I mercati coperti di Giuseppe Mengoni | Rita Panattoni

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nuovi mercati coperti nell’italia postunitaria

Torino Fra i casi evidenziati, procedendo da Nord a Sud, Torino si segnala per una precoce politica urbana diretta a rimuovere il commercio dei commestibili dal «centro». Avviato nel corso della Restaurazione, il piano trova compimento alla metà del XIX secolo in linea con quanto accade nelle più avanzate capitali europee. Negli anni postunitari la storia dei mercati coperti torinesi può dunque essere letta sia nel graduale affinamento di questa scelta, sia nei tentativi messi in atto per superare il programma, in relazione alle nuove esigenze che la condizione di capitale del Regno impone alla città, prima fra tutte la forte espansione urbana14. Alla base di questa decisione, singolare nel panorama nazionale, si possono individuare alcune congiunture favorevoli, come la forma compatta della città e la distruzione delle mura nel periodo francese, che già negli anni Venti-Trenta dell’Ottocento favoriscono il riordino dei macelli e dei mercati pubblici, concentrandoli nei terreni a nord e a nord-ovest del nucleo urbano, mentre il settore meridionale viene destinato a un’espansione di tipo residenziale. La costruzione di un mercato del bestiame (Borgo Dora) e di tre Pubblici Macelli verso il Po e la Dora (Porta Palazzo, Porta di Po e presso il convento della Madonna degli Angeli), per evitare il transito degli animali e delle carni attraverso il centro, rappresenta il primo tratto distintivo di queste politiche, che accomuna Torino a Firenze e a Roma, dove ugualmente si provvede a decentrare i mattatoi in luoghi coperti situati presso fiumi: a Firenze, l’Oltrarno, a Roma, la zona tra piazza del Popolo e il Tevere. A Milano, invece, la tendenza a concentrare le attività di macellazione si manifesterà solo dopo l’Unità, quando nelle altre città si comincia ad avvertire la crisi del sistema adottato e l’esigenza di ricorrere a un impianto fortemente decentrato. A Torino la dislocazione di queste nuove attrezzature accentrate e di tipo pubblico, spesso di dimensione sovraurbana, diviene allora estremamente pianificata in riferimento al milieu culturale europeo, soprattutto francese. Al nuovo Mattatoio Civico (1868) presto si aggregherà il mercato del bestiame (1871), per i quali si scelgono zone periferiche a sud della città (attuale corso Vittorio Emanuele II), collocate presso importanti infrastrutture come la cinta daziaria e la linea ferroviaria (per Novara), sull’esempio del coevo mattatoio parigino de La Villette di cui si riprende anche l’impianto cellulare15. Per quanto riguarda i programmi avviati dalla Municipalità per la vendita delle cibarie, svanite le «Piazze coperte per diversi mercati» previste da Alessandro Antonelli nell’ambito del piano generale di ingrandimento della città (1852) offerto per il quartiere di Vanchiglia16, da un lato si promuove la costruzione di mercati coperti nelle zone di espansione, dall’altro si rafforza la vocazione commerciale dell’area a nord-ovest del centro storico come in parte si attuerà anche a Firenze. Il luogo individuato L. Barosso et al., Mercati coperti a Torino: progetti, realizzazioni e tecnologie ottocentesche, Celid, Torino 2000; D. Coppo, A. Osello (a cura di), Il disegno di luoghi e mercati a Torino, Celid, Torino 2006; De Pieri, Mercados cubiertos en la Italia liberal, cit., pp. 216-223. 15 V. Comoli Mandracci, Torino, Laterza, Roma-Bari 1983, pp. 197-204. 16 L. Re, Il Louvre del popolo, in Barosso et al., Mercati coperti a Torino, cit., pp. 14-27. 14

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