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Philippe Daverio, di Salvatore D’Ambrosio, pag

PHILIPPE DAVERIO

LA FASCINAZIONE DELL’ARTE

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di Salvatore D’Ambrosio

ESCE postumo il volume di Daverio sulla fascinazione dell’arte. Ed esattamente a un anno dalla sua scomparsa, avvenuta il 2 settembre del 2020.

Il volume è una lunghissima chiacchierata sul mondo dell’arte. Lunga ed affascinante come lo erano le sue presenze televisive.

La persona Daverio e non il personaggio, poiché lui non si sentiva tale anche se di personalità ne aveva da vendere, ci ha tenuto compagnia per diverso tempo con le sue discussioni sull’unica cosa che attira universalmente tutti gli esseri umani: l’arte.

La prima cosa che colpiva e che forse affascinava, era il suo modo di vestire un poco d’antan.

I suoi panciotti non solo colorati, ma anche dalle fantasie più ricercate, attiravano subito l’attenzione.

E poi il farfallino, che solo uno snob come lui riusciva a portare con disinvoltura, anche quando erano confezionati con i tessuti più appariscenti.

E quelle giacche di stoffe ruvide, unite a pantaloni di velluto a coste larghe o di fustagno, che davano un senso di calore, di giornate in campagna, di vita semplice, di borghese alla mano che non si vestiva di boria, per il semplice motivo che era essenzialmente un salvadanaio di cose preziose da elargire.

Cose che non teneva per sé, ma che diffondeva per l’uso degli altri. Diceva che quel “mestiere” non lo faceva per conquistare accrediti politici. La sua era una vocazione. Nel senso che era una voce che da dentro chiedeva di sapere, di conoscere, di appagare esigenza intima di curiosità.

E fu per questa esigenza che percorse l’Italia e il mondo alla ricerca di tracce che lo conducessero verso un affresco dimenticato, un dipinto da rivalutare, un disegno da interpretare.

Per lui, come ebbi già a dire, non contava il nome dell’artista, ma quello che con il suo lavoro e la sua ricerca diceva e apportava di nuovo al mondo dell’arte.

Da brillante divulgatore e professore universitario, vagabondava coscientemente e scientemente tra culture diverse. Le quali non erano mai distanti tra loro.

Spiegando nel libro il mito della sirena Partenope, per esempio, ci fa capire perché esiste un legame tra Napoli e il Medio Oriente. Le sirene, spiega, erano esseri dal corpo femminile e zampe di rapace, che facevano parte dell’immaginario greco antico, e Napoli era legata alla Grecia. Ma a sua volta l’immaginario greco era legato all’Oriente mesopotamico.

Philippe Daverio era capace di rintracciare emozioni e soprattutto di trasmetterle a tutti coloro che gli prestavano attenzione. Si dice infatti per questo: la magia dell’arte.

Aveva la capacità, che non è da tutti, di cogliere con uno sguardo anche da lontano, un oggetto, un’opera dell’ingegno umano che vestiva l’abito di arte autentica. Che quella cosa non era stata giustamente capita, valutata. E quasi gongolava di queste sue scoperte, lasciate a lui da occhi frettolosi.

Chi lo ha conosciuto attraverso le sue imperdibili trasmissioni televisive, ricorderà la sua

aria sorniona, il suo sguardo furbo, divertente e soprattutto soddisfatto allorquando era riuscito a mostraci una sua scoperta, che andava a riempire un vuoto nel panorama dell’arte mondiale.

Philippe Daverio mi piace definirlo il giullare dell’arte, non nel senso dispregiativo ma perché ci divertiva con essa, e l’arte stessa era il suo più grande divertimento.

Era semplice per lui spiegarci che l’arrivo di Picasso a dipingere Les demoiselles d’Avignon, fu dovuto alla visione di una maschera africana. E spiegava tutto il percorso e le personalità dell’arte che avevano maneggiata quella maschera. La curiosità era appagata da una minuziosa ricerca.

Ricordava per questo che l’arte di certe civiltà, anche se assoggettate da altre, inspiegabilmente attraverso strade impensabili riaffiorano.

Non posso non pensare in questo momento ai Talebani. Possono distruggere tutto ciò che vogliono, resterà sempre una traccia che un novello Daverio scoprirà e sarà capace di regalare di nuovo stupori alle future civiltà.

La contaminazione tra le culture, affermava Daverio, porta a cambiamenti, all’acquisizione di nuove estetiche, di nuove forme d’arte scaturite da reinterpretazioni occidentali oppure orientali di espressioni artistiche consolidate. Gli usi, i costumi di altri popoli, ci dice, sono fondamentali per rinnovare il panorama artistico mondiale. Ma soprattutto per capire l’arte.

Leggendo le pagine de Il giro del mondo dell’arte, troviamo questo Daverio. Questo profondo conoscitore di cose, che sapeva mettere in relazione sapientemente tra loro.

Il volume edito dalla Solferino è molto ben curato ed è arricchito da moltissime immagini per lo più a colori.

La riproduzione a colori è per me, quella che restituisce nel modo più esatto il senso di un’opera d’arte. In quanto esso stimola un’idea o un concetto molto vicino alla realtà della forma significante.

Sono tredici i capitoli attraverso i quali si snoda il suo racconto che è anche frutto dei suoi viaggi, quelli lontani e quelli più prossimi alla sua Milano: come dice Roberta Scorranese nella presentazione.

I tredici capitoli sono cronache, storie sulle civiltà che dall’antico Egitto sono approdate fino a noi.Diventano, questi capitoli, resoconti pieni di risposte su determinati oggetti artistici antichi, che si trovino in Italia o in musei di altre parti del mondo. Se parla degli egizi, per esempio, ci deve dire anche il perché della presenza di certi obelischi o marmi nelle nostre piazze, o nella struttura di certi palazzi.

Per cui il suo discorso parte da Cleopatra e arriva a Napoleone e oltre.

Sistema, per questo, alla fine di ogni capitolo una tabella cronologica storico-artistica che parte dal periodo più antico a cui si è potuto risalire per le opere e non solo, e arrivando fino ai giorni nostri.

Questo non è, come si potrebbe pensare, una dispersione ma una motivazione di certe presenze artistiche che provengono da civiltà diverse dalla nostra. Ma andando avanti nella lettura si comprende che in fondo, specie nell’ambito del mediterraneo, la cultura è patrimonio comune a tutte le civiltà che su di esso si affacciano.

Capiamo, in questo modo, anche cosa vuole dire circolarità dell’arte.

Nella sua ricerca estetica non trascura quelle che un tempo, erroneamente, venivano definite arti minori come la cartellonistica, il manifesto, l‘affiche. Ricordandoci che grandi artisti come Depero o Lautrec ci hanno consegnato, in questo settore, capolavori e autentiche rarità.

Il lavoro di Daverio è come un albero, ramifica in più settori; è pieno di implicazioni, correlazioni.

Il volume di oltre trecento pagine è ovviamente godibilissimo e per quanti simpatizzano per Philippe, ci terrà compagnia nella lettura per parecchio tempo. Illudendoci in questa di risentire la sua voce con il suo simpatico rotacismo.

Salvatore D’Ambrosio

Philippe Daverio, IL GIRO DEL MONDO DELL’ARTE, Solferino 2021 pp. 334 €26

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