel grafico in questa pagina, con una comparazione dei costi unitari dei processi analogici e digitali per tirature di lunghezza crescente. Un converter può usare questi risultati per definire qual è il metodo più economico per produrre il mix di lavorazioni previste. Il modello può essere utilizzato per generare la capacità annuale complessiva dei diversi metodi di stampa, e il costo totale di produzione inclusi i supporti. Questo è molto utile quando si prende in considerazione l’investimento in una nuova macchina da stampa. Fare la scelta sbagliata
potrebbe essere catastrofico per un’azienda. Gli utenti possono cambiare il modello dei turni, la copertura dell’inchiostro, il costo delle forme da stampa flexo (e quanto spesso vengono riutilizzate), elementi che fanno una differenza enorme. Si può inserire la velocità di stampa effettiva di una macchina e il modello calcola la velocità di HP Indigo per una particolare dimensione di etichetta, prendendo in considerazione lo sfruttamento del formato e il numero di colori
Costi reali per risultati affidabili Il modello compara i costi e la differenza di tempo nei vari metodi utilizzati per la produzione di etichette. Oltre che per semplici confronti può essere utilizzato come strumento per effettuare calcoli in base al lavoro, al tempo, al valore aggiunto, anche la capacità annua, considerando una varietà di tipologie di lavori e differenti tirature. La chiave per un converter che sta considerando un investimento è utilizzare i costi reali per ottenere un confronto reale. Questo è importante perché la tecnologia offerta dai fornitori di macchine continua ad evolversi. Le nuove macchine da stampa flexo sono altamente automatizzate grazie all’ausilio di servo controller, così come le macchine digitali vantano continui miglioramenti delle performance.
Principali componenti del costo di un’etichetta • Specifiche del lavoro • Costo dell’attrezzatura e tempo di esecuzione • Costo del consumabile • Costo dell’assistenza • Costo del materiale • Scarti e avviamenti • Finishing • Costo del lavoro diretto • Costo del lavoro indiretto
• • • •
Energia Immobili e costi generali Costi di vendita Prestampa (talvolta design) e possibilità di riutilizzare un polimero flexo • Stoccaggio • Consegna • Margine e profitto
Le voci sottolineate sono quelle su cui ha incidenza il metodo di produzione utilizzato. Cambiare la tecnologia di stampa può alterare il risultato complessivo, a volte in modo significativo. Altrettanto importante è come viene utilizzato il macchinario scelto, e lo schema di turni.
speciale
|| A sinistra, XJet integra l’engine digitale Durst Tau RSC con moduli analogici di Omet. Qui sopra, Mouvent LB-702-WB con inchiostri base acqua.
Questo significa che i costi reali cambiano continuamente e i converter dovrebbero tenersi aggiornati riguardo alle tecnologie, non necessariamente quelle che stanno utilizzando, per essere certi di non perdere delle opportunità. Devono cambiare mentalità. Tutti i metodi di produzione stanno migliorando, inclusa la flexo, sebbene sia l’inkjet che sta avanzando più rapidamente. Le tecnologie cambiano rapidamente HP Indigo ha raddoppiato la velocità effettiva con il doppio engine della serie 8000 e con la bobina più larga della serie 20000, che introduce funzionalità multi-lane che ottimizzano lo sfruttamento del formato. Xeikon lo fa da anni sulla sua 3500, garantendo un percorso di upgrade modulare utile per sviluppare il business. La più veloce Cheetah è l’evoluzione logica per aziende che hanno bisogno di ulteriore capacità e di un minore costo complessivo del consumabile, grazie all’uso di particelle di pigmento più piccole e un processo di fusione meno costoso. Labelexpo 2017 è stato un punto di svolta con l’arrivo delle teste single-pass Fujifilm Samba, che introducono una risoluzione nativa di 1.200 dpi a velocità
che arrivano a 100 metri al minuto. Forse non oggi, ma tra un paio d’anni queste velocità saranno comuni, se non addirittura maggiori. Anche la decisione di Mouvent di offrire inchiostri a base di acqua potrebbe essere un fattore significativo. Durst ha spiegato che oltre a miglioramenti di qualità e produttività, un fattore fondamentale con la Tau RSC è un minor costo, a condizione che il sistema sia utilizzato intensamente, s’intende. Il costo di stampa reale cambia in continuazione. Ci sono differenze di prezzo in differenti Paesi e talvolta possono esserci promozioni particolari. Anche il modo in cui le aziende usano la tecnologia potrà influenzarne le prestazioni e determinarne i costi. Un color management appropriato, ad esempio, può aiutare a ridurre il consumo complessivo quando l’inchiostro o il toner sono acquistati in base al volume, ottenendo comunque un risultato finale molto simile. Nel caso del costo fisso del click su HP Indigo, invece, l’uso dell’Enhanced Productivity Mode (EPM) a tre colori ridurrà il numero di click e aumenterà la velocità, aiutando anch’esso ad abbassare i costi. Un flusso di lavoro efficiente, infine, aiuta a ridurre i tempi morti in aziende con cicli produttivi molto intensi.
Un modello completo e aggiornato per comparazioni realistiche Ovviamente nella produzione di etichette c’è molto di più oltre alla stampa. Il finishing è necessario e ci sono molti processi ai quali un’etichetta andrà incontro prima di essere pronta alla consegna. Ci sarà certamente da fustellare, rimuovere lo scarto, tagliare e riavvolgere. Ma oltre a questi processi base ci possono essere verniciatura, laminazione, foiling, aggiunta di ologrammi o sensori RFID, numerazione e codifica. Mentre le etichette multipagina stanno crescendo al crescere delle informazioni richieste sulle confezioni. I costi di produzione stanno cambiando ed è qui che un modello risulta più utile per i converter, perché aiuta il management a determinare come la tecnologia potrebbe portare benefici all’azienda. È il motivo per cui i maggiori fornitori di macchine flexo e produttori di macchine digitali stanno creando modelli di calcolo dei costi. Vogliono assicurarsi che la loro attrezzatura, i servizi e i materiali di consumo restino competitivi, così da poter vendere più macchine da stampa. Il costo di produzione dell’etichetta è un fattore determinante nella scelta di una nuova macchina da
stampa da un fornitore, ed è una delle ragioni per cui c’è stata una crescita delle vendite delle macchine inkjet in Europa. Ciò le renderà il segmento a più elevato tasso di crescita nel mercato delle etichette in Europa nei prossimi cinque anni. Ma non date per scontato che quello che era giusto nel 2017 sia giusto anche nel 2018: nei prossimi anni le cose continueranno certamente a cambiare con l’arrivo sul mercato di nuove macchine inkjet sempre più veloci e qualitative. Labelexpo ha visto il lancio di una nuova generazione di macchine che usano teste inkjet con risoluzioni native di 1200 dpi e velocità di 78 metri al minuto, e la promessa è di 100 metri al minuto alla massima qualità. L’uso di un comparatore di costi consentirà ai converter di pianificare una serie di scenari per vedere come la loro produzione attuale può competere con la nuova tecnologia in arrivo sul mercato. Anche se può non essere totalmente accurato nel predire i costi futuri (i produttori di inchiostri inkjet sono entusiasti rispetto alle attuali economie di scala, che contribuiranno a ridurre i prezzi dell’inchiostro per gli utenti) questo sarà uno strumento utile per prepararsi all’ambiente di business nel quale ci troveremo a operare nei prossimi anni.
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strategie Milano-Losanna con Federico d’Annunzio di BOBST: un’occasione per parlare di digitalizzazione e ibridazione con uno dei più brillanti inventori del settore
Non l’inkjet ma l’intelligenza artificiale per digitalizzare (sul serio) il packaging di Lorenzo Villa // lorenzo@densitymedia.com
M
ilano Centrale, 8:20 del mattino, appena saliti sull’Eurocity 32 in partenza per Losanna. Spaccando il secondo, s’intende! Destinazione la grandiosa open house annuale di BOBST, quest’anno denominata Competence 18. Mentre apro il laptop per accingermi a lavorare, mi passa accanto Federico d’Annunzio, mia vecchia conoscenza e, per sua stessa ammissione, pessimo fisionomista. La conversazione verte immediatamente sul suo recente matrimonio al Vittoriale, che ne svela le origini insospettabilmente celebri. Ma da inguaribili appassionati di tecnologia impieghiamo pochi minuti per ripiombare nell’argomento che riempie le nostre giornate e dà un senso alle nostre vite: l’innovazione nel printing. La chiacchierata con lo sviluppatore di alcune tra le più innovative tecnologie web-fed per la produzione di packaging ed etichette, oggi Strategic Products Marketing Director di BOBST, si è trasformata in un’interessante ed esclusiva intervista. Che vi regaliamo nelle prossime pagine.
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|| Nelle foto di questa pagina e delle successive, Federico d’Annunzio di BOBST durante la nostra intervista tra Milano e Losanna
strategie
Concedimi una digressione. La tua recente cerimonia di nozze al Vittoriale ha svelato la tua parentela con Gabriele d’Annunzio. Cos’avete in comune tu e il Vate? Finora non ho mai voluto condividere né trarre profitto dalle mie origini. Ho semplicemente lavorato per realizzarmi personalmente e professionalmente. Oggi, con più di un successo professionale alle spalle, ho pensato non ci fosse nulla di male. Tornando alla tua domanda, la persona che ho avuto la fortuna di incontrare e sposare, una giovane musicista, ha fatto emergere un lato artistico del mio carattere che non avevo mai esplorato, e di cui oggi sono più cosciente. Ho scoperto che mi piace scrivere, inventare, dedicare ed enunciare parole per le persone a cui tengo. Torniamo ad argomenti per noi più consueti. Tutti parlano di ibridazione come combinazione tra stampa analogica e digitale. Ma tu hai sempre avuto una tua personale visione… L’inkjet sta realmente creando un livello di innovazione, ma credo che il nostro settore ruoti attorno a un concept, che definirei Digital World of Printing. Qualcosa che rende il motore di stampa meno influente rispetto al passato. Che si parli di una tecnologia di stampa digitale, o di una digitalizzata
come la flexo, il modo in cui trasferirsci l’inchiostro sul supporto di stampa è irrilevante. Cosa è rilevante, allora? Lo è prima di tutto il dato originato dal brand owner. Normalmente un PDF, che deve essere trasferito e trasformato in qualcosa di leggibile dalla macchina da stampa; che diventa un file raster o un cliché e viene distribuito ai vari centri di produzione. Qui viene stampato, trasferito sul supporto di stampa e scansionato da camere ad alta definizione, spettrofotometri e densitometri. Quindi nuovamente codificato in un file digitale. In mezzo ci sono enti e soggetti certificatori, che fanno in modo che il prodotto rispetti gli accordi internazionali, le normative, le specifiche dei brand owner. Non c’è interpretazione, c’è solo una validazione digitale. La chiave non è quindi digitalizzare la stampa, ma l’intero processo, che include anche il colore: quello che stanno facendo Pantone ed Esko è emblematico! È necessario che il colore non sia più nelle mani del singolo converter, ma sia digitalizzato in termini qualitativi e quantitativi. Ciò che conta è il risultato e per questo anche i retini di stampa non sono più puntini o forme ellittiche, ma forme diverse, che meglio si adattano alle forme da stampa offset, flexo e serigrafiche. Ogni tecnica di stampa ha le sue
caratteristiche e problematiche, ma quando se ne analizza il risultato è sempre necessario stare entro certi parametri. In sintesi, la potenza è nulla senza controllo? Esatto! Quello del packaging è un mondo produttivo sempre più industrializzato e scientifico. Un mondo data-driven, ossessionato dal controllo. Per questo chi progetta e costruisce tecnologie deve avere una visione di lungo termine. Tra dieci anni il mondo si sarà evoluto ulteriormente e ci saranno piattaforme d’acquisto che oggi neppure immaginiamo. E siccome nel packaging i tempi di validazione sono di almeno tre anni, dobbiamo lavorare oggi per quello che succederà domani. A quali scenari pensi? Vedo nuovi modelli di business in cui stampatore e brand owner si parleranno in modo digitale. Le stesse macchine saranno parlanti: non più dispositivi di output, ma sistemi di comunicazione bidirezionale. Non più semplici distributori di inchiostro, ma distributori di informazione. Tutto ruoterà attorno alla digitalizzazione, all’Industria 4.0? Digitalizzazione è di per sé una parola molto grande, che si declina in tre pilastri. Il primo è la misurazione. È sempre più
fondamentale misurare qualunque cosa ci sia nella macchina, misurarla sempre, inclusi quei dati che un tempo erano irrilevanti. Il secondo è l’interconnessione: una volta che hai misurato devi collegarti a un ambiente più grande, rendere disponibile l’informazione. Il terzo è l’intelligenza artificiale: non puoi avere una valanga di informazioni di cui non sai cosa fare. Entrano in gioco algoritmi che non puoi gestire solo con le capacità dell’essere umano. L’intelligenza artificiale creata dall’uomo sarà la nuova frontiera nelle macchine da stampa e converting. Le nostre macchine diventeranno sorelle di tante altre macchine. Avremo meno specializzazione e compartimentazione stagna tra stampa e confezionamento, tra packaging in carta e in plastica... In che modo tutto questo troverà applicazioni pratiche per costruttori e converter? Anche BOBST, naturalmente, è impegnata in un grande progetto di Internet of Things o Industry 4.0: due nomi commerciali che indicano la raccolta di dati e il loro utilizzo intelligente. Sul fronte degli utilizzatori, la cosa divertente sarà capire quali nuovi modelli di business si svilupperanno nell’ambito della gestione dei dati, che inevitabilmente si trasformeranno in un patrimonio da accorpare, vendere e utilizzare per erogare servizi e creare valore.
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strategie Non credi che basse tirature, just-in-time e personalizzazione possano essere i veri driver del digitale? Nel packaging non è solo questione di stampare un imballo, ma di gestire il prodotto lungo la catena di distribuzione, con tutti quegli elementi a contorno che rendono una campagna estremamente costosa e di nicchia. Larga parte del packaging mondiale è infatti associato alle migliaia e ai milioni di unità. Se prima la sfida era sulle tecnologie, oggi è sul costo e lo sarà sempre di più. Prima di schierarci è forse opportuno domandarci quanto costa la tecnologia, quanto costano le forme da stampa, quanto costa l’uptime di un’attrezzatura. Quanto, in definitiva, la mia macchina produce effettivamente? La maggior parte delle macchine digitali hanno un uptime del 65%, il 25% lo occupano in manutenzione e il 10% tra rasterizzazioni e altri tempi morti. Le analogiche hanno un uptime del 50%, il resto se ne va in avviamenti, specie per la produzione di colori speciali. Ma se trovo il modo di ridurre questi tempi di setup, di semplificare i processi, l’uptime dell’analogico aumenta notevolmente. E non richiede tutta la manutenzione e la varietà di consumabili tipico di un engine digitale. Nell’offset a foglio sta già succedendo: stampi, misuri, controlli, condividi i dati, usi l’intelligenza artificiale per migliorare
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l’automazione. Gli unici argomenti sono consistenza sul prodotto, running cost e uptime. Il progetto di flexo digitale REVO, ad esempio, ci ha permesso di dare vita a una linea super automatizzata, che gestisce automaticamente pressione, cambio del polimero e tenuta del registro. Credo tuttavia ci saranno sempre più ibridazioni con l’inkjet, se non altro per tenersi il margine di poter gestire dati variabili, sia a scopo informativo che decorativo. La mission della nostra industria è la riproduzione industriale della bellezza: di fatto noi trasportiamo il prodotto, lo rendiamo sicuro, informiamo sul suo contenuto, lo decoriamo e lo rendiamo appealing. È come dipingere un quadro. Cosa hanno portato Gidue e il tuo team in dote a BOBST, e cosa porteranno? Anzitutto la capacità di mettere in discussione le tecnologie e le visioni del passato, di domandarci se il nostro prodotto di oggi non sia già superato. Da sempre – Gidue in passato e BOBST oggi – siamo i più copiati al mondo: la maggior parte delle nostre innovazioni è stata ripresa dai nostri concorrenti. Un cambio di atteggiamento non scontato... Che però si appoggia su un terreno molto fertile. Bobst è sempre stata un’azienda libera, con una
cultura molto aperta. Quella che poteva essere una visione a 320 gradi, forse ora è a 340. Ma non c’è nessuno strappo drammatico. Qual è la criticità di una R&D distribuita su più Paesi? La sfida, in un gruppo così grande, è avere una visione coerente e mettere a fattore comune le esperienze. Nella nostra organizzazione è Jean-Pascal Bobst che deve avere la visione d’insieme, come Steve Jobs in Apple. In ultima analisi, non conta se hai migliaia di dipendenti o tre: è la testa che dà indicazioni precise al corpo. Per esempio, ho sollecitato Bobst ad affiancare la stampa al converting nel folding carton, non con l’offset ma con la flexo. Una delle ragioni che oggi mi porta a Losanna è la notizia che BOBST lancia una nuova sfida al mondo del folding carton. Siamo gli unici al mondo a stampare etichette, flexible packaging e corrugated. Gli unici ad avere flexo, rotocalco e digitale. Ebbene, oggi vogliamo entrare nel folding carton con la stampa. Quanto conta il dialogo con terze parti nell’R&D di BOBST? Sto incoraggiando BOBST a lavorare sempre più a stretto contatto con fornitori e partner esterni, aprendosi a più tecnologie possibili, software incluso. Siamo diventati meno autarchici e ci poniamo l’unico obiettivo di produrre tecnologie d’avanguardia. Nel
trasferimento dell’inchiostro, in particolare, stiamo sviluppando una tecnologia rivoluzionaria che agisce sulla superficie dell’anilox e sull’avvicinamento del polimero. Conosco bene l’offset, ma sono convinto che la flexo, grazie al percorso d’inchiostrazione corto, sarà la tecnologia del futuro. Come vengono visti l’Italia e gli italiani nel gruppo? In BOBST ci sono molti italiani e sono rispettati. Siamo considerati hard worker, gente appassionata che non si ferma mai, neanche di fronte agli ostacoli. Ma BOBST è davvero internazionale: abbiamo stabilimenti di produzione in Cina, India, Svizzera, Regno Unito, Germania, due siti in Italia nonché sedi in USA e Brasile. Qual è il più grande valore che BOBST ti ha dato? In questo gruppo c’è un’etica incrollabile, ed è il motivo principale per cui ho venduto Gidue a Bobst. È un’azienda perbene, a partire dal capo e a tutti i livelli. Ogni volta che facciamo corsi di formazione parliamo di performance, passione, rispetto. Un esempio? In BOBST prima di licenziare una persona, anche se è inefficace, ci mettono magari due anni. Può capitare di avere persone non tagliate per un ruolo, ma prima di privarsene qui si cerca di scoprirne il potenziale. Ma ora prepariamoci: siamo quasi a Losanna!
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strategie Il costruttore americano ha unito le forze con un’azienda britannica per creare CorrStream: modulare, altamente produttiva, pensata per scatolifici e cartotecniche
Per SUN Automation la stampa digitale su ondulato è single-pass e base acqua
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ecnologia inkjet single-pass, inchiostri base acqua, struttura modulare e scalabilità: queste le scelte tecnologiche e costruttive alla base di CorrStream, la macchina da stampa digitale per cartone ondulato sviluppata dall’americana SUN Automation. Lo scorso giugno siamo stati a Glen Arm, alle porte di Baltimora (Maryland), per saperne di più. L’azienda ha conquistato la propria notorietà dietro le quinte,
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specializzandosi nella progettazione e costruzione di macchine per la stampa e il converting di cartone ondulato. Oltre trent’anni di dedizione hanno portato la ricerca e sviluppo dell’azienda ad acquisire una vasta conoscenza dell’industria del packaging, nonché a sviluppare per essa numerosi dispositivi oggetto di brevetto. Così SUN Automation si è distinta sul mercato prima come OEM, poi come produttore di tecnologie a marchio proprio. Forte di questo profondo e longevo
legame con l’industria del cartone ondulato, nell’ultimo decennio l’azienda ha accettato la sfida del digitale e ha dato vita a CorrStream. Il progetto ha richiesto una lunga gestazione (circa 8 anni) e un considerevole investimento (circa 12 milioni di dollari). Il risultato è una macchina industriale, altamente produttiva, che permette di stampare su cartone ondulato in fogli a una velocità lineare di 70 m/min. Per raggiungere questo obiettivo, SUN Automation ha avviato una collaborazione con
un partner d’eccellenza, con sede nel Regno Unito. Quest’ultimo, specializzato da oltre quarant’anni nell’inkjet, ha sfidato se stesso sviluppando per CorrStream un engine di stampa con dimensioni e performance straordinarie. || In alto, il reparto di SUN Automation dedicato alla costruzione di CorrStream (a sinistra) e alcune applicazioni stampate con la macchina (a destra). Nella pagina a fianco, una panoramica dello stabilimento SUN Automation alle porte di Baltimora (Maryland, Stati Uniti).
strategie
intervista
a Paul Aliprando Vice-president Digital Technologies di SUN Automation
“Vogliamo dare ai converter gli strumenti per capire come approcciare la stampa digitale e come creare valore con essa.”
Come state supportando le aziende intenzionate a fare il loro ingresso nel digitale? Ci stiamo impegnando a essere quel genere di costruttore che affianca il proprio cliente, gli trasferisce competenze e lo indirizza verso la scelta più indicata per la crescita del suo business. Investire nel digitale è una scelta conveniente? Non sempre e non per tutti. Vogliamo dare ai converter gli strumenti per capire come approcciare la stampa digitale e come creare valore con essa. Per questo partecipamo frequentemente a eventi di settore e, recentemente, abbiamo iniziato a ospitarne presso la nostra sede, in collaborazione con AICC (l’associazione americana dei converter indipendenti, ndr). CorrStream è progettata come una piattaforma modulare. In che modo questa scelta rappresenta un vantaggio per i clienti? Sviluppare una tecnologia digitale significa accettare che alcune sue parti avranno un ciclo di vita più breve di altre, ovvero richiederanno aggiornamenti più frequenti. Abbiamo progettato CorrStream affinché le parti soggette a un’obsolescenza più veloce possano essere aggiornate senza coinvolgere quelle più longeve. I suoi sistemi di carico,
movimentazione e scarico sono delle versioni perfezionate di quelli che utilizziamo da anni nelle macchine analogiche. Probabilmente le loro funzionalità resteranno adeguate ancora a lungo. Ma siamo consapevoli che teste di stampa, inchiostri e sistemi di asciugatura avranno performance migliori delle attuali già tra quattro o cinque anni. Grazie al design modulare, gli stampatori potranno aggiornare CorrStream e salvaguardare il proprio investimento. Perché avete scelto di affidare la costruzione dell’engine di stampa a un’altra azienda? Quanto siamo partiti con questo progetto non avevamo alcuna esperienza in fatto di digitale. Perciò abbiamo cercato un partner affidabile, che avesse un’esperienza nell’inkjet comparabile quella che abbiamo noi nel packaging. Il profondo know-how del nostro partner inglese ha reso più semplice lo sviluppo della versione beta di CorrStream e il suo successivo perfezionamento, fino al rilascio della versione definitiva. La scelta di installare la nostra prima macchina in Inghilterra non è casuale. I nostri team di ricerca e sviluppo visitano spesso il cliente per effettuare test e ci aggiorna costantemente
sul funzionamento della macchina e sulla possibilità di apportare ulteriori miglioramenti. Quali argomenti vi hanno spinti a scegliere di utilizzare inchiostri base acqua? Fin dalle primissime fasi di progettazione, sapevamo che l’unico inchiostro adeguato a CorrStream sarebbe stato il base acqua. Crediamo sia la scelta migliore per una serie di ragioni: costi, sicurezza e risultati di stampa simili a quelli ottenibili con le tecnologie analogiche più diffuse in questo settore. Inoltre i nostri clienti hanno familiarità con le chimiche base acqua. Negli Stati Uniti, le norme relative all’utilizzo dell’UV sono molto rigide ed è necessario rispettare tutti i requisiti per l’evacuazione dei VOC imposti dall’EPA (Envivonmental Protection Agency). Alcuni dei processi necessari alla regolamentazione degli impianti sono estranei alle aziende nostre clienti. Perciò, abbiamo cercato di ridurre il processo di stampa all’essenziale, tanto che i nostri inchiostri non richiedono neanche l’utilizzo di chimiche di pretrattamento. La formulazione base acqua li rende ideali per la stampa di packaging e di vassoi destinati all’alimentare, ma anche per espositori destinati al punto vendita.
Gli specialisti del packaging, nati nell’analogico e proiettati nel futuro con il digitale SUN Automation nasce nel 1985 per produrre macchinari analogici destinati all’industria del cartone ondulato. Sin da subito, il team ingegneristico si dimostra capace di sviluppare tecnologie all’avanguardia. Nel 1987, l’azienda lancia il mettifoglio Extend-O-Feeder, ancora oggi uno dei suoi prodotti di punta, con oltre 7.000 installazioni in tutto il mondo. Negli anni seguenti, SUN Automation deposita diversi brevetti e si guadagna una certa notorietà come specialista nei sistemi di alimentazione, stampa e converting per l’industria
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del cartone ondulato. Nel 2001, rileva Langston, storica azienda statunitense specializzata nella costruzione di macchinari per l’industria del cartone ondulato, ed entra in possesso del suo capitale tecnologico e umano, nonché dei suoi numerosi brevetti. Come diretta conseguenza, SUN Automation amplia la propria offerta. Le attrezzature “ereditate” da Langston comprendono, infatti, soluzioni per taglio e cordonatura, piegatrici, incollatrici, sistemi per la gestione degli scarti e impilatori. Contestualmente, SUN Automation apre una sede a Bristol, in Gran Bretagna. Nel 2003 l’azienda fonda il suo Employee Stock Ownership Plan (ESOP), ovvero un programma finalizzato all’acquisizione delle quote azionarie della società da parte dei dipendenti. Dieci anni dopo, nel 2013, SUN Automation diventa totalmente di proprietà dei suoi dipendenti. Nel 2007 l’azienda apre un nuovo
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sito produttivo a Guangzhou, destinato principalmente all’approvvigionamento del mercato cinese; nel 2012 presenta SUN RDC 625, la prima fustella rotativa commercializzata a proprio marchio. Nel 2016 SUN Automation installa la prima CorrStream presso l’azienda inglese HSG. Nel 2017 il costruttore si trasferisce nel nuovo stabilimento produttivo di Glen Arm (Maryland, Stati Uniti). Oggi, nel 2018, si prepara a lanciare sul mercato una nuova versione perfezionata di CorrStream. Affidabilità e durevolezza per soddisfare il cliente SUN Automation ha 156 dipendenti, e diverse sedi in tutto il mondo. Al sito produttivo di Glen Arm si affiancano gli uffici di Bristol e Singapore, oltre che l’impianto di produzione di Guangzhou. Al momento, il quartier generale statunitense ha un’e-
stensione di 17.000 m2, ma già dispone di 12.000 m2 di terreno per una futura espansione. Cuore pulsante dell’intero stabilimento è il reparto di R&D. Da oltre trent’anni, il team ingegneristico dell’azienda lavora incessantemente alla ricerca di soluzioni all’avanguardia, per soddisfare un mercato che non ha mai smesso di evolversi. Controllo, ottimizzazione e semplificazione dei processi sono requisiti imprescindibili per SUN Automation, che si riflettono sulle modalità di gestione di tutte le linee di produzione. L’intera gamma di macchinari viene realizzata all’interno dello stabilimento di Glen Arm e segue un iter preciso e standardizzato. I flussi di lavoro sono organizzati secondo una logica lean, votata all’efficientamento dei processi e alla riduzione degli sprechi. «Abbiamo in magazzino circa 12 milioni di dollari di singole parti. L’approvvigionamento del reparto
|| Qui sopra, tecnici SUN Automation verificano a campione le parti stoccate nel magazzino (a sinistra) e testano elementi già assemblati (a destra). In basso, il magazzino SUN Automation (a sinistra) e la fustellatrice rotativa SUN 625 (a destra).
di produzione viene effettuato su richiesta, per non sovraccaricare le linee di assemblaggio», spiega Paul Aliprando, Vice-president Digital Technologies. A ciascun fornitore viene assegnato un rating, che determina l’incidenza dei controlli qualità all’ingresso della sua merce in magazzino. Una volta effettuato l’assemblaggio dei vari elementi, è prevista un’ulteriore fase di testing, volta a verificarne la piena conformità con le specifiche imposte dall’ufficio tecnico. Da sempre, SUN Automation progetta e sviluppa tecnologie durevoli e aggiornabili. L’azienda offre inoltre ai clienti la possibilità di ricondizionare le loro tecnologie o di aggiornarle per restare al passo con
strategie || A sinistra, Justin Mettee, Senior Mechanical Engineer di SUN Automation, ci mostra i rendering dell’ultima revisione di CorrStream. In basso, un campione che mostra la capacità di CorrStream di riprodurre testi di dimensioni molto piccole.
mento sul materiale. Il sistema di asciugatura utilizza lampade IR. Il feeder, il sistema di movimentazione dei supporti e lo stacker di CorrStream sono sviluppati da SUN Automation e ricalcano le caratteristiche dei sistemi tradizionali brevettati dall’azienda. Il motore di stampa è racchiuso in un corpo macchina solido e ben isolato, che ne consente l’utilizzo nei normali ambienti produttivi dell’ondulato, senza che le polveri di lavorazione del cartone o le vibrazioni di altri macchinari possano avere ripercussioni sul risultato della stampa. Formazione e innovazione tecnologica vanno di pari passo
i tempi. La stessa CorrStream è concepita come un sistema modulare, in cui le diverse parti possono essere aggiornate, sulla base di future esigenze di produttività e di qualità. La modularità è una garanzia per i clienti, che hanno così la certezza di salvaguardare il proprio investimento nel lungo periodo. CorrStream: dalla scelta dell’inkjet drop-on-demand al lancio sul mercato Lo sviluppo di CorrStream ha richiesto quasi un decennio di lavoro. Prima di arrivare alla versione attuale, SUN Automation ha messo a punto una serie di prototipi grazie ai quali ha potuto perfezionare varie parti della macchina, nonché verificarne e migliorarne la stabilità. Per la versione definitiva, l’azienda ha scelto la tecnologia inkjet drop-on-demand e individuato
un partner ideale per lo sviluppo dell’engine di stampa. «È stata una sfida impegnativa perché quest’azienda non aveva mai sviluppato piattaforme con un formato di stampa così ampio. – prosegue Aliprando – Abbiamo unito le forze. La loro conoscenza dell’inkjet e la nostra esperienza nella gestione del cartone hanno permesso di sviluppare una macchina performante, che risponde perfettamente a tutti i requisiti che ci eravamo proposti di soddisfare.» Nel 2016, la prima versione completa di CorrStream viene installata presso lo scatolificio HSG di Bradford, in Gran Bretagna. Grazie al digitale, HSG si è adeguata alle nuove esigenze della sua clientela. In particolare gli e-commerce hanno potuto beneficiare delle possibilità di personalizzazione offerte dalla macchina. Inoltre, il formato di stampa ha aperto nuove opportunità di business nell’ambito della stampa di imbal-
laggi di grandi dimensioni. Infine, l’introduzione del digitale ha segnato per HSG il passaggio a una logica di produzione just-in-time, con una conseguente riduzione degli sprechi e dei costi di stoccaggio per i clienti. CorrStream ha una luce di stampa di 1.345 mm. La sua velocità massima è di 70 m/min, corrispondente a una produttività di circa 4.500 fogli 900x1.500 mm all’ora. Il motore di stampa inkjet utilizza teste Kyocera (12 per ciascun colore), che assicurano una risoluzione massima di 600x600 dpi. «Riguardo velocità e qualità di stampa, abbiamo raggiunto un risultato più che apprezzabile per il tipo di utenza a cui ci rivolgiamo», afferma Aliprando. CorrStream dispone di quattro canali colore e utilizza inchiostri base acqua. Questi ultimi sono formulati per garantire adeguata coprenza e qualità dell’immagine senza bisogno di applicare un pretratta-
SUN Automation è intenzionata a supportare a 360° scatolifici e cartotecniche nel percorso di avvicinamento al digitale. Il primo passo consiste nell’offrire a clienti e prospect percorsi formativi ad hoc che possano accompagnarli nel processo di digitalizzazione della propria produzione. Per fare questo, il costruttore vuole innanzitutto rafforzare la propria partecipazione a eventi e conferenze dedicati all’adozione del digital printing nell’industria del packaging. SUN Automation ha predisposto l’apertura di un centro demo nella sede di Baltimora. Al suo interno, oltre alle sessioni dimostrative su CorrStream, l’azienda prevede di ospitare eventi di approfondimento e formazione. Contestualmente, SUN Automation continua a lavorare al potenziamento della propria tecnologia digitale, per renderla sempre più performante e compatibile con le esigenze del mercato. «Il processo di sviluppo di CorrStream è in evoluzione costante. – conclude Aliprando – I feedback che riceviamo da HSG ci permettono di migliorare giorno dopo giorno le performance della macchina».
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strategie Con tre società, oltre 100 dipendenti e un ruolo attivo nelle associazioni di settore, Aro sceglie Pico ColorBOX per efficientare il proprio reparto di prestampa
I pionieri dell’etichetta multi-output vincono la sfida del quality matching di Lorenzo Villa // lorenzo@densitymedia.com
O
ltre che un onore, per la sua militanza tra gli opinion leader del label converting europeo (è stato presidente di GIPEA ed è membro della community FINAT), un incontro con Alberto Quaglia è un’occasione preziosa per comprendere l’andamento di questa industria. «Il nostro è ancora un mercato molto frammentato – attacca senza indugi il giovane direttore generale di Aro SpA – basti pensare che in
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Italia ci sono circa 500 etichettifici e che GIPEA, con i suoi ottanta associati, copre l’80% del mercato in termini di volume. Abbiamo un numero altissimo di operatori che non arrivano al milione di euro, una fascia molto ristretta attorno ai dieci e una manciata di aziende che supera i cento collaboratori e fattura tra i venti e i trenta milioni». Inutile dire che la sua Aro si trova in quest’ultima fascia e rappresenta da decenni un riferimento per il settore, sia in termini tecnologici che di mercati serviti.
Acquisizioni e differenziazione, per competere e crescere Dall’alimentare al beverage, dalla chimica ai beni durevoli, fino a settori iper esigenti come il farmaceutico e la cosmesi. I principali clienti di Aro sono per lo più multinazionali e grandi brand della GDO, ma l’azienda varesina ha ampliato il livello di offerta per essere sempre più appealing e capillare verso le piccole e medie imprese, arrivando ad esempio a sviluppare una gamma di prodotti
specifici per i microbirrifici, che includono etichette, gadget e addirittura soluzioni di packaging personalizzato in cartoncino teso e sleeve. «Siamo sempre stati un converter sui generis – ci spiega Quaglia – ARO è stata fondata da mio padre nel 1977 come produttore di rotoli per registratori di cassa e dopo pochissimi || In alto, a sinistra il reparto di stampa digitale di Aro. A destra, la workstation ColorBOX installata nel reparto di prestampa del gruppo varesino.
strategie Cosa vi spinge a differenziare e innovare costantemente? Per aziende come Aro, stare fermi è un rischio incalcolabile. Lo era vent’anni fa, e lo è ancora di più oggi. Le acquisizioni, l’ingresso in nuovi territori e l’investimento in tecnologia sono comunque parte del nostro DNA. Ultimamente, ad esempio, abbiamo scelto di investire di più nella nostra immagine, dotandoci di strumenti di marketing e comunicazione evoluti.
intervista a Alberto Quaglia Direttore Generale, Aro SpA
“Avevamo produzioni di lastre, macchine, chimiche e interpretazioni diverse sia della quadricromia che delle tinte piatte. Così abbiamo iniziato un percorso per ottimizzare l’output su tutte le macchine.”
Più un vezzo o una necessità? Lo facciamo per vari motivi. Il principale è riuscire a parlare lo stesso linguaggio dei nostri clienti, per lo più multinazionali in settori come il food, la cosmesi e l’industria. Come si fa a presidiare efficacemente tanti mercati? Il nostro vantaggio è sempre stato quello di non essere mai troppo specializzati, di saper trasferire le competenze con cui approcciamo un settore agli altri. Arrivando dal food, ad esempio, abbiamo sempre seguito regolamentazioni stringenti e per questo non abbiamo mai spento la flexo base acqua, che oggi si sta trasformando in uno strumento formidabile e sicuro. Come vedi la crescita del digitale e le soluzioni ibride? Faccio ancora fatica a concepire l’ibrido come strumento di produzione, essenzialmente perché il nostro cliente non è ancora abituato a progettare il packaging per la stampa ibrida. Il digitale ha fatto enormi passi in avanti, soprattutto con
anni, complice una presenza molto forte nella GDO, abbiamo affiancato le etichette per il confezionamento e quindi soluzioni per la logistica». Una premessa che lascia intuire la velocità d’azione della famiglia Quaglia, che in pochi anni ha prima messo a segno l’acquisizione di Marchitalia e poi finalizzato la partecipazione al capitale di Mida Etichette. E che in tempi più recenti ha dato vita a progetti imprenditoriali innovativi, come quello di Mall Consulting. La newco, dal nome evocativo, che
ha proiettato il gruppo Aro nel campo della gestione completa dei processi di etichettatura, dalla consulenza alla stampa, dalla tracciabilità alla logistica. Ma una realtà così importante e diversificata non esisterebbe se, alle intuizioni dei suoi titolari, non avesse progressivamente affiancato investimenti in tecnologie innovative. Dalla serigrafia piana alla flexo, da HP Indigo all’inkjet Se la stampa, intesa come forma
l’inkjet, tuttavia l’analogico ha ancora dei plus oggettivi se lavoro con tinte spot Pantone e metalliche, o effetti che riprodurre in digitale è ancora complicato. Credo che le tecnologie digitali oggi sul mercato siano oggi complementari tra loro. Noi, per esempio, abbiamo HP Indigo, che sfruttiamo moltissimo per le produzioni personalizzate. Fin dove si può personalizzare? Fin dove i clienti ce lo permettono: il dato variabile è un’opzione straordinaria, che il marketing di molti brand ancora fatica a comprendere. Solo quando il digitale non sarà più un ciclostile per pochi pezzi, avremo fatto un passo da gigante. Quanto è importante equalizzare gli output? Riprodurre colori di processo e spot su diverse attrezzature non era più una criticità da parecchi anni, ma da quando ci siamo integrati con Mida i problemi hanno iniziato a crearsi: avevamo produzioni di lastre, macchine, chimiche e interpretazioni diverse sia della quadricromia che delle tinte piatte. Così abbiamo iniziato un percorso per ottimizzare l’output su tutte le macchine, ma con due sfide aggiuntive: esaltare il risultato delle macchine che potevano di spingersi oltre un certo gamut, e aderire alle varie normative ISO per la flexo e le altre tecnologie.
cromie e dei Pantone. Ma anche poterci spingere a realizzare un progetto di packaging completo, dove il colore dell’etichetta è uguale al tappo in litolatta, alla scatola in cartone teso o al pack in plastica. Come siete arrivati a ColorBOX? Tutto è nato dalla collaborazione con Magnetic Media Busto Arsizio, un fornitore e un partner competente. Tra i temi che ci hanno attratti c’è stato ad esempio il risparmio nel consumo di inchiostri, che supera il 10%, che ci vede sensibili non solo per ragioni economiche ma anche di sostenibilità. Inoltre volevamo semplificare la vita ai nostri stampatori. Spesso l’interpretazione del RIP genera inutili sovrapposizioni di colore: un nero sotto ai colori di rinforzo, ad esempio crea problemi di asciugatura e a volte può pregiudicare l’adesione su certi materiali. Binuscan cancella usi e consuetudini sbagliati, ma radicati nei processi di trattamento dei file.
Con quali vantaggi pratici? L’idea era poterci presentare ad un cliente con uno stampato classico, rispettoso delle densità, delle
Non vi ha spaventati una soluzione così poco diffusa? Binuscan e Pico hanno una certa seniority. E poi nel mio settore di matrimoni poco scontati ne ho fatti parecchi, specie quando ho reputato una tecnologia innovativa e funzionale in quel preciso nel momento. Dare fiducia a progetti pionieristici ricade nel rischio d’impresa e a volte ti dà qualche chance in più. In questo caso, poi, non vedo alcuna instabilità quanto piuttosto la continuità di una visione tecnologica solida e originale.
di decorazione evoluta, non era il tema chiave all’inizio della storia di Aro, i quattro decenni successivi hanno cambiato radicalmente la situazione. «Il nostro background tecnologico era legato alla flexo, ma l’acquisizione di Marchitalia nel 2003 è stata determinante nella nostra evoluzione nel campo del printing – chiarisce Quaglia – quell’azienda operava nella serigrafia industriale a foglio e a bobina, e ci ha permesso di spostarci dal food e dalla logistica verso l’etichettatura industriale,
sia in grandi volumi che a livello prototipale. Così abbiamo iniziato ad avere un pensiero duplice e a governare problematiche diverse». Un tour dei 7.000 m2 coperti dello stabilimento Aro di Cavaria, in effetti, rendono l’idea della straordinaria diversity che caratterizza la produzione aziendale e della volontà di soddisfare in modo innovativo ed ecosostenibile le esigenze più disparate. Nell’area della prestampa flexo, basata su hardware Esko e sulla tecnologia di esposizione DuPont
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strategie 1
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|| 1) Un’operatrice al lavoro sulla workstation ColorBOX in uso presso la prestampa centralizzata del Gruppo Aro. 2) Il reparto di produzione dei polimeri flexo, equipaggiato con tecnologie Esko e DuPont Cyrel. 3) Le nuovissime stampanti inkjet Mimaki UJF impiegate per la prototipazione e la produzione su materiali speciali. 4) Il reparto di stampa flexo nello stabilimento di Cavaria.
Cyrel, convivono processi tradizionali con nuovissime stampanti inkjet UV-curable Mimaki, utilizzate per la produzione di etichette ultra-specialistiche in piccoli lotti, e sistemi di fustellatura e cordonatura digitali Esko Kongsberg. «Oggi siamo in grado di realizzare mockup e prototipi tridimensionali di packaging, completamente vestiti con etichette di qualità, pronti in poche ore per presentazioni e test di mercato». Ma solo pochi metri più in là a farla da padrona è l’enorme capacità produttiva garantita dalle linee flexo, cui si affianca il sito produttivo di Mida. Entrambe le aziende, poi, impiegano linee di stampa digitale a bobina HP Indigo WS6000, e sistemi di converting digitale Labelmaster di SEI Laser. «Investiamo in nuove tecnologie digitali, che ci danno flessibilità e capacità di rispondere rapidamente – dice Quaglia – ma parallelamente immettiamo nuova capacità produttiva flexo, con cui stampiamo alti
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volumi di carta, cartoncini, materiali plastici adesivi e non, accoppiato e tanto altro». Tra analogico e digitale, coerenza qualitativa e cromatica sono un must Se già nella stampa a foglio è a volte complesso ottenere un perfetto matching cromatico e qualitativo tra l’offset e gli engine digitali basati su tecnologie inkjet, a toner in polvere e a toner liquido, in aziende dove convivono processi sheet-fed e web-fed questa sfida rischia di trasformarsi in un incubo. Non è casuale che nel mondo labels il tema inizi solo ora ad essere dibattuto con più insistenza a seminari e convegni. Al pari dei più grandi label converter, anche in Aro la coesistenza di differenti sistemi di realizzazione delle forme da stampa, costruzione digitale dell’immagine, retinatura, inchiostrazione con calamai offset o rulli anilox, con l’aggravante
di una produzione ripartita su più stabilimenti, genera una quantità di variabili impressionante. Per questo Alberto Quaglia e il suo team hanno avviato già da anni un processo di scouting tecnologico tra i propri fornitori, ultimamente sfociato in un ambizioso progetto di consulenza, testing e validazione capitanato da Stefano D’Andrea. Un percorso che ha portato a identificare come soluzione elettiva Binuscan, un brand che oltre 25 anni fa è stato l’apripista nella correzione automatica del colore nelle arti grafiche e nell’editoria. Una soluzione che in anni più recenti molti hanno considerato sovradimensionata, ma che oggi – complici le accresciute esigenze qualitative, la pressione sui costi operativi e la complessita dei workflow – sta guadagnando rapidamente consensi. A trasformare il geniale algoritmo elaborato da Jean-Marie Binucci in una soluzione di successo è stata l’emiliana Pico, che grazie a
tecnici esperti come Marco Tunesi ha introdotto sul mercato ColorBOX, un hardware compatto che integra il CMS Server di Binuscan e la tecnologia IPM Service per il ricampionamento delle immagini. Ma il merito è anche di dealer capaci di comprendere e portare sul mercato prodotti più complessi da spiegare, ma infine fortemente differenzianti, come Magnetic Media Busto Arsizio. ColorBox è oggi installata presso la prestampa di Mida Etichette, ma ogni giorno processa centinaia di file per tutto il gruppo Aro, garantendo risultati equalizzati su tutte le tecnologie di stampa. «ColorBox ci ha permesso non solo di linearizzare l’output su tutte le linee di stampa analogiche e digitali – conclude Quaglia – ma ci ha consentito di esprimere al massimo le performance qualitative di quelle attrezzature, come HP Indigo, il cui gamut cromatico può andare di misura oltre i risultati dell’offset e della flexo».
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strategie L’austriaca Rondo ha scelto la single-pass di Durst per offrire a brand owner globali, retailer e clienti locali nuove soluzioni di packaging in cartone ondulato
L’inkjet single-pass è pronto per le esigenze “specialty” dei big del packaging di Lorenzo Villa // lorenzo@densitymedia.com
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iù stabilimenti, più mercati, più esigenze qualitative/creative, diverse velocità e diversi livelli di pricing. E di conseguenza diverse tecnologie. Come già abbiamo visto qualche mese fa su Italia Publishers, è qui che per molti nasce un vero e proprio dilemma di carattere tecnologico. E una domanda tra tutte: digitale sì, o digitale no? E forse più ancora, quale forma di digitale? Questione spinosa, dato
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che il mondo dell’ondulato deve far convivere volumi che, benché piccoli, restano enormi, con alte velocità di produzione e costi unitari che non possono sforare certi budget. Questa è l’arena in cui una manciata di costruttori dell’inkjet a livello globale si sta trovando a competere. Perché solo una manciata? Forse perché movimentare, stampare e asciugare ad alte velocità un materiale povero come il cartone è più difficile di quanto sembri. Tra questi player c’è
l’altoatesina Durst, che ha impiegato qualche mese piu del previsto a rilasciare la sua piattaforma Delta SPC 130, ma oggi può dire di essere pronta. Potevamo quindi esimerci da un’incursione pre-estiva presso il piu importante utilizzatore della versione aggiornata di questa imponente single-pass? Un leader europeo dell’ondulato
piccola stazione ferroviaria, il sito produttivo di Sankt Ruprecht è solo uno dei nove stabilimenti del gruppo austriaco Rondo, sparsi tra Austria, Germania, Ungheria, Romania e Turchia. Ma anche il più innovativo. Qui vengono infatti realizzati tutti i prodotti specialistici, ovvero quelli a maggior valore aggiunto sul piano tecnico, creativo ed economico. Ad
Adagiato nel cuore di un borgo da cartolina, a pochi metri dalla
|| In alto, la linea inkjet Durst Delta SPC 130 installata presso Rondo
strategie
intervista a Karl Pucher Managing Director Rondo, Sankt Ruprecht
“Un nostro cliente nel campo del flooring, che da anni utilizzava l’inkjet nel proprio processo, ci chiedeva perché il nostro settore fosse così old fashioned, così lento.”
Chi è il cliente tipo di Rondo? Abbiamo una clientela eterogenea, sia per categoria merceologica che per dimensione, sebbene il focus principale sia sull’industria alimentare. È un mix bilanciato di multinazionali, per cui produciamo regolarmente milioni di pezzi, ma anche piccole aziende locali e cantine vinicole, cui forniamo regolarmente poche migliaia di scatole. Gli altri siti di Rondo sono invece più verticali su settori come l’automotive, il food o il farmaceutico. È anche da questa diversity che nasce l’innovazione? Dialoghiamo con il brand a partire dall’idea e arriviamo al prodotto finito, non importa che sia una scatola havana o un progetto di personalizzazione completo. Questo ci ha imposto di investire in reparti di ricerca e sviluppo, prestampa, prototipazione, produzione e converting. Ad esempio abbiamo un ondulatore con cui produciamo cartone con onde B, C, D, E ed F, oltre a tutte le combinazioni correlate, per un totale di circa 14 combinazioni. Per questo pensiamo che la stampa digitale sia lo strumento giusto per noi. Quando avete iniziato a pensare all’inkjet? Sono entrato nel settore nel 2012 e Robert molto prima di me. Insieme abbiamo partecipato ai primi convegni FEFCO, dove il digital printing era l’argomento più caldo, che tuttavia suscitava una certa ilarità. L’inkjet era molto lontano dalla nostra industria, finché BOBST è arrivata con un grande progetto, che si
accoglierci e guidarci in un viaggio tra passato, presente e futuro dell’ondulato, sono il managing director Karl Pucher e il direttore di produzione Robert Posch. Quando l’integrazione fa la specializzazione Lo stabilimento Rondo di Sankt Ruprecht è un esempio di efficienza e integrazione. Dall’ondulatore alle linee di stampa e converting, fino alla logistica dei prodotti
finiti in uscita, infatti, i percorsi sono brevi e l’efficienza altissima. «Il sito in cui ci troviamo esiste dal 1971. Inizialmente qui si stampava in flexo, ma negli ultimi vent’anni, grazie anche a un plant manager molto ambizioso, sono stati introdotti processi di stampa e converting innovativi. Al punto che all’interno di Rondo siamo diventati la divisione Specialty – ci spiega Pucher – Tra le innovazioni di cui andiamo orgogliosi c’è un esclusivo reparto di stampa offset,
proponeva di essere il game changer del settore. Lì tutti hanno iniziato ad avere paura, noi compresi. Stavamo installando una nuova linea flexo a 6 colori e ci chiedevamo se l’avremmo mai riempita! Come avete scelto di agire? Anche se le prime piattaforme inkjet non funzionavano, molti ne hanno visto il potenziale, e anche i nostri clienti hanno iniziato a esprimere interesse per il digitale. Un nostro cliente nel campo del flooring, che da anni utilizzava l’inkjet nel proprio processo, ci chiedeva perché il nostro settore fosse così old fashioned, così lento. La proprietà di Rondo ha così avviato un importante processo di scouting tecnologico sul digitale. Cosa vi ha portati ad abbracciare il progetto di Durst? Non nego che rivolgersi a un fornitore locale è un enorme vantaggio, ma non è stato il criterio per affrontare un investimento milionario. Durst ci ha convinti perché non viene dal ferro, ma possiede competenze straordinarie nel campo dell’inkjet, anzitutto a livello chimico e colorimetrico. Ad esempio, noi non volevamo utilizzare una chimica UV, ma neppure dover pretrattare il materiale. E Durst stava andando esattamente in questa direzione. Quali erano le preoccupazioni, gli errori da non commettere, le sfide tecniche e produttive? Conoscevamo già l’inkjet, ma consideravamo le stampanti multipass una scelta compromissoria con macchine Koenig & Bauer progettate e costruite esclusivamente per noi nel 2005, in grado di stampare direttamente su ondulato con onde E ed F. All’offset e alla laminazione si aggiungono linee flexo a 6 colori, la flexo HD e oggi l’inkjet di Durst». Dalle scatole ai display extra large, tutto in un click Una delle criticità derivanti dall’introduzione del digitale in
già percorsa da troppi. Quindi non era interessante per noi. Volevamo una macchina produttiva, che potesse lavorare ai ritmi della flexo, ma al contempo soddisfare le esigenze dei nostri clienti che necessitano di qualità offset. La personalizzazione è un vero driver? Non è ancora un vero argomento e non è quello che ci ha spinti ad acquistare Delta SPC. Tuttavia ne intravediamo la potenzialità e abbiamo già sviluppato alcuni progetti. Per esempio Heineken ci ha commissionato 40.000 scatole per i campionati mondiali di calcio, ciascuna con un interno differente. La promozione prevede che il consumatore, fotografando l’interno della scatola, scopra se ha vinto un biglietto omaggio per i mondiali. Altri clienti, che prima ordinavano diecimila scatole tutte uguali, oggi ne ordinano magari quattro batch da 2.500, differenziati per grafica e per target. Così i volumi restano elevati e si può utilizzare la stessa fustella, ma la stampa diventa il fattore differenziante. I brand hanno compreso il potenziale del digitale? Abbiamo già clienti molto evoluti, che nel loro ufficio acquisti hanno packaging designer specializzati, che lavorano per ottimizzare il packaging e dialogare con aziende come la nostra. Ci chiedono come possono essere più efficienti, flessibili, creativi. Vogliono comprendere le possibilità tecniche che possiamo offrire con l’inkjet, senza focalizzarsi troppo sul prezzo. aziende analogiche è da sempre l’armonizzazione delle periferiche inkjet con quelle analogiche, soprattutto in presenza di macchinari di finishing e linee di converting altamente automatizzate e di lavorazioni in linea o nearline. La stampa digitale rischia di trasformarsi in un’entità aliena, che impone di ridisegnare i workflow. L’ingresso di Delta SPC 130 in Rondo, tuttavia, sembra aver determinato una reazione diversa. «Il grande vantaggio di
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strategie una single-pass inkjet come SPC è avere un formato che si abbina alle nostre linee di fustellatura e di finishing, dandoci la possibilità di realizzare materiali più grandi in pezzo unico – spiega Robert Posch – questo si è tradotto anche nell’opportunità di realizzare display di grandi dimensioni in basse tirature, con elevati livelli di personalizzazione. Prodotti che prima dovevamo realizzare in due pezzi e a costo di lunghe operazioni manuali». Anche la logistica di materie prime e semilavorati risulta molto semplice, con i fogli di ondulato che arrivano direttamente a bordo macchina dall’ondulatore, e in uscita vengono trasportati verso la fustellatura su nastri trasportatori. «Quando hai un workflow molto compatto e uno spazio ridotto 1
tra l’ondulatore e il resto dell’azienda, più vai dritto e meglio è – conclude Posch – quindi in realtà è l’offset a essere poco efficiente a causa delle lunghe attese dei semilavorati stampati, anche di 12-24 ore, prima di poterli inviare alla fustellatura». Verso l’ecosistema digitale? Benché progettata e costruita per sopperire a esigenze industriali, nessuna stampante è un’isola. Il tema dell’interconnessione con le piattaforme e gli stakeholder a monte e a valle della stampa inkjet è un argomento rilevante anche per Rondo. «Abbiamo integrato tutte le tecnologie e oggi tocca al digitale, che implica nuove sfide per il nostro dipartimento di prestampa, ma anche
enormi vantaggi pratici – racconta Pucher – oggi abbiamo un partner esterno che realizza le lastre offset e i polimeri flexo, che talvolta implicano lungaggini e costi extra per i rifacimenti. Per questo l’adozione dell’inkjet ha solo accelerato un processo di digitalizzazione già in corso». L’innovazione tecnologica in Rondo è già ai massimi livelli: l’azienda ha al proprio interno software e risorse dedicate al design, alla progettazione parametrica del packaging, alla grafica per vestirlo, alla gestione del colore. «Se in flexo stampi per lo più tinte piatte, con il digitale hai più opzioni e automaticamente i file grafici diventano più complessi. I creativi non si limitano più a uno, due o tre colori, ma utilizzano l’intero spettro, che va poi governato. – conclude Pucher – Se prima avevamo da
elaborare 50 immagini al giorno, oggi ne abbiamo 500». Per gestire flussi di lavori così complessi oggi Rondo utilizza una potente infrastruttura MIS, che dialoga con i software per la gestione dei dati variabili, con il color management di GMG, le soluzioni di automazione di Esko e ovviamente il RIP per l’output sulla Durst. Uscendo dal reparto produttivo di Rondo ci chiediamo se mai l’intero ecosistema della produzione di ondulato potrà essere digitale o digitalizzata, ma anche qui Karl Pucher ha pochi dubbi. «Alla fine prevarrà un modello digitale, in cui avremo maggiore standardizzazione nella dimensione dei fogli, nelle uscite dagli ondulatori, nella stampa e nella fustellatura. E non credo che dovremo aspettare 15 anni perché questo accada».
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|| 1) Il gruppo di introduzione manuale dei fogli di ondulato sulla Durst Delta SPC 130 di Rondo. 2) Il modulo di alimentazione con conveyor belt, a foglio singolo, dotato di un’unità di cleaning del cartone. 3) I fogli stampati sul belt di uscita, disposti a squame, subito dopo le fasi di asciugatura e raffreddamento. 4) I fogli impilati, in uscita dalla macchina da stampa, vengono depositati sul belt per l’invio automatico verso la linea di fustellatura.
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strategie La vicentina Italgrafica Sistemi è il primo utilizzatore mondiale di XJet, la piattaforma elaborata da Omet e Durst con un cuore inkjet ad alte prestazioni
Soluzioni iper-tecniche, alta qualità e ibridazione, ecco la ricetta per crescere di Lorenzo Villa // lorenzo@densitymedia.com
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talgrafica è l’etichettificio che non ti aspetti. Non tanto per il parco macchine o la tipologia di clienti, ma senza dubbio per lo spirito del suo fondatore e titolare. Con la sua Konig Print – una cassaforte costituita per acquisire aziende e partecipazioni strategiche – Francesco Niorettini non è solo uno stampatore appassionato, ma un imprenditore capace di guardare oltre l’arte nota, incoraggiare l’innovazione, comprendere in anticipo i mutamenti
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del mercato e intuire le giuste mosse da mettere a segno. L’occasione per una visita presso il sito di Castelgomberto è di quelle ghiotte: parliamo della prima installazione al mondo di XJet, la linea di produzione per etichette nata dalla tradizione innovativa di Omet nei macchinari per il label converting, combinata con le competenze di Durst nell’inkjet. Due costruttori italiani che, a scapito della comprovata incapacità delle nostre aziende di fare sistema, hanno messo insieme una piattaforma tra le più
innovative. Ma ora scopriamo insieme le origini di questo successo. Competenze industriali per vincere nuove sfide Italgrafica Sistemi, che lo scorso anno ha compiuto 25 anni, conta un team di quasi 70 persone, tra i 40 collaboratori della sede di Vicenza, i 15 dell’etichettificio LG Trento di Lavis e una rete di 10 agenti, per un fatturato complessivo che supera i 12 milioni di euro. Al pari di altre aziende di questo
territorio, le origini del business sono legate a filo doppio alla storia del distretto industriale vicentino, che fino a quindici anni fa aveva nella filiera dell’elettrodomestico uno dei suoi fiori all’occhiello. «Inizialmente producevamo etichette per l’imballaggio, ma presto ci siamo specializzati nella produzione di etichette durevoli ad altissime || In alto, la ibrida XJet ingegnerizzata da Omet e Durst, installata nel reparto di produzione di Italgrafica Sistemi a Castelgomberto, Vicenza
strategie Qual è stata la prima leva che vi ha fatti guardare al digitale? Quando abbiamo acquistato la prima Xeikon l’abbiamo vista come uno strumento per realizzare piccoli quantitativi in modo più efficiente, su differenti materiali.
intervista a Francesco Niorettini Fondatore e Titolare di Italgrafica Sistemi
“Abbiamo commesse complessivamente molto grandi, che a fronte di un layout comune impongono numerosi cambi di lingua, grafica, palette cromatica...”
prestazioni per lavatrici e lavastoviglie, stampate in serigrafia o in flexo – spiega Niorettini – tra i nostri clienti c’erano Merloni, Whirplool, Electrolux. Poi, tra il 2005 e il 2006 ho iniziato a sentire odore di crisi e di delocalizzazione, e rapidamente ho deciso di differenziare business aprendo all’industria alimentare e all’healthcare». Eppure le profonde competenze maturate da Italgrafica nell’etichettatura industriale si rivelano la chiave per vincere anche in settori già popolati e competitivi, al punto da riuscire ad elaborare soluzioni uniche e fortemente differenzianti. «Sin dall’inizio, dialogando con i brand del food & beverage, abbiamo colto problematiche tecniche che i nostri competitor non avevano riconociuto, e ne abbiamo fatto il nostro punto di forza – prosegue Niorettini – avendo un grande know-how sull’adesivo, abbiamo offerto soluzioni in grado di coniugare requisiti tecnici e un ottimo rapporto qualità/prezzo. Per un
Solo due anni dopo siete approdati all’inkjet e all’ibrido. Qual è oggi la scommessa? Gestire in modalità digitale volumi molto elevati, anzitutto per sopperire alle inefficienze dei cambi lavoro: abbiamo commesse complessivamente molto grandi, che a fronte di un layout comune impongono numerosi cambi di lingua, grafica, palette cromatica. Stiamo poi lavorando su nuove tipologie di etichette con dati variabili, legate a concorsi e promozioni. Quanto XJet è efficientamento di commesse preesistenti, e quanto è nuovo business? Per dirlo con certezza servirà qualche mese. La prima sfida è portare XJet al volume minimo necessario per ripagarsi, il che si sta rivelando abbastanza semplice. Quando cliente che produce birra e voleva recuperare i fusti, ad esempio, abbiamo proposto un’etichetta auto-removibile in fase di lavaggio». Così, tra il 2006 e il 2010, Italgrafica è cresciuta a tassi esponenziali, fino alla costituzione della capogruppo Konig Print e all’avvio della strategia di investimenti. «Abbiamo acquisito LG Trento, un etichettificio specializzato nel vino, che usciva da lunghe traversie societarie e oggi è uno dei nostri gioielli – spiega il titolare di Italgrafica – inoltre sviluppiamo e commercializziamo tecnologie di inkjet entry-level, mentre stiamo aumentano l’export vendendo direttamente in mercati come Svizzera, Francia e Germania. Ma il denominatore comune di tutto ciò che facciamo è un alto livello di sofisticazione tecnologica». Un passo avanti nella tecnologia Al di là della personale visione di Niorettini, sul piano delle
andremo a regime, però, prevediamo che il 50-55% saranno lavorazioni convenzionali, mentre il resto della capacità dovrà essere colmata da lavorazioni innovative e inedite. Anche quello di Omet e Durst è un binomio inedito… Lo confesso, non era affatto scontato che queste due aziende potessero essere le due ideali metà di una stessa mela. Ma entrambe hanno contenuti unici. La prima linea Omet l’abbiamo acquistata nel 2000, mentre Durst è un brand nativo digitale, che si è distinto per serietà sin dalla prima versione di Tau. Omet aveva già avviato un progetto digitale con un altro brand dell’inkjet, che non ci ha mai convinti né per qualità né per prestazioni. Tutto è cambiato quando Omet si è invece legata a Durst per realizzare una macchina ibrida capace di unire il meglio dei due mondi. E XJet con i suoi 80 metri al minuto in qualità, è davvero degna delle prestazioni di una flexo.
e il training, quindi è ancora tutto sulla carta. Ma se confrontiamo un’attrezzatura analogica con il digitale, non c’è dubbio che il digitale ha oneri di manutenzione superiori. È altrettanto vero, però, che il maggior costo viene riequilibrato da minori costi di prestampa, polimeri, avviamenti, smaltimento di consumabili e di chimica. Certo gli operatori devono acquisire nuove competenze, ma siamo fortunati perché abbiamo un team giovane, dinamico ed entusiasta di questa innovazione.
Parliamo di manutenzione... Abbiamo concluso l’installazione
Quali sono i tratti davvero unici di XJet? A dire il vero non ci sono molte soluzioni ibride sul mercato, ma l’engine a 8 colori di Durst, l’altissima qualità e la velocità ne fanno un mix assolutamente unico. Inoltre, grazie allo svolgitore e riavvolgitore indipendenti sul modulo Tau, possiamo scegliere se utilizzare la linea ibrida completa o solo il modulo inkjet, dove il percorso carta molto breve ci fa risparmiare un’enormità di tempo e di materiale in fase di approntamento e avviamento.
tecnologie e dei macchinari la storia di Italgrafica non è dissimile da quella dei più evoluti etichettifici europei. «Uno sguardo attento alla tecnologia l’abbiamo sempre avuto – spiega il fondatore e titolare – nel 2007 ad esempio abbiamo investito nell’RFID e oggi produciamo etichette con microchip. Poi abbiamo sviluppato tecniche evolute per realizzare etichette multipagina e infine abbiamo investito per fare un uso evoluto del dato variabile. Ci siamo sempre spinti su questo mercato, realizzando ad esempio kit multimaterici di etichette per l’assemblaggio degli elettrodomestici, etichette multipagina sagomate, talvolta anche accoppiando diversi materiali. Lavoriamo in collaborazione con i designer, che ci stimolano a trovare soluzioni tecniche per soddisfare i loro bisogni». Gli ultimi anni sono stati per Italgrafica un crescendo di investimenti e installazioni di nuove macchine, sempre contraddistinte da funzionalità
particolari e, laddove possibile, da personalizzazioni spinte della tecnologia. Da qui nasce il rapporto elettivo con Omet, che alla modularità costruttiva unisce una non comune personalizzazione sartoriale delle configurazioni. Anche il digitale in Italgrafica arriva forse in leggero ritardo, ma con idee molto chiare. Nel 2015 l’azienda introduce una Xeikon 3300 con toner ICE, in grado di stampare anche film: una scelta votata all’altissima qualità e alla volontà di precludersi il meno possibile quanto a carte naturali e materiali. E dopo soli due anni i tempi sono maturi per un ulteriore step. «Ho sempre pensato che toner e inkjet dovessero integrarsi in un ecosistema ibrido fatto di digitale e analogico – spiega Niorettini – quindi, mi è piaciuta da subito la combinazione tra un digitale molto performante come quello di Durst, con teste Samba e un engine a 8 colori, sincronizzato con i moduli analogici di Omet: di fatto è l’unica via possibile per
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|| 1) La piattaforma XJet vista dal lato di ingresso. 2) Dettaglio dei moduli flexo. 3) La sezione di uscita della macchina con il modulo di die-cutting. 4) Il modulo digitale di XJet, costituito da Durst Tau 330 RSC, può essere utilizzato in modo indipendente dal resto della linea ibrida.
realizzare etichette particolari e multipagina, coupon per concorsi, e prodotti per l’industria. L’inkjet guarda agli alti volumi Quando si parla di digitale vs analogico, uno dei temi ricorrenti è quello del breakeven. Ovvero la ricerca del famoso punto di pareggio che rende una tecnologia più o meno economica o antieconomica a fronte di un certo volume produttivo. È questa una delle aree in cui le nuove tecnologie inkjet, dotate di produttività enormemente superiori agli engine digitali del passato, stanno cambiando i paradigmi cui siamo abituati. Questo è il territorio su cui Italgrafica ha scelto di giocare la partita dei nuovi investimenti, al centro della quale c’è XJet. «La nostra sfida è quella di fare numeri sempre più grandi in modalità digitale, per questo abbiamo concepito l’investimento su XJet non come una panacea per le basse tirature, ma come la chiave digitale ai volumi medio/alti – afferma orgoglio Niorettini – già in questi primi
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giorni di produzione ibrida abbiamo gestito alti volumi di etichette per detersivi e olio su polipropilene e polietilene. Mentre la maggior parte degli engine digitali diventa antieconomica sui singoli lavori oltre i 2-3000 metri lineari, con XJet puntiamo ai 10-15.000 metri. Il digitale potrà dirsi rivoluzionario solo quando avrà le potenzialità per soppiantare una flexo». Il futuro è piena integrazione e un’offerta iper-tecnologica Nei due siti produttivi, dove convivono flexo, digitale, serigrafia e offset, Italgrafica ha ottimizzato le risorse e sfrutta tutte le sinergie, evitando ridondanze e appesantimenti. L’azienda ha sempre a magazzino almeno 150 tipi di materiali, che diventano quasi 300 con i supporti dedicati al vino. Stesso discorso per i foil metallici, sia a freddo che a caldo, stampabili anche in digitale. Tutta l’organizzazione è governata da un software MES, che consente di effettuare una programmazione precisa e verificare costi e consumi di
materiali e inchiostri. Per ottenere una qualità di stampa elevatissima e gestire il colore in modo evoluto, Italgrafica utilizza già da otto anni il software Kodak Prinergy, abbinato alla tecnologia di incisione dei polimeri Kodak NX. Tutte le macchine sono inoltre accuratamente mappate e caratterizzate, così che ad ogni output vengano applicate le curve più appropriate. «Grazie alla tecnologia NX otteniamo con la flexo una qualità pressoché identica all’offset – spiega Niorettini – e sebbene i polimeri abbiano un costo rilevante, il cliente è disponibile a spendere di più per un prodotto di grande impatto visivo». Proprio il rapporto con il cliente e la capacità di superarne le aspettative, è uno degli elementi che rende unica la proposta di Italgrafica. «Abbiamo clienti che pianificano un’intera giornata un avviamento e dopo 30 minuti se ne vanno con il loro prodotto approvato», afferma orgoglioso. Ma se la qualità percepita è un argomento apparentemente scontato, è da sempre più complesso definire quanto la stampa digitale possa
esserlo a sua volta. Ma anche su questo punto Niorettini ha le idee chiare: «Il digitale di per sé non è un’argomentazione rilevante. La convinzione comune è che il digitale sia una tecnologia compromissoria e di scarsa qualità, ma mostrare prodotti come quelli che realizziamo noi, lascia i clienti increduli». E la concorrenza? Se il digitale è di per sé una sfida, parallelamente aumenta il numero di operatori del commercial printing e del web-to-print che si affacciano alla produzione di etichette. «Il cambiamento è già iniziato. Uno degli effetti dell’ultima crisi ha portato tantissime aziende della stampa a foglio e a modulo continuo a convertirsi al packaging e alle etichette, ingolositi da marginalità più interessanti – conclude sereno Niorettini - ma investire in innovazione per noi è il modo migliore di alzare l’asticella. Aumentare il livello di professionalità e il tasso tecnico ci aiuta a tenere le distanze. In sintesi, ci sarà sempre una tipologia di prodotto antieconomico per i generalisti. E noi saremo sempre lì».
strategie Giovanardi affronta in modo originale il tema dell’innovazione e della prototipazione, integrando anche piattaforme full-digital di Protek e Durst
La retail factory guarda al futuro tra artigianalità, tecnologia e Industry 4.0 di Lorenzo Villa // lorenzo@densitymedia.com
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rima ancora di varcare la soglia di Giovanardi, è utile definire come questa azienda si posiziona nel panorama dei fornitori del nostro settore. Ebbene – lo premettiamo – in modo assolutamente unico, originale e difficile, se non impossibile, da clonare. Se più di uno stampatore ha seguito la via della cartotecnica e dei materiali POP, per calcare le orme di Giovanardi bisognerebbe ripercorrere i suoi 100 anni di storia.
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E ancora non basterebbe. Mi verrebbe da dire, infatti, che la vera mission di questa azienda è dare forma, struttura, estetica e funzionalità alla materia. Entrando nella splendida sede, ad accoglierci ci sono decine di creazioni multimateriche per brand prestigiosi. E una guida gentile e appassionata come Massimo Giovanardi. Se tutto oggi strizza l’occhio al retail e ai meravigliosi display, scorrere la storia aziendale e dialogare con il suo titolare ti fa capire che non è tutto qui. E che il retail, benché
enorme e complesso, è solo una parentesi in una storia che non si preclude nulla. Ma è entrando nei reparti che la percezione di un maggior respiro industriale si trasforma in una solida certezza. Altro che trasformatore di display. Altro che serigrafia. Questa è una vera e propria industria! Dal brief del cliente all’R&D, fino all’ingegnerizzazione del prodotto, tutto in Giovanardi è uno scambio osmotico di competenze. Già, le competenze: un fattore tutt’altro che scontato in un mercato a volte
impoverito e banalizzato. E un ingrediente che, una volta acquisito, va preservato, affinato, condiviso, e reso fruibile perché possa generare dei frutti. Sembra una favola moderna, ma questo è ciò che avviene ogni giorno in Giovanardi, dove un giovane e sorridente || In alto, l’Area Tecnica è il cuore pulsante della produzione di Giovanardi. Qui avviene il briefing con il cliente e qui lavorano fianco a fianco il direttore di produzione, i supervisori e tutto il team di R&D.
strategie Visto da fuori quello del retail sembra un mercato ricco ed esclusivo. Come funziona? Certo il mercato che presidiamo è iper-esigente e selettivo, ma non è tutto oro quello che luccica. Alcuni brand portano la relazione al limite e si fa strada una cultura per cui guardagnare diventa un peccato.
intervista a Massimo Giovanardi Amministratore Delegato di Giovanardi SpA
“Non puntiamo a crescite di fatturato esagerate, quanto piuttosto ad applicare le nostre capacità e tecnologie per servire nuovi settori industriali”.
Significa che puntate alla crescita attraverso la differenziazione del business? Abbiamo costruito una piccola e flessibile industria, che ha conseguito le certificazioni più severe ed è in grado di servire i clienti a livello globale. Abbiamo un alto tasso di successo grazie alla capacità di sviluppare progetti unici, sebbene un pezzo, una volta sviluppato, sia sempre replicabile. Dobbiamo essere flessibili e perseguire una customizzazione esasperata, ma è un modello impossibile da scalare. Per questo non puntiamo a crescite di fatturato esagerate, quanto piuttosto ad applicare le nostre capacità e tecnologie per servire nuovi settori industriali.
quanto le piccole, stanno affrontando seriamente e che offre grandi agevolazioni dal punto di vista economico/finanziario. Nel nostro caso, tuttavia, abbiamo deciso di non ricorrere all’iper ammortamento e di andare per gradi. Il rischio è comprarsi una Ferrari per muoversi in città, dove si gira meglio con una 500. Interconnettere le attrezzature deve dare vantaggi tangibili, altrimenti rischia di trasformarsi in un esercizio di stile, in un investimento senza ritorno. Come sono cambiati i vostri investimenti in tecnologia? I macchinari di produzione di oggi sono iper-performanti e non sono tanto diversi da quelli di cinque anni fa. Vediamo vera innovazione solo sul fronte della stampa digitale, della prototipazione e del software. La tecnologia è abilitante, questo è vero, ma lo sono ancora di più i servizi. La logistica e la pianificazione, in particolare, hanno assunto un’importanza fondamentale per garantire il
rispetto dei tempi. Oggi il cliente ci misura con dei grafici e sulla base delle performance ci affida o meno le sue commesse. Per questo gli diamo accesso allo stato di avanzamento del suo lavoro, così che sappia ad esempio fino a che punto potrà apportare delle modifiche. Abbiamo poi risolto uno dei grandi problemi del passato, che era la naturale contrapposizione tra la prototipazione e la produzione, grazie a un utilizzo più flessibile delle macchine di produzione e all’introduzione di tecnologie digitali dedicate. Ma la chiave restano le nostre persone. Come affrontate la sfida del ricambio generazionale? Tramandare le competenze e formare nuove risorse è la chiave. Ogni anno in azienda ruotano una trentina di apprendisti nell’ambito dei programmi di alternanza scuola/lavoro. Fanno esperienze specifiche nei diversi reparti, fianco a fianco con operatori esperti, e infine il 10-15% resta con noi.
L’industry 4.0 può dare reali benefici, anche economici? Partecipiamo a convegni e investiamo per avere una visione chiara sul tema: una scommessa che le aziende italiane, tanto le grandi team di 62 professionisti condivide spazi, processi, progetti e sfide. Se l’approccio alla tecnologia è “men first” In un secolo di storia Giovanardi ha creato una relazione elettiva con l’industria nazionale, aprendosi poi ai mercati esteri negli anni ’80. Il know-how è da sempre correlato al trattamento superficiale di metalli e materie plastiche, che ha visto l’azienda impegnata in processi come galvanica, ossidazione, verniciatura, litografia e serigrafia. Cui in anni più recenti si è affiancata la stampa digitale, con l’introduzione di una Rho P10 di Durst. «Non realizziamo le stesse cose da un secolo e nel tempo abbiamo esternalizzato
alcune lavorazioni – spiega Giovanardi mentre ci guida tra reparti produttivi modernissimi e immacolati – ma abbiamo sempre portato avanti lo stesso knowhow e nel futuro ci auguriamo di applicarlo a settori nuovi e per noi inediti. Magari tra 10 anni non saremo neppure più nel retail». Una dichiarazione forse un po’ estrema, che tuttavia dà il metro della mentalità aperta di un’azienda (e di una famiglia) in cui il vero patrimonio sono le competenze delle persone, prima ancora dei macchinari e di un particolare settore o segmento di clienti. «Anche se spendi un milione in una macchina utensile, non hai un particolare valore. Oggi più di ieri il vero investimento sono le persone, che poi sono la chiave per trovare
|| I trofei conquistati in tutto il mondo da Giovanardi per i suoi progetti nel retail
soluzioni – spiega il titolare – e Giovanardi è da sempre sinonimo di problema, perché da sempre il cliente ci chiama quando ha un problema irrisolto. Quello è il momento di avere un approccio positivo, senza mai pensare di andarsi a cercare il lavoro facile, dove la battaglia si combatte sul prezzo».
Quando “stampare” significa decorare e riprodurre superfici La Giovanardi di oggi è in tutto e per tutto focalizzata sulla progettazione e produzione di soluzioni estreme per il retail, che riescano a coniugare enorme valore estetico, funzionalità, durevolezza
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strategie e sicurezza. «Per il prodotto che realizziamo e i brand che serviamo, le nostre soluzioni espositive devono rispecchiare la realtà. Non dobbiamo utilizzare la fibra di carbonio, ma farne una simulazione di altissimo livello, perché il nostro materiale ha sì una valenza funzionale e tecnica, ma soprattutto ha una valenza estetica». Sul piano tecnico, naturalmente, tutti i materiali e le lavorazioni superficiali devono tenere conto del loro utilizzo finale. Le soluzioni per i duty free, ad esempio, devono resistere alla componente alcolica dei profumi, con superfici vetrificate. Mentre mercati specifici, come il Nord America, richiedono poi legni senza formaldeide ed esigono certificazioni stringenti. La sicurezza dei materiali è una priorità assoluta. «Tutti i pezzi che produciamo devono essere ignifughi e stabili, ed è fondamentale prevenire il più possibile – spiega Giovanardi – per questo, già da anni, al buon senso abbiamo applicato un approccio scentifico. Anche per materiali come i nostri esistono parametri, ma è necessario conoscerli e saperli applicare». La prototipazione è la chiave Non è casuale che larga parte della superficie produttiva in Giovanardi sia destinata alle attività prototipali. A questa nobile ed essenziale attività è destinata anche un’area sigillata e inaccessibile denominata “The Prototype Factory”. «La prototipazione è un’area fondamentale, in cui continuiamo a investire in termini di macchinari e di cultura, oltre che di strumenti di simulazione software e misurazione del prototipo – ci spiegano Massimo Giovanardi e Fabio Pirotta, Responsabile dell’Area Prototipi – se il prodotto finito ha problemi di sicurezza o di stabilità, ci sono precise responsabilità. Non ci piace fare terrorismo, ma fornire al cliente dati oggettivi, e per farlo dobbiamo realizzare e testare prototipi in tutto e per tutto uguali al prodotto finito. Per questo utilizziamo sempre di più stampanti 3D, laser, sistemi inkjet e frese». Se
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la prototipazione può avvalersi di tutti i centri di lavoro presenti in azienda, tra le macchine di più recente introduzione in Giovanardi c’è anche un cutter digitale Unico TT di Protek, equipaggiato con mandrino di fresatura e teste di taglio fisso e oscillante, cordonatura e V-cut. «L’obiettivo di introdurre una simile piattaforma è quello di ricercare soluzioni nuove per lavorare e abbinare differenti tipologie di materiali – spiega Giovanardi – per esempio lavoriamo MDF e materiali cartotecnici, che poi rivestiamo con materiali più pregiati. Sulle altre macchine c’era la contrapposizione sana tra la produzione e il bisogno dell’urgenza». Quella di Protek è una soluzione molto compatta, che quasi stride con i macchinari industriali e iper-specialistici utilizzati nei reparti, ma ha un senso ben preciso, come ci spiega Daniele Sogos, il giovane e competente operatore dell’attrezzatura. «Avere macchine multifunzionali è una manna dal cielo, perché non dobbiamo più attendere o interrompere altre lavorazioni. Così possiamo gestire il prototipo dall’inizio alla fine, potendo simulare quasi integralmente le lavorazioni che dovremo poi riprodurre su scala industriale».
|| In alto, l’area del reparto di prototipazione dedicata alle lavorazioni di taglio e fresatura digitale sul cutter Protek Unico TT. Qui sopra, nel reparto di prestampa vengono preparati i file per la decorazione, sia digitale che serigrafica. Qui sotto, la Durst Rho P10 160 installata nel cuore dell’Area Tecnica.
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strategie Compattezza, alta qualità ed economicità rendono Accurio Label 190 un’opportunità ghiotta per gli etichettifici, ma anche per stampatori commerciali
Label printing: per Konica Minolta in medio stat virtus di Caterina Pucci // caterina@densitymedia.com
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on Accurio Label 190, Konica Minolta vuole bissare il successo di bizhub PRESS C71cf, la label press che ne ha decretato l’ascesa all’olimpo dei fornitori di soluzioni per il label converting. La nuova macchina a bobina, presentata in anteprima a Labelexpo 2017, si fonda sulle solide basi tecnologiche dei sistemi a foglio di Konica Minolta per le arti grafiche, sebbene siano stati gli etichettifici tradizionali ad apprezzarne
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maggiormente le caratteristiche. A decretarne il successo sono soprattutto fattori tecnici e di posizionamento, che concorrono a renderla lo strumento ideale per un’ampia platea di piccoli e medi operatori, desiderosi di integrare il digitale all’interno dei propri flussi di lavoro. Questa nuova soluzione compatta a bobina è anzitutto conveniente, sia in termini di valore d’acquisto che di costi di produzione, rispetto a molte soluzioni narrow web inkjet attualmente sul mercato. L’engine di stampa a
toner garantisce un’elevata qualità di stampa, che la rende indicata per settori come quello vinicolo, alimentare e cosmetico, dove immagini fotografiche, barcode, testi e pattern molto sottili sono i contenuti chiave dell’etichetta. Tutta nuova, ma con solide basi Come già accennato, Accurio Label 190 è la naturale evoluzione di bizhub PRESS C71cf con cui, nel 2015, Konica Minolta è timidamente entrata nel setto-
re della stampa di bassi volumi di etichette. In linea con il modello precedente, la nuova piattaforma utilizza l’engine di stampa a toner proprietario Simitri HD E, mutuato dalle macchine da stampa a foglio. La tecnologia di elaborazione dell’immagine S.E.A.D. IV || In alto, a sinistra, Konica Minolta Accurio Label 190. A destra, alcune delle applicazioni realizzate con la macchina. Nella pagina a fianco, il sistema digitale a vernice spot UV 2D e 3D e foiling a caldo MGI JETvarnish 3DWeb.
strategie
intervista
a Fabio Saini Product Manager Industrial Printing di Konica Minolta Italia
“L’obiettivo di Konica Minolta è accompagnare il cliente nelle fasi di apprendimento e di efficientamento dei processi.”
Qual è il posizionamento di Accurio Label 190? Siamo partiti con l’idea di colmare il vuoto tra le macchine entry-level e i sistemi ad alta produttività. Fino a qualche anno fa, infatti, i piccoli e medi etichettifici erano costretti a ripiegare su soluzioni sotto o sovradimensionate rispetto ai propri volumi produttivi. Lo sviluppo della nuova macchina si fonda sulle stesse premesse che, ormai tre anni fa, hanno indotto Konica Minolta a introdurre bizhub PRESS C71cf. Come la versione precedente, Accurio Label 190 è una macchina compatta, qualitativa, con un valore d’acquisto ammortizzabile già con poche migliaia di metri al mese. I nostri ingegneri hanno poi ulteriormente perfezionato l’engine di stampa a toner affinché permettesse di stampare fino a 1.000 metri lineari garantendo piena stabilità e ripetibilità dell’immagine. I miglioramenti apportati, a livello sia hardware che software, hanno ovviato il problema dei fermi macchina e delle ricalibra-
zioni, che erano invece necessari nelle versioni precedenti. In definitiva, possiamo dire che la macchina risponde perfettamente alle esigenze di qualità e produttività della clientela che volevamo intercettare. Qual è stata la risposta dei clienti italiani? Per il momento, a scegliere questa soluzione sono stati soprattutto gli etichettifici tradizionali, che sempre più sentono l’esigenza di introdurre il digitale nei propri flussi di lavoro tradizionali. Ad attrarre i clienti è soprattutto la possibilità di realizzare piccole tirature di alta qualità , migliorando il livello di servizio ai clienti e aumentando le marginalità, con un ammortamento dell’investimento molto rapido. Guardando nel concreto alla base installata in Italia, il principale ambito di applicazione è quello delle etichette vinicole, in cui sono sempre più richiesti piccoli volumi on-demand. Al di là dei converter tradizionali, comunque, anche gli stampatori commerciali
sembrano intravederne la potenzialità. Nel loro caso, l’adozione di Accurio Label 190 potrebbe essere un’ottima opportunità per differenziare la gamma di servizi e aprire nuovi business. Parliamo di nobilitazione digitale. Si tratta di un vero driver tecnologico? La possibilità di aggiungere alla stampa la verniciatura spot 2D e 3D, effetti tattili e foil metallici ha molta presa nell’ambito del label converting. Tuttavia, per un piccolo e medio stampatore di etichette, non è sempre immediato valutare l’investimento su una linea di nobilitazione digitale pensata per elevati volumi di produzione come JETvarnish 3DWeb. L’obiettivo di Konica Minolta è accompagnare il cliente nelle fasi di apprendimento e di efficientamento dei processi. Una mission che perseguiamo proponendo le migliori tecnologie digitali, ma in modo graduale e senza mai forzare la mano verso tecnologie ridondanti o sovradimensionate. licole termoretraibili. JETvarnish 3DWeb applica verniciatura spot di differenti spessori e foil a caldo e, nella versione completa, è equipaggiata con un modulo flexo per il pretrattamento e un sistema di fustellatura semi-rotativa. La sfida della tecnologia accessibile
(Screen Enhancing Active Digital Process) permette di riprodurre in maniera precisa linee sottili e testi molto piccoli. Il risultato è una stampa ultradefinita, ottenibile anche grazie alla risoluzione nativa dell’engine, pari a 1.200 dpi. Accurio Label 190 introduce poi anche alcune importanti novità sul fronte del processo. In primo luogo una nuova versione di avvolgitore e svolgitore, più capienti e in grado di alimentare bobine fino a 600 mm di diametro e fino a 330 mm di larghezza. La macchina
stampa a una velocità variabile in funzione del tipo di supporto, con una produttività standard che si attesta sui 13,5 m/min e una massima di 18,9 m/min, ed è in grado di gestire un ampio range di materiali autoadesivi, dalle carte ai supporti plastici, senza bisogno di pretrattamenti. Il sistema di guida web integrato assicura poi il perfetto tensionamento dei supporti in fase di alimentazione. Per soddisfare le esigenze di converting più evolute, Accurio Label 190 è abbinabile al modulo di finitura op-
zionale in linea GM DC330MINI, che introduce funzionalità di verniciatura flexo UV, fustellatura semirotativa, rimozione dello sfrido e riavvolgimento. Ma all’interno della propria offerta per il settore dell’etichetta e del packaging, Konica Minolta annovera anche il potente e produttivo sistema di nobilitazione digitale MGI JETvarnish 3DWeb. Questa piattaforma modulare, il cui cuore è costituito da un motore inkjet, è studiata per la nobilitazione di etichette e imballaggi flessibili, incluse le pel-
La stampa di etichette è un’applicazione redditizia in cui è ancora possibile ottenere alte marginalità. Per questo sono sempre di più gli operatori del settore e i designer che vi si affacciano. Questo, unita alla sua accessibilità economica, è il motivo per cui, a pochi mesi dal lancio, Accurio Label 190 è già stata scelta da decine di professionisti del printing in tutta Europa. Un gruppo di utilizzatori che non include solo gli etichettifici, ma un numero crescente di stampatori commerciali a caccia di nuove opportunità di business, centri servizi e operatori specializzati nella vendita di stampa online.
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strategie Che senso ha per un grande player che spazia dall’offset alla flexo, dalla tipografia alla serigrafia a Xeikon, introdurre una Gallus Labelfire in configurazione ibrida?
Tra il top dell’analogico e del digitale, i big delle labels guardano all’ibrido di Lorenzo Villa // lorenzo@densitymedia.com
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asata alle porte di Vienna, vent’anni di storia alle spalle e un team che è arrivato a contare 50 collaboratori, Insignis Etiketten è uno dei label converter di riferimento nel ricco ed evoluto mercato austriaco. L’area produttiva è suddivisa in differenti reparti, ciascuno dedicato a una particolare lavorazione o tecnologia di stampa e di converting, mentre un magazzino di 3.600 m2 per materie prime e semilavorati garantisce
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una straordinaria efficienza logistica. Da sempre l’azienda vanta un forte credo nell’innovazione tecnologica, compresa quella introdotta dalla stampa digitale, avviata con i sistemi a toner di casa Xeikon – e nel 2018 è stato il primo etichettificio austriaco ad introdurre la tecnologia inkjet. Non una qualsiasi, ma la potente Labelfire di Gallus, in una particolare configurazione ibrida. Proprio questa stupefacente diversity tecnologica è il motivo che ci ha indotti a volare a Vien-
na per incontrare Erwin Pudek, il managing director dell’azienda, ex-tipografo e autentico passionario del printing. È lo stesso Pudek ad accoglierci e a guidarci alla scoperta della “sua” azienda, insieme a un gruppo di giovani collaboratori, anch’essi straordinariamente appassionati e competenti. From design to delivery Complice il passato da stampatore di Pudek, entrando da Insignis sembra di entrare in un’azienda
di arti grafiche del più alto rango: tutto è ordinato, immacolato e larga parte dell’edificio destinato agli uffici è occupato da un evoluto reparto di prestampa. Qui l’azienda austriaca è in grado di elaborare qualsiasi tipologia di file || In alto, la Gallus Labelfire 340 installata presso Insignis Etiketten. A monte e a valle del modulo inkjet, si notato i gruppi flexo e serigrafici, oltre al modulo di foiling e all’unità di die-cutting. Nella pagina a fianco, il sistema di tensionamento della bobina in uscita e l’inspection system AVT.
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intervista a Erwin Pudek Managing Director di Insignis Etiketten
“Un sistema ibrido, con una qualità così elevata, consente di realizzare prodotti che prima non erano sostenibili o che nessuno aveva mai visto.”
e di realizzare le forme da stampa per tutte le proprie macchine: non mancano un computer-to-plate per l’offset – targato Heidelberg, neanche a dirlo – né una linea completa per la preparazione dei polimeri flexo. «Una profonda cultura della prestampa, del colore e della qualità estrema, insieme alla certificazione ISO 9001, sono i tratti somatici del nostro modo di fare business – spiega Pudek – valori che tutto il team di Insignis condivide e ritrasferisce in ogni singolo progetto o commessa». Passando poi ai reparti di produzione la costante non cambia: solo ordine, pulizia e le migliori tecnologie. Come ogni etichettificio di prim’ordine, anche Insignis ha sempre scelto di non precludersi alcuna possibilità. La prima tappa è infatti il grande reparto tipografico, che ancora lavora a pieno regime. Per poi passare all’area dedicata alla flexo e alla serigrafia, dove campeggiano due nuovissime linee Nilpeter, affiancate da una Xeikon 3300
Perché oggi un etichettificio guarda al digitale? Quali i plus e quali i limiti? Il digitale è visto da tutti come lo strumento per gestire in modo efficace i piccoli quantitativi: non è una novità. Ma anche le esigenze di personalizzazione e variantatura sono in crescita. Il limite finora è stato soprattutto qualitativo e di compatibilità con supporti, tecniche di nobilitazione, finishing e converting. Ma una piattaforma come Labelfire inizia a cambiare questo paradigma e apre nuovi scenari: basti pensare che possiamo produrre su supporti da 20 a 400 micron e, grazie al motore a 7 colori, arriviamo a riprodurre il 96% dei colori Pantone. Qual è il principale vantaggio operativo? Abbiamo spesso commesse di etichette con layout e tracciati fustella simili o identici, ma in differenti lingue, versioni, personalizzazioni. In questi casi possiamo realizzare una base comune, per le lavorazioni on-demand e la personalizzazione. «Abbiamo sempre a stock oltre 300 differenti materiali, che abbinati a decine di diverse tipologie di finishing, fustelle, verniciature, embossing e altri effetti, si traducono in migliaia di differenti prodotti finiti
inclusi fondi pieni, foil, layer di bianco in flexo o serigrafia, e poi sovrastampare in digitale gli elementi variabili con una qualità estrema. Così, anche grazie alla nostra flessibilità nello slitting e nel taglio, otteniamo differenti batch di prodotto, senza la necessità di avviamenti multipli o passaggi su altre attrezzature. Su una stessa bobina arriviamo ad avere anche cinque o sei differenti lavori. Possiamo poi verniciare in linea e, grazie al gruppo di voltura installabile su ogni gruppo stampa, possiamo realizzare agilmente prodotti che necessitano di informazioni stampate sul retro. Quanto del volume gestito su Labelfire è preesistente, e quanto è nuovo? Direi un 40% di vecchio e un 60% di nuovo, ma dopo soli due mesi in piena produttività è presto per fare un bilancio. Diciamo che da un lato realizziamo in modo più efficiente ciò che facevamo in analogico, dall’altro stiamo sviluppando progetti completamenper i nostri clienti in tutti i settori», spiega Pudek. Tanti mercati, un’unica filosofia Seppur complesso, il modello di business di Insignis è basato su
te nuovi. Un sistema ibrido, per di più con una qualità così elevata e cromie così brillanti, ti consente di realizzare prodotti che prima non erano sostenibili o che nessuno aveva mai visto. Qualche esempio? Al di là delle etichette, stiamo realizzando copertine nobilitate per riviste, prima stampate in bobina e poi convertite a foglio. E ancora etichette multimediali, figurine autoadesive, entry card per eventi. Analogico, digitale e ibrido: su cosa vi focalizzerete nel prossimo futuro? I prodotti che realizziamo sono tutti diversi. La qualità e la quantità sono diverse. Credo che avremo sempre bisogno dell’offset e della flexo, specie quando facciamo centinaia di migliaia o milioni di pezzi: 250 metri al minuto sono ancora un’utopia per il digitale. Abbiamo più di un cliente a cui servono differenti varietà, ma se il volume complessivo resta nell’ordine dei milioni di pezzi, l’analogico resta una via segnata. un servizio di consulenza, progettazione e fornitura di prodotti altamente tecnici a una varietà di brand-owner, retailer e produttori di beni di consumo multibrand. A fare la parte del leone è il mercato alimentare, che copre l’80% del volume complessivo, mentre
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gli altri due settori chiave sono il farmaceutico e l’automotive. Ma segmenti come la logistica e il promozionale occupano spazi sempre più importanti. Proprio la crescente diversificazione applicativa è una delle ragioni che, nell’ultimo decennio, ha spinto Insignis a rivedere i propri modelli organizzativi e a guardare con sempre maggiore interesse al digitale: «Con centinaia di diversi lavori ogni giorno, ciascuno con differenti caratteristiche, quantitativi molto variabili e un livello di crescente di personalizzazione, la stampa digitale si è rivelata la chiave per acquisire flessibilità e competitività spiega Erwin Pudek – specie se
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i tempi di consegna sono fulminei e i quantitativi bassi. Con il digitale invii i dati alla macchina e stampi con una qualità altissima, senza i tempi di avviamento e di ottimizzazione cromatica necessari con l’offset. Non siamo mai stati e non siamo disposti a scendere a compromessi sulla qualità, e la stampa digitale riesce persino a superare le aspettative dei designer e dei brand owner più esigenti. La via dell’ibridazione Dopo un viaggio alla scoperta delle meraviglie tecnologiche Insignis, tra cui le più evolute tecnologie di stampa flexo, serigrafiche,
offset e tipografiche, oltre a nobilitazione e finishing, viene da chiedersi cosa possa indurre un’azienda così strutturata e virtuosa a introdurre una piattaforma come Labelfire 340. Una macchina che l’etichettificio austriaco ha configurato con moduli flexo e serigrafici, gruppo di voltura della bobina, modulo inkjet a 7 colori più il bianco, unità di die-cutting e gruppo di foiling. Ma non sarà sovradimensionata o ridondante con linee di produzione e lavorazioni già abbondantemente presenti in azienda? La risposta è ancora una volta molto tecnica e Pudek non ha dubbi in proposito. «Con i 50 metri al minuto di Labelfire possiamo finalmente
coniugare elevati volumi di produzione con una qualità di stampa paragonabile o superiore all’offset, unitamente alla riproduzione quasi totale delle tinte Pantone e ad una flessibilità difficilmente replicabile sulle linee analogiche. Con l’ulteriore vantaggio di poter sovrastampare il cold foil in inkjet e gestire campagne promozionali con dati variabili». || In alto: il reparto di stampa tipografica di Insignis Etiketten (1); la macchina da stampa digitale Xeikon 3300 con tecnologia a toner (2); etichette di alta qualità con stampa serigrafica e differenti tipologie di embossing e foiling (3); una delle linee di produzione Nilpeter installate presso l’etichettificio austriaco (4).
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...con oltre 100 installazioni definisce i nuovi orizzonti della stampa digitale Tecnologia inkjet, produttività e qualità di stampa straordinaria “0” click inclusi Assenza di contratto manutentivo obbligatorio Mantenimento del valore residuo garantito Supporti di spessore sino a 0,6 mm Teste di stampa SAMBA DIMATIX by Fujifilm Produzione continua senza fermi di ripristino Registro meccanico precisissimo idem all’offset Stampa su un’ampia gamma di tipi di carta offset Vaste possibilità di finitura (piega, etc.) Autocalibrazione colore al 100% sul 1° foglio stampato
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strategie Lo storico etichettificio milanese scommette sulla tecnologia inkjet UV per incrementare la propria produttività ed esplorare nuove possibilità applicative
Eurolabel ancora più forte nel digitale con l’inkjet narrow-web Domino N610i
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o scorso maggio la milanese Eurolabel ha introdotto nel proprio parco macchine la macchina da stampa Domino N610i. A partire dagli anni Sessanta, l’azienda milanese produce etichette autoadesive, destinate ad applicazioni commerciali e industriali. Caratteristica che da sempre contraddistingue Eurolabel è la sua propensione a investire in tecnologie all’avanguardia e nell’innovazione dei processi. Nel 2001
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l’azienda ha infatti scelto di digitalizzare parte della sua produzione. Nel 2015 ha iniziato una rivoluzione interna, basata sulla riorganizzazione del flusso di lavoro secondo i principi dell’Industria 4.0. Oggi, con l’installazione della prima macchina da stampa inkjet single-pass, Domino N610i, Eurolabel punta ad aumentare la produttività del proprio reparto digitale e, al tempo stesso, ad ampliare la propria offerta applicativa in linea con le più recenti richieste del mercato.
50 anni di storia alle spalle, tra intuizioni e innovazione Nel mondo dell’etichetta, gli anni ‘60 sono stati caratterizzati dalla “scoperta” dei materiali autoadesivi. A Milano, Lidia Cattaneo ed Eugenio Brambilla, intuiscono il potenziale delle applicazioni realizzate con questi materiali e, nel 1964, fondano Eurolabel. L’azienda muove i primi passi realizzando etichette neutre o stampate con un singolo colore; ben presto passa però a lavorazioni più
complesse, introducendo la stampa a colori e le prime forme di nobilitazione. Nel 1974 nasce a Lainate (MI) l’etichettificio gemello EDP Label, per assicurare continuità operativa a Eurolabel e per realizzare etichette speciali destinate ad impieghi industriali. || In alto, Domino N610i installata presso Eurolabel (a sinistra) e un campione stampato con bianco ad alta coprenza su materiale trasparente (a destra). Nella pagina a fianco, le due HP Indigo WS6800 installate nel reparto digitale dell’azienda.
strategie
intervista a Aldo Franco CEO di Eurolabel
“Il mercato oggi chiede tirature più frazionate e tempi di consegna più brevi. Domino N610i è ideale per far fronte a queste esigenze.”
Come avete accolto il digitale in azienda? È stata una bella sfida. Siamo stati costretti a metterci in discussione da diversi punti di vista: strutturale, organizzativo, commerciale e logistico. Per prima cosa abbiamo creato ex novo un reparto dedicato e un ufficio prestampa, con personale assunto e formato ad-hoc. In seguito ci siamo resi conto che le peculiarità degli ordini digitali ci richiedevano un miglioramento dell’organizzazione interna. Così abbiamo introdotto il gestionale CERM. Il modo in cui è disegnato ci ha imposto di ripensare il nostro flusso produttivo, ed è stato un bene. Ovviamente, questi cambiamenti hanno coinvolto tutto il personale. Per esempio la forza vendite ha dovuto scoprire le nuove opportunità offerte dalle tecnologie digitali per poterne trasmettere correttamente il valore alla clientela. In che modo è cambiato il dialogo con in clienti? Le grandi aziende sono abituate a lavorare secondo un iter standard
Tra gli anni ‘70 e ‘80, i volumi richiesti dal mercato crescono rapidamente e l’offerta tecnologica dei costruttori di macchinari dedicati al settore si evolve. Eurolabel adegua progressivamente il parco macchine per offrire risposte più allineate alle esigenze dei clienti. Alle prime macchine tipografiche, l’azienda affianca tecnologie flessografiche e offset. Il 2010 segna l’ingresso di Eurolabel nel digitale, con l’acquisto di una HP Indigo WS6000; tre anni più tardi il neonato reparto viene ampliato con l’acquisto seconda HP Indigo, stavolta una WS6600. Ma per Eurolabel il rinnovamento in chiave digitale non è solo una questione di macchine. Nel 2015, infatti, l’azienda avvia un profondo rinnovamento interno, installando il gestionale CERM di Heidelberg per controllare e organizzare l’intera produzione. La centralità del digitale nelle strategie di crescita dell’azienda viene confermata nel 2017, quando
l’intero parco macchine del reparto viene rinnovato: la WS6000 lascia il posto a una nuova WS6800, mentre la WS6600 viene aggionata a WS6800. Infine, nel 2018, la svolta verso inkjet: Eurolabel completa la sua offerta di prodotto e migliora la sua competitività installando Domino N610i.
che però ha dei limiti. Fino ad oggi sono quasi sempre stati gli uffici acquisti dei brand a gestire la relazione con noi. Di conseguenza, in pochi casi siamo riusciti a dare un contributo positivo al processo creativo. Oggi si impone un cambio di mentalità. Il team tecnico dei fornitori e i creativi dei brand dovrebbero unire le forze per lo sviluppo di progetti che, sfruttando le potenzialità del digitale, abbiano un maggiore impatto sui consumatori. Inoltre un nostro maggior coinvolgimento nelle prime fasi di un progetto può creare le condizioni perché la sua realizzazione sia più economica o più rapida. Perché Domino N610i? Siamo sempre stati piuttosto impulsivi nelle nostre scelte tecnologiche, ma nel caso del digitale abbiamo adottato un approccio più cauto, analizzando meticolosamente pro e contro. La tecnologia HP ci ha convinti per la qualità paragonabile all’offset. Ma il mercato si è evoluto e oggi richiede tirature più frazionate con tempi Puntualità, qualità e impiego efficiente dei macchinari Oggi il gruppo Eurolabel occupa 70 dipendenti, dispone di 28 linee di produzione e serve settori merceologici molto diversi: farmaceutico, alimentare, cosmetico e industriale. Per rispondere in maniera puntuale ai clienti ed
di consegna più brevi. Domino N610i ha caratteristiche che la rendono ideale per far fronte a queste esigenze. In primo luogo, l’elevata velocità di stampa, che ci permetterà senz’altro di gestire tirature più elevate senza allungare i tempi di consegna. In secondo luogo, l’elevata coprenza e la durevolezza degli inchiostri, che rendono la macchina ideale anche per la stampa di etichette speciali, destinate, per esempio, ai settori industriali. In ultimo, il bianco ad alta coprenza grazie al quale possiamo stampare su materiali trasparenti o creare effetti particolari. Per esempio siamo in grado di creare texture tridimensionali, sia su carta che su materiali plastici. Una possibilità che non avevamo esplorato prima e che ci permette aggiungere una nota unica anche alle applicazioni più semplici. L’inkjet UV promette anche di essere più economico di altre tecnologie. Ad oggi non abbiamo ancora raccolto dati sufficienti per tirare delle somme a riguardo. Ma la prima impressione è molto positiva anche da questo punto di vista. efficientare la propria produzione, l’azienda è oggi organizzata in ottica Industria 4.0. «Il software CERM ci permette di organizzare la produzione e raccogliere dati dettagliati su ogni suo aspetto», spiega Aldo Franco, CEO di Eurolabel. Per la finitura delle lavorazioni digitali, l’azienda dispone di due sistemi ABG Digicon Series
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strategie Domino N610i: perfetto connubio tra velocità e versatilità Domino N610i (fig. 1) è una stampante inkjet narrow-web con una luce di stampa di 333 mm e una velocità massima di 75 m/min. L’engine di stampa utilizza teste Kyocera che assicurano una risoluzione massima di 600x600 dpi. Le tecnologie proprietarie Domino i-Tech contribuiscono poi ad ef-
ficientare il processo di stampa. StitchLink è sistema di calibrazione che gestisce automaticamente l’allineamento tra le diverse teste. ActiFlow è un sistema di ricircolo che mantiene l’inchiostro in condizioni ottimali per la stampa. CleanCap è un sistema di pulizia e protezione delle teste, che previe-
ne l’ostruzione degli ugelli. La configurazione in esacromia (fig. 2) offre la possibilità di riprodurre più del 92% delle tinte Pantone. Il doppio canale del bianco assicura una comprenza di quest’ultimo del 72%, ideale per stampare su materiali trasparenti (fig. 3). La macchina può inoltre utilizzare
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2 e Series 3, ciascuno configurato per la realizzazione di specifiche applicazioni. La scelta è ricaduta su soluzioni offline per preservare la flessibilità del digitale, senza però precludersi forme di nobilitazione spinta e migliorando l’output complessivo del reparto. Gabriele Ammollo Sales Director di Eurolabel
La scelta di Domino N610i
“La nostra forza vendite è formata per offrire ai clienti tutta la consulenza tecnica di cui hanno bisogno per realizzare al meglio i loro progetti.”
Produttività, versatilità e costi di produzione sono i principali argomenti che hanno spinto Eurolabel a scegliere di installare Domino N610i. I quantitativi medi delle commesse sono sempre più spesso ideali per la produzione in digitale, ma non sempre i committenti sono disposti a sostenere costi maggiori a quelli di analoghe
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lavorazioni eseguite in alti volumi con tecnologie analogiche. Al contempo le loro aspettative riguardo i tempi di consegna si stanno facendo progessivamente più pressanti. «Oggi quattro giorni, in più o in meno, possono fare la differenza tra prendere o perdere un ordine. – prosegue Aldo Franco – E la qualità dev’essere elevata, indipendentemente dai tempi di consegna richiesti». La tecnologia inkjet UV e la configurazione in esacromia garantiscono costi di produzione competitivi, capacità di riprodurre tinte piatte e piena compatibilità con i supporti usati per le produzioni analogiche. Nei primi mesi di esercizio, Domino N610i si è dimostrata in grado di
l’inchiostro bianco, depositato in strati multipli, per creare texture tattili ed effetti tridimensionali su materiale standard (fig. 4). Infine gli inchiostri UV90 formulati da Domino rendono N610i pienamente compatibile anche con la realizzazione di etichette termoretraibili.
soddisfare le esigenze qualitative dei clienti Eurolabel, con una velocità di produzione sensibilmente superiore a quelle cui l’azienda era abituata. Un ulteriore plus della macchina è la funzionalità Textures, grazie alla quale è possibile creare su qualsiasi materiale effetti tattili, capaci di simulare quelli delle carte goffrate. Non più semplici esecutori Nel prossimo futuro, l’azienda punta a rafforzare il dialogo con designer e brand owner. L’obiettivo è ispirare e guidare questi interlocutori nello sviluppo di progetti più efficaci, che sfruttino appieno le possibilità creative offerte dal digitale.
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strategie Se la filiale italiana di OKI si distingue da sempre per la sua penetrazione nelle graphic arts, l’intera organizzazione europea è pronta a un grande cambio di passo
OKI inaugura la sua nuova casa in Italia, e scommette sullo specialty printing di Lorenzo Villa // lorenzo@densitymedia.com
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ochi chilometri, talvolta, possono fare la differenza. Non solo dal punto di vista logistico, ma anche sul piano strategico e motivazionale. Abbiamo partecipato alla cerimonia inaugurale della nuova sede italiana di OKI, che per il brand giapponese si traduce nel coronamento di una stagione di successi. Ad accogliere gli ospiti nei nuovi uffici di Assago c’era Dennie Kawahara, Managing Director di OKI Europe, il cui merito
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è quello di aver impresso all’intera organizzazione europea nuovi stimoli e un’accresciuta velocità. «L’obiettivo di questa sede e degli investimenti che stiamo facendo è far crescere il business di OKI in Italia, rendendo i nostri clienti e l’intero mercato più competitivo», ha affermato Kawahara. La centralità dell’Italia Se il nostro Paese rappresenta per qualsiasi organizzazione uno dei mercati chiave, per OKI assume
un’importanza ancora più grande. «L’Italia esprime un senso dello stile senza eguali, è la patria della creatività e del design – ha proseguito Kawahara – e non è una sorpresa che sia la country nel network europeo di OKI che meglio ha sviluppato il segmento graphic arts. Qui continueremo ad investire, a coltivare partnership e a crescere grazie al lavoro instancabile di colleghi che lavorano lealmente con OKI da decenni, come Romano Zanon che è parte del team da 25 anni». Il potenzia-
mento delle operazioni in Italia è parte di una strategia di rafforzamento iniziata circa un anno fa, che ha portato OKI ad accorpare tutte le sue branch nella regione EMEA sotto un’unica entità. L’obiettivo, come ha sottolineato il manager, è servire ancora meglio il mercato e dare vita a un’organizzazione estremamente reattiva, || In alto, a sinistra, applicazioni esposte all’interno del grande open space di OKI Italia. A destra, uno scorcio del nuovo show room di Assago.
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intervista a Marzio Gobbato VP South Region, OKI Europe
L’accresciuto focus su etichette e applicazioni specialistiche è un passo inatteso... Se per inatteso intendi che nessuno se lo aspettava, condivido la riflessione. È innegabile che negli ultimi anni fosse subentrata una certa staticità. Ma dopo meno di tre anni in OKI ho imparato che la nostra, sebbene dimensionalmente più piccola di altre multinazionali, è un’azienda che non ha mai smesso di svilupparsi e non ha mai spostato il focus da tre pilastri: affidabilità, qualità e colore. È un DNA immutabile, che oggi stiamo solo riproponendo in una chiave più moderna e attuale.
“Il cambiamento implica l’uscita da una comfort zone, prima di tutto per noi. Ai partner stiamo facendo una proposta di cambiamento...”
Quali ingredienti credi vi faranno vincere questa sfida? A fare la differenza, non ho dubbi, sarà ancora una volta la nostra profonda cultura del colore, unita a una tecnologia originale e innovativa. OKI ha sviluppato e stabilizzato la tecnologia LED prima di chiunque altro e oggi, che si parli di etichette, t-shirt o stampa a foglio, questo engine ci dà un vantaggio competitivo straordinario.
capace di rispondere tempestivamente alle esigenze dei clienti. «Stiamo sviluppando un programma di sales & marketing più efficace, che include iniziative paneuropee, lanci di prodotto e campagne di marketing congiunte, condotte come un’unica entità», ha precisato Kawahara.
Colorpainter M-64s per arrivare alla nuova E-64s, anch’essa insignita di riconoscimenti per la sua eco-sostenibilità. Di fronte ai cambiamenti in atto sul mercato, tuttavia, OKI sta ulteriormente ampliando l’offerta di stampanti per il professional printing, grazie a prodotti specifici per le graphic arts capaci di generare nuovi livelli di redditività per gli stampatori. Qui gli engine di riferimento sono le macchine LED a foglio della serie Pro9000 con toner bianco, neon o clear. «La tecnologia LED è stata riconosciuta di recente come una tecnologia differenziante e dall’elevato potenziale, ma noi la sviluppiamo da 40 anni – ha sottolineato il direttore di OKI Europe – sebbene oggi la sfida sia introdurre tecnologie in grado di cambiare il mercato. Come le nostre stampanti specialistiche per le etichette, che stanno riscuotendo un grande interesse e che lanceremo ufficialmente a Viscom Italia 2018».
La centralità della tecnologia Nella migliore tradizione giapponese, OKI fonda la propria leadership sulla tecnologia, e su questa pone le basi per il proprio futuro. La scelta di focalizzarsi su applicazioni specialistiche e industriali ha imposto all’azienda di ampliare il proprio portafoglio prodotti e di investire nello sviluppo parallelo di diverse tecnologie di imaging, anzitutto il LED e poi l’inkjet. In quest’ultima area c’è la gamma di stampanti wide format ColorPainter, acquisite da Seiko alcuni anni fa e rinnovate nei contenuti. A partire dalla pluripremiata
Insieme, ovviamente, all’inkjet nel campo del grande formato. Passare dalla stampa office all’etichetta non è un’estremizzazione eccessiva? Il mercato dell’etichetta è enorme e spazia dal vino all’healthcare, fino all’industria. OKI non pretende di offrire tecnologia di produzione a un etichettificio, ma magari uno strumento efficace per realizzare test e micro-tirature. Oppure, più realisticamente, sarà la cantina vinicola che produce 20.000 bottiglie l’anno ad avvalersi della nostra tecnologia per i micro-lotti e le personalizzazioni più spinte. Puntiamo a cogliere opportunità nuove, in mondi nuovi, con canali e interlocutori nuovi. Significa che l’office non è più prioritario? È solo uno dei mercati che indirizziamo e non potrà che beneficiare di un ampliamento del raggio d’azione di OKI. Immagino una OKI che non lotta più per equipaggiare le filiali di una banca, ma piutto-
sto propone all’ufficio marketing della stessa banca soluzioni d’impatto per comunicare con i propri clienti e dipendenti in modo professionale. Nell’office si stampa sempre meno e la vecchia equazione, per cui se hai più engine hai più volumi e più consumabili venduti, appartiene al passato. Noi miriamo a diventare il numero uno in tutte le nicchie dove il colore fa la differenza. In che misura i vostri parnter di canale lo hanno percepito? Il cambiamento implica l’uscita da una comfort zone, prima di tutto per noi. Ai partner stiamo facendo una proposta di cambiamento, non causata da noi ma dal mercato stesso. Per questo abbiamo avviato programmi di formazione, accrescimento delle competenze, della cultura della sensibilità, sia al nostro interno che all’esterno. E la nuova sede, con una grande showroom e tanta tecnologia installata e funzionante, è parte della strategia. Abbiamo invitato i partner ad avvalersene e li misureremo anche su questo.
I mercati emergenti e l’importanza delle partnership Se il successo di una tecnologia si misura con la sua diffusione e adozione, OKI ha le idee chiare su chi saranno i futuri utilizzatori delle sue tecnologie. Tra i mercati chiave c’è infatti il retail, in particolare le catene di punti vendita che sempre più rapidamente devono produrre e personalizzare segnaletica, cartellini per i prezzi e mille altri strumenti promozionali. «Servendo il singolo retailer potremo ridurre il lead time, efficientare la supply chain e creare campagne di marketing in tempo reale per catene alberghiere, concessionarie di auto e ogni genere di punto vendita», ha proseguito Kawahara. Infine c’è il capitolo delle partnership, cui OKI ha dedicato il programma denominato Shinrai, che significa Fiducia e Fedeltà, con cui l’azienda supporta i propri partner. «Il loro successo è il nostro successo – ha concluso
Dennie Kawahara Managing Director, OKI Europe
“L’Italia esprime un senso dello stile senza eguali. Non sorprende che sia la country nel network europeo di OKI che meglio ha sviluppato il segmento graphic arts.” Kawahara – abbiamo tanti partner in Italia che credono fortemente nel nostro brand e lo supportano. Ecco perché l’Italia è il mercato europeo più importante per OKI in questo momento».
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tecnologie Il leader mondiale dell’high-speed inkjet ha lanciato la sua prima soluzione per la produzione di etichette: una sistema ibrido, modulare, integrato e ultraproduttivo
Canon fa il suo ingresso nel mercato dell’etichetta con la nuova Océ LabelStream 4000
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anon ha lanciato Océ LabelStream 4000, la sua prima macchina da stampa inkjet per etichette. Così il costruttore giapponese asseconda due tendenze che stanno interessando questa industria. Da una parte, l’aumento della domanda di volumi stampati in digitale; dall’altra, la crescente fiducia dei converter nei confronti della tecnologia inkjet. Con LabelStream 4000, Canon porta nell’industria dell’etichetta
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il suo know-how ultradecennale nell’inkjet e nella gestione di materiali in bobina, nonché la sua esperienza nel dialogare con una clientela industriale distribuita su scala globale. Per farlo, ha scelto di collaborare con due aziende britanniche, FFEI e EDALE, rispettivamente specializzate nello sviluppo di sistemi digitali e analogici per la stampa e il converting di etichette. Il risultato è una piattaforma altamente produttiva, versatile e modulare. L’engine di stampa digitale (fig. 1), grazie alle teste di
ultima generazione Xaar 2001+ U, permette a LabelStream 4000 di raggiungere una velocità massima di 68 m/min, collocandola, di fatto, tra le piattaforme più produttive oggi disponibili sul mercato. Ed è sempre alle teste Xaar che si deve la straordinaria coprenza del bianco (>80%) che la macchina è in grado di stampare. Infine i moduli analogici e di ispezione rendono LabelStream 4000 compatibile con la quasi totalità delle lavorazioni oggi richieste dal mercato dell’etichetta.
Appena nata, ha già la stoffa della fuoriclasse Océ LabelStream 4000 è disponibile con luce di stampa di 330 o di 410 mm. Le modalità di stampa dell’engine digitale sono tre, con una risoluzione massima di 720x600 dpi, 4 livelli di grayscale (goccia a dimensione variabile), e velocità di 48 m/min o 68 m/min. Oltre alla quadricromia, Océ || In alto, Océ LabelStream 4000 nella configurazione con finishing in linea
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LabelStream 4000 può accogliere un quinto canale (opzionale) per il bianco under, ovvero utilizzabile come base per gli altri colori. Quest’ultimo può essere utilizzato nelle modalità true white o alpine white, che garantiscono rispettivamente un’opacità del 67% (alla velocità di 68 m/min) e superiore all’80% (alla velocità di 48 m/min). In corrispondenza di ciascuna barra di stampa, un sistema di lampade UV LED (fig. 2) effettua una prima asciugatura dell’inchiostro appena depositato (inter-color pinning). In questo modo, le gocce mantengono la loro forma inalterata dopo il contatto con il materiale, assicurando un’elevata 4
definizione dell’immagine. La macchina è disponibile in tre configurazioni (fig. 3). La prima, standalone, prevede che l’engine di stampa digitale sia affiancato solo dal sistema di movimentazione del materiale. La seconda, con finishing in linea, prevede l’aggiunta di moduli opzionali, quali fustella semi-rotativa, slitting, doppio riavvolgitore e taglio in fogli (sheeting). La terza, ibrida, prevede la possibilità di includere ulteriori moduli analogici per stampa (fig. 4) e nobilitazione, nonché per lavorazioni particolari (stampa flexo, verniciatura, cold foiling, plastificazione, delam/relam, turnbar). Quest’ultima configurazione include, inoltre,
un sistema di controllo del registro e ispezione 100%, basato su tecnologia AVT (fig. 5). Da una parte, il dispositivo verifica il registro tra processi di stampa analogici e digitali, oltre che nobilitazione; dall’altra, analizza la bobina stampata e rileva eventuali difetti o imperfezioni. Laddove possibile, le correzioni necessarie vengono applicate in modo totalmente automatico; in alternativa il sistema segnala all’operatore la necessità di un intervento manuale. Le tre configurazioni della macchina vanno incontro a segmenti di utenza differenti. La prima è ideale per aziende che già dispongono di sistemi di finitura e nobilitazione
offline. La seconda è ideale per aziende che vogliano ottimizzare il flusso di lavoro, stampando e finendo le loro etichette in un singolo passaggio. La terza permette di realizzare, sempre in un singolo passaggio, lavorazioni complesse in cui sia richiesto l’impiego combinato di numerose tecnologie, analogiche e digitali. Per limitare la complessità d’uso della macchina e i tempi di avviamento della produzione, Océ LabelStream 4000 dispone di un pannello di controllo integrato per tutti i suoi moduli. Per quanto riguarda il software, la macchina è compatibile con le soluzioni per la gestione del workflow di Esko
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intervista
a Roland Stasiczek Product Line Manager e Business Line Packaging di Canon Océ
“La stampa inkjet su supporti in bobina è parte del nostro DNA. Abbiamo dieci anni di esperienza, che da oggi metteremo al servizio dei converter.”
e One Vision. Pensata per soddisfare le istanze dei brand Océ LabelStream 4000, grazie alle numerose possibilità di configurazione, si presta a rispondere a molteplici esigenze. Gli inchiostri
Le tecnologie digitali per la stampa di etichette sono innumerevoli. Quale valore aggiunto porta Canon con Océ LabelStream 4000? La nostra esperienza con la stampa digitale inkjet è iniziata dieci anni fa. Oggi siamo leader mondiali nell’high-speed inkjet e conosciamo molto bene questo tipo di tecnologie. Al tempo stesso, vediamo una crescente richiesta di tecnologie inkjet nell’industria del packaging. Abbiamo scelto di proporci nel segmento dell’etichetta perché è maturo dal punto di vista dell’adozione del digitale, ma i converter sono in cerca di soluzioni più produttive, economiche ed efficienti. Solo poche tecnologie disponibili sul mercato sono in grado di raggiungere la produttività di LabelStream. Ma il valore della nostra proposta non è esclusivante tecnologico. L’inkjet è parte del nostro DNA e questo ci permette di offrire ai clienti qualcosa di più.
Lunghi fermi macchina rappresentano un costo inaccettabile per questo tipo di utenza. Grazie alla nostra rete di assistenza siamo in grado intervenire tempestivamente in ogni parte del mondo, sempre con il medesimo livello di servizio.
Come farete la differenza? In questi anni, abbiamo installato
più di 1.500 macchine inkjet a bobina. Questo ci ha insegnato molto, e non solo dal punto di vista tecnologico. Il nostro DNA inkjet si basa su quattro pilastri: tecnologia all’avanguardia, soluzioni end-to-end, servizio di assistenza efficiente, consulenza allo sviluppo del business. LabeStream è una tecnologia d’avanguardia e i nostri esperti sono in grado di configurarla affinché risponda appieno alle esigenze dei clienti. Ma una macchina del genere non può creare profitto se non sono del tutto chiare le sue potenzialità e se non le si costruisce attorno uno specifico modello di business. I nostri consulenti conoscono l’inkjet e sanno come può diventare uno strumento differenziante rispetto alla concorrenza. La nostra proposta di valore è anche questo: supporto ai clienti affinché traggano il massimo profitto dalle soluzioni tecnologiche che proponiamo loro. Infine, l’assistenza post-vendita è un argomento cruciale per realtà industriali che hanno siti produttivi in diversi Paesi del mondo.
UV sono compatibili con una vasta gamma di materiali. L’elevata coprenza del bianco permette di realizzare applicazioni particolari, come il molto diffuso “no-label look”. L’engine digitale ha una produttività compatibile sia con le piccole che con le medie tirature. Come ogni sistema digitale,
esso rende inoltre possibili personalizzazioni spinte sia a livello grafico che di testo. I moduli di stampa flexo integrano le cromie del digitale con tinte specifiche e inchiostri speciali (ad esempio fluorescenti e metallizzati). Infine, i moduli di nobilitazione permettono di aggiungere finiture di
pregio sull’etichetta aumentandone la forza comunicativa. Océ LabelStream 4000 è dunque in grado di rispondere alle principali esigenze dei brand e di farlo in modo economico. Le configurazioni più complete eliminano infatti la necessità di effettuare passaggi multipli, su diversi macchinari, per ottenere il prodotto finito. Un risparmio per il converter che può tradursi in un’offerta più aggressiva verso i buyer o in una più alta marginalità. Ed è proprio con questi ultimi che Canon sta dialogando per validare la sua tecnologia. Contemporaneamente l’azienda sta formando una forza vendite dedicata, che sia in grado di parlare il linguaggio degli etichettifici e trasferire loro le unicità della nuova piattaforma.
Come siete riusciti a ottenere un bianco coprente all’80%? È merito delle teste di stampa e della particolare configurazione sviluppata da FFEI. Per la quadricromia abbiamo usato Xaar 2001+ GS6U, con goccia da 6 pl. Per il bianco invece Xaar 2001+ GS12U, con goccia da 12 pl. Mentre le prime assicurano un’elevata definizione di stampa, le seconde ci permettono, modulando la dimensione di goccia, di depositare sul materiale un maggior quantitativo di inchiostro bianco e ottenere una coprenza superiore a quella della flessografia. In base al tipo di applicazione che dovrà realizzare, l’utente potrà scegliere se utilizzare il true white, coprente al 67%, o l’alpine white, coprente all’80%.
|| Etichette realizzate con il bianco ad alta coprenza di Océ Labelstream 4000, combinato con grafiche variabili (a sinistra) o con l’applicazione di lamina a freddo dorata (a destra)
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tecnologie Dall’etichettificio alla cantina vinicola, le soluzioni inkjet di Epson per la stampa di etichette vanno incontro alle esigenze di converter e piccoli produttori
Nel print-for-pay e in cantina, l’etichetta vinicola è sempre più digitale
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ome il packaging, anche l’etichetta si fa interprete delle sfide che il mercato impone a brand owner e converter. Le parole d’ordine sono basse tirature e personalizzazione spinta. Perché funzioni, l’etichetta deve comunicare in maniera distintiva e accattivante l’immagine e i valori del prodotto. Contestualmente, deve essere in grado di trasmettere un messaggio forte e coerente, pur rivolgendosi a una clientela che si differenzia per età,
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nazionalità e abitudini di consumo. Anche settori storicamente floridi come quello vinicolo e oleario puntano quindi a creare nuovi livelli di differenziazione, a beneficio di un mercato che acquisisce una dimensione sempre più globale. La stampa digitale diventa la chiave per far fronte all’esigenza di produzioni sempre più frammentate e abilitare nuovi livelli di personalizzazione. Tra i costruttori di soluzioni per la stampa, Epson ha messo a punto un’offerta tecnologica dedicata al
settore dell’etichetta coerente e modulare, al punto da farsi interprete tanto delle esigenze dell’etichettificio, quanto di quelle di cantine vinicole e oleifici di piccole dimensioni. Nascono così due differenti approcci che vedono impiegate piattaforme per la stampa di etichette diverse per produttività, tipologia di utente, capacità di investimento, ma accomunate dall’impiego della tecnologia inkjet piezo di Epson. Da una parte, Epson SurePress L-4033 AW, la macchina da stampa industriale
a bobina pensata per gli operatori del print-for-pay; dall’altra, la stampante compatta Epson ColorWorks C7500. In questo articolo, abbiamo voluto scoprire queste due tecnologie, simbolo di due approcci distinti e complementari, e raccontarle attraverso || In alto, a sinistra, Epson SurePress L-4033 AW installata nel reparto produttivo di Etichettificio Perruccio, a Casarano, provincia di Lecce. A destra, la stampante compatta Epson ColorWorks C7500.
tecnologie l’esperienza d’uso di due utenti altrettanto diversi: un etichettificio e una grande azienda vinicola. Il lavoro di squadra è il segreto di un’etichetta vincente Benché il settore vinicolo non abbia conosciuto crisi significative, i brand owner hanno dovuto ripensare la propria offerta, a partire dagli imballaggi. Packaging ed etichetta devono differenziarsi sullo scaffale, rispecchiare il valore e il prezzo di un prodotto di qualità, ed emozionare attraverso sensazioni visive e tattili. La realizzazione di un’etichetta diventa una sfida che coinvolge diverse professionalità, che concorrono a realizzare un prodotto unico e, al tempo stesso, compatibile sia con gli alti volumi tradizionali che con piccoli quantitativi ed edizioni limitate. Il progetto “Con Vista - Chianti Classico Cecchi”
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punta a ricreare questo ecosistema applicativo, mettendo al centro il potenziale della stampa digitale. L’iniziativa nasce dalla volontà di Epson di dimostrare come la propria tecnologia inkjet, abbinata a materiali dedicati e ad un design ad-hoc possano concorrere alla realizzazione di un’etichetta di alta qualità. In collaborazione con Arconvert, leader nella produzione di materiali autoadesivi, Epson ha ingaggiato Mario Di Paolo, designer specializzato nella progettazione di etichette per il settore vinicolo. Il designer, a sua volta, ha coinvolto Famiglia Cecchi, storica azienda vinicola toscana, che ha accolto la sfida di creare una nuova etichetta per il suo prestigioso Chianti Classico. «Volevo che l’etichetta trasmettesse i valori di tradizione e storicità del marchio. – spiega Di Paolo – Allo stesso tempo, ho progettato le diverse parti
affinché tutte le lavorazioni fossero compatibili sia con le tecniche produttive tradizionali che con la tecnologia Epson». Per la realizzazione, si è reso necessario il coinvolgimento di un partner produttivo competente e attento alla qualità, prontamente identificato nell’Etichettificio Perruccio, già utilizzatore della tecnologia Epson SurePress L-4033 AW. La capacità di gestire carte non trattate, l’alta qualità di stampa e l’ampio gamut cromatico della label press di Epson hanno consentito di realizzare un’etichetta elaborata, accoppiando tre tipologie di carte diverse. Per la nobilitazione è stato poi scelto un foil dorato. Perruccio: specialista dell’etichetta alimentare Nel 1981 Giovanni Perruccio avvia la sua attività di produzione di etichette per il settore
Massimo Perruccio Titolare di Perruccio srl
“SurePress è il giusto compromesso per un piccolo converter di etichette, desideroso di integrare il digitale nel proprio flusso produttivo e accrescere la competitività.” calzaturiero. Nasce così l’omonimo etichettificio, con sede a Casarano (LE). Complice la fiorente
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|| 1) Un operatore avvia la stampante Epson SurePress L-4033 AW nel reparto di produzione di Etichettificio Perruccio. 2) L’operatore effettua un controllo di qualità sulla bobina di etichette. 3) Le etichette finite, realizzate per il progetto “Con Vista - Chianti Classico Cecchi”, frutto della collaborazione tra Epson e Arconvert.
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Mario Di Paolo Graphic designer e titolare di Spazio Di Paolo
“Epson SurePress si presta alla realizzazione di progetti complessi, in cui il creativo può esprimere tutto il suo potenziale.” industria agroalimentare della regione, nel corso degli anni Novanta Etichettificio Perruccio si 1
orienta verso la produzione di etichette per vino, olio e prodotti alimentari. Il parco macchine cresce fino a includere ogni tipo di tecnologia: offset, flexo e serigrafica, stampa a rilievo e foil a caldo e a freddo. Oggi l’azienda, con un’estensione di 2.500 m2 e 20 dipendenti, produce 150 milioni di etichette l’anno. «Le etichette per il packaging alimentare, normalmente prodotte in alti volumi, necessitano della tecnologia analogica. – spiega Massimo Perruccio, titolare dell’azienda – Nel caso delle etichette per il settore vinicolo, invece, serviamo soprattutto piccoli e medi produttori del Sud Italia, che effettuano piccoli ordini di prodotti personalizzati e talvolta variabilizzati in base alla tipologia di prodotto, la zona di provenienza e il brand del cliente. Per questo motivo, abbiamo sentito la necessità di adottare una
soluzione digitale che permettesse di realizzare efficacemente piccoli quantitativi con un alto livello di personalizzazione». SurePress è la porta d’accesso al digitale L’esperienza di Etichettificio Perruccio dimostra come l’industria dell’etichetta vada sempre più verso l’ibridazione dei processi di stampa. La sfida sarà piuttosto quella di elaborare progetti compatibili sia con le tecniche analogiche che con il digitale, affinché una piccola campionatura possa trasformarsi, all’occorrenza, in una produzione industriale. Uno dei temi più dibattuti tra gli etichettifici, tuttavia, è quello del costo della tecnologia digitale, sia in termini di valori d’acquisto che di costo dell’etichetta finita. Epson SurePress L-4033 AW
si propone come uno strumento accessibile e abilitante per i piccoli e medi stampatori di etichette desiderosi di integrare il digitale nel proprio flusso di lavoro. L’elevata risoluzione di stampa (720x1.440 dpi) e l’eccellente qualità dell’immagine consentono poi di riprodurre testi di piccole dimensioni, fondi pieni e immagini fotografiche. Con l’ulteriore vantaggio, tipico del digitale, di poter realizzare piccoli lotti senza cliché e forme da stampa. LW4033 AW utilizza inchiostri SurePress AQ, una chimica base acqua che garantisce elevata adesione e resistenza su diversi tipi di carte autoadesive, anche non trattate. La stampa di etichette entra in cantina Se per un etichettificio l’adozione della stampa digitale è
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|| 1) I vigneti di Cantine Volpi. 2)Le bottiglie pronte per l’etichettatura. 3) Il frontale di un’etichetta stampato presso un etichettificio esterno. 4) Il retro della stessa etichetta realizzato con l’unità Epson ColorWorks C7500 installata in azienda.
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intervista a Francesco Civardi Responsabile Qualità di Cantine Volpi
“Epson ColorWorks C7500 ci permette di gestire internamente la produzione di retroetichette, aumentando la flessibilità e riducendo i tempi d’attesa.”
ormai più che un’opzione remota, anche le cantine vinicole si interrogano su come rendere più efficienti i propri processi di approvvigionamento e applicazione delle etichette. Complici la frammentazione degli ordinativi e le crescenti richieste di variabilizzazione. Emblematica è l’esperienza di Cantine Volpi, storica azienda vitivinicola piemontese che, per internalizzare la produzione di retroetichette, nel 2016 ha installato la sua prima Epson ColorWorks C7500, una label printer compatta ma straordinariamente produttiva. L’azienda nasce nel 1914 a Tortona, in provincia di Alessandria, e nei decenni si afferma come uno dei produttori di spicco nel panorama regionale e nazionale, sia in termini di prodotto che di impianti. Oggi Cantine Volpi opera su un’area di 13.700 m2 e occupa 28 dipendenti, producendo 4 milioni di bottiglie l’anno per una clientela
Quali sono i driver che vi hanno convinti ad introdurre la stampa digitale in cantina, e perché proprio Epson? La nostra produzione media complessiva si aggira intorno alle 25 mila bottiglie al giorno. Un volume composto in prevalenza da grandi lotti per singoli clienti. Tuttavia, la maggior parte dei nostri clienti ordina piccoli quantitativi, talvolta ulteriormente suddivisi in micro-batch, la cui etichetta dovrà differenziarsi in base alla specifica tipologia di vino. Per stampare il fronte, spesso comune a più prodotti all’interno della stessa gamma, esternalizzare a un etichettificio è ancora la soluzione più conveniente. Mentre non è così per la stampa del retro, che contiene dati specifici e richiede un elevato livello di personalizzazione. Epson ColorWorks C7500 ci permette di gestire internamente la produzione delle retroetichette, aumentando la flessibilità e riducendo i tempi di attesa. Ciò che ci ha ulteriormente convinti è la totale corrispondenza cromatica delle retroetichette con i frontali stampati in offset. prevalentemente internazionale. «Esportiamo il 90% della nostra produzione. – racconta Francesco Civardi, Responsabile Qualità di Cantine Volpi – Per noi, variabilizzare l’immagine del prodotto è un’esigenza pratica, soprattutto per quanto riguarda la stampa delle retroetichette, contenenti le informazioni per il consumatore e le indicazioni di legge, che variano per ciascun Paese». In passato, l’azienda si è sempre rivolta a un partner esterno per la stampa delle etichette. Tuttavia, per ammortizzare i costi di impianti e avviamenti, era necessario ordinare e stoccare grandi quantitativi di etichette che, dopo un certo periodo, finivano per essere buttate a causa della loro obsolescenza. L’introduzione di Epson ColorWorks C7500 ha permesso di affiancare e uniformare la stampa delle retroetichette alla linea di imbottigliamento. Con una luce di 108 mm, ColorWorks
Quali nuove competenze ha richiesto l’introduzione di una tecnologia inkjet? Abbiamo frequentato corsi di aggiornamento per acquisire alcune competenze di base nell’ambito della stampa e del colore, ma devo dire che la macchina è studiata per essere facilmente utilizzabile anche da non addetti ai lavori. Mi occupo personalmente di controllare che i file grafici inviati dalle agenzie creative siano perfettamente corretti e stampabili. Successivamente, procediamo con l’invio in stampa, proprio come su una normale stampante da ufficio. Il grande pregio della macchina è dato proprio dal fatto che non è necessaria la presenza di un operatore dedicato. In pochi
minuti, la bobina di etichette è pronta per essere montata sull’etichettatrice in linea. Pensate di alzare l’asticella per il futuro? Magari introducendo tecnologie di stampa più produttive e performanti per rendervi completamente autonomi? Al momento siamo soddisfatti della produttività della macchina e del vantaggio che ci offre. Al punto che presto ne affiancheremo una seconda, così da assicurare ai nostri clienti un servizio ancora più puntuale e personalizzato. Pensare a una produzione di etichette totalmente internalizzata è affascinante, ma senz’altro prematuro.
|| L’unità Epson ColorWorks C7500 installata presso Cantine Volpi
C7500 raggiunge una velocità massima di 300 mm al secondo, sufficienti per produrre fino a 5.000 etichette in un’ora. Le teste inkjet PrecisionCore Micro TFP assicurano una risoluzione massima di 600x1.200 dpi. L’engine di stampa in quadricromia, supportato dagli inchiostri a pigmento Epson DURABrite Ultra, consente di produrre retroetichette della medesima qualità, con le stesse caratteristiche cromatiche e con la stessa durevolezza e resistenza delle etichette frontali stampate in offset. Quale futuro per la supply chain dell’etichetta? Denominatore comune di queste due esperienze è l’utilizzo della tecnologia inkjet piezo di Epson. Pur declinata in due tipologie di macchinari diversi per formato, costo e produttività, essa introduce nuove opportunità, vantaggi
e sfide. Tanto per gli etichettifici quanto per i brand owner e gli operatori della logistica. Ma cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Se da un lato saranno sempre di più le cantine vinicole e le aziende alimentari a introdurre soluzioni di stampa in-plant per piccoli volumi, dall’altro non c’è dubbio che gli etichettifici continueranno ad essere i protagonisti dei grandi volumi. C’è forse da chiedersi quanto utopica, o altamente probabile, possa essere l’introduzione di linee di stampa e converting sempre più produttive direttamente in cantina. Magari proprio una Epson SurePress? In definitiva, osservando le esperienze di Cecchi e Volpi, su una cosa non abbiamo dubbi: quello dell’etichetta è un ambiente di committenza, creatività e produzione estremamente dinamico, tecnico e ricco di professionalità. Un ecosistema affascinante e sempre più, incontrovertibilmente, digitale.
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tecnologie Il mercato dell’etichetta si evolve e Gallus risponde ampliando la sua offerta digitale con una soluzione end-to-end, accessibile e facile da utilizzare
Gallus Smartfire: l’entry‑level intelligente che rivoluziona la produzione di etichette
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a famiglia di soluzioni Gallus per la produzione digitale di etichette si arrichisce di una nuova piattaforma: Gallus Smartfire. Lo scorso giugno, si è tenuta la terza edizione dei Gallus Innovation Days, presso il quartier generale dell’azienda a San Gallo (Svizzera). La manifestazione ha visto la partecipazione di oltre 800 visitatori da tutto il mondo e circa 32 partner. Nel corso dell’evento, Gallus e Heidelberg hanno
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illustrato la loro strategia di sviluppo per il futuro e presentato le ultime novità della propria offerta tecnologica. Il lancio di Smartfire conferma l’intenzione di rafforzare la presenza nel digitale, offrendo soluzioni capaci di rispondere alle più recenti evoluzioni del mercato. Integrazione tra stampa e finitura, semplicità d’utilizzo ed economicità: sono questi i tratti distintivi della nuova piattaforma. Il finishing in linea consente di realizzare etichette finite senza l’impiego di
ulteriori macchinari. Il software è dotato di una serie di funzioni che permettono anche all’utente inesperto di produrre etichette professionali. Gli inchiostri base acqua sono ecosostenibili e indicati per applicazioni destinate a settori in cui la sicurezza è un requisito fondamentale. Dal file all’etichetta finita in un unico passaggio Gallus Smartfire ha una luce di stampa di 220 mm. Il sistema di
gestione dei materiali è compatibile con bobine con un diametro massimo di 500 mm e un’ampiezza compresa tra 80 e 240 mm. La produttività massima della macchina è di 18 m/min. L’engine di stampa digitale ha quattro canali || In alto, a sinistra la presentazione di Smartfire durante l’apertura dei Gallus Innovation Days 2018. A destra, Stephan Plenz, CTO Digital Technology di Heidelberg, e Ferdinand Rüesch, Vice President of the Board di Gallus, posano di fronte alla nuova macchina appena svelata.
tecnologie
intervista a Christof Naier Head of Business Unit Label di Gallus
“Nel digitale, gli inchiostri sono un elemento chiave. Il nostro team di chimici lavora costantemente per migliorarne le prestazioni.”
colore e utilizza teste Memjet che assicurano una risoluzione fino a 1.600x1.600 dpi a una velocità di 9 m/min. Queste ultime possono essere sostituite autonomamente dall’operatore. La macchina utilizza inchiostri base acqua perciò è compatibile solo con supporti appositamente pretrattati. I moduli di finitura in linea, integrati nell’architettura della macchina, sono in grado di eseguire diverse post‑lavorazioni sullo stampato: laminazione a freddo, fustellatura digitale o semi-rotativa, rimozione dello sfrido e slitting. In un singolo passaggio, è quindi possibile ottenere bobine di etichette stampate in alta qualità, finite e pronte per l’etichettatrice. Smartfire utilizza Caldera GrandRIP +. Il software è completo di tutte le funzionalità fondamentali per la produzione professionale di
Dopo anni di dibattiti su personalizzazione e piccole tirature, quali saranno gli argomenti caldi nel prossimo futuro? Vedremo affermarsi due tendenze nell’ambito della stampa di etichette. I volumi di stampa continueranno a frammentarsi, per cui sempre più aziende si doteranno di un proprio centro stampa per gestire produzioni on demand. Contestualmente sta crescendo la domanda di etichette da parte dei piccoli produttori locali come microbirrifici, cantine e aziende agricole; realtà che necessitano di tirature contenute e che spesso sono vincolate alla stagionalità dei loro prodotti. Un contesto in cui realizzare internamente le proprie etichette può essere vantaggioso sia dal punto di vista della flessibilità sia da quello economico. Senza contare che con etichette più professionali, queste piccole realtà riusciranno a comunicare più efficacemente l’immagine del prodotto e a migliorare le proprie vendite.
tecnici e addetti alla customer care – riceve una “formazione incrociata” che gli consente di rispondere tempestivamente alle esigenze quotidiane dei clienti. Per seguire i progetti più complessi, scendono in campo i nostri specialisti di prodotto, che raccolgono le istanze dei clienti e li supportano nell’individuazione della soluzione a loro più congeniale.
In che modo Gallus si pone come interlocutore esclusivo
in questo contesto? Quali sono le chiavi del vostro successo? Abbiamo il privilegio di essere parte del gruppo Heidelberg. La nostra offerta include tecnologie per la stampa e il converting, tradizionali e digitali, nonché software. Siamo in grado di sviluppare, insieme ai clienti, ecosistemi produttivi basati sulle loro esigenze, e per questo altamente efficienti. Sono certo che la produzione di etichette cambierà in maniera radicale già nei prossimi due anni. Basti pensare a quanto sta accadendo in Italia con il piano industria 4.0: il workflow non è mai stato così importante. Le nostre tecnologie sono pronte a questo cambiamento, a partire dalle macchine sensorizzate, capaci di fornire dati dettagliati sulla produzione, fino ai software CERM e Prinect, in grado di ottimizzare e centralizzare tutti i processi aziendali. Un altro aspetto chiave della nostra strategia riguarda il pre e post vendita. Anche in questo ambito, l’unione delle nostre forze con quelle di Heidelberg si traduce in un importante vantaggio per i clienti. Oggi siamo presenti con 250 sedi in oltre 170 Paesi. Il nostro personale – commerciali,
etichette: gestione del colore, calibrazione dei supporti, preflight, step&repeat, stampa di dati variabili e calcolo dei costi. Un ulteriore tratto distintivo di Smartfire è la sua compatibilità
con ogni tipo di ambiente produttivo, grazie ai requisiti elettrici standard (230 V), all’ingombro ridotto (2901x1058 mm) e all’assenza di emissioni nocive. Al momento in cui scriviamo, la
macchina è in esercizio presso un primo cliente, che sta collaborando con Gallus per le ultime fasi di testing; sarà disponibile sul mercato a partire da settembre. Smartfire avrà un prezzo
Quanto sono importanti le chimiche d’inchiostro nella strategia digitale di Gallus? Le performance di una macchina da stampa inkjet dipendono in larga parte dai suoi inchiostri. Infatti il nostro team di chimici è in costante crescita. Oggi presentiamo la seconda generazione di inchiostri UV-curable per Labelfire, che assicura stampe inodori e risultati di qualità superiore. Per quanto riguarda Smartfire, stiamo testando le possibilità applicative offerte dalle chimiche base acqua e la loro compatibilità con i diversi materiali in uso nel settore. È un lavoro che stiamo svolgendo fianco a fianco con la ricerca e sviluppo Memjet, e che fino ad oggi ha dato risultati al di sopra delle nostre aspettative.
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tecnologie
intervista a Michael Ring Vice President Digital Solutions di Gallus
“Smartfire si adatta perfettamente a una logica di produzione in-house, grazie al costo contenuto e all’estrema semplicità di utilizzo.”
L’integrazione tra stampa e finitura è alla base di entrambe le vostre tecnologie digitali… Siamo fermamente convinti che si andrà nella direzione dell’ibridazione e dell’integrazione. Le prime tecnologie digitali per la stampa di etichette rendevano impegnativo eseguire post‑lavorazioni in linea. Per anni i converter hanno preferito mantenere separati i processi di stampa e finishing. Oggi il mercato si è evoluto e le tecnologie inkjet sono pienamente compatibili con le più diffuse tecniche analogiche di stampa e finitura. I vantaggi dell’integrazione sono sia di carattere economico sia di carattere applicativo. Eliminando i passaggi da una macchina all’altra, i sistemi integrati consentono di ridurre gli sprechi di materiale dovuti agli avviamenti multipli, aumentare l’efficienza del flusso di lavoro e minimizzare l’incidenza di errori. La possibilità di aggiungere un numero variabile di moduli analogici permette ai sistemi integrati di replicare, in un singolo passaggio, risultati altrimenti ottenibili solo con una complessa combinazione di processi. La nuova Smartfire promette di essere accessibile e facile da
d’acquisto al di sotto di 150.000 euro e promette costi d’esercizio competitivi rispetto alle altre piattaforme dello stesso segmento. È dunque la scelta ideale non solo per committenti di piccoli volumi di etichette che vogliano rendersi autonomi internalizzandone la produzione, ma anche per stampatori che desiderino estendere la propria offerta applicativa. Al tempo stesso, la macchina offre un vantaggio agli etichettifici, che possono efficientare il proprio workflow, utilizzando i loro sistemi più evoluti per lavorazioni complesse e Smartfire per microtirature e produzioni semplici. || A destra, l’engine di stampa di Gallus Smartfire (sullo sfondo) e i suoi moduli di finitura in linea (in primo piano)
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usare. Come vi aspettate che venga accolta dal mercato? Stiamo assistendo a un cambiamento importante: le aziende che necessitano di piccole e piccolissime tirature stanno cominciando a stampare in-house (internamente, ndr) le loro etichette. È dunque in crescita la richiesta di tecnologie compatibili con questa tendenza. Smartfire ha un costo contenuto ed è studiata per essere utilizzata anche da utenti inesperti; si adatta dunque perfettamente alla logica di produzione in-house. Anche gli etichettifici tradizionali potranno trarre vantaggio da questo cambiamento. Da una parte, supportando i loro clienti nella transizione verso la produzione in-house e nella sua successiva gestione; dall’altra focalizzandosi nell’offrir loro tutto ciò che non saranno in grado di realizzare autonomamente. Servizi come la consulenza alla scelta del materiale, l’elaborazione del file, o la prefustellatura acquisiranno una maggiore importanza nel rapporto quotidiano tra converter e cliente. Al contempo, i converter potranno concentrarsi sulle produzioni medio-grandi, nonché su quelle ad alto valore aggiunto, in cui siano richieste competenze specialistiche e tecnologie
ultraperformanti. Credete che Smartfire possa essere un’opzione valida per aziende di stampa (es. stampatori commerciali, webto-print, ecc.) che desiderino ampliare la propria offerta? Fino a qualche tempo fa, anche per produrre etichette molto semplici era necessario disporre di macchinari costosi e avere specifiche competenze. Oggi, con Smartfire, offriamo un’opportunità a tutte quelle aziende che vogliano esplorare nuove possibilità applicative senza sconvolgere i propri flussi produttivi e senza affrontare pesanti investimenti. Non dico che chiunque, dall’oggi al domani, si potrà trasformare in un etichettificio. È però innegabile che gli stampatori siano costantemente in cerca di soluzioni per rispondere in modo più completo alle richieste dei loro clienti. In alcuni casi da queste ricerche arrivano risultati del tutto inaspettati. Per esempio abbiamo un cliente in Nord America che ha iniziato a produrre etichette con una soluzione entry-level, basata su tecnologia Memjet; appena dodici mesi dopo eravamo seduti con lui a discutere dell’acquisto di una Labelfire.
PERFORMANCE is a precondition for market success. The production equipment used makes a considerable contribution to this. But which one? The EDP Awards are a reliable guide for choosing the right means of production. Because if the European Digital Press Association, in which 21 leading European trade magazines for digital production technologies have joined forces, presents their prestigious awards, the products are selected according to criteria such as performance, quality and costs. Therefore, the EDP Awards offer orientation and give a neutral recommendation for your purchase decisions.
eventi La settima edizione del Packaged Summit riconferma la validità del seminario come luogo ideale di incontro e apprendimento per i protagonisti globali del packaging
E-commerce, sicurezza e sostenibilità, temi chiave tra i brand owner del packaging
I
n un panorama di conferenze e seminari che tendono ad assomigliarsi sempre di più, il format di Packaged Summit si rivela ancora una volta originale. Le regole sono chiare: sono ammessi solo i brand-owner e i propri rappresentanti, mentre converter, costruttori e venditori sono rigorosamente banditi. L’obiettivo è costruire e preservare una community selezionata di addetti ai lavori. Il gruppo di delegati, d’altra parte, include ogni anno
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le più importanti marche in settori come l’healthcare, il farmaceutico, l’alimentare e molti altri: da Decathlon a Ferrero, da Danone a Colgate Palmolive. E influenzatori e designer di prim’ordine. A dimostrazione che le opportunità di apprendimento offerte da eventi come questo superano di misura le logiche di networking “tra i soliti noti”. Le tematiche dibattute nella due giorni di Amsterdam, riconfermata per il 2019 ma con un cambio di location, sono ancora una volta quelle relative
alla sicurezza del packaging, al prolungamento della sua shelf-life, alla necessità di rendere il prodotto e il suo imballaggio più usabili. Specie in settori delicati come l’alimentazione e il farmaceutico. O ancora a come rendere il packaging più resistente e – come profetizza Amazon – “frustration free”. Al Packaged Summit si parla di futuro e di tendenze, ma soprattutto si condividono case study. E i professionisti del settore hanno l’occasione di conoscersi tra loro, condividere alcuni trend comuni,
porre domande gli uni agli altri in un contesto esclusivo e riservato. E talvolta, presentando i propri case study, gli stessi brand owner celebrano collettivamente i propri successi. Perché in fondo aver innovato nel campo del packaging non è solo il successo di un brand contro il suo competitor, ma una || In alto e nella pagina a fianco, alcuni momenti del Packaged Summit 2018. Riciclabilità e riduzione dell’utilizzo di plastica nel packaging sono stati i temi caldi toccati durante l’evento.
eventi vittoria per i consumatori e per il pianeta. Tra i temi ricorrenti c’è quello della sostenibilità, che finalmente non è più relegato ai livelli di un “side topic” da mettere artificiosamente in luce per essere politically correct, ma un argomento trattato con scientificità da quasi tutti gli speaker dell’evento. Segno di una raggiunta responsabilità, ma anche di uno straordinario livello tecnico su temi come la riduzione dei volumi di imballo, il loro riciclo e lo smaltimento. Una sensibilità autentica, che fino a dieci anni fa sarebbe stata impensabile. Sullo sfondo – per il piacere dei nostri lettori impegnati nella stampa e converting di imballaggi, etichette e materiali per il punto vendita – c’è tuttavia tanta tecnologia. Un fattore che unisce i brand owner quando si parla dell’aspetto estetico del loro packaging, delle problematiche realizzative e di tracciabilità che sono comuni a qualsiasi settore. In primo piano la tecnologia di stampa, digitale e non, che continua a qualificarsi come il game changer di molte applicazioni. Verso un packaging funzionale e sicuro Tra i tanti interventi mirati a sottolineare come la sicurezza sia un criterio fondante nella progettazione e realizzazione di un packaging, c’è ancora una volta la testimonianza di un grande player del settore farmaceutico come Abbott, i cui prodotti sono in larga misura impiegati per curare malattie complesse come la malaria e per migliorare le condizioni di vita di larghe fasce della popolazione mondiale più povera. Basti pensare che il 70% dei suoi farmaci costano meno di 10 centesimi di dollaro. Anche per questo l’innovazione è un fattore chiave per Abbott, e creare soluzioni globali una sfida quotidiana. «In un’azienda come la nostra l’innovazione – sottolinea Rajesh Mishra – si fa nel prodotto ma anche nel packaging». Emblematico il case study di LiDoCon, un sistema di misura integrato nel tappo del farmaco, interamente
sigillato: basta un giro di tappo, si capovolge il contenitore e, grazie a una semplice valvola apri/chiudi, il liquido fluisce e viene intrappolato nel tappo. Pronto per la somministrazione. Ma certe sfide tecniche sono comuni a tutti i settori e sono talvolta correlate all’aspetto di un prodotto, alla sua storicità, modalità di fruizione e di consumo. «Uno dei fattori che ci guida nei processi di R&D è la piena aderenza alle più stringenti normative italiane ed europee – spiega Luca Diotallevi, Global Packaging Manager di Ferrero – ed è inevitabile che stiamo riflettendo sull’evoluzione di prodotti storici e di enorme successo con packaging in plastica, come Estathé, il cui incarto dovrà essere sempre più sostenibile e che nei prossimi anni dovrà adeguarsi, ad esempio, al possibile bando delle cannucce in plastica». “Ridurre” il packaging e renderlo sostenibile Al Summit molti degli interventi, delle domande e delle conversazioni tra delegati si sono concentrate sulla sostenibilità del packaging. Un termine che si sostanzia anzitutto nella riduzione del suo quantitativo complessivo, nella sua riciclabilità, ma anche nella possibilità di separare facilmente i materiali che lo compongono. Fenomeni come le isole di plastica
negli oceani colpiscono l’opinione pubblica. E i consumatori di tutto il mondo iniziano a percepire la riduzione del packaging come un’urgenza. Inoltre, in un commercio globale che vede sempre più protagonisti i negozi online – Amazon in testa – è proprio l’e-commerce a finire sul banco degli imputati per l’eccesso di packaging secondario che sta generando. Una mole impressionante di cartone e altri materiali aggiuntivi, che in un modello di retail tradizionale non esistono! Parallelamente si moltiplicano le istanze di gruppi di consumatori che vorrebbero “lasciare” fisicamente il packaging sul punto vendita, o sentire i retailer più coinvolti in questa dinamica. A trattare meglio di altri questo argomento è stato Nicolas Bouché, Packaging Director di Decathlon, che ha illustrato le linee guida della nota azienda di abbigliamento e accessori sportivi. «Per ottenere risultati consistenti ci assumiamo delle responsabilità e agiamo con determinazione su più fronti. Basta trasporti aerei, minor impronta di CO2, una produzione più agile e soprattutto più vicina ai luoghi di vendita – spiega Bouché – sempre di più, inoltre, ci impegniamo a vendere prodotti disegnati per ottimizzare il trasporto. Quando disegniamo un prodotto cerchiamo di renderlo più trasportabile, vendibile, consegnabile possibile. Questo si tradu-
Luca Diotallevi Global Packaging Manager, Ferrero
“Uno dei fattori che ci guida nei processi di R&D è la piena aderenza alle più stringenti normative italiane ed europee ed è inevitabile che stiamo riflettendo sull’evoluzione di prodotti storici e di enorme successo con packaging in plastica.” ce in meno materiale di packaging, così da facilitarne la riciclabilità, con l’obiettivo finale di utilizzare solo materiale fibroso. Già oggi abbiamo portato il cartone al 45%». Bouché ha scelto di trattare in modo originale anche un altro tema chiave – quello della plastica, appunto – sottolineando come ci sia molto di reale, ma anche molto di emozionale: per questo occorre agire con pragmatismo, da un lato pulendo gli oceani, e dall’altro
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eventi || Prodotti disegnati per ottimizzarne il confezionamento e il trasporto, questa la via scelta da Decathlon per ridurre il problema dell’overpackaging
avviando programmi di riciclo, di utilizzo responsabile delle materie prime e di produzione green. L’e-commerce è il vero game changer nel packaging alimentare Se la sostenibilità è un tema chiave, più di uno speaker ha analizzato l’impatto che l’e-commerce sta avendo sulle abitudini d’acquisto dei consumatori, e sull’intera supply chain del packaging. Tra questi Alexandre De Souza Carvalho, Global Director of Marketing Services di TetraPak. «Dobbiamo considerare nuovi paradigmi di approccio al consumatore, in
Marco Meneghelli Packaging Development Engineer, Fater
“Packaged Summit è la piattaforma di networking ideale per ispirarsi, condividere esperienze e valutare nuovi materiali e percorsi di design.”
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un’ottica di omnicanalità, che è la combinazione di canali fisici e digitali che concorrono a creare un nuovo consumer journey – spiega De Souza – il cambiamento è rapido e va nella direzione di ecosistemi di shopping complessi, sebbene a velocità e con modalità diverse in ogni Paese». Se per i consumatori i principali driver sono convenienza, sostenibilità, esperienza, personalizzazione e tecnologia – una dicotomia complessa – il mercato si sta consolidando e in alcune aree del mondo i consumatori arrivano ad acquistare alimentari online anche più di una volta a settimana. Sul piano tecnologico, in particolare, nel campo dei prodotti alimentari si parla di “Internet of Things of Packaging”, ovvero della costruzione di un nuovo layer digitale nell’imballaggio che abiliti la tracciabilità del prodotto, oltre ad aprire nuovi scenari di interazione. Uno dei possibili vantaggi dell’ecommerce nel settore alimentare risiede poi nella riduzione degli scarti di cibo: se in un modello di retailing tradizionale si tende ad allungare la shelf-life, l’e-commerce permette infatti di ordinare solo ciò che serve, quando serve. Ridefinire il packaging per vendere online con successo Se gli acquisti si spostano sempre più dal negozio fisico a quello di-
gitale, è inevitabile interrogarsi su come e quanto il packaging debba adattarsi a questo nuovo canale. A trattare l’argomento è stato Luis Arévalo, Design & Packaging Manager di Colgate-Palmolive. «L’ecommerce è la nuova sfida del packaging e sempre più sta cambiando il modo in cui progettiamo il packaging, con l’obiettivo di garantire una grande esperienza ai consumatori, uguale o migliore di quella che provano nei negozi reali». Per questo l’utilizzo di dispositivi in grado di facilitare il riordino del prodotto in scadenza, come Amazon Dash, potrà avere un impatto. «È una questione di scambio di dati. Tutti i brand devono comprendere il lifecycle del packaging e integrare l’e-commerce nella propria road map dell’innovazione – afferma Arévalo – non solo progettando il packaging primario, ma anche quello secondario o un intero portfolio prodotti flessibile, con formati specifici per il canale online». Una sfida resa necessaria dall’accresciuta complessità del modello di vendita online e dai rischi ad esso correlati. «Se un modello B&M (brick & mortar) prevede almeno cinque step di manipolazione del prodotto dal luogo di produzione al consumatore, nell’e-commerce ce ne sono almeno venti – continua Arévalo – all’inizio c’erano packaging basilari, cui poi si è aggiunto
un packaging secondario dedicato, pensato per lo più in un’ottica protettiva. Il problema del cosiddetto “overpackaging” è sotto gli occhi di tutti: a chi non è mai arrivato un prodotto piccolissimo in una scatola con un volume enormemente maggiore? Ancora una volta è Amazon ad essere precursore, con un proprio protocollo di certificazione del packaging. L’obiettivo è che l’imballo sia “frustration-free”, che il prodotto possa essere spedito nella sua stessa scatola (senza overbox), non richieda preparazione da parte di Amazon e garantisca la minima incidenza di difetti e danneggiamenti. Un interessante video su YouTube lo illustra in modo magistrale! Ma come si progetta un packaging “strong”? Che “strong” stia per robusto, resistente o semplicemente azzeccato, una progettazione vincente è ciò che contraddistingue un brand vincente da uno che – diciamola così – si arrangia come può. A testimoniare il ruolo chiave della progettazione al Summit è stato Niels Prinsen, Packaging Development Manager di Philips. Niels è a capo di un team di 16 persone che sviluppa da 10 a 17 progetti l’anno, che danno vita a una trentina di differenti packaging. Ma cos’è, quindi, un packaging strong? «È qualcosa che si apre facilmente, che protegge il prodotto adeguatamente, che risulta appealing per il consumatore – spiega Prinsen – ma soprattutto è un packaging che deve collezionare un buon punteggio sotto il profilo della ricicilabilità, della qualità delle materie prime e dei fornitori, e della sua efficacia in fase di produzione, logistica, collocazione nel retail, in fase di shopping e al momento dell’acquisto. Ma anche in base all’efficacia nel suo utilizzo, a partire dall’unpacking, fino all’utilizzo quotidiano e alla
manutenzione». Un simile processo implica il coinvolgimento di numerosi interlocutori, dagli operatori della logistica al marketing, fino al consumatore e alle società specializzate nel riciclo. Il manager di Philips ha presentato il case study della progettazione di un pack per un trimmer da viaggio, il tipico oggetto che si acquista in aeroporto, online o in piccoli store. «Sebbene sia apparentemente banale, ci sono un’enormità di requisiti da verificare, a partire dalla protezione fisica del contenuto, la sicurezza contro il furto, le possibili criticità in fase di apertura della confezione, la sostenibilità, la coerenza legale con le normative – spiega Prinsen – la parte concettuale è poi un elemento chiave e vanno utilizzati i giusti strumenti per progettare, visualizzare, disegnare in CAD e realizzare il mockup, che noi produciamo con macchine Esko. La scelta del concept, poi, deve rispettare criteri di adesione alla piattaforma di vendita, al target price, al timing, ai rischi correlati». Un’altra esigenza, sempre più pressante anche
per Philips, è quella di ridurre al minimo le dimensioni della confezione in rapporto al volume del prodotto, così da diminuire l’impronta di CO₂ correlata ai trasporti. Il processo di progettazione prevede infine una fase di validazione, che include test climatici e di resistenza alla luce, test di resistenza al trasporto (caduta e vibrazione) e l’assenza di sostanze vietate. Un packaging siffatto può quindi dirsi robusto? «Lo è perché risponde bene a tutti i requisiti, è appealing e corrisponde ai criteri di prezzo – conclude Prinsen – ma per arrivare a questo risultato è necessario un lavoro di squadra, serve pianificare e preparare le attività, incluse quelle creative. È fondamentale seguire un processo di sviluppo, gestire tutti gli stakeholder, definire e verificare correttamente le loro richieste». E la stampa digitale? Sin qui abbiamo parlato poco o nulla di printing, ma ciò non significa che la stampa sia avulsa dai processi di innovazione, ricerca e sviluppo del packaging. Anzi,
in quasi tutti i segmenti dell’imballaggio è lei il fattore abilitante di una decorazione vincente e sostenibile. La stampa digitale riscuote poi un interesse crescente da parte dei leader del packaging. Ne abbiamo riparlato con Jose Luis Arévalo, di Colgate-Palmolive, un gigante dell’healthcare e in quanto tale non immune da una competizione serrata sull’immagine del prodotto. «Il nostro principale competitor oggi non sono i mega-gruppi come P&G e Unilever, ma le startup, che dimostrano di avere una grande capacità di comprendere le esigenze dei consumatori e una velocità di sviluppo fulminea – afferma Arévalo – aziende come la nostra hanno 200 anni di storia e un brand potente, ma non sempre riusciamo ad essere veloci quanto desideriamo. Per questo, anche per prodotti di massa, la stampa digitale non è più solo un’opzione, ma fa parte di un progetto di R&D ben preciso e già avviato». Nell’ambito dei tubi per il dentifricio, ad esempio, Colgate-Palmolive ha avviato un progetto di stampa inkjet cilindrica basata su tecno-
Luis Arévalo Design & Packaging Manager Colgate-Palmolive
“Tutti i brand devono comprendere il lifecycle del packaging e integrare l’e-commerce nella propria road map dell’innovazione.” logia Domino, destinato alla produzione di massa di prodotti con layout variabilizzato. «Sono convinto che la stampa digitale giocherà sempre più un ruolo cruciale in tutte le aree del packaging – ha concluso il Packaging Manager di Colgate-Palmolive – soprattutto grazie alla capacità del digitale di realizzare efficacemente layout variabili e personalizzazioni».
eventi Red Carpet, il grande evento di inizio estate presso la storica sede di Anversa, ha riunito centinaia di stampatori europei per il lancio di Jeti Tauro H3300 LED
Agfa alza ancora l’asticella nell’inkjet con formati XL, velocità e automazione al top di Lorenzo Villa // lorenzo@densitymedia.com
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ntrare in un mercato da follower e, in tempo record, riuscire a diventarne protagonisti per quote di mercato, completezza di offerta e capacità di innovare, oltre che di rilasciare tecnologie proprietarie all’interno di prodotti abilitanti e differenzianti. Non sono molti i brand che possono vantare un tale background nel proprio curriculum. Specie se la loro storia è fortemente legata a tecnologie e processi tradiziona-
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li, e ancor peggio se il loro nuovo terreno di sfida è sovrappopolato e iper-competitivo. Eppure, poco meno di tre lustri dopo l’avvio di un’ambiziosa strategia di penetrazione nel wide format – a drupa 2008 si parlava di M-press e Anapurna iniziava timidamente ad affermarsi – la leggendaria Agfa può dire di aver giocato bene le sue carte, e può essere fiera di occupare un posto d’onore tra i big del wide format, in diretta competizione con i migliori costruttori europei, americani,
giapponesi e israeliani. Sebbene questa premessa possa apparire accademica, la storia della nostra industria ci ha dimostrato che, anche nel printing, nulla si crea e nulla si distrugge. Tutto, o quasi, si trasforma ed evolve grazie a uomini, competenze e a quei brand capaci di offrire risposte concrete a istanze in rapido mutamento. Per questo, più che il classico evento VIP con annessa open house commerciale, il Red Carpet 2018 si è trasformato per Agfa nell’occasione per met-
tere in luce competenze ampie e multidisciplinari. I paradigmi alla base del successo di Agfa nell’inkjet Prima di immergerci nelle novità di prodotto, è opportuno identificare e comprendere i valori su cui poggia l’offerta tecnologica di Agfa nel wide format, che si || In alto, il sistema di scarico e impilatura automatico dei pannelli in azione su Jeti Tauro H3300 LED
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|| 1) Dettaglio del sistema di alimentazione automatica dei pannelli su Jeti Tauro H3300 LED, che durante il Red Carpet 2018 è stato dimostrato con presa, alimentazione sul conveyor belt e allineamento dei supporti. 2) Lo stacker automatico, abbinato al feeder, abilita operazioni completamente automatiche, fino a un massimo di 4 bancali affiancati. 3 e 4) In configurazione roll-to-roll Jeti Tauro H3300 LED può alimentare singole bobine o due bobine affiancate fino a 600 mm di diametro e 800 kg di peso. L’unwinder è dotato di un esclusivo sistema di tensionamento per prevenire grinze e pieghe. Entrambe le unità possono essere rimosse per passare rapidamente alla stampa su pannelli.
sostanziano nel concetto di “Extreme”, coniato dal produttore belga. A ricordarli e argomentarli, a beneficio degli oltre 300 stampatori che da tutto il mondo hanno partecipato al Red Carpet 2018, è stato Willy Van Dromme, Marketing Manager Sign & Display di Agfa. Dei sette pilastri di Extreme, quattro sono i più rilevanti e definiscono la value proposition che è alla base delle sue soluzioni inkjet. Anzitutto c’è la qualità, da sempre parte integrante e inscindibile del DNA di Agfa, che in una stampante inkjet si traduce anzitutto nella capacità di riprodurre immagini di qualità fotografica ed elementi vettoriali impeccabili. Ma la qualità in casa Agfa ha una valenza più ampia. «Prima ancora di altri parametri, Agfa parte
sempre dall’eccellenza qualitativa nello sviluppo di ogni nuovo prodotto. I nostri ingegneri selezionano i migliori componenti e studiano a fondo la loro interazione, guidati dall’obiettivo di generare il miglior risultato qualitativo possibile» – chiarisce Van Dromme. Una qualità che tuttavia non deve mai scendere a compromessi con la produttività. Questa è la premessa indispensabile perché l’utilizzatore possa avvantaggiarsi del migliore TCO, che nel wide format è strettamente correlato a una proposta convincente nel campo degli inchiostri. Proprio qui Agfa, uno dei pochi costruttori dell’inkjet ad avere in casa ricerca e sviluppo, formulazione e produzione degli inks, riesce a fare un’enorme differenza. «Agfa
è da tempo impegnata in processi di R&D su differenti chimiche, che ci hanno consentito di ottenere risultati straordinari sotto il profilo tecnico e commerciale, sia sulle nostre stampanti che su piattaforme sviluppate da OEM e integratori – spiega Van Dromme – tra i plus delle nostre chimiche inkjet possiamo infatti vantare l’altissima pigmentazione, che ci consente di ottenere colori più brillanti, consumi ridotti e un effetto ottico e tattile paragonabile all’offset». Il terzo pilastro di Extreme è poi la straordinaria completezza dell’offerta tecnologica di Agfa, che trae vantaggio dalla lunga esperienza dello storico brand nella prestampa e nella produzione di film e lastre. Anche in questo caso Agfa si differenzia dalla
Umberto Silvan Production Manager Wide Format di Pixartprinting
“Negli ultimi anni ci siamo molto focalizzati sulla qualità, che in flusso come il nostro deve però essere sempre accompagnata da un certo livello di automazione.”
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|| 1) Un gruppo di stampatori italiani durante le sessioni dimostrative di Agfa Red Carpet 2018. 2) L’ingresso dello storico edificio che da 150 anni ospita gli uffici della società. 3) Il grande padiglione dedicato alla dimostrazione dell’intera gamma di tecnologie wide format di Agfa, sempre operativo presso il quartier generale di Anversa, è dedicato alle attività dimostrative e di validazione applicativa. 4) L’area dimostrativa dedicata alla stampa sublimatica su poliestere e alle applicazioni soft signage è stata affidata all’esperienza e alla professionalità di Paolo Organo e del team di Agfa Italia.
Renzo De Grandi COO di GPack Group
“Nella valutazione di nuove tecnologie digitali, produttività, qualità e flessibilità sono per noi i criteri più importanti.”
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concorrenza grazie a una gamma completa di materiali e al potente software Asanti, che non si limita a pilotare la stampante ma può trasformarsi nella vera dorsale produttiva e commerciale di un’azienda di stampa digitale, grazie alle funzionalità di gestione completa del workflow e all’integrazione con le soluzioni Agfa StoreFront per l’e-commerce. Last but not least, ad essere Extreme in Agfa è anche il supporto. «Agfa Graphics è nota per il suo approccio customer caring – afferma Van Dromme – quando si tratta di servire i nostri clienti siamo sempre un miglio avanti e per
questo nel 2017 abbiamo ampliato il nostro team di supporto, potenziando i nostri servizi di break & fix e introducendo assistenza di tipo applicativo, con un team di tecnici in grado di sviluppare e validare la specifica applicazione del cliente. A questo si aggiungono i nostri Financial Services, pensati per rispettare e valorizzare le ambizioni finanziarie degli imprenditori del printing». L’UV LED ibrido si fa grande Gli osservatori più attenti avevano già compreso che il successo commerciale e il gradimento
ottenuti da Agfa con Jeti Tauro LED non si sarebbero esauriti con il fortunato modello H2500. Pochi, tuttavia, avrebbero scommesso su un innalzamento così repentino dell’asticella in chiave di produttività, formato, automazione e sistemi di alimentazione. È questa combinazione a rendere così interessante la nuova Jeti Tauro H3300 LED. La struttura e il design della nuova 3,3 metri sono in tutto simili al modello da 2,5 metri, inclusi il versatile sistema di trasporto con conveyor belt e la tecnologia di curing con lampade LED, che garantiscono consumi ridotti, lunga durata e piena compa-
tibilità con film, cartone e altri supporti termosensibili. Le vere differenze si notano però nell’enorme shuttle, che può ora ospitare fino a 60 teste di stampa industriali Ricoh Gen5 con goccia da 7 picolitri (su H2500 erano 32 in configurazione top), 48 delle quali dedicate ai 6 colori (CMYK, LC e Lm). Le restanti 12 teste possono invece essere dedicate alla sola stampa del bianco ad alta velocità (versione W12) o ad un mix di bianco e primer (W8P4). Questo consente all’engine di H3300 di sfornare un massimo di 453 m2/ora, sfruttabili pressoché appieno grazie a tre differenti opzioni di automazione. Ad un carico e scarico completamente manuale (poco consigliabile su una macchina con queste prestazioni), si affianca infatti un imponente sistema roll-to-roll capace di alimentare bobine fino a 600 mm di diametro e 800 kg di peso, dotato di modalità dual roll e di un interessante sistema di avvolgimento che previene grinze e pieghe sulla superficie del materiale. Per la stampa dei materiali rigidi sono invece disponibili due configurazioni. La prima, semiautomatica, prevede carico manuale e stacker automatico. La seconda è invece un’automazione completa, costituita da un alimentatore ad alta pila con sistema pick & place, che preleva i fogli dal bancale e li posiziona sul piano di registro, dove vengono allineati e introdotti nell’unità di stampa. Una volta stampati i fogli vengono prelevati e impilati su bancale, con la possibilità di gestire fino a 4 pallet affiancati sui 3.300 mm di larghezza utile. Il risultato finale è una linea automatizzata di dimensioni impressionanti, che supera i 14.000 kg di peso e rivela tutto il suo potenziale nell’ambito della produzione di elevati volumi e della gestione di frequenti picchi di produzione, anche su più turni. Agfa Red Carpet, un nuovo luogo di incontro per i leader? Alla luce di quanto vi abbiamo
raccontato, non ci è parso affatto casuale, né sorprendente, che al Red Carpet di quest’anno fosse presente una delegazione di 15 tra imprenditori e gruppi industriali italiani tra i più rilevanti nel wide format, nel packaging e nella stampa online. Nell’impossibilità di dialogare con tutti, non ci siamo fatti sfuggire l’occasione per scambiare due parole con manager e titolari il cui punto di vista, a buona ragione, è rilevante e validante. «Negli ultimi anni ci siamo molto focalizzati sulla qualità, che in flusso come il nostro deve però essere sempre accompagnata da un certo livello di automazione. – ci ha spiegato Umberto Silvan, Production Manager Wide Format di Pixartprinting – È poi importante distinguere tra quella che definirei una qualità oggettiva, che è dettata dall’affidabilità e dall’assenza di difettosità del macchinario, e la qualità percepita. Quest’ultima è quella che il nostro cliente riscontra quando guarda la sua stampa e che è possibile raggiungere e replicare nel lungo termine solo con un hardware di stampa affidabile, dotato di un curing efficace e alimentato con inchiostri proprietari». Dello stesso tenore il punto di vista di Renzo De Grandi, COO della prestigiosa GPack, che con le sue 6 divisioni rappresenta uno dei gruppi più innovativi nel panorama nazionale del packaging . «La produzione di espositori da banco e da terra implica oggi l’utilizzo di molteplici materiali e la gestione quotidiana di volumi complessivi elevati, cui tuttavia si contrappongono tirature medie molto basse e tempi di consegna fulminei. Per questo, nella valutazione di nuove tecnologie digitali, produttività, qualità e flessibilità sono per noi i criteri più importanti – ha affermato De Grandi – con la nuova Jeti Tauro LED, gli inchiostri ad alta pigmentazione e a basso spessore, credo Agfa stia andando nella direzione giusta. Specie per operatori abituati ai risultati dell’offset».
eventi FINAT celebra il 60° anniversario della sua fondazione e riconferma nello European Label Forum il proprio luogo elettivo d’incontro e di confronto su presente e futuro
La community dell’etichetta celebra il passato, guarda al futuro e apre al digitale
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on è un caso che tra i momenti più interessanti e partecipati del FINAT European Label Forum di quest’anno ci fosse una sessione dedicata al passaggio generazionale. Un tema piuttosto caldo in una community – te ne accorgi frequentando con regolarità i convegni della prestigiosa associazione – dove l’età media dei partecipanti comincia a farsi significativamente alta. Se infatti l’industria dell’etichetta è di fatto
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un settore sano e in crescita sostenuta, è abbastanza normale domandarsi chi deciderà e sosterrà le prossime mosse all’interno di aziende dalla tradizione pluridecennale, abituate a reinvestire continuamente in nuove tecnologie di stampa e di converting, che oggi si trovano ad affrontare più di un interrogativo. Primo tra tutti – è il motivo per cui FINAT è sempre più presente sulle nostre pagine – quello posto dalla crescente offerta di piattaforme di stampa digitale. Era il 1958, solo
un anno dopo la firma del Trattato di Roma (che dava vita alla CEE) quando venti pionieri dell’etichetta si riunivano a Parigi per costituire FINAT. Un’associazione che, sei decenni dopo, conta oltre 500 membri in 50 Paesi del mondo. Un club che include non solo etichettifici, ma costruttori di tecnologia, produttori di materiali autoadesivi e di chimica correlata al processo, in cui l’Italia gioca un ruolo rilevante sotto il profilo numerico e di prestigio. Complice il nostro enorme mercato nazionale,
trainato da settori come l’alimentare, il vinicolo e il manifatturiero, ma anche la presenza di un cospicuo numero di prestigiosi costruttori. L’importanza di celebrare (e celebrarsi) Uno degli highlight del Forum di Dublino è stata la premiazione del’’edizione 2018 dei FINAT Label Awards, che riconoscono ed evidenziano i vantaggi e l’utilizzo delle etichette autoadesive
eventi
Matteo Cardinotti Managing Director, BOBST Firenze
|| In alto, il grafico realizzato dagli analisti di mercato LPC (lpcprint.com) che indica l’inversione di tendenza a favore dell’inkjet nel numero di nuove piattaforme digitali installate nell’etichetta
e degli imballaggi flessibili come efficaci strumenti di marketing, promozione o identificazione. La competizione premia ogni anno le migliori etichette autoadesive stampate, cui dal 2018 si sono affiancate le applicazioni di flexible packaging a banda stretta. Il prestigioso premio viene conferito sulla base di differenti criteri, che includono l’utilizzo finale del prodotto, l’impatto sulle dinamiche di marketing del brand, la qualità della stampa e del converting. La giuria è composta da esperti del settore e prende in considerazione i principali segmenti di mercato, dalle bevande alcoliche ai prodotti alimentari, i casalinghi, i beni industriali, la cosmesi, i prodotti farmaceutici, le etichette di sicurezza, quelle promozionali e multipagina. Idem per i processi di stampa correlati: si spazia dalla flexo, alla tipografia, dalla serigrafia, all’offset alla rotocalco, fino naturalmente alla stampa digitale e ibrida. L’importanza di aggregarsi Eventi come lo European Label Forum hanno per la community di FINAT un’importanza che va oltre la celebrazione, e che riguarda sempre più il confronto e la condivisione, sia tra utilizzatori finali che tra esperti e costruttori. «Occupare una posizione di
leadership, con un marchio evocativo, impone una certa vita sociale. Per BOBST ha un enorme senso far parte di FINAT e condividere momenti come questo – spiega Matteo Cardinotti, Managing Director di BOBST Firenze – per questo investiamo tempo e risorse per prendere parte agli incontri dell’associazione, non solo in Europa ma anche in mercati in forte sviluppo come India e Nord America. Siamo fiduciosi che nel tempo gli sforzi profusi da FINAT riescano a coinvolgere nello European Label Forum un numero maggiore di converter, che non si limiti a poche decine ma includa le centinaia di aziende rilevanti per ogni Paese europeo». Un obiettivo, quello di portare gli etichettifici al centro del dibattito sul futuro dell’industria, condiviso da quasi tutti gli interlocutori incontrati a Dublino. «Tra gli scopi principali delle associazioni c’è quello di fare lobby, per influenzare i legislatori sulle particolari problematiche ed esigente di un’industria, ed è un’attività che FINAT svolge egregiamente – ci spiega Marco Calcagni, Sales Director di Omet, ai margini della conferenza – di contro la sfida di eventi come European Label Forum è quella di aggregare costruttori, converter, integratori, designer e brand owner, stimolandoli a scambiarsi istanze, competenze e aspettative.
Un’attività di enorme valore, che tuttavia è ancora penalizzata dalla scarsa participazione dei converter a conferenze come questa».
“Occupare una posizione di leadership, con un marchio evocativo, impone una certa vita sociale. Per BOBST ha un enorme senso far parte di FINAT e condividere momenti come questo.”
Il digitale è una via segnata Se la produzione di un’etichetta implica innumerevoli processi di pretrattamento e finishing del materiale, l’impatto comunicativo che oggi è attribuito al packaging assegna alla stampa il ruolo di prima attrice nelle dinamiche di innovazione del settore. Per questo, tra i tanti interventi di valore, quello che più ha tenuto i presenti incollati alle proprie sedie è stato quello di Sean Smyth, consulente di Smithers Pira riconosciuto come uno dei massimi esperti di tecnologie di stampa. Con la sua presentazione, intitolata “Total Cost of Ownership of Alternative Label Printing Technologies”, Smyth ha voluto sottolineare come il digitale non sia più una semplice opzione per converter alternativi, ma una realtà de facto che impone scelte d’investimento precise e un’attenta valutazione sotto il profilo qualitativo, produttivo e di rapporto costi/benefici. L’intervento, cui è ispirato l’articolo a pagina 16, ha soprattutto messo in luce i veri costi correlati al processo di produzione dell’etichetta, fornendo spunti utili per compararare tecnologie digitali e analogiche, ma
Marco Calcagni Sales Director, Omet
“La sfida di eventi come European Label Forum è quella di aggregarsi e scambiare istanze e competenze tra costruttori, converter, integratori, designer e brand owner.” anche piattaforme digitali della medesima tipologia o fascia di prezzo. Con una conclusione che deve far riflettere: se da un lato non ci si può esimere dall’investire in tecnologie di stampa digitale, dall’altro bisogna considerare che i paradigmi che sono veri oggi potrebbero non esserlo più tra un anno o due. Il mercato e le tecnologie cambiano velocemente, e la community di FINAT deve farsi trovare preparata.
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Il domani si crea facendo Tutto sul tema del packaging: competenza, innovazione, concentrazione Fornitori che comprendono le vostre esigenze. Produttori e rivenditori che parlano la vostra lingua. Soluzioni che vi proiettano al futuro. Trovate le innovazioni che fanno esattamente per voi tra più di 1.500 espositori... alla FachPack!
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