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Il caleidoscopio reale di Bartolo Cattafi, di Lucio Zaniboni, pag

IL CALEIDOSCOPIO REALE DI BARTOLO CATTAFI

CARMELO ALIBERTI RILETTURA CRITICA DEL POETA E DELLA SUA OPERA

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di Lucio Zaniboni

NEL mondo letterario italiano, e non solo, vi sono poeti che dopo essere stati assunti a fama nazionale ed europea, dopo un’aura gloriosa, vengono a trovarsi nella condizione degli oggetti quotidiani su cui si posa la polvere che nessuno più toglie.

E’ il caso di Bartolo Cattafi, originario di Pozzo di Gotta Barcellona (Messina). Per una ventina di anni ha ottenuto affermazioni importanti e pubblicazioni con editori di primo piano (Mondadori, Scheiwiller…), notorietà nazionale ed europea.

Nel 1978 Pier Vincenzo Mengaldo non lo ha incluso tra i maggiori del Novecento. Poco dopo (1979) Cattafi è scomparso.

A poco a poco il suo talento poetico e la sua opera sono caduti nell’oblio.

Eppure tante, e importanti, voci critiche lo avevano esaltato: Forti, Erba, Raboni, Ramat, Finzi, Pento, Amoroso, Frattini, Squarotti, Isgrò, Spagnoletti, Petroni…

Nel 2003 invero Paolo Maccari ne aveva pubblicato tutta l’opera con le edizioni Le Lettere, denunciando questa grave ingiustizia nei confronti di un poeta dal grande carisma lirico e alto valore d’originalità.

Della stessa opinione è da tempo il critico letterario Carmelo Aliberti che nel saggio “Il poeta Bartolo Cattafi: cercò disperatamente Dio e lo trovò nell’arcipelago del cuore” introduzione di Jean-Igor Ghidina, (edizioni Terzo Millennio), con viva aderenza allo spirito del poeta, e alla sua statura lirico-moderna, ne delinea carattere, opere, progettualità e travaglio spirituale.

Si ha così la visione di un poeta inquieto, attanagliato dal pensiero di un mondo in cui la morte ha aspetto preponderante. Siamo poco lontani dalla fine della seconda guerra mondiale (anche Cattafi era stato alle armi e ne conosceva gli orrori). Mi sembra riduttivo quanto alcune enciclopedie affermano: “La sua poesia dai toni epigrammatici traccia l’amaro simulacro di una generazione fallita, ricorrendo alle metafore del vuoto e della solitudine”.

Sì, tutto questo c’è in Cattafi, ma vi è molto, molto di più e Aliberti, trattando una a una le sue opere, ne mette in luce sia il pensiero che lo studio della parola così “da voler ridurre all’osso la poesia, in modo da poter più nitidamente operare la cattura del midollo delle cose e stilare l’inventario degli oggetti e delle proteiformi manifestazioni della natura e dell’inconscio”.

C’è in Cattafi uno sguardo intorno alla ricerca della fisicità del mondo che lo circonda e gli oggetti gli appaiono nella loro concretezza, mentre nella sua esplorazione prendono vita e urgenza come motivi fondamentali, l’insondabile del divino, il senso dell’esistenza, il destino finale dell’uomo, insieme alla ricerca delle origini del male e i richiami della memoria.

Siamo nell’epoca degli sperimentalismi, in Italia e all’estero, ma Cattafi non viene ammaliato da queste ricerche, a volte puramente verbali.

Partendo da una origine classica, dalla sua sicilianità, si afferma con uno stile personale, nuovo, moderno, “con accensioni liriche, lancinanti flash di nausea, sottesa pessimistica ironia” nel ridurre il verso all’essenziale.

Il poeta, nel suo continuo peregrinare nei paesi d’Europa e d’Africa, lascia intravedere l’ansia di una ricerca che generi risposte all’insoluto e, come afferma Aliberti “… il suo viaggio può essere riconducibile a un’ideale avventura dell’anima che ha percorso reali itinerari terreni, ma in realtà ha sempre ricercato la sua Itaca, con i suoi miti, i suoi simboli, i suoi valori…” - “… reso esaregne dalle esalazioni di effimeri splendori e da un occulto straripante malessere… dirige la rotta verso il punto di partenza della sua terra, la sua Itaca Sicilia…” - “… ma sospinto dall’urlo del sangue, continua a ripartire da Greenwich, cioè dalla fase iniziale dell’innocenza, per riprendere il cammino, guidato dalla inestinguibile fiamma delle riemergenti illusioni…”.

E ancora: “… Voci, suoni, monologo-colloqui, rasoiate linguistiche trasformano Cattafi in guerriero eroe in corsa su impraticabili piste metafisiche dove il rinverginato palpito del cuore possa riconciliare l’uomo, torturato dall’inconoscibile…”.

Fra i molti giudizi letti, dati dai critici e poeti di fama, quello che mi sembra più vicino all’indagine di Aliberti è di Giorgio Barberi Squarotti, quando afferma relativamente all’opera “L’aria secca del fuoco”: “… E’ uno dei testi più inquietanti del dopoguerra. Con amarezza Cattafi compie uno dei più acuti e mortali esami di coscienza della sua generazione”.

Aliberti va oltre e vi ravvisa la drammatica visione pessimistica della vita, il terror vacui, l’orrore della guerra, l’alienante e superflua finzione della poesia, la sofferta e disperata ricerca di Dio che sembra alla fine trovare un varco, una luce: “Ignoto è il regno | Alba e attesa, crepuscolo di nubi dove Dio | s’annida come un colombo gutturale. | Oscuro è il regno” (“Nell’atrio in attesa”).

Una chiusa e un titolo che indicano l’accettazione e che portano alla quiete dello spirito, pronto ormai al viaggio estremo.

A conclusione mi piace riportare la poesia “Niente”, recuperata nel 2003 da Paolo Maccari, in cui ironia e senso della memoria, magistralmente fusi, siglano la singolarità di Cattafi.

Niente

È questo che porti arrotolato con cura, piegato in quattro, alla rinfusa sgualcito spiegazzato ficcato ovunque negli angoli più oscuri, niente da dichiarare niente devi dire niente. Il doganiere non ti capirebbe. La memoria è sempre un contrabbando.

Un saggio, questo di Carmelo Aliberti, che potrebbe e dovrebbe riportare Bartolo Cattafi tra le voci qui più valide e vere del Novecento Italiano.

Lucio Zaniboni

IL SONNO

Misterioso il dono divino del sonno si avvera ogni sera e vano è il tentare di cogliere o percepire l’esatto momento di questo meraviglioso avvenimento. Si chiudono gli occhi, si giace tranquilli in silenzio e dopo lungo o breve intervallo si varca inconsapevoli la soglia del mondo reale e senza lasciare la vita si vaga nel mondo astrale. Meraviglioso dono del cielo sollievo alle ansie quotidiane questa pausa a volte veramente celestiale.

Mariagina Bonciani

Milano

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