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Il Lucherino eurasiatico Spinus spinus
testo e foto di FRANCESCOFORMISANO
In Memoriam Colei che al mattino mi salutava dicendo:“‘A Maronna t’accumpagna!”, il 23 gennaio 2018 è tornata alla casa del Padre. Ciao Rosina, ciao Mamma. Ho scritto questa nota in sua memoria; grazie a lei, durante il mio lungo girovagare giovanile, il Lucherino, senza soluzione di continuità, è stato sempre presente nel mio piccolo allevamento.
Biologia generale Descritto come Fringilla spinus da Linneo nel 1758 e successivamente Spinus spinus da Kochnel 1816 (conia - tore del Genere), inserito poi con i cugini americani e non solo, in quell’autentico calderone che è stato per decenni il Genere Carduelis. Negli ultimi tempi, grazie al test del DNA mitocondriale, autorevoli studiosi hanno ridisegnato “l’albero genealogico” delle specie “rispolverando” i vecchi Taxa e così tutti i Lucherini sono ritornati Spinus, i Verdoni (europeo e asiatici) so no di nuovo Chloris; gli OrganettiAcan this; i Fanelli (europeo ed esotici) Linaria. Monotipico, il Luch. eurasiatico si divide in due gruppi di popolazioni: in Europa ed in Asia. In Europa occupa un areale molto ampio: Siberia occ.le dove sono presenti piccole popo - lazioni nidificanti; Russia (Mar Bianco e Penisola di Kola); Finlandia, Penisola Scandinava meridionale, Gran Bretagna, Isole Britanniche e del Canale; regioni dell’Europa centrale e orientale: Francia (Massiccio Centrale e
Lucherina in cova
Vosgi), Olanda sett.le, Germania, Danimarca, Polonia, Rep. Ceca, ex Jugoslavia, Paesi Balcanici. Europa meridionale: Spagna (Pirenei meridionali), Svizzera, Austria, Italia,
(piccole popolazioni stanziali e nidificanti sulle Alpi ed eccezionalmente come tale, benché raro, sull’Appennino, anche meridionale, come alta Irpinia e Sila). Nel 1998, alle falde del Vesuvio, nell’area pedemontana del comune di Somma Vesuviana sono state segnalate tre coppie come nidificanti, su piante di Avellane, tra Maggio e Luglio, in concomitanza di un’estate eccezionalmente piovosa. In Asia è presente nella parte orienta - le: coste meridionali del Mare di Okhotsk, Isole Kurili e Sakalin, Giappone sett.le. Durante la stagione fredda migra ver - so sud e le popolazioni europee si portano sino alle coste del nord Africa e
Uova di Lucherino
Medio Oriente, mentre quelle asiatiche si spostano verso sud est e sud ovest portandosi in Mongolia, Corea, Cina meridionale; raro se non eccezionale nelle Filippine. In natura il Luch. ha un’alimentazione varia e complessa, infatti si nutre di diversi semi prelevati direttamente sulla pianta oppure razzolati al suolo; con il suo becco sottile e robusto, estrae abilmente i semi dai coni delle
Nidiacei a 2 gg.dalla schiusa
conifere (Abies e Picea); fruttescenze da Ontano, Olmo, Betulla, Larice, Ginepro (gemme e bacche), Eucalipto ecc, ecc. Si procura il cibo anche sulle erbe prative nelle radure ai margini di foreste e boscaglie, preferendo i semi delle composite allo stato maturo o ceroso, dalla primavera inoltrata fino alla tarda estate; durante il periodo riproduttivo, piccoli invertebrati e loro larve - le proteine cosiddette nobili -, sono particolarmente cacciati quando ci sono i pulcini nel nido. La riproduzione è fortemente influenzata dall’abbondanza o meno dei coni di cui sopra e in concomitanza di annate particolarmente favorevoli, può essere addirittura anticipata alla fine di Febbraio (dai nuclei stanziali), con la possibilità di effettuare anche una terza covata; viceversa, in presenza di scarsa produzione, di solito ne viene portata a termine solo una. Il nido è assembla - to dalla femmina ad altezza considerevole sull’estremità dei rami di conifere oppure alle loro biforcazioni utilizzando sottili radichette, licheni e muschio a renderlo mimetico, l’inter - no è reso soffice utilizzando peluria animale o lanugine vegetale – i pappi delle composite –. Mediamente quattro le uova deposte e covate dalla sola femmina; se gallate, dopo i canonici 12 gg. di incubazione si schiudono.
Durante questo periodo il maschio alimenta la compagna al nido, sosta sulle cime degli alberi circostan ti sciorinando il canto sia per allietare la femmina in cova, sia per tenere alla larga eventuali rivali. Alla schiusa, continua a nutrire la femmina nei i primi giorni di vita dei pulli, più tardi entrambi i genitori provvedono al loro sostentamento. Quando nascono, i pulcini sono implumi, pelle e becco giallastri, ricoperti da fitto piumino grigio scuro; ben alimentati hanno uno sviluppo molto rapido, intorno al decimo giorno sono impiumati e a due settimane dalla schiusa lasciano il nido. All’involo, riparano nel folto del foglia me di alberi e cespugli, dove ben mimetizzati, anche grazie all’anonima livrea di cui sono dotati (somigliano alla femmina), riescono ad eludere i tanti predatori presenti in natura. Al termi ne della quarta settima na di vita, alimentati solo dal maschio mentre la femmina cova la deposizione successiva, si emancipa - no e, imbrancati con coetanei conspecifici e non, vanno alla ricerca di zone di pastura. Intorno ai due mesi di età inizia la muta giovanile, terminata la quale, assumono i colori ed il disegno del piumaggio del sesso di appartenenza. Verso la fine dell’estate, prossimi ad intraprendere il lungo e faticoso viaggio che li porterà anche e ben oltre le nostre latitudini, i Lucherini si radunano in grossi stormi misti a Organetti per effettuare quella migrazione che lungo rotte prestabilite, si perpetua da tempo immemorabile.
Introduzione Risale invece a più di mezzo secolo fa il mio incontro con questo simpatico pennuto, così confidente da prele vare direttamente dalle mani di colui che lo accudisce, quando offerte, leccor - nie varie quali possono essere i pinoli, i grani del girasole, le tarme della fa - rina ecc. Alcuni ricordi della mia infanzia sono indissolubilmente legati a questo uccellino; ero in terza elementare quando un amico di famiglia me ne regalò uno e per un bambino che, sino ad allora, aveva avuto solo e sempre forastici cinguettanti passerotti, figurarsi la gioia di possedere finalmente
un volatile degno di questo nome, il quale non solo si lasciava osservare da vicino senza sbatacchiare spaventato, ma addirittura cantava! Fu amore a prima vista... Mio padre, che non condivideva que - sta mia passione ma aveva capito benissimo quanto fossi “un malato... di piuma”, durante i periodi del passo, pur di farmi alzare presto nei giorni in cui non c’era scuola, (per apprezzare la bellezza dei colori dell’alba – dice - va – ma in realtà mal tollerava che poltrissi a letto), per anni ha ripetuto sempre e solo lo stesso refrain: “Guagliò!, dai alzati, ci stanno un sacco di Lequie (il lucherino in napoletano)sui pini”. Ed allora io balzavo giù dal letto e correvo fuori; a volte era vero, altre no, ma tant’è: ormai mi ero alzato. All’epoca, (siamo intorno alla metà degli anni ‘60), di Lucherini durante le fasi del passo ne arrivavano davvero tanti. Ricordo ancora il piacere pro - vato nell’osservarli da vicino mentre, attirati dal canto del mio richiamo, si fermavano a nutrirsi dei semini delle erbe prative presenti nei campi che circondavano la casa colonica dove vivevo all’epoca. In pratica avevo anticipato di parecchio quella che poi sarebbe divenuta negli anni a venire una passione alla “moda”, vale a dire: il bird watching, così comune nei Paesi nordeuropei e in quelli anglosassoni in particolare e che, negli ultimi anni, ha preso piede anche nel nostro Paese. Queste emozionanti osservazioni erano condivise dalla allora mia giovane mamma (è lei che mi ha trasmesso la passione per gli animali e, anch’ella, come me, “innamorata pazza” del Lucherino), la quale, come tante altre donne nelle zone rurali a quei tempi, si divideva tra la famiglia, la cura della casa ed il duro lavoro nei campi. Indimenticabili le sue espressioni entusiastiche nell’indicarmi qualche soggetto particolarmente “temerario” tanto da avvicinarsi - incurante di superare quella barriera di sicurezza che di solito i volatili mettono tra loro e noi, prima di scappare via, spaventati - mentre riparati dal tronco di un albero o accovacciati dietro un masso, spiavamo le acrobazie del gruppo sulle cime dei pini e dei pioppi, oppure
Nidiacei a 6 gg.dalla schiusa
posati al suolo nutrirsi sull’Ortica piuttosto che sui minuscoli capolini del Senecio o sulle spighe apicali del Farinaccio (Chenopodium album)e dell’ Amaran to (Amaranthus retroflexus). Il cloudel divertimento però avveniva la domenica, quando di buon’ora, nel primo mattino, con mio cugino Francuccio e Giorgio, l’amico di sempre, miei coetanei, si andava sulla lava (pregresse colate laviche del Vesuvio dei secoli scorsi, che ancora oggi costellano la contrada), là dove erano i capanni allestiti dagli adulti per la cattura con le reti, allora consentita, ma non a noi perché necessitava di un permesso - a pagamento - che, data la nostra età, mai avremmo potuto avere. In noi cementava una sorta di autostima il fatto che, di tanto in tanto, i vari Don Rosario, zì Ciccillo o Don Luigino, quota - ti e stimati “paratori ‘e rezza”, lasciava
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no il campo, sensibili e compiaciuti, a noi ragazzini consentendoci di effettuare qualche“tirata”. Sebbene all’e - poca le voci fossero ancora bianche, i moccolierano da adulti quando, quello di turno tra noi, imbranato, maldestro o semplicemente emozionato, anticipava oppure indugiava nel tirare la fune che catapulta va la rete, permettendo così allo stormo di volare via. Ah, che bei tempi! e quali piacevoli ricordi ancora oggi che la memoria indugia; non posso che ringraziare il Signore per i miei natali campagnoli e l’ambiente sano e sereno nel quale sono cresciuto.
Allevamento Da ragazzo sono stato alcuni anni “on the road ”- : “ Pour connaìtre les habìtudes des autres peuples du monde!”- dissi, rivolto alla prof. di Francese, col mio accento napoletano, grande fac - cia tosta e tanta, tanta speranza, ripetendo quanto già detto poco prima a quella di Inglese, madrelingua anch’ella, all’esame finale del corso convittuale di Scuola Alberghiera che frequentai tanti anni fa in quel di Marino (Roma). Proprio il contatto coi costu - mi des autres peuples e nello specifico quello inglese, accesero in me la fiamma dell’animalista, prima che quella dell’ornitofilo. Anni dopo, rientrato alla “base”, scopro che nel frattempo è stata varata una legge che vieta l’uccellagione e questo non mi dispiace affatto, anzi, ritengo positivo che anche in Italia si consideri, finalmente, reato detenere uccelli nati liberi. Tuttavia la passione rimane intatta, decido così di procurarmi qualche coppia di canarini domestici, i bei pezzati di allora, robusti e rustici, coi quali intraprendo quel fantastico viaggio chiamato “allevamento” che ancora oggi, tra “gioie e dolori” continua... Negli anni c’è stata poi l’iscrizione alla F.O.I., la lettura di libri specifici e la scoperta che la normativa consente di detenere e allevare, a scopo amatoriale, specie appartenenti all’avifauna autoctona; chiaramente c’è qualche obbligo da osservare. Chiesta ed ottenuta l’autorizzazione alla detenzione (allora l’istanza veniva inoltrata alla
Nidiacei a 12 gg. dalla schiusa
Provincia di appartenenza, oggi alla Regione), acquisisco presso allevatori autorizzati alcune coppie di indigeni: i primi sono - naturalmente - Lucherini. Nonostante abbia iniziato con soggetti nati in ambiente controllato, le femmine, all’innata confidenza manifestata verso chi li accudisce, contrappongono un inaspettato disadattamento biologico nel nidificare in captività, sia se alloggiate in gabbie da 60 cm, che in quelle da 90 cm, mentre i maschi ibridati con can. domestici si rivelano attenti e premurosi nelle cure parentali, salvo l’avere, alcuni, il poco simpatico vizietto di forare le uova, mentre la compagna è assente dal nido. Capita l’antifona, opto per l’allevamento in voliera, avendone nel frattempo costruite alcune esterne con il fondo in terra naturale. Da allora, siamo nel 1996, ho sempre preferito la voliera alla gabbia, salvo rare eccezioni, quando qualche femmina di terza o quarta generazione dome - stica, si è riprodotta in gabbia salvo poi prendersi qualche “annetto sabba - tico”. Ritengo comunque la voliera più adatta, perché oltre ad eliminare eventuali turbe che si manifestano in gabbia, come possono essere, per la femmina la deposizione delle uova fuori dal nido, la mancata incubazio - ne, l’abbandono dei piccoli dopo alcuni giorni o il non allevare affatto la prole alla schiusa; mentre il maschio, oltre a forare la uova come detto poc’anzi, spesso, sornione, sfilaccia filo dopo filo il nido mentre la femmina cova, lasciando le uova a giacere sul nudo vimini senza la soffice imbottitura, con tutte le possibili e immaginabili conseguenze del caso. Inoltre in voliera la specie dà il meglio di sé, esibendo le sue innate doti acrobatiche, particolarmente se è presente qualche ramo secco o arbusto verde; inoltre i brevi - ma salutari – voli, consentono al maschio di tenersi in ottima forma, visto la tendenza che ha ad ingrassare. La preparazione alla fase riproduttiva inizia verso la metà di Gennaio, quando fornisco due-tre volte a settimana un cucchiaino a testa dei cosiddetti semi condizionanti, scelti con cura singolarmente e somministrati solo se superano il testdi germinazione; pastone morbido all’uovo - poco gradito in questo periodo per la verità -, una tarma della farina a testa, una volta a settimana passando poi a due e a tre in modo esponenziale, man mano che si procede verso la primavera. Quando ci sono i piccoli nel nido, oltre a semi forniti tal quali come perilla, chia, girasole piccolo nero e lattuga, fornisco un paio di volte al giorno una fettina di mela; erbe prative come il dente di leone (Taraxacum officinalis), crispigno o cicerbita (Sonchus asper), senecio (Senecio vulgaris), ambretta (Scabiosa columbaria), lattuga selvati - ca (Lactuga serriola), piantaggine (Plantago major elanceolata) e altre delle quali conosco solo il nome locale. La fortuna di vivere in campagna mi consente di trovarne in abbondanza e senza soluzione di continuità da Marzo a estate inoltrata -, nel mentre che matura il girasole nero - piccolo e medio - che semino ai primi di Marzo, il quale mi permette poi di disporre dall’ultima decade di Luglio e fino a Settembre inoltrato, dei semi allo stato ceroso, nutrienti e sani, ottimi per svezzare le ultime nidiate e per il delicato periodo della muta. Le tarme della farina vengono fornite vive e allo stadio larvale, possibil mente fresche
di muta, bianche e tenere senza l’indigesto - per i pulli– esosche letro chitinoso, in misura crescente a partire dal secondo giorno dalla schiusa e fino al’impiumo, in rapporto al numero dei nidiacei (di solito 3/dieper pullus) suddivise in tre somministrazioni. Osservazioni personali hanno rivelato, tuttavia, che i Luch. ne “succhiano” il contenuto qualora siano somministrate con cuticola. A partire dal sesto giorno di età dei piccoli fornisco anche tenere foglie di verdura varia, sia coltivata, sia selva - tica (buon Enrico, tarassaco ecc.). Da Agosto a Novembre, se condo disponibilità, fornisco la pianta intera, radici con zolle comprese, di portul aca, graminacee come persicaria e digitaria; l’amaran to e il chenopodio, tutte essenze ricche di semini utili sia a mantenerli in buona salute, che ai fini di una buona muta, contribuendo alla brillantezza del piumaggio. Molto precoci rispetto ai nidiacei degli altri Fringillidi (ed anche all’interno dello stessogenus), i giovani Luch. abbandonano il nido trascorse due settimane dalla schiusa e prima che completino il mese di età, si emancipano. Personalmente, per maggior sicurez za, li lascio ancora con i genitori fino a quando non sono certo che sguscino la scagliola – per me seme essenziale rispetto a tutti gli altri –. Separati, li alloggio con coetanei conspecifici in contenitori da 90 o 120 cm, (sei, otto unità per contenitore non di più, poiché, come tutti gli Spinussono litigiosi e attaccabrighe). In questa fase inizio a fornire con una certa costanza sia verdura che ortaggi e, in particolare, fette di cetriolo, zucchine e pomodori provenienti dal mio orto biologico, oltre a parche dosi di perilla, chia e lattuga alternate; naturalmente il girasole di cui sopra, lo fornisco fresco, nella corolla appena recisa: è una grossa soddisfazione vederli forzare col becco appuntito la guaina che racchiude il singolo seme ed uno spettacolo per gli occhi quando sgusciano i grani più grossi artigliandoli con la zam - petta al posatoio. Tenuto come pet, il Luch. si ammansisce facilmente, riconoscendo, fino a posarsi sulla sua mano, chi lo accu - disce; particolarmente canterino nelle fredde e piovose giornate invernali, lo scroscìo della pioggia lo stimola così come il rumore provocato dall’acqua che scorre dal rubinetto, (forse gli ricordano, con nostalgia, le cascate ed i corsi d’acqua degli sconfinati e solitari territori nordici di origine). Imitatore sopraffino, in pratica il canto altro non è che un sommesso “chiacchierio”, un misto di note, molte delle quali “rubate” al repertorio di specie coabitanti in natura, oppure per quanti nati in ambiente controllato, copiati dall’inquilino… della gabbia accanto. partendo dall’ibridazione tra Lucherino diluito x Cardinalino del Venezuela e attraverso questi, grazie alla fertilità di buona parte degli F1 maschi, al Can. domestico. Purtroppo come spesso succede, i meriti vanno ad altri e nello specifico ad allevatori spagnoli i quali, precedendo Riccardo, hanno definitivamente fissato per primi la mutazione, chiamandolaJaspe(Diaspro). Sarò ripetitivo, ma ritengo davvero di cattivo gusto quelle mutazioni estreme che, cancellando disegno o cromie peculiari di una specie, gli cambiano i connotati; ma si sa: “non è bello quel ch’è bello, ma è bello quel che piace”…
Lucherina e la tarma della farina
Da quanto sopra è chiaro che il Lucherino è sempre stato il mio beniamino e, grazie ad esso, tutti gli altri Spinus lo sono diventati.
Mutazioni Premesso che ritengo insuperabile quanto plasmato da madre natura, c’è da dire che questo simpatico frin - gillide di mutazioni ne ha palesate davvero tante e qualcuna anche peculiare (diluito singolo e doppio fattore, silice); inoltre è il “padre” di una mutazione traslata sul Can. dome stico, detta Ametista dall’amico Riccardo Rigato, colui che per primo iniziò a lavorarci e costa!, anzi più costa più è “bello”. Nella società odierna, c’è gente che corre dietro l’ultima moda o l’ultima novità in tutti i settori e, anche il nostro - purtroppo - non ne è esente. Per onestà intellettuale però, bisogna ammettere che proprio grazie alle mutazioni, l’allevamento di questa specie come di altri fringillidi e non solo, ha visto negli ultimi anni a livello espositivo un incremento numerico molto rilevante, anzi si può tranquillamente affermare, senza timore di smentite, che le mutazioni sono ...la muta trainante l’intero “carrozzone” E.F.I.
Lucherino maschio alle prese con una corolla di girasole
Ritengo comunque importante che in ogni allevamento di mutati vi sia la presenza di una linea parallela di ancestrali puri, ai fini selettivi delle varie mutazioni per il mantenimento di alcuni caratteri peculiari e per disincentivare il ricorso a soggetti presicci. È stato anche, suo malgrado, “vettore” per traslare mutazioni di colore nel Cardinalino del Venezuela, “coadiuvato” in questa operazione dal Luch. di Magellano, il quale mostra similitudini con il rosso conterraneo (entrambi hanno il cappuccio nero, la barra alare abbastanza ampia, assenza di strie al fianco) oltre a una maggiore percentuale di fecondità dei meticci in ambo i sessi. A proposito di “pastrocchi”: una decina di anni fa è stato dimostrato quanto fosse errata la denominazione Agata e Isabella, usata sia per il nostrano e (per proprietà transitiva) anche per il carduelide sudamericano. Studio tutto italiano stavolta; infatti i “nostri”
Massimo Natalee Claudio Scarcia, ibridando un Cardinalino maschio presunto Agata con Canarino domestico Agata mosaico rosso, hanno ottenuto prole mutata solo nel sesso femminile (fenotipo Pastello); successivi test, utilizzando sempre maschio mutato Agata o presunto tale, con Can. domestico Pastello e Cardinalina Agata (?) hanno portato i due bravi tecnici alla conclusione che la mutazione di cui trattasi in effetti è la Pastello e di conse guenza l’Isabella altro non è che la Pastello Bruno. Le loro conclusioni sono state nel frattempo suffragate anche dal risultato ottenuto dal bravo ibridista Mauro Bagiolo, il quale, dall’accoppiamento Cardinalino del Venezuela ancestrale/Isabella x Organetto Bruno Pastello, ha visto la nascita di F1 maschi mutati Bruno Pastello e ancestrale e in tempi più recenti dal l’a - mico Marco Zaccariache, ibri dando sen za alcun fine “scientifico” un Car - del lino Isabella con Lucherina Isa bel - la, ha visto la nascita di F1 maschio Bruno oltre a una femmina Isabella, confermando ancora una volta, qualora ce ne fosse stato bisogno, la bontà delle conclusioni del duo NataleScarcia.
Ibridazione Di “bocca buona” entrambi i sessi, il maschio è un autentico latin lover (le corteggia tutte) e, genetica permettendo, gli ibridi derivati sono molteplici, da quelli facili da ottenere come con il Can. domestico e con tutti i fringillidi europei ed asiatici, a quelli con un indice di difficoltà più elevata - sincronizzazione del periodo di estro in primis- come potrebbe essere con esemplari provenienti dall’emisfero australe, quali la maggior parte dei Serini africani. Giusto per dovere di cronaca ricordo che ibridi, o meglio meticci, all’interno del Genere fertili tra loro, a salvaguardia del patrimonio genetico delle singole specie e quindi per disincentivare la loro realizzazione, non erano am - messi alle mostre fino all’anno scorso; da quest’anno si è ritornati alla vecchia pratica. Personalmente sono con - trario alla loro realizzazione; esorto pertanto tutti gli estimatori degli Spinus a non meticciare per il semplice vanto di “creare” specie intermedie, o peggio ancora, per travasare muta zio - ni del piumaggio da un “contenitore a un altro!”. Ricordiamoci che ciò in natura avviene spontaneamente e solo là dove gli areali di distribuzione si sovrappongono e nemmeno così spesso...
Conclusioni Chissà perché, molti miei conterranei considerano il Luch.:“auciello ‘e malaugurio” (uccello di cattivo augurio), qualcuno addirittura alla sua vista fa ogni sorta di scongiuro, nessuno escluso. Forse la concomitanza di una presenza massiccia durante il passo autunnale nel mese di Novembre, notoriamente considerato qui a Napoli come il mese dei defunti e per questo poco allegro, abbinata al verso di contatto o richiamo, simile secondo alcu ni, ad un lamento, gli è valsa que -
sta poco allegra nomea; se poi l’abbondanza del passo si veri - fica durante un anno bisestile, di per se già fu nesto, Dio ce ne scansi! Sarà perché sono un cattivo napoletano ma non sono superstizioso e, anzi, considero Gufi, Civette e affini alla stregua di qualsiasi altro volatile, figu - rarsi il Lucherino poi… In chiusura, vorrei esternare alcune riflessioni: il Lucherino, in buona compagnia, purtroppo, come più volte riportato anche dai media, è oggetto di cattura su tutto il territorio nazionale, al nord come al sud, oggi come ieri e per i più svariati motivi, nonostante sia specie protetta e indisponibile ai beni dello Stato. Al Nord, tra l’altro, se ne fa anche un uso culinario; infatti, pur - troppo, va ad arricchire ed insaporire con altri piccoli sventurati volatili un piatto tipico: la polenta con “osei”. Niente e nessuno, ad oggi, sembra voler mettere fine a questa autentica barbarie. Anni fa gli organi competenti della nostra Federazione deliberarono, giustamente e per ovvi motivi, che venisse imposto l’anellino del tipo “K” per due nostrani facilmente “pezzottabili”: il Venturone e il Verzellino. Spontanea, sorge la domanda: sareb be stato il caso, allora, di adottare tale anellino anche per il nostro benia mino, quanto meno a garanzia della sua provenienza da allevamento domestico? Oggi si potrebbe tentare di ovviare con l’utilizzo di un anellino fatto con materiale diverso dal fin troppo malleabile e plasmabile alluminio, come potrebbero essere il duro acciaio piuttosto che la fragile ceramica o la vetroresina.
BIBLIOGRAFIA: • I Fringillidi Ed. F.O.I. - Renzo Esuperanzi • Cardellini e Lucherini - Giorgio De Baseggio • Gli Uccelli del Parco Nazionale del Vesuvio - Paolo Annunziata