Pomezia Notizie 2021_11

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ISSN 2611-0954

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e successive modifiche) - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. - Il mensile è disponibile su: http://issuu.com/domenicoww/docs/

Anno 29 (Nuova Serie) – n. 11

- Novembre 2021 -

N° 11 della Serie online

A settecento anni dalla morte dell’Alighieri, tanti nel corso dei secoli si sono cimentati nell’illustrare la sua Divina Commedia.

DANTE E GLI ARTISTI di Isabella Michela Affinito

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E per Dante Alighieri la realizzazione in versi, nella lingua volgare, del suo capolavoro letterario de La Divina Commedia è stato possibile grazie al suo ‘viaggio’ irreale nei tre regni dell’oltretomba, vieppiù per coloro artisti che in seguito vollero conferire dei volti e concretezza scenica a quei versi danteschi, l’ispirazione l’hanno trovata forgiando al meglio la loro già espressione artistica. L’attrazione alla Divina Commedia nasce, innanzitutto, per la molteplicità eterogenea dei personaggi che Dante ha inserito in ciascun regno, Inferno, Purgatorio e Paradiso; personalità


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All’interno: Luci della memoria, di Emerico Giachery, pag. 7 Il caleidoscopio reale di Bartolo Cattafi, di Lucio Zaniboni, pag. 9 L’attrazione dell’altrove in Corrado Calabrò, di Manuela Mazzola, pag. 11 Philippe Daverio, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 12 Epistolari e memorie con Peter Russell, di Domenico Defelice, pag. 14 Francesco Pedrina, di Domenico Defelice, pag. 17 Aria, di Francesco D’Episcopo, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 20 Domenico Antonio Tripodi pittore dell’anima, di Carmine Chiodo, pag. 23 Miliardi malcostume e miseria, di Leonardo Selvaggi, pag. 26 Notizie, pag. 35 Libri ricevuti, pag. 41 Tra le riviste, pag. 43

RECENSIONI di/per: Tito Cauchi (Essere poeta, di Isabella Michela Affinito, pag. 31); Domenico Defelice (Pasquale Martiniello Atto secondo, di Antonio Crecchia, pag. 32); Domenico Defelice (Invisibili fili, di AA. VV., pag. 33); Manuela Mazzola (Edio Felice Schiavone e Lucia Schiavone il Poeta Pediatra e la Restauratrice Scultrice, di Tito Cauchi, pag. 33).

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Ferruccio Brugnaro, Corrado Calabrò, Domenico Defelice, Ada De Judicibus Lisena, Luigi De Rosa, Salvatore D’Ambrosio, Elio Granillo, Giovanna Li Volti Guzzardi, Gianni Rescigno, Lucio Zaniboni

tratte dal suo presente storico del basso Medioevo e dal suo passato, di gran lunga inferiore rispetto al nostro considerati i settecento anni che ci separano dalla morte del sommo poeta fiorentino, avvenuta nel settembre del 1321 a Ravenna. Fin da subito la Divina Commedia, con la presenza di Dante incredulo e sgomento nel mezzo d’una tetra foresta, si apre come un palcoscenico sconfinato pronto ad accogliere gli ‘attori’, tra animali e personaggi-anime defunte, con le quali è stata elaborata l’intramatura dei tre regni; ovvero, non si può spiegare l’Inferno senza spiegare al contempo quella che è stata la vita terrena, ad esempio, dell’indovino Tiresia e di sua figlia Manto che conferì il nome alla città di Mantova, di Minosse re di Creta, di Caino fratello di Abele, del Conte Ugolino della Gherardesca, del maestro Brunetto Latini, di Ulisse, di Guido da Montefeltro, di Celestino V, di Farinata degli Uberti, di Filippo Argenti, di

Lancilotto, di Vanni Fucci, di Mirra e via dicendo. Sono state queste presenze, e molte altre ancora, a rendere ‘vivi’ e palpitanti i tre regni dell’aldilà e a spronare la fantasia artistica dei


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Purgatorio, trovino un riverbero nella ripetuta figura del Poeta. […] Quando poi il soggetto più facilmente si presta alla traduzione disegnativa, incontriamo pagine degne dei capolavori pittorici di Sandro: i ciechi, abbandonati, sulla ripa scoscesa, al tremore delle tenebre; i superbi schiacciati sotto il peso immane; la selva dei suicidi, che il Botticelli trasforma in un intrico di agrifogli pungenti, di figurette umane e di mostri, in un meraviglioso labirintico tessuto. » (Dal Volume Primo de La Divina Commedia di

pittori che, nei secoli successivi fino ai nostri tempi, hanno voluto rendere ‘umane’ quelle anime che Dante intravide durante l’immaginaria esplorazione. Uno dei primi artisti della Divina Commedia fu il pittore di Firenze, governata da Lorenzo il Magnifico, Sandro Botticelli, l’autore dei dipinti quali la Nascita di Venere e La Primavera; il mondo d’allora stava uscendo definitivamente dal tunnel del Medioevo per entrare nell’ariosità dell’Umanesimo prima, e nella cognizione rinascimentale dopo, quindi, nella concezione del mondo moderno. «[…] Se talvolta appare a primo sguardo monotono il ripetersi delle figurette di Virgilio e di Dante sopra una stessa pagina, l’impressione scompare quando noi osserviamo come i tragici episodi della “Divina Commedia”, impossibili a raccogliersi dal disegnatore nelle pagine illustrative di un intero canto, tra le bolge infernali o i gironi del

Dante Alighieri istoriata da Sandro Botticelli, Editoriale Del Drago S.r.l. di Milano, Anno 1981, Edizione a cura di Mario Faustinelli, pagg. XVIII-IX, dal commento di Adolfo Venturi). Michelangelo Buonarroti, nel suo Giudizio Universale della Cappella Sistina, trasse spunto dai versi medesimi di Dante per il ‘suo’ Caronte e anche per il disegno della Pietà, amichevolmente condiviso con la poetessa, sua amica, Vittoria Colonna, rimasta vedova.


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Colui che è stato maggiormente in relazione con la Divina Commedia si chiama Gustav-Paul Doré (1832-1883), nato a Strasburgo e morto a Parigi, fu disegnatore incisore e anche scultore, di formazione autodi-

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datta. Al vasto pubblico mondiale sono conosciute le sue illustrazioni dell’opera dantesca, tra numerosi dipinti e xilografie, dove ha saputo interpretare con la sua potente luce-ombra il senso cavernoso e doloroso dell’Inferno fino alla diafanità e celestialità del Paradiso. Diciamo che Gustave Doré non ebbe, escludendo il Botticelli, precedenti illustratori della Commedia che l’uguagliarono nell’importanza e, dopo di lui, fu difficile raggiungere un risultato come il suo da parte di altri artisti anche di fama internazionale, perché – ricordiamo che si cimentarono nell’impresa titanica dell’illustrazione alla stessa il pittore francese Eugène Delacroix (1798-1863), il poeta pittore stampatore inglese William Blake (1757-1827), il pittore francese Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867), il pittore e critico d’arte inglese, grande amico di Blake, Heinrich Füssli (1741-1825) d’origine svizzera andò a vivere a Londra, nella scultura il francese Auguste Rodin (1840-1917), in seguito il pittore spagnolo surrealista Salvador Dalí (1904-1989), il grafico e illustratore trevigiano Alberto Martini (1876-1954), il pittore milanese e morto a Palma di Maiorca, Aligi Sassu (1910-2000) fino al pittore statunitense, Robert Rauschenberg (1925-2008) con la sua tecnica del Transfer Drawing è stato ritenuto il pioniere della pop art – Gustave Doré s’impegnò per tutti e tre i Canti passo dopo passo e scena dopo scena, mentre gli altri artisti preferirono rappresentare qualche episodio della Commedia, perlopiù l’Inferno dove è assai condizionante la memoria della vita terrena, proprio per la strabondanza dei contenuti dell’opera dantesca. Prendiamo ad analizzare La barca di Dante di Eugène Delacroix del 1822, olio su tela custodito oggi al Musée du Louvre, quasi due metri per circa due metri e mezzo, quale episodio del Canto VIII dell’Inferno quando Dante, insieme a Virgilio, attraversano su una barca il fiume Stige, molto fangoso, e all’improvviso c’è il rischio del ribaltamento per la spinta brusca di un dannato, Filippo


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Un altro dipinto è Paolo e Francesca sorpresi da Gianciotto di Ingres del 1814, olio su tela 35x28 cm, ispirato al Canto V dell’Inferno dove stanno i condannati per la Lussuria trasportati da un vento inarrestabile e i due amanti-cognati, Francesca da Rimini e Paolo Malatesta, indossano costumi dell’epoca del pittore francese nell’ambiente al chiuso, inconsapevoli d’essere osservati da qualcuno, Gianciotto marito di Francesca e fratello di Paolo, e, infatti, sono presi nella naturalità della loro illecita passione. I disegni, invece, di William Blake per la Divina Commedia, purtroppo interrotti nella produzione per la sopraggiunta morte dell’arArgenti, che in vita, oltre ad essere stato un acerrimo avversario di Dante perché guelfo nero, aveva mostrato molta ira (insieme alla superbia d’aver fatto ferrare il cavallo con ferri d’argento) verso coloro che non gli mostrarono abbastanza rispetto per la sua persona; adesso sta fra gli iracondi condannati all’immersione nella melma, quindi imbrattati per sempre di fango. Nel dipinto si nota il grande timore con la mano destra alzata di Dante per un possibile capovolgimento dell’imbarcazione a causa dell’intromissione dell’Argenti, ancora fortemente irato nei suoi confronti.

tista, iniziarono nel 1824 su commissione, furono colorati ad acquerello da cui sono scaturite anche delle incisioni e le figure umane non sono propriamente verosimili; tra queste illustrazioni ci restano Ugolino con i figli e i nipoti in prigione, Anteo depone Dante e Virgilio nell’ultimo cerchio dell’Inferno, Ciampolo di Navarra e Beatrice sul carro, Dante e Matelda. Meravigliose sono le donne nella Divina Commedia rappresentate dal poeta e pittore inglese, d’origine abruzzese per il padre patriota che si trasferì a Londra, Dante Gabriel Rossetti (1828-1882), co-fondatore della confraternita dei Preraffaelliti ammiratori e


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seguaci del periodo medioevale stilnovista fino a Raffaello. Sono ritratti di fanciulle dal bianco incarnato, capelli ramati e voluminosi, bocca carnosa, apparentemente passive e rassegnate, appartengono ad una dimensione ideale dove la loquela è superflua, anzi rischierebbe d’intaccare la loro cristallizzata condizione femminile. Le opere illustrative della Commedia da parte di Alberto Martini, sono più a carattere grafico sia a colori che in bianco-nero, il segno è decisamente contemporaneo essendo l’artista morto nel 1954 a Milano, simbolista anticipò quella che fu, poi, la corrente del surrealismo anche se lui non ne fece mai parte, la sua professione consisteva proprio nella grafica e nell’illustrazione in genere. Anche il pittore di Palermo, Renato Guttuso (1912-1987) ha lasciato il segno nella Commedia durante gli anni a cavallo tra la fine dei ’50 e l’inizio dei ’60 del secolo scorso, con sue interpretazioni d’arte decisamente dal tratto moderno e rimarcante, tra

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cui Piccarda Donati nel cielo della Luna, Francesca da Rimini e Cunizza da Romano: colori accesi, tensione espressiva, riduzione all'essenziale. Nella scultura la Divina Commedia è entrata con tutta la sua autorevolezza, in modo particolare il regno dell’Inferno attraverso le sue scene più emblematiche, con la mastodontica Porta dell’Inferno realizzata in bronzo nel 1928, nove anni dopo la morte del suo ideatore August Rodin, più di sei metri d’altezza per quattro di larghezza e quasi un metro di spessore, pezzo per pezzo anzitempo progettata dallo scultore francese che era un accanito lettore delle opere dantesche e gli era stata commissionata per lo Stato francese, molto imbevuta di Simbolismo e raggruppante le varie scene coi numerosi personaggi popolanti il regno infernale. In alto al centro, sulla cornice esterna troneggia il gruppo de Le tre Ombre, quale personificazione della celebre frase dantesca posta come iscrizione all’ingresso dell’infausto regno da cui, una volta entrati, non si poteva più uscire. Poi, Paolo e Francesca nelle nuvole, mentre il protagonista della Porta resta la scultura de Il Pensatore, posta sempre in alto, al centro, disotto il gruppo de Le tre Ombre. Un uomo nudo seduto col mento poggiato sul dorso della mano e il gomito a sua volta poggiato sul ginocchio, che medita sull’oggettività terrena e doveva essere lo stesso Dante che rifletteva sulla dannazione eterna. Talmente condensante l’arte di Rodin che la scultura de Il Pensatore è stata riprodotta con diversi materiali, anche ingrandita, e venne posta sulla tomba dello stesso scultore a Meudon e all’ingresso del Rodin Museum di Filadelfia. Comunque, di sicuro ci saranno anche per il futuro artisti che vorranno intraprendere l’avvincente impresa di vivacizzare la Divina Commedia con ulteriori immagini artistiche, in attinenza ai tempi che rapidamente cambiano e ai nuovi stili che verranno, se ci saranno, e di cui ci parlerà in seguito la storia dell’Arte universale. Isabella Michela Affinito


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LUCI DELLA MEMORIA Emerico Giachery

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UANDO ripercorro e riassaporo anni lontanissimi mi viene incontro, accanto alla memoria di altri amori (di presenze femminili, naturalmente, di poesia, di musica), l’amor di Roma nella tarda adolescenza. Non era, per lo più, amore per le illustri rovine, che invece avrei studiato con particolare impegno negli anni universitari, quando mi apprestavo a diventare archeologo, cambiando idea poco prima della laurea. Era soprattutto amore per certe sue chiese antiche, mete di passeggiate solitarie. Santa Sabina, la prediletta, con lunghe soste assorte; gioia di salirvi per il clivo di Rocca Savella attraversando il Giardino degli Aranci. I Santi Quattro Coronati, con la placida facciata quasi campestre, il caro raccoglimento del suo chiostro; a volte canti veramente angelici di suore oranti giungevano dal contiguo convento. San Giovanni a Porta Latina. Fermiamoci a quest’ultima. Avrò avuto sedici o diciassette anni. Il primo giorno di scuola c’è lectio brevis e si è liberi in piena mattina. Splendido il giovane ottobre romano. Tutto invita a una passeggiata. Entro da Porta Latina, sosto nella chiesa (dal fondo un suono d’invisibile armonium). Continuo per quella strada pochissimo profanata (a quel tempo) dal traffico. Una rigogliosa vegetazione trabocca dalle mura degli Orti di Galatea. L’azzurro del cielo, perfetto. Una campana suona il mezzogiorno. Cosa mi accade? Mi sento immerso nel

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Tutto, ho coscienza che il cosmo è armonia, e io ne faccio parte. “La gioia è immensa”, mi canta una voce interiore. Trabocco di gioia. Rincaso quasi a volo. A questa intensa, entusiasmante esperienza è possibile, credo, attribuire un significato evidente nel mio destino. La fraternità con l’universo mi si rivelava via privilegiata di conoscenza. Chiamiamola di amore cosmico, l’esperienza appena descritta. Il sentimento cosmico accende una luce rivelante, un senso di verità partecipata, di immersione nell’Assoluto. Come avviene, del resto, nell’acme dell’esperienza amorosa: essere in due gioiosamente fusi uno con l’altro, ma anche con l’intero Universo partecipe. “Ti saluto, universale potenza di ravvicinamento e di unione, che lega tra loro le innumerevoli monadi e in cui esse convergono tutte sulla strada dello Spirito”: con piena ragione Teilhard de Chardin rivendica la profonda valenza religiosa della coscienza cosmica, di cui la religio, per fortuna non più tolemaica, del nostro tempo non può non tener conto. Pochi anni dopo l’esperienza di Porta Latina, entrato ormai nella piena giovinezza, trascorrevo alcune settimane in un simpatico paese che domina il lago di Bracciano: Manziana. Qualche volta incontravo per via persone amiche, ma preferivo lunghe passeggiate solitarie in sentieri poco frequentati. In una di queste passeggiate, ecco un’esperienza di pienezza, di partecipazione alla totalità del cosmo, che in un mio libro ho ricordato con le parole che qui trascrivo: “Adagiato sull’erba di una radura che una limpida luce di primo autunno accarezza. Sprofondato nella maternità primigenia della Physis. Partecipe intimamente al Gran Tutto. Abbracciato abbracciante, “abbracciante abbracciato”: umfangen umfangend, come in un’impetuosa lirica del giovane Goethe. Intorno, pulsanti, minuscole vite d’insetti, d’erbe, parte di me come io di loro: uno schiudersi a inusitata pienezza, brulicante di senso diffuso. Grazia, certo, troppo colma per durare”. Il senso di leggerezza e di liberazione dai quotidiani lemuri durò, tuttavia, per qualche giorno. Non avrei creduto di poter riprovare momenti simili, di sentirmi così “dentro


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la vita”, in questa età ultraottuagenaria. Invece, pochi anni fa… trascorriamo, con mia moglie, qualche settimana estiva a Camaldoli. Ecco: il Casentino saluta dopo decenni il libero viandante che tanto l’amò percorrendolo a piedi in ogni angolo, e che fece tappa proprio nell’ ospitale albergo che ora ci accoglie: domicilio di premurosa, umanissima gentilezza, che non è mero fatto formale, ma espressione di civiltà dell’anima. Gli alberi, da sempre amici, ricambiano la mia amicizia. Li saluto dalla finestra: emergono sullo sfondo delle tegole del Monastero; li sovrasta uno spicchio di cielo e una candida nuvola. “Credimi, troverai cose più grandi nelle foreste che nei libri, gli alberi e le pietre ti insegnano quello che non puoi imparare da maestri”. (Sono parole di San Bernardo). Tutto può forse acquistare significato, se si osserva con “attenzione d’anima” e lasciando liberamente “respirare” l’inconscio e affiorare qualche messaggio della sua antica misteriosa saggezza. Propizi, a queste illuminazioni interiori, certi giorni di “sospensione” dall’alienante frastuono mediatico, che ora meglio constatiamo quanto ci defraudi di noi stessi, quanto prezioso tempo di nostra vita divori, quanta “anima” inquini. Il sentimento del “Sacro” lo portiamo nel profondo del nostro inconscio collettivo e ci è senza dubbio proficuo recuperarlo e riviverlo. “Uomo, tutto ti ama, tutto ti si fa intorno. Tutto ricorre a te per arrivare a Dio”: da secoli lontani così canta anche per noi il mistico tedesco del Seicento Angelus Silesius. Emerico Giachery

SOLE E NUVOLE Sono qui che guardo il sole che brilla, che splende, che scalda questa bellissima giornata di primavera australiana. Io sorrido al sole, che entra in casa mia da tutte le finestre aperte, le gazze mi salutano con il loro dolce cinguettío,

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aspettano sempre che le dia qualche briciola per farle felici cantare. Il mio cuore spera di poter abbracciare questo bel sole, poiché non posso andare a passeggiare. Le mie gambe sono vecchiette, ma il sole mi sorride e mi fa sentire giovane e senza tutti questi acciacchi che mi assalgono con il sole e con le nuvole. 6 – 10 – 2021 Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.)

NON VOGLIO TACERE Un altro mio compagno è stato schiacciato oggi da due lastre di marmo. Questo forse non dice più nulla a nessuno. Forse non fa neanche più cronaca. Ma io non posso tacere, non posso guardare questi morti e fingere di non vederli. Non posso lasciarli inghiottire da questo sporco silenzio. Non voglio tacere. I miei compagni morti non possono, non devono sparire. Voglio urlare, graffiare dentro questa indifferenza che annienta anche le pietre come un lupo affamato nella neve. Ferruccio Brugnaro Spinea, Venezia


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IL CALEIDOSCOPIO REALE DI

BARTOLO CATTAFI CARMELO ALIBERTI RILETTURA CRITICA DEL POETA E DELLA SUA OPERA di Lucio Zaniboni

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EL mondo letterario italiano, e non solo, vi sono poeti che dopo essere stati assunti a fama nazionale ed europea, dopo un’aura gloriosa, vengono a trovarsi nella condizione degli oggetti quotidiani su cui si posa la polvere che nessuno più toglie. E’ il caso di Bartolo Cattafi, originario di Pozzo di Gotta Barcellona (Messina). Per una ventina di anni ha ottenuto affermazioni importanti e pubblicazioni con editori di primo piano (Mondadori, Scheiwiller…), notorietà nazionale ed europea. Nel 1978 Pier Vincenzo Mengaldo non lo ha incluso tra i maggiori del Novecento. Poco dopo (1979) Cattafi è scomparso. A poco a poco il suo talento poetico e la sua opera sono caduti nell’oblio. Eppure tante, e importanti, voci critiche lo avevano esaltato: Forti, Erba, Raboni, Ramat, Finzi, Pento, Amoroso, Frattini, Squarotti, Isgrò, Spagnoletti, Petroni… Nel 2003 invero Paolo Maccari ne aveva pubblicato tutta l’opera con le edizioni Le Lettere, denunciando questa grave ingiustizia nei

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confronti di un poeta dal grande carisma lirico e alto valore d’originalità. Della stessa opinione è da tempo il critico letterario Carmelo Aliberti che nel saggio “Il poeta Bartolo Cattafi: cercò disperatamente Dio e lo trovò nell’arcipelago del cuore” introduzione di Jean-Igor Ghidina, (edizioni Terzo Millennio), con viva aderenza allo spirito del poeta, e alla sua statura lirico-moderna, ne delinea carattere, opere, progettualità e travaglio spirituale. Si ha così la visione di un poeta inquieto, attanagliato dal pensiero di un mondo in cui la morte ha aspetto preponderante. Siamo poco lontani dalla fine della seconda guerra mondiale (anche Cattafi era stato alle armi e ne conosceva gli orrori). Mi sembra riduttivo quanto alcune enciclopedie affermano: “La sua poesia dai toni epigrammatici traccia l’amaro simulacro di una generazione fallita, ricorrendo alle metafore del vuoto e della solitudine”. Sì, tutto questo c’è in Cattafi, ma vi è molto, molto di più e Aliberti, trattando una a una le sue opere, ne mette in luce sia il pensiero che lo studio della parola così “da voler ridurre all’osso la poesia, in modo da poter più nitidamente operare la cattura del midollo delle cose e stilare l’inventario degli oggetti e delle proteiformi manifestazioni della natura e dell’inconscio”. C’è in Cattafi uno sguardo intorno alla ricerca della fisicità del mondo che lo circonda e gli oggetti gli appaiono nella loro concretezza, mentre nella sua esplorazione prendono vita e urgenza come motivi fondamentali, l’insondabile del divino, il senso dell’esistenza, il destino finale dell’uomo, insieme alla ricerca delle origini del male e i richiami della memoria. Siamo nell’epoca degli sperimentalismi, in Italia e all’estero, ma Cattafi non viene ammaliato da queste ricerche, a volte puramente verbali. Partendo da una origine classica, dalla sua sicilianità, si afferma con uno stile personale, nuovo, moderno, “con accensioni liriche, lancinanti flash di nausea, sottesa pessimistica ironia” nel ridurre il verso all’essenziale.


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Il poeta, nel suo continuo peregrinare nei paesi d’Europa e d’Africa, lascia intravedere l’ansia di una ricerca che generi risposte all’insoluto e, come afferma Aliberti “… il suo viaggio può essere riconducibile a un’ideale avventura dell’anima che ha percorso reali itinerari terreni, ma in realtà ha sempre ricercato la sua Itaca, con i suoi miti, i suoi simboli, i suoi valori…” - “… reso esaregne dalle esalazioni di effimeri splendori e da un occulto straripante malessere… dirige la rotta verso il punto di partenza della sua terra, la sua Itaca Sicilia…” - “… ma sospinto dall’urlo del sangue, continua a ripartire da Greenwich, cioè dalla fase iniziale dell’innocenza, per riprendere il cammino, guidato dalla inestinguibile fiamma delle riemergenti illusioni…”. E ancora: “… Voci, suoni, monologo-colloqui, rasoiate linguistiche trasformano Cattafi in guerriero eroe in corsa su impraticabili piste metafisiche dove il rinverginato palpito del cuore possa riconciliare l’uomo, torturato dall’inconoscibile…”. Fra i molti giudizi letti, dati dai critici e poeti di fama, quello che mi sembra più vicino all’indagine di Aliberti è di Giorgio Barberi Squarotti, quando afferma relativamente all’opera “L’aria secca del fuoco”: “… E’ uno dei testi più inquietanti del dopoguerra. Con amarezza Cattafi compie uno dei più acuti e mortali esami di coscienza della sua generazione”. Aliberti va oltre e vi ravvisa la drammatica visione pessimistica della vita, il terror vacui, l’orrore della guerra, l’alienante e superflua finzione della poesia, la sofferta e disperata ricerca di Dio che sembra alla fine trovare un varco, una luce: “Ignoto è il regno | Alba e attesa, crepuscolo di nubi dove Dio | s’annida come un colombo gutturale. | Oscuro è il regno” (“Nell’atrio in attesa”). Una chiusa e un titolo che indicano l’accettazione e che portano alla quiete dello spirito, pronto ormai al viaggio estremo. A conclusione mi piace riportare la poesia “Niente”, recuperata nel 2003 da Paolo Maccari, in cui ironia e senso della memoria, ma-

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gistralmente fusi, siglano la singolarità di Cattafi. Niente È questo che porti arrotolato con cura, piegato in quattro, alla rinfusa sgualcito spiegazzato ficcato ovunque negli angoli più oscuri, niente da dichiarare niente devi dire niente. Il doganiere non ti capirebbe. La memoria è sempre un contrabbando. Un saggio, questo di Carmelo Aliberti, che potrebbe e dovrebbe riportare Bartolo Cattafi tra le voci qui più valide e vere del Novecento Italiano. Lucio Zaniboni

IL SONNO Misterioso il dono divino del sonno si avvera ogni sera e vano è il tentare di cogliere o percepire l’esatto momento di questo meraviglioso avvenimento. Si chiudono gli occhi, si giace tranquilli in silenzio e dopo lungo o breve intervallo si varca inconsapevoli la soglia del mondo reale e senza lasciare la vita si vaga nel mondo astrale. Meraviglioso dono del cielo sollievo alle ansie quotidiane questa pausa a volte veramente celestiale. Mariagina Bonciani Milano


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TOMMASO ROMANO E GIOVANNI AZZARETTO L’ATTRAZIONE DELL’ALTROVE NELLA POESIA DI

CORRADO CALABRÒ di Manuela Mazzola L volume, L’attrazione dell’altrove nella poesia di Corrado Calabrò (Thule – Spiritualità & Letteratura, Pagg.403), a cura di Tommaso Romano e Giovanni Azzaretto, è composto da un’interessante e approfondita intervista di Fabia Baldi che svela la vita e il pensiero del poeta ed una seconda parte da recensioni ai suoi volumi, composte da critici e artisti vari. I volumi sono: Prima attesa 1960, Agavi in fiore 1976, Vuoto d’aria 1979, Presente anteriore 1981, Mittente sconosciuta 1984, Deriva 1990, Il sale nell’acqua 1991, Vento d’altura 1991, La memoria dell’acqua 1991, Rosso d’Alicudi 1992, Le ancore infeconde 2001, Blu Maratea 2002, Qualcosa oltre il vissuto 2002, Una vita per il suo verso 2002, A luna spenta 2003, Poesie d’amore 2004, La stella promessa 2009, T’amo di due amori 2010, Dimmelo per SMS 2011, Pass word 2011, Rispondimi per SMS 2013, Mi manca il mare 2013, Mare di luna 2016, Quinta dimensione 2018, L’altro 2020, Ricorda di dimenticarla 2006.

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Calabrò si è laureato con Lode in Giurisprudenza all’Università di Messina; è magistrato e Presidente onorario del consiglio di Stato dal 2008. Dal 1960 pubblica i suoi lavori in tutto il mondo; ha vinto numerosi premi letterari e riconoscimenti e nel luglio del 2018 l’Unione Astronomica Internazionale, ha dato all’ultimo asteroide scoperto il nome di Corrado Calabrò con la motivazione di aver rigenerato la poesia aprendola, come in sogno, alla scienza. E allora cos’è l’altrove? Potrebbe rappresentare un luogo che simboleggia l'assenza dell'empirico, del quotidiano, del banale e che ricorda un desiderio o una speranza, forse, di fuga. Per il poeta, però, l’altrove è molto di più della sua stessa definizione: “Non era solo un altrove spaziale, era un altrove anche temporale”. Infatti, quando Calabrò viveva nella magnifica terra di Calabria, il desiderio dell’altro nasceva proprio dall’osservazione delle navi che si allontanavano dallo stretto verso Oriente. Nel suo poetare c’è il desiderio di andare oltre lo spazio e il tempo alla ricerca di un finito e infinito. Nella sua indagine personale parte sempre da se stesso e dal suo rapporto con la realtà. “La poesia cerca di dire in modo indiretto, allusivo, ma non finto, quello che attinge all’inesplicabile voce dell’inconscio, per aiutarci così a disvelare la suggestione dell’essere, dell’altro noi stessi che è in noi. È un tentativo di trait d’union tra l’esistere e l’essere”. Pertanto, la poesia è la chiave che apre la porta dell’altrove. Corrado canta i suoi versi “realizzando un superamento di significato”. In un istante il poeta e il lettore, il musicista e l’ascoltatore, il pittore e il contemplatore sono un tutt’uno per il tratto di tempo in cui entreranno in risonanza. Manuela Mazzola


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PHILIPPE DAVERIO LA FASCINAZIONE DELL’ARTE di Salvatore D’Ambrosio

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SCE postumo il volume di Daverio sulla fascinazione dell’arte. Ed esattamente a un anno dalla sua scomparsa, avvenuta il 2 settembre del 2020. Il volume è una lunghissima chiacchierata sul mondo dell’arte. Lunga ed affascinante come lo erano le sue presenze televisive. La persona Daverio e non il personaggio, poiché lui non si sentiva tale anche se di personalità ne aveva da vendere, ci ha tenuto compagnia per diverso tempo con le sue discussioni sull’unica cosa che attira universalmente tutti gli esseri umani: l’arte. La prima cosa che colpiva e che forse affascinava, era il suo modo di vestire un poco d’antan. I suoi panciotti non solo colorati, ma anche dalle fantasie più ricercate, attiravano subito l’attenzione. E poi il farfallino, che solo uno snob come lui riusciva a portare con disinvoltura, anche quando erano confezionati con i tessuti più appariscenti. E quelle giacche di stoffe ruvide, unite a pantaloni di velluto a coste larghe o di fustagno, che davano un senso di calore, di giornate in campagna, di vita semplice, di borghese alla mano che non si vestiva di boria, per il semplice motivo che era essenzialmente un salvadanaio di cose preziose da elargire. Cose che non teneva per sé, ma che diffondeva per l’uso degli altri. Diceva che quel “mestiere” non lo faceva per conquistare accrediti politici. La sua era una vocazione. Nel senso che era una voce che da dentro chiedeva di sapere, di conoscere, di appagare esigenza intima di curiosità. E fu per questa esigenza che percorse l’Italia e il mondo alla ricerca di tracce che lo conducessero verso un affresco dimenticato, un dipinto da rivalutare, un disegno da interpretare.

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Per lui, come ebbi già a dire, non contava il nome dell’artista, ma quello che con il suo lavoro e la sua ricerca diceva e apportava di nuovo al mondo dell’arte. Da brillante divulgatore e professore universitario, vagabondava coscientemente e scientemente tra culture diverse. Le quali non erano mai distanti tra loro. Spiegando nel libro il mito della sirena Partenope, per esempio, ci fa capire perché esiste un legame tra Napoli e il Medio Oriente. Le sirene, spiega, erano esseri dal corpo femminile e zampe di rapace, che facevano parte dell’immaginario greco antico, e Napoli era legata alla Grecia. Ma a sua volta l’immaginario greco era legato all’Oriente mesopotamico. Philippe Daverio era capace di rintracciare emozioni e soprattutto di trasmetterle a tutti coloro che gli prestavano attenzione. Si dice infatti per questo: la magia dell’arte. Aveva la capacità, che non è da tutti, di cogliere con uno sguardo anche da lontano, un oggetto, un’opera dell’ingegno umano che vestiva l’abito di arte autentica. Che quella cosa non era stata giustamente capita, valutata. E quasi gongolava di queste sue scoperte, lasciate a lui da occhi frettolosi. Chi lo ha conosciuto attraverso le sue imperdibili trasmissioni televisive, ricorderà la sua


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aria sorniona, il suo sguardo furbo, divertente e soprattutto soddisfatto allorquando era riuscito a mostraci una sua scoperta, che andava a riempire un vuoto nel panorama dell’arte mondiale. Philippe Daverio mi piace definirlo il giullare dell’arte, non nel senso dispregiativo ma perché ci divertiva con essa, e l’arte stessa era il suo più grande divertimento. Era semplice per lui spiegarci che l’arrivo di Picasso a dipingere Les demoiselles d’Avignon, fu dovuto alla visione di una maschera africana. E spiegava tutto il percorso e le personalità dell’arte che avevano maneggiata quella maschera. La curiosità era appagata da una minuziosa ricerca. Ricordava per questo che l’arte di certe civiltà, anche se assoggettate da altre, inspiegabilmente attraverso strade impensabili riaffiorano. Non posso non pensare in questo momento ai Talebani. Possono distruggere tutto ciò che vogliono, resterà sempre una traccia che un novello Daverio scoprirà e sarà capace di regalare di nuovo stupori alle future civiltà. La contaminazione tra le culture, affermava Daverio, porta a cambiamenti, all’acquisizione di nuove estetiche, di nuove forme d’arte scaturite da reinterpretazioni occidentali oppure orientali di espressioni artistiche consolidate. Gli usi, i costumi di altri popoli, ci dice, sono fondamentali per rinnovare il panorama artistico mondiale. Ma soprattutto per capire l’arte. Leggendo le pagine de Il giro del mondo dell’arte, troviamo questo Daverio. Questo profondo conoscitore di cose, che sapeva mettere in relazione sapientemente tra loro. Il volume edito dalla Solferino è molto ben curato ed è arricchito da moltissime immagini per lo più a colori. La riproduzione a colori è per me, quella che restituisce nel modo più esatto il senso di un’opera d’arte. In quanto esso stimola un’idea o un concetto molto vicino alla realtà della forma significante. Sono tredici i capitoli attraverso i quali si snoda il suo racconto che è anche frutto dei

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suoi viaggi, quelli lontani e quelli più prossimi alla sua Milano: come dice Roberta Scorranese nella presentazione. I tredici capitoli sono cronache, storie sulle civiltà che dall’antico Egitto sono approdate fino a noi. Diventano, questi capitoli, resoconti pieni di risposte su determinati oggetti artistici antichi, che si trovino in Italia o in musei di altre parti del mondo. Se parla degli egizi, per esempio, ci deve dire anche il perché della presenza di certi obelischi o marmi nelle nostre piazze, o nella struttura di certi palazzi. Per cui il suo discorso parte da Cleopatra e arriva a Napoleone e oltre. Sistema, per questo, alla fine di ogni capitolo una tabella cronologica storico-artistica che parte dal periodo più antico a cui si è potuto risalire per le opere e non solo, e arrivando fino ai giorni nostri. Questo non è, come si potrebbe pensare, una dispersione ma una motivazione di certe presenze artistiche che provengono da civiltà diverse dalla nostra. Ma andando avanti nella lettura si comprende che in fondo, specie nell’ambito del mediterraneo, la cultura è patrimonio comune a tutte le civiltà che su di esso si affacciano. Capiamo, in questo modo, anche cosa vuole dire circolarità dell’arte. Nella sua ricerca estetica non trascura quelle che un tempo, erroneamente, venivano definite arti minori come la cartellonistica, il manifesto, l‘affiche. Ricordandoci che grandi artisti come Depero o Lautrec ci hanno consegnato, in questo settore, capolavori e autentiche rarità. Il lavoro di Daverio è come un albero, ramifica in più settori; è pieno di implicazioni, correlazioni. Il volume di oltre trecento pagine è ovviamente godibilissimo e per quanti simpatizzano per Philippe, ci terrà compagnia nella lettura per parecchio tempo. Illudendoci in questa di risentire la sua voce con il suo simpatico rotacismo. Salvatore D’Ambrosio Philippe Daverio, IL GIRO DEL MONDO DELL’ARTE, Solferino 2021 pp. 334 €26


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WILMA MINOTTI CERINI

SARA RUSSELL ROBERTO SALBITANI EPISTOLARI E MEMORIE CON IRWIN PETER RUSSELL di Domenico Defelice

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ATO a Bristol il 16 settembre 1921 e morto a San Giovanni Valdarno il 22 gennaio 2003, Peter Russell è stato un grande poeta che, per conoscenza e per lavoro, ha girato il mondo; oltre che in Inghilterra, è stato in Birmania, Malesia, Stati Uniti d’America, Canada, Germania Iran; errante anche nello spirito: “Era continuamente in viaggio dentro una cultura immensa – scrive il suo fotografo Roberto Salbitani - e la sua immaginazione ti faceva entrare in contatto fisico con miti e leggende del passato. Aveva imparato a leggere ed a esprimersi in una decina di lingue, tra occidentali, orientali e medio-orientali”. Ha combattuto in Europa nell’esercito

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britannico e, poi, arruolato in quello indiano, in Birmania e in Malesia. Ha insegnato nelle università di mezzo mondo ed era a Teheran allorché, nel 1979, è scoppiata la rivoluzione komeinista, costringendolo a fuggire precipitosamente, “portando con sé – riferisce la Minotti Cerini – una sola valigia, la moglie e i tre piccoli figli e abbandonando tutti i suoi beni: libri rari, i propri scritti, suppellettili, arredi irrimediabilmente perduti”. Si è sposato due volte; niente sappiamo del suo primo matrimonio; dal secondo, ci fa sapere sempre la Minotti Cerini, “con l’americana Lana Sue Long, nel 1975, sono nati tre figli: Kathleen Susan Sophia, Sara Elizabeth Christina e George Peter Parwiz”. Il primo approdo in Italia risale al 1964, a Venezia, dove precariamente risiede, pur spostandosi di continuo per l’insegnamento nelle università delle varie nazioni e dando lezioni per poche ore anche a Firenze; si stabilisce definitivamente, poi, a Pian di Sco’, in provincia di Arezzo, in un vecchio mulino – La Turbina -, dove coltiva l’orto, scrive e pubblica, autoprodotta e autogestita, la rivista Marginalia, con numeri alternati in inglese e in italiano. La vita a Pian di Sco’ è assai difficoltosa e precaria; il mulino lo si raggiunge solo attraverso un sentiero sterrato; un incendio e un’alluvione gli distruggono preziosi libri e lettere e documenti di grande importanza, frutto di amicizie e di contatti con i più grandi poeti e scrittori del Novecento, in particolare con Ezra Pound, che considerava suo maestro e che ha contribuito a liberarlo di prigione quando da tutti era considerato quasi un matto. In particolare, le notizie su Peter Russell e sui vari suoi spostamenti sono date dalla figlia Sara Russell, nella parte del libro a lei riservata: Appunti di vita con mio padre, da pagina 139 a pagina 153. Una vita difficile, quasi impossibile, quella trascorsa da Peter Russell con la famigliola a Venezia e a Pian di Sco’, nella sofferenza anche della fame. Wilma Minotti Cerini accenna a come si sia evoluta negli anni l’amicizia tra lei e il grande poeta. “Parlare di Peter Russell non è cosa facile e potrei sembrare persino presuntuosa nel


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farlo, in quanto mi raffronto con una personalità la cui cultura è vastissima e profonda al punto di rimanere stupefatti”. Egli, come già accennato riportando da Salbitani, conosce le lingue di tutti i Paesi nei quali ha soggiornato e insegnato, studiando a fondo non soltanto usi e costumi, ma, in particolare, la loro cultura e i loro poeti. Ma sono le lettere scambiate tra Russell e la Minotti Cerini, a iniziare dal settembre del 1977, a render chiaro questo rapporto che ha per molti aspetti dello spirituale; all’inizio, ovvio, c’è il lei, poi si passa al tu più confidenziale e intimo, segno di una comunanza di poesia e di amicizia. È l’incontro tra un poeta e una poetessa che hanno più di un sentire in comune e molti temi, che si confessano anche nei problemi di salute e, da parte di lui, nelle continue e spesso insuperabili difficoltà economiche, sicché la Minotti Cerini, sensibile e partecipativa, non manca di aiutarlo con versamenti e l’acquisto di libri, scrivendo lettere a giornali e a imprenditori, al Presidente della Repubblica, perché si intervenisse ad alleviare le sofferenze di un poeta d’eccezione, che ha amato l’Italia fino all’ultimo istante di vita. La cultura di Peter Russell era profonda e vastissima; egli dimostra la sua lucidità in tutti i campi, anche in quello politico: “…il fascismo era quasi una regola nei Paesi degli anni venti (se non Inghilterra e Stati Uniti) e la violenza e l’inegualità furono cose accettate. Il dopoguerra ci ha portato la “Democrazia” che ci ha deumanizzati e corrotto anche più del fascismo, anche se i poteri uccidono e distruggono molto meno dei “fascisti”. Pound erroneamente sì, ha sinceramente creduto che il fascismo di Mussolini fosse, per l’Italia, negli anni venti e trenta, la migliore cosa. Lui credeva nei vecchi valori sociali dell’ottocento (come me). Ha scommesso sul cavallo sbagliato”. In Iran egli, come scrive la stessa Minotti Cerini, “ha potuto approfondire un mondo a noi ignoto, e certamente il suo lungo soggiorno a Teheran è stato assai fecondo, non avendo peraltro quelle diffidenze mentali che ci provengono quasi geneticamente”. I pensieri filosofici di Russell sono sempre

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radicati nella realtà: “L’uomo insofferente dell’uomo; l’animale lo è, anche se in minor misura, con la sua specie, le radici lo sono con altre radici./ L’armonia chiede di sacrificare, decimare, onde evitare che il risultato sia un bosco selvaggio aggrovigliato, dove tutto muore per un po’ di vita. Il mio è un pessimismo cosmico preso in generale, per poi commuovermi sul particolare”. Descrivendo, a Russell, gli effetti dell’influenza, nel febbraio-marzo 1999 assai perniciosa, Wilma Minotti Cerini sembra descrivere gli effetti nefasti di Covid-19: “quest’anno è una strage; un invisibile ma temibile nemico ci ha tutti stesi… e pensare che sotto il microscopio ha pure una bellissima aureola! È incredibile come una molecola, spesso senza DNA ma solo RNA, abbia una strategia da scienziato, innanzi tutto sta in agguato e quando una cellula è in un momento di delicatezza, come il replicarsi, ecco che… entra e si aggrega al DNA umano per sottometterlo… intanto abbassa le difese immunitarie, oppure la temperatura… così usandoci costruisce un involucro ed è pronto a fare l’astronauta, quando con un colpo di tosse lo mandiamo a volare nell’aria. Da un punto di vista masochistico c’è da rimanere stupiti”. Per ribadire che sono lettere e non pezzi d’antologia (eppure in parte lo sono), la Minotti Cerini racconta del privato: “…mio marito è molto, molto simpatico anche se, per ravvivare la giornata, discutiamo sempre, a volte lui è sul pero ed io sul melo, ma è proprio questo discutere che ravviva il nostro rapporto che dura da 37 anni tra sguardi di odio e amore intenso. Ci vogliamo molto bene malgrado il suo maschilismo possessivo, a volte dopo una gran litigata finiamo col ridere, oppure ci teniamo il broncio per circa 24 ore e per meglio sottolineare la cosa sbattiamo un po’ le porte, quando si riaprono adagio significa che il broncio è terminato. Come vede ci mettiamo del carattere”. Da questi brani riportati, si può comprendere anche la godibilità di tutto il libro, al di là dell’aspetto letterario e documentario. Roberto Salbitani evidenzia come Russell fosse “uomo


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solitario e povero, ma indissolubilmente libero, aveva una grazia ma anche una forza di carattere che gli consentiva di dominare ogni cosa gli accadesse. La poesia avrebbe ribattezzato il mondo e riscattato tutto, rinunce e dolori”. Ed era privo di ogni alterigia, sicché dinanzi a lui nessuno si sentiva a disagio: “Ma non ci sentivamo in imbarazzo nonostante la nostra ignoranza perché il bello di stare con lui era quel suo porsi umanamente al tuo livello, interessandosi a te, a cosa facevi, alle tue opinioni su questo o quell’argomento. Solo quando si passava alla politica si infervorava contro i nostri slanci rivoluzionari: non voleva passare per un banale “conservatore” contestato da qualche illuso giovane di sinistra e faceva di tutto per farci riflettere, a ragione, sulle semplificazioni sottostanti il nostro scontento e i nostri pur legittimi ideali rivolti ad un mondo migliore. Ideali, appunto, più che ragionamenti”. Veramente un bel libro sotto ogni punto di vista, anche quello grafico dovuto alla cura che ha sempre distinto il lavoro della Venilia Editrice, alla quale fa capo anche la splendida rivista ntl (La nuova Tribuna Letteraria), una delle più qualificate nel panorama culturale italiano e non solo. Pomezia, 24 settembre 2021 Domenico Defelice WILMA MINOTTI CERINI - SARA RUSSELL - ROBERTO SALBITANI: EPISTOLARI E MEMORIE CON IRWIN PETER RUSSELL. In copertina, “Peter Russell al Lido di Venezia”, foto di Roberto Salbitani, del quale ce ne sono altre belle e artistiche all’interno; sulle bandelle, a colori, due opere di Thetis Blacker - Venilia Editrice, 2021, pagg. 180, € 18,00

ALLEGORIA Aspetto ogni mattino Che si riaccenda di colori Il mio davanzale sul mare Non so ma

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Tu chiami petunie I bellissimi colori che hai piantato Stupori che non raggiungeranno l’inverno Non hanno la pazienza e il coraggio Per resistere fino A un ‘altra primavera Salvatore D’Ambrosio Caserta

Ti ascolti (da La cortina dei cedri, di Ada de Judicibus Lisena. La Vallisa, Bari, 1986) Ti ascolti, come questo settembre ascolta nelle sue foglie l’incedere dell’autunno, come il solare uccello spia dentro il cuore richiami di lontane dimore. E sei più assorta dell’enigmatica luna, perché più della luna sali a vertigini nude: brividi di infinito tremore di spazi e di tempi mistero del nostro destino Du hörst auf dich selbst so wie dieser September dem Fortschritt des Herbstes in seinen Blättern lauscht, wie der Sonnenvogel in seinem Herzen die Anrufe von fernen Wohnstätten sucht. Und du bist vertiefter als der rätselhafte Mond, denn mehr als der Mond steigst du zu nacktem Schwindel auf: Nervenkitzel der Unendlichkeit Beben von Raum und Zeit Geheimnis unseres Schicksals (traduzione in tedesco di Marina Caracciolo)


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50 anni fa moriva

FRANCESCO PEDRINA di Domenico Defelice L 16 gennaio 1971, all’età di 74 anni, moriva il critico Prof. Francesco Pedrina. Stava lavorando nella sua villa di Brazzacco, assieme alla figlia Ilia, all’antologia Musa Greca quando si è sentito male. Era nato a Torri di Quartesolo, Vicenza, il 2 ottobre 1896; ora riposa nella tomba di famiglia a Grossa di Gazzo Padovano e sulla sua urna

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è stato inciso l’epitaffio da lui stesso dettato: “Qui non giace, sogna ancora/Francesco Pedrina/Da questa quiete ai Sereni Elisi/è breve il passo”. Non sappiamo con certezza la causa del decesso; è stato, forse, un mancamento del cuore. Negli ultimi tempi, gli stava venendo meno anche la vista e affrontava con sempre più fatica il lavoro, in particolare quello della correzione delle bozze delle sue numerose antologie sempre in cantiere, o perché nuove, o perché riviste e ampliate. Il 1969 e il 1970 sono stati per lui anni problematici. “Ho passato un’estate quasi sempre fuggiasco, dalla villa-rustico di mio figlio sulle colline a Vicenza e a Padova, imputando al clima gli effetti della tavola troppo imbandita… Dopo qualche giorno di dieta idrica (a base di mele cotte) ho trovato il mio equilibrio, con una diminuzione di peso di ben sette Kg (da 94 a 87). Su questa quota voglio stabilirmi definitivamente” (4 ottobre 1969); “…mi son fatto ricoverare all’Ospedale civile di Vicenza per certi disturbi circolatori seguiti da qualche vertigine (disturbi inerenti all’età e al desco che dovrebbe essere più frugale).” (26 novembre 1969); “attraverso un periodo infelicissimo, e temo di dover rientrare per la terza volta all’ospedale…” (Natale ’69 Capodanno 1970); “La mia salute è migliorata, quando ormai mi rassegnavo, perché alla mia età non si può più distinguere quello che è dovuto al morbo comune – l’influenza – e agli anni” (1


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febbraio 1970); “sono tornato nell’appartamento di Padova dopo varie degenze all’ospedale o nell’appartamento vicentino./Ora la mia salute è migliorata…” (22 .V. 1970); “La mia salute è molto migliorata.” (28. IX. 1970). Critico di fama internazionale e lavoratore onesto quanto indefesso: trascorreva più di otto ore al giorno nell’assolvere i suoi impegni con la Casa Editrice Trevisini e la cura dei tanti lavori per la Scuola Media e per gli Istituti superiori. L’opera che più l’ha assorbito negli anni e fino agli ultimi giorni è la Storia e Antologia della Letteratura Italiana, sia per i Licei che per gli Istituti tecnici per Ragionieri e Geometri, nei suoi continui aggiornamenti e conseguenti diverse edizioni, a partire, se non andiamo errati, dal 1952; nel 1964, sempre con la Trevisini di Milano, è stata stampata una nuovissima edizione in unico volume, interamente rifatta, di 1164 pagine: Storia della Letteratura Italiana ad uso delle Scuole Medie Superiori, con dei capitoli interamente dedicati alla letteratura moderna del Novecento, lumeggiando, in particolare, Ungaretti, Campana, Onofri, Montale, Quasimodo, Fiumi, Jenco, Capasso, Gerini, fino a I galli notturni di Elena Bono. Ma celebri sono anche se sue antologie, tra le quali Musa Greca per i Licei classici e Il Gonfalon selvaggio per la Medie. Altre sue opere importanti sono: Giuseppe Gerini (1964), Val Cordevole (1968) e I Promessi sposi (1971). Assolutamente inedito, invece, è rimasto il lavoro al quale, forse, teneva di più, perché il più creativo, sganciato da ogni interesse, anche da quello economico, frutto esclusivo dello spirito, dell’appagamento interiore e dell’esperienza: Vela d’argento. È un lavoro autobiografico, ma non solo, portato a termine un mese prima che morisse, legato, come lui stesso confessava, a “vecchie vicende”, alle quali “s’innestano le nuove, in omaggio all’epigrafe dantesca (…) “e quivi ragionar sempre d’amore”. Ma Vela d’argento – aggiungeva – oltre che all’isola delle belle, approda anche all’isola degli

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eroi e de’ poeti”, nel senso che in essa vengono ricordati e esaltati un gran numero di personaggi e non soltanto le belle donne, sulle quali – scrive – “Ho versato (…) gigli a piene mani” e, quindi, “non potranno che essere lusingate”. In Vela d’argento, Pedrina si racconta senza veli e senza ipocrisie, sempre, però, nel rispetto più assoluto dei soggetti ai quali si riferisce. Opera anche antologica, nel senso che i temi sono diversi e non manca neppure il sociale. Nel brano “Nelle solitudini d’Albania”, per esempio, da noi pubblicato negli anni scorsi, grazie all’invio da parte della figlia professoressa Ilia Pedrina, ci son le condizioni disastrose dei nostri giovani soldati, inviati allo sbaraglio, senza equipaggiamenti adeguati (pecca imperdonabile di sempre, questa nostra; un solo esempio: le scarpe di cartone dei nostri soldati in Russia!), mezzi e strumenti obsoleti, e privi anche di coordinamento, oltre che di logistica. Il giovane Pedrina, a leggere il brano, più che un soldato, ci dà l’impressione che fosse un Wanterer e di comportarsi come tale, accompagnandosi nelle sue escursioni e nei suoi incontri con le pagine dei poeti che lo hanno sempre entusiasmato e commosso. Ricco di pathos è pure “Il gesto di Gabriella”, altro brano pubblicato da Pomezia-Notizie, con quella giovane donna “snella, d’una acerbità non senza attrattiva, com’è dei molli pioppi che si lanciano leggermente frondeggiando all’alto”, che “aveva un gran bisogno di scambiare qualche parola, con qualcuno”; un incontro improvviso e imprevisto, ricco di stati d’animo, di poesia leggermente turbata come l’acqua limpida di un lago da una leggerissima brezza, non privo di tenerissima attrazione sessuale, perché “La donna che ama [e che si ama] si trasfigura, è bella d’un diverso fascino, e può essere investita dal tuo desiderio”. Un’opera di grande poesia, che ha avuto anche una traduzione in francese - anch’essa inedita - da Solange De Bressieux; un’opera alla quale egli teneva tanto e che non si è più pubblicata solo perché egli è venuto a mancare subito dopo avervi lavorato per darle


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l’ultimo tocco: “Ho lavorato in questi mesi a Vela d’argento e ormai il libro è pronto per la stampa” (14.XI.1970). Contiamo sulla gentilezza della figlia Ilia, perché ci faccia avere ancora qualche brano da ospitare sulle pagine del nostro mensile. Vela d’argento era il lavoro al quale più teneva Francesco Pedrina, che non vedeva l’ora di pubblicarlo perché, come ci ricordava anche Carlo Delcroix, era il suo “ultimo mirabile saggio”. Domenico Defelice FANNY SPARITA Ed ecco sei sparita dietro la cantonata ora lì soffia un vento costante nel sole che appare e spare dolce allegria di naufrago provo nel breve esilio di te che sei sparita dietro la cantonata. Ho alzato la mia vela d’inespressa speranza al fresco vento teso vela che freme e sbatte come un’ala ferita ha l’acqua il colore dei tuoi occhi occhi profondi d’acque trascolorate ed io che attendo naufrago vela alzata nel vento sbatte la mia speranza nel vento ala ferita. Elio Granillo Da: Chiave cifrante, Genesi Editrice, 2021

ANDREMO AVANTI, AVANTI Frettolosamente gente serva e senza amore ha annunciato al mondo che Ferlinghetti è morto.

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Lawrence non è morto! Non avete sentito la sua voce ferma vibrante il suo pugno alto incrollabile ammonire il debutto bellicoso del nuovo presidente? È vivo Lawrence è con noi non è morto! Andremo avanti avanti finché non saranno distrutti tutti i luoghi di abiezione e annientamento della vita. Andremo avanti avanti finché non saranno messe al bando tutte le bombe e tutte le guerre. Ferruccio Brugnaro Spinea, 1 marzo 2021

1) Era bello tenere aperta la porta, far entrare la sera e il suono delle campane, l’odore del pane, il cicaleccio dei bimbi… Dolce l’addio al giorno, lasciando uno spiraglio al domani. Invece bisogna sprangare gli usci mettere marchingegni alle finestre. E’ duro dover tenere cani a mordere il futuro. Lucio Zaniboni Lecco


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FRANCESCO D’EPISCOPO ARIA di Liliana Porro Andriuoli

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APPIAMO ormai da tempo (come abbiamo letto anche sulle pagine di questa rivista) quanto Francesco D’Episcopo, professore emerito alla Federico II di Napoli, da qualche anno in pensione, sia noto negli ambienti culturali accademici italiani e stranieri come critico letterario. Solo da poco tempo, invece, abbiamo appreso che egli è anche poeta in proprio. Infatti seppure probabilmente abbia sempre scritto poesie durante tutto l’arco della sua vita, la sua prima silloge poetica pubblicata risale a soli tre anni fa (2018) e s’intitola emblematicamente, Vita (Genesi, Torino). Ad essa hanno fatto seguito altre quattro: Sulla soglia del domani (Il Convivio, Catania) nell’anno successivo (2019) ed altre tre tutte nel 2020: Tempo (Il Terebinto, Avellino), Anima (Il Croco, n. 137, Supplemento al n. 8, di «Pomezia Notizie», RM) e Il cielo negli occhi (Helicon, Arezzo). C’è inoltre ancora da dire che ognuna di queste cinque sillogi è vincitrice di almeno un Premio Letterario! Dopo tale folgorante inizio è apparsa proprio in questi giorni Aria (AltrEdizioni) la silloge a cui vogliamo qui dedicare qualche osservazione. Il titolo, anche in questo caso, (come già avvenne per Anima), diviene sinonimo di poesia, della quale sta a significare la leggerezza e l’incanto. Nel Prologo, infatti, D’Episcopo dice che «Aria è … libertà, felicità, se si vuole,

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poesia, quando si libera da inutili orpelli», ponendo con ciò un’equazione tra la poesia e questo elemento naturale attraverso il quale ci pervengono le magiche apparenze del mondo. E di magie D’Episcopo ne scopre ad ogni passo, per poi tradurle in immagini vive e convincenti. Così è ad esempio degli «amici innamorati delle stelle» (Nebulose) e della vita che gli viene incontro ogni giorno «come una sirena, / che si sveglia al mattino» (Sirena) e ogni volta lo affascina col suo richiamo. Così è delle «sconfinate praterie», nelle quali egli corre con la fantasia, come un «cavallo impazzito» di luce, nel suo sogno di libertà e di splendore (Cavallo impazzito). E si tratta di un sogno che è poi sempre quello della poesia, che egli continua a sognare e nella quale trova il contrasto vita–morte che da sempre lo lega: «Un giorno, prenderò un treno, un bus, / che mi porteranno ai confini della terra; / di lì mi imbarcherò per solcare l’Oceano / e non tornerò più…» (Finis terrae), così come vi trova l’invito a guardarsi dentro, per scoprire la sua vera identità: «Non cercare altrove / ciò che sei. / L’isola è dentro di te / e ti forza a farti continente» (Ponza). Come sempre, si trova in queste poesie il ricordo della città prediletta da D’Episcopo, Napoli, la sua Patria più vera, che ognora l’affascina con la sua luce e la dolcezza della sua voce, per la quale egli dice: «Cercherò nel dialetto / l’aderenza alla parola» (Dialetto); così come l’affascina il Sud, con la forza del suo richiamo, fatto di verdi pianure e di paesi «distesi / sul crinale di un monte» (Sud), a fare da guardia ad ogni regione. Ed anche si trova in queste poesie l’affettuoso ricordo di coloro che D’Episcopo più ha amato e che ora non sono più, come il padre, che lo portava «sempre altrove» ed era egli stesso un «viandante di sogni» (Inquietudine). Né potevano mancare in una raccolta di poesie così varia e corposa come Aria, le poesie d’amore, qual è quella intitolata Un pezzo di cuore, nella quale D’Episcopo evoca una fiamma della sua giovinezza: «Chissà dove sei, / quanti figli avrai, / mi suggerisce quel


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pezzo di cuore, / che mi hai lasciato / in un prestito senza resa». Ed anche qui, come altrove in questo poeta, s’affaccia la meditazione improvvisa, che fa soffermare, come avviene in Ricordi: «I ricordi / rallentano il tempo» o in Luntananza: «Stamme luntane / e ce vulimme cchiù bene». Anche qui si trova poi, come spesso avviene nelle sue raccolte di versi, l’invocazione: «Lasciatemi essere / ciò che sono» (Lasciatemi). Ciò che maggiormente attrae D’Episcopo è però la riflessione sul nostro essere al mondo, che sovente s’incontra nelle sue poesie: «Siamo animali / spersi in una foresta, / in cerca di una capanna / in cui rifugiarci» (Sogno di parole); «Ci piace giocare, / a rimpiattino, / con il tempo, / che ci insegue, / con i suoi giorni / le sue stagioni» (Anni). Acuta è pure la riflessione contenuta in Amitié amoreuse, dove si legge ciò che si augurano due amanti: e cioè di «tornare ad essere estranei, / per amarsi come la prima volta». Talvolta il dubbio assale il nostro poeta, come allorché dice: «Forse la vita / impone ritmi / che non ci appartengono» (Vita). Forte però resiste in lui il desiderio della colleganza tra gli uomini, se li pensa «chiamati alla stessa mensa, / allo stesso mistero di stare insieme» (Mezzogiorno) e dice di sé: «La mia casa / è quella che ho voluta / senza volerlo / ma che poi, come l’amore, / mi è entrata dentro, / con tutto ciò che mi appartiene» (La mia casa). Talvolta nasce in lui un rammarico: «Sogno troppo / ogni notte / e, più passa il tempo, / più non ricordo» (Sogno troppo). Altre volte poi è un desiderio di affetto che lo tiene: «Il Papa aveva ragione: / basta una carezza / per illuminare il mondo» (Carezze). Un particolare rapporto nasce anche tra D’Episcopo e lo strumento di scrittura di cui si serve, la carta, della quale dice: «È una delle cose che più ho amato» (Carta). E sovente severamente si giudica: «È vero, io sono / selvatico in ciò che non so, / civile in ciò che so troppo» (Selvaticamente civile), esprimendo un puntuale giudizio sul proprio comportamento e su quello altrui: «Non amo il chiacchiericcio, / inutile e prolungato, / di chi non

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ha niente / da dire, da fare…» (Chiacchiericcio). Soggiunge poi: «Ho vissuto / con tutta la libertà e felicità / possibile, non asservendomi a nessuno» (Ho vissuto), traendo vanto dalla sua capacità di affrontare il destino: «Ho attraversato mari / tra tempeste e bonacce» (Per carità). Avverte inoltre la sua appartenenza al Sud, cioè a quella comunità di popoli del Mediterraneo che si proclamano “figli del Sole” ed amano la libertà e la luce: «Il Sud è di tutti / e non appartiene a nessuno. / Il Sud è libero e felice, / nella vita che ci costringe» (Libero e felice). In queste poesie di D’Episcopo scorre la vita, come sempre accade in lui, sicché esse nascono da ogni “occasione”; non c’è da stupirsi pertanto se possono trarre l’origine dal suo insegnamento universitario, come avviene in L’orologio della Minerva o in Università. E sempre ritorna in loro il volgere delle stagioni e ritorna Napoli, la sua città dell’anima: «Napoli si veste d’inverno / e inonda di sole / la nudità del tempo» (La nudità del tempo). Una buona parte di queste poesie ha poi per argomento l’amore, con i suoi incantesimi improvvisi e i suoi soprassalti della memoria: «E poi ti ho con me / a dire e ridire / le proteste del tempo, / la rivolta della parola / al peso che l’avvolge» (Vivi); «E ti avrò, / perduta tra le righe scritte / mentre affoghi la testa tra i cuscini / nella pigrizia di levarti, / forte e suprema come prima» (Come prima). Come sempre in D’Episcopo, ha poi una grande importanza il discorso sulla poesia, che nasce dalla vita ed è vita: «La vita è ritmo, / la poesia è ritmo, / fa male essere stonati / nella vita, nella poesia» (Ritmo). Ritorna tra questi versi anche il tema della vecchiaia, che sempre induce il nostro poeta ad assorte riflessioni (Vecchi e giovani), così come ritorna il ricordo della terra degli avi, il Molise, con la sua genuina anima segreta (Molise) e riappare il motivo del richiamo dell’arte della parola: «Stamattina ho voglia di scrivere» (Stamattina); «Mi sono scoperto / pellegrino di parole» (Pellegrino di parole). Anche la natura s’affaccia poi in questi testi, con schiettezza e verità: «Respiro alberi, fiori,


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giardini. / Respiro acque, mari, fiumi» (Respiro) e sempre c’è in essi il forte legame con la vita, cui il poeta si rivolge con sincero abbandono: «Vita, che continui a farmi compagnia, / solo tu sai chi sono» (Sempre vita). Nel volgere delle stagioni D’Episcopo continua così a inseguire i suoi fantasmi; ed essi gli procurano momenti di autentica felicità, che gli giunge nell’attimo della creazione, sia che parli del mare («Il mare è libertà, ritorno alle origini» – Mare), sia che parli dei figli (si vedano Figlio, A Mario), sia che parli della poesia (si vedano Parole perdute) o di altro. Fluido scorre sempre il suo verso, che da ogni cosa sa trarre materia di canto. Ed è nel canto che egli si realizza e trova il suo compimento. Liliana Porro Andriuoli

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sanno sempre nel controcanto quando muovere il loro canone inverso. Salvatore D’Ambrosio Caserta

2) La nuit avance e la ville de noir se teint. A l’improviste un rire éclaire le mystère: en mini-jupe la lune séduit le ciel. Lucio Zaniboni Lecco

L’UNICO Se tu fossi qui leggeremmo ad alta voce Heine come un tempo e sto seduto su questa sponda altissima del Chisone scrivo a matita simboli su piatte pietre che getto all’acqua fosca compressa dal gran vento. Elio Granillo Da: Chiave cifrante, Genesi Editrice, 2021

CONCERTO A SCHÖNBRUNN E scioglie certe sere Venere la sua cintura rosa. Sui fianchi del mondo allora cade il cielo più bello della sera. L’indaco che abbraccia il viola cola una seta blu piano trascinando l’esitante brillio delle stelle a fare come ogni notte il turno in un concerto. Lassù però- tremando un po’-

Close your eyes Questo pallore di luce filtrante... E questo copriletto di piqué... Luce crepuscolare poesia crepuscolare. Com’è bianco questo copriletto! È quello del mio letto di bambino. È la luce dell’alba o del tramonto? Sono le sei e mezza, se non sbaglio. Ma le sei di mattina o di sera? Come la sanno lunga queste donnette vestite di bianco... Credono che sui ricoverati abbia potere di vita o di morte il primario (e ridacchiano tra loro). Chiudimi gli occhi, mamma! Io non te li ho chiusi e per questo li tieni ancora aperti. Corrado Calabrò Da: La scala di Jacob, Primo Premio Città di Pomezia 2017, Edizioni Il Croco/PomeziaNotizie, 2017


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DOMENICO ANTONIO TRIPODI PITTORE DELL’ANIMA di Carmine Chiodo

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OMENICO Defelice, noto ed apprezzato poeta, scrittore, giornalista, saggista e critico d’arte, illustra assai bene la personalità e l’arte pittorica dell’altrettanto geniale Domenico Antonio Tripodi, celebre pittore, appunto, <<che lascia la bottega d’arte del padre Carmelo, pittore, scultore e parte per Certaldo, patria del Boccaccio>> e poi altre tappe, luoghi, frequentazioni artistiche varie e mostre in tutto il mondo delle sue opere. Il libro, o meglio, la monografia è scritta in modo chiaro, e ci dà tutta una serie di informazioni biografiche, come pure sulle opere di Tripodi, che è nato, come si diceva all’inizio della scheda, in una famiglia di artisti: il già nominato padre Carmelo e, poi, gli altri fratelli. Orbene, Domenico Antonio Tripodi è calabrese di Sant’Eufemia d’Aspromonte e qui nasce il 9 giugno del 1930, e come dice

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in una intervista rilasciata a Defelice, la <<prima pittura>> che ha visto <<è stata quella di mio padre davvero bellissima: la pittura in questione ritraeva le anime del Purgatorio, avvolte nelle fiamme>> e una tale pittura influenzò e suggestionò molto il fanciullo Domenico Antonio che, poi, fattosi grande e affermato artista, illustrò la <<Divina Commedia>> di Dante: le sue tre cantiche e su queste illustrazioni la critica più qualificata ha espresso giudizi lusinghieri. Lo ricordavo prima che Tripodi ha avuto molte frequentazioni artistiche, in vari luoghi e regioni italiane, ove pure ha sostato e lavorato (ricordo la Toscana, il Piemonte e poi città come Milano e anche qui ha avuto occasione di intrecciare amicizia con altri artisti). In sostanza, il Tripodi restauratore e pittore ha svolto una intensa e proficua attività artistica e ha prodotto opere esposte non solo in Italia ma pure all’estero, in varie parti del mondo, ove ha portato la cultura e la poesia, per esempio, della <<Commedia>> dantesca, in Russia. Domenico Defelice, con questo suo prezioso libro, scritto da scrittore in certi frangenti ma anche da esperto critico d’arte, mette a fuoco in ogni suo aspetto umano e artistico la figura di Domenico Antonio Tripodi, giustamente definito <<pittore dell’anima>>. Il libro in esame è, lo ribadisco, scritto da un artista che scrive su un altro artista e ne illustra alla perfezione le opere di Tripodi e i vari giudizi critici che nel corso del tempo si sono registrati su di esse, come pure viene dedicato spazio alla poesia di Tripodi, connessa ovviamente alla sua attività pittorica. La monografia è introdotta dallo stesso Tripodi, che parla in modo stringato ma efficace della sua arte, della sua pittura, <<varia nei modi, nei luoghi e nei tempi>>. Come ancora afferma che, da un lato, ha guardato alla creatura umana, vista <<immersa nelle sue problematiche sociali e civili, religiose e culturali >>; ed ecco <<il filosofo>>, il dipinto che lo stesso artista ritiene il suo capolavoro, anzi, uno dei suoi capolavori. Poi, sempre Tripodi ci parla


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di un altro versante della sua arte creativa, quello che attiene al mondo animale e, in particolar modo, agli uccelli, rappresentati nei loro voli, <<nelle varie circostanze della vita e nei ghiacci rantoli della morte.>>, e son citati i cormorani e i gabbiani dell’isola di Capraia, e poi ancora i falchi che <<volteggiano sulle cime e sui dirupi dell’Aspromonte>> (l’artista viene chiamato Aspromontano e come poeta dedica poesie agli uccelli). Ora cito alcuni suoi quadri che sono stati esposti in varie parti del mondo, come<<Giovane Bagnarota>>, <<Fagiano>>, <<Giovani cormorani>> (è una china), <<Germano reale e Colino della Virginia>> (tempera, cm 30 x 45), <<Asina curiosa>> (tempera, 1980, cm 13 x 18), per esempio. Ma sono ancora da citare altri: <<Piani d’Aspromonte>> del 1976 e poi <<Il poeta Antonio Martino>> del 1999 (è un acquerello di cm 16 x 25) e, infine, ecco l’altro suo capolavoro che sono le illustrazioni delle tre cantiche della Divina commedia dantesca. Defelice illustra in ogni minimo particolare l’arte pittorica che presiede a queste illustrazioni della opera dantesca e dei suoi vari personaggi e atmosfere evocati nel sacro poema. Questi dipinti danteschi hanno suggestionato e riscosso il plauso di tanti visitatori e lo stesso vale tuttora. Tripodi ha contribuito alla comprensione e alla diffusione di Dante in varie parti del mondo, richiamando e conquistando un pubblico vario ed estesissimo. Lodevole pure, da questo punto di vista, la sua opera di pittore della poesia di Dante ed ancora è da dire che tutte le volte che Tripodi esponeva queste opere su Dante e parlava della sua poesia, accorreva e accorre numerosissimo pubblico; opere che hanno avuto un grande successo nelle scuole e anche in ambienti diversi. Ho già ricordato che Tripodi ha portato queste sue opere su Dante a Mosca e siamo nel maggio – giugno 2005, e qui si incontrano artisti russi e italiani e si parla, si discute di arte e di poesia, musica e nel frattempo si fanno buone amicizie e tutto ciò si svolge -come ci informa Tripodi - <<sotto lo sguardo benevolo di Dante e di Alexsander Sergey Pusckin>>. Varie opere dantesche di Tripodi sono rimaste a

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Mosca e ancora Tripodi ci informa che i <<russi amano Dante, tanto da portargli fiori freschi e vibranti versi della <Commedia> nel ridente giardino <Ermitage> ove il Vate, modellato mirabilmente nel bronzo, colloquia con uomini illustri di ogni tempo e mira il suo nome a decoro ed emblema della Biblioteca Centrale di Mosca>>. In concreto, Dante <<ha preso la vita>> di Tripodi e ora la figurazione della <<Divina Commedia>> c’è tutta: <<Inferno, Purgatorio, Paradiso>> e c’è di mezzo pure Gioacchino da Fiore, che è stato raffigurato dall’artista calabrese <<con esito grande>>. Comunque i critici d’arte, i grandi critici d’arte hanno giudicato assai bene l’opera di Tripodi su Dante, qualcuno ha parlato di un <<Dante universale nella pittura>> di Tripodi e mette in evidenza come l’artista – dantista Tripodi ha <<varcato ogni barriera tra l’umano e il divino>> offrendo una nuova interpretazione delle tematiche che formano il <<Purgatorio>>. Tutto sommato, Tripodi è un colto e grande <<explicator dantis>> e a Dante son dedicate ben 150 opere che illustrano molto bene il viaggio del poeta nei tre regni ul-


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traterreni e si tratta di un viaggio pieno, o meglio, <<tutto luce –colore>>, un viaggio di spiritualità e, quindi, salvifico. Il pittore -interprete Tripodi crea un sempre <<nuovo, lucidissimo itinerario della mente in Dio>>. Defelice spiega nei dettagli e da buon intenditore d’arte le varie figurazioni della <<Commedia>> di Dante e si sofferma e spiega in profondità episodi, ambienti, personaggi, incontri del poeta nei tre regni e il tutto viene presentato con un linguaggio efficace e penetrante, e al riguardo si rinvia il lettore alle pagine in cui si parla di Manfredi, con il suo <<capo>> che ha <<appena toccato il terreno nell’improvviso gelo della morte. Le pennellate concave sono quanto mai realistiche e rendono il contatto violento col terreno nella caduta – ‘E cadde come corpo morto cade […]’, sollevando quasi a raggiera schizzi di fango e di sangue>> (p, 23); si rinvia il lettore a ciò che ancora Defelice afferma a proposito di Ulisse, raffigurato mentre contempla Troia che è in fiamme (si veda p. 24). Ben descritta dal critico e poeta Defelice la figura di Beatrice e di altri personaggi; Defelice ci indica le varie modalità con cui Tripodi raffigura i personaggi o le atmosfere del poema sacro di Dante. Insomma, questo libro è un’ottima guida di cui disponiamo per entrare e capire meglio l’opera creativa e la personalità di un grande artista come Domenico Antonio Tripodi, conosciuto e apprezzato in varie parti del mondo. Il bel libro contiene pure una intervista che Defelice fa all’artista che è utile leggere in quanto sono riferite notizie, come pure elementi importanti per capire e introdurci nell’opera creativa di Tripodi, al quale, tra tanti altri meriti, bisogna pure riconoscere che egli ha svolto una intensa attività di restauratore di varie opere d’arte, in Lombardia <<e principalmente a Milano dove>> è stato per oltre trent’anni. Anche <<in Piemonte e in Calabria>> ha fatto <<tanti recuperi di antiche e importanti opere d’arte>>. Carmine Chiodo Domenico Defelice, Domenico Antonio Tripodi Pittore dell’anima, Gangemi Editorial International Arte, Roma 2020.

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Un libro da leggere e da regalare:

“…Il volume contiene 21 racconti, che trattano i temi più svariati: dai problemi sociali, come la mafia, ai ricordi familiari, dalla memoria di eventi giovanili alle incertezze dell’adolescenza, dalle descrizioni naturalistiche allo scandaglio interiore dei suoi personaggi, ma tutti i racconti sono legati da un sottile e coinvolgente autobiografismo. A legarli è un io protagonista (…) I vari personaggi, in una carrellata caleidoscopica di caratteri, emergono con la loro individualità, tanto che il volume appare quale ricco mosaico che evidenzia un affresco delle condizioni ambientali, spesso speculari a quelli vissuti nell’infanzia o nell’adolescenza, ma senza rimpianti o malinconia, lungo un percorso ideale che giunge a una espressione di maturità e di saggezza, raccontata con imparzialità, anche se velata da una particolare emotività. Emblematico in tal senso è In viaggio con Google, racconto che unisce la modernità al passato e al ricordo. (…) Il pesce (g)rosso, giocando sull’ambiguità semantica del pesce rosso racchiuso nella boccia di vetro e il pesce grosso inteso come capo di una cosca mafiosa, dà l’occasione di trattare il tema della delinquenza organizzata…”. Angelo Manitta Da: Il Convivio, gennaio-marzo 2021 Genesi Editrice – via Nuoro 3 – 10137 Torino – genesi@genesi.org; http://www.genesi.org – Pagine 210, € 12,00


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MILIARDI FACILI FRA TANTO MALCOSTUME E MISERIA ATTORNO di Leonardo Selvaggi I ILIARDI che piovono dall’alto, la divina Provvidenza favorevole ai divi del calcio. Tutto quello che si fa, seguendo norme di correttezza e i sentimenti fondamentali che possono ravvisare la vita di tutti, rimane sempre tartassato: patimenti continui, sfortune, solitudini in una società scomposta, egoista, arrivista che si muove secondo istinti belluini. I divi del calcio che sfolgoreggiano sulle arene, variopinti, sobbalzando come attratti da forze magnetiche, scontrandosi e inalberandosi, spinti dalle urla dei tifosi, idoleggiati da fragorosi richiami di ovazione, eccitati da folle estasiate dalle tribune e vaneggianti. Clamori che erompono dando ad ogni individuo furori di esaltazione che paiono vento di tempesta, che si frangono, si ammassano, travolgono, perso ogni controllo razionale. Voci osannanti come ondate di belve inferocite nell’aria immota, dallo stadio delle Alpi di Torino arrivano sotto le case. L’altezza del divismo smantella il giusto rapporto fra i campioni e il pubblico, provoca reazioni sconsiderate, perdita di senso della misura, l’istintivismo si fa dominante e assalta. Il divismo mette antagonismi insensati tra i tifosi, che spesso si trovano in scontri, scompigli, in invasioni di campo, accatastamenti micidiali. Il divismo ha per piedistallo masse di miliardi, squilibri economici e tanta povertà

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che langue. Gli stadi come infiammati si fanno informi, spersonalizzati, infatuati da grandezze inconsistenti. II Occorre livellare questi gloriosi campioni nazionali, sradicare i tanti scandali insorti, portati subito nell’ombra. Una remunerazione per giocata, anche se notevole, ma non affondare questi fortunati nell’empireo dei miliardi. Denaro a valanga che va sperperato in vizi, lussuria, in estrosità e stravaganze, deridendo e pestando i miseri storditi e nullificati da irrazionalità ostinate in tempi cosiddetti evoluti che potrebbero avere modi e mezzi per ragionevoli ridimensionamenti. Ancora giungle retributive diffuse, sempre maledette e mai eliminate, come se il denaro dovesse riconoscere figli di varia provenienza, intelligenze superiori. Si tratta di antichi recinti privilegiati, solo con arbitrio e prepotenza incancreniti. Giusto considerare le mansioni diversificate, i tanti livelli di responsabilità e di preparazione, non remunerazioni che sanno gli sperticati sbalzi senza giustifiche portando a formazioni classiste, a divari inconcepibili. Denaro sottobanco, dispensato a piene mani e pensioni che non permettono la sopravvivenza. Denaro esorbitante che passa per tutte le forme di perversione, pieno di cocaina, sventolato in nottate di bagordi, in malcostume che deformano la psiche, portandola ad alienazioni, ai più sofisticati edonismi distruttivi dei principi più elementari della morale. La remunerazione data come manna caduta dal cielo non fa lavorare con dignità e impegno, dà solo prosopopea e vacue glorificazioni. La ricompensa va rapportata con una certa proporzionalità ai meriti, alle capacità, alla diversità del lavoro. In questo modo non si crea odio, conflitti. Una giusta commisurazione non porta l’uomo ad essere ingordo, insensibile, superbo, distaccato entro l’intero contesto sociale. Davanti ai miliardi i tifosi si sentono vanificati, folli sobillatori. III Scissioni e sperequazioni, assenza collaborativa, vanità a non finire, lusso, incomprensioni.


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L’uomo superiore per il denaro facile, vuoto, tutto apparenza, avulso da concretezze di giudizio, uomo camuffato, ipocrita, automa, che ha perso le linee delle leggi naturali. Turbolenze e recinzioni, piaceri materiali, ricerca di evasioni, mancanza di sintesi con se stessi. Si viene ad avere una società aggressiva, insoddisfatta, sconnessa, sbalzata da un ambiente di vita collettiva amalgamata, costruita con tessiture resistenti che garantiscono progressi secondo principi sani di equilibrio e di stabilità di rapporti. Il denaro dato a dismisura non ha valore, porta ad evadere dal senso del dovere, da morigeratezze, da pensieri che approdino a utili realizzazioni. Tutto per il vago: personalismi, contrapposizioni, frivolezze, assenza di dialogo, disorganicità, sviamenti da mete preordinate. Nessuna compattezza, nessuna energia individuale e collettiva che possa sincronizzare gruppi e settori. Divisioni che trovano pochi incontri. Aule parlamentari semideserte, il troppo denaro porta alle divagazioni, agli accordi taciti che sanno di illecite diserzioni, nessuna coerenza e volontà univoca nell’agire. Elucubrazioni senza contenuti, nessuna facondia che attinge a forze interiori sofferte, a rannodamenti e a decisioni, senza iattanza e confusioni, senza alterigia e senza assalti, l’uno contro l’altro, perso ogni contegno, decaduta l’onorabilità da grandi responsabili. Attribuzioni arbitrarie di prebende, aumenti di remunerazione oltre i livelli razionali, un vero prepotere, un disumano rifiuto di convivenza civile. Il denaro fine a se stesso è avidità, inguine grasso, intelligenza ammorbata. Lascia dietro stati di disconoscimento di virtù, di forme pure di saper vivere. Ritorniamo alla giungla, pericolo di cadere repressi, di affondare sempre più nell’indigenza. Differenziazione abissale di benessere che conduce a rabbia, a disamore in piena contradizione con i tempi progrediti che portano a discutere sempre più sul senso della giustizia, sul livellamento dei popoli. IV Funzionari incartapecoriti, apparato giudiziario con amministratori disseccati come duri

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ciocchi di cerro nel soffice ermellino. Vanità ed egoismi, amministrazioni sclerotiche che creano disfunzioni sempre allargate, solitudine e lontananze. Cattiva gestione del bene pubblico, mancanza di interventi, generale corruzione, disgregazione, ognuno va per conto proprio. L’essere umano come diviso in svariate appartenenze, spaccato in forme contrapposte. L’uomo protetto, dominatore, l’uomo prostrato senza forza negli arti, spezzato dalle avversità di ogni tipo. L’infelicità dell’uomo attecchisce tra la disgregazione societaria, le sperequazioni economiche e gli stati di salute precaria. Le disavventure vanno da sé, senza soccorsi, senza una speranza che esista una reciprocità di intese. Miliardi dispensati con tanta generosità, mentre tanti navigano dentro le sciagure, nei miasmi, desolati come in un deserto, tra burocrazia, formalismi e frammentarietà di vedute, danneggiamenti come infestazioni e pantani. V Contraddizioni sempre più addensate in uno Stato che pare in questi ultimi anni senza frontiere. Emigrazioni in massa da ogni parte in modo clandestino che devastano come cavallette assetate e infocate i campi aperti senza recinzioni. Le leggi sono le grida manzoniane, senza forza decadono, dettate da gruppi privi di ascendenza, senza veri legami con la maggioranza, artificiose e sempre tirate dalla parte dei privilegiati. Demagogia, atteggiamenti altezzosi di parlamentari aridi, che vengono da campagne elettorali condotte con ipocrita propaganda. Promesse vacue per raggiungere le poltrone danarose, che comportano sicurezza personale, vantaggi per particolari, chiusi recinti di clientelismo. I giocatori del calcio abbiano i loro mestieri e vengano chiamati nei giorni delle competizioni. Saranno più veri campioni, naturali senza ricorrere a medicine che falsificano le potenzialità di attacco e di resistenza. Si ha una catena di malcostume con i soldi avuti a palate. Anche gli stadi non saranno pericolosi, non si avrà il timore di rimanere incatenati con rischio per la propria vita in momenti di eccesso di folla. Il divismo fa


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incretinire, accumula quei tanti fannulloni che dimorano davanti ai caffè intere mezze giornate a filosofare sulle partite. Si starebbe negli stadi sereni anche se con un certo accanimento di partigianeria, ma con il buon senso, non da invasati. Togliamo lo spreco di ore interminabili televisive dedicate al calcio con certi sapientoni ben pasciuti che sanno vedere tutte le sfumature, in discussioni insulse da perditempo sugli incontri della giornata. Al loro posto mettiamo programmi che servono. Si tratta di puri calci, spinti da forza fisica, non mossi da particolari doti, che si snodano con meccanicità mentre si corre e ci si addossa. VI Sarà un fiume di soldi che corre nel settore del calcio, dove vanno a finire tutti gli introiti non si sa. Senza divismo, instradando il denaro per vie migliori. I tifosi melensi cominceranno a mettere giudizio, a pensare ad altro. Il divismo e tutte quelle forme di strapotere che creano arricchimento con i conseguenti intorbidamenti della struttura sociale costituiscono una chiara dimostrazione di pessima amministrazione. Vediamo il denaro come tesaurizzazione a vantaggio di pochi eletti, non mezzo per migliorare la vita della comunità intera in un insieme più ravvicinato e umano senza troppe discrepanze distruttive. Su questa terra eletti siamo tutti, con la felicità di essere venuti al mondo, con la passione di vivere, con la speranza di avere una società più vera e razionale. Il denaro che corre in modo folle, senza le studiate direzioni, fantomatico, non gestito con programmi oculati, ma buttato con canestri stracolmi in poche tasche, porta con sé sfrenatezze, si rompono gli argini con allagamenti e frantumazioni, emergono deserti dove non si ha un sorso d’acqua per lenire i morsi di ferite antiche. Il denaro che non ha la giusta contropartita è pieno di peccati, apre voragini, toglie possibilità di appianamento con una vita regolata dal senso di sufficiente. Cresce il materialismo che nei tempi nostri è dilagante, toglie consistenze e i valori positivi all’esistenza umana, l’edonismo che fa divenire smaniosi, esacerbati, astiosi, nevrotici, mai paghi di sé.

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Con esso viene a intessersi tutta una rete di fatti malsani, una sottile, ramificata innervazione di cattive usanze dirompenti. Il consumismo, frutto del superfluo, bisogna vivere alla giornata, oggi si dice, non si pensa più al risparmio, che significa previdenza e metodo di vita, saggezza, senza irrequietezza e senza correre come pecore matte, tutti insieme in masse indistinte lungo le autostrade, a festeggiare in ogni momento, a tutte le età. I divari di senno non esistono più, i maturi come i piccoli tutti presi dalla voglia di evasione. VII Le mode s’impongono meccaniche, scriteriate. Un fiscalismo esoso automatizzato che pesa sopra le magre tasche, individui che mal si tengono uniti, pare che mordano la cavezza in un ambiente sociale diffusamente anarchico, leggi contorte, mancanza di cammini per tappe, disamore per la propria terra. Giusto che i rapporti si allarghino, che gli stranieri arrivino in Italia per avere culture arricchite, ma sempre secondo un piano, non esodi di irregolari, senza mestieri, senza ingaggi contrattuali. Si intorbidano le acque, non si vive sicuri, esigenze e disaggi ammassati, i campi si coprono di sterpaglie. Gli sconfinamenti eccessivi fanno indeterminatezze. Giocano falso pietismo, religiosità formale, istintivismi scontri di mentalità, spirito di arrivismo, impazienze, avidità cosparse che corrodono le parti che si tengono compatte. Una diffusa confusione le emigrazioni a flusso continuo, tanti islamici e mezza Romania in Italia. Squilibri fra i luoghi di provenienza e il nostro territorio che si addensa, creandosi convivenze difficili, commistioni spesso nocive, nuove forme di violenza, più intrecciati legami tra gruppi di per sé già considerati isole di malavita. Uno stato di instabilità e cattiva amministrazione, gli stranieri vengono ad essere in molti casi di turbamento di fronte a quella certa omogeneità sociale un tempo più o meno consolidata. Regolarizzati e inseriti, non torme disorientate, frenetiche che vogliono raggiungere il benessere subito. Li vedi vicini assillanti se sei loro di aiuto. Il sorriso sul viso come stampato per servirsi con


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prontezza delle circostanze favorevoli. Davanti agli interessi li vedi d’un tratto oscuri di sguardo, acqua intorbidata, con istinto assalitore. Non conoscono regole e ordine né la necessaria successione di tempo. In Italia, un paese invecchiato, gli emigranti dai paesi dell’Est trovano rifugio immediato, in promiscuità di arrivi, si adattano a tutte le situazioni. Una specie di sacco di stracci, si gonfia di continuo. Sono favoriti dal bigottismo e dal falso aereo ecumenismo. Trovano assistenza facile presso uffici di accoglienza, tenuti da abili intrallazzatori e da attive e moderne monache. Nelle città del Nord se giri nei luoghi più malfamati e attorno alle stazioni centrali si ha un senso di smarrimento, hai paura di trovarti fra errabondi, non sai se ritorni integro a casa. I connazionali immigrati al Nord avvertono ancora rigurgiti di razzismo, sempre con rancore visti uguali ai parenti stretti, incrostati di ruggine. Astio e acrimonia in modo larvato si indovinano nei loro confronti. Sono più favoriti gli stranieri, per loro abbondanti le distribuzioni di alimenti, borse piene molte volte sprecate, rendendosi non corrispondenti ai bisogni. Ai terroni degli anni ’50-70, onesti lavoratori, ancora legati agli stenti, allo spirito di sacrificio e di sopportazione di antiche origine tutte le strade erano chiuse, considerati dai Piemontesi tutti analfabeti, malfattori, incivili, sudici. Le loro ostinate volontà, resistenti in ogni tipo di disaggio, con orgoglio, semplici, veri protagonisti della Grande Torino di “Italia ‘61” con la loro pacifica collaborazione e senso del dovere. Calpestati dal razzismo più ingiustificato, in uno scontro di odio e gelosia. I terroni non hanno mai chiesto nulla né qualcuno veniva incontro, si era in una completa segregazione. Cartelloni a caratteri cubitali declamavano ad alta voce di non fittare case ai meridionali, di tenerli lontani come esseri appestati. VIII Rispetto del bene pubblico e modi di essere più aperti occorrono, ai fini di ricostruire una convivenza che dia benefici reciproci. Un dia-

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logo che apporti scambi di idee, compartecipazione più interessata ai problemi nazionali. Spirito nazionalistico che raccolga i brandelli di anarchia, di disfattismo, di personalismi dissolvitori. Occorre liberare vecchie occlusioni che rendono la vita di tanti come fasciata, snellezza e compenetrazione, più concreti e senza indolenza, più senso di dignità, di carattere, di superiorità senza essere corrivi verso le amorfe costumanze che passano per progredite. C’è una infestante idolatria per certi aspetti subdoli, si perde autonomia, ci si attorciglia nei gangli dei meccanismi, l’automatismo rende fragili, svirilizzati. Quelle energie connaturate prigioniere, integre, che si sentono ancora presenti in noi dobbiamo riprendere, ripercorrerle, facendoci più rinvigoriti in strutture che mirano a principi morali saldi ed edificanti. Tutto in una ingarbugliata rete di inganni. Si lascia fare tutto sull’onda di corrotte, mitomani, smagliate forme amministrative. Più realistici e per le essenzialità. Occorre procedere. Vanno smosse dalle radici certe forme di operare insulse. Viva partecipazione, attaccamento dovremmo avere non nei discorsi che senti ripetitivi da persone annoiate intorno alle partite di calcio, in ogni luogo, in ogni ora, ma per questioni di altro respiro, quelle che mirano a dare vitalità ai nostri giorni, che aspirano a sradicare vecchie storture politiche, pregiudizi e orgogli che non fanno altro che fermarci, tenerci l’uno contro l’altro in egocentrismi attanagliati. Quel senso plateale di furioso trasporto che si nota dalle tribune degli stadi sarebbe opportuno averlo nei rapporti interindividuali per generare un ampliamento di vedute, una certa passionalità nell’essere vigili sulle problematiche pubbliche. Si direbbe opportuno un interesse maggiore nel vitalizzarci nel senso dello Stato, tutti insieme con vicinanza alle istituzioni per renderle movimentate, meno sclerotiche e antiquate, ma strumenti provvidenziali per una vita più consona e corrispondente ai fini essenziali che ci toccano. IX


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Memorabili sono i festeggiamenti delle vittorie calcistiche riferiti ai campionati mondiali di diversi anni fa. Un senso corale, nazionalistico, una felicità diffusa che esaltava. Dalla gran parte dei balconi di Torino sventola il tricolore, quasi tutti hanno una bandiera; la sua sacralità di un tempo, il simbolo della Patria, oggi si conserva in ogni angolo e si è pronti a inalberarla. È un pezzo di stoffa colorata, lo strofinaccio per le mani o un pezzo di stoffa per vari usi. Prima era raro trovarla perché macchiata di sangue, perché bruciava infiammata vicino alle barricate. Sentimento di esultanza, grido di gloria, ferite lancinanti al petto nell’assalto al nemico. È morto un bambino in questa festa nazionale dei tifosi del calcio, ha avuto il cuore spaccato da una mano forsennata che inneggiava coi pugni frenetici alla gloria dell’eroico Baggio. Il trionfo italiano ai mondiali contro il Niger ha fatto esplodere per le vie confusione e chiasso; disgusto per l’esagerazione di un campanilismo volgare e insignificante. A Torino una serata da ricordare per bassezza e decadenza di civiltà. Torino è un trionfo di macchine strombazzanti e di sbandieramenti; istintivo convulso movimento per le strade, spari da fine anno, allegria ingenua da carnevale. L’idolatria richiama inerzia, maleducazione, violenza: il senso dell’autocontrollo viene distrutto, ritorna il primitivismo; corruzione e sempre istintiva bestialità. Andiamo indietro, sempre da trogloditi con i miliardi dispensati come fossero carta-straccia, attaccati rimangono brandelli di sofferenza e di stenti di tanta gente. Contraddizione oggi più che mai con i principi di intercomunicazione, con gli auspicati passaggi a forme più giuste e commisurate. Siamo tanto lontani dalla ideologia di Pierre de Goubertin, creatore sommo dello spirito di agonismo e di educazione alla vita sportiva e allo spettacolo di una espressine pura di confronto e di vicinanza dei popoli. Un significato più alto di uguaglianza, quando si annienta la superiorità fisica fine a se stessa per far primeggiare la virtù della gara; cultura di bellezza e di prestanza, esercizio di forza e resistenza del corpo allenato. Non siamo alla lotta dei gladiatori, con sadismo e

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furore tutti contro il vinto. Il campione non è mai il vincitore, ma chi ha condotto la partita con spirito di gioco e amore fraterno. Torino, 20 giugno 2004 Leonardo Selvaggi

NUVOLE BIANCHE Nuvole bianche montagne di cielo trapassate di luce. Cade rossa sul mare la sera. Gianni Rescigno Da: Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019

PAPÀ, SEMPRE PIÙ SPESSO MI SORPRENDO a parlarti all’orecchio, a confidarti cose che, da unico figlio (e avuto troppo presto…) non avrei mai osato rivelarti (o non mi avresti ascoltato). E mi sembra così di risentire quelle tue storie, che mi raccontavi negli ultimi anni, quelle tue memorie, quelle per cui tutto si ripete, ed è già stato detto, e scritto, tutto. Luigi De Rosa Da: Fuga del tempo, Genesi Editrice, 2013

3) Par otra parte los demas contaban poco, se sentia grande como su historia. Quince años: era el primier beso. Ella sutil como un junco los cabellos al viento. Lucio Zaniboni Lecco


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Recensioni ISABELLA MICHELA AFFINITO ESSERE POETA Casa Editrice Menna, Avellino 2002, Pagg. 32, € 5,16 Essere Poeta è una silloge di Isabella Michela Affinito, poetessa e scrittrice, saggista e artista dell’arte figurata, con copertina dell’Autrice “Eroe di ieri, eroe di oggi” realizzata con tecnica acrilica e collage.

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L’opera comprende diciassette poesie generalmente lunghe dal verso scorrevole; è dedicata “A chi avrebbe voluto e non è stato un poeta”. Alcune liriche, classificate nei concorsi, sono segnalate a piè pagina. Quanto al titolo la Poetessa nella prefazione si interroga sul senso di “essere poeta”. Ed è così che indaga per trovare delle risposte: “Marcel Proust / componeva pagine sciolte / di un futuro romanzo / (…) / il Carducci si espresse/ in versi per dimostrare / la sua poesia.”, poi seguono Leopardi e Dante, e commenta “Il tempo della poesia / è andato e va, / come un’ape in cerca / di un altro fiore”. Trovo molto interessante la riflessione che scaturisce dal componimento che si ispira al poeta francese, “alla ricerca del tempo / perduto”, ricordandolo in compagnia di altri grandi autori, considerando “quanto fosse / importante la reminiscenza, / il recupero del passato / e del tuo tempo ritrovato!” Credo che non sia mai troppo ribadire su questo tasto, del “recupero del passato”, noi siamo il risultato di quanto ci ha preceduto e la risultante del mondo circostante. Nella multi variegata realtà si chiede cosa sia il senso della vita, il senso delle cose, il senso della poesia, chiedersi dove sia diretta la poesia. Nel nostro piccolo ego viviamo appieno il senso della poesia senza saperlo spiegare; così è nelle parole chiave improntate al recupero della memoria, del “tempo perduto”, una sorta di ricerca di sé e di proiezione possibile. Vivere ed essere pronti a morire per la poesia. Forse il senso cercato è l’anima, impalpabile, degna di valore, è la ricchezza interiore che ci contraddistingue e che pure è indefinibile. La frusinate poetessa Isabella Michela Affinito usa in molti casi il refrain come motivo assillante. Quando nasce o è in nuce, il poeta si muove nell’incertezza e trova stimoli, ispirazione dagli eventi più disparati, vantando il diritto di esistere, anche se si tratti, della natura morta in un quadro. La Nostra dice di sentirsi sasso, fiume, oggetto materiale o pensiero astratto. Lei si trasfigura in “una musa / dell’antica Grecia”, è anche una interprete delle opere altrui e osservatrice della realtà che la circonda, perciò “dopo tanta bufera / io mi domando ancora, / chi sono?” Il poeta vive molte vite, è tante cose, assume molteplici facce. Ho l’impressione che la Nostra sia in continua attesa di cogliere e di non farsi sfuggire il momento magico dell’ispirazione, pronta ad afferrare “ogni sussurro / che altrimenti andrebbe / poi, perduto” (p. 17). Si rivolge alla seconda persona direttamente, si tratti di un personaggio reale o di altro, così alla Poesia, o alla Musa “a volte invisibile / nascosta tra


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/ le curve del passato,” (p. 18), ma in ogni caso Lei la sente dentro di sé. I pensieri volatili sono in continua variazione di densità, si raggrumano, solidificano, diventano scultorei, foglie, alberi, vento, ti prendono anima e corpo. Ella sa, o meglio “sceglie” di credere che i poeti “vivono / nel paradiso di Milton / e che respirano l’aria di perenne primavera.” (p. 23), penso si riferisca al poeta e filosofo John Milton. Sorgono domande “monche”, d’altronde tutta la vita è incerta e, pare dire, a volte bisogna giungere all’ultima età per scoprire qualche risposta. La vena poetica si intreccia con quella pittorica perciò la Nostra si sente come quell’albero del “quadro del Canaletto / con i rami che si / danno la mano” (p. 25). Nel momento del pericolo di vita è stata visitata dalla Musa e così tutto ciò che la circonda, anche l’eventuale malattia, diventa motivo ispiratore, diventa poesia stessa. E lei è donna baciata dalla Musa; e Musa ella stessa in un gioco di specchi, si rimanda nei ruoli di oggetto e di soggetto. Così ancora una volta spazia con la fantasia, affonda negli antichi miti, ma sempre in cerca della Musa che la incarni. Forse per Isabella Michela Affinito la voce più bella è quella del silenzio, se saputa ascoltare: “Sarà questo silenzio / complice di una vita bugiarda / che non ascolta mai / la vera voce del silenzio.” Una sorta di piacevole dialogo o solo di ascolto del silenzio. La poesia ti rapisce quando meno te l’aspetti, e la Poetessa diventa la tela che attende di essere dipinta o il foglio bianco che attende di essere scritto, o forse solo la penna o il pennello con le ali di un angelo, di una musa. Tito Cauchi

ANTONIO CRECCHIA PASQUALE MARTINIELLO Atto Secondo Ediemme Cronache Italiane, 2021, pagg. 216, € 18,00 Confessiamo di non aver mai letto alcunché di Pasquale Martiniello (Mirabella Eclano, Avellino, 20 gennaio 1928 – ivi, 24 febbraio 2010) e, perciò, questo ottimo lavoro di Antonio Crecchia – seconda monografia sullo stesso poeta, dopo L’evoluzione poetica spirituale ed artistica di Pasquale Martiniello, Editrice Ferraro, Napoli, 2007 - è, per noi, vera e propria scoperta, fascinosa e gratificante anche, perché, dall’esame dei versi riportati e dall’acuta analisi del critico, ci rendiamo conto che il poeta campano ha cantato temi a noi cari, come il sociale e l’avversione verso una politica che ha depravato, forse irrimediabilmente, il nostro grande e bel Paese.

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Antonio Crecchia è investigatore attento della cultura del nostro tempo, “uno Spirito aperto ad ogni forma di Arte e Bellezza – afferma Daniela Marra -, capace di trasfondere negli altri la calda Passione e la vivace Intelligenza che animano la sua sconfinata Conoscenza e che lo hanno sorretto in tutta una vita interamente dedicata alla Cultura e alla Ricerca seria e impegnata”. All’apparenza, il saggio è frammentario, composto da brani scritti in più tempi e per diverse occasioni – come i capitoli dal IX al XVIII riguardanti varie edizioni del Premio Nazionale “Aeclanum”, da Martiniello fondato e nel quale Crecchia è stato quasi sempre della Giuria -, ma la figura dello scrittore e poeta, a dieci anni dalla scomparsa, risalta nitida e completa. Pasquale Martiniello è stato un educatore, non soltanto perché docente e preside. Della sua poesia vanno in particolare evidenziate “la finezza e l’originalità delle metafore”. I mali d’Italia, da lui così nitidamente sferzati, sono atavici, stratificati, incartapecoriti, difficilmente scalfibili – afferma Crecchia ; “Il problema della legalità, nel nostro Paese, è (…) antico” e “ha turbato i sonni di baroni, duchi, conti, marchesi, re e imperatori, capi di governo e di polizia, prefetti e questori, poliziotti e carabinieri, mercanti e cittadini comuni”. Quelli di Martiniello – continua Crecchia – sono “versi al vetriolo”. Il grido di Martiniello, per le tante donne assassinate, in Italia e nel mondo, a volte per un nonnulla, “per un respiro di vento nei capelli e un lampo/d’aurora sul viso sprigionato dalla maschera”, ci ricorda l’immaturità e la prepotenza del maschio e la necessità di una campagna di educazione, giacché le leggi non bastano a porre fine alla mattanza. Ma il suo urlo-anatema, come quello di tanti altri, non viene mai ascoltato. Crecchia riporta una confidenza dello stesso Martiniello, il quale con crudezza afferma: “ho trascinato la poesia nella melma”, “volendo con ciò dire che la sua poesia non era pensata e scritta per dare al lettore l’immagine di una lirica bucolica sfociata dalla idealizzazione di un mondo agreste tutto adagiato sui letti di fiori e d’amore, bensì quale strumento d’indagine per una ferma presa di coscienza delle storture e inganni di una istituzione che chiamiamo “democrazia” e democrazia non è, se non di nome, perché nei fatti è una partitocrazia in cui uno sciame di individui bramosi di potere, privilegi, ricchezza, costruisce ignominiosamente gli interessi individuali e di casta, disinteressandosi dei sani valori e dei bisogni materiali che possono rendere prospera e felice la società di cui sono rappresentanti e custodi”; una poesia, insomma, di denuncia e di battaglia. Martiniello, comunque, non è stato sempre così combattivo; anzi, e


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stato “un poeta idealista, almeno fino alle soglie del Duemila”; arciere spietato e sarcastico lo è divenuto dopo e, allora, neppure il dramma della malattia, neppure i mesi di cura radiologica, sono riusciti a spegnere la sua sete di giustizia. In questo secondo saggio, tra le tante opere di Martiniello, Crecchia approfondisce le ultime: Aktìs, Le cavallette, Il formichiere, Lo sparviero, che “raccoglie la summa del suo pensiero morale, sociale, politico ed estetico e conferma il suo impeto lirico quando le condizioni soggettive o oggettive sono tali da intenerire, commuovere o rattristare il suo animo”. Nell’ultimo capitolo, il critico accosta Martiniello a Dante, dimostrando come entrambi ricorrono agli animali per descrivere gli attori nefasti dei rispettivi tempi: del medioevo per Dante, dei nostri giorni per Martiniello. Domenico Defelice

AA. VV. INVISIBILI FILI Società Editrice L’Aperia, 2021, pagg. 80, s. i. p. Curata da Vanna Corvese, questa piccola antologia contiene per lo più buoni versi di dieci poeti e poetesse (Silvana Cefarelli, Anna Cimicata, Vanna Corvese, Salvatore D’Ambrosio, Maria Luisa De Camillis, Anna Maria Guarriello, Pasquale Lombardi, Tiberio Madonna, Rosanna Marina Russo, Marina Sirianni), nei quali gli “Invisibili fili” del titolo sembrano siano i drammi e le ansie procurati dalla pandemia; non in tutti, naturalmente, ma nella maggioranza essa è esplicita, in qualcuno latente. Quasi tutti i versi sono di produzione recente, tra il febbraio 2020 e l’aprile 2021, il periodo più nero, cioè, di questa nostra battaglia contro un nemico invisibile e potente che ha messo in ginocchio tutto il mondo. Per Silvana Cefarelli viviamo “Come in un sortilegio”, perché “uno sgraziato pipistrello/avvia la fatale pandemia”. Anna Cimicata confessa: “Mi basterà un sorriso/quando incontrerò/gli amici./Vorrei vederlo/da vicino,/quel sorriso/senza mascherina:/entrerà nel mio cuore/scalderà l’anima/invaderà il corpo”. Vanna Corvese, alla quale si deve la Premessa, ci ricorda che in “questo giorno che non finisce mai” siamo costretti a vivere “a distanza di sicurezza” e che la “morte/ (…) porta via persone/senza conforto”: “In questa liturgia/del Covid diciannove/un abbraccio/è una comunione differita/con nostalgia/di voci, di sguardi”. Salvatore D’Ambrosio, prima ci conforta con le

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splendide immagini primaverili della “voce contadina/Che come neve di ciliegi in fiore/Cade leggera e lenta” e della “collina/Un orizzonte rosa” che “Parlava già di rinascita”, per poi, anche senza nominare specificatamente il virus, accennare alle tante persone care che non ci sono più (la nonna, per esempio), alle medicine (metaforiche e reali: “Ma le medicine sai/Prese senza rispetto/Delle prescritte dosi/Fanno male”, all’Altrove (“il viaggio solitario/Che dobbiamo subire”. Maria Luisa De Camillis “guarda/il figlio morto./Senza lacrime/lo accarezza/con amore/infinito”; figlio “andato via troppo presto/per seguire/i suoi arcobaleni”. Anna Maria Guarriello accenna al timore persino di incontrarci, oltre che di abbracciarci: “Vorrei poterti incontrare/vorrei poterti toccare/ma non so/la direzione”; “Quanto ci manca/un incontro/un abbraccio/ma forti fili invisibili/ci legano”. Nei versi di Pasquale Lombardi aleggia la nostalgia al montare dolce dei ricordi e “Corona e altare”, afferma, è “la mia capanna/di paglia sulle colline”. Rosanna Marina Russo ci ricorda, infine, che “si corre/coi volti mascherati/dimenticati dai luoghi chiusi/mentre l’acqua tiepida del cielo/aspetta silenzi”. Domenico Defelice

TITO CAUCHI EDIO FELICE SCHIAVONE LUCIA SCHIAVONE Il Poeta Pediatra (1927-2016) La Restauratrice Scultrice Editrice Totem 2021, Pagg. 73, € 15,00 È una raccolta di recensioni delle opere del poeta, nonché pediatra, Edio Felice Schiavone, scomparso recentemente e della figlia Lucia. Isabella Michela Affinito scrive nell’introduzione: “In questa nuova avventura monografica, il professore Tito Cauchi ha seguito attentamente il filo conduttore passante per le tre generazioni d’una stessa distinta famiglia nell’ambito territoriale pugliese, tra la provincia di Foggia e Bari; nel dettaglio tra Torremaggiore quale luogo natio di Nonno Nicola e suo figlio Edio Felice, e Andria dove è nata la nipote Lucia negli anni ‘70”. Dunque, tre generazioni unite nell’arte: il nonno scultore, il figlio poeta e la nipote, scultrice, laureata in Beni Culturali, specializzata nel restauro di opere lignee. Schiavone in cinquanta anni di attività ha pubblicato numerose sillogi poetiche ed è presente in diverse antologie e molti calendari da tavolo bifronti


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in cui si sono unite l’arte figurativa della figlia e la poesia del padre. Cauchi ha conosciuto l’artista mediante le riviste letterarie ed è entrato subito in sintonia con la sua arte, ma soprattutto con il suo animo generoso, nobile e umile. Come sempre il professore ci mette a conoscenza di artisti, vanto della nostra Italia, attraverso il suo stile asciutto e scorrevole. Si vivono di riflesso mille vite e in un gioco di specchi ci ritroviamo in altrettanti frammenti, a volte, difficili da conciliare con la nostra identità. Penso sia necessario predisporsi all’ascolto di tutte le voci, entrare in sintonia con il mondo circostante; qualcosa guadagneremo. Molte voci non fanno necessariamente coro, ma è possibile distinguere i vari idiomi come identità e ricchezza della moltitudine; rivelano lo spirito dei tempi, l’anima di chi opera e di chi dirige. Così chiude il suo saggio, il prof. Tito Cauchi, il quale da anni si interessa di divulgare le opere di autori che non sono conosciuti al grande pubblico. Lo fa sempre con sincerità e umiltà, imparando egli stesso molto da queste numerose voci, che raccontano le tendenze e le aspirazioni di questa nostra epoca. Manuela Mazzola

È IN TRADUZIONE NEGLI STATI UNITI D’AMERICA la silloge di poesie

12 MESI CON LA RAGAZZA di Domenico Defelice A tradurla è la dottoressa scrittrice e poetessa

Aida Pedrina Ecco, di seguito, un brano nell’originale e nella bella traduzione: DELL’ANNO CHE SI SCIOGLIE Mi son nascosto dentro il temporale ed ululo col vento. Se tu mi senti sappi ch’è un tormento quello che distrugge questo cuore.

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Ritornerò. Forse a primavera ti canterò la solita canzone e tu l’ascolterai. Se non l’ascolti io fiabe più non ho, non ho più sogni a ingioiellar la vita. Oh, la tristezza dell’anno che si scioglie in lunghe sinfonie di piogge, ora che il vento s’è placato e le nuvole stagnano nel cielo di cobalto! Cara più della vita sei: ritmare del tempo, di stagioni senza principi, dove il piacere non conosce soste. Tu lenisci il mio cuore e se mi stai vicina ride il sole, nel dicembre mesto m’inebria il tuo profumo di viole.

OF THE YEAR THAT MELTS AWAY I have hidden inside a storm and I howl like the wind. If you hear me know that a great anguish is destroying my heart. I will be back. Perhaps in the Spring I will sing you the usual song and you will listen to it. If you don't listen I no longer have fairy tales, no longer dreams to crown life with jewels. Oh, the sadness of the year that melts away in long symphonies of rain, now that the wind is calm and the clouds are lingering in the cobalt sky! You are dearer to me than life: you are rhythms of time, of seasons of beginnings, where pleasure doesn't know respite. You soothe my heart and if you are near me the sun smiles; in this sad December I am inebriated by your fragrance of violets.


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che hanno colpito molto l’autrice. “Difficile parlare dopo questa presentazione -ha esordito Torresoprattutto dopo parole che mi hanno emozionata profondamente. Sono felice che anche “La maledizione del nome” abbia convinto i lettori esigenti dell’Accademia, sono commossa da tanto affetto e partecipazione”. Elena Torre aveva ricevuto un riconoscimento in passato dall’Accademia per “Il mistero delle antiche rotte” (Cairo Editore). Premiati nella serata anche Paolo Lanzotti per “I guardiani della laguna” (tre60) e Lorenzo Beccati scrittore e autore di Striscia la notizia per “Il pescatore di Lenin” (Oligo).

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE LA MALEDIZIONE DEL NOME - Elena Torre premiata dall’Accademia “Res Aulica” per il suo libro La maledizione del nome. Un importante riconoscimento quello che nella serata di sabato 25 settembre la scrittrice e giornalista Elena Torre ha ricevuto per il suo ultimo libro edito da Castelvecchi “La maledizione del nome” all’hotel Calzavecchio di Casalecchio di Reno. Il premio, “Scrittori con gusto” ha aperto il ventitreesimo anno accademico dell’associazione culturale “Res Aulica” che con grande entusiasmo e partecipazione porta avanti insieme a tante altre attività culturali volte alla valorizzazione delle arti, del gusto e in generale del patrimonio culturale del nostro paese. Elena Torre ha ricevuto il premio dalle mani della presidente della Giunta Esecutiva Franca Raffaella Fiocchi dopo la lettura delle motivazioni

*** IL NOBEL PER LA FISICA A GIORGIO PARISI – L’Accademia Reale Svedese delle Scienze ha assegnato, il 5 ottobre 2021, al romano settantatreenne Giorgio Parisi il Premio Nobel per la Fisica, “Per i contributi innovativi alla comprensione dei sistemi complessi; per la scoperta del legame tra il disordine e le flut-

tuazioni nei sistemi fisici dalla scala anatomica a quella planetaria”. In sostanza, per i contributi alla conoscenza dei cambiamenti climatici. Parisi ha svolto la sua attività nel Laboratorio Nazionale dell’Istituto di Fisica Nucleare di Frascati, in importanti Università del mondo (Stati Uniti d’America, Parigi), in quella di Roma Tor Vergata e, principalmente, a La Sapienza, nella quale si è pure laureato nel 1970. Ha ottenuto riconoscimenti a livello mondiale e ha scritto più di seicento articoli. È stato Presidente dei Lincei. Un riconoscimento che onora l’Italia, nella quale, purtroppo, la ricerca è poco finanziata, con la conseguenza che molti giovani se ne vanno all’Estero. Giorgio Parisi ha avuto il coraggio di rimanere nella sua città e oggi, nel fargli gli auguri, ci associamo al suo auspicio che lo Stato si svegli, si ravveda e dia più fondi per un settore di fondamentale importanza in Italia e nel mondo.


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Assieme a Parisi, sempre per la Fisica, sono stati premiati l’americano di origini giapponesi Syukuro Manabe (90 anni) e il tedesco Klaus Hasselmann (89 anni). *** LA XXXVII EDIZIONE DEL PREMIO NAZIONALE DI POESIA LIBERO DE LIBERO – CITTÀ DI FONDI A DOMENICO DEFELICE – Il 30 ottobre 2021 alle ore 18, a Fondi, nel Castello Baronale, si è tenuta la cerimonia conclusiva del Premio Libero de Libero Città di Fondi 2021, assegnato al nostro direttore Domenico Defelice con la seguente motivazione: <<“Fede, Speranza e Pandemia”, la raccolta vincitrice del Premio Nazionale di Poesia Libero De Libero- Città di Fondi, XXXVIIAnno 2021, del poeta Domenico Defelice, è un auspicio alla ripartenza dalla pandemia in nome della grande poesia. La raccolta vincitrice, che ha meritato pienamente il riconoscimento, racconta tra ricordi del passato e fatti di cronaca, lontano da qualsiasi frastuono, luoghi, sentimenti, valori e tradizioni che il poeta ha vissuto in età giovanile nella sua Calabria. Uomo del Sud attaccato alle sue radici, ma che analizza anche eventi e momenti storici attuali che lo hanno coinvolto emotivamente. Questa raccolta di poesie va letta con la forza che ha la preghiera. La stessa forza che ha la poesia. Poesia della pandemia. E, quelle immagini così dolorose sono ancora impresse nei nostri occhi e ci parlano. Sono vive. Immagini che il poeta ha ben fotografato con i versi: Si spostano le barelle con i piedi con le mani e coi piedi, e non c’è posto,

né su, né quaggiù in quest’anticamera d’inferno. Per questi motivi, la giuria ha deciso di assegnare all’unanimità per l’Anno 2021, nel 40^ anniversario della morte di De Libero, il Premio Nazionale di Poesia Libero De Libero- Città di Fondi alla raccolta “Fede, Speranza e Pandemia” del poeta Domenico Defelice.>> Al tavolo dei relatori, il sindaco di Fondi Beniamino Maschietto; il vicesindaco e assessore alla Cultura Vincenzo Carnevale; il professore Leone D’Ambrosio, il quale, tra l’altro, ha letto le motivazioni del Premio alla carriera al poeta prof. Roberto Deidier anche lui presente al tavolo – e a quello assegnato al nostro Direttore; Don Luigi Mancini, che ha ricordato il Poeta Libero De Libero, confessando di averlo incontrato una sola volta e di aver scambiato, poi, con lui, qualche lettera; Valentina Notarberardino, che, in pratica, ha presentato il suo libro “Fuori


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di testo”, “un libro sui libri come nessuno li ha mai raccontati”, edito da Ponte alle Grazie; Marcello Carlino, che ha approfondito alcuni aspetti della poesia di Libero de Libero; Mauro Caporiccio; Carlo Alberoni, organizzazione eccellente e presentazione spigliata e brillante. Gli altri premiati della sezione A: Cosmo Pasciuto per la silloge “Pericle sul Parnaso”; Roberto Uttaro (“Venti di Golconda”); Luca Agostini (“Raccolte di Poesie”); l’aquilano Mario Narducci (Menzione speciale per “Invecchiare da soli”); Sara D’Aniello, di Fondi, per “Alzheimer”; ancora premio speciale a: Lucia Fusco, di Sezze e Emilio Rossi, di Latina. Massiccia la partecipazione delle scuole (Sezione B) che dovevano impegnarsi nell’elaborazione di un saggio sul poeta di “Scempio e lusinga”: Istituto San Francesco (Classe I A, referente professoressa Chiara Biasillo); Scuola media Don Milani (Classi 3a – 3D, referente professoressa Stefania Misuraca); scuola media Garibaldi (classe II D, refe-

rente professoressa Lara Lavinia Teseo); Istituto Gabetti-De Libero: De Felice Rossella, Mahmutaj Sejda, Xeka Vitoria, Di Manno Mattia (coordinati dalla professoressa Assunta Di Sarra); Istituto “De Libero-Gobetti”, classi 3a AFM e 3a SIA, referente il professor Alessandro Tudini, che hanno svolto un buon lavoro trattando l’argomento “Ritratto del mio paese”, “Elegia a Fondi”, “Letterina a F”; Istituto Gobetti-De Libero, classe 2C AFM, coordinatrice professoressa Valentina Quinto, impostazione grafica Denise La Rocca. Apprezzabili le poesie inviate da Francesca Fusco, I. I. S. “Gobetti-De Libero”. Le poesie sono state declamate dal dott. Gino Fiore. Gli intermezzi musicali sono stati allietati da Antonella Spirito (voce) e Giacomo Giuliani (chitarra). Tra i presenti in sala, il critico prof. Tito Cauchi, accompagnato da una delle due figlie. *** A ABDULRAZAK GURNAH IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA – Il 7 ottobre,

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l’Accademia Reale Svedese ha comunicato l’assegnazione del Nobel per la Letteratura 2021 allo scrittore Abdulrazak Gurnah, nato a Zanzibar (Tanzania) nel 1948, ma cittadino del Regno Unito, vivendo, infatti, a Canterbury, dove arriva nel 1968, sfuggendo alle persecuzioni di quegli anni nel suo Paese. Laureato all’Università del Kent, nella quale ha insegnato per decenni, Gurnah si è visto assegnare il prestigioso Premio con la seguente motivazione: “Per l’inflessibile e compassionevole comprensione degli effetti del colonialismo e della sorte dei rifugiati, per la sua dedizione alla verità e la sua avversione alla semplificazione”. Pochi i suoi lavori tradotti in Italia, pubblicati da Garzanti: Sulla riva del mare (2002), Il disertore (2006), Paradiso (2007). Altre sue opere: The Last Gift (2011), Gravel Heart (2017), Afterlives (2020). *** PREMIATO GIANNNI LONGO - A Gianni Longo, con l’opera "Lasciami almeno un sogno", è stato conferito, il 25 settembre 2021, il Premio Svizzero Internazionale. Ecco, di seguito, la recensione della nostra collaboratrice Manuela Mazzola, apparsa anche su Pomezia-Notizie del gennaio scorso, ora tradotta in tedesco. Buchrezension von Maunela Mazzola erschienen im Osservatorio culturale a cura di Oceano Edizioni GIANNI LONGO Lasciami almeno un sogno – Lass mir zumindest einen Traum Alle Ereignisse, die in diesem Buch zum Ausdruck kommen, nehmen ihren Anfang in Erlebnissen, die tatsächlich stattgefunden haben. Demnach sind diese eine oft gegangene Wanderschaft um tiefgründig das Thema des schlecht fokussierten eigenen Willens zu ergründen. Zu Recht oder zu Unrecht, ich kreise innerhalb der Dinge dieser Wirklichkeit wie ein Nachtfalter im Licht und mein Blick schweigt nicht, auch wenn er sich abwendet, aber er beurteilt vielmehr diese flüchtige Welt, auch wenn diese verführt und unbedeutend ist. Das Buch ist eine Sammlung von Texten, die zwischen 2004 und 2017 entstanden sind, die den Leser dazu veranlassen zu reflektieren und sich Fragen zu stellen. Gianni Longo drückt sich aus mit einer Sprache, die präzise und elegant ist beim Entwirren von Reflexionen und Überlegungen, die sich verschlingen in einem komplexen Lauf, der von der Armut über den Reichtum, hin zu den Kritiken von Künstlern wie Sonia Alvarez oder Piero Guccione, bis hin zu den Zuständen der heutigen Gesellschaft reicht.


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Jeder Text ist verwoben mit Überlegungen. Es sind demnach Texte, die sehr nahe der Philosophie sind. In diesen versucht der Autor Argumentationsketten und Fragen aufzubauen, die teil seines Innersten sind, die jedoch jeden einzelnen von uns betreffen. Jeden einzelnen der in der Lage ist an sich zu zweifeln, um die menschliche Fähigkeit des Gedankens zu nutzen. Die Texte sind voll mit Inhalten mit sehr intimen Reflexionen, die sich verwandeln in eine harte Kritik der italienischen Gesellschaft. Es gibt keine Individuen mehr, sondern nur mehr Fragmente. Die Erkenntnis von der jeweiligen Persönlichkeit hat sich seit langer Zeit in einzelne Stücke aufgelöst. Es ist kein Stein am anderen geblieben, es fehlt der Respekt für die Ideen anderer. Der Autor behauptet, dass die Italiener Ideen, Gedanken sehr oft ändern. Sie sind unterwürfig und verbringen darüber hinaus die Zeit, sich übereinander lustig zu machen. Die Jungen hängen am Geld. Die Welt ist ein Sammelsurium von Geschwafel. Das wichtige ist es Ideen vorzuschlagen und diese dann bis in die Unendlichkeit zu wieder zu käuen. Wenn er generell über die Künstler spricht bestätigt er, dass diese nicht wissen, in welche Richtung es geht. Sie wissen hingegen bereits, was sie tun sollen, da die Straße vorgegeben ist. Alles ist bereits gesagt, alles ist bereits entdeckt; wir sind eine Gesellschaft, die nicht mehr den Ansporn und den Antriwb hat. Die Reflexionen von Gianni Longo sind nackt und knallhart. Er schlägt jedoch am Ende die Art und Weise vor - wahrscheinlich die einfachste - um dieser Alltäglichkeit zu begegnen: die echte Würde, die mich erobert ist das Denken. Sie erlaubt mir, mich an die Vergangenheit zu wenden, um auf die Notwendigkeiten der Gegenwart zu antworten. (…) Die Zeiger der Uhr meiner Existenz verlangen jedoch immer wieder der Unruhe und dem schnellen Schritt meiner Gedanken zu folgen. GIANNI LONGO Schriftsteller, Literaturkritiker und Kritiker der bildenden Künste Unzählige Auszeichnungen und vielen Diplom Honoris Causa der Belle Arti für künstlerische Verdienste und die Verbreitung nationaler und internationaler Kultur.  Literaturpreis und Preis der bildenden Künste internationale Giotto e Dante Alighieri;  Auszeichnung / Preis Franz Kafka von Raita Mascialino;  Auszeichnung / Preis William Shaekspeare– Il teatro nell’arte;

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 Auszeichnung / Preis Giacomo Leopardi;  Auszeichnung / Preis Luigi Pirandello;  Auszeichnung / Preis Giuseppe Ungaretti;  Literaturpreis Gabriele D’Annuzio;  Akademische Auszeichnung / Preis Marc Chagall – Die Wirklichkeit des Traums;  Literaturpreis Milano International;  Akademisches Diplom vom Albo d’Onore dell’archivio universale delle Belle Arti. *** VIOLENZA GRATUITA. ARRESTATELI, PROCESSATELI, METTETELI IN GALERA! – Giornata nera, per l’Italia, il 9 ottobre 2021. Giornata della vergogna. Guerriglia in molte città e in special modo a Roma, ove hanno messo a soqquadro strade e negozi e hanno assaltato la sede della CGIL. Per che cosa? Per il Green pass, non per il morbo invisibile che ha inginocchiato l’intero mondo; per il Green pass, perché, secondo loro, facinorosi e delinquenti, è limitare la libertà, lo loro libertà, che è sempre quella di non rispettare mai l’altrui; la libertà della dittatura, insomma! Bisogna arrestarli, giudicarli, metterli in galera a pane e acqua. Ma è altrettanto scandaloso sentire gridare al fascismo, all’attentato alla democrazia da coloro che fascisti lo sono stati assai prima dello stesso fascismo, da quella Sinistra che, poi, inneggiava a Stalin, che plaudiva alle invasioni degli stati satelliti (i carri armati in Ungheria), che ha partorito le Brigate Rosse. D’altronde, Mussolini, prima di mettere su il Fascio, non era, forse, un alto dirigente politico di Sinistra? Il nostro pensiero sulla libertà e sulla dittatura non è mai mutato; già nel 1958 scrivevamo: “Il Comunismo va cianciando giustizia, ma dove impera si regge sulla forza e sulla prepotenza e quello nostrano giustifica i massacri e si esalta davanti a un Kruscev e alle di lui losche manovre interne e internazionali. Non può stare nella verità chi toglie la libertà e si mantiene con le baionette e i carri armati. (…) I fascisti farebbero bene a tacere. Le madri italiane ancora piangono dinanzi ai ritratti dei figli periti” (L’orto del poeta, Ed. Le Petit Moineau, 1991). Fascismo = Comunismo e viceversa e, se quelli di Fratelli d’Italia, della Lega, della Destra in genere, dovessero essere, oggi, ancora - come quelli della sinistra li dipingono -, fascisti neri brutti e sporchi, altrettanto fascisti rossi brutti e sporchi sarebbero quelli del PD, perché altrettanto eredi di una ideologia liberticida e assassina. Quand’è che si condannerà la violenza solo come tale, senza far finta di volerla affogare negli aggettivi di parte? Domenico Defelice


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*** ADDIO A SUOR BERNADETTE! – Nella notte tra il 6 e il 7 ottobre 2021, è morta a Polistena (Reggio Calabria), in una comunità per religiosi anziani, Suor Maria Bernadette, al secolo Palma Ceravolo, sorella della madre del nostro Direttore; aveva 98 anni. Aveva prestato servizio come infermiera per decenni negli ospedali di Napoli e Caserta, stimata e ben voluta da tutti. <<Non ci sentivamo più da anni – ci dice il Direttore -, perché, ormai, non era neppure più nelle condizioni di rispondere al telefono. Nella mente, però, ho il fotogramma del giorno in cui, giovinetta, è stata condotta via dai genitori e dai fratelli, a farsi suora, la baraonda dei saluti sull’acciottolato del giardinetto dietro la sua casa, in via

Roma. Io, bambino, me ne stavo frastornato vicino a un albero di limone (lo stesso accanto al quale, un giorno, mi avevano scattato l’unica foto di quegli anni, vestito da figlio della Lupa). Lei, la zia Palma, era spaventata mentre, con un forbicione, la madre, mia nonna Carmela, le tagliava ruvidamente i lunghi capelli; tra gli strilli e gli andirivieni dei grandi, se ne stava al margine dell’acciottolato, dove si apriva il botro ammantato di ulivi giganti, in quell’istante filigranati dal sole da poco sorto e leggermente scarruffati dalla brezza; come sottofondo, l’eterno, sordo rumore delle acque dello Sciarapotamo. Cara zia! Da giovane, ogni estate, andando da Roma in Calabria o risalendo verso Roma, non mancavo di passare a salutarla negli

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ospedali di Napoli o di Caserta, portandole, a volte, qualche dono da parte di mia madre, sua sorella, o ritirando qualcosa che Suor Bernadette voleva che io consegnassi ai suoi tanti parenti ad Anoia. Accanto alla scrivania, nello studio, tengo ancora un quadro raffigurante la bella statua della Madonna del Carmine di Anoia, da Lei regalatomi dicendomi “Perché ti protegga”>>. (n. s. p.) Nella vecchia foto: Suo Maria Bernadette Ceravolo, ad Anoia (Reggio Calabria), il 18 agosto 1957, tra parenti bambini e la sorella Rosa Ceravolo (a sinistra) madre del nostro Direttore Domenico Defelice (a destra). *** ANCHE IL PAPA SCENDE IN CAMPO PER LA RIDUZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO – Nel numero dello scorso ottobre, occupandoci della necessità che oggi, senza più indugi, si ridiscuta e si normi il lavoro da remoto - che, in Italia come in tutto il mondo, ha avuto una accelerazione impensata a causa della pandemia -, abbiamo affermato essere giunto il momento di ridurre anche l’orario di lavoro settimanale e giornaliero. “A monte di tutto ciò – scrivevamo -, c’è un problema che non può più venire ignorato: la necessità dell’abbassamento generale dell’orario di lavoro settimanale e giornaliero; l’orario generale di lavoro dovrà essere subito ripensato e diminuito per tutti; è assurdo che si continui a lavorare otto ore al giorno e quaranta a settimana; è necessario lavorare di meno per lavorare tutti, abbattendo, così, la piaga della disoccupazione”. Non è la prima volta che scriviamo ciò; l’abbassamento dell’orario di lavoro è stato un nostro cavallo di battaglia e risale agli anni della nostra giovinezza, allorché abbiamo svolto, nei Centri di Formazione Professionale, anche attività di rappresentanza sindacale, militando nella UIL. Inascoltati, allora; ma, oggi, i tempi sono maturi. Perfino il Papa, il 16 ottobre, è sceso in campo. Riportiamo dal quotidiano Il Messaggero del 17 ottobre 2021, pag. 9: “Anche Papa Bergoglio ieri ha parlato dei poveri. E ha lanciato una proposta ai governi: introdurre <<un salario minimo e la riduzione della giornata lavorativa


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affinché ogni persona di questo mondo possa accedere ai beni più elementari della vita e la ricchezza di una parte sia condivisa con equità>>”. D’accordo, dunque, anche il Papa. Rimane, ora, solo da vincere l’ottusità dei sindacati, di tutti i sindacati, dei datori di lavoro e dei lavoratori: gli uni, aggrappati a un orario antiquato, che risale a prima del Fascismo, per paura che scemino i guadagni, quando, invece, è il contrario, perché un lavoratore meno stressato produce e rende di più; gli altri, quelli dei lavoratori, perché corporativi, settari e anche poco democratici, che non hanno mai neppure permesso si attuasse il dettato della Costituzione, la quale recita, all’articolo 39, che il riconoscimento delle organizzazioni da parte dello Stato si ottenga allorché queste vengano “registrate” presso uffici locali o centrali, registrazione mai attuata. I sindacati dei lavoratori hanno da sempre intascato annualmente miliardi, senza mai darne conto a nessuno; a volte sono i primi a trasgredire le leggi, assumendo in nero o sottopagando, gestendo – o hanno gestito – Patronati e Centri di F. P., comportandosi, cioè, come delle aziende ed esulando, così dai soli compiti istituzionali per i quali son nati, che dovrebbero essere quelli di difendere i lavoratori, non già di essere pure datori di lavoro. CGIL, CISL, UIL oggi, in pratica, si son ridotti, per lo più, in sindacati dei pensionati, perdendo grinta e mordente, incapaci di proporre novità e sostenere vere battaglie. Piena è la nostra soddisfazione dopo quel nostro articolo, anche perché l’Amministrazione pubblica, per esempio, è orientata a stabilire che il lavoro da casa segua lo stesso identico orario di quello in presenza negli uffici. Scrive Andrea Bassi de Il Messaggero (20 ottobre 2021, pag. 19): “…stessi vincoli di orario e stesse prestazioni che in ufficio (…). Chi lavorerà “a domicilio” avrà buoni pasti e gli straordinari”. Questo e altro è emerso dall’incontro, il 19 ottobre, tra i sindacati dei lavoratori pubblici e l’ARAN, l’Agenzia governativa a ciò preposta. Sembra la copiatura di quanto da noi indicato e scritto a metà settembre, assai prima, cioè, che l’articolo venisse pubblicato. Domenico Defelice *** A PAOLO DAINOTTI IL PREMIO “MANTUA” - Il Premio internazionale “Mantua” per gli studi virgiliani è stato assegnato al cavese Paolo Dainotti. Il 15 ottobre 2021 lo studioso cavese Paolo Dainotti è stato insignito dall’Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova del Premio Internazionale “Mantua” per gli studi virgiliani, un prestigioso riconoscimento destinato agli studiosi under 40 che si siano segnalati per le loro ricerche sul sommo poeta Virgilio.

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La giuria internazionale, costituita da latinisti delle più rinomate università di tutto il mondo (Oxford, Cambridge, New York, La Normale di Pisa), ha assegnato a Paolo Dainotti questo premio, a cadenza triennale, per la sua ampia produzione scientifica e in particolare per il suo importante volume sul rapporto tra ordine delle parole ed espressività nell’Eneide (Word Order and Expressiveness in the Aeneid, De Gruyter, 2015). Il professore Paolo Dainotti insegna dal 2019 “Lingua e letteratura latina” presso l’Università “L’Orientale” di Napoli e svolge attività di ricerca presso l’Università di Oxford, dove sta scrivendo un altro volume sulla poesia di Virgilio. *** PREMIO INTERNAZIONALE LETTERARIO CITTÀ DI POMEZIA –XXXI Edizione. Quattro le sezioni: Silloge completa di poesie; Poesia singola; Poesia in vernacolo; Racconto o novella. Regolamento completo sul sito internet del Comune di Pomezia: www.comune.pomezia.rm.it - Partecipate! Il Premio, a noi di Pomezia-Notizie, sta veramente a cuore, avendolo fondato il nostro Direttore, egregiamente gestito per 27 edizioni e poi donato gratuitamente al Comune di Pomezia; che continua a gestirlo – e questo è già importante -, ma che, finora, a quanto ci risulta (lieti se venissimo smentiti), non ha mai pubblicato le opere vincitrici come da regolamento e come Pomezia-Notizie ha sempre fatto in precedenza, con La melagrana aperta, di Pasquale Maffeo; Hiuricedhi, di Ettore Alvaro; Frammento d’estate, di Viviana Petruzzi Marabelli; Menabò, di Vittorio Smera; A Giada, di Giuseppe Nalli; Canti del ritorno, di Orazio Tanelli; Pioggia di rose sul cuore spento, di Solange De Bressieux; Itinerario a Calu, di Walter Nesti; La ragazza di Arthur, di Maria Grazia Lenisa; Limen, di Sabina Iarussi; I tempi felici, di Leonardo Selvaggi; Dove si perde la memoria, di Anna Maria Salanitri; Mesinversi, di Giuseppe Vetromile; Camelot, di Giovanna Bono Marchetti; Anima pura, di Elena Mancusi Anziano; Io


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che ho scelto te, di Sandra Cirani; Molti millenni d’amore, di Veniero Scarselli; Controluce, di Sandro Angelucci; L’anima e il lago, di Giorgina Busca Gernetti; Mascara, di Rossano Onano; Quaderno sgualcito, di Fulvio Castellani; I simboli del mito, di Nazario Pardini; Voglio silenzio, di Rodolfo Vettorello; Probabilmente sarà poesia, di Isabella Michela Affinito; Sensazioni, di Antonia Izzi Rufo; La scala di Jacob, di Corrado Calabrò. Non è, per caso, che la pubblicazione il Comune non l’abbia più effettuata solo perché, lì, si facciano progetti faraonici che poi, come e perché tali, si risolvano sempre in un nulla di fatto? Pomezia-Notizie, senza finanziamenti, senza donazioni, senza pubblicità, ha sempre lavorato egregiamente, facendo sempre onore agli impegni. Faccia altrettanto il Comune, mettendo da parte le idee mirabolanti; bastano pochi spiccioli per pubblicare annualmente i lavori premiati. Per farsi onore – creda almeno alla nostra esperienza - non occorrono grandi ricchezze. (n. s. p.)

LIBRI RICEVUTI VANNA CORVESE (a cura di) – Invisibili fili, Antologia di Spazidiversi, laboratorio di lettura e di scrittura di Caserta. In copertina, a colori, un’opera di Beatrice Squeglia, Premessa di Vanna

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Corvese - Società Editrice L’Aperia, 2021, pagg. 80, s. i. p.. Sono antologizzati: Silvana Cefarelli, Anna Cimicata, Vanna Corvese, Salvatore D’Ambrosio, Maria Luisa De Camillis, Anna Maria Guarriello, Pasquale Lombardi, Tiberio Madonna, Rosanna Marina Russo, Marina Sirianni. ** MARCELLO FALLETTI DI VILLAFALLETTO – La chiesa di San Michele Arcangelo di Ponte Buggianese. Un paese, la sua storia – In apertura, testimonianze di Paul Cardinal Poupard, Presidente Emerito del Pontificio Consiglio della Cultura; Bernard Ardura, Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche; Pier Luigi Galligani, Sindaco del comune di Ponte Buggianese; Prefazione di Don Franco Turchi, Arciprete e Proposto. Editrice Ascarichae Domus, aprile 2013, pagg. 368, € 20,00. Marcello FALLETTI DI VILLAFALLETTO, laureato in Lingue e Letteratura Straniera, è poeta, saggista e storico. Presiede l’Accademia Collegio de’ Nobili, fondata nel 1689. Ha ricevuto il Premio Nazionale Letterario Artistico “Elio Vittorini” (Messina, 1979) e il Premio Paolo VI “Una poesia per la pace” (Ercolano, Napoli, 1989).Dirige il periodico L’ Eracliano ed è fondatore e presidente del Premio Internazionale di Poesia “Danilo Masini”; collabora attivamente a giornali e riviste; ha redatto recensioni e prefazioni critiche a libri di numerosi autori. Tra le sue opere: Inter Nos (liriche, 1982), In quel tempo... (poesie e spigolature, 1989), I Savoia-Acaia, Signori del Piemonte (1990), Legendo oro, orando contemplor (1995), La storia e l’araldica (1998), Accademia Collegium Nobilium (2000), San Pancrazio in Val d’Ambra, camminando lungo i millenni (2002), Un salotto per gli amici (2002), Un uomo che seppe contare i propri giorni (2006), Dove sta la verità storica?!, Appunti e riflessioni sulla presunta appartenenza degli ultimi due marchesi di Barolo alla Massoneria (2006), La redenzione della donna: Giulia Falletti di Barolo (2007), Capitoli e Regolamenti (2009), La poliedrica figura di Carlo Tancredi nei Diari di viaggi (2009), La Chiesa di San Michele Arcangelo di Ponte Buggianese (2013), Canton Glarus, Cento Anni della Missione Cattolica Italiana (1912 - 2012) (2013), Davvero costui era figlio di Dio! (2017), Il coraggio di amare (2020) eccetera. ** MARCELLO FALLETTI DI VILLAFALLETTO – Canton Glarus Cento anni della Missione Cattolica Italiana (1912 – 2012) – In apertura, “saluto del Vescovo di Coira” Vitus Huonder; “100 anni Missione Cattolica Italiana”, del Decano Hans Mathis; “Saluto del Delegato” don Carlo de Stasio,


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Coordinatore nazionale MCLI in Svizzera; Prefazione di Padre Pierpaolo Lamera, Missionario della Missione Cattolica. Numerose foto a colori e in bianco e nero. Grande formato – Editrice Anscarichae Domus, agosto 2013, pagg. 152, s. i. p.. ** AA. VV. – Seven Plus One Sette Più Uno – Antologia trilingue: Cinese-Inglese-Italiano. Figurano i seguenti sette poeti cinesi: Zhou Duanzhuang, Wang Mengren, Liang-Style Poetic Lines, Zhu Likun, Xu Zefu, Zou Lian’an, Qiao Hao e l’italiano Domenico Defelice. Tutta la parte in italiano con traduzione dall’inglese è dovuta a Domenico Defelice; altri traduttori: Zhang Zhizhong, Shi Yonghao, Brent O. Yan, Wang Changling, Wang Wei, Zhang Zhi, Peter George Parviz Russell. Ed. Pomezia-Notizie e The Earth Culture Press, 2021, pagg. 140, € 20,00. ** TITO CAUCHI – Dike Diritti Incerti Karma Esausto – (Raccolta di recensioni), Introduzione di Isabella Michela Affinito. Editrice Totem, 2021, pagg. 246, € 25,00. Sono antologizzati: Anna Aita, Pietro Allegretti, Angelo Ambrosino, Angelo Australi, Sesto Benedetto, Giorgio Bordin, Eva Sara Camozzi, Giuseppe Ciucci, Giuliana Cordero, Rosario Crocetta, Salvatore D’Ambrosio, Aldo De Gioia, Mattia Ferrari, Giuseppe (Peppe) Fontana, Mimì Frisina, Elvira Gazzolo Landò, Gabriella Grassi, Mirco Invernali, Veronike Jane, Franco Dino Lalli, Giulietta Livraghi Verdesca Zain, Nicola Lo Bianco, Teodoro Lorenzo, Giacomo Luzzagni, Nunzio Menna, Arnaldo Meo, Pierantonio Milone, Carlo Morganti, Annam Muiesan Gaspàri, Meeten Nasr, Persio Nesti, Walter Nesti, Maria Franca Nicolò, Adriana Nobile Civirani, Elisa Orzes Grillone, Angela Pollicino, Giovanni Quaranta, Nino Romeo, Ciro Rossi, Cosmo Giacomo Sallustio Salvemini, Francesco Salvador, Santa Maria Marvici Martelli, Sergio Sciarra, Nicola Sinopoli, Emilio Paolo Taormina, Anna Trombelli Acquaro, Liliana Ugolini, Anna Vincitorio, Lucia Visconti, Franco Zangrilli, Filippo Secondo Zito, Raffaele Zurzolo. Tito CAUCHI, nato l’11 agosto 1944 a Gela, vive a Lavinio, frazione del Comune di Anzio (Roma). Ha svolto varie attività professionali ed è stato docente presso l’ITIS di Nettuno. Tante le sue pubblicazioni. Poesia: “Prime emozioni (1993), “Conchiglia di mare” (2001), “Amante di sabbia” (2003), “Isola di cielo” (2005), “Il Calendario del poeta” (2005), “Francesco mio figlio” (2008), “Arcobaleno” (2009), “Crepuscolo” (2011), “Veranima” (2012), Palcoscenico” (2015). Saggi critici: “Giudizi critici su Antonio Angelone” (2010), “Mario Landolfi saggio su Antonio Angelone” (2010), “Michele Frenna nella Sicilianità

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dei mosaici” (monografia a cura di Gabriella Frenna, 2014), “Profili critici” (2015), “Salvatore Porcu Vita, Opere, Polemiche” (2015), “Ettore Molosso tra sogno e realtà. Analisi e commento delle opere pubblicate” (2016), “Carmine Manzi Una vita per la cultura” (2016), “Leonardo Selvaggi, Panoramica sulle opere” (2016), “Alfio Arcifa Con Poeti del Tizzone” (2018), “Giovanna Maria Muzzu La violetta diventata colomba” (2018), “Domenico Defelice Operatore culturale mite e feroce” (2018), Graziano Giudetti, Il senso della poesia (2019), Profili Critici 2012. Premio Nazionale Poesia Edita Leandro Polverini, Anzio. 163 Recensioni (2020), Pasquale Montalto. Sogni e ideali di vita nella sua poesia (2020), Angelo Manitta e Il Convivio (2020), Lucia Tumino una vita riscattata (2020), Silvano Demarchi Fine letterato e poeta (2020), Carmelo Rosario Viola. Vita, Politica, Sociologia (1928 – 2012) (2021), Piaf. Pagine Intime Ansia Femminile (2021), Clio. Conversazioni Letterarie Italia Oggi (2021), Edio Felice Schiavoce/Lucia Schiavone. Il Poeta Pediatra (1927 – 2016) La Restauratrice Scultrice (2021). Ha inoltre curato la pubblicazione di alcune opere di altri autori; ha partecipato a presentazioni di libri e a letture di poesie, al chiuso e all’aperto. È incluso in alcune antologie poetiche, in antologie critiche, in volumi di “Storia della letteratura” (2008, 2009, 2010, 2012), nel “Dizionario biobibliografico degli autori siciliani” (2010 e 2013), in “World Poetry Yearbook 2014” (di Zhang Zhi & Lai Tingjie) ed in altri ancora; collabora con molte riviste e ha all’attivo alcune centinaia di recensioni. Ha ottenuto svariati giudizi positivi, in Italia e all’estero ed è stato insignito del titolo IWA (International Writers and Artists Association) nel 2010 e nel 2013. È presidente del Premio Nazionale di Poesia Edita Leandro Polverini. Ha avuto diverse traduzioni all’estero. ** FLAMINIO GUALDONI (a cura di) – I Maestri dell’Arte Italiana. Botticelli – Ed. Centauria, 2020, pagg. 96. Il volume, sapientemente illustrato e a colori, fa parte di una collana tutta a cura del Gualdoni, comprendenti 30 artisti, tra i quali i primi ad apparire saranno: Caravaggio e Modigliani, Raffaello, Michelangelo, Giotto, Piero della Francesca, Leonardo, Tiziano, De Chirico, Mantegna, Canaletto, Artemisia Gentileschi, Masaccio, Hayez, Morandi, Tintoretto e Antonello da Messina. “Autore di dipinti celeberrimi, simboli universalmente ammirati dell’Umanesimo fiorentino – leggiamo in quarta di copertina -, Sandro Botticelli illumina con la sua arte pacata e serena sia i temi sacri che quelli profani lasciandoci, con capolavori quali La Primavera o La nascita di Venere, icone perfette della bellezza rinascimentale.”


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TRA LE RIVISTE IL CORRIERE DELLA CITTÀ – mensile diretto da Maria Corrao – via Odessa 41 – 00071 Torvaianica (RM) – e-mail: redazione@ilcorrieredellacitta.it – Riceviamo il n. 9, settembre 2021, con interessanti e coraggiose inchieste, e con articoli su temi diversi, specialmente a firma della direttrice Corrao e di Luca Mugnaioli, il quale, tra l’altro, a pag. 38 interviene a favore del prossimo decennale della morte del nostro poeta operaio: “Onoriamo la memoria di Domenico Cappelli”. Gli esprimiamo la nostra gratitudine, giacché è partita da noi di Pomezia-Notizie l’iniziativa perché l’Amministrazione comunale si prepari a ricordare degnamente un poeta che ha tanto amato la nostra città e il nostro territorio. Esortazioni in tal senso son già apparse, oltre che su PomeziaNotizie, su il quindicinale Il Pontino nuovo dell’1/31 agosto 2021 e del 16/30 settembre 2021, senza, però, ricevere, finora, alcun riscontro. Noi non molliamo; Domenico Cappelli merita di non essere lasciato nell’oblio. * ILFILOROSSO, semestrale di cultura diretto da Luigina Guarasci, responsabile Valter Vecellio – via Marinella 4 – 87054 Rogliano (Cosenza) – email: info.ilfilorosso@gmail.com – Riceviamo il n. 70, gennaio-giugno 2021, con saggi a firma: Antonella Lovisi, Pierluigi Pedretti, Gianluca Bocchinfuso, Fiorenza Cosenza; Filodivoce (poesie) di: Enzo Ferraro, Giuseppe Leonetti, Lucia Longo, Ettore Marino, Francesco A. Calabrese, Annalena Cimino, Franco Araniti, Angela A. Milella: Note e Noterelle di: Michela Lalla, Fulvio Castellani, Erminia Barca, Pasquale Scarpitta, Giuseppina de Felice, Valeria Carmen Cauteruccio, Dolores Nicastro; FilodArte di Gaetano Marchese. * L’ATTUALITÀ, mensile di società e cultura fondato e diretto da Cosmo Giacomo Sallustio Salvemini – via Lorenzo il Magnifico 25 – 00013 Fonte Nuova (Roma) – E-mail: lattualita@yahoo.it – Riceviamo il n. 10, ottobre 2021. Tra le firme, anche quelle delle nostre collaboratrici Manuela Mazzola e Isabella Michela Affinito. * RENDITION OF INTERNATIONAL POETRY – Periodico bilingue (Cinese – Inglese) fondato dal Dr. Zhang Zhi – P. O. Box 031, Guanyinqiao, Jiangbei District, Chongqing City, P. R. China – E-mail: iptrc@126.com – Riceviamo in contemporanea i numeri 2 e 3, rispettivamente del maggio e agosto 2021, entrambi ricchi di poesie di autori di tutto il

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mondo. Le copertine sono a colori e la prima del numero 2 reca l’immagine di Lali Tsipi Michaeli (Israele), la seconda (di copertina) quella del cinese Mu Ye, la terza la foto della pittrice Xaio Qin e 4 suoi lavori e la quarta quelle di Mohammad Helmi Al-Rishah (Palestina), Bogumila Janicka (Polonia), Umid Ali (Uzbekistan), Ashraf Aboul-Yazid (Egitto), Muhsine Arda (Turchia), Poul Lyggaard Damgaard (Danimarca), Lorena Pircher (Austra e Italia) e Huang Chaojiu (Cina). Di tutti, all’interno, poesie e curriculum. Da segnalare, ancora, due poesie di Domenico Defelice e quattro di Lidia Chiarelli. Almeno una ventina i poeti cinesi. Anche il numero 3 è altrettanto ricco, sul quale non ci soffermiamo per mancanza di spazio. Invitiamo i nostri lettori a contattare a nostro nome il Dr. Zhang Zhi, a collaborare e ad abbonarsi. Gli scambi internazionali affratellano i popoli e contribuiscono alla pace nel mondo. * NUOVA ANTOLOGIA – Rivista di lettere, scienze ed arti fondata 156 anni fa; Serie trimestrale fondata da Giovanni Spadolini, diretta da Cosimo Ceccuti – Fondazione Spadolini NuovaAntologia – via Pian de’ Giullari 139 – 50125 Firenze – E-mail: fondazione@nuovaantologia.it – Ecco il Sommario del vol. 627, Fasc. 2299, del luglio-settembre 2021: Giovanni Spadolini, Una laurea per Willy Brandt, nel segno della cooperazione internazionale, a cura di Gabriele Paolini, 5; Luca Paulesu, Le riviste ritrovate: la formazione del giovane Gramsci in Sardegna (1907-1914), 11; Sergio Mattarella, La mia idea dell’Europa, 32; Norberto Bobbio, Dalla libertà è nata, di libertà vivrà, a cura di Pietro Polito, 42; Carlo Bo, Ricordo di Giorgio Bo, a cura di Giovanni B. Varnier, 56; Enzo Cheli, La vera data di nascita della Repubblica italiana, 60; Maurizio Molinari, Lo spirito repubblicano di Draghi e Spadolini, 65; Andrea Frangioni, Voci del dissenso cinese: Zhang Xuezhong, 69; Zhang Xuezhong all’Assemblea nazionale del popolo cinese, p. 73; Dire addio alle riforme e all’apertura: sulla situazione pericolosa della Cina e sulle sue future opzioni di Zhang Xuezhong, p. 77; Antonio Del Pennino, Come nacque il Ministero della Protezione Civile in Italia col governo Spadolini, 83; Valerio Di Porto – Antonio Piana, Enrico De Nicola a Palazzo Giustiniani, 86; 1946: la nascita della Repubblica e l’elezione di De Nicola come Capo provvisorio dello Stato, p. 89; Un’influente provvisorietà, p. 91; Le prime prassi per il conferimento dell’incarico, p. 93; 1947: dal Governo tripartito DC-PCI-PSI allo strappo con la Sinistra, p. 95; Una palingenesi in nome dell’unanimità, p. 103; Imparzialità nelle relazioni internazionali, contrarietà al trattato di pace, p. 105; Da Capo provvisorio


POMEZIA-NOTIZIE

Novembre 2021

dello Stato a Presidente della Repubblica, p. 107; 1948: l’elezione di Luigi Einaudi, p. 107; Aldo A. Mola, Vittorio Emanuele III e l’Ignoto Milite (19191921), 113; Intervista rilasciata dal gen. Antonino Di Giorgio al col. Angelo Gatti, p. 123; Sandro Rogari, Indro Montanelli a vent’anni dalla scomparsa, 126; Ermanno Paccagnini, Raccontare situazioni di amicizia, 129; Stefano Folli, Francesco Compagna cento anni dopo, 146; Stefano Folli, Diario politico, 149; Vittoria Puccini: “UNITA” si vince!, a cura di Caterina Ceccuti, 163; Paolo Bagnoli, Carlo Curcio storico delle dottrine politiche, 171; Giacomo Fidei, Renato Fucini: il funzionario pubblico che cantò in versi e in prosa la campagna toscana, 180; Giuseppe Pennisi, Igor, il globalista, 200; Introduzione, p. 200; Igor, il russo, p. 202; Igor, lo svizzero, p. 206; Igor, il francese, p. 208; Igor, l’americano, p. 212; Conclusioni, p. 217; Sabrina Borchetta – Angelo Costa, Sciascia ed il poliziesco che dilata il tempo: la destrutturazione di un genere?, 218; Valeria Biraghi, Quel Risorgimento nato sul lago Maggiore, 228; Il salotto buono di Giuseppe e Costanza Arconati, p. 230; Alessandro Manzoni e Antonio Rosmini, p. 231; Giulio Carcano e Cesare Correnti, p. 233; Eroiche presenze femminili sulla costa piemontese del lago Maggiore, p. 237; Dopo l’unità d’Italia: la nuova classe dirigente, p. 239; Tito Lucrezio Rizzo, Intelligenza artificiale ed etica, 241; Michele Galante, Il carteggio Eugenio Garin-Pasquale Soccio, 272; Epistolario Soccio-Garin, p. 280; Maurizio Naldini, Tre alberghi molto accoglienti, 294; Pietro Masci, Le Elezioni Americane del 3 novembre 2020, i Cento Giorni e le Prospettive Future – II, 302; Considerazioni, p. 302; Conclusioni, p. 318; Renzo Ricchi, Morte della cercatrice di un futuro incantato – II, 323; Carlo Di Lieto, L’io diviso nei “Sei personaggi in cerca d’autore”, 342; Oliviero Pesce, Il Crediop nell’ultimo ventennio del XX secolo, 354; Domenico Defelice, Geppo Tedeschi tra poesia e ricordi, 360; Adriano Bassi, Pirandello e la musica, 364. Rassegne, 368: Federico Fastelli, Claudio Magris, maestro plurale (sul secondo volume dei Meridiani Mondadori), p. 368; Enza Biagini, Il pane perduto, p. 372; Anna Balzani, “Forme nel verde” celebra cinquant’anni. Le sculture di luce di Helidon Xhixha, p. 375. Recensioni 377: Aldo Palazzeschi, Mario Picchi, Carteggio 1949-1970, di Silvio Ramat, p. 377; Francesco Sisinni, Et in Arcadia ego, di Cosimo Ceccuti, p. 379; Fernando Molina Castillo, Roberto Randaccio (a cura di), Collodi, Articoli di costume, di Daniela Marcheschi, p. 380; Pietro Polito, La cultura dell’iniziativa, di Claudia Bianco, p. 383; Serena Bedini, Notturno con fuga, di Caterina Ceccuti, p. 386; Giorgio Caproni, Vittorio Sereni, Carteggio 1947-1983, di Angelo Costa, p. 387; Giampiero Sica,

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Prove di fiducia. Il Presidente della Camera e il parlamentarismo nel periodo statutario, di Valerio Di Porto, p. 389; Alessandro Lo Presti, Il guerriero guaritore, di Alessandro Ricchi, p. 391; Matteo Bussola, Viola e il Blu, di Andrea Mucci, p. 392. L’avvisatore librario, di Aglaia Paoletti Langé 395.

L’uscita mensile di Pomezia-Notizie, sebbene non più cartacea e, quindi, senza spese tipografiche e postali, continua ad avere i suoi costi in termini di energia, apparecchi, ore e ore di lavoro e spedizione on line. Perciò, chi vuol continuare a riceverla, sebbene in via telematica, occorre che contribuisca almeno con l’abbonamento. Pomezia-Notizie, comunque, può essere sfogliata e letta gratuitamente su: http://issuuu.com/domenicoww/docs/

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