POMEZIA-NOTIZIE
Novembre 2021
LUCI DELLA MEMORIA Emerico Giachery
Q
UANDO ripercorro e riassaporo anni lontanissimi mi viene incontro, accanto alla memoria di altri amori (di presenze femminili, naturalmente, di poesia, di musica), l’amor di Roma nella tarda adolescenza. Non era, per lo più, amore per le illustri rovine, che invece avrei studiato con particolare impegno negli anni universitari, quando mi apprestavo a diventare archeologo, cambiando idea poco prima della laurea. Era soprattutto amore per certe sue chiese antiche, mete di passeggiate solitarie. Santa Sabina, la prediletta, con lunghe soste assorte; gioia di salirvi per il clivo di Rocca Savella attraversando il Giardino degli Aranci. I Santi Quattro Coronati, con la placida facciata quasi campestre, il caro raccoglimento del suo chiostro; a volte canti veramente angelici di suore oranti giungevano dal contiguo convento. San Giovanni a Porta Latina. Fermiamoci a quest’ultima. Avrò avuto sedici o diciassette anni. Il primo giorno di scuola c’è lectio brevis e si è liberi in piena mattina. Splendido il giovane ottobre romano. Tutto invita a una passeggiata. Entro da Porta Latina, sosto nella chiesa (dal fondo un suono d’invisibile armonium). Continuo per quella strada pochissimo profanata (a quel tempo) dal traffico. Una rigogliosa vegetazione trabocca dalle mura degli Orti di Galatea. L’azzurro del cielo, perfetto. Una campana suona il mezzogiorno. Cosa mi accade? Mi sento immerso nel
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Tutto, ho coscienza che il cosmo è armonia, e io ne faccio parte. “La gioia è immensa”, mi canta una voce interiore. Trabocco di gioia. Rincaso quasi a volo. A questa intensa, entusiasmante esperienza è possibile, credo, attribuire un significato evidente nel mio destino. La fraternità con l’universo mi si rivelava via privilegiata di conoscenza. Chiamiamola di amore cosmico, l’esperienza appena descritta. Il sentimento cosmico accende una luce rivelante, un senso di verità partecipata, di immersione nell’Assoluto. Come avviene, del resto, nell’acme dell’esperienza amorosa: essere in due gioiosamente fusi uno con l’altro, ma anche con l’intero Universo partecipe. “Ti saluto, universale potenza di ravvicinamento e di unione, che lega tra loro le innumerevoli monadi e in cui esse convergono tutte sulla strada dello Spirito”: con piena ragione Teilhard de Chardin rivendica la profonda valenza religiosa della coscienza cosmica, di cui la religio, per fortuna non più tolemaica, del nostro tempo non può non tener conto. Pochi anni dopo l’esperienza di Porta Latina, entrato ormai nella piena giovinezza, trascorrevo alcune settimane in un simpatico paese che domina il lago di Bracciano: Manziana. Qualche volta incontravo per via persone amiche, ma preferivo lunghe passeggiate solitarie in sentieri poco frequentati. In una di queste passeggiate, ecco un’esperienza di pienezza, di partecipazione alla totalità del cosmo, che in un mio libro ho ricordato con le parole che qui trascrivo: “Adagiato sull’erba di una radura che una limpida luce di primo autunno accarezza. Sprofondato nella maternità primigenia della Physis. Partecipe intimamente al Gran Tutto. Abbracciato abbracciante, “abbracciante abbracciato”: umfangen umfangend, come in un’impetuosa lirica del giovane Goethe. Intorno, pulsanti, minuscole vite d’insetti, d’erbe, parte di me come io di loro: uno schiudersi a inusitata pienezza, brulicante di senso diffuso. Grazia, certo, troppo colma per durare”. Il senso di leggerezza e di liberazione dai quotidiani lemuri durò, tuttavia, per qualche giorno. Non avrei creduto di poter riprovare momenti simili, di sentirmi così “dentro