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Luci della memoria, di Emerico Giachery, pag
by Domenico
LUCI DELLA MEMORIA
Emerico Giachery
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QUANDO ripercorro e riassaporo anni lontanissimi mi viene incontro, accanto alla memoria di altri amori (di presenze femminili, naturalmente, di poesia, di musica), l’amor di Roma nella tarda adolescenza. Non era, per lo più, amore per le illustri rovine, che invece avrei studiato con particolare impegno negli anni universitari, quando mi apprestavo a diventare archeologo, cambiando idea poco prima della laurea. Era soprattutto amore per certe sue chiese antiche, mete di passeggiate solitarie. Santa Sabina, la prediletta, con lunghe soste assorte; gioia di salirvi per il clivo di Rocca Savella attraversando il Giardino degli Aranci. I Santi Quattro Coronati, con la placida facciata quasi campestre, il caro raccoglimento del suo chiostro; a volte canti veramente angelici di suore oranti giungevano dal contiguo convento. San Giovanni a Porta Latina. Fermiamoci a quest’ultima. Avrò avuto sedici o diciassette anni. Il primo giorno di scuola c’è lectio brevis e si è liberi in piena mattina. Splendido il giovane ottobre romano. Tutto invita a una passeggiata. Entro da Porta Latina, sosto nella chiesa (dal fondo un suono d’invisibile armonium). Continuo per quella strada pochissimo profanata (a quel tempo) dal traffico. Una rigogliosa vegetazione trabocca dalle mura degli Orti di Galatea. L’azzurro del cielo, perfetto. Una campana suona il mezzogiorno. Cosa mi accade? Mi sento immerso nel Tutto, ho coscienza che il cosmo è armonia, e io ne faccio parte. “La gioia è immensa”, mi canta una voce interiore. Trabocco di gioia. Rincaso quasi a volo. A questa intensa, entusiasmante esperienza è possibile, credo, attribuire un significato evidente nel mio destino. La fraternità con l’universo mi si rivelava via privilegiata di conoscenza. Chiamiamola di amore cosmico, l’esperienza appena descritta. Il sentimento cosmico accende una luce rivelante, un senso di verità partecipata, di immersione nell’Assoluto. Come avviene, del resto, nell’acme dell’esperienza amorosa: essere in due gioiosamente fusi uno con l’altro, ma anche con l’intero Universo partecipe. “Ti saluto, universale potenza di ravvicinamento e di unione, che lega tra loro le innumerevoli monadi e in cui esse convergono tutte sulla strada dello Spirito”: con piena ragione Teilhard de Chardin rivendica la profonda valenza religiosa della coscienza cosmica, di cui la religio, per fortuna non più tolemaica, del nostro tempo non può non tener conto. Pochi anni dopo l’esperienza di Porta Latina, entrato ormai nella piena giovinezza, trascorrevo alcune settimane in un simpatico paese che domina il lago di Bracciano: Manziana. Qualche volta incontravo per via persone amiche, ma preferivo lunghe passeggiate solitarie in sentieri poco frequentati. In una di queste passeggiate, ecco un’esperienza di pienezza, di partecipazione alla totalità del cosmo, che in un mio libro ho ricordato con le parole che qui trascrivo: “Adagiato sull’erba di una radura che una limpida luce di primo autunno accarezza. Sprofondato nella maternità primigenia della Physis. Partecipe intimamente al Gran Tutto. Abbracciato abbracciante, “abbracciante abbracciato”: umfangen umfangend, come in un’impetuosa lirica del giovane Goethe. Intorno, pulsanti, minuscole vite d’insetti, d’erbe, parte di me come io di loro: uno schiudersi a inusitata pienezza, brulicante di senso diffuso. Grazia, certo, troppo colma per durare”. Il senso di leggerezza e di liberazione dai quotidiani lemuri durò, tuttavia, per qualche giorno. Non avrei creduto di poter riprovare momenti simili, di sentirmi così “dentro
la vita”,in questa età ultraottuagenaria. Invece, pochi anni fa… trascorriamo, con mia moglie, qualche settimana estiva a Camaldoli. Ecco: il Casentino saluta dopo decenni il libero viandante che tanto l’amò percorrendolo a piedi in ogni angolo, e che fece tappa proprio nell’ ospitale albergo che ora ci accoglie: domicilio di premurosa, umanissima gentilezza, che non è mero fatto formale, ma espressione di civiltà dell’anima. Gli alberi, da sempre amici, ricambiano la mia amicizia. Li saluto dalla finestra: emergono sullo sfondo delle tegole del Monastero; li sovrasta uno spicchio di cielo e una candida nuvola. “Credimi, troverai cose più grandi nelle foreste che nei libri, gli alberi e le pietre ti insegnano quello che non puoi imparare da maestri”. (Sono parole di San Bernardo). Tutto può forse acquistare significato, se si osserva con “attenzione d’anima” e lasciando liberamente “respirare” l’inconscio e affiorare qualche messaggio della sua antica misteriosa saggezza. Propizi, a queste illuminazioni interiori, certi giorni di “sospensione” dall’alienante frastuono mediatico, che ora meglio constatiamo quanto ci defraudi di noi stessi, quanto prezioso tempo di nostra vita divori, quanta “anima” inquini. Il sentimento del “Sacro” lo portiamo nel profondo del nostro inconscio collettivo e ci è senza dubbio proficuo recuperarlo e riviverlo. “Uomo, tutto ti ama, tutto ti si fa intorno. Tutto ricorre a te per arrivare a Dio”: da secoli lontani così canta anche per noi il mistico tedesco del Seicento Angelus Silesius.
Emerico Giachery
SOLE E NUVOLE
Sono qui che guardo il sole che brilla, che splende, che scalda questa bellissima giornata di primavera australiana. Io sorrido al sole, che entra in casa mia da tutte le finestre aperte, le gazze mi salutano con il loro dolce cinguettío, aspettano sempre che le dia qualche briciola per farle felici cantare. Il mio cuore spera di poter abbracciare questo bel sole, poiché non posso andare a passeggiare. Le mie gambe sono vecchiette, ma il sole mi sorride e mi fa sentire giovane e senza tutti questi acciacchi che mi assalgono con il sole e con le nuvole.
6 – 10 – 2021 Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi
Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.)
NON VOGLIO TACERE
Un altro mio compagno è stato schiacciato oggi da due lastre di marmo. Questo forse non dice più nulla a nessuno. Forse non fa neanche più cronaca. Ma io non posso tacere, non posso guardare questi morti e fingere di non vederli. Non posso lasciarli inghiottire da questo sporco silenzio. Non voglio tacere. I miei compagni morti non possono, non devono sparire. Voglio urlare, graffiare dentro questa indifferenza che annienta anche le pietre come un lupo affamato nella neve.
Ferruccio Brugnaro
Spinea, Venezia