POMEZIA-NOTIZIE
Novembre 2021
FRANCESCO D’EPISCOPO ARIA di Liliana Porro Andriuoli
S
APPIAMO ormai da tempo (come abbiamo letto anche sulle pagine di questa rivista) quanto Francesco D’Episcopo, professore emerito alla Federico II di Napoli, da qualche anno in pensione, sia noto negli ambienti culturali accademici italiani e stranieri come critico letterario. Solo da poco tempo, invece, abbiamo appreso che egli è anche poeta in proprio. Infatti seppure probabilmente abbia sempre scritto poesie durante tutto l’arco della sua vita, la sua prima silloge poetica pubblicata risale a soli tre anni fa (2018) e s’intitola emblematicamente, Vita (Genesi, Torino). Ad essa hanno fatto seguito altre quattro: Sulla soglia del domani (Il Convivio, Catania) nell’anno successivo (2019) ed altre tre tutte nel 2020: Tempo (Il Terebinto, Avellino), Anima (Il Croco, n. 137, Supplemento al n. 8, di «Pomezia Notizie», RM) e Il cielo negli occhi (Helicon, Arezzo). C’è inoltre ancora da dire che ognuna di queste cinque sillogi è vincitrice di almeno un Premio Letterario! Dopo tale folgorante inizio è apparsa proprio in questi giorni Aria (AltrEdizioni) la silloge a cui vogliamo qui dedicare qualche osservazione. Il titolo, anche in questo caso, (come già avvenne per Anima), diviene sinonimo di poesia, della quale sta a significare la leggerezza e l’incanto. Nel Prologo, infatti, D’Episcopo dice che «Aria è … libertà, felicità, se si vuole,
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poesia, quando si libera da inutili orpelli», ponendo con ciò un’equazione tra la poesia e questo elemento naturale attraverso il quale ci pervengono le magiche apparenze del mondo. E di magie D’Episcopo ne scopre ad ogni passo, per poi tradurle in immagini vive e convincenti. Così è ad esempio degli «amici innamorati delle stelle» (Nebulose) e della vita che gli viene incontro ogni giorno «come una sirena, / che si sveglia al mattino» (Sirena) e ogni volta lo affascina col suo richiamo. Così è delle «sconfinate praterie», nelle quali egli corre con la fantasia, come un «cavallo impazzito» di luce, nel suo sogno di libertà e di splendore (Cavallo impazzito). E si tratta di un sogno che è poi sempre quello della poesia, che egli continua a sognare e nella quale trova il contrasto vita–morte che da sempre lo lega: «Un giorno, prenderò un treno, un bus, / che mi porteranno ai confini della terra; / di lì mi imbarcherò per solcare l’Oceano / e non tornerò più…» (Finis terrae), così come vi trova l’invito a guardarsi dentro, per scoprire la sua vera identità: «Non cercare altrove / ciò che sei. / L’isola è dentro di te / e ti forza a farti continente» (Ponza). Come sempre, si trova in queste poesie il ricordo della città prediletta da D’Episcopo, Napoli, la sua Patria più vera, che ognora l’affascina con la sua luce e la dolcezza della sua voce, per la quale egli dice: «Cercherò nel dialetto / l’aderenza alla parola» (Dialetto); così come l’affascina il Sud, con la forza del suo richiamo, fatto di verdi pianure e di paesi «distesi / sul crinale di un monte» (Sud), a fare da guardia ad ogni regione. Ed anche si trova in queste poesie l’affettuoso ricordo di coloro che D’Episcopo più ha amato e che ora non sono più, come il padre, che lo portava «sempre altrove» ed era egli stesso un «viandante di sogni» (Inquietudine). Né potevano mancare in una raccolta di poesie così varia e corposa come Aria, le poesie d’amore, qual è quella intitolata Un pezzo di cuore, nella quale D’Episcopo evoca una fiamma della sua giovinezza: «Chissà dove sei, / quanti figli avrai, / mi suggerisce quel