Estetica INDUSTRIALE
Ai miei maestri.
Font utilizzati: Circular, Mrs Eaves Finito di stampare nel mese di giugno, 2018
DesirĂŠe Milazzo, 869904 AA 2017/2018 Corso di Storia delle Comunicazioni Visive Proff. Luciana Gunetti, Walter Mattana Scuola del Design
Estetica INDUSTRIALE
INDICE • Premessa 8 • Dichiarazione di originalità 12
1. 2.
Dall’affiche al manifesto pubblicitario • Leonetto Cappiello • Fortunato Depero • Marcello Dudovich • Costantino Nivola • Bibliografia di sezione • Artefatti
16 18 20 22 25 26
Il manifesto e il boom economico
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• Giovanni Pintori • Antonio Pellizzari • Erberto Carboni • Max Huber • Raymond Savignac • Bob Noorda • Lora Lamm • Armando Testa • Franz Marangolo • Michele Provinciali • Albe Steiner • Bruno Munari • Adrianus Van der Elst • Bibliografia di sezione • Artefatti
32 34 36 38 40 42 44 46 48 50 52 54 56 58 60
3.
Il manifesto fotopubblicitario • Vittorio Spaggiari • Roberto Pieraccini • Oliviero Toscani • Bibliografia di sezione • Artefatti
66 68 70 73 74
• Bibliografia • Sitografia
78 79
Il cinema d’impresa: “Sette canne, un vestito”, Michelangelo Antonioni • Analisi
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PREMESSA
Questo lavoro di ricerca è nato dal mio forte interesse per la comunicazione d’impresa. Da tempo credo che gli esempi di comunicazione d’impresa del nostro passato siano fondamentali per comprendere appieno l’importanza della grafica italiana negli anni del boom economico contribuendo a una visione più completa del XX secolo. Gli esempi che ho selezionato sono legati a grandi e piccole aziende che spaziano dal settore alimentare a quello meccanico, dalla moda ai ciclomotori. Tutte le imprese in questione sono accomunate da un punto: hanno avuto una posizione di grande rilievo nell’Italia del Dopoguerra. Alcune di queste non solo esistono ancora ma spesso sono tuttora leader di settore; è il caso di Barilla, che vedremo raccontata dallo stile allegro di Erberto Carboni, o di Pirelli, rappresentata in questa ricerca da diverse firme. È evidente come queste ed altre aziende ancora in attività abbiano beneficiato e tuttora beneficiano
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dell’influsso positivo di una comunicazione e di una grafica che ha fatto la storia. Alcuni dei manifesti presentati in questa ricerca, infatti, sono esposti nei più importanti musei del mondo, basti pensare al manifesto di Bruno Munari per Campari al MoMA di New York. Il nucleo che suscita il mio interesse e la mia ammirazione per la comunicazione d’impresa italiana è l’equilibrio nascosto fra attenzione alle vendite, quindi marketing, e forte volontà di educare il pubblico al buon gusto. Per questo ho scelto di selezionare nel mio lavoro dei casi che esemplificano al meglio questo equilibrio. La ricerca si divide in tre sezioni che delimitano tre archi temporali. Nella prima si analizza il passaggio dall’affiche al manifesto pubblicitario vero e proprio, in cui il progettista grafico prende il posto dell’artista. Nella seconda, quella più corposa, viene invece presa in esame la comunicazione delle imprese che hanno segnato il boom economico italiano.
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Nell’ultima vengono presentati alcuni esempi della più recente tendenza novecentesca in campo pubblicitario, la fotopubblicità, insieme alle nuove fonti di ispirazione. Passando in rassegna diverse epoche si può vedere come si sia evoluto il rapporto tra grafica, arte e società. Nel primo arco temporale pittori e progettisti prendono le distanze dalla cultura dominante e si rivolgono alle avanguardie, nel secondo invece gli influssi artistici e socio-culturali convivono in armonia, nella terza, infine, il centro d’interesse dei progettisti non è più l’arte ma la società con i movimenti underground americani. Questa prospettiva di ricerca mette in luce fatti interessanti: è stato sorprendente vedere l’operazione sottesa ai manifesti di Lora Lamm per La Rinascente in cui a uno stile simile a quello di inizio secolo si sovrappongono tematiche nuove e contemporanee come l’emancipazione femminile.
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A mio parere si può affermare che la comunicazione d’impresa italiana sia riuscita in un’operazione impervia: essere portatrice e, talvolta, generatrice di cultura e conoscenza. La pubblicità ha educato milioni di italiani ai consumi e al sapere consumare, ai temi d’attualità, a questioni di sicurezza e infine, ultimo ma non meno importante, al gusto estetico. Per concludere aggiungo che il manifesto pubblicitario, oltre ad aver messo in luce l’importanza del mestiere del progettista grafico, ha dato rilievo e diffusione a una grande varietà di stili, movimenti e scuole di diversa provenienza geografica che hanno contribuito a gettare le basi della grande grafica italiana, ricca e cosmopolita. Basti pensare alle grafiche per la Vespa Piaggio create da Raymond Savignac: uno dei simboli dell’Italia nel mondo raccontato da un francese.
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DICHIARAZIONE DI ORIGINALITÀ Consegno questo documento per l’appello d’esame del corso di Storia delle Comunicazioni Visive tenuto da Luciana Gunetti alla Scuola del Design, Politecnico di Milano. Tutte le sequenze di parole copiate da altri fonti sono state: a) riprodotte in corsivo; b) messe tra virgolette di citazione all’inizio e fine; c) indicate, per ogni sequenza, il numero della pagina o URL del sito web della fonte originale. Per tutte le immagini che ho copiato da altri fonti, ho indicato: a) l’autore e/o proprietario; b) il numero della pagina o URL del sito web della fonte originale. Dichiaro che tutte le altre sequenze di questo documento sono state scritte o create esclusivamente da me.
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1.
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Dall’affiche al manifesto pubblicitario
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Leonetto Cappiello, 1921
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LEONETTO CAPPIELLO Gancia
“Cappiello si va progressivamente ma decisamente allontanando da ogni modello di riferimento per elaborare quella mitologia grafica che diventerà la sua griffe riconoscibile e la chiave del suo largo successo internazionale. La vita, reale o comunque idealizzata, si allontana dunque dalla sua opera per lasciare il posto ad un universo metaforico personalissimo popolato da folletti, diavoli, maschere, ninfe. Cappiello non tenta però una improbabile fuga dalla realtà verso una sorta
di Arcadia dell’affiche, ma cerca di ricostruire ogni immagine di prodotto in maniera simbolico-emblematica ricorrendo a un vero e proprio metalinguaggio cui il prodotto stesso può riferirsi al di là di ogni inefficace definizione realistica. L’immagine disegnata si staglia nettamente dallo sfondo colorato, quasi fosse ritagliata e appoggiata, conserva una propria prospettiva centrale e riesce sempre a farsi memorizzare come icona sostitutiva della merce.” Andrea Rauch, “Graphic Design”, 2006
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Fortunato Depero, 1928
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FORTUNATO DEPERO S.Pellegrino
“L’occhio del pubblico è distratto. […] Il cartellone muore. Bisogna vivificarlo. L’Italia che ha dato negli anni scorsi i più efficaci, i più eleganti, i più novatori fra i cartellonisti (ricordiamo Hohenstein, Mataloni, Dudovich, Metlicovitz, Cappiello, per citare i nomi più noti) vede sfuggirsi questo primato. Noi dobbiamo risuscitare l’arte del cartellone. Noi dobbiamo violentemente costringere il pubblico a fermarsi agli angoli delle strade in contemplazione di un avviso irresistibile.
Davanti a un cartellone del giovane artista trentino il passante deve soffermarsi con un grido di sorpresa. La sua tavolozza ci arresta di colpo come se ci ficcassero le dita negli occhi. Il suo disegno invita alla meditazione di un minuto: quanto è necessario per catturare momentaneamente l’attenzione del pubblico. Le sue condizioni sono accessibili e assurde a un tempo. Un cartellone di Depero non ammette sguardi distratti e non può essere dimenticato da chi lo ha visto solo una volta.” Umberto Notari, “I cartelloni di Depero”, 1927
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MARCELLO DUDOVICH Fiat “Dudovich si sentiva pittore, fra impressionismo e verismo, e talvolta ciò s’intuisce nei manifesti; ma è debitore anche a Hohenstain, Metlicovitz e Alfons Mucha e da loro assimila quel certo clima Liberty che era nella cultura italiana intorno al 1900. La sensibilità per la bellezza e per la femminilità, il gusto per l’eleganza, una propensione naturale, e non soltanto professionale, per la bella vita, ne faranno un cartellonista della Belle Epoque, secondo un luogo comune che, una volta tanto, è giustificato dai fatti. Ma non era un mero illustratore. Scrive Luigi Menegazzi: “Racconta per immagini, per modelli che ammirava […] in ciò è il sapore 20
dei suoi manifesti che rivelano una nettezza d’impianto dovuta all’assoluta padronanza del linguaggio grafico, un segno tracciato con magistrale sicurezza, scorci arditi, colori luminosi di timbro, freschi di tono”. Come per Jules Chéret, l’iniziatore del manifesto litografico moderno, anche per Dudovich la fonte d’ispirazione più costante è la donna. È una donna quella che, veloce e spigliata, va verso la sua nuova macchina.”
Gian Luigi Falabrino, “Marcello Dudovich. Oltre il manifesto”, 2002
“La nuova Balilla – Eleganza della Signora”, Marcello Dudovich, 1932,
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“Tavola n. 6”, Costantino Nivola, 1939
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COSTANTINO NIVOLA Olivetti
“Le tavole che presentiamo sono state appunto concepite secondo i risultati di una lunga pratica in tal senso. Gli autori si sono serviti in esse dell’affermazione come materia pura e semplice. Il prodotto hanno preso come elemento da elaborare in immagine, non già come dogma da imporre. E di volta in volta hanno cercato di stabilire corrispondenze linguistiche, tra l’elemento prodotto e gli altri elementi (gratuiti), le quali attirassero l’attenzione della fantasia per darle poi libero gioco nel modo in cui le dà libero gioco un’immagine poetica, un’opera d’arte.
Certo, dietro a queste tavole, c’è uno scopo che resta, in definitiva, quello comune di ogni pubblicità. Pure, gli autori delle tavole hanno lavorato senza tenerlo presente: tenendone presente uno molto più immediato: creare immagini che riuscissero a durare nell’uomo e a vivere in lui. È lo stesso scopo altamente ambizioso di un poeta, di un pittore. Ma se solo l’arte può qualificare, e far durare, far vivere, ottenere l’impegno dell’uomo, la pubblicità deve essere arte.”
Elio Vittorini, “Una campagna pubblicitaria. Raccolta di 16 tavole pubblicitarie per la Studio 42”, 1939
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RIFERIMENTI DI SEZIONE LEONETTO CAPPIELLO • Testo tratto da: A. Rauch, “Graphic Design”, Mondadori, Milano, 2006, cit., p. 26 • Immagine tratta da: http://www.italianways.com/un-vermouth-conleonetto-cappiello/ FORTUNATO DEPERO • Testo tratto da: U. Notari, “I cartelloni di Depero”, riportato in “Depero Futurista”, Edizioni Dinamo Azari, Milano, 1927, citato in M. Mojana e A. Masoero (a cura di), “Depero con Campari”, De Luca Editori D’arte, Roma, 2010, cit., pp. 24-25 • Immagine tratta da: http://www.italianways.com/le-audacissimepubblicita-di-depero/ MARCELLO DUDOVICH • Testo tratto da: R. Curci (a cura di), “Marcello Dudovich. Oltre il manifesto”, Charta, Milano, 2002, cit., pp. 24-25, 35 • Immagine tratta da: http://soloillustratori.blogspot.com/2015/02/ marcello-dudovich.html COSTANTINO NIVOLA • Testo tratto da: E. Vittorini, “Testo introduttivo”, in Ufficio Tecnico Pubblicità Olivetti (a cura di), “Una campagna pubblicitaria. Raccolta di 16 tavole pubblicitarie per la Studio 42”, Milano, 1939 • Immagine tratta da: http://www.storiaolivetti.it/template. asp?idOrd=7&idPercorso=678#viewfoto
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Federico Seneca, 1922
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In senso orario: Leonetto Cappiello, 1920 Fortunato Depero, 1923 Marcello Dudovich, 1921
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Leonetto Cappiello, 1925
Leonetto Cappiello, 1910
Nella pagina accanto, in senso orario: Fortunato Depero, 1923 Marcello Dudovich, 1900 Teodoro Wolf Ferrari, 1912 Marcello Dudovich, 1922
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2.
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II manifesto e il boom economico
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GIOVANNI PINTORI Olivetti
Giovanni Pintori, 1949
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“Se è però vero che l’immagine complessiva di Olivetti deriva da una sorta di sinergia continua fra la committenza e l’opera dei singoli progettisti è pur vero che certi episodi di questa collaborazione hanno un peso certamente più cospicuo sulla bilancia dell’immagine aziendale. E ci riferiamo qui alla lunga e fondamentale art direction complessiva svolta, tra il 1950 e il 1968 da Giovanni Pintori […]. Giovanni Pintori produce per Olivetti centinaia di annunci, di brochures, di manifesti e progetta incessantemente allestimenti per fiere e mostre. Pintori si collega alle ricerche grafiche contemporanee del razionalismo europeo ed esercita la sua influenza su designer quali Leo Lionni […] e Paul Rand. È una poetica, quella che Pintori applica per la comunicazione della casa d’Ivrea, che cerca di non legarsi a stereotipi facilmente
individuabili ma che usa in maniera sapiente sia gli artifici retorici della metafora sia gli espedienti della fotografia e dell’illustrazione. La grafica degli annunci Olivetti può quindi essere portata alla ribalta come unicum metaforico della comunicazione oppure sistemarsi sullo sfondo e concorrere al messaggio completo. In ogni caso la personalità del Pintori grafico in nulla viene intaccata da questo volontario annullamento nell’immagine dell’azienda. La mancanza di una gelosa ricerca di un proprio stile diviene, al tempo stesso, lo stile Olivetti, e, tramite la diffusione della proposta, lo stile con cui l’Italia viene, per anni, riconosciuta e ammirata dall’esterno.”
Andrea Rauch, “Graphic Design”, 2006
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ANTONIO PELLIZZARI Pellizzari “Antonio Pellizzari è un personaggio decisamente originale nel panorama dell’industria degli anni Cinquanta. Oltre a disegnare manifesti e materiali pubblicitari per la sua azienda di Arzignano e a difendere un’idea di pubblicità in grado di avvicinare le masse al gusto moderno, egli fu promotore di numerose iniziative educative e culturali in favore dei suoi dipendenti e della comunità locale. […] Si tratta di un caso particolare in cui lo stile nasceva direttamente dalla personalità di un imprenditore illuminato che incarnava nello stesso tempo il ruolo del designer e del direttore generale dell’azienda.” Carlo Vinti, “Gli anni dello stile industriale 1948-1965”, 2007
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Antonio Pellizzari, 1952
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ERBERTO CARBONI Barilla “Il nome di Erberto Carboni è tra i non moltissimi, nella grafica italiana, che davvero non devono essere dimenticati. La sua figura infatti attraversa tutto il XX secolo e assomma in sé le figure dell’illustratore e dell’affichiste, dell’art director e del grafico, dell’esperto di exhibit design e del tecnico pubblicitario. In un’epoca in cui non esistevano ancora le agenzie, preparò alcune campagne destinate a far epoca. Per il pastificio di Parma, la Barilla, Carboni lavorò, dall’inizio degli anni Cinquanta, in accordo con Pietro Barilla, ai concept e agli slogan delle campagne pubblicitarie. Ne nacquero alcuni degli annunci più belli e famosi del secondo dopoguerra, tra cui
“La pasta del buon appetito”. In questo e altri annunci la pubblicità appariva già un insieme maturo e adulto, ma dove la grafica non era ancora stata relegata a mero supporto sintetico. Nella comunicazione pubblicitaria Carboni portava con sé la sua esperienza di illustratore e la sua attenzione per l’architettura della pagina, quest’ultima derivata dai suoi studi ma ancora di più dall’amicizia con Herbert Bayer e dalla contiguità progettuale ideale con le tematiche del Bauhaus. Scrisse Gillo Dorfles che Carboni esercitò una sua singolare capacità «di influenzare beneficamente il gusto del pubblico più vasto e eclettico».” Andrea Rauch, “Graphic Design”, 2006
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“La pasta del buon appetito�, Erberto Carboni, 1953
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MAX HUBER Borsalino
Max Huber, 1955
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“Max Huber ha sempre lavorato come designer freelance, collaborando direttamente con ogni cliente. Ha cercato di trovare un equilibrio tra le esigenze dei suoi clienti e il proprio bisogno di sperimentare. Amava la ricerca innovativa. Non avrebbe esitato a ritirarsi quando un cliente ha fatto una richiesta ridicola, ma se il suggerimento è era utile era disposto ad adattarsi suoi piani. Non ha mai usato le sue immagini in senso stretto. Egli spesso mescolò elementi fotografici e tipografici piatti senza cornice con strisce di colore per trasmettere una certa sensazione di dinamismo e velocità. Ha usato elementi riconoscibili nella sua progettazione, senza dover dire loro
una storia. Il suo lavoro si concentrò sulle sperimentazioni fotografiche e di tipo chiaro combinato con l’uso di forme audaci e colori primari. Le sue griglie severe erano facilmente identificabili. Huber ha favorito la chiarezza, il ritmo e la sintesi. Ha usato testi succinti, composti da diversi gruppi gerarchici; un grande titolo con informazioni secondarie in un carattere tipografico più piccolo, una sequenza di livelli. Col passare del tempo, non è stato influenzato dalla moda, ma ha sempre caratterizzato la composizione facendo riferimento alle sue idee di base.”
Aa. Vv., Sitographics.it
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Raymond Savignac, 1955
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RAYMOND SAVIGNAC Piaggio “Tracce evidenti dell’influenza di Cappiello si ritrovano in tutta l’opera dell’ultimo grande affichiste francese, Raymond Savignac che userà in maniera personalmente straordinaria una categoria presene, anche se non centralissima, nell’opera di Cappiello: l’ironia. Ma è soprattutto nella compenetrazione fra testo e immagine che si farà sentire la lezione di Cappiello. Nell’opera di Savignac la geniale intuizione del superamento prima e dell’osmosi poi tra i campi della tipografia e dell’immagine è perseguita con un’attenzione e una puntualità tali da diventare stile. Esempi come il manifesto per Vespa integrano a tal punto il testo con il disegno da diventare esemplare per efficacia pubblicitaria e chiarezza comunicativa.” Andrea Rauch, “Graphic Design”, 2006
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Bob Noorda, 1959
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BOB NOORDA Pirelli
“Un approccio alla grafica che lavorava sempre su un numero ridotto di elementi, disposti con composizione dinamica sulla pagina ma sempre in una sorta di equilibrio armonico. Emblematico a questo proposito è il manifesto del 1959 per il pneumatico Rolle, dove l’idea di movimento è realizzata con un gioco di sovrapposizione del marchio Pirelli in colori complementari ma non puri e sovrastampati, all’interno di un corposo cerchio nero tracciato a pennello col perimetro irregolare e gestuale che magistralmente rende l’idea del copertone e della sua aderenza sulla strada.
Sono due segni-azione. Il progetto viene svolto portando alla soglia di definizione schematica l’idea. Contenuto da comunicare e svolgimento grafico sono minimali, ma proiettano una forte capacità espressiva, quasi giocosa. Questo tratto professionale è in Noorda parallelo e aderente alla sua personalità. Una persona molto differente da tutti gli altri protagonisti della scena milanese perché schiva, con una sorta di timore oratorio, silenzioso e riservato.”
Mario Piazza, https://www.area-arch.it/
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LORA LAMM La Rinascente “Un caso emblematico è quello dell’Ufficio pubblicità della Rinascente, che si affidò a Lora Lamm, che oltre a ricorrere alle sue inconfondibili illustrazioni a tempera, fu in grado di gestire in modo brillante tecniche grafiche disparate e di dare un indirizzo preciso al lavoro dei giovani progettisti che lavoravano al suo fianco. Alla Rinascente la grafica fu funzionale a un’opera di educazione ai consumi moderni nei settori della moda e della casa. I grandi magazzini milanesi contribuirono in modo significativo all’affermazione del disegno industriale in Italia, con l’istituzione nel 1954 del premio Compasso d’Oro e una serie di iniziative cui i grafici parteciparono attivamente.” Carlo Vinti, “Grafica italiana dal 1945 a oggi”, 2016
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“Estate 1960”, Lora Lamm, 1960
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ARMANDO TESTA Carpano
“Armando Testa fu veramente unico nel sapere coniugare in maniera naturale media diversi, nel mantenere sempre una carica creativamente raffinata eppure sostanzialmente nazionalpopolare, capace di parlare a tutti e da tutti farsi intendere. La usa opera di artista visivo è certamente poi più complessa, ma in nuce la chiave del suo successo e della sua influenza sta tutta in quella capacità di comunicare in maniera originale, riconoscibilissima, senza antipatiche fughe in avanti autoreferenziali. Dal punto di vista sintattico sono di particolare interesse certe giustapposizioni di
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elementi, quasi la creazione di una personale mitologia di prodotto. Il Punt e Mes che mette fuori di metafora una dizione lessicale vernacolare (punt e mes in piemontese, un punto di dolce e mezzo di amaro), rendendola comprensibile a tutti e dandole un aspetto fortissimamente pubblicitario ma al tempo stesso mantenendone tutta l’eleganza.” Andrea Rauch, “Graphic Design”, 2006
Armando Testa, 1960
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FRANZ MARANGOLO Campari
Franz Marangolo, 1960
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“Il tratto leggero dei disegni di Franz Marangolo, spesso paragonato a quello di Jeanne Grignani e di Brunetta Mateldi, caratterizza i lavori pubblicitari da lui realizzati per la ditta Campari negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. «La sola parola “Campari” è stata raffigurata dai disegnatori in mille modi, accompagnata da figurazioni varie: le bottiglie e i bicchieri così caratteristici; e distribuita in manifesti d’ogni dimensione su giornali e riviste d’ogni genere e tipo, sempre con un tocco originale, nel quale predomina l’eleganza del disegno e la vivacità d’un colore».” Redazione “Italianways”
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“Ci si sarebbe aspettato un canone, un ordine e una catalogazione visiva rigida sull’onda dell’impostazione svizzera: invece ci si trova dinanzi a un utilizzo imprevedibile dell’oggetto d’uso quotidiniano, nella creazione di una poetica capace di trasmettere, senza equivoci, storie, con cui Provinciali vuole sintetizzare i destini e marcare i confini del nascente disegno industriale.
Una distanza abissale dai modelli funzionali e sistematici.
L’approccio tenero, magico ed eloquente è l’elemento pregnante del suo operato […]. Questo metodo, questo suo istinto per indagare nelle forme e nella materia alla ricerca di un massimo di verità degli oggetti fino alla loro codificazione di simbolo, è il suo sistema per costruire l’immagine di un’azienda come la Kartell.
È davvero una cosa unica e rappresenta per certi versi il perfetto parallelo di quello che è stato il disegno industriale italiano, almeno quello che riconosciamo in figure come i fratelli Castiglioni o in imprenditori come Gavina.”
Provinciali ha il dono di leggere il moderno con gli occhi e gli strumenti di una tradizione, che conserva un infinito percorso di esperienze estetiche uniche, alte e antropologiche, senza distinzione. Il progetto, la grafica è il “luogo frequentato dai fanciulli”.
Mario Piazza, “Creativi negli anni Cinquanta”, 2005
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MICHELE PROVINCIALI Kartell
Michele Provinciali, 1961
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ALBE STEINER Pirelli
“Un altro gigante di questi anni è Albe Steiner. Dopo la sublime prova del “Politecnico” con Vittorini, modello anticipatore di una grafica dove gli elementi verbo-visivi agiscono sullo stesso piano, dove progetto grafico e redazione operano verso una sintesi felice, Steiner getta le basi della moderna grafica, pensata e ragionata. […]
Ma il suo agire professionale ha sempre il dono della verifica, la formulazione visiva è l’esito di una riflessione, di una lettura attenta e profonda, di una redazione dei contenuti da visualizzare. La grafica è impegno e testimonianza: una lezione che marcherà per sempre la nostra tradizione.”
Nella sua grafica emerge un rigore, memore della lezione della Bauhaus, che ricerca la pagina costruita e fotografica. Mario Piazza, “Creativi negli anni Cinquanta”, 2005
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Albe Steiner, 1962
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“Declinazione grafica del nome Campari�, Bruno Munari, 1964
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BRUNO MUNARI Campari “Campari non ha quasi mai puntato a definire l’eccellenza della propria produzione – un dato che viene assunto come implicito – piuttosto ha cercato di trasmettere l’inerenza profonda della vita moderna dei suoi prodotti inconfondibili. In questa direzione si innesta negli anni Sessanta il contributo innovativo di Bruno Munari, il designer milanese che, pensando a Campari, si chiedeva: “Si può progettare un manifesto che abbia dimensioni illimitate, sia in lungo che in altezza; un manifesto stampato in un unico formato ma tale che dalla
combinazione dei singoli elementi nasca un solo manifesto di cento centimetri per centoquaranta, di quattrocento per settanta, di duecento per duecento ottanta, di trecentocinquanta per cento…?” E, progettando un manifesto Campari che potesse essere catturato anche dallo sguardo di una persana su un vagone della metropolitana in corsa, arrivò a concepire un modulo grafico non neutro, non puramente geometrico e che valesse di per sé come struttura definita e come multiplo infinito.” Marina Mojana, “Depero con Campari”, 2010
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ADRIANUS VAN DER ELST Olivetti
“Il delinearsi della società dei consumi costituì per i grafici una sfida a interpretare il senso di nuovi bisogni e desideri. Persino un’azienda come l’Olivetti cambiò il proprio approccio pubblicitario, come si vede nella campagna di lancio della celebre portatile Valentine, presentata non più come uno strumento tecnico per l’ufficio, ma come un oggetto di consumo individuale per il tempo libero.” Carlo Vinti, “Grafica italiana dal 1945 a oggi”, 2016
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Adriano Van Der Elst, 1970
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GIOVANNI PINTORI • Testo tratto da: A. Rauch, “Graphic Design”, Mondadori, Milano, 2006, cit., pp. 99-100 • Immagine tratta da: http://www.storiaolivetti.it/template. asp?idOrd=1&idPercorso=660#viewfoto ANTONIO PELLIZZARI • Testo tratto da: C. Vinti, “Gli anni dello stile industriale 1948-1965”, Marsilio, Venezia, 2007, cit., p.60 • Immagine tratta da: https://picclick.it/MA2-Pubblicit%C3%A0Advertising-Werbung-1952-PELLIZZARI-motori-elettriciArzignano-270885514409.html ERBERTO CARBONI • Testo tratto da: A. Rauch, “Graphic Design”, Mondadori, Milano, 2006, cit., pp. 90-91 • Immagine tratta da: http://www.aiap.it/documenti/12054/206#top MAX HUBER • Testo tratto da: Aa. Vv., Max Huber, http://www.sitographics.it/ imagini_huber.htm • Immagine tratta da: http://www.italianways.com/max-huber-eborsalino-cappelli-pieni-di-design/ RAYMOND SAVIGNAC • Testo tratto da: A. Rauch, “Graphic Design”, Mondadori, Milano, 2006 • Immagine tratta da: https://petrolicious.com/articles/raymondsavignac-always-just-right BOB NOORDA • Testo tratto da: M. Piazza, “Bob Noorda: la misura dei segni”, https:// www.area-arch.it/bob-noorda-la-misura-dei-segni/ • Immagine tratta da: ibidem LORA LAMM • Testo tratto da: C. Vinti, “Grafica italiana dal 1945 a oggi”, Giunti, Firenze, 2016, cit., p. 18 • Immagine tratta da: http://www.artribune.com/report/2013/07/loralamm-grafica-da-un-mondo-perduto/ 58
RIFERIMENTI DI SEZIONE ARMANDO TESTA • Testo tratto da: A. Rauch, “Graphic Design”, Mondadori, Milano, 2006, cit., p. 92 • Immagine tratta da: http://www.thelightcanvas.com/il-punt-e-mes-diarmando-testa/ FRANZ MARANGOLO • Testo tratto da: http://www.italianways.com/franz-marangolo-e-ilbitter-campari/ • Immagine tratta da: ibidem MICHELE PROVINCIALI • Testo tratto da: M. Piazza, “Creativi negli anni Cinquanta”, in Aa.Vv. (a cura di), “Anni Cinquanta, la nascita della creatività italiana”, Artificio Skira, Milano febbraio 2005, cit., p. 168 • Immagine tratta da: http://cdpg-aiap.blogspot.com/2010/06/fondomichele-provinciali-kartell.html ALBE STEINER • Testo tratto da: M. Piazza, “Creativi negli anni Cinquanta”, in Aa.Vv. (a cura di), “Anni Cinquanta, la nascita della creatività italiana”, Artificio Skira, Milano febbraio 2005, cit., p. 165 • Immagine tratta da: https://casabellaweb.eu/2017/02/10/licalbesteiner-re/ BRUNO MUNARI • Testo tratto da: M. Mojana e A. Masoero (a cura di), “Depero con Campari”, De Luca Editori d’Arte, Roma, 2010, cit., pp. 18-19 • Immagine tratta da: https://petrolicious.com/articles/raymondsavignac-always-just-right ADRIANUS VAN DER ELST • Testo tratto da: C. Vinti, “Grafica italiana dal 1945 a oggi”, Giunti, Firenze, 2016, cit., p. 23 • Immagine tratta da: https://www.flickr.com/photos/ sandiv999/6709226791/in/photostream/ 59
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Nella pagina accanto, in senso orario: Ezio Bonini, 1953 Albe Steiner, 1960 Herbert Bayer, 1953 Max Huber, 1955
Lora Lamm, 1959
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In senso antiorario: Jeanne Grignani, 1953 Armando Testa, 1954 Giovanni Pintori, 1954
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Dall’alto verso il basso: Raymond Savignac, 1954 Federico Confalonieri e Ilio Negri, 1959
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3.
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Il manifesto fotopubblicitario
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VITTORIO SPAGGIARI Fiorucci
“Una rottura delle regole del “buon progetto” si intravede maggiormente in vicende laterali rispetto alla cultura del design grafico. Lo stilista Elio Fiorucci, per esempio, nel costruire un immaginario mutevole e caleidoscopico per il suo marchio, ha messo in crisi, fra anni Settanta e Ottanta, ogni concezione “hard” dell’identità visiva, mostrando come flessibilità, innocenza e pasticche possano rivelarsi di grande efficacia comunicativa. Una logica simile, di recupero ironico del kitsch di celebrazione dell’ambiguità, seguirono in modo più intenzionale le manifestazioni grafiche del nuovo design italiano degli anni Ottanta.” Carlo Vinti, “Grafica italiana dal 1945 a oggi”, 2016
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Vittorio Spaggiari, 1976
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“Il lancio pubblicitario e la presentazione di M20, il primo personal computer italiano. Non è possibile privilegiare alcun momento di comunicazione. Tutto deve corrispondere a un preciso piano di comunicazione. In questo caso, a parte la presenza dell’azienda, la sua importanza industriale e le caratteristiche intrinseche al computer, l’immagine tende a comunicare il senso del movimento, perché l’immagine stessa del computer, il suo video, è movimento. Nello stesso tempo s’intende evidenziare l’evoluzione tecnologica. Movimento con un’immagine statica. Non erano ancora apparsi i titoli televisivi, la tecnica della computer grafica. è stato tutto risolto in camera oscura. Una matrice di righe in negativo, luci da sotto e spostamenti prima casuali poi sempre più calcolati con la macchina fotografica. Elaborazione fotografiche in collaborazione con Maurizio Turchet e Ugo Colombo.” Roberto Pieraccini, “Progetto d’immagine. Uno studio grafico all’interno dell’Olivetti”, 1989
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ROBERTO PIERACCINI Olivetti
Roberto Pieraccini, 1982
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OLIVIERO TOSCANI Benetton
Oliviero Toscani, 1995
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“Gli anni Novanta sono stati caratterizzati da nuove strategie di comunicazione delle aziende, che hanno concentrato i propri sforzi sempre più nella creazione di valori di marca. In un momento in cui la televisione aveva il sessanta percento del budget pubblicitario rispetto ad altri media, acquisiva particolare rilievo la decisione del fotografo Oliviero Toscani di puntare tutto sulle affissioni nelle sue celebri campagne per Benetton.
Carlo Vinti, “Grafica italiana dal 1945 a oggi”, 2016
Nelle pubblicità di Toscani irrompevano bruscamente temi come alimentazione, religione, immigrazione, lotta all’AIDS ed ecologia con un linguaggio visivo che si appropriava in modo arguto di espedienti tipicamente pubblicitari.”
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RIFERIMENTI DI SEZIONE VITTORIO SPAGGIARI • Testo tratto da: C. Vinti, “Grafica italiana dal 1945 a oggi”, Giunti, Firenze, 2016, cit., pp. 39-40 • Immagine tratta da: https://it.pinterest.com/ pin/138133913549817014/?lp=true ROBERTO PIERACCINI • Testo tratto da: R. Pieraccini, “Progetto d’immagine. Uno studio grafico all’interno dell’Olivetti”, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1989, cit., p. 28 • Immagine tratta da: http://www.linkiesta.it/it/article/2013/09/20/ trenta-vecchie-pubblicita-di-vecchi-computer/16482/ OLIVIERO TOSCANI • Testo tratto da: C. Vinti, “Grafica italiana dal 1945 a oggi”, Giunti, Firenze, 2016, cit., pp. 44-45 • Immagine tratta da: https://glianni90.wordpress.com/2016/07/08/ oliviero-toscani-campagne-anni-90/
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Roberto Pieraccini, 1983
Nella pagina accanto, in senso orario: Walter Ballmer, 1970 Agenzia Armando Testa, 1970 Milton Glaser, 1994 Agenzia Armando Testa, 1974
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In senso orario: Roberto Pieraccini, 1982 Ettore Sottsass Jr e Roberto Pieraccini, 1970 Milton Glaser, 1983
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In senso orario: Milton Glaser, 1976 Milton Glaser, 1992
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RIFERIMENTI Bibliografia • R. Curci (a cura di), “Marcello Dudovich. Oltre il manifesto”, Charta, Milano, 2002 • M. Mojana e A. Masoero (a cura di), “Depero con Campari”, De Luca Editori d’Arte, Roma, 2010 • B. Noorda, V. Scheiwiller (a cura di), “1872-1972 Cento anni di comunicazione visiva Pirelli”, Libri Scheriwiller, Milano, 1990 • U. Notari, “I cartelloni di Depero”, U. Notari, “I cartelloni di Depero”, in M. Mojana e A. Masoero (a curadi), “Depero con Campari”, De Luca Editori D’arte, Roma, 2010 • M. Piazza, “Creativi negli anni Cinquanta”, in Aa.Vv. (a cura di), “Anni Cinquanta, la nascita della creatività italiana”, Artificio Skira, Milano febbraio 2005 • R. Pieraccini, “Progetto d’immagine. Uno studio grafico all’interno dell’Olivetti”, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1989 • A. Rauch, “Graphic Design”, Mondadori, Milano, 2006 • C. Vinti, “Grafica italiana dal 1945 a oggi”, Giunti, Firenze, 2016 • C. Vinti, “Gli anni dello stile industriale 1948-1965”, Marsilio, Venezia, 2007 • E. Vittorini, “Testo introduttivo”, in Ufficio Tecnico Pubblicità Olivetti (a cura di), “Una campagna pubblicitaria. Raccolta di 16 tavole pubblicitarie per la Studio 42”, Milano, 1939
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Sitografia • Aa. Vv., Max Huber, http://www.sitographics.it/imagini_huber. htm, consultato il 30.05.2018 • M. Piazza, Bob Noorda: la misura dei segni, https://www. area-arch.it/bob-noorda-la-misura-dei-segni/, consultato il 29.05.2018 • M. Piazza, La Grafica per il “Made in Italy”, http://www. aisdesign.org/aisd/la-grafica-per-il-made-in-italy, consultato il 29.05.2018 • Red., Un vermouth con Leonetto Cappiello, http://www. italianways.com/un-vermouth-con-leonetto-cappiello/, consultato il 26.05.2018 • Red., Franz Marangolo e il Campari, http://www.italianways. com/franz-marangolo-e-il-bitter-campari/, consultato il 27.05.2018 • http://www.aiap.it/ • http://archividigitaliolivetti.archiviostoricolivetti.it/ • https://www.fondazioneisec.it/ • http://www.fondazionepirelli.org/ • https://marcellodudovich.it/
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Il cinema d’impresa: “Sette canne, un vestito”, Michelangelo Antonioni
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ANALISI “Sette canne, un vestito”, soggetto, sceneggiatura e regia Michelangelo Antonioni, fotografia Giovanni Ventimiglia, produttore esecutivo Vieri Bigazzi, produzione ICET Industrie Cinematografiche e Teatrali, Italia, 1949, b/n, 10 min
Il documentario “Sette canne, un vestito” è stato diretto dal celebre Michelangelo Antonioni. L’artefatto fu commissionato dalla SNIA Viscosa, una delle industrie del rilancio economico italiano, ed è uno dei primi esempi di cinema d’impresa. Lo scopo finale del cortometraggio, infatti, era proprio quello di farsi pubblicità per aumentare le proprie vendite. “Sette canne, un vestito” ha un forte aspetto didascalico. Infatti, l’intero documentario mostra allo spettatore il percorso di produzione del rayon. Per questo motivo si può dire che “Sette canne, un vestito”, oltre ad incarnare un’estetica industriale, crea cultura e trasmette contenuti didascalici agli spettatori, così come hanno fatto i manifesti pubblicitari.
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Il documentario presenta alcuni tocchi da maestro nel montaggio e nella fotografia. Uno su tutti il parallelismo fra l’ondeggiare delle canne, le Arundo Donax delle paludi friulane, e i movimenti leggiadri degli abiti in viscosa che sfilano in passerella. Un altro interessante parallelismo è quello che viene fatto, a livello di inquadratura, fra l’esterno e l’interno, quindi fra campagna e spazi industriali. L’inquadratura utilizzata è un campo medio.
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Il cortometraggio è in 4:3, in bianco e nero e viene narrato da una voce fuori campo che racconta la produzione del tessuto sintetico come fosse una favola. Il documentario si apre con dei brevi piani sequenza delle zone di raccolta delle canne da viscosa, per poi concentrarsi sul trasporto e all’arrivo al “castello misterioso”, ossia la fabbrica dove avverrà la lavorazione. Nelle scene riprese all’interno della fabbrica l’inquadratura cambia e si hanno dei campi medi durante le fasi di lavorazione e dei dettagli quando la materia cambia forma, come ad esempio quando si genera il filato.
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Gli uomini sono spesso ripresi a figura intera e sembrano enfatizzare la grandezza e la maestosità dell’impianto industriale. La camera segue scrupolosamente il percorso della materia anche grazie ai campi medi che Antonioni utilizza per riprendere le varie fasi. Un altro scopo del documentario è quello di glorificare la grandiosità dell’industria chimica. Il sottofondo musicale, che accompagna la voce narrante, dà quel tocco di eleganza al documentario, che quindi risulta più accattivante anche per un pubblico non particolarmente interessato. La musica serve inoltre a togliere il rumore, talvolta fastidioso, delle macchine industriali. 85