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Aria, di Francesco D’Episcopo, di Liliana Porro Andriuoli, pag
by Domenico
FRANCESCO D’EPISCOPO ARIA
di Liliana Porro Andriuoli
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SAPPIAMO ormai da tempo (come abbiamo letto anche sulle pagine di questa rivista) quanto Francesco D’Episcopo, professore emerito alla Federico II di Napoli, da qualche anno in pensione, sia noto negli ambienti culturali accademici italiani e stranieri come critico letterario. Solo da poco tempo, invece, abbiamo appreso che egli è anche poeta in proprio. Infatti seppure probabilmente abbia sempre scritto poesie durante tutto l’arco della sua vita, la sua prima silloge poetica pubblicata risale a soli tre anni fa (2018) e s’intitola emblematicamente, Vita (Genesi, Torino). Ad essa hanno fatto seguito altre quattro: Sulla soglia del domani (Il Convivio, Catania) nell’anno successivo (2019) ed altre tre tutte nel 2020: Tempo (Il Terebinto, Avellino), Anima (Il Croco, n. 137, Supplemento al n. 8, di «Pomezia Notizie», RM) e Il cielo negli occhi (Helicon, Arezzo). C’è inoltre ancora da dire che ognuna di queste cinque sillogi è vincitrice di almeno un Premio Letterario!
Dopo tale folgorante inizio è apparsa proprio in questi giorni Aria (AltrEdizioni) la silloge a cui vogliamo qui dedicare qualche osservazione.
Il titolo, anche in questo caso, (come già avvenne per Anima), diviene sinonimo di poesia, della quale sta a significare la leggerezza e l’incanto. Nel Prologo, infatti, D’Episcopo dice che «Aria è … libertà, felicità, se si vuole, poesia, quando si libera da inutili orpelli», ponendo con ciò un’equazione tra la poesia e questo elemento naturale attraverso il quale ci pervengono le magiche apparenze del mondo.
E di magie D’Episcopo ne scopre ad ogni passo, per poi tradurle in immagini vive e convincenti. Così è ad esempio degli «amici innamorati delle stelle» (Nebulose) e della vita che gli viene incontro ogni giorno «come una sirena, / che si sveglia al mattino» (Sirena) e ogni volta lo affascina col suo richiamo. Così è delle «sconfinate praterie», nelle quali egli corre con la fantasia, come un «cavallo impazzito» di luce, nel suo sogno di libertà e di splendore (Cavallo impazzito). E si tratta di un sogno che è poi sempre quello della poesia, che egli continua a sognare e nella quale trova il contrasto vita–morte che da sempre lo lega: «Un giorno, prenderò un treno, un bus, / che mi porteranno ai confini della terra; / di lì mi imbarcherò per solcare l’Oceano / e non tornerò più…» (Finis terrae), così come vi trova l’invito a guardarsi dentro, per scoprire la sua vera identità: «Non cercare altrove / ciò che sei. / L’isola è dentro di te / e ti forza a farti continente» (Ponza).
Come sempre, si trova in queste poesie il ricordo della città prediletta da D’Episcopo, Napoli, la sua Patria più vera, che ognora l’affascina con la sua luce e la dolcezza della sua voce, per la quale egli dice: «Cercherò nel dialetto / l’aderenza alla parola» (Dialetto); così come l’affascina il Sud, con la forza del suo richiamo, fatto di verdi pianure e di paesi «distesi / sul crinale di un monte» (Sud), a fare da guardia ad ogni regione. Ed anche si trova in queste poesie l’affettuoso ricordo di coloro che D’Episcopo più ha amato e che ora non sono più, come il padre, che lo portava «sempre altrove» ed era egli stesso un «viandante di sogni» (Inquietudine).
Né potevano mancare in una raccolta di poesie così varia e corposa come Aria, le poesie d’amore, qual è quella intitolata Un pezzo di cuore, nella quale D’Episcopo evoca una fiamma della sua giovinezza: «Chissà dove sei, / quanti figli avrai, / mi suggerisce quel
pezzo di cuore, / che mi hai lasciato / in un prestito senza resa». Ed anche qui, come altrove in questo poeta, s’affaccia la meditazione improvvisa, che fa soffermare, come avviene in Ricordi: «I ricordi / rallentano il tempo» o in Luntananza: «Stamme luntane / e ce vulimme cchiù bene». Anche qui si trova poi, come spesso avviene nelle sue raccolte di versi, l’invocazione: «Lasciatemi essere / ciò che sono» (Lasciatemi).
Ciò che maggiormente attrae D’Episcopo è però la riflessione sul nostro essere al mondo, che sovente s’incontra nelle sue poesie: «Siamo animali / spersi in una foresta, / in cerca di una capanna / in cui rifugiarci» (Sogno di parole); «Ci piace giocare, / a rimpiattino, / con il tempo, / che ci insegue, / con i suoi giorni / le sue stagioni» (Anni). Acuta è pure la riflessione contenuta in Amitié amoreuse, dove si legge ciò che si augurano due amanti: e cioè di «tornare ad essere estranei, / per amarsi come la prima volta».
Talvolta il dubbio assale il nostro poeta, come allorché dice: «Forse la vita / impone ritmi / che non ci appartengono» (Vita). Forte però resiste in lui il desiderio della colleganza tra gli uomini, se li pensa «chiamati alla stessa mensa, / allo stesso mistero di stare insieme» (Mezzogiorno) e dice di sé: «La mia casa / è quella che ho voluta / senza volerlo / ma che poi, come l’amore, / mi è entrata dentro, / con tutto ciò che mi appartiene» (La mia casa).
Talvolta nasce in lui un rammarico: «Sogno troppo / ogni notte / e, più passa il tempo, / più non ricordo» (Sogno troppo). Altre volte poi è un desiderio di affetto che lo tiene: «Il Papa aveva ragione: / basta una carezza / per illuminare il mondo» (Carezze).
Un particolare rapporto nasce anche tra D’Episcopo e lo strumento di scrittura di cui si serve, la carta, della quale dice: «È una delle cose che più ho amato» (Carta). E sovente severamente si giudica: «È vero, io sono / selvatico in ciò che non so, / civile in ciò che so troppo» (Selvaticamente civile), esprimendo un puntuale giudizio sul proprio comportamento e su quello altrui: «Non amo il chiacchiericcio, / inutile e prolungato, / di chi non ha niente / da dire, da fare…» (Chiacchiericcio). Soggiunge poi: «Ho vissuto / con tutta la libertà e felicità / possibile, non asservendomi a nessuno» (Ho vissuto), traendo vanto dalla sua capacità di affrontare il destino: «Ho attraversato mari / tra tempeste e bonacce» (Per carità). Avverte inoltre la sua appartenenza al Sud, cioè a quella comunità di popoli del Mediterraneo che si proclamano “figli del Sole” ed amano la libertà e la luce: «Il Sud è di tutti / e non appartiene a nessuno. / Il Sud è libero e felice, / nella vita che ci costringe» (Libero e felice).
In queste poesie di D’Episcopo scorre la vita, come sempre accade in lui, sicché esse nascono da ogni “occasione”; non c’è da stupirsi pertanto se possono trarre l’origine dal suo insegnamento universitario, come avviene in L’orologio della Minerva o in Università. E sempre ritorna in loro il volgere delle stagioni e ritorna Napoli, la sua città dell’anima: «Napoli si veste d’inverno / e inonda di sole / la nudità del tempo» (La nudità del tempo).
Una buona parte di queste poesie ha poi per argomento l’amore, con i suoi incantesimi improvvisi e i suoi soprassalti della memoria: «E poi ti ho con me / a dire e ridire / le proteste del tempo, / la rivolta della parola / al peso che l’avvolge» (Vivi); «E ti avrò, / perduta tra le righe scritte / mentre affoghi la testa tra i cuscini / nella pigrizia di levarti, / forte e suprema come prima» (Come prima). Come sempre in D’Episcopo, ha poi una grande importanza il discorso sulla poesia, che nasce dalla vita ed è vita: «La vita è ritmo, / la poesia è ritmo, / fa male essere stonati / nella vita, nella poesia» (Ritmo).
Ritorna tra questi versi anche il tema della vecchiaia, che sempre induce il nostro poeta ad assorte riflessioni (Vecchi e giovani), così come ritorna il ricordo della terra degli avi, il Molise, con la sua genuina anima segreta (Molise) e riappare il motivo del richiamo dell’arte della parola: «Stamattina ho voglia di scrivere» (Stamattina); «Mi sono scoperto / pellegrino di parole» (Pellegrino di parole). Anche la natura s’affaccia poi in questi testi, con schiettezza e verità: «Respiro alberi, fiori,
giardini. / Respiro acque, mari, fiumi» (Respiro) e sempre c’è in essi il forte legame con la vita, cui il poeta si rivolge con sincero abbandono: «Vita, che continui a farmi compagnia, / solo tu sai chi sono» (Sempre vita).
Nel volgere delle stagioni D’Episcopo continua così a inseguire i suoi fantasmi; ed essi gli procurano momenti di autentica felicità, che gli giunge nell’attimo della creazione, sia che parli del mare («Il mare è libertà, ritorno alle origini» – Mare), sia che parli dei figli (si vedano Figlio, A Mario), sia che parli della poesia (si vedano Parole perdute) o di altro. Fluido scorre sempre il suo verso, che da ogni cosa sa trarre materia di canto. Ed è nel canto che egli si realizza e trova il suo compimento.
Liliana Porro Andriuoli
L’UNICO
Se tu fossi qui leggeremmo ad alta voce Heine come un tempo e sto seduto su questa sponda altissima del Chisone scrivo a matita simboli su piatte pietre che getto all’acqua fosca compressa dal gran vento.
Elio Granillo
Da: Chiave cifrante, Genesi Editrice, 2021
CONCERTO A SCHÖNBRUNN
E scioglie certe sere Venere la sua cintura rosa. Sui fianchi del mondo allora cade il cielo più bello della sera. L’indaco che abbraccia il viola cola una seta blu piano trascinando l’esitante brillio delle stelle a fare come ogni notte il turno in un concerto. Lassù però- tremando un po’sanno sempre nel controcanto quando muovere il loro canone inverso.
Salvatore D’Ambrosio
Caserta
2)
La nuit avance e la ville de noir se teint. A l’improviste un rire éclaire le mystère: en mini-jupe la lune séduit le ciel.
Lucio Zaniboni
Lecco
Close your eyes
Questo pallore di luce filtrante... E questo copriletto di piqué...
Luce crepuscolare poesia crepuscolare. Com’è bianco questo copriletto! È quello del mio letto di bambino.
È la luce dell’alba o del tramonto? Sono le sei e mezza, se non sbaglio. Ma le sei di mattina o di sera?
Come la sanno lunga queste donnette vestite di bianco... Credono che sui ricoverati abbia potere di vita o di morte il primario (e ridacchiano tra loro).
Chiudimi gli occhi, mamma! Io non te li ho chiusi e per questo li tieni ancora aperti.
Corrado Calabrò
Da: La scala di Jacob, Primo Premio Città di Pomezia 2017, Edizioni Il Croco/PomeziaNotizie, 2017