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Nuovi mercati per Firenze Capitale
Nuovi mercati per Firenze Capitale L’analisi delle trasformazioni indotte dal riordino del sistema di approvvigionamento e delle politiche urbane sottese a quegli interventi, l’identificazione dei protagonisti della progettazione e della costruzione delle moderne attrezzature di servizio deputate alla vendita dei commestibili individuano i nuovi mercati coperti quale esito di una complessa trama di mediazioni intercorse fra il progettista, le istituzioni civiche, la ditta accollataria dei lavori e l’Uffizio d’Arte municipale. Il nuovo mercato Centrale si imposta da subito, progettualmente, come un «monumento», come un’opera architettonica altamente simbolica, il cui volume stereometrico sintetizza una volontà propagandistica di diversa natura: politica, economica, sociale e culturale. Emblema del nuovo status di capitale, nonché espressione della borghesia al potere, desiderosa di rinnovare l’antica immagine urbana adeguandola all’inatteso corso politico, la moderna attrezzatura pubblica si afferma nel tradizionale panorama fiorentino quale testimonianza delle floride previsioni socio-economiche della città che, di nuovo in auge sulla scena politica nazionale, aspira a esserlo su quella internazionale – anche se le sue aspettative saranno presto fugate dal trasferimento della capitale a Roma. Evento, quest’ultimo, che accompagna l’avvio del cantiere dei mercati di Mengoni segnandone la successiva fase di attestazione. Attestazione minata dal tracollo finanziario del Comune in un clima dominato dalla Grande Depressione che, protraendosi fino allo scorcio del XIX secolo, avrebbe archiviato l’epoca del «grande boom mondiale»1. Come per altri esempi europei, anche per i nuovi mercati fiorentini la Francia si conferma quale «laboratorio di grande significatività»2, fino all’assunzione delle Halles come modello formale e funzionale, secondo una soluzione che comunque non esclude una certa influenza britannica. Nel nuovo mercato Centrale per Firenze capitale le esigenze funzionali devono necessariamente conciliarsi con quelle di rappresentatività, così la tecnologia dei materiali metallici viene in parte celata all’interno di un solido basamento in pietra e muratura in continuità col tessuto edilizio adiacente e in aperto dialogo con le emergenze del patrimonio architettonico più glorioso della città, di cui concorre ad alterare lo skyline a distanza di pochi decenni dalla costruzione dei due ponti sospesi sull’Arno: i primi polisemici segni della criticità del periodo di rottura con la tradizione e di affermazione del moderno.
1 Hobsbawm, Il trionfo della borghesia, cit., p. 56. Pur precisando come taluni storici abbiano messo in discussione l’esistenza della cosiddetta Great Depression, Hobsbawm aggiunge che «i contemporanei non ebbero il minimo dubbio che il grande boom fosse stato seguito da una grande depressione». 2 L’espressione di ambito statistico è mutuata da Andrea Giuntini che ringrazio per i continui confronti.
pagina a fronte Fig. 74 Milano, Galleria Vittorio Emanuele II e Palazzo Haas in costruzione (Pompeo Pozzi (Milano, 1817 - 1888), Milano, Civico Archivio Fotografico, Fondo Lamberto Vitali, inv. LV 1119, 1871-1873).
Figg. 75-76 Giuseppe Mengoni, Galleria Vittorio Emanuele II, Milano, 1865-1877, stato attuale (Archivio Maurizio Pecile - Comune di Milano).
Ma con quale stile si poteva connotare un edificio monumentale nella Firenze postunitaria se non col Neorinascimento3? Una scelta che accomuna la storica città dei Medici al nascente Stato impegnato a costruirsi come Nazione, di cui essa stessa è in quel momento il centro urbano più importante e rappresentativo. Una scelta che restituirà a Firenze una centralità e una dimensione culturale europee, rievocando l’epoca storica del suo maggior prestigio e della sua egemonia intellettuale4, perché «se debole era l’Italia contemporanea, forte e stimato era invece il suo passato artistico con cui tutte le nazioni dovevano confrontarsi per trarne insegnamenti e precetti»5 . Di fatto il nuovo mercato principale doveva inserirsi nel quartiere ‘centrale’ di San Lorenzo e dunque stabilire un dialogo ineludibile con la basilica di Brunelleschi e con la Sagrestia Nuova di Michelangelo, due opere architettoniche e due artefici cui si legano la grandezza di Firenze, l’avvio del Rinascimento e la sua affermazione. L’incarico affidato a Mengoni non era facile ma era certamente di stimolo alla sua ambizione se già subito dopo la laurea aspirava «di superare tutti gli artisti viventi, di regnare nella posterità allato di Raffaello e di Michelangelo»6. Più tardi Attilio Muggia, professore di Architettura tecnica della Scuola di ingegneria di Bologna, inquadrerà l’architetto «a capo» dello stile neorinascimentale in Italia per la Galleria di Milano e per il palazzo della Cassa di Risparmio di Bologna nel contesto della «Rinascenza eclettica del secolo XIX»7 (figg. 74-80).
3 C. Conforti, Firenze capitale (1865-1870). Quale Rinascimento per la città di Dante?, in L. Bolzoni, A. Payne (ed.), The Italian Renaissance in the 19th Century. Revision, Revival, and Return, Harvard University Press, Firenze 2018, pp. 457-464. 4 Sull’ideologia politica connessa alla ripresa dello stile rinascimentale in Italia, vedi A. Buck, C. Vasoli (a cura di), Il Rinascimento nell’Ottocento in Italia e in Germania, Atti della settimana di studio (Trento 1987), Società editrice il Mulino, Bologna 1989. 5 O. Selvafolta, Rinascimento e Neorinascimento nell’Ottocento italiano: interpretazioni e percorsi tra le riviste di arte applicata e di architettura, in F. Lemerle, Y. Pauwels, A. Thomine-Berrada (dir. par), Le XIXe siècle et l’architecture de la Renaissance, colloque international (Tours et Blois 2007), Picard, Paris 2010, pp. 197-214: 200. 6 Appunto autografo, datato 5 maggio 1852, citato in Fontana, Pirazzoli, Giuseppe Mengoni 1829-1877, cit., pp. 51-52. 7 A. Muggia, Storia dell’architettura dai primordi ai nostri giorni, Vallardi, Milano 1933, pp. 472-474. Sulla figura di Muggia vedi P. Lipparini, M.B. Bettazzi, Attilio Muggia: una storia per gli ingegneri, Editrice Compositori, Bologna 2010.
Figg. 77-80 Giuseppe Mengoni, Palazzo di Residenza della Cassa di Risparmio, Bologna, 1867-1877, facciate principali, dettaglio della facciata, portico su via Farini (Pietro Poppi (Cento, 1833 - Bologna, 1914), Palazzo Cassa di Risparmio, FCRB, Fondo Pietro Poppi, inv.12047, inv. 204, inv. 205, inv. 202, 1879-1880 ca).
Per quanto dalle carte esaminate non siano emersi riferimenti espliciti al Rinascimento è palese come i disegni e il monumento ne rechino segni evidenti, la riflessione su di essi è quindi necessaria per definire l’ambito stilistico in cui si colloca l’edificio e per capire se esso esprima davvero, semanticamente, il milieu che l’ha prodotto. Interessante sarà capire anche se l’opera di Mengoni presenti una certa originalità rispetto ai modelli che l’hanno ispirata, e se abbia rappresentato a sua volta un modello per altre opere simili. Appurato ‘da chi’ e ‘per chi’ quelle moderne attrezzature di servizio furono ideate e costruite, prima di individuare e interpretare i plausibili nessi che possono aver orientato la committenza e l’architetto nella stesura del progetto, procederemo a un esame puntuale dei due mercati superstiti, con particolare riguardo per quello Centrale in virtù del suo valore significante.