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In ricordo di Angela Castoldi, di Lia Giudici, pag
by Domenico
IN RICORDO DI ANGELA CASTOLDI
di Lia Giudici
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GNI perdita produce dolore”, così afferma il nostro direttore Domenico Defelice, e dice bene. Ma ogni lutto è diverso e la differenza consiste nella sua rielaborazione o forse meglio nell’esito di essa. Ci può infatti condurre a un allargamento di orizzonti, a rendere concime futuro il bene che nella relazione si è scambiato, oppure ci può sprofondare in abissi molto profondi, dove a volte ci si perde e riemergere è faticoso.
Ho conosciuto Angela tantissimi anni fa, nel 1975 per l’esattezza, nel cortile di quella che è stata la mia prima vera residenza a Milano, una casa di ringhiera non lontana dal centro, un tempo zona popolare, trasformatasi con lo scorrere degli anni in una delle aree più ambite dalle scuole di moda e dalla movida Quella casa di ringhiera, teatro del nostro primo incontro, aveva la caratteristica di essere stata la prima casa di ringhiera costruita con i servizi interni; generalmente i bagni erano in comune, sui ballatoi.
Aveva dieci anni più di me, sposata con un bambino chenon aveva ancora tre anni quando ci incontrammo la prima volta, il secondo doveva ancora raggiungerci. Come nuova arrivata ero stata chiaramente notata e un giorno mi approcciò, chiedendomi se frequentavo l’Università. Alla mia risposta positiva - frequentavo Lingue - mi informò che anche lei era iscritta, a Lettere.
Fu l’inizio di un’amicizia feconda che non ha conosciuto interruzioni. Anche dopo il mio trasferimento in altri ambienti, i miei soggiorni altrove, che includono pure stati esteri, anche dopo aver lasciato Milano. Solo il suo decesso l’11 giugno scorso, ha scritto la parola fine a questa frequentazione, a seguito di una malattia durata poco più di un anno; il “brutto male”, che spesso ancora oggi sembra non dare scampo, probabilmente già si poteva intravedere in una ecografia da lei fatta poco prima che iniziasse il lockdown; analisi, visite, controlli però, per chi non aveva contratto il coronavirus, furono rimandati e la diagnosi per lei arrivò quando forse era troppo tardi: tumore alle ossa e con questa sentenza si è dovuta confrontare prima di cedere il passo a questa “cosa” che l’ha mangiata dentro.
Angela era nata a Castano Primo, un paese in provincia di Milano di quasi undicimila abitanti, il 25 luglio 1943, una data memorabile. Il 25 luglio infatti il re Vittorio Emanuele III aveva deposto Benito Mussolini. La coincidenza delle date era per lei motivo di grande orgoglio.
Come donna nata durante la guerra, in una famiglia con quattro figli (tre sorelle e un fratello), “di gente tranquilla, che lavorava” suo padre era uno dei parrucchieri del paese (a volte le canzoni di musica leggera rendono bene i concetti), il destino poteva sembrare segnato: avrebbe frequentato dopo le Scuole Elementari al massimo la Scuola di Avviamento Professionale, trovato un’occupazione, in attesa di accasarsi. Ma il suo destino “deragliò” da quel tracciato; grazie a una sua
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insegnante che si prodigò presso i suoi genitori...un’intelligenza così viva non doveva/poteva essere sprecata… ad Angela fu concessa l’iscrizione alla Scuola Media, il cui accesso era legato a un esame di ammissione e che rendeva inevitabile il proseguimento degli studi. Alla fine della Scuola Media, brillantemente frequentata, si iscrisse all’Istituto Tecnico per Ragionieri di Novara, una scuola che la famiglia senz’altro impose perché un percorso universitario non poteva nemmeno essere pensato e quel tipo di scuola ai tempi garantiva immediatamente un posto di lavoro. Dopo la Maturità infatti lo trovò subito in una Multinazionale con sede a Milano; ne curava i bilanci e ogni tanto volava a spese dell’Azienda ad Amsterdam a discuterli con l’Amministratore Delegato.
Qualcuno dei lettori potrà obiettare che ci sono sempre state menti brillanti che pur di umili origini sono riusciti a scalare i gradini dell’istruzione raggiungendo vertici di alto livello, e questo è vero, ma il caso di Angela preannuncerà una svolta che sarebbe avvenuta poco dopo; l’Italia, uscita a brandelli dalla terrificante esperienza della guerra, doveva sorprendere un po’ tutti: nel 1962 fu infatti istituita la Scuola Media Unificata e veniva finalmente applicata in questo modo la Costituzione della Repubblica che prevedeva otto anni di scuola gratuita e obbligatoria per tutti.
Il percorso intrapreso da Angela faceva intravedere un periodo che avrebbe visto una massa crescente di studenti che si avvalsero di queste inedite possibilità offerte anche a livello istituzionale. I tempi stavano cambiando e la società era in fermento. L’Italia aveva dato avvio a un processo, ai tempi inarrestabile e che sembrava non si sarebbe mai fermato, di affrancamento da ruoli/schemi /posizioni condizionati dal censo.
Angela prese a un certo punto la decisione di trasferire la residenza a Milano e da questa città non si è più spostata; lì si è sposata con Giorgio, lì ha deciso che avrebbe smesso di fare la ragioniera per frequentare l’Università e poi laurearsi con il massimo del punteggio, con una tesi sperimentale messa a punto sul campo, premiata anche economicamente, lì sono nati i suoi due figli, Damiano e Lorenzo, lì ha fatto il concorso e ha incominciato a insegnare Geografia Economica con grande passione, lì ha vissuto tutti gli sconvolgimenti che la nostra Repubblica ci ha serbato in questo lunghissimo periodo ed è lì che ha detto addio alla vita.
La sua decisione di lasciare un posto di lavoro ben retribuito e stabile può essere senz’altro ascritto all’entusiasmante contesto di allora: non si era mai sazi di Cultura, il desiderio di ampliamento degli orizzonti era instancabile, la vitalità delle esperienze difficilmente descrivibile. Il prosieguo che poi fu non rende giustizia a quella situazione, così pregna di ideali, di desiderio di cambiare, di talenti messi a disposizione della collettività.
Nonostante tutto questo Angela percepiva Milano in modo contraddittorio, per molti versi l’apprezzava, ma non l’ha mai profondamente amata, perché non si è mai sentita veramente a casa. Non poteva dimenticare la vita nel paese dove era cresciuta, scandita in modo ordinato, pur imprigionante, ma fonte di certezze, e che permetteva un rapporto più intimo con la natura
Trovava questa grande città certamente interessante, dato che offriva spunti di riflessione, possibilità di incontro e di partecipazione a eventi che la provincia difficilmente può dare. Anche la “fauna” che popola città come Milano è particolare, eterogenea, e le differenze possono essere più facilmente accolte.
La sua casa era un luogo di incontro per me imprescindibile, accese discussioni animavano l’atmosfera, lei si batteva per i suoi ideali, che la vedevano sempre schierarsi dalla parte dei più deboli, difendeva strenuamente le sue idee; in tutto ciò metteva tanta foga, che a volte poteva spaventare chi si era abituato al “politically correct”, ma le sue posizioni erano molto rispettose, tentava sempre infatti di capire il punto di vista dell’interlocutore. Certamente la sua logica stringente, la sua cultura, la sua profondità di pensiero spiazzavano non pochi per l’irruenza, e a volte veniva giudicata “un po’
rigida”. Un giudizio assolutamente superficiale, anche perché lei era sempre pronta a cogliere l’aspetto umano di chiunque le si parasse davanti e in quella casa erano banditi i pettegolezzi malevoli. Regnavano invece ospitalità e generosità. E accoglienza, da parte di tutti i componenti della famiglia. Il perno era lei, ma l’amicizia da me intessuta coinvolge anche loro.
Esprimeva il suo mondo interiore anche in forma poetica. Scriveva infatti poesie che non ha mai tentato di pubblicare, anche se pure in questo caso a volte notavo delle contraddizioni, nel senso che mi sembrava invece che lo desiderasse; far conoscere le proprie poesie comporta però mostrare la parte più intima di sé, far emergere magari la propria vulnerabilità...inoltre si aggiungeva in lei un profondissimo senso del pudore; il risultato è stato pertanto che alcuni amici non abbiano mai saputo di questa sua attività e anche i più vicini a lei hanno avuto solo qualche volta l’onore di leggerne qualcuna. O di sentirle lette da lei.
Non credo di farle un torto, ora che non può più contestare, se sottopongo all’attenzione dei lettori di Pomezia-Notizie qualcuna delle sue creazioni; è un renderle omaggio, riconoscere a una persona la sua umanità, veicolata attraverso la poesia; la nostra amicizia inoltre sta a testimoniare che due differenti percorsi di vita, a un occhio estraneo veramente divergenti, possano essere condivisi, nel rispetto reciproco. Nutro poi la speranza che questa “emersione” arricchisca chi si appresterà a leggere questi versi, aldilà della loro amarezza.
Menziono una poesia relativa all’infanzia e quelle che si riferiscono a Milano. Le contraddizioni sopra accennate qui emergono in modo molto chiaro.
INFANZIA: Allora il mondo era perfetto/ed eterno./Ogni cosa aveva il suo posto/preciso, immutato./Ed il tempo era fermo./Mia nonna seduta nel buio/batteva paziente le nocche/nodose/ sul tavolo spoglio,/con fragili spalle/ricurve/da sola reggeva l’assalto/furioso degli anni
A MILANO: “...Amo questa città/solo quando buia e desolata/alfine si raccoglie/sotto una pioggia/infinita”
QUESTO TRAM: “Questo tram/cittadino è.. un’arca. Dalla notte ci accoglie/umani/di tutte le razze/e ci mette a sedere/di fronte/l’un l’altro a spiarci/nel viso.../Poi uno ad uno/ci lascia al buio/del nostro destino
POTREI FORSE AMARE: Potrei forse amare questa città/se mantenesse il respiro quieto del mattino/del mattino di un giorno di festa./Potrei forse amarla/se ci accogliesse ogni giorno/con l’abbraccio festoso/di un corteo del primo di maggio./Potrei forse amarla/se mantenesse ai miei figli/la promessa di una festa popolare/nel parco/in una notte di luna
SUL MARCIAPIEDE: Sul marciapiede sporco/di Milano,/un piccione, gonfio di piume,/insegue la sua compagna./Col verso roco/dell’amore./Solenne,/rinnova l’eterno rito/della vita/nello squallore metropolitano
Chiudo questa esposizione con un’ultima poesia, quella che è scritta a retro della foto che ci è stata consegnata in occasione del commiato, la prima volta nella chiesa di Castano Primo, la seconda nell’Orto Condiviso di Via Padova, gestito dalla Lega Ambiente.
Protagonista di questi versi è la Natura, che ha avuto un ruolo di primaria importanza nella sua vita, pure nei suoi ultimi scampoli; tutti i pomeriggi infatti veniva accompagnata dal marito in uno dei parchi milanesi, lì scattava foto a scorci di estrema bellezza, pur nella loro semplicità, e puntualmente le inviava a noi amici. E tutto questo poco tempo prima di salutarci per sempre.
La Natura era in grado di darle qualche risposta sul senso della vita, da lei continuamente cercato. Di lei si potrebbe infatti dire: “Ha ricercato in modo instancabile il significato del nostro stare al mondo, pur nutrendo
dubbi sull’esistenza di una Entità Superiore”
“Amo il silenzio/austero del bosco e il canto/Solitario di un uccello/Che non riesco a vedere./Ma è la voce/Sommessa del fiume lontano/Che mi commuove/Cammino nella neve/Sopra le impronte lasciate/Da altri./Nella solitudine mi sento/Meno sola
Lia Giudici
A MILANO
A Milano l’orizzonte è breve, chiuso fra due edifici. Ma le mattine di gennaio il sole sorge proprio in fondo a questa via. Il rossore dell’aurora mi sorprende all’uscita dal mio portone
Amo questa città solo quando buia e desolata alfine si raccoglie sotto una pioggia infinita
Angela Castoldi
ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO
Cercava un tale un dì il perduto tempo negli anfratti mnemonici dei sensi; io perdo oggi il tempo per cercare cose ancora presenti alla memoria, ma di cui ho da molto ormai scordato in quale luogo un giorno le ho riposte.
Copie di un giornalino giovanile, dattiloscritto insieme ad un’amica ai tempi delle medie, pieghevoli di mostre visitate, che oggigiorno sarebbero quasi storici reperti, appunti e annotazioni, date e dati …
Oggi ricordo queste cose, le ho in memoria, ma ho scordato il luogo dove un giorno le ho riposte!
27 gennaio 2021
Mariagina Bonciani
Milano
TRA LE CREPE DEI TUFI
Guidò la mano dell’infanzia, verso la riva di sassi, la pietra ruvida restituita dal fuoco. Tra le crepe di quei tufi tane di lucertole padrone dei muri fino alle impossibili altezze inseguite e mai raggiunte, tranne che da grida di bimbi d’instancabili scarpe con petti pieni di giorni e di notti e fili di speranze. Si va ancora talvolta alla marina, seguendo le pietre portate dal ventre caldo della terra, per ritrovarsi a scrutare, in un’alba nuova, quella luce che si cerca ancora.
Salvatore D’Ambrosio
Caserta
RISVEGLIO VENEZIANO
In una calda notte veneziana mi sono risvegliato di soprassalto da un doloroso letargo, da una pesante crisi di fiducia come capita a tutti i poeti prima o poi nella vita.
Un oceano di nebbie si è dissolto, e d’ortiche, e cemento. Davanti agli occhi miei affascinati c’era di nuovo il mondo: bello, terribile, e, come sempre, inaffidabile. Ma finalmente, anche per me nuovamente esprimibile.
Lui De Rosa
Da: Viaggio esistenziale, Gammarò Edizioni, 2019