FINE VITA E CURE PALLIATIVE di DIVINA LAPPANO

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Cure Palliative e Fine Vita Assistenza Domiciliare e Terminalità nella testimonianza di Cristian Riva di Divina Lappano

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ontinua il viaggio nel mondo della malattia esplorando il vissuto di chi opera in ambito clinico, cercando di alleviare le sofferenze e migliorare la qualità di vita di chi sta per ultimare il cammino terreno. Cristian Riva, infermiere, si occupa di cure palliative domiciliari e di fine vita a Bergamo e provincia. Nel 2014 ha pubblicato Coraggio e Paura1, una raccolta di storie di vita e di morte, “dieci piccole grandi storie di fine vita” che lasciano il segno e sono emblema e baluardo di cento e mille altre storie a cui nessuno ha dato voce. Il pensiero volge all’Homo Patients di Viktor E. Frankl2, alle riflessioni di Salvatore Natoli3, al disvelamento del significato della vita, distillato prezioso di una nuova coscienza di sè, cui va riconosciuto il grande valore etico custodito, per orientare il vivere civile in direzione di una nuova etica della sofferenza. Questa è l’elaborazione espressa nel mio progetto antropoietico Canone Inverso4: la rottura e l’inversione degli attuali stigmi legati alla sofferenza per rieducare all’“Arte della Vita” e reNel riquadro di inizio sezione Sodales è opera dell’artista Assunta Mollo 1 2 3 4 5

stituire il valore legato al “Senso della Vita”. È un “privilegio” interagire con coloro che sono stati “toccati” dalla prova cruda e sofferta di questa esperienza, che eleva la persona a “Maestro di Vita”, cui va riconosciuto il diritto di espressione, non di commiserazione nè di tolleranza, non un non-luogo o il luogo dell’esilio ma un luogo fisico e sociale attento, che, con gratitudine, accoglie l’insegnamento derivato dalla saggezza acquisita sul campo del patire, orientando il cammino verso una nuova etica della salute: la riscoperta e il recupero dell’Umano, concedendo parola e spazio a coloro che dalla sofferenza hanno imparato a conoscersi e a riconoscere lungo il viaggio della vita. Homo Sapiens e Homo Patients, così ricongiunti, riconoscono il valore del patire, attribuendo nuovo assetto alla dimensione dell’essere, per rendere l’uomo non solo capace di soffrire ma per riconoscergli la fonte inesauribile di Senso e portare alla luce l’eccellenza della sua natura, generando la ricchezza di valori, significati e scopi5 che sola è capace di inondare di significato l’esistenza, fino a dare significato alla morte, poiché è proprio

C. Riva, Coraggio e Paura. Dieci piccole grandi storie di fine vita, Edizioni Cinquemarzo, Viareggio 2014. V. E. Frankl, Homo patiens. Soffrire con dignità, Queridiana, Brescia, 1988. Dello stesso autore: Homo patiens. Interpretazione umanistica della sofferenza, O.A.R.I. Varese, 1972. Il dolore è patimento e rivelazione. Si veda S. Natoli, L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale. Feltrinelli, Milano, 2010. D. Lappano, Canone Inverso. Viaggio metaclinico nella sofferenza alla ricerca di valori, significati e scopi, in Confluenze, Rivista Culturale Quadrimestrale, Anno II, Numero II, Comet Editor Press, Marzi (CS), 2014. V. E. Frankl, La sfida del significato. Analisi esistenziale e ricerca di senso, Erickson, Trento, 2005. Dello stesso autore: Senso e valori per l’esistenza, Città Nuova, Roma, 1994.

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E[Z_Y_dW FWhhWj_lW la qualità della morte a definire la qualità della vita. D. Caro Cristian, vorrei che per prima cosa ti giungesse il mio sincero segno di ammirazione e solidarietà per l’attività che svolgi con così tanta passione e professionalità. Mi capita di soffermarmi a riflettere sul carico emotivo che comporta occuparsi quotidianamente di fine vita, accompagnare persone sofferenti in un cammino così difficile, mantenendo in lucido equilibrio competenza delle prestazioni e implicazioni interiori, per donare sollievo a chi spesso non ha altro riferimento concreto che la tua presenza. Come mai ha deciso di occuparti di assistenza domiciliare e cure palliative? Da quando tempo te ne occupi? R. Innanzitutto ti ringrazio per le belle parole spese nei miei confronti che ho già esteso a tutto il mio gruppo di lavoro. È vero che a domicilio, con la famiglia e il paziente stesso, ci sono io (come tanti colleghi e colleghe) ma dietro al mio “esserci” c’è un grande lavoro di equipe che è un requisito di fondamentale importanza per svolgere al meglio questa professione, oltre alla volontà delle Istituzioni di avere il meglio in ambito territoriale. La scelta è stata dettata dall’istinto. Dal 1994 al 2003 ho lavorato in una struttura ospedaliera fino a quando l’allora servizio di Assistenza Domiciliare Integrata (non paragonabile a quello attuale che è progredito moltissimo) è stato affidato non più al personale dell’ASL (ora ATS) ma a strutture esterne che, attraverso un sempre più rigido percorso di accreditamento, hanno deciso di sviluppare ciò che ritroviamo oggi. Allora era un salto nel vuoto, io e pochi altri colleghi siamo stati i pionieri di tale attività. Onestamente ero stanco del lavoro in ospedale, spesso di routine e poco gratificante e già allora intuivo un grande potenziale di autonomia professionale, personale oltre Pagina

che partecipare alla costruzione di un servizio estremamente necessario per il territorio. D. Siete stati nominati gli “Angeli della Morte”, che ricaduta ha su di te questa definizione? R. Molto negativa. Poiché passa un messaggio sbagliato. È vero che con la morte ho a che fare tutti i giorni ed ho stabilito un rapporto tutto mio con lei, ma sono proprio definizioni come queste associate alla nulla o scarsa informazione di cosa siano veramente le Cure Palliative Domiciliari che, troppo spesso, si pensa a noi solo come quelli che anticipiamo la morte con i farmaci (il classico esempio: “la morfina uccide”). Che tristezza quando leggo o sento queste assurdità soprattutto, ancora oggi, se le stesse scaturiscono con convinzione da personale sanitario che non si occupa di terminalità e di fine vita. Quanta strada ancora da fare, quanti tabù ancora da sconfiggere. D. Viktor E. Frankl sosteneva che la “Sofferenza apre le porte alle questioni di Senso”. Sono fermamente convinta che abbia individuato una grande verità. Qual è la tua opinione in merito? R. Concordo pienamente. Prima ti dicevo che ho stabilito un rapporto tutto mio con la morte. Grazie a ciò che vivo ogni giorno da anni posso dire altrettanto della vita. E non basta raccontare ciò che fai in un libro o in un’intervista. Bisogna attraversare certi percorsi per avere una visuale diversa del quotidiano. Sottolineo “diversa”, non migliore, poiché non ho nessuna verità in tasca più degli altri, anzi... D. Potresti dare testimonianza della tua attività lavorativa ai lettori della rivista descrivendo le finalità e gli obiettivi che cerchi di perseguire quotidianamente? R. Cercherò di essere sintetico. Innanzitutto la relazione con le persone che incontro. A casa non c’è solo un paziente, ma c’è

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E[Z_Y_dW FWhhWj_lW una persona e il suo contesto familiare che deve diventare parte integrante del percorso di cura. Entrare in casa di un ammalato vuol dire far parte del suo mondo e bisogna essere in grado di conquistare la sua fiducia e quella di chi gli sta attorno. È la base per poter, insieme, affrontare un tratto di vita difficile. Esserci nel momento giusto e far capire, non solo a parole, che non saranno mai soli. Punto molto su questo aspetto poiché è impensabile un intervento a senso unico. Tutto viene condiviso, accolto e ascoltato con il fine ultimo, ma essenziale, di donare la maggior qualità di vita possibile anche se la stessa è giunta alla fine. D. Qual è il dono più grande che i tuoi pazienti hanno lasciato e lasciano ogni giorno nel tuo bagaglio di uomo e di professionista? R. Ognuno di loro dona sempre qualcosa. Spesso le loro storie di vita o di approccio alla malattia diventano dei veri e propri insegnamenti. Il dono più grande è avere l’onore di poter esserci ed è così che un sorriso o un abbraccio diventano per me linfa vitale. Un bagaglio che spesso non ha confine tra l’uomo e il professionista. D. Nietzsche nella Gaia Scienza scriveva che “Muovere incontro al proprio supremo dolore e alla propria suprema speranza rende eroici”. Come si sente il Cristian che muove incontro al supremo dolore e alla suprema speranza di coloro che stanno per morire? R. Mi sento una formichina di fronte a persone che con coraggio, umiltà e amore accolgono la fine della loro esistenza con una saggezza che è straordinaria. A prescindere dalla cultura, dal ceto sociale, dalla vita vissuta ho incontrato persone di straordinaria bellezza interiore. E, ripeto, mi sono sentito spesso così piccolo di fronte a loro ma Pagina

anche così grato per l’insegnamento ricevuto. D. In Coraggio e Paura hai raccolto dieci storie di fine vita. Quale sentimento ti ha spinto a lasciare questa messaggio, questa traccia di te e di alcuni dei tuoi compagni di viaggio? R. Ho pensato che fosse giusto dar voce ai veri eroi. Persone che, in modo diverso e non solamente con tristezza hanno affrontato il loro ultimo viaggio. Ho sentito il dovere di raccontare le loro storie proprio per non perdere così tanta saggezza e bellezza interiore, sia della persona ammalata sia di chi gli é stato accanto. Recentemente abbiamo avuto una grandissima perdita, il Professor Umberto Veronesi. E proprio lui colse a pieno il senso del mio libro: “hai osservato, hai ascoltato e ne hai scritto, senza eccedere in sentimentalismo. Hai raccontato la vita. Un bellissimo ricordo che porterò sempre con me”. D. Relativamente alla posizione etica verso le modalità con cui viene erogata l’assistenza domiciliare nel fine vita c’è un grande rammarico da parte mia per la freddezza, forse superficialità mossa da interessi economici, con cui viene ritardata la presa in carico dei pazienti terminali. Nietzsche osserva che“Non vi è niente di più umano che risparmiare la vergogna a qualcuno” e che “Il sigillo della raggiunta libertà è non provare più vergogna davanti a se stessi”. Credo che la stessa cosa possa dirsi circa il dolore e la sofferenza. Come subisci la profonda assenza di senso etico e l’assoluta mancanza del valore della dignità umana nei confronti di soggetti sofferenti privi di qualsiasi autonomia? R. Cerco di non subirla ma di combatterla. Ed é anche questo uno degli scopi del mio libro: raccontare per far capire, per far

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E[Z_Y_dW FWhhWj_lW conoscere cosa possa offrire un servizio territoriale di vitale importanza come il nostro. Resto fermamente convinto che siano le persone a fare la differenza. Le cose sono cambiate in meglio in questi anni ma ancora oggi assisto a tanta sofferenza gratuita, soprattutto in ambito ospedaliero. Senza fare di tutta un’erba un fascio manca in molti operatori sanitari (medici e non) la “cultura” della sofferenza. Non la vedono proprio. Anzi si arriva persino a dire che è normale in determinate condizioni. Ripeto molti passi avanti sono stati fatti ma esiste ancora uno “zoccolo duro”, soprattutto culturale, legato all’ascolto dell’altro non come organo malato ma come persona. D. Immagino che spesso tu sia una presenza molto attesa, forse l’unica con cui ci si possa confidare e condividere a livello profondo senza turbare l’animo dei familiari. Come vivono l’esperienza di malattia terminale i tuoi pazienti? R. Sarà una risposta breve poiché per risponderti non basterebbe un secondo libro. Credo e ne ho prove nel quotidiano che spesso si muoia come si è vissuto. Non è una frase ad effetto ma alla fine della vita si riscoprono potenzialità nascoste, si affronta il traguardo ognuno in maniera diversa ma guidati dall’esperienza della propria vita. E, ripeto, non è questione di cultura o ceto sociale. È forse la vita stessa che ci prepara, con le sue prove, al nostro traguardo? Ho assistito il contadino, il grande avvocato, persino un Vescovo. E posso dire che di fronte alla sofferenza, fisica e non, vogliamo tutti la stessa cosa: abolirla o renderla accettabile nel quotidiano. D. Quanto è importante la figura del caregiver familiare? Qual è la tua esperienza in merito? R. Come già detto la famiglia entra a far parte del percorso di cura e di accompagnaPagina

mento. È nostro compito individuare i punti deboli e i punti di forza per permettere di svolgere un lavoro comune nel pieno rispetto delle decisioni del paziente che devono essere sempre il nostro faro, la nostra guida. È un ruolo difficile sul quale spesso lavoriamo maggiormente rispetto al paziente. Come dico sempre quando abbiamo in casa una persona ammalata, anche la famiglia lo diventa. È un tutt’uno ed è nostro compito supportare, guidare e far sentire il “care-giver” partecipe a pieno in ogni piccola o grande decisione. D. Cosa resta a Cristian della sua giornata, della sua vita, quando smonta dai turni di lavoro? In che modo “rilegge” eventi e situazioni? Cosa porta nel mondo dei “sani” delle sue esperienze lavorative? R. Domanda difficile. Spesso non c’è un vero e proprio stacco anche perché certe situazioni ti coinvolgono sia di giorno, che di notte. Non c’è un vero e proprio “turno”. Il servizio è strutturato per garantire una reperibilità H24 e le situazioni cambiano velocemente, a qualsiasi ora. Non è stacanovismo ma è “esserci” nel momento giusto. Io porto a casa tantissimo del mio lavoro e la scrittura in questo mi ha aiutato molto. Non è facile parlare della mia professione senza che si instauri nell’altro un senso di angoscia, giustificabile. Ed ecco che arrivano i “ma come fai? che lavoro triste! Ect...”. Niente di più sbagliato. Culturalmente siamo poco preparati a parlare con serenità di morte e ciò che ho scritto poco fa è la classica reazione di una persona alla quale dici di che cosa ti occupi. Chi mi conosce sa benissimo quanta gioia raccolgo ogni giorno, ma il primo impatto è quasi sempre lo stesso. D. Per esperienza diretta posso testimoniare che vivere accanto ad una persona sofferente e condividerne i palpiti e le paure non è solo fonte di angoscia. Gibran ne Il Profeta scri-

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E[Z_Y_dW FWhhWj_lW veva: “Quanto più a fondo scaverà il dolore nel vostro essere, tanta più gioia potrete contenere”. Che ne pensi? R. Verissimo ed è l’anima del mio libro. Figli che riscoprono i genitori in un abbraccio mai dato, in un racconto mai sentito, in tempo a loro dedicato. E tutto ciò rimane. Nemmeno la morte può portarci via ciò che è stata la nostra presenza vicino al nostro caro. E molte volte si ride, si scherza, ci si ritrova complici in un momento che non è solamente colorato di nero. Anzi... D. Cosa pensi dell’eutanasia? R. È una questione così delicata che in poche righe è facile essere fraintesi o non riuscire ad esprimere a pieno il proprio pensiero. Ciò che posso affermare per esperienza è che personalmente, offrendo un vero servizio di Cure Palliative, ho visto persone abbandonare tale scelta che posso comprendere quando si è sottoposti a troppa sofferenza gratuita (ricordo che nella vicina Svizzera esiste il suicidio assistito e non l’eutanasia). Prima di essere favorevoli o contrari bisogna assicurare al nostro Paese il pieno rispetto dell’Articolo 32 della Costituzione: “...Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. L’autodeterminazione del paziente, la libera scelta di dire “no”. Iniziamo da qui, noi già lo facciamo e per questo vi rimando al mio libro e alla storia di Daniele. E non dimentichiamo che in Italia c’è un grande vuoto legislativo: una legge sul Testamento Biologico. D. So che è in uscita il tuo prossimo libro. Vuoi darci un’anticipazione? Si tratterà del seguito di Coraggio e Paura? R. Non sarà il seguito di Coraggio e Paura. Posso solo dire che racconterò la mia storia, come io ho affrontato la fine della vita Pagina

da familiare. Racconterò il mio coraggio e soprattutto la mia paura. E ciò che è rimasto ora di quell’esperienza così dura e dolce allo stesso modo. Ho già detto troppo... D. Ringranziandoti per la testimonianza che ci hai consegnato, per questa tua visione dell’uomo e del mondo, per la tua grande professionalità e umanità, vorrei lasciare a te lo spazio per concludere questa nostra intervista nel modo che ritieni più consono, esprimendo ciò che vorresti dire e non hai mai detto. Grazie di cuore, Cristian. Il tuo lavoro non può che coincidere con una missione: lenire la sofferenza, accogliere il dolore e accompagnare con dolcezza verso la morte, restituendo dignità alla vita… Solo i grandi uomini ne sono capaci. R. Ti ringrazio dello spazio che mi hai dedicato. Chiudo con un vero e proprio appello a chi ha avuto la pazienza di leggermi sino alla fine: pretendete sempre il rispetto e l’ascolto della vostra sofferenza e del vostro dolore. Non è pensabile che nel 2016 si possa morire male o, altro argomento che mi sta molto a cuore, non venga accolto e trattato il dolore cronico. Parlo di migliaia di persone che ogni giorno, per svariate patologie non oncologiche e con prognosi non infausta, vivono e subiscono il sintomo dolore. Non accontentatevi di un semplice “è normale che ci sia dolore”. No! Pretendete con forza di essere seguiti anche per un sintomo che può inficiare tutta la vostra vita, di essere presi per mano da chi di dolore si occupa. È un vostro diritto. È un nostro dovere. Cristian Riva www.coraggioepaura.com ——————— DIVINA LAPPANO

Consulente Filosofico e Professional Counselor Vice Presidente IRSEM Vice Presidente CSI “V. E. FRANKL” e-mail: drdivinalappano@libero.it

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