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Piercarlo Rossi

Il Cardellino ieri, oggi e domani

testo di PIERCARLOROSSI, foto AUTORIVARI

Prima parte

Passeggiando in primavera tra le colline del Monferrato, il canto del cardellino spesso mi faceva compagnia. Scorgere l’autore di tale melodia era facile; infatti, come un fiero alpino, baciato dal sole, mostrava tutti i suoi sgargianti colori sulla punta di una tuia o su un ramo di un albicocco. Il suo ritornello melodioso riempiva l’aria, nella conquista di una compagnia o per segnalare a quest’ultima la sua presenza, mentre lei era intenta alla cova. Nella pianura alessandrina il cardellino è sempre stato uno degli uccelli più comuni, anche se negli ultimi decenni il numero dei soggetti è diminuito notevolmente a causa dell’elevata presenza di predatori, in primis la famigerata gazza che ne falcidia intere nidiate, ed a causa dell’agricoltura intensiva che anno dopo anno ha limitato drasticamente il numero di appezzamenti incolti, dove la crescita di erbe spontanee creava delle zone di approvvigionamento di cibo. Ho sempre pensato al cardellino come ad un “uccello del sole”; infatti, in quelle giornate i suoi colori, colpiti dai raggi solari, davano il meglio di sé, ed ogni volta ammirarlo, appeso a testa in giù intento ad estrarre preziosi semini da una “pallina” di acero o a terra su un’infiorescenza di tarassaco, era un vero piacere. Moltissimo è stato scritto su questa specie, tanto da attribuirle l’appellativo di “principe dei fringillidi”; un titolo più che meritato, vista la grande attrazione che il cardellino crea in tutti gli appassionati e la sua presenza massiccia negli allevamenti domestici ne è la conferma. Io penso che il tutto sia da attribuire in primo luogo alla bellezza dei suoi colori: una mascherina rosso vermiglio in contrasto con banda alare gialla, dote rara nei fringillidi, condivisa solo con il Verzellino fronterossa, le uniche due specie che presentano entrambi i colori nel piumaggio; il

Cardellino mutato (pastello ala grigia), foto Aviario Cenit Granada

Moltissimo è stato scritto su questa specie, tanto da attribuirle l’appellativo di “principe dei fringillidi”

Cardellini in varie mutazioni, foto: Bruno Zamagni, all. Silvio Budellacci

nero intenso e vellutato, che contrasta nettamente con le perle bianche delle ali; un atteggiamento fiero ed uno spirito sempre combattivo hanno fatto di questo uccello uno dei soggetti più ambiti dalla notte dei tempi. Un interesse ulteriormente amplificato dalle credenze popolari. Infatti, secondo la mitologia greca, il cardellino sarebbe in realtà una delle Pieridi, trasformata in uccello da Atena; il mito è raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi. In generale, nella antica cultura pagana il cardellino rappresentava l’anima dell’uomo che, al momento del trapasso, vola via; tale significato è stato mantenuto anche in ambito cristiano, dove il cardellino diviene inoltre simbolo della passione di Cristo e per tale motivo è raffigurato in numerosi dipinti rinascimentali. Una leggenda cristiana narra che un cardellino si fosse messo ad estrarre le spine della corona che trafiggeva il Cristo crocifisso e che si fosse trafitto a sua volta, macchiandosi con il sangue di Gesù: l’uccellino così sarebbe rimasto per sempre segnato, con la macchia rossa sul capo.

Una leggenda cristiana narra che un cardellino si fosse messo ad estrarre le spine della corona che trafiggeva il Cristo crocifisso e che si fosse trafitto a sua volta

Anche il grande compositore Antonio Vivaldi gli ha dedicato un concerto per flauto e una battuta in una delle Quattro Stagioni: l’Estate, naturalmente. Andando indietro nel tempo, io credo che il cardellino non ci mise molto a diventare un “uccello da compagnia”: appena gli uomini appresero le nozioni basilari dell’allevamento, una gabbia rudimentale ed una miscela molto spartana, diedero inizio a questa magica avventura. La detenzione in cattività permise di scoprire un’altra dote di questa splendida specie, quella del canto composto da note metalliche, a volte molto vario, altre chiuso in una sola passata; questo creò nel tempo un vero culto, una tradizione che è giunta fino ai giorni nostri, molto sentita soprattutto nell’Italia meridionale e, in generale, nei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo.

Il canto del Cardellino Gli uccelli utilizzano il loro canto per la conquista di una compagna o per difendere un determinato territorio; la stessa pratica è utilizzata anche dal cardellino. Inoltre, il canto degli uccelli è molto importante per il loro successo riproduttivo, questo grazie ad un organo molto particolare chiamato siringe. La conformazione di quest’ultima cambia a seconda della specie ed a questo si devono canti e suoni tanto diversi. Nelle anatre, nei polli, nei pappagalli e in altre specie relativamente ataviche la siringe arriva solo fino alla diramazione della trachea nei bronchi, mentre in specie con capacità canore più evolute, come i Passeriformi (usignolo, capinera, allodola o cardellino) si compone di due parti, ciascuna delle quali si inserisce all’interno di uno dei due bronchi. La siringe è costituita da un insieme di cartilagini a forma di anello entro cui si trovano due pieghe della mucosa. Queste membrane, che vibrano come le nostre corde vocali, sono collegate a muscoli (da 3 a 7 paia) che possono modificare l’ampiezza della siringe e quindi i suoni emessi dall’uccello.

Il cardellino può cantare con diverse modulazioni: le sequenze principali sono tre... e ogni maschio ha la sua pronuncia

Nel mondo degli uccelli ne sono privi gli struzzi, le cicogne e pochi altri, particolare alquanto strano. Tornando al nostro cardellino, le sottospecie presenti nel bacino del Mediterraneo (parva tschusii e lo stesso Carduelis carduelis), essendo di taglia ridotta hanno una siringe più piccola rispetto a quella del C. frigoris: questa gli permette di ottenere vocalismi più acuti, molto apprezzati dai cultori di quest’arte. Il cardellino può cantare con diverse modulazioni: le sequenze principali sono tre - in Campania, che conta moltissimi appassionati, le vocalizzazioni principali vengono dette Zipè, Ble ble e Ziò - e ogni maschio ha la sua pronuncia. Zipèè la melodia principale di un cardellino. Nella sua forma canonica consiste nella ripetizione per almeno 4 volte di due sillabe (che appunto si rendono con zie pe, da una breve interruzione di una frazione di secondo, e da un’altra ripetizione delle stesse due sillabe qualche semitono più in basso). Una buona zipèè tanto rara quanto piacevole da ascoltare e ciò spiega perché essa sia uno dei canti più ricercati. Gli errori consistono nell’esecuzione troppo veloce, nella ripetizione delle sillabe per meno di quattro volte, nella mancata ripetizione nel registro più basso e infine, come per tutte le altre melodie, nell’esecuzione interrotta. Ble ble: questa melodia è particolarmente semplice, ma molto apprezzata. È formata dalla duplice ripetizione della stessa sillaba, che appunto può rendersi con bleo anche con ueo, pronunciati seccamente, e con netta e brevissima cesura intermedia. La ble blecompare spesso all’inizio di un fraseggio, sovente preceduta da una vocalizzazione di difficile descrizione chiamata pliò, e non è presente nel canto di ogni cardellino, cosa che ne accresce l’importanza. Gli errori consistono nella mancata doppia ripetizione della sillaba, che può essere ripetuta per una sola volta o anche per tre; la mancanza completa della ble blenel canto costituisce difetto. Ziò: contrariamente alla precedente, questa vocalizzazione è emessa quasi sempre al termine di un discorso; essa è resa benissimo dal termine scelto per indicarla. Tutti i cardellini la sanno eseguire, ma una buona ziò dev’essere non troppo breve, molto distesa, con pronuncia uniforme e, come detto, tassativamente messa alla fine della frase. L’errore più frequente consiste nell’esecuzione eccessivamente contratta. Il complesso di pliò, ble ble, zipè, ziò in quest’ordine, se correttamente

eseguito, si considera il massimo ri- Cardellino su acero (Acer platanoides), foto: R. Poggio

Cardellino satinè x Canarino satinè, foto: Domenico Cautillo

sultato canoro raggiungibile, ma è estremamente difficile da ottenere; ciò spiega le quotazioni di mercato a livelli astronomici di un soggetto dal canto ideale (si veda anche, a questo proposito, il mio articolo “Napoli e i cardellini). Rullo: questa vocalizzazione ricorda non il rullato degli Harzer ma i suoni d’acqua dei canarini Malinois; è però di durata più breve, meno gorgheggiata e variata, e spesso passa inosservata, avendo i cardellini la tendenza ad inserirla velocemente nel corpo di un fraseggio. Per cui non si accorda grande importanza al rullo e non esistono precisazioni riguardo la sua esecuzione ideale, anche perché molti cardellini lo eseguono allo stesso modo. Zick: è più che altro un breve suono di richiamo. Se un cardellino è tenuto all’esterno, spesso alcuni soggetti emettono un verso caratteristico, lo zick,appunto (il termine è onomatopeico), se un altro uccello, cardellino o no, vola o si ferma nelle sue vicinanze. I soggetti che lo eseguono con frequenza erano dunque utilizzati un tempo come richiamo per l’uccellagione. Ringrazio l’amico Riccardo Rigato per avermi aiutato in quest’ultima parte.

I primi ibridi con il Canarino Con il diffondersi dell’allevamento dei canarini di colore si fece strada una nuova prospettiva, quella dell’ibridazione; questa unione dava vita a dei soggetti robusti, grandi cantori, che una volta svezzati venivano messi “a scuola di canto” sotto un abile maestro cardellino, così da poter apprenderne la melodia, ma con una lunghezza ed una potenza vocale diversa, donata loro dal Serinus canaria. Deve essere stato sicuramente così per secoli; basti pensare che il primo caso documentato di ibridazione con la canarina risale al XVII secolo, cardellino per canarino, abilmente ritratto su tela nel 1610 dal pittore Lazarus Roting. Il prelievo in natura, la detenzione, il canto e l’ibridazione, tutto questo rimase immutato fino a pochi decenni or sono, quando si decise di tentarne la riproduzione in cattività, pratica che fino ad allora si riteneva non possibile per una “specie selvatica”. Questo fu un passo obbligato, visto che a partire dal 1978 la legge 812 del 24 novembre aveva imposto l’allevamento in ambiente domestico, come unica possibilità di detenzione ufficiale del cardellino e di tutti gli indigeni in generale. Penso che agli inizi fu un vero colpo al cuore vedere la femmina girovagare tutta impettita per la gabbia con degli sfilacci nel becco, alla ricerca di un luogo sicuro dove poter metter su famiglia. Ricordo ancora con piacere una delle visite all’amico Giuseppe Bosio di Robbio Lomellina, grande allevatore di esotici, alla fine degli anni ‘80, che con grande orgoglio mi mostrò una femmina di cardellino che covava tranquillamente in una volieretta da 120 cm. Il buon Giuseppe, anche se affermato allevatore di estrildidi, non aveva saputo resistere al fascino di questa splendida specie. Tornando per un attimo all’ibridazione con il canarino, negli anni sono state tracciate due strade: quella del canto, ed in questo caso la canarina utilizzata poco importa, e quella della ricerca di una pezzatura, la più ampia possibile, un’arte che mi ha sempre affascinato, la più praticata nella piana alessandrina. Con il passare degli anni, le varie teorie per ottenere questa tipologia di ibridi si sono susseguite; ad oggi io ritengo che la casistica voglia che i soggetti con pezzature sempre più estese nascano da un determinato cardellino, unito logicamente ad una canarina lipocromica gialla o rossa.

Con il diffondersi dell’allevamento dei canarini di colore si fece strada una nuova prospettiva, quella dell’ibridazione

Cardellina Aminet in cova, foto e all. Alex Valentini

Negli ultimi anni la comparsa dei cardellini acianici o favati ha aggiunto un’ulteriore opportunità a questo tipo di ibridazione. Con l’apparire delle mutazioni che hanno interessato il nostro Carduelis, ad oggi è possibile ammirare, nelle principali mostre, soggetti ibridi mutati di sesso maschile, ma con la memoria voglio tornare ai primi soggetti di sesso femminile mutati. Infatti, alla fine degli anni ‘80, femmine di cardellino unite a canarini affetti da mutazioni sessolegate, come la pastello, l’isabella, ma soprattutto la satiné, davano vita a femmine di rara bellezza che in quegli anni primeggiavano in tutte le manifestazioni ornitologiche e portavano la nostra mente a fantasticare su soggetti puri affetti da tale mutazione… alcuni anni dopo tali sogni diventarono realtà.

Continua

sul prossimo numero Cardellino agata, copertina I.O. Giugno-Luglio 2018, foto: Mario Vetere

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