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Torino
Torino Fra i casi evidenziati, procedendo da Nord a Sud, Torino si segnala per una precoce politica urbana diretta a rimuovere il commercio dei commestibili dal «centro». Avviato nel corso della Restaurazione, il piano trova compimento alla metà del XIX secolo in linea con quanto accade nelle più avanzate capitali europee. Negli anni postunitari la storia dei mercati coperti torinesi può dunque essere letta sia nel graduale affinamento di questa scelta, sia nei tentativi messi in atto per superare il programma, in relazione alle nuove esigenze che la condizione di capitale del Regno impone alla città, prima fra tutte la forte espansione urbana14. Alla base di questa decisione, singolare nel panorama nazionale, si possono individuare alcune congiunture favorevoli, come la forma compatta della città e la distruzione delle mura nel periodo francese, che già negli anni Venti-Trenta dell’Ottocento favoriscono il riordino dei macelli e dei mercati pubblici, concentrandoli nei terreni a nord e a nord-ovest del nucleo urbano, mentre il settore meridionale viene destinato a un’espansione di tipo residenziale. La costruzione di un mercato del bestiame (Borgo Dora) e di tre Pubblici Macelli verso il Po e la Dora (Porta Palazzo, Porta di Po e presso il convento della Madonna degli Angeli), per evitare il transito degli animali e delle carni attraverso il centro, rappresenta il primo tratto distintivo di queste politiche, che accomuna Torino a Firenze e a Roma, dove ugualmente si provvede a decentrare i mattatoi in luoghi coperti situati presso fiumi: a Firenze, l’Oltrarno, a Roma, la zona tra piazza del Popolo e il Tevere. A Milano, invece, la tendenza a concentrare le attività di macellazione si manifesterà solo dopo l’Unità, quando nelle altre città si comincia ad avvertire la crisi del sistema adottato e l’esigenza di ricorrere a un impianto fortemente decentrato. A Torino la dislocazione di queste nuove attrezzature accentrate e di tipo pubblico, spesso di dimensione sovraurbana, diviene allora estremamente pianificata in riferimento al milieu culturale europeo, soprattutto francese. Al nuovo Mattatoio Civico (1868) presto si aggregherà il mercato del bestiame (1871), per i quali si scelgono zone periferiche a sud della città (attuale corso Vittorio Emanuele II), collocate presso importanti infrastrutture come la cinta daziaria e la linea ferroviaria (per Novara), sull’esempio del coevo mattatoio parigino de La Villette di cui si riprende anche l’impianto cellulare15 . Per quanto riguarda i programmi avviati dalla Municipalità per la vendita delle cibarie, svanite le «Piazze coperte per diversi mercati» previste da Alessandro Antonelli nell’ambito del piano generale di ingrandimento della città (1852) offerto per il quartiere di Vanchiglia16, da un lato si promuove la costruzione di mercati coperti nelle zone di espansione, dall’altro si rafforza la vocazione commerciale dell’area a nord-ovest del centro storico come in parte si attuerà anche a Firenze. Il luogo individuato
14 L. Barosso et al., Mercati coperti a Torino: progetti, realizzazioni e tecnologie ottocentesche, Celid, Torino 2000; D. Coppo, A. Osello (a cura di), Il disegno di luoghi e mercati a Torino, Celid, Torino 2006; De Pieri, Mercados cubiertos en la Italia liberal, cit., pp. 216-223. 15 V. Comoli Mandracci, Torino, Laterza, Roma-Bari 1983, pp. 197-204. 16 L. Re, Il Louvre del popolo, in Barosso et al., Mercati coperti a Torino, cit., pp. 14-27.
è ancora Porta Palazzo, destinato ai primi macelli e mercati delle carni, che finirà per imporsi come il più grande polo alimentare della capitale sabauda (poi nazionale) grazie a una serie di circostanze favorevoli fra cui l’ampia estensione, l’ubicazione rispetto al centro, la rete infrastrutturale esterna, la presenza di un mercato all’ingrosso attestato già dal Settecento. Inizialmente si stabiliscono due tettoie chiuse per la vendita al dettaglio nei due quadranti sud della piazza Emanuele Filiberto (poi piazza della Repubblica): le tettoie, provviste di cantine voltate per immagazzinare le merci invendute, coprivano entrambe uno spazio di circa 1.800 mq, cui si aggiungevano 550 mq per parte lasciati scoperti; le strutture, in muratura di pietrame e mattoni, si snodavano lungo il perimetro dei fabbricati in un’alternanza di pilastri e archi a tutto sesto che delimitavano gli ingressi muniti di cancelli. La disposizione si è conservata in modo abbastanza fedele nei due mercati attuali, seppure a seguito di ristrutturazioni e modifiche che hanno indotto a soprelevarne gli alzati per problemi di illuminazione, prima degli adeguamenti igienici e funzionali degli anni Trenta17 . Dopo l’Unità, Carlo Gabetti realizza un Mercato del Vino (1862) per un’ampia area situata lungo corso San Maurizio tra i fiumi Dora e Po18, con pareti in muratura e copertura a tettoia in ferro e legno corredata di lucernario; successivamente lo stesso architetto dell’Ufficio edilizio progetta un mercato al dettaglio, sempre a struttura mista, a consolidare un nuovo polo commerciale nella zona orientale di via Montebello19, dove si era proposto invano anche un moderno Mercato delle Erbe (1860-1861) su progetto dell’ingegnere Ferdinando Piattini20. Piattini, su commissione del conte di Chiavarina, aveva presentato un «avant projet» a struttura metallica, seguito da una versione più complessa con copertura a padiglione, sostenuta da grandi capriate in ferro di 20 m di luce, a coprire un’area di circa 900 mq per 13 m di altezza. La carpenteria metallica era prevista con profili a doppio T, l’illuminazione era affidata alla lanterna e alle aperture munite di persiane a lamelle in vetro per favorire anche la ventilazione, mentre per lo smaltimento delle acque piovane ci si sarebbe avvalsi di canali di scolo isolati dai montanti in luogo delle colonne cave portanti. Esaminato per un parere tecnico ed estimativo dall’ingegnere Alessandro Mazzucchetti, autore della prima copertura in ferro-vetro della stazione di Torino Porta Nuova (all’epoca in costruzione), il progetto richiese alcune variazioni dimensionali e strutturali che però non convinsero la commissione, malgrado Piattini avesse proposto di ingaggiare la Maison Fôret di Parigi per le parti metalliche in modo da ridurre i costi. Il fattore economico costituiva un aspetto determinante per il governo locale della capitale, obbligato ad avviare un programma di interventi urbanistici per renderla efficiente e all’altezza del nuovo ruolo21. I modelli più innovativi si
17 L. Barosso, Appunti e immagini sui mercati ottocenteschi di Porta Palazzo, ivi, pp. 88-117. 18 La vendita del vino fu trasferita in corso San Maurizio da piazza Carlina, dove si era stabilizzata all’aperto da quasi due secoli. Dopo alterne vicende legate soprattutto alla crisi del commercio del prodotto il mercato sarà demolito (1901), cfr. L. Barosso, Dai “baracconi di Amedeo di Castellamonte all’utopia di un grande progetto ottocentesco e M. Lucat, La risposta alle esigenze del commercio del vino. Il mercato di corso San Maurizio, ivi, pp. 28-39 e 64-71. 19 M. Lucat, Un banco di vendita. Il Mercato di via Montebello, ivi, pp. 60-63. 20 Id., Un importante mercato mai costruito. Il Mercato delle Erbe, ivi, pp. 41-60. 21 Cfr. V. Comoli Mandracci, Dalla città preunitaria alla prima industrializzazione, in M. Abrate et al. (a cura di), Torino città
devono comunque agli ingegneri dell’Ufficio d’arte, che si faranno promotori del moderno linguaggio architettonico22 . Quando la capitale si appresta a lasciare la sede di Torino per stabilirsi a Firenze, si segnala il mercato al dettaglio di piazza Bodoni (1864-1866), progettato dagli ingegneri Edoardo Pecco e Carlo Velasco per una superficie di oltre 1.900 mq in luogo di una vecchia tettoia fatiscente, destinata alla vendita all’ingrosso di frutta e verdura. La pianta quasi quadrata (42,30 x 45,60 m) aveva un corpo centrale sormontato da una lanterna ottagonale, la cui struttura portante in ferro e legno era celata dagli alzati in muratura. La concezione derivava dal modello delle Halles, proposto anche da Piattini nel progetto inattuato per un Mercato delle Erbe. Dopo il crollo per una nevicata (1888) si rese necessaria una nuova armatura di sostegno, stavolta interamente metallica, con travi inclinate e connesse fra loro da arcarecci secondo il sistema arco-trave a collegamento reticolare. Attenzione particolare era riservata ai problemi igienici e di aerazione, mentre il piano sotterraneo fungeva da magazzino. Questo esempio singolare di copertura a pianta centrale subirà lo stesso destino di altre strutture simili: demolito nel 1924, come più tardi accadrà alla grande tettoia della stazione di Torino Porta Nuova. Sempre a sud della città, nel nuovo ampliamento di San Salvario, si costruisce il mercato di piazza Madama Cristina (1866), la cui copertura metallica risale però al 1879, quando i mercati fiorentini sono già costruiti. In seguito, lo stesso ingegnere Velasco progetterà per l’area di Porta Palazzo due grandi tettoie in ferro e ghisa (1883-1884), che, occupando i restanti due quadranti nord della grande piazza ottagonale, andranno ad aggiungersi ai due mercati esistenti (modernizzati negli anni 1896-1898), fino a quando non si deciderà di sostituirle con nuove strutture delle quali si costruirà la sola Tettoia dell’Orologio a nordest (1916). L’edificio, tuttora esistente e funzionante, costituisce il maggiore complesso mercatale della zona e, seppure più tardo, presenta connotazioni tipologiche, costruttive e tecnologiche strettamente legate agli esempi più significativi che lo hanno preceduto, a partire dal mercato Centrale di San Lorenzo a Firenze di Mengoni. Tra Ottocento e Novecento Porta Palazzo si consoliderà quale gigantesco epicentro commerciale23, caratterizzato dalla presenza di diversi tipi di strutture coperte come i vecchi mercati di Parigi prima degli interventi di razionalizzazione previsti dal Piano Haussmann. In linea con le nuove politiche di gestione dell’approvvigionamento urbano, diffuse a livello nazionale, il modello di mercato definitosi nell’Ottocento subirà un profondo riesame dagli anni Venti-Trenta del nuovo secolo, quando le strutture in ferro e vetro manifestano segni di obsolescenza incalzate dal cemento armato. Si procederà allora al trasferimento del mercato ortofrutticolo all’ingrosso in via
viva: da capitale a metropoli, 1880-1980, Centro Studi Piemontesi, Torino 1980, vol. II, pp. 215-238; Ead., La capitale per uno stato, in A. Magnaghi, M. Monge, L. Re, Guida all’architettura moderna di Torino, Lindau, Torino 1995, pp. 317-344. 22 F. De Pieri, Nineteenth-century municipal engineers in Turin: technical bureaucracies in the networks of local power, in M. Dagenais, I.E. Maver, P.Y. Saunier (Eds.), Municipal Services and Employees in the Modern City: New Historical Approaches, Ashgate, Aldershot 2003, pp. 31-46. 23 M. Vitali, Torino: il mercato di Porta Palazzo, in Coppo, Osello (a cura di), Il disegno di luoghi e mercati in Piemonte, cit., pp. 76-79.