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FINANZIAMENTO TRA “PRIVATI” SU PIATTAFORME WEB: IL PEER TO PEER LENDING
di Giuseppe Cassano e Stefano Chiodi
Sommario: 1. Il credito disintermediato: il finanziamento su piattaforma. – 2. Tipi di finanziamento. – 3. Quadro normativo. – 3.1. Il problema dei flussi finanziari: l’Istituto di pagamento. – 3.1.1. La vigilanza sugli Istituti di pagamento. – 3.2. La riserva di legge e la raccolta di risparmio presso il pubblico. – 3.3. La normativa europea. – 4. Conclusione.
Dall’esperienza anglosassone anche in Italia si sta diffondendo, con qualche difficoltà, il P2P lending. Si tratta di finanziamenti erogati ad opera di soggetti non bancari: mutui a medio periodo o rapporti di factoring, di importo contenuto, erogati mediante piattaforme web specializzate. Il risparmio di costi dovuto alla disintermediazione, parametri meno severi e la velocità di erogazione, sono i principali fattori competitivi. L’assenza, nel nostro Paese, di una normativa specifica, tuttavia, pone tutta una serie di difficoltà che rischiano di minarne lo sviluppo. From the Anglo-Saxon experience, P2P lending is spreading in Italy too, with some difficulty. These are loans disbursed by entities other than anks: medium-term loans or factoring relationships, of limited amount, disbursed through specialized web platforms. The main competitive factors are costs savings due to disintermediation, less stringent parameters and delivery speed. The absence, in our country, of a specific piece of legislation, however, poses a whole series of difficulties that risk to undermine its development.
In epoca moderna l’attività di concessione del credito è divenuta pressoché appannaggio esclusivo delle istituzioni bancarie che, nel perdurare della ben nota (ed ancora attuale) crisi finanziaria, a causa del credit crunch, hanno lasciato insoddisfatta una fetta di mercato “marginale”. La concessione del credito, infatti, è divenuta particolarmente difficoltosa per certi cluster di clientela a causa del crescente rischio di insolvenza (indotto dalla stessa crisi) e dalla necessità degli intermediari di rivedere la propria struttura organizzativa, rendendola più snella e profittevole, circostanza quest’ultima che poco risulta compatibile con una clientela di piccola dimensione, indipendentemente che si tratti di privati in cerca di soddisfare le proprie esigenze di consumo o di micro/ piccole imprese. Gli strumenti tecnologici del web, che nel frattempo si sono fatti sempre più diffusi ed efficaci, hanno permesso l’avvento di modalità di raccolta di risparmio indirizzate alla massa mediante l’utilizzo di piattaforme online a ciò deputate: è così nato il c.d. crowdfunding mediante il quale la massa indistinta di risparmiatori in cerca di una remunerazione per i propri capitali, diviene direttamente prestatore di denaro avviando un processo di disintermediazione “affascinante” per il pensiero comune di quest’epoca, per il quale l’emancipazione da istituzioni “ingombranti” (e le banche ne sono un esempio) può divenire appagante a prescindere, una sorta di ribellione (ma, molto spesso, una “ultima spiaggia”). Il crowdfunding non trova una definizione univoca, o meglio, una univoca modalità di realizzazione, pur essendo solitamente identificato con la raccolta di risparmio da investire nel capitale di rischio di aziende innovative, le tanto famose start-up. In realtà si sono sviluppati, soprattutto nei paesi anglosassoni, più modelli, che qui si elencano per dare una veloce visione di insieme: donation, reward, lending ed equity crowdfunding. I primi due sono “socialmente-orientati”: il donation crowdfunding è una raccolta con scopi filantropici umanitari, una colletta vera e propria, dove l’aspetto umano è predominante (ne è esempio la “colletta” indetta in Facebook a favore di una iniziativa lodevole, lanciata da chi festeggia il compleanno, una versione moderna di “niente regali, ma opere di bene”). Il reward crowdfunding è animato dallo spirito partecipativo, magari in un progetto all’avanguardia, dal quale non si attende un ritorno economico (tutt’al più l’oggetto o servizio così lanciato), bensì la soddisfazione di poter dire “io c’ero!” (classico esempio di finanziamento di una start-up innovativa) (1). Infine, escluso da questo breve scritto, l’equity crowdfunding, finalizzato al finanziamento del capitale di rischio di un’azienda, focalizzeremo qui quello che solitamente e semplicemente viene definito “peer-to-peer lending” (finanziamenti su piattaforme), anche definito social lending: si tratta di un prestito di denaro erogato in un contesto di disintermediazione che, come anticipato, ha preso forza nei mercati anglosassoni quale risposta al credit crunch che colpì particolarmente le esigenze dei privati e delle P.M.I. a cavallo del 2008-2009 e tuttora
(1) di Lorenzo, Crowdfunding e start up innovative: tecnica redazionale, in Notariato, 2016, 437 ss.
perdurante. La caratteristica principale è che rappresenta una alternativa al tradizionale canale bancario, agevolato da piattaforme web specializzate nel mettere in contatto i soggetti interessati che nel caso dei prestatori, dovranno essere soggetti che operano al di fuori della attività professionale. Come anticipato, risponde in pieno alla tendenza affascinante di soverchiare una delle meno fidate architetture sociali, per l’appunto la “banca” che oltreché essersi resa responsabile della crisi finanziaria (poi divenuta economica e globale) si è anche macchiata di aver “chiuso i rubinetti del credito” (credit crunch) gettando nella disperazione famiglie e distruggendo P.M.I.. Non bastasse questa tendenza populista contro “strutture accentrate di potere” (governativo o economico-aziendale), il sistema bancario e finanziario deve scontare una profonda disaffezione, un rapporto fiduciario lacerato non solo da quegli eventi straordinari ed epocali, ma da un rapporto insano con la clientela di cui il contenzioso bancario è cruda rappresentazione (rectius: conseguenza). Cosicché questo processo di disintermediazione viene vissuto da molti soggetti che vi partecipano percependone i caratteri in modo più o meno distorto, a seconda del “coinvolgimento emotivo o ideale”. Vediamo, quindi, di tratteggiare le caratteristiche salienti del peer-to-peer lending (2). La prima, fondamentale: gli investitori vanteranno una posizione creditoria direttamente nei confronti del soggetto finanziato (3). Le piattaforme per agevolare l’incontro tra domanda ed offerta di denaro, si occupano di attribuire un rating ai richiedenti in base ai dati presenti nelle centrali rischi come normalmente avviene nei mercati creditizi: dal livello di rating, ovviamente, dipenderà il livello di tasso in coerenza con una logica di rapporto tra rischio e rendimento che non può che contraddistinguere anche questa modalità di erogazione (4).
(2) AA.VV., Peer-to-peer lending: mito o realtà?, a cura di FiLotto, Milano, 2016. (3) MinneCi, Equity crowdfunding: gli strumenti a tutela dell’investitore, in Riv. dir. civ., 2019, 509 ss. (4) ALtoMAre, “FinTech” e Fisco: le agevolazioni per il “peer to peer lending”, in Corr. trib., 2018, 1242 ss.; BiFerALi, “Big data” e valutazione del merito creditizio per l’accesso al “peer to peer lending” (“Big data” and creditworthiness assessment for access to “peer to peer lending”), in Dir. inf. e inform., 2018, 487 ss.; de StASio, Verso un concetto europeo di moneta legale: valute virtuali, monete complementari e regole di adempimento, Relazione a Intervento al Convegno “Bitcoin, cryptocurrencies, crowdfunding, peer-to-peer lending. Finteeh e disintermediazione”, Bergamo, 8 giugno 2018, in Banca, borsa e tit. cred., 2018, I, 747 ss.; MACChiAVeLLo, Peer-to-peer lending ed informazione: la tutela dell’utente online tra innovazione finanziaria, disintermediazione e limiti cognitivi, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2015, 221 ss.; MACChiAVeLLo, Una nuova frontiera del settore finanziario solidale: Microfinanza e “Peer-to-peer lending” (A New Frontier of Socially Responsible Financial Sector: La velocità è fuori di dubbio l’aspetto cui i prenditori di denaro danno maggiore risalto nel giudicare l’efficacia di una piattaforma, ancor più del livello di prezzo (tasso di interesse) che comunque risulterà competitivo rispetto ai canali tradizionali. Per i lenders (prestatori del credito) fondamentale, invece, sarà la capacità di istruire le pratiche con l’attribuzione di un rating tale da stimare correttamente il merito creditizio del soggetto richiedente e di permettere il contenimento delle insolvenze, fattore sul quale, come vedremo, alcune piattaforme hanno agito “direttamente”. Tra le varie forme di social lending si sono delineate più modalità tra cui al peer-to-peer lending propriamente inteso si sono affiancate modalità quali il peer-to-business (prestito a favore solo di aziende o professionisti), il microlending (offerto a soggetti di fatto esclusi dal credito) e l’invoice trading che per le similitudini al factoring è, evidentemente, è indirizzato solo a categorie aziendalistiche di richiedenti di denaro. Nel corso di questo breve scritto si tratteranno tutte le forme di prestito per i privati e per le società che possono avvenire attraverso piattaforme web e che non corrispondano alla diversa casistica data dal crowdfunding propriamente inteso. Le piattaforme che si occupano di questa forma di concessione del credito, hanno lo scopo di raccogliere le informazioni e di verificare il merito creditizio dei richiedenti e di clusterizzarli in fasce di rischio e corrispondente tasso di interesse. Evidentemente l’inserimento di queste domande è preordinato all’incontro (matching) con i prestatori di denaro ma la trattativa dovrà essere condotta direttamente dalle parti per non incorrere nei divieti posti dalla normativa nazionale. Compito della piattaforma sarà anche quello di curare il passaggio dei flussi finanziari nei conti di pagamento e di curare il recupero del credito nei casi di insolvenze. Alcune piattaforme, più evolute, offrono anche un servizio di garanzia per il rischio insoluto e la facoltà degli utenti di smobilizzare gli impieghi di denaro mediante la cessione del credito (5). L’attività istruttoria che la piattaforma deve compiere è momento alquanto delicato, in quanto la corretta attribuzione di un giudizio di merito creditizio e corrispondente rating, sarà fondamentale per addivenire ad un’offerta competitiva in termini di costo del denaro ma anche, se non soprattutto, di giungere ad un contenimento del rischio di insolvenza. Non si dimentichi, infatti, che questa nuova frontiera del credito è sicuramente esplorata dalle fasce meno appetibili per i canali tradizionali e che
Microfinance and Peer-to-peer Lending), in Banca impresa società, 2013, 277 ss.. (5) BoreLLo de CreSCenzo, piChLer, Le piattaforme di Financial return crowdfunding nell’Unione europea, in Bancaria, 2014, 77 ss.
di sovente costituisce l’ultima spiaggia cui approdare in cerca di denaro per le vie legali. Una quota parte rilevante dei potenziali prenditori che si approcciano alle piattaforme, sono ad altissimo rischio e, pertanto, per i lenders sarà fondamentale la capacità di selezione palesata dalla piattaforma. A tal fine alcune piattaforme si sono strutturate internamente degli uffici a ciò preposti, altre, invece, si sono affidate a credit bureau esterni specializzati in questo tipo di valutazioni. La questione è particolarmente delicata in quanto mentre per il settore bancario dall’avvento dei parametri Basilea, le regole di profilazione del rischio dei clienti si sono uniformate a parametri oggettivi, in questo ambito in assenza di un quadro regolamentare di riferimento non vi sono degli standard da rispettare che diano ai lenders delle tutele minime. La valutazione delle capacità, della singola piattaforma, di scremare la clientela, diviene pertanto di fondamentale importanza. Criteri severi di selezione saranno controproducenti in termini di appeal sul mercato dei prenditori: assimilare il giudizio sul merito creditizio a quello del settore bancario, appare evidente che assottiglierebbe talmente le contrattazioni da rendere davvero incerto l’avvenire di tali piattaforme. Vero è che a parità di trattazione del rischio la disintermediazione lascerebbe posto alla possibilità di rendere appetibile l’erogazione per entrambe le parti grazie alla spartizione del maggiore costo del credito bancario che a causa degli elevati costi strutturali, dovrà essere coperto da maggiori margini operativi. Il sistema bancario e finanziario sta facendo ricorso, quanto alla profilazione della clientela ed al matching (prevalentemente con i servizi offerti), ai sistemi di business analytics ed intelligenza artificiale. Nel comparto creditizio tali tecnologie afferiscono anche alla valutazione del merito creditizio, dinamica che non potrà che coinvolgere anche le piattaforme peer-to-peer lending che proprio nella standardizzazione del processo trovano la propria competitività. Tali sistemi non potranno che coinvolgere sia le persone fisiche che le attività economiche prescindendo dalla forma giuridica con cui verranno esercitate, ovviamente con le dovute differenze. Gli algoritmi di credit scoring combinano informazioni provenienti da diverse fonti ed utilizzano tecniche di machine learning (6) e intelligenza artificiale che dovrebbero meglio stimare la probabilità di default del soggetto finanziato. L’esperienza dimostra le grandi potenzialità,
(6) A differenza dei modelli di regressione che mettono in relazione la probabilità di default con una serie di variabili predittive e basate su modelli teorici, le tecniche di machine learning svolgono attività di data mining per identificare relazioni complesse e non lineari tra variabili a prescindere dalle relazioni teoriche attese. Per applicazioni di machine learning nel campo aziendale e finanziario si rimanda a: J. Hull, Machine Learning in Business: An Introduction to Data Science, 2019. in termini di maggiore efficacia di questi modelli innovativi. La capacità di svilupparli al meglio e la forza di sostenerne gli investimenti, potranno svolgere un ruolo determinante nella continua rincorsa a margini di competitività tra aziende bancarie/finanziarie ma influenzerà anche la coesistenza con le piattaforme on-line di cui qui si tratta. L’accesso di informazioni contenute in Big Data applicati allo scoring creditizio di una realtà aziendale, può risultare estremamente efficace per prevedere potenziali criticità a cui rispondere con contromisure adeguate e ad individuare le aziende meritevoli di sostegno. La grande disponibilità di informazioni e la capacità di rielaborazione fanno sì che sia possibile pervenire alle c.d. “matrici di migrazione”, tecnicismo con il quale viene espresso il livello di probabilità che un soggetto clusterizzato/profilato possa cambiare il proprio scoring di rischio nel corso del tempo, “migrando” pertanto da una classe di rating ad un’altra, denunciando, di conseguenza, la crescente probabilità di subire eventi pregiudizievoli dal cliente. Lo scopo, pertanto, è quello di monitorare costantemente il rischio migrazione del cliente, dando un tempestivo segnale al gestore: qui l’intervento umano ci si augura non venga sostituito e non si arrivi ad una gestione automatizzata delle criticità se non anche delle contromisure al default della linea di credito. Se per lo scoring aziendale le informazioni sono molteplici, nell’ipotesi di un potenziale cliente persona fisica non esercente attività professionale o di impresa, insomma, nell’ipotesi di profilazione del rischio del c.d. consumatore, sino a pochi anni fa questo avveniva solo sulla scorta della sua “storia creditizia” oltre che sui dati reddituali e patrimoniali oggettivi. Oggigiorno, per la valutazione del merito creditizio di un consumatore, un numero crescente di Istituti si basa su dati provenienti anche dai Social Network e raccolti su Big Data. Adottata come metodica nei mercati emergenti, dove i dati e le informazioni disponibili non erano all’altezza degli standard consueti, grazie ai risultati ottenuti in termini di affidabilità, sta prendendo piede per tutta la clientela privata. I modelli predittivi basati sui dati dei Social Network si basano sul principio di omofilia, secondo il quale le persone hanno la tendenza a formare e sviluppare contatti e rapporti sociali con consimili. L’affidabilità del modello dipende dall’ampiezza del network dell’utente, dai contenuti generati e dal livello di feedback. Partendo dall’analisi delle relazioni digitali e applicando tecniche finanziarie, l’erogatore (o potenzialmente la piattaforma P2P) arriverà a stimare il grado di affidabilità al prestito. Le informazioni in fase di istruttoria, come sempre avvenuto, sono fornite spontaneamente dai clienti: quel che più conta, in questi casi, e che ciò che rileva veramente sono i contatti presenti su Facebook, Linkedin e Twitter che non verranno “carpiti” ma alla cui acquisizione ver-
rà data autorizzazione dal consumatore stesso: il buon esito della domanda di erogazione dipenderà allora dalla qualità dei contatti, insomma, “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei” (i vecchi adagi sovvengono in aiuto) (7). Altro fattore di interesse per i prenditori, di sovente rimproverato alle banche, è la lentezza delle procedure di erogazione. Le piattaforme stanno puntando molto su questo fattore competitivo per allettare la clientela: circostanza questa davvero molto apprezzata. Sul punto si menziona appena, ma merita approfondimento in altra sede (8), l’applicazione/applicabilità al settore dei c.d. smart contract, con ciò intendendosi che l’operazione di finanziamento, o parte di questa, pur coinvolgendo più parti, possa realizzarsi concretamente e produrre i suoi effetti, indipendentemente dall’intervento umano, sulla scorta di un insieme di regole impartite al sistema e delle informazioni esterne acquisite autonomamente dal software. Dunque, è sulla base dell’accertamento automatico che il relativo software compie circa l’avverarsi, o meno, di determinate condizioni, che fa seguito l’automatica esecuzione delle azioni collegate a detto accertamento. Naturalmente ne consegue che quando il contratto di finanziamento si conclude esclusivamente attraverso l’attività di uno o più software, le “regole del gioco” dell’accertamento automatizzato dei presupposti fattuali di perfezionamento dello stesso, dovrà essere diretta conseguenza di parametri prefissati dalle parti in un contratto quadro o, comunque, in un regolamento contrattuale della piattaforma cui si aderisce (con effetto istantaneo o destinato ad operare per un certo periodo o sequenza di operazioni a seconda del servizio richiesto). Tale regolamento contrattuale darà prova della comune volontà delle parti di pervenire alla conclusione dei contratti ad opera dei sistemi automatizzati, in presenza di presupposti convenuti: tali aspetti valgono tanto per l’erogazione di un normale finanziamento (c.d. mutuo) che di un contratto di factoring con le ripetute operazioni conseguenti. Insomma, la gestione del (maggiore) rischio rispetto ai canoni bancari, qualora accettato, dovrà essere sapientemente bilanciato e l’offerta dovrà trovare in altri fattori il motivo della propria competitività. Si tenga conto che solitamente il credito concesso non è assistito da garanzie del richiedente e che solo poche piattaforme si spingono a condividere (anche solo in parte) il rischio (mediante un fondo di garanzia o compartecipazione in quote sul capitale concesso a credito): il più delle volte,
(7) Lin, prABhALA, ViSwAnAthAn, Judging Borrowers by the Company They Keep: Friendship Networks and Information Asymmetry in Online Peer-to-Peer Lending, in Management Science, 2009, 17 ss. (8) CASSAno, di CioMMo, ruBino de ritiS, Banche, intermediari e fintech, Milano, 2020. per la piattaforma la questione è relegata all’aspetto reputazionale (questione che non paia trascurabile). Il mancato presidio normativo, di tali aspetti, suggerisce grande attenzione nell’accedere ai servizi di matching per i lenders: se è indiscutibile che la trattativa deve essere diretta e che la piattaforma dovrebbe limitare il proprio intervento alla prestazione di servizi di pagamento e, come detto, di matching, altrettanto è innegabile che la policy (non presidiata) di profilazione del rischio non è immune da conflitto di interessi. Risulta innegabile che maggiormente stringenti saranno i parametri di valutazione di merito creditizio e minori potrebbero essere le entrate dovute ai diritti sui singoli contratti conclusi. Il fattore reputazionale pare essere il principale presidio della buona gestione di tali piattaforme, aspetto sul quale anche alla luce delle recenti novità ci si sarebbe attesi un qualche intervento legislativo. Profilato il rischio del cliente e definito il tasso adeguato all’operazione, l’incontro con l’eventuale offerta avverrà mediante l’inserimento in forma anonima nella piattaforma corredandola di informazioni più o meno dettagliate a seconda dello standard adottato da ogni singola piattaforma. Date le preferenze dei prestatori riguardanti i principali caratteri (durata, classe di rischio, rendimento ecc.) le piattaforme il più delle volte hanno implementato una funzione preziosa ai fini della gestione del rischio di insoluti frazionando le operazioni al fine di condivisione del rischio mediante una percentuale massima investibile in unica operazione, funzione meramente “organizzativa” che non ha comportato per il gestore alcun sacrificio economico che possa minare i propri equilibri economico finanziari, oggetto di severo controllo da parte dell’organo di vigilanza. Le possibilità sono molteplici ed andranno esplorate in funzione della singola fattispecie concreta. Non mancheranno nemmeno casi di guaranteed return model nei quali opererà la garanzia di un fondo finanziato dai versamenti commissionali degli aderenti rimanendo anche in questo caso “salvo” il patrimonio della società gerente la piattaforma. Come si è avuto modo di appurare, la piattaforma agisce come un istituto di pagamento e le deroghe alla riserva di legge previste per la raccolta di risparmio delimitano l’ambito di azione in modo piuttosto rigoroso. A tal fine le soluzioni trovate sono le più disparate e, viste le esperienze del passato, solitamente ben rispettose dei limiti posti: alcune società, infatti, gestiscono i flussi tra utenti direttamente mediante i conti di pagamento, altre si appoggiano convenzionalmente a intermediari esterni appositamente autorizzati. Si è infatti appurato che anche la sola disponibilità latente di liquidità nei suddetti conti in attesa del perfezionarsi delle operazioni, nel passato, non è stata vista di buon auspicio da parte di Banca d’Italia.
2. Tipi di finanziamento
Se il contratto di credito maggiormente diffuso è quello riconducibile al mutuo, codicisticamente normato, come già accennato, ha preso piede a favore delle aziende e dei professionisti lo sconto ed anticipo fatture, il c.d. invoice trading che per molti versi si può assimilare come funzioni al factoring. I prenditori, grazie a tale formula, potranno rendere liquidi i propri crediti verso clienti documentati da fattura. I clienti “scontabili” sono preliminarmente individuati e profilati mediante la fornitura di informazioni tra cui la contrattualistica intervenuta tra le parti. Come per il mutuo starà alla piattaforma esprimere una valutazione di merito creditizio sul debitore ceduto e dell’impresa cedente: a seconda della piattaforma poi, mediante asta al rialzo o di offerta competitiva saranno i lenders a fissare il prezzo di cessione del credito. L’anticipo non coprirà di regola l’intero valore e di volta in volta dovrà essere concordato se la cessione avverrà pro-solvendo o se diversamente il rischio sarà a carico del cessionario.
3. Quadro normativo
La materia non ha ancora trovato una regolamentazione organica nel nostro ordinamento (9). L’avvento di questa forma di disintermediazione finanziaria, rectius creditizia, ha incontrato sin da subito uno stop and go da parte dell’ente di vigilanza (10) del corretto funzionamento dei mercati creditizi, Banca d’Italia, non tanto in funzione dell’attività di per sé prestata, bensì sulla scorta di un’operatività che confliggeva con le norme in vigore e che si andranno ad analizzare. La prassi delle due piattaforme che si erano organizzate nel territorio nazionale, infatti, prevedeva che i risparmi “raccolti” venissero accreditati in un conto intestato alla società di gestione della piattaforma che ne acquisiva con questo la titolarità e proprietà e, conseguentemente, sottoponevano il risparmiatore al possibile default dell’ente gestore. Si configurava in un vero e proprio deposito (e non di una “gestione separata”) andando a rientrare nella Raccolta del risparmio così come definita dall’art 11 t.u.b., secondo il quale è rappresentata dalla «acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma
(9) CArAteLLi, FiLotto, GiBiLAro, MAttAroCCi, Il mercato del peer-to-peer lending nel mondo e le prospettive per l’Italia, in Bancaria 2016, 67; MArABini, Analisi dei possibili profili anticoncorrenziali della normativa italiana in tema di crowdfunding, in Contratto e Impresa, 2016, 552 ss.; ArBitAni, MeLAndri, “Crowdfunding donation” in Italia: la cultura del dono in rete, in Cooperative e enti non profit, 2015; CAMpAGnA, Il peer to peer lending: una soluzione alternativa al tradizionale canale bancario? all’indirizzo <https://www.dirittobancario.it/approfondimenti/strumenti-di-finanziamento/il-peer-peer-lending-una-soluzione-alternativa-al-tradizionale-canale-bancario>. (10) Art. 5, co. 2, t.u.b. aggiornamento 2007: «La vigilanza si esercita nei confronti delle banche, dei gruppi bancari e degli intermediari finanziari (ex artt. 106 e 107)» di depositi sia sotto altra forma», attività che con «l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria» (art. 10, co. 1) limitata, per espressa riserva di legge, a favore delle banche (art. 10, co. 2). In fase di richiesta delle autorizzazioni, una delle due piattaforme preliminarmente all’iscrizione all’elenco generale ex art. 106 t.u.b., sottopose il proprio progetto imprenditoriale all’attenzione di Banca d’Italia al fine che questa si esprimesse proprio sulla riserva di legge a favore di banche ed intermediari prevista dall’ordinamento. L’attività fu così descritta: «mettere in relazione, attraverso la gestione di una piattaforma web, persone fisiche interessate a prestare modeste quantità di denaro (prestatori/ lenders) con altre aventi necessità di finanziamento (richiedenti/borrowers), con la conseguenza che il rapporto dovrebbe intercorrere unicamente tra lenders e borrowers». Sulla scorta delle delucidazioni ricevute, Banca d’Italia con nota del 25/07/2007 la considerò essere «una prestazione di servizi di pagamento on line, il cui esercizio restava subordinato all’iscrizione nell’elenco generale di cui all’art. 106 t.u.b. (11)» ponendo tuttavia alcune caratteristiche soggettive ai
(11) Art. 106 - Elenco generale [1] 1. L’esercizio nei confronti del pubblico delle attività di assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi è riservato a intermediari finanziari iscritti in un apposito elenco tenuto dall’UIC [2] [3]. 2. Gli intermediari finanziari indicati nel comma 1 possono svolgere esclusivamente attività finanziarie, fatte salve le riserve di attività previste dalla legge. 3. L’iscrizione nell’elenco è subordinata al ricorrere delle seguenti condizioni [4]: a) forma di società per azioni, di società in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata o di società cooperativa; b) oggetto sociale conforme al disposto del comma 2; c) capitale sociale versato non inferiore a cinque volte il capitale minimo previsto per la costituzione delle società per azioni; d) possesso, da arte dei titolari di partecipazioni e degli esponenti aziendali, dei requisiti previsti dagli articoli 108 e 109. (5) 4. Il Ministro del tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’UIC: a) specifica il contenuto delle attività indicate nel comma 1, nonché in quali circostanze ricorra l’esercizio nei confronti del pubblico. Il credito al consumo si considera comunque esercitato nei confronti del pubblico anche quando sia limitato all’ambito dei soci; b) per gli intermediari finanziari che svolgono determinati tipi di attività, può, in deroga a quanto previsto dal comma 3, vincolare la scelta della forma giuridica, consentire l’assunzione di altre forme giuridiche e stabilire diversi requisiti patrimoniali. 5. L’UIC indica le modalità di iscrizione nell’elenco e dà comunicazione delle iscrizioni alla Banca d’Italia e alla CONSOB. [6] 6. Al fine di verificare il rispetto dei requisiti per l’iscrizione nell’elenco, l’UIC può chiedere agli intermediari finanziari dati, notizie, atti e documenti e, se necessario, può effettuare verifiche presso la sede degli intermediari stessi, anche con la collaborazione di altre autorità. [7] 7. I soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso gli intermediari finanziari comunicano all’UIC, con le modalità dallo stesso stabilite, le cariche analoghe ricoperte presso altre società ed enti di qualsiasi natura. [(1) Per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura effettuata dall’Ufficio italiano dei cambi nei riguardi degli intermediari finanziari iscritti nell’elenco di cui al presente articolo, vedi il comunicato 18 febbraio 2003. (2) Comma modificato dall’art. 20, comma 1, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342. (3) Vedi il D.M. Tesoro 28 luglio 1994. (4) Vedi il D.M. Tesoro 6 luglio 1994. (5) Lettera così modificata dall’art. 2 del d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. (6) Comma sostituito dall’art. 20, comma 2, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342. (7) Comma sostituito dall’art. 20, comma 3, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342.].
soggetti fruitori ed oggettive in merito all’operatività. In particolare, impose che i lenders (prestatori di denaro) fossero persone fisiche e che operassero al dì fuori di qualsiasi attività professionale, che gli importi fossero ad un «livello adeguatamente contenuto» (senza tuttavia fissare un criterio oggettivo di quantificazione) e che «fosse assicurato il requisito della personalizzazione delle trattative» e che l’ente gestore «non avesse in alcun modo potuto acquisire la proprietà dei fondi trasferiti dai lenders, né assumere un obbligo di rimborso nei confronti degli utenti, limitandosi ad organizzare la piattaforma digitale e a curare il trasferimento delle disponibilità dei lenders ai borrowers». Stante il monito a non acquisire la titolarità e proprietà dei fondi versati dagli aderenti, la piattaforma in questione accese due conti infruttiferi presso primario istituto di credito, uno per accogliere i fondi dei lenders ed uno per i borrowers, quindi, se pur intestati alla piattaforma, tenevano distinti i fondi di terzi da quelli della società. A seguito di una ispezione a cavallo tra il 2007 ed il 2008 Banca d’Italia rilevò che «Lo schema operativo adottato comporta che sul conto Prestatori permangano disponibilità di entità non trascurabile per lassi di tempo anche prolungati, derivanti dai bonifici effettuati dai prestatori fin dall’adesione alla piattaforma […] nonché dall’incasso delle rate di prestiti». Vieppiù: «l’ampiezza delle opzioni consentite ai lenders (quali il reinvestimento delle quote di finanziamento rimborsate, la restituzione delle somme non ancora impiegate e di quelle già erogate), rende inoltre il rapporto instaurato … Omissis… assimilabile a quello di un deposito a vista». Il deposito in conti “promiscui” destinati ad accogliere risorse finanziarie esclusivamente dei risparmiatori è dinamica comune anche a banche ed intermediari finanziari (es. le S.I.M. detengono allo scopo conti presso primari istituti di credito), sicché non appare dirimente la questione. A corroborare questa sensazione vengono in ausilio le proposte modificative della piattaforma, non accolte dall’Organo di Vigilanza. Nello specifico, qualificato il contratto stipulato con i prenditori quale “mandato” ed esclusa di conseguenza l’acquisizione della proprietà del denaro, gestito per l’esclusivo fine della esecuzione dello stesso, la piattaforma propose anche la creazione di conti detenuti e gestiti all’uopo da una società fiduciaria, in alternativa l’apertura di un conto di moneta elettronica intestato al lender o, infine, l’utilizzo di carte prepagate: tutte modalità operative che avrebbero risposto all’esigenza della piattaforma di vedere concretizzarsi una fattiva operazione di “messa a disposizione” (atecnicamente intesa, poiché comunque subordinata alla sottoscrizione del contratto di finanziamento) di una somma ad opera dei lenders in attesa di future operazioni (così facendo, il lender compiendo questo primo passo di separazione del patrimonio palesava concretezza di intendimenti e prontezza della disponibilità liquida per eseguire le operazioni di suo gradimento) pur non “confondendo” i patrimoni in transito sulla piattaforma con le disponibilità finanziarie della società gerente. Tali modalità, seppur in linea di massima avrebbero potuto garantire la separazione patrimoniale, non sono state ritenute da Banca d’Italia sufficienti, tant’è che decretò la cancellazione della società dal l’elenco generale dei soggetti operanti nel settore finanziario previsto dall’art. 106 t.u.b.. Sintomatico fu il giudizio espresso sul conto destinato ai lenders: «Lo schema operativo adottato comporta che sul conto prestatori permangano disponibilità di entità non trascurabile …Omissis… Nel periodo gennaio/settembre 2008 la media mensile è oscillata da un minimo di Euro 969 mila ad un massimo di Euro 1.147 mila. Ad ottobre 2008 i conferimenti dei lenders ammontavano a Euro 3,7 mln. a cui si aggiungevano Euro 0,5 mln. derivanti dal pagamento delle rate scadute, mentre i finanziamenti erogati ammontavano ad Euro 3,3 mln., pertanto, rimanevano somme non impiegate per un ammontare di Euro 0,9 mln.». L’enfasi posta sullo spessore delle singole contrattazioni e dello stesso mercato, lascia intendere che tale formula importata dai paesi anglosassoni non fosse di pieno gradimento di Banca d’Italia.
A tale situazione di impasse, pose rimedio indirettamente il recepimento di una direttiva comunitaria che nulla aveva a che vedere con il credito e/o la raccolta di risparmio, la direttiva n. 2007/64/E.C. (12) – P.S.D. Payment Service Directive. Il recepimento, avvenuto mediante il d.lgs. n. 11/2010 (13), aveva come scopo quello di rendere effettiva la S.E.P.A. (14) (Single Euro Payments Area) mediante l’armonizzazione delle pratiche relative ad i servizi di pagamento. Con questa direttiva venne introdotto il conto di pagamento ed una nuova categoria di operatori, anche di estrazione non finanziaria o esclusivamente “finanziari”, specializzati in pagamenti elettronici, rinvenibili al TITOLO V-TER Istituti di Pagamento del t.u.b. (artt. da 114-sexies al 114-octiesdecies). Vediamo, innanzitutto, in cosa consiste il conto di pagamento, ex art. 114-duodecies: 1. Gli istituti di pagamento registrano per ciascun cliente in poste del passivo, nel rispetto delle modalità stabilite dalla Banca d’Italia, le somme di denaro della clientela in conti
(12) <https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32007L0064&from=IT>. (13) <https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2010/02/13/010G0027/ sg>. (14) <http://www.sepaitalia.eu/welcome.asp?Page=2380&chardim=0&a=a&langid=1>.
di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione dei servizi di pagamento. 1-bis. Gli istituti di pagamento che prestano i servizi di pagamento di cui all’articolo 1, comma 2, lettera h-septies.1), numeri da 1 a 6, tutelano tutti i fondi ricevuti dagli utenti di servizi di pagamento, ivi inclusi quelli registrati in conti di pagamento di cui al comma 1 e tramite un altro prestatore di servizi di pagamento per l’esecuzione di operazioni di pagamento, secondo quanto previsto al comma 2. 2. Le somme di denaro sono investite, nel rispetto delle modalità stabilite dalla Banca d’Italia, in attività che costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’istituto di pagamento. Su tale patrimonio distinto non sono ammesse azioni dei creditori dell’istituto di pagamento o nell’interesse degli stessi, né quelle dei creditori dell’eventuale soggetto presso il quale le somme sono depositate. Le azioni dei creditori dei singoli clienti degli istituti di pagamento sono ammesse nel limite di quanto registrato ai sensi del comma 1. Se le somme di denaro ricevute dagli utenti di servizi di pagamento sono depositate presso terzi non operano le compensazioni legale e giudiziale e non può essere pattuita la compensazione convenzionale rispetto ai crediti vantati dal depositario nei confronti dell’istituto di pagamento. 3. Ai fini dell’applicazione della disciplina della liquidazione coatta amministrativa i titolari dei conti di pagamento sono equiparati ai clienti aventi diritto alla restituzione di strumenti finanziari. Orbene, tale articolo è stato introdotto dal d.lgs. n. 11/2010, ma il testo qui riportato è stato pesantemente innovato dal d.lgs. n. 218/2017 (15) in recepimento di altra direttiva U.E., la n. 2015/2366 (16) relativa a servizi di pagamento e carte di credito, quindi a questioni non direttamente afferenti al focus qui trattato, ma che ne hanno determinato il possibile sviluppo dopo le iniziali chiusure del nostro Istituto Centrale. La separazione dei flussi finanziari della clientela da quelli dell’Istituto di pagamento assume grande rilievo ai fini della tutela da eventuali default di quest’ultimo che, come vedremo, potrà essere anche soggetto che non esercita in via esclusiva tale attività, laddove il co. 1 art. 114-terdecies prevede che «devono costituire un patrimonio destinato per la prestazione dei servizi di pagamento e per le relative attività accessorie e strumentali» i soggetti di cui all’art. 114-novies, co. 4, ossia «La Banca d’Italia, autorizza alla prestazione di servizi di pagamento soggetti che esercitano altre attività imprenditoriali quando: a) ricorrano le condizioni indicate al comma 1, ad eccezione del possesso dei requisiti di professionalità degli esponenti aziendali; b) per
(15) <https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/1/13/18G00004/ sg>. (16) <https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32015L2366&from=IT>. la prestazione dei servizi di pagamento e per le relative attività accessorie e strumentali sia costituito un patrimonio destinato con le modalità e agli effetti stabiliti dall’articolo 114-terdecies; c) siano individuati uno o più soggetti responsabili del patrimonio di cui alla lettera b); ad essi si applica l’articolo 26 (17), limitatamente ai requisiti di onorabilità e professionalità». Banca d’Italia può arrivare ad imporre la costituzione di una società ad hoc, che eserciti esclusivamente l’attività di prestazione di servizi di pagamento, ogni qualvolta vi siano timori per la solidità finanziaria dell’istituto. Ed è proprio su quest’ultima previsione che si innesta la possibilità di autorizzare nuovamente le piattaforme peer-to-peer lending nel nostro ordinamento, considerando le piattaforme dei servizi di pagamento resi da soggetti diversi da banche o istituti di moneta elettronica ed ora rientranti nella neo-nata figura dell’istituto di pagamento. Tra le attività esercitabili accessorie alla prestazione di servizi di pagamento, l’art. 114-octies elenca, testualmente, «concedere crediti in stretta relazione ai servizi di pagamento prestati e nei limiti e con le modalità stabilite dalla Banca d’Italia» nonché «prestare servizi operativi o strettamente connessi, come la prestazione di garanzie per l’esecuzione di operazioni di pagamento, servizi di cambio …Omissis». Sempre in merito alle altre attività esercitabili, le Disposizioni di vigilanza per gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica di Banca d’Italia attualmente in vigore (quelle emanate con Provvedimento 23/07/2019 (18)) prevedono (al Capitolo IV: Attività, Sezione I: Attività esercitabili): «2. Altre attività esercitabili Nella prestazione dei servizi di pagamento, gli istituti possono esercitare le seguenti attività accessorie: a) prestazione di servizi operativi e servizi strettamente connessi con i servizi di pagamento prestati, quali, ad esempio: - garanzia dell’esecuzione di operazioni di pagamento; - servizi di cambio; - attività di custodia, registrazione e trattamento di dati; b) gestione di sistemi di pagamento; Gli istituti di moneta elettronica possono prestare servizi operativi e servizi strettamente connessi con l’emissione di moneta elettronica, quali ad esempio: - progettazione e realizzazione di procedure, dispositivi e supporti relativi all’attività di emissione di moneta elettronica;
(17) Articolo 26 Esponenti aziendali: Articolo e rubrica così sostituiti dall’art. 1, comma 13, d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72. L’art. 2, comma 7, del medesimo decreto legislativo ha stabilito che la disciplina attuativa emanata ai sensi del nuovo testo dell’articolo 26 si applichi alle nomine successive alla data della sua entrata in vigore. Fino a tale momento, continuano ad applicarsi l’articolo 26 nella formulazione anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, e la relativa disciplina attuativa. (18) <https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/disposizioni/disp-ip-20120620/Provvedimento_del_23_luglio_2019.pdf>.
- prestazione, per conto di terzi emittenti di moneta elettronica, di servizi connessi con l’emissione di moneta elettronica. Gli istituti possono esercitare attività imprenditoriali diverse dalla prestazione di servizi di pagamento e dall’emissione di moneta elettronica, secondo quanto previsto nel Capitolo X. 3. Concessione di finanziamenti Gli istituti possono concedere finanziamenti relativi ai servizi di pagamento indicati ai punti 4 e 5 dell’articolo 1, comma 2, lett. hsepties.1), del t.u.b., nel rispetto di tutte le seguenti condizioni: a) il finanziamento è accessorio e concesso esclusivamente in relazione all’esecuzione di un’operazione di pagamento; per assicurare il rispetto di questa condizione, gli istituti adottano sistemi e procedure per monitorare i finanziamenti secondo quanto previsto dal Capitolo VI, Allegato A, paragrafo 2; b) il finanziamento è di breve durata, non superiore a dodici mesi. Può essere di durata superiore a 12 mesi il finanziamento concesso in relazione ai pagamenti effettuati con carta di credito; c) il finanziamento non è concesso utilizzando fondi ricevuti o detenuti ai fini dell’esecuzione di un’operazione di pagamento; d) a fronte del rischio di credito derivante da tali finanziamenti, gli istituti sono tenuti a mantenere la dotazione patrimoniale minima stabilita nel Capitolo V». Su queste attività accessorie, come vedremo, si gioca la personalizzazione del servizio che può rendere più o meno appetibile l’offerta di una piattaforma peer-to-peer lending ma che le fanno assumere un grado di rischio via via crescente e contro a quello che Banca d’Italia ha palesato di preferire per queste attività. Ricordiamo, infatti, che la figura dell’istituto di pagamento ha aperto una breccia all’inquadramento e legittimazione di queste piattaforme, a fronte della chiusura che l’organo di vigilanza aveva poco tempo prima decretato. Trattasi di un inquadramento normativo un po’ “stiracchiato” nell’applicazione analogica, certo non pensato per queste attività.
3.1.1. La vigilanza sugli Istituti di pagamento
La vigilanza in via autorizzativa è disposta dal già citato Provvedimento di Banca d’Italia del 23 luglio 2019 rubricato “Disposizioni di vigilanza per gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica” in ossequio alle “deleghe” conferite dal Titolo V-ter del t.u.b.. Oltre a vincoli patrimoniali (entità minima di capitale sociale diversamente graduata: Sez. II), l’autorizzazione sarà subordinata al rispetto di vincoli organizzativo-gestionali sintetizzati nel programma di attività (Sez. III) che deve esplicitare le linee di sviluppo dell’operatività aziendale, una relazione previsionale (business plan) per comprovarne l’adeguatezza patrimoniale, una relazione sulla struttura organizzativa nonché la descrizione dei servizi di pagamento e le tutele predisposte a protezione dei fondi ricevuti dai clienti (19). In merito alla vigilanza prudenziale, il potere viene conferito a Banca d’Italia ai sensi dell’art 114-quaterdecies del t.u.b.: 1. Gli istituti di pagamento inviano alla Banca d’Italia, con le modalità e nei termini da essa stabiliti, le segnalazioni periodiche nonché ogni altro dato e documento richiesto. Essi trasmettono anche i bilanci con le modalità e nei termini stabiliti dalla Banca d’Italia. 1-bis. La Banca d’Italia può chiedere informazioni al personale degli istituti di pagamento, anche per il tramite di questi ultimi. 1-ter. Gli obblighi previsti dal comma 1 si applicano anche ai soggetti ai quali gli istituti di pagamento abbiano esternalizzato funzioni aziendali essenziali o importanti e al loro personale. 2. La Banca d’Italia emana disposizioni di carattere generale aventi a oggetto: il governo societario, l’adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni, l’organizzazione amministrativa e contabile nonché i controlli interni e i sistemi di remunerazione e incentivazione. 3. La Banca d’Italia può: a) convocare gli amministratori, i sindaci e i dirigenti degli istituti di pagamento per esaminare la situazione degli stessi; b) ordinare la convocazione degli organi collegiali degli istituti di pagamento, fissandone l’ordine del giorno, e proporre l’assunzione di determinate decisioni; c) procedere direttamente alla convocazione degli organi collegiali degli istituti di pagamento quando gli organi competenti non abbiano ottemperato a quanto previsto dalla lettera b); d) adottare per le materie indicate nel comma 2, ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di singoli istituti di pagamento, riguardanti anche: la restrizione delle attività o della struttura territoriale; il divieto di effettuare determinate operazioni, anche di natura societaria, e di distribuire utili o altri elementi del patrimonio, nonché, con riferimento a strumenti finanziari computabili nel patrimonio a fini di vigilanza, il divieto di pagare interessi; d-bis) disporre, qualora la loro permanenza in carica sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione dell’istituto di pagamento, la rimozione dalla carica di uno o più esponenti aziendali; la rimozione non è disposta ove ricorrano gli estremi per pronunciare la decadenza ai sensi dell’articolo 26, salvo che sussista urgenza di provvedere. 3-bis. La Banca d’Italia può altresì convocare gli amministratori, i sindaci e i dirigenti dei soggetti ai quali siano state esternalizzate funzioni aziendali essenziali o importanti. 4. La Banca d’Italia può effettuare ispezioni presso gli istituti di pagamento, i loro agenti o i soggetti a cui sono esternalizzate funzioni aziendali essenziali o importanti e richiedere a
(19) CAriGnAni, GeMMo, Prestiti peer to peer: Modelli di business e strategie, Working paper, in Credito Popolare, 2007, 409 ss.
essi l’esibizione di documenti e gli atti che ritenga necessari. La Banca d’Italia notifica all’autorità competente dello Stato ospitante l’intenzione di effettuare ispezioni su succursali, agenti o soggetti a cui sono esternalizzate funzioni aziendali essenziali o importanti di istituti di pagamento italiani operanti nel territorio di quest’ultimo ovvero richiede alle autorità competenti del medesimo Stato di effettuare tali accertamenti. 5. Le autorità competenti dello Stato di origine, dopo aver informato la Banca d’Italia, possono ispezionare, anche tramite persone da esse incaricate, succursali, agenti o soggetti a cui sono esternalizzate funzioni aziendali essenziali o importanti di istituti di pagamento comunitari che operano nel territorio della Repubblica. Se le autorità competenti dello Stato di origine lo richiedono, la Banca d’Italia può procedere direttamente agli accertamenti. 6. Nei confronti degli istituti di pagamento che svolgano anche attività imprenditoriali diverse dalla prestazione dei servizi di pagamento, autorizzati ai sensi dell’articolo 114-novies, comma 4, la Banca d’Italia esercita i poteri di vigilanza indicati nel presente articolo sull’attività di prestazione dei servizi di pagamento e sulle attività connesse e strumentali, avendo a riferimento anche il responsabile della gestione dell’attività e il patrimonio destinato. Disposizione a cui fa eco il Capitolo V “Disciplina prudenziale” del Provvedimento del 2019.
Risolta la questione riguardante la gestione dei flussi finanziari che a suo tempo aveva costituito un grave limite all’operatività delle prime piattaforme (cancellate da Banca d’Italia) grazie all’avvento dei conti di pagamento rimangono da risolvere le questioni afferenti agli artt. 10 ed 11 t.u.b., questioni comunque affrontate anche nel decreto di cancellazione inizialmente analizzato. La direttiva n. 2007/64/E.C. (“P.S.D.” – Payment Service Directive) infatti non era indirizzata all’operatività delle piattaforme peer-to-peer lending ma ha solo offerto (inconsapevolmente) una soluzione al problema operativo della gestione dei flussi finanziari e della imprescindibile tutela da assicurare alla clientela. Ciò tuttavia, sebbene le attività accessorie già citate (art. 114-octies) sovvengano in qualche modo in aiuto, v’è da dire che la direttiva in questione non ha minimamente risolto l’impatto con la riserva di legge ex art. 10 t.u.b. per l’attività della raccolta del risparmio presso il pubblico (art. 11). Particolare importanza assume un provvedimento di Banca d’Italia del 2016: “Provvedimento recante disposizioni per la raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche” (20).
(20) G.U., Serie Generale n. 271 del 19/11/2016. L’attività bancaria è definita dall’art. 10: «1. La raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria. Essa ha carattere d’impresa. 2. L’esercizio dell’attività bancaria è riservato alle banche. 3. Le banche esercitano, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali. Sono salve le riserve di attività previste dalla legge». Della raccolta del risparmio si occupa l’art. 11 così come profondamente revisionato ad opera del d.lgs. n. 37/2004: la definisce quale «acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma». Da un lato, esclude talune fattispecie dalla nozione di raccolta del risparmio tra il pubblico; dall’altro, elenca le deroghe al citato divieto nei confronti dei soggetti non bancari. Al C.I.C.R. è attribuito il compito di individuare gli strumenti finanziari, comunque denominati, la cui emissione costituisce raccolta del risparmio. Il Comitato, a fini di tutela della riserva dell’attività bancaria, stabilisce limiti e criteri, anche in deroga al codice civile, per la raccolta effettuata dai soggetti che esercitano nei confronti del pubblico attività di concessione di finanziamenti (comma 4-quater). La violazione delle prescrizioni dell’art. 11 del t.u.b. e delle relative disposizioni di attuazione è sanzionata penalmente dalle norme sull’abusivismo bancario (articoli 130 (21) e 131 (22) del t.u.b.). Alla Sezione II dopo aver definito la raccolta del risparmio come l’attività di acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma, precisa che l’obbligo di rimborso sussiste anche: «- quando i tempi e l’entità del rimborso sono condizionati da clausole di postergazione o dipendono da parametri oggettivi, compresi quelli rapportati all’andamento economico dell’impresa o dell’affare in relazione ai quali i fondi sono stati acquisiti; - nei casi in cui esso, ancorché escluso o non esplicitamente previsto, sia desumibile dalle caratteristiche dei flussi finanziari connessi con l’operazione. In particolare, vengono in rilievo l’entità, la periodicità e l’esigibilità dei flussi
(21) Articolo 130 Abusiva attività di raccolta del risparmio - 1. Chiunque svolge l’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico in violazione dell’articolo 11 è punito con l’arresto da sei mesi a tre anni e con l’ammenda da euro 12.911 a euro 51.645 (Cfr. l’art. 39, comma 1, L. 28 dicembre 2005, n. 262, citato in nota al presente Titolo, che dispone il raddoppio delle sanzioni penali previste dal testo unico entro i limiti posti per ciascun tipo di pena dal libro I, titolo II, capo II, del codice penale). (22) Articolo 131 Abusiva attività bancaria - 1. Chiunque svolge l’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico in violazione dell’articolo 11 ed esercita il credito è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da euro 2.065 a euro 10.329 (Cfr. l’art. 39, comma 1, L. 28 dicembre 2005, n. 262, citato in nota al presente. Titolo, che dispone il raddoppio delle sanzioni penali previste dal testo unico entro i limiti posti per ciascun tipo di pena dal libro I, titolo II, capo II, del codice penale).
stessi che possono, di fatto, dare luogo a forme di rimborso». La distinzione tra le fattispecie di acquisizione di fondi con obbligo di rimborso e quelle in cui detto obbligo è escluso deve individuarsi, prescindendo dalla configurazione giuridica assunta, avendo riguardo alla complessiva struttura finanziaria dell’operazione concretamente posta in essere. In particolare, la Sezione IX si è occupata di Social Lending: «…Omissis… è uno strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori, tramite piattaforme on-line, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto. L’operatività dei gestori dei portali on-line che svolgono attività di social lending (di seguito, “gestori”) e di coloro che prestano o raccolgono fondi tramite i suddetti portali (di seguito, rispettivamente, “finanziatori” e “prenditori”) è consentita nel rispetto delle norme che regolano le attività riservate dalla legge a particolari categorie di soggetti (ad esempio, attività bancaria, raccolta del risparmio presso il pubblico, concessione di credito nei confronti del pubblico, mediazione creditizia, prestazione dei servizi di pagamento)». Si rammenta che la raccolta del risparmio tra il pubblico è attività vietata, sia ai gestori sia ai prenditori salve le eccezioni di seguito richiamate, infatti valgono per detti soggetti le deroghe al divieto di raccolta di risparmio tra il pubblico previste dall’art. 11 del t.u.b., nel rispetto delle modalità e dei limiti previsti dalle disposizioni. In particolare, per quanto riguarda i gestori, non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico: I) la ricezione di fondi da inserire in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione dei servizi di pagamento dai gestori medesimi, se autorizzati a operare come istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica o intermediari finanziari di cui all’art. 106 del t.u.b. autorizzati a prestare servizi di pagamento ai sensi dell’art. 114-novies, comma 4, del t.u.b.; II) la ricezione di fondi connessa all’emissione di moneta elettronica effettuata dai gestori a tal fine autorizzati. Per quanto riguarda, invece, i prenditori, non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico: I) l’acquisizione di fondi effettuata sulla base di trattative personalizzate con i singoli finanziatori; al riguardo, avute presenti le modalità operative tipiche delle piattaforme di social lending, le trattative possono essere considerate personalizzate allorché i prenditori e i finanziatori sono in grado di incidere con la propria volontà sulla determinazione delle clausole del contratto tra loro stipulato e il gestore del portale si limita a svolgere un’attività di supporto allo svolgimento delle trattative precedenti alla formazione del contratto (tale condizione si considera rispettata, ad esempio, allorché il gestore predisponga un regolamento contrattuale standard che costituisce solo una base di partenza delle trattative, che devono essere in ogni caso svolte autonomamente dai contraenti, eventualmente avvalendosi di strumenti informatici forniti dal gestore); per non incorrere nell’esercizio abusivo della raccolta del risparmio, i prenditori si avvalgono esclusivamente di piattaforme che assicurano il carattere personalizzato delle trattative e sono in grado di dimostrare il rispetto di tale condizione anche attraverso un’adeguata informativa pubblica; II) l’acquisizione di fondi presso soggetti sottoposti a vigilanza prudenziale, operanti nei settori bancario, finanziario, mobiliare, assicurativo e previdenziale. «La definizione di un limite massimo, di contenuto importo, all’acquisizione di fondi tramite portale on line di social lending da parte dei prenditori è coerente con la ratio sottesa alle presenti Disposizioni, volta a impedire ai soggetti non bancari di raccogliere fondi per ammontare rilevante presso un numero indeterminato di risparmiatori. Sono comunque precluse ai gestori e ai prenditori la raccolta di fondi a vista e ogni altra forma di raccolta collegata all’emissione o alla gestione di mezzi di pagamento a spendibilità generalizzata. Restano ferme le possibilità di raccolta senza limiti da parte di banche che esercitano attività di social lending attraverso portali on-line».
3.3. La normativa europea
Solo alcuni dei Paesi della U.E. si sono dotati di una regolamentazione del fenomeno, taluni con l’introduzione di specifiche norme, altre come nel caso del nostro Paese, mediante l’esenzione da divieti. In particolare, il social lending è stato ben poco trattato. L’eterogeneità degli ordinamenti dei singoli Paesi membri sta, di fatto, rendendo difficoltosa la diffusione a livello comunitario: a tal fine, di recente, solo per il crowdfunding è stato fatto un importante passo avanti (23).
4. Conclusione
Nel trattare il quadro normativo si è dato conto del fatto che manchi una regolamentazione specifica del P2P e che questa modalità di accesso al credito non ha trovato attenzione nemmeno nella recente presa di posizione europea sul crowdfunding. Di fatto gli operatori che vi operano lo fanno sul limite di una figura creata ad altri fini, l’Istituto di pagamento, e “giostrandosi” nella riserva di legge conferita alla
(23) einAV, jeCkinS, LeVin, The Impact of Credit Scoring on Consumer Lending, in Rand Journal of Economics, 2013, 249 ss.. hoLLAS, Is Crowdfunding now a Threat to Traditional Finance?, in Corporate Finance Review, 2013, 27; kirBy, worner, Crowd-funding: An Infant Industry Growing Fast, Iosco Staff Working Paper No. 3, all’indirizzo <http:// www.iosco.org>; MorSe, Peer-to-Peer Crowdfunding: Information and the Potential for Disruption in Consumer Lending, Nber Working Paper No. 20899, all’indirizzo <http://www.nber.com>; de BuySere, GAjdA, kLeVerLAAn, MAroM, A Framework for European Crowdfunding, European Crowdfunding Network, all’indirizzo <http://eurocrowd.org>; Cumming, Leboeuf, Schwienbacher, Crowdfunding Models: Keepit-All vs All-or-Nothing, all’indirizzo <http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.2447567>.
raccolta di risparmio la cui violazione comporta pesanti conseguenze penali. La formula più asettica, di mero matching tra le parti interessate a formule di erogazioni alternative e disintermediate, appare in tutti i suoi limiti destinata ad un appeal contenuto. I servizi accessori quali le forme di garanzia contro gli insoluti e la cessione dei crediti, solo per citarne alcuni, pongono di volta in volta delle criticità. La similitudine con l’intermediazione creditizia non è certo lungi dal potersi paventare, con tutte le conseguenze del caso. Infatti, la funzione di facilitazione della conclusione di contratti di finanziamento tra soggetti pare proprio in linea con quella svolta dal mediatore creditizio normata dall’art. 128-sexies (24) del t.u.b. ma che prevede che la parte prestatrice debba essere una banca o un intermediario finanziario non bancario, lasciando di fatto questa nicchia di mercato scoperta.
(24) Articolo 128-sexies Mediatori creditizi - 1. È mediatore creditizio il soggetto che mette in relazione, anche attraverso attività di consulenza, banche o intermediari finanziari previsti dal Titolo V con la potenziale clientela per la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. 2. L’esercizio professionale nei confronti del pubblico dell’attività di mediatore creditizio è riservato ai soggetti iscritti in un apposito elenco tenuto dall’Organismo previsto dall’articolo 128-undecies.