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-Febbraio2023 -

Inedicola€1,00

Joseph Ratzinger, studioso, teologo, uomo di smisurato sapere IL PAPA DEL “QUAERER DEUM”

di Domenico Defelice

Sabato 31 dicembre 2022, a Roma, nella Città del Vaticano, alle ore 9,34 è morto Papa

Benedetto XVI. Joseph Ratzinger era nato a Marktl Am Inn il 16 aprile del 1927.

Vita intensa e straordinaria la sua, i cui capitoli fondamentali possono essere sintetizzati nella consacrazione a sacerdote, il 29 giugno 1951; la laurea in teologia nel 1953 e l’insegnamento in varie scuole; la nomina a cardinale nel giugno del 1977; a Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1981; a Decano del Collegio Cardinalizio nel 2002; la elezione a Papa il 19 aprile 2005; le sue dimissioni il 28 febbraio 2013; la vita ritirata, dedicata allo studio e alla preghiera, nella Città del Vaticano fino alla morte, col “Signore ti amo”, le ultime sue parole.

Ferdinando Casini, che lo conosceva bene, l’ha definito <<uomo raffinato, intelligentissimo e allo stesso tempo umile e modesto>>, il quale, tuttavia, ha saputo mantenere salde le sue idee, esprimendole senza timori e remore, come quando, per esempio, ha giudicato assolutamente negativo il tentativo di fare entrare la Turchia nell’Unione Europea.

Amante della musica classica, non si è mai opposto - ma neppure è stato mai entusiastaall’abbandono, da parte della Chiesa, della solennità dei Canti Gregoriani per dare spazio a chitarre e tamburi, perché la musica composta e sublime interiorizza e aiuta alla ricerca di Dio. Era, insomma, per l’armonia eccelsa, per la musica grande, la nostra, la occidentale, che unisce e non disgrega.

Uomo e teologo di profonda cultura non sempre capito, come quando ha provocato un putiferio col suo discorso all’Università di Ratisbona, il 12 settembre 2006, con la citazione di Manuele II Paleologo: <<Mostrami ciò

ISSN 2611-0954
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All’interno:

All’ultimo papa, di Ilia Pedrina, pag. 7

Lo Zibaldone di Leopardi, Cardarelli e La Ronda, di Marina Caracciolo, pag. 11

Palingenesi di un mito, di Domenico Defelice, pag. 14

Officina meccanica. Basi e riflessioni, di Giuseppe Leone, pag. 16

LUO Qiuhong, di Domenico Defelice, pag. 18

Il Premio Editoriale Il Croco, pag.21

Notizie, pag. 31

Libri ricevuti, pag.35

Tra le riviste, pag. 37

RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito ( Giuseppe Iuliano Poeta in vena lirica e satirica, di Antonio Crecchia, pag. 22); Tito Cauchi (Pria che sera a notte ceda, di Aldo Ripert, pag. 24 ); Tito Cauchi (Nonostante questo, di Rocco Salerno, pag. 25 ); Tito Cauchi (Invisibili fili, a cura di Vanna Corvese, pag. 27); Annamaria Ferramosca (Era d’agosto e Tra gli aranci e la menta, di Lorenzo Spurio, pag. 28); Manuela Mazzola (Scene da un interno, di Roberto Maggi, pag. 29); Manuela Mazzola (E la luna bussò alla mia porta, di Isabella Michela Affinito, pag. 30).

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Corrado Calabrò, Rocco Cambareri, Tito Cauchi, Giannicola Ceccarossi, Wilma Minotti Cerini, Graziano Giudetti, Gianni Rescigno.

che Maometto ha portato di nuovo e vi troverai soltanto cose cattive e disumane>>. Ratzinger non mirava certo alle divisioni, ma aveva a cuore l’identità europea, il chiaro intento ad affermare come l’Europa e la sua unione abbiano origine nell’incontro tra la spiritualità biblico-cristiana e il pensiero greco e laico. Egli non era per nuove crociate tra Cristianesimo e Islam, ma da studioso profondo e sincero metteva in chiaro, senza ipocrisia, il rapporto stretto tra fede e ragione, tanto è vero che appena tutto ciò fu compreso, ogni polemica s’è spenta. Secondo il filosofo Marcello Pera, che con Ratzinger ha collaborato, la fede, per Papa Benedetto XVI, era << un fatto e un bisogno necessario alla ragione>> e Ratzinger – afferma ancora Pera – è <<tra i più grandi difensori della civiltà europea>>. Il Papa era convinto che il Cristianesimo, specialmente in Occidente, stava e sta perdendo intensità e slancio, il mordente che di sé aveva in passato lievitato l’intera Europa.

La cultura di Joseph Ratzinger è stata universale e particolare, con al centro il <<qua

erer deum>>, cioè la ricerca costante, mai stanca di Dio. Studioso, teologo, uomo di smisurato sapere, meno portato a dirigere, governare, amministrare. Non ha mai amato gli applausi e le folle, ma la riservatezza, la solitudine.

L’Europa e la Cultura. Ogni nazione ha la sua ed è giusto che essa venga mantenuta come elemento, come grano della collana dell’Unità, perché la diversità è proprio la identità dell’Unione: <<la storicità delle nostre culture e la diversità>> sono e devono rimanere <<la nostra ricchezza>>.

Non son chiare le motivazioni delle sue dimissioni da papa. Il rapporto con il suo successore Papa Francesco è stato, a quanto risulta, intenso, fraterno, sincero; ma non si sa quanto ci sia di vero nella divisione che ripetutamente si è fatta tra un papa tedesco conservatore (Ratzinger) e uno argentino, gesuita e progressista (Bergoglio). Conservatore? Progressista? La sola realtà, forse, è che, oggi, nella Chiesa ci siano due fazioni, le quali abbiano costantemente tentato di strattonare entrambi, da entrambi in qualche

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modo respinte o tenute a freno, perché, per entrambi – Ratzinger e Bergoglio -, è stata essenziale l’unità della Chiesa. Ratzinger ha cercato di cucire anche con la Chiesa ortodossa e ha lavorato - per esempio, e, secondo il vescovo Gerhard Mueller, ma senza riuscirvi - a << ricomporre lo scisma lefebvriano>>.

La Chiesa di oggi è attanagliata da gravi problemi, che investiranno massicciamente i successori di Papa Francesco; questioni che, finora, hanno solo sfiorato sia lui che Ratzinger: il celibato sacerdotale, l’omosessualità, l’aborto, l’eutanasia ed altro ancora. Su questi temi dovrà misurarsi la Chiesa del futuro.

Le opere di Joseph Ratzinger teologo e scrittore sono una montagna. Ci limitiamo a ricordarne alcune: San Bonaventura. La teologia della storia (1959), Introduzione al Cristianesimo (1968), Dogma e Predicazione (1973), Rapporto sulla fede (1985), Alla scuola della verità (1987), Il sale della terra (1996), Europa, i suoi fondamenti oggi e domani (2005), L’Europa nella crisi delle culture (2005), Deus caritas est (enciclica, 2006), Spe Salvi (enciclica, 2007), L’infanzia di Gesù (2007), Gesù di Nazaret (2007), Caritas in Veritate (enciclica, 2009).

Il Gesù di Ratzinger non è il soggetto protagonista di un romanzo. È Dio-Cristo, scoperto attraverso ciò che di Cristo vien riferito nei Vangeli. È una riflessione, completa per gli aspetti presi in esame, sul Cristo delle Sacre Scritture. È <<un libro su Gesù>>, o meglio, il <<tentativo di ascoltare Gesù e di fare così la sua conoscenza>>. È una indagine affascinante e, per certi aspetti, difficile – non per il linguaggio, assai chiaro e scorrevole, ma per la materia trattata e la quantità di riferimenti che spaziano dal Vecchio al Nuovo Testamento, fino ai giorni nostri attraverso l’intuizione e la parola di tanti altri eccezionali investigatori – <<che cerca di comprendere il cammino di Gesù sulla terra e la sua predicazione, non l’elaborazione teologica nella fede e nel pensiero della Chiesa delle origini>>.

Perché l’opera di Ratzinger possa venire

adeguatamente assimilata, ha bisogno che, in chi legge, ci sia assoluta attenzione e più che solida preparazione. Dalla esegesi, allora, la figura di Cristo si concretizza a poco a poco in tutta la sua natura umana e divina e Dio esce dalla sua inaccessibilità, dalla nube, per rendersi, attraverso il Figlio, più vicino alle capacità intellettive dell’uomo. Dio si identifica totalmente in Cristo. <<Chi ha visto me ha visto il Padre>>. Gesù non risponde così a Filippo che gli chiede di mostrargli il Padre?

Il volume si compone di una Introduzione – nella quale l’Autore ci dà un <<primo sguardo sul mistero di Gesù>> – e di dieci densi capitoli: “Il battesimo di Gesù”, “Le tentazioni di Gesù”, Il Vangelo del Regno di Dio”, “Il Discorso della Montagna”, La preghiera del Signore”, “I Discepoli”, “Il messaggio delle parabole”, “Le grandi immagini giovannee”, “Due momenti importanti nel cammino di Gesù: la confessione di Pietro e la Trasfigurazione”, “Le affermazioni di Gesù su sé stesso”. A partire dal quarto, sono tutti, a loro volta, suddivisi in sottocapitoli. Infine, troviamo una “Nota editoriale”, “Citazioni bibliche e documenti del Magistero” e un lunghissimo “Indice dei nomi”.

Tra i dieci capitoli, non c’è uno che sia più importante dell’altro: tutti concorrono a formare il mosaico d’insieme e ciascuno è essenziale perché la figura del Cristo si realizzi in noi nella Sua fisicità e nella Sua divinità.

E però non possiamo nascondere il particolare fascino che suscita l’esegesi del Padre nostro, la preghiera che viene direttamente da Cristo, attraverso la quale Egli insegna all’uomo come mettersi in comunione e in comunicazione col Padre e, quindi, con Lui stesso. Da questa indagine si comprende come non ci sia parola del Padre nostro che non abbia un significato profondo e di come ciascuno di noi debba sintonizzarsi perché la nostra invocazione abbia senso e sia efficace. Dio non ha nome, perché il nome presuppone una distinzione tra altri e Lui. Il Regno non è un’altra Terra, un altro pianeta: Regno dei Cieli significa <<cuore docile>>,

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quello richiesto da Salomone <<perché sia Dio a regnare e non noi. Il regno di Dio viene attraverso il cuore docile. Questa è la sua via. E per questo noi dobbiamo pregare sempre>>. È dal <<cuore docile>> che discende tutto il resto: la carità, la giustizia, l’amore. Se l’uomo acquistasse un <<cuore docile>>, nel mondo si realizzerebbe veramente e definitivamente la Palingenesi, perché il <<cuore docile>> ci permetterebbe di vedere gli altri come nostri fratelli e finirebbero finalmente gli egoismi, le ingiustizie, le invidie ed ogni altra sorta di male che avvelena la vita dell’uomo e lo tiene lontano da Dio. In altri termini, ci identificheremmo con Cristo che <<è il regno di Dio in persona>>, e saremmo anche noi, perciò, <<regno di Dio>>.

Non si dimentichi che è stato proprio Cristo ad affermare che il vero male è quel che esce dal cuore dell’uomo non in sintonia con Dio. Guarito il cuore, è guarito l’uomo, sono guarite le sue azioni, è guarita l’intera umanità, e terra e cielo si confonderanno, non saranno più opposti, perché <<la terra non porta alcun frutto, se non riceve dall’alto sole e pioggia. Questa sinergia delle forze cosmiche, che non è stata consegnata nelle nostre mani, si contrappone alla tentazione della nostra superbia di darci la vita da soli e con le sole nostre capacità>>.

Ratzinger ci invita a ritornare sui nostri passi dalla <<banalizzazione del male>>, che vuol dire dalla banalizzazione di tutto, compresa l’altra vita, come avviene ogni giorno con certa pubblicità sugli schermi televisivi e sulla Stampa, in cui – per fare un esempio e tra i più casti che furoreggiavano - San Pietro si abbuffa di caffè tra ammiccamenti e lazzi... Il male e i suoi frutti non vanno banalizzati. Ce lo dimostra Dio stesso il quale

come afferma il Cardinale John Henry Newman - ha creato <<dal nulla con una parola>> il mondo, ma per ostacolare e male e sofferenza una parola non è bastata e ha permesso che morisse sulla croce il proprio Figlio, <<mettendosi Egli stesso in gioco>>. Dio può permettere che il male, le tentazioni, ci colpiscano, può, cioè, <<dare

spazio al Maligno>> verso di noi per metterci alla prova e occorre pregare che <<Dio non ci addossi più di quanto siamo in grado di sopportare>>. Perché <<Le sventure possono essere necessarie alla nostra purificazione, ma il male distrugge>>.

Gesù di Nazaret (Rizzoli, 2007 – Pagg. 448, € 19,50) non è che il primo volume di una più vasta indagine - poi conclusa - e Ratzinger lo ricorda più volte nel corso della trattazione.

Sarebbe lungo, e troppo complesso per le nostre capacità, soffermarci su tutti i temi e gli aspetti presi in esame dal Pontefice che oggi il mondo piange; diciamo solo, per concludere, che la lettura di quest’opera edifica e irrobustisce la nostra crescita interiore.

SOFFOCATA ESALAZIONE

Un lamento fievole appena emesso ti fa sentire pietà più di un urlo straziante.

Appena il tempo di capire che si sta per morire e a niente varrebbe una pur minima difesa.

Si accetta di soccombere si sa essere giunta l’ora e gli ultimi istanti non sono consumati in imprecazioni ma in una sottile preghiera quanto muta rivolta al cielo.

Ma come un agnello sacrificale ignaro guarda tra l’umano e il divino e si sprigiona soffocata esalazione: Ahah…

Tito Cauchi

Scritta all’indomani dell’assassinio del “giudice ragazzino”, Rosario Livatino, 21.9.1990, inserita nella raccolta Arcobaleno (Ed. Totem, Lavinio Lido Roma, 2009).

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ANTIGRAVITÀ

Entrare in mare prima che sia giorno per ritrovare le albe che ho perduto e per sottrarmi a questo peso amorfo che fa sbarrare nell’insonnia gli occhi.

Voglio salpare, solo, in piena notte sentendo lo sciacquio della risacca e galleggiare in mare con la luna.

Non voglio stare con me stesso a terra. No, no ancora… altrimenti mi sveglio… (2019)

Corrado Calabrò

Da: Quinta dimensione, Mondadori, 2021

PAROLE INTERROTTE

Mi sento scosso da pensieri di baratro come quelli dei traffici a Tor di Quinto1 dei prati disseminati di profili lattici che potevano scambiarsi per palloncini nelle mani d’inconsapevoli innocenti. Droga, alcool, oscenità, malversazioni uccidono tante giovani vite e famiglie.

Amica mia, senza gli accordi è difficile comporre uno spartito un pentagramma, suonare e cantare ma solo imbrattare la poesia.

Il piombo ha segnato gli anni di Miki, Giorgiana, Walter, e di altri2 Il sangue a Via Fani, a Via Caetani3 e su altri selciati scorre ancora. Mi placava il cimitero francese la serenità di soldati sull’attenti.

Il boato ha soffocato l’ultima preghiera di Rosario e spento Giovanni e Paolo4 . Poco valse pensare alle cose eterne o a quelle che muoiono solo con me ai mille secoli che ci precedono a quei mille che seguiranno ancora.

Meco un vegliardo di mille secoli io sono e fui prima di essere prima di essere disfatto fui.

IL CROCO

I Quaderni Letterari di POMEZIA-NOTIZIE

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Amica mia belli il sole e la pioggia i fiori, gli alberi, il cielo e il mare il sorriso di un bambino in braccio degli anziani grati supplichevoli guardarsi in viso la fiducia guadagnata con sacrifici e rispetto dell’altro. Chissà se nasceremo ’na volt’ancora.

(2016)

Note, 1 zona equivoca di Roma; 2 anni Settanta, giovani militanti politici uccisi da bande opposte; 3 anni Settanta, sequestro e uccisione di Moro e della sua scorta; 4 anni Novanta, giudici siciliani uccisi dalla mafia.

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Marco Vannini scrive lettere dal sapore antico

All’ultimo papa

La lettera è modo non solo letterario di comunicare con il destinatario in forma aperta, senza richiedere risposta, né pubblica né privata. Se poi i temi delle lettere sono di portata culturale e spirituale ad un tempo, di indubbia profondità consequenziale, allora la loro utilità offrirà crescita interiore, indurrà riflessioni anche retroattive, illuminerà il doveroso spazio che si prospetta sempre nel contatto indiretto della loro lettura.

In questo terreno fertile e ben concimato si insinua una originale pubblicazione del prof.

MARCO VANNINI - ALL’ULTIMO PAPA - LETTERE SULL’AMORE, LA GRAZIA E LA LIBERTA’, Ed. Il Saggiatore, Milano, 2015, Euro 17,00

Nel Prologo (pp. 9-15) lo studioso fiorentino sceglie un gancio diretto con il filosofo Friedrich Nietzsche e con il suo Così parlò Zarathustra, poi, alla sua conclusione sostiene: “… Benedetto XVI si è trovato stretto nella contraddizione tra la necessità di difendere la credenza tradizionale, soprattutto per le masse popolari, e il doveroso rigetto di una religione ridotta a mitologia, cui è ignota l’esperienza dello spirito. Da una parte infatti, quando dirigeva la Congregazione della dottrina della fede, il 15 ottobre 1989 il cardinale Ratzinger emanò quella

Lettera ai vescovi su alcuni aspetti della meditazione cristiana che è, di fatto, una condanna non solo della meditazione di tipo buddhista, ma anche di ogni passaggio mistico per il distacco, per il vuoto, nel timore che esso comporti la fine del cristianesimo in quanto religione, come noi la conosciamo da secoli. Dall’altra, Benedetto XVI il 12

settembre 2006 pronunciò a Ratisbona quel discorso che difendeva appassionatamente l’eredità filosofica greca, il Logos, in un momento in cui il biblicismo sempre più predominante nella Chiesa annulla il cristianesimo come religione della ragione, riducendolo così a una variante dell’ebraismo…”(M.Vannini, ALL’ULTIMO PAPA, op. cit. pp. 14-15).

Il corpo vivo del testo apre importanti e validi scenari ben documentati, che rendono alla quotidianità la sua forza, sia di ricerca che di approfondimento, mostrando quante contraddizioni e dolenti tensioni la rendano durissima a sopportare. Ecco i temi che l’Autore apre alla confidente comunicazione con il Destinatario, il grande studioso e teologo tedesco cardinal Joseph Ratzinger, spiritualmente e ufficialmente consacrato a divenire Papa con il nome da lui scelto di Benedetto XVI: per ragioni di spazio solo il primo di essi sarà offerto in particolare sintesi onde far cogliere il clima vivo ed attuale delle riflessioni messe in luce, mentre per le altre Lettere saranno fornite solo poche righe.

Lettera Prima Sul tesoro nascosto (pp. 1746):“Caro papa Benedetto, il vangelo dice che il regno di Dio è simile a un tesoro nascosto in un campo… Il regno di Dio è dentro di noi, dice ancora il vangelo, dunque il tesoro è dentro di noi. Il tesoro, infatti, la perla più preziosa, come gli antichi vangeli gnostici sottolineano, è la conoscenza di noi stessi… (M. Vannini, op. cit. pag. 17).

In questa prima confidente missiva tanti sono i riferimenti per dare fondamento a quanto lo studioso fiorentino va presentando: Sebastian Franck, Plotino, il suo biografo Porfirio e la sua Lettera a Marcella - dalla quale tanta ispirazione ha tratto il Vannini per istituire una relazione ricca e dinamica con Benedetto XVI, considerato anche come suo Maestro, proprio in virtù della pratica con l’antica lingua tedesca, quella dei mistici d’Oltrealpe, contemporanei di Dante, come Taulero e Meister Eckhart-, giustamente considerata, come egli stesso ci avverte, ‘testamento morale dell’umanità’, in quanto

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con chiarezza fissa un parametro inderogabile nel farci scegliere il nostro percorso di vita con saggezza: ‘… chi ama il corpo, ama il denaro, e chi ama il denaro è fatalmente ingiusto…’ (M. V. op. cit. pag. 20). Tutta questa lettera illumina anche le problematiche del nostro tempo, quelle legate al corpo alla psiche, alla diffusione delle grandi confusioni che governano scelte, identità, convincimenti. E qui il Nostro ci avverte:

“… Nello scacco delle psicologie, si cerca talvolta rifugio nelle scienze della natura, frutto del pregiudizio positivistico che la realtà sia solo una realtà fisica, e che essa ci sia fatta conoscere dalla Scienza (con la S maiuscola) per cui l’eventuale conoscenza del mondo fisico sarebbe anche ipso facto, conoscenza di quello morale, spirituale.

Una sciocchezza, questa, su cui ironizzava già Wittgenstein…” (M.V. op. cit. pag. 22).

Oltre agli autori sopra citati tanti altri vengono chiamati a portare supporto al percorso scelto dal Vannini per dar forza e passione concreta alla ricerca che sta accompagnando da decenni il suo lavoro e che egli spontaneamente offre al suo destinatario: il Buddha, François de La Rochefoucauld, sant’Agostino e il maestro Patanjali, in in-

consapevole concordanza con Niccolò Cusano fino al grande matematico contemporaneo Brouwer, Angelus Silesius, profondo poeta mistico tedesco del Seicento, Bernardo di Chiaravalle, Simone Weil, Caterina da Genova e Margherita Porete, l’evangelista Giovanni e il benedettino francese Henri Le Saux, R. M. Rilke e Etty Illesum: così egli ci introduce all’avventura dell’intimità intellettuale scoprendo con dottrina ed adesione spirituale assai intense la convergenza in ciascuno di loro di illuminate risorse onde cogliere la profondità dell’anima attraverso il distacco.

Lettera seconda Sull’amore (pp. 47-76), nella quale l’Autore sembra quasi abbracciare in guadioso sorriso, da lontano, il suo Maestro nella fede: “Caro papa Benedetto, il tuo documento più bello è l’enciclica Deus caritas est, Dio è amore, che prende il titolo dalla Prima lettera di Giovanni: ‘Noi abbiamo conosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto. Dio è amore e chi permane nell’amore permane in Dio, Dio permane in lui’

…Caritas, amore, chàris, grazia: tutto rimanda a chàra, a gioia: questo è davvero il vangelo, un lieto annuncio”. (M. V. op. cit. pp. 47 e 76).

E da queste pagine esce pure la Venere Pandemia e la Venere Urania, oltre alla schiera di altri autori che si aggiungono alla lunghissima lista: Goethe, Freud, il plagiatore di Nietzsche, santa Teresa d’Avila, san Giovanni della Croce, Madame Guyon, tanto ammirata da Schopenhauer, come il Vannini stesso ci informa, la fiorentina santa Maria Maddalena de’ Pazzi, Hegel e Paolo di Tarso, con la sua Seconda lettera ai Corinzi, onde portare luce su temi come la beatitudine, la felicità, la gioia dell’amore che ti porta a contemplare il volto di Dio.

Lettera terza Sulla verità della fede (pp. 77-102): “Caro papa Benedetto, dopo tanti anni di studi e di ricerche sulla vita di Gesù e sulla storia del cristianesimo degli inizi, tu sai perfettamente come stanno le cose, ovvero come il Gesù storico sia stato fin dall’inizio inghiottito dalle teologie…

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Aver separato il Cristo dalla comune umanità, averlo inserito in un mito teologico, ha consegnato alla superstizione e alla retorica la sua figura, col tradimento più completo del suo insegnamento che si è salvato solo nella mistica…

Con la consueta profondità, Simone Weil scrive perciò che son detti beati coloro che non hanno bisogno della resurrezione per credere e ai quali sono sufficienti la perfezione e la croce…

Psicoanalisi e religione cercano di presentarsi entrambe con una funzione arcontica, talvolta in concorrenza e in opposizione tra loro, ma che sortisce comunque lo stesso effetto, quello degli scribi e dei farisei di evangelica memoria…” (M. V. op. cit. pp. 77, 81, 96, 102).

Lettera quarta Sulla grazia e la libertà (pp. 103-133). Date le solide basi di fede e d’intelletto, su cui ha poggiato finora il discorso del filosofo fiorentino, ora egli può viaggiare più spedito nel tracciare le sue riflessioni in confidenze sempre rispettosissime del loro interlocutore: “Caro papa Benedetto, … per comprendere il linguaggio mistico la prima cosa da tenere presente è che esso evoca sempre Dio, non perché pretenda di conoscere una realtà che per principio ci sfugge - -, ma perché vuole fare riferimento a quella esperienza di luce, beatitudine che si esprime comunemente col riferimento a Dio…

Allora, liberi una buona volta dal peso dell’egoità, che abbiamo riconosciuto in tutto il suo potere, si apre il regno della libertà. Ciò appare comunque un mistero, ovvero una sorta di miracolo…

Esercitando l’onestà, ovvero l’intelligenza distaccata, appare del tutto illusoria la libertà della coscienza… non è difficile rendersi conto che le nostre scelte, anche di pensiero, sono determinate e condizionate da un qualche fine, da un ‘perché’ che può essere di

natura assai diversa, ma che risponde comunque alla volontà propria, personale. Tale ‘perché’ condiziona il nostro pensiero e le nostre scelte e le rende non libere…”

(M. V. op. cit. pp. 103, 111, 122).

In queste pagine le nuove citazioni ispirate ci fanno intercettare tratti delle Upanishad, pensieri di Schopenhauer e un canto in versi a lui dedicato di Jorge Luis Borges.

Lettera quinta Sulla giustizia e la vita eterna (pp. 135-164). Il tema si fa delicatissimo e tutto il percorso fin qui aperto al lettore e alla sua semplice e pura umanità viene intensificando fortemente prospettive illuminate:

Caro papa Benedetto… chi cerca il merito nelle opere è un uomo diabolico, dice giustamente l’induismo, in quanto sta nutrendo l’ego. La distanza del vangelo dall’ebraismo è sotto questo punto di vista totale - anzi, più che di distanza, si tratta di opposizione…

Essenziale è comprendere l’intimo legame tra distacco-libertà-giustizia da un lato e attaccamento-servitù-ingiustizia dall’altro… Là dove predomina il principio della ricerca della propria felicità - o addirittura ‘il diritto alla felicità’, come nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti - , non v’è dubbio che si abbia l’egoismo, la negazione della giustizia… Non è un caso che l’ispiratore di quella Dichiarazione d’Indipendenza, Thomas Jefferson, sia an-

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che l’ispiratore dell’Indian Removal Act con il quale i nativi americani furono deportati in massa dall’Est verso l’Ovest, in quello che per essi fu il ‘sentiero delle lacrime’, ma che doveva consentire il diritto alla felicità ai nuovi padroni – la ‘nazione sotto Dio’… Già, redenzione: un concetto che la Chiesa non predica più perché, senza esperienza di grazia e di spirito, tolto il mito del peccato di Adamo, non capisce più che bisogno ci sia di redenzione. E così è ridotta ad una agenzia psicologica. (M. V. op. cit. pp. 136, 137, 140, 165).

Lettera sesta Sulla fine delle menzogne (pp. 167-195), territorio nel quale l’Autore mette alla prova la nostra tenuta intellettuale ed opera una documentata serie di testimonianze che preludono al commiato con il ‘caro papa Benedetto’, e che tutte sarebbero da riportare: esse mettono le dita delle nostre due mani nelle piaghe della costruzione arbitraria di verità che antropologicamente serve, a guidare popoli e genti e loro comportamenti compromettendone l’autonomia e rendendone assai prevedibili le conseguenze sull’intelligere, sul comprendere consapevolmente sia la ragione che lo spirito delle creature che Dio ama.

Lettera settima Congedo (pp. 197-200). E qui credo che abbiano messo tutte le loro forze sia il cielo che la terra, perché il lettore è finalmente arrivato a comprendere come Marco Vannini, che ama ed apprezza Papa Benedetto, sia concretamente cristiano e viva la Chiesa come punto di riferimento ed obiettivo caldo verso il quale è stato in grado di tendere le considerazioni via via articolate sui tre temi scelti, l’amore, la grazia, la libertà; come egli argomenti intorno a quella Chiesa come ambito individuale, sociale, storico, culturale ed artistico, nella quale avviarsi a portare rivoluzione e alla quale dare nuovo volto ed energie; come egli arrivi a vivere intensamente ogni suo scritto, in vista di una Chiesa prima, durante e dopo l'ultimo papa, cuore pulsante delle osservazioni talora anche sofferte che l'autore disegna o fa intuire, per mettere in campo ed operare cambiamenti nella con-

cretezza storica e nella qualità della vita spirituale.

ANCORA CANDORE

Nessun azzurro mi rimane se non un velo di cielo soprano al mio canto ramingo, alle poche cose indecifrabili a cui ho affidato la presunta cognizione d’una memoria viva e dolente.

Mi consola un raggio sfilacciato di luce, il silenzioso ticchettìo del tempo.

In questo immaginario non è vano confidare a me stesso, persuaso finalmente, che il giorno è propizio al mio sguardo remoto nell’aia del candore bambino, nella rincorsa tremebonda dei giochi.

Lasciatemi solo a questo delirio, a questa tarda ventura di fanciullo che la rorida brina ha vestito d’argento ed ora, uomo, mi denuda sulla rupe del rimpianto, nella danza sfinita delle foglie d’autunno.

Di bianco s’è vestita la mia stagione ed un fremito d’inverno mi piega al camino, non ho più rose da donare, solo frammenti di tremula fiamma.

1985

Nessuno si accorge del contadino quando ara, ma tutti lo vedono quando raccoglie. Domenico Defelice

Da: L’orto del poeta, Ed. Le Petit Moineau, 1991

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Lo Zibaldone di Leopardi, Cardarelli e La Ronda

Giacomo Leopardi iniziò giovanissimo, appena diciottenne, fra il luglio e l’agosto del 1817, ad appuntare una serie di dettagliate considerazioni sui più svariati argomenti (da cui appunto il nome di Zibaldone di pensieri1) che poi continuò a scrivere e a raccogliere nel corso di quindici anni, fino al dicembre del 1832, giungendo a mettere insieme complessivamente una mole di ben 4526 pagine corredate di diversi indici. Molto importante fu la fitta trama di rimandi interni realizzata dall’autore per poter collegare riflessioni cronologicamente anche molto distanti ed essere quindi in grado di riprendere, modificare o completare considerazioni sviluppate in precedenza.

Data l’enorme estensione del testo e la grande varietà dei temi trattati, si tenderebbe a pensare che lo Zibaldone sia una congerie disordinata di appunti, mentre invece si tratta di un’opera che possiede una sua compiutezza e dei caratteri ben precisi di organicità e coerenza.2 In essa Leopardi rivela fin da subito una spiccata lucidità di ragionamento, un eloquio brillante e raffinato, nonché uno stile assai sciolto e flessibile. Molte notazioni che vi si presentano ritorneranno in seguito nelle Operette Morali e nei

Pensieri, ma anche, in una forma liricamente trasfigurata, nei Canti, per cui quest’opera monumentale sembra sotto certi aspetti quasi una matrice originaria, una miniera da cui sono poi scaturite le gemme della sua successiva produzione. E lo Zibaldone è, appunto, una miniera di argomenti morali, filosofici, estetici, letterari e linguistici: una vera e propria enciclopedia del sapere leopardiano, che ci restituisce come in uno specchio tutta la vastità e complessità dei suoi interessi, dandoci forse ancor meglio di qualsiasi altra sua opera la possibilità di seguire la formazione e lo sviluppo del suo pensiero poetico e filosofico.

Rimasta inedita durante la vita del poeta, l’opera fu conservata dopo la sua morte (1837) dall’amico Antonio Ranieri, il quale per mezzo secolo la tenne chiusa insieme ad altri scritti autografi in un baule che a suo tempo venne ereditato da due cameriere. Dopo varie traversie e un processo che ne stabilisse la proprietà, il manoscritto rimase presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, dove si conserva tuttora.

A cura di una commissione di studiosi presieduta da Giosuè Carducci, lo Zibaldone fu pubblicato per la prima volta fra il 1898 e il 1900 con il titolo Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura. L’opera, suddivisa in 7 volumi, fu edita da Le Monnier a Firenze. Numerosi letterati, scrittori e critici sono

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tornati in seguito ad occuparsi dello Zibaldone, in edizioni talora non complete ma in ogni caso filologicamente corrette. Si pensi prima di tutto a quella di Francesco Flora (in 2 volumi, 1937-38), edizione poi rivista trent’anni dopo (1969) da Walter Binni e da Enrico Ghidetti. In tempi più recenti è stata approntata l’edizione critica di Giuseppe Pacella (3 volumi, Garzanti, 1991), e a questa hanno poi fatto riferimento quella di Lucio Felici del 1997, quella rivista da Rolando Damiani per la collana ‘I Meridiani’ di Mondadori (1997 e 1999) e infine l’edizione tematica fondata sugli indici leopardiani, che uscì in 6 volumi presso l’editore Donzelli (1997-2003) a cura di Fabiana Cacciapuoti.

Un’opera così vasta ed eterogenea non poteva non suscitare l’idea di pubblicarne edizioni antologiche. Se ne contano diverse, come ad es. quelle di Giuseppe de Robertis (1922), Giuseppe Morpurgo (1934 e 1946), Giuseppe Petronio (1938), Sergio Solmi (1977) e altre ancora. Un discorso particolare merita l’antologia dello Zibaldone che la Ronda, presieduta da Vincenzo Cardarelli, pubblicò nel 1921 intitolandola Il testamento letterario di Giacomo Leopardi. La pubblicazione uscì in tre fascicoli della rivista e fu poi ben presto riedita in volume.

Ordinato per argomenti, il testo si articola in sei sezioni tematiche così intitolate:

I. Poesia e Natura (Polemica contro i Romantici)

II. Sistema di restaurazione della lingua antica italiana fondato sul concetto dell’eleganza

III. Precetti di stile

IV. Autori

V. Intorno alle letterature moderne e particolarmente alla francese

VI. L’antico e il moderno.

Con questo lavoro Cardarelli rivendicò la riscoperta di un Leopardi di certo più solare e positivo di quanto non si fosse da tempo abituati a considerarlo, privo di quella malinconia e di quel pessimismo di fondo che ne costituivano da sempre il ritratto ufficiale

e stereotipato; un Leopardi che qui è invece nel fiore della sua vita creativa e si fa maestro di arte, di civiltà, di storia. Dalle sterminate pagine dello Zibaldone originale vengono tratte soltanto le considerazioni specificamente letterarie, estetiche e linguistiche, mettendo a punto in tal modo un autentico testamento nel suo genere, un tesoro di cultura a cui attingere, un vero e proprio ‘breviario’ – scrisse Cardarelli nella sua prefazione – «che stimiamo tra le [opere] più feconde di diletto e di edificazione che siano mai state scritte in qualunque tempo».3

Come Dante e Petrarca avevano creato, sia in prosa sia in poesia, la lingua e la letteratura italiana, così Leopardi, in qualità di fautore di un processo di restaurazione che ad un tempo doveva essere di rinnovamento, diviene il loro diretto discendente ed erede: egli è colui che ripropone un concetto fondamentale di letteratura e non di meno un modello di lingua nazionale – classica, raffinata ed elegante ma tuttavia non accademica – in ciò superando, sostiene Cardarelli, lo stesso Manzoni, il quale per altro nulla aveva potuto conoscere dello Zibaldone, ai suoi tempi sepolto da decenni negli scaffali polverosi di una biblioteca.

È anche vero, purtroppo, che l’imminente èra fascista – in cui sarebbe stata letta e diffusa questa pubblicazione della Ronda – non vide mai in Leopardi né un simbolo né un modello artistico o morale che potesse valere per quella pomposa Italia romana, maschia e forte, che si illudeva di costruire; mal conciliandosi, evidentemente, l’immagine del poeta conosciuta dai più “col culto strombazzato delle pratiche virili e sportive”4 di cui il regime dava ampia réclame.

Il grande lavoro di Cardarelli rappresenta invece ancor oggi uno sforzo invero encomiabile, poiché ci consegna tutto insieme, non più sparso in migliaia di pagine, l’intero credo estetico del poeta di Recanati, che si rivela non soltanto il fondamento letterario da cui prenderanno vita le sue più grandi opere, ma anche la traccia visibile di un iti-

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nerario che ricollega l’Italia «alla sua lunghissima, incomparabile storia». Mentre, in occasione del primo centenario leopardiano, la commissione governativa presieduta da Carducci non aveva avuto altro compito che quello di prendere in mano i manoscritti leopardiani e darli alle stampe, la selezione accurata e appassionata di Cardarelli costituisce senza dubbio, oggi come allora, «la più ampia e compiuta scelta che si abbia, fatta con gusto e con perizia, dei pensieri di bella letteratura contenuti nei sette volumi dello Zibaldone: una incomparabile guida per chiunque voglia sapere che cosa siano lingua, stile, letteratura».5

NOTE

1 La parola Zibaldone deriverebbe secondo alcuni dall’unione di una voce di origine emiliana, zibanda (cibo), con zabaione, vivanda in cui si mescolano molti e svariati ingredienti. Da qui il significato di scartafaccio in cui vengono annotati senz’ordine pensieri, riflessioni, appunti, estratti di letture ecc. Nella commedia dell’arte era l’insieme di «scenarî» ossia trame che formavano il repertorio di una compagnia.

2 «Ché, quanto all’ordine intrinseco – scrive Cardarelli nella sua prefazione –quest’opera che fa pensare a una selva, a un fiume, a un sospiro lunghissimo, è tutta di una medesima sostanza ed è disordinata come può essere l’opera d’un creatore che partorisce gli elementi del proprio mondo serbandone una memoria infallibile e perenne» (cfr. Il testamento letterario di Giacomo Leopardi. Pensieri dello Zibaldone scelti annotati e ordinati da Vincenzo Cardarelli. Con una premessa di Piero Buscaroli. Fògola Editore in Torino, 1985; p. 8).

3 Op. cit. p. 3.

4 «Occhio a Leopardi» dalla Ronda all’Italiano. Premessa di Piero Buscaroli a Il testamento letterario di Giacomo Leopardi (cit., p. XVI).

5 Da una recensione apparsa nel 1921 su L’Italia che scrive, riportata da Piero Buscaroli nella sua premessa (op. cit. p. XXII).

Sette anni di umori alterni, di sismi terraquei e di antitesi ideologiche, di cime e abissi d’amore, sette anni sacri come i sacramenti e dannati come i vizi capitali, sette anni brevi e lunghi come una settimana senza riposo domenicale, di fasti e nefasti tra gente canora e altera e lacerata e pia, anni di sole e di afa e di colline fiorite d’aquiloni e di mari chiari; sette anni, settanta volte settembre benedetti, maledetti. Addio, Cile, brano di vita nella mia vita gitana!

Rocco Cambareri

Da: Versi scelti, Guido Miano Editore, 1983

GIORNI INTATTI

Se potessi ti lascerei intatti giorni. Li sbriciolavano le carezze al fiume.

Aprivamo con mai e sempre i nostri incontri. Vedeva e ascoltava la luna. Le raganelle avevano la bocca per armonica.

Gianni Rescigno

Da: Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019

E la parola – che è il mezzo con il quale ci manifestiamo – deve essere semplice, non artificiosa: solo così il poeta potrà avere certezza che la sua opera rimarrà eterna.

Domenico Defelice

Da:Diario di anni torbidi, Ed. Associate, 2009

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PALINGENESI DI UN MITO di Domenico Defelice

Una Nazione intera in lutto. Anzi, un mondo intero, almeno quello del calcio, che lo adorava.

Domenica primo gennaio 2023: insediamento del nuovo Presidente della Repubblica Luis Inacio da Silva con cerimonia per certi aspetti affievolita, meno effervescente, com’è costume di quel popolo, giacché cuore e mente dei brasiliani erano solo per il loro Re, scomparso a 82 anni giovedì 29 dicembre, in quei momenti perciò irrigidito, pietrificato in una bara, segno che la vita e il destino non guardano in faccia e non risparmiano alcuno dal dolore e dalla morte.

Lunedì 2 gennaio di esaltazione e lacrime: veglia funebre nello stadio Vila Belmiro.

Martedì 3 gennaio: trasporto della bara per le strade della città, così come si faceva un tempo anche da noi con le statue dei santi, con passaggio e sosta dinanzi alla casa della madre, la signora Celeste, ancora viva, centenaria, ignara, perché non avvisata, data l’età, della morte del figlio. Funerale e tumulazione nel cimitero di Santos.

La morte di un mito. Ma i miti possono morire? No, altrimenti non sarebbero tali. I miti si possono affievolire e rinvigorire, adombrare e schiarire, ingiallire e rinverdire, sfiorire e rifiorire, metamorfizzare, mai morire.

Edson Arantes do Nascimento - per tutti Pelé - era un mito dalla seconda metà del Novecento; è un mito; rimarrà un mito. È stato un mito anche per noi, che mai siamo stati tifosi di calcio. Era, è e rimarrà, un mito, perché venuto su da niente, esempio di come dalla povertà ci si può riscattare, conquistare ricchezza e fama col talento, la volontà, la tenacia. I miti servono e fanno capire che si può

conquistare quasi tutto, realizzare anche quello che in principio potrebbe sembrare impossibile. Pelé ha iniziato a giocare con una palla di carta pressata e legata in un calzino; ha segnato, nella sua carriera, 1281 reti; ha fatto vincere al Brasile tre Mondiali, diventando l’idolo rappresentativo della intera Nazione che, per decreto, non gli ha permesso di andare a giocare all’estero, pur essendo richiesto dai club più blasonati. Per la sua celebrità, è stato fiondato in campi e ambienti che con il calcio hanno poco da spartire, come il cinema, la musica, la televisione, la pubblicità. Ha incontrato capi di stato, papi, personalità importanti; le Nazioni Unite l’hanno nominato ambasciatore per l’ecologia e l’ambiente; durante il governo di Fernando Henrique Cardoso è stato ministro dello sport.

I miti sono indispensabili all’umanità se sostanzialmente positivi (perché, purtroppo, ci son pure i miti del male); i miti sono stimoli, spingono all’emulazione. A volte, i miti, riescono in imprese impossibili a tutti gli altri. Pelé, per esempio, nel 1969 è riuscito a stabilire una tregua di 48 ore tra i contendenti nella guerra civile che si combatteva, allora, in Nigeria. Un respiro appena, ma pure benedetto. Ci vorrebbero miti del genere per le tante guerre combattute a scacchiera sul nostro pianeta ai nostri giorni,

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prima di tutte quella insensata (le guerre son tutte insensate) tra Russia e Ucraina. Miti, che convincessero i responsabili a respirare almeno per una giornata, durante la quale, può darsi, poter pensare pure all’insensatezza. Pelé è stato, è e sarà, un mito, ma prima di tutto è stato un uomo e come tale ha avuto pure le sue debolezze, non certamente da assecondare. Ha avuto ben sette figli – ciò che non è negativo, anzi! -, ma da ben quattro donne diverse e non per responsabilità addossabili solo a costoro; ha avuto altra figlia non riconosciuta; è stato al centro di chiacchiere, mondanità, pettegolezzi, che il tempo annullerà, oblierà, così come ha sempre fatto con altri miti. Palingenesi, per questo, come per tutti i miti. Pelé è stato un uomo che ha sofferto, specie negli ultimi anni, con la calcolosi renale, la prostata, il tumore al colon che, infine, l’ha stroncato. La povertà dell’infanzia e la sofferenza dell’anzianità: il crogiolo della vita che netta sempre le pepite e tempra. Noi l’abbiamo stimato per la sua carica umana e considerato mito fin dall’inizio. Lo testimonia questa nostra poesia del novembre 1963, facente parte della silloge La morte e il Sud. Le sue prodezze saranno ricordate nel futuro, interesseranno e commuoveranno le generazioni d’ogni tempo, così come gli altri miti, forse più degli altri miti:

QUANDO MORIREMO

Quando moriremo, sotterrateci accanto i nuovi miti: una ruota, un transistor, la gamba di Pelé; regalateci un disco che ci conservi un pezzo di rumore.

E non più fiori nei pellegrinaggi. Vogliamo i nostri miti: quelli che verranno dopo il diluvio essi commuoveranno più che il latte e il miele dei nostri padri, gli unguenti, i silenzî arcani delle loro tombe, forse ancor più degli incensi.

Perché i miti, tutti i miti, non son ragionamenti, son poesia. Le prodezze calcistiche di

Pelé sono state poesia e come tale hanno sbalordito, perché non calcolo, ma primordiale istinto. Pelé aveva con la palla lo stesso rapporto che i bambini hanno coi giocattoli, che rapportano a se stessi e con i quali ci parlano. La purezza infantile: il mito. Pomezia, 4 gennaio 2023

LA DIVINA MELODIA

Con grande rassegnazione e profonda tristezza ho cancellato oggi dalla lista dei telefoni amici il tuo numero, Grazia.

Da tempo non ti chiamavo, perché l’ultima volta mi dicesti: “Ti chiamerò io, quando mi sentirò un po’ meglio”.

Ma poi da allora non mi hai più chiamato. Ti sapevo stanca, provata da lunga sofferenza, ormai costretta su una sedia a rotelle.

Ma ti ricordo quando ci conoscemmo alla scuola di inglese, ricordo i nostri discorsi sulla musica, la vita, i libri, la filosofia…

Ricordo il tempo delle confidenze, e poi le giornate trascorse insieme in famiglia, con te e i bambini e tuo marito Adolfo, altro caro musicista amico.

Ed il primo bagnetto al vostro primo nato. Venni da te, che eri rimasta sola, essendo Adolfo in tournée con l’orchestra della Scala.

Ora

tu forse sei con lui nel Cielo ed ascoltate insieme la Divina Melodia.

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OFFICINA MECCANICA BASI E RIFLESSIONI

di Giuseppe Leone

Con un titolo che introduce il lettore alle principali lavorazioni di un’officina meccanica; e un sottotitolo, che ne amplia le sue funzioni, trasformandola da ambiente di lavoro e di progettazione a luogo di emancipazione e istruzione, dove si può imparare anche a leggere parole come “utensili”, nella veste, ora di sostantivi, ora di aggettivi, Luca Negri, già autore di Il ritorno del Guerin Meschino. Appunti per comprendere il nuovo medioevo (Lindau, 2013), Storie di uomini intraprendenti e di situazioni critiche (Eris, 2018), ha pubblicato nel luglio 2022, Officina meccanica, edito dalla Sandit libri di Bergamo. Un intelligente, proteiforme saggio, pronto ad assumere sotto gli occhi meravigliati del lettore, man mano che si sfogliano le sue pagine, le sembianze di un saggio pedagogico.

Da breve manuale sull’officina, come sede del lavoro umano, a eccellente trattato sulla sua scuola di vita e di pensiero, con sullo sfondo una storia che parte da Aristotele e le sue famose quattro cause in relazione a un tavolo:

causa materiale (il legno), causa formale (la struttura), causa efficiente (la carpenteria), causa finale (la cena).

Non si fa ancora in tempo a scorrere le sue prime pagine, che già, nell’introduzione, lo scrittore ci informa di che pasta è fatto il suo saggio: innanzitutto, che non è un libro eso-

terico, cioè un testo destinato a circolare all’interno degli addetti ai lavori, ma che si tratta di un libro essoterico, comprensibile, che può essere letto da tutti, anche da chi non è mai entrato in un’officina meccanica. Le ragioni? Eccole presto dette: l’officina gli ha insegnato sì “a saldare a elettrodo, a tracciare, a forare e a filettare”, ma soprattutto a pensare, gli ha fatto vedere un modo di porsi di fronte al lavoro e alla vita di tutti i giorni (5).

Una scoperta che lascia a bocca aperta, prima che il lettore, l’autore stesso, per aver finito di individuare nel proprio mestiere il precettore della propria educazione, colui che l’ha iniziato a riconoscersi e a riconoscere una nuova figura di Maestro, non più reclutato all’esterno del proprio ambiente, ma nel suo stesso lavoro, all’interno del quale soggetto e oggetto cooperano per lo stesso fine.

Tanto che Negri esemplifica il tutto ricorrendo a una similitudine: le cose, gli oggetti, per chi lavora dentro l’officina, sono come la ghianda per Hillman (6), e proprio come una ghianda, che custodisce al suo interno una figura precisa, anche gli uomini e le donne nascono con una determinata vocazione ad aggiustare le cose, a farle, a modificarle, a migliorarle con le proprie mani: per tentativi ed errori.

Le mani come storia, manifestazione e testimonianza, il cui merito sarebbe stato pari al cervello nell’evoluzione della civiltà fino a orientarlo a pensare in loro funzione più che viceversa, mi rimandano “alla lunga teoria di mani” dell’artista Sandro Mapelli sul muretto di cinta della Scuola Elementare di Acquate a Lecco; a quel percorso educativo sulla libertà: quella individuale, quale si evince osservando le impronte da sinistra a destra, come ricerca del sé, della propria essenza, della spiritualità; quella collettiva, nell’accezione diritti-doveri, riconoscendo a chi è diverso le stesse prerogative; e quella di pensiero, infine, da come emerge dagli ultimi calchi disposti nella forma di una spirale.

Quello che colpisce, allora, è come un sem-

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Il disegno, gli utensili, gli elettroutensili e le macchine utensili …

plice manuale sull’officina meccanica, le sue tecniche di lavorazione, i suoi strumenti, nato – si diceva – per imparare “a saldare a elettrodo, a tracciare,, a forare e a filettare”, diventi, a un tempo, anche un testo per imparare a pensare, e non solo di fronte al lavoro di tutti i giorni, ma di fronte alla vita. Un libro, come un mare pescoso, che accoglie nelle sue 112 pagine un’infinità di risorse utili al nostro benessere materiale e spirituale, che va dalle più elementari necessità per sopravvivere, all’eccellenza della metafora come strumento di conoscenza; dall’approfondimento del tema del disegno, alla messa in atto degli strumenti per realizzarlo; dalla non facile e complessa progettazione della carpenteria, alla scelta cruciale del materiale da usare (87).

Il tutto in un testo necessario e puntuale a un tempo, che nasce, nel posto giusto e nel momento giusto, per difendere un’idea del lavoro come mestiere e maestro, come pensiero e azione, per dirla con Mazzini, come ispirazione a fare e a pensare; nonché i suoi

diritti e, più in generale, la millenaria civiltà occidentale e la sua letteratura, anch’essa, pensata nel segno della necessità del lavoro, prima con Esiodo, iniziatore con Omero della civiltà ellenica, e poi con Virgilio, cantore dell’età romana, entrambi sognando che il labor improbus avrebbe favorito un giorno il ritorno dell’età dell’oro sulla terra. Libro bello e interessante, allora, questa Officina meccanica di Luca Negri, una risposta coraggiosa e ineccepibile a difesa delle Costituzioni repubblicane e democratiche che hanno fondato i loro ordinamenti civili, politici e sociali proprio sul lavoro, preso oggi più che mai di mira da chi ritiene che princìpi, diritti e doveri che lo riguardano sono noiosi perditempo per chi ha voglia, non di fare, ma a fare (certe cose), da cui poi nasce la parola affare. Si legga questo libro anche contro costoro, ma senza perdere di vista che v’è ancora dell’altro nelle intenzioni e negli scopi dell’autore: v’è il debito di bellezza e armonia che egli deve alla materia che viene lavorata, dentro l’officina, perché questa materia che viene poi usata da scultori e architetti va ad occupare degli spazi vuoti; e lui, che deve rispettare gli equilibri, si sente responsabile, perché sa che “sbalzi, aggetti, pieni e vuoti devono essere perfettamente bilanciati, perché ogni cosa può essere considerata una leva: più precisamente, qualsiasi volume può comportarsi come una leva: e tale dinamica va (pre)vista (90).

Allo stesso modo di chi scrive un libro come questo, e che, ideato per inseguire una metafora, lo conclude ancora in quest’ottica: la letteratura come l’officina meccanica e l’officina meccanica come la letteratura, entrambe impegnate a onorare, progettare, scavare, rifinire, ciascuna nel proprio ambito, ciascuna con i propri utensìli.

Luca Negri

Officina meccanica: Basi e riflessioni, Sandit libri, Bergamo 2022, € 11,90, pp.112

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LUO QIUHONG

LUO Qiuhong è un’eccellente poetessa della Cina contemporanea.

Nata nel 1961, vive a Wuhan, capitale della provincia di Hubei. È membro della China Poetry Society, dell’Associazione degli scrittori provinciali di Hubei e dell’Associazione dei musicisti della stessa provincia.

I suoi lavori sono stati pubblicati su riviste e giornali come People’s Daily, Selected Poems, The Star Poetry, Guangming Daily, Yanhe River, Tianjin Poets, The Years, The World Daily, Time & Space for Music e Yangcheng Evening News eccetera e le sue opere sono state incluse in parecchie antologie annuali di poesia.

Ha pubblicato un romanzo intitolato Oh Snow, Where Are You, una raccolta di composizioni musicali intitolata The Works of LUO Qiuhong e Selected Poems of Luo Qiuhong. Il suo lavoro rappresentativo Chinese Mothers ha vinto il terzo premio per la composizione musicale originale. Mother’s Buddhist Scriptures è definita opera divina e inclusa nella raccolta di nuove canzoni classiche 2012.

Luo Qiuhong ha vinto il 6° Primio di poesia cinese contemporanea, Premio per nuovi talenti. Alcune sue poesie sono state tradotte in diverse lingue.

Di Lei presentiamo tre belle e scorrevoli poesie nella traduzione in inglese di Zhang Zhizhong e nella libera versione italiana dall’inglese di Domenico Defelice.

罗秋红Luo Qiuhong China (003)Frogs, ants, are its children.

Flying birds in the sky and typhoon at the sea, Are also its children ...

Sprays in its eyes, are sprays no more, But naughty typhoon; typhoon in its eyes, Are typhoon no more, but stubborn infidels; Infidels in its eyes, are infidels no more, But its stubborn children.

Poets in its eyes, are poets no more, But travelers given to tears. It says: travelers given to tears

Are not infidels, hence the persons most solicitous by it...

Mother’s Wooden Box

Allow the poet to have a pen In a daze looking at Mother’s wooden box during her life.

The Sky Is the Hometown of Myriads of Things

The sky is the hometown of myriads of things, Which in its eyes, Are all its children.

Pigs, dogs, cattle, sheep Are all its children.

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Allow the wooden box to run together with the cloth shoes

Made by Mother. Allow the cloth shoes to live

In the code of the universe, against the light

To walk freely.

Let it build its own temple

For the stooped furnace fire. Allow the temple to have

A tape measure of original taste and flavor. Allow the tape measure to vomit bad luck

To measure the lowest permissible level of human virtue

To measure verses in ink and whip scars in the world.

Now, the tape measure of original taste and flavor

Traverses space background, obtains the probing footsteps of a pen from the eyes of the wooden box.

And a pile of fire before the temple With the stamp of nine meters, to obstruct The fickleness of human relationships.

Years Later

Years later, I turn into ashes

Sleeping by the network of big tree roots Reincarnated into angel and lightning

To redeem some twisted things.

If you pass by me

Please do not be sentimental for my sobbing tears.

Assume that you see a woman living in hills and rills, Who takes a zither with broken strings as a palette,

To smear the singing on the string.

If I suddenly see a hurricane uplifted by the lightning,

And have cut off the head of a demon,

Please do not be frightened out of your wits. You need only to bring your sleep with birth,

To cast a glance at the lightning, And it will tell you

The chord which is clean and clear.

It will tell you:

In its playing of the catapult of reincarnation, This is the best thing it has done.

(Translated by Zhang Zhizhong)

About the author:

Luo Qiuhong, an excellent poetess in contemporary China. Born in 1961, she now lives in Wuhan, the capital of Hubei Province, China. She is a member of China Poetry Society, of the Association of Hubei Provincial Writers, and of the Association of Hubei Provincial Musicians. Her works have been carried on magazines and newspapers such as People’s Daily, Selected Poems, The Star Poetry, Guangming Daily, Yanhe River, Tianjin Poets, The Years, The World Daily, Time & Space for Music, and Yangcheng Evening News, etc., and her works have been included into quite a few annual anthologies of poetry. She has published a novel entitled Oh Snow, Where Are You, a collection of musical compositions entitled The Works of LUO Qiuhong, and Selected Poems of Luo Qiuhong. Her representative work is Chinese Mothers, which has won the third prize for original music composition; Mother’s Buddhist Scriptures is praised as a work of deity, and is included into the collection of classic new songs 2012. She has won the 6th Contemporary Chinese Poetry Award• New Talent Award. Some of her poems have been translated into many foreign languages.

IL CIELO È CITTÀ NATALE DI MIRIADI DI COSE

Il cielo è città natale di miriadi di cose,

POMEZIA-NOTIZIE Febbraio 2023 Pag.19

Ai suoi occhi, Tutti suoi figli.

Maiali, cani, bovini, ovini Sono tutti suoi figli.

Le rane e le formiche sono sue figlie. Uccelli in volo nel cielo e tifoni nel mare Sono anche suoi figli…

Gli spruzzi, nei suoi occhi, non sono più spruzzi, Ma cattivi tifoni; i tifoni, nei suoi occhi, Non sono tifoni, ma infedeli ostinati; Gli infedeli, ai suoi occhi, non sono infedeli, Ma suoi figli testardi.

I poeti ai suoi occhi non sono poeti, Ma viaggiatori disposti alle lacrime. Dice: i viaggiatori disposti alle lacrime

Non sono infedeli, bensì le persone da esso più sollecitate…

LA SCATOLA DI LEGNO DELLA MAMMA

Consenti al poeta di avere una penna

Mentre stupito guarda nella scatola di legno della mamma durante la sua vita.

Lascia che la scatola di legno corra insieme alle scarpe di stoffa

Fatte dalla mamma. Lasciale che vivano

Nel codice dell’universo, controluce Camminando liberamente.

Lascia che costruisca il suo tempio

Per la curva fornace ardente.

Consenti al tempio di avere

Un metro a nastro dal gusto e dall’aroma originale.

Lascia che il metro a nastro vomiti sfortuna

Per misurare il livello più basso consentito dell’umana virtù

Per misurare i versi nell’inchiostro e frustare le cicatrici nel mondo.

Ora, il metro a nastro dal gusto e dall’aroma originale

Attraversa l’oscurità dello spazio, sonda

L’impronta di una penna dagli occhi della scatola di legno.

E una pira davanti al tempio

Col timbro di nove metri, per impedire L’incostanza dei rapporti umani.

ANNI DOPO

Negli anni prossimi, mi trasformerò in cenere

Dormirò vicino alla rete delle grandi radici degli alberi

Reincarnata in angelo e fulmine

Per redimere alcune cose contorte.

Se passerai da me

Per favore, non essere sentimentale per le mie lacrime e i miei singhiozzi. Immagina di vedere una donna vivere in colline e ruscelli, Che prende per tavolozza una cetra dalle corde spezzate E spalmare il canto sulla corda.

Se all’improvviso vedi un uragano sollevato dal fulmine, E hanno tagliato la testa a un demone, Per favore, non spaventarti a morte. Devi solo ricondurre il tuo sonno alla nascita, Gettare uno sguardo al lampo, Ed esso te lo dirà

L’accordo ch’è pulito e chiaro.

Ti dirà:

Nel suo gioco a rilancio della reincarnazione, Questa è la cosa migliore che ha fatto.

(Libera versione dall’inglese di Domenico Defelice)

POMEZIA-NOTIZIE Febbraio 2023 Pag.20

II Edizione PREMIO EDITORIALE IL CROCO

L’Editrice POMEZIA-NOTIZIE - via Catilina 6 - 00071 Pomezia (RM) –tel. 349/4175191-E-mail: pomezianotizie22@gmail.com - organizza, per l’anno 2023, la II Edizione del Premio Editoriale Letterario IL CROCO, suddiviso nelle seguenti sezioni:

Raccolta di poesie (in lingua o in vernacolo, max 500 vv.);

Poesia singola (in lingua o vernacolo, max 35 vv.);

Racconto, o novella, o fiaba (max 8 cartelle. Per cartella s’intende un foglio battuto a macchina – o computer - da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1800 battute);

Saggio critico (max 8 cartelle, c. s.).

Le opere, assolutamente inedite (con titolo, firma, indirizzo chiaro dell’autore, breve curriculum e dichiarazione di autenticità) devono pervenire, in unica copia, per posta ordinaria o per piego di libri (non si accettano e, quindi, non si ritirano raccomandate)

a: Pomezia-Notizie presso Manuela Mazzola - via Catilina 6 - 00071 Pomezia (RM), oppure - ed è il mezzo migliore, che consigliamo - tramite e-mail a: pomezianotizie22@gmail.com entro e non oltre il 31 maggio 2023.

Le opere straniere e quelle in vernacolo devono essere accompagnate da una traduzione in lingua italiana. Nessuna tassa di lettura. Essendo Premio Editoriale, non è prevista cerimonia di premiazione (se si dovesse decidere di tenerla, gli Autori partecipanti saranno avvisati in tempo tramite e-mail) e l’operato della Commissione di Lettura di Pomezia-Notizie è insindacabile. I Premi consistono nella sola pubblicazione dei lavori. All’unico vincitore della Sezione Raccolta di poesie verranno consegnate 20 co-

pie del Quaderno Letterario Il Croco sul quale sarà pubblicata gratuitamente la sua opera - lo stesso Quaderno verrà allegato al mensile Pomezia-Notizie (presumibilmente a un numero tra agosto e ottobre 2023) e sui numeri successivi saranno ospitate le eventuali note critiche e le recensioni. Gli altri Autori selezionati della Sezione riceveranno offerte vantaggiose per l’eventuale pubblicazione delle loro opere in altri Quaderni Il Croco. Ai primi, ai secondi e ai terzi classificati delle sezioni Poesia singola, Racconto (o novella, o fiaba) e Saggio critico, sarà inviata gratuitamente copia del mensile - o del Quaderno Letterario Il Croco - che conterrà il loro lavoro. Pomezia-Notizie, comunque, può sempre essere letta, sfogliata eccetera su:

http://issuu.com/domenicoww/docs/ (il cartaceo è, in genere, riservato agli abbonati e ai collaboratori). Per ogni sezione, qualora i lavori risultassero scadenti, la Commissione di Lettura può decidere la non assegnazione del premio.

La mancata osservazione, anche parziale, del presente regolamento comporta l’automatica esclusione.

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Recensioni

ANTONIO CRECCHIA GIUSEPPE IULIANO

POETA IN VENA LIRICA E SATIRICA

Delta 3 Edizioni (AV), 2022, pp 159, € 10,00.

Ci sono parole, ad esempio quando risultano collocate in versi, alcune volte che riescono a mettere in ‘ginocchio’ la ragione, che ‘ossificano’ le parti molli dei sentimenti instabili, ovvero quegli umani impulsi che non si sono accreditati abbastanza nel tempo così da restare ardenti patimenti per qualcuno, per qualcosa, per una causa di cui valga la pena lottare anche con la penna.

E parafrasando un’opera saggistica di Carlo Levi del 1955, Le parole sono pietre nel momento in cui riescono a soverchiare l’ordinaria intelligenza andando al di là degli stessi intendimenti di chi le aveva vergate su carta, nel senso che una volta raggiunto il foglio bianco si spera che le parole intraprendano una corsa verso la direzione dettata dall’autore verso il probabile cambiamento positivo da lui agognato.

Quando lo scrittore e pittore torinese (laureato in medicina), Carlo Levi (1902-1975), scrisse il suo capolavoro del 1945, Cristo si è fermato a Eboli, dopo essere tornato dal confino ad Aliano, in Lucania, dove era stato mandato a causa delle sue idee antifasciste tra il 1935 e il 1936, la sua testimonianza scritta per essere stato relegato lì è stata ed è rimasta l’effigie di un luogo ‘inchiodato’ a sé stesso e all’inaccessibilità trasformativa per cause antropologiche e quant’altro influiva in quell’epoca difficile dell’ultimo conflitto mondiale. «[…] Le stagioni scorrono sulla fatica contadina, oggi come tremila anni prima di Cristo: nessun messaggio umano o divino si è rivolto a questa povertà refrattaria. Parliamo un diverso linguaggio: la nostra lingua è qui incomprensibi-

le. I grandi viaggiatori non sono andati di là dai confini del proprio mondo; e hanno percorso i sentieri della propria anima e quelli del bene e del male, della moralità e della redenzione. Cristo è sceso nell’inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell’eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli.» (Dal romanzo autobiografico Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, La Biblioteca di Repubblica Novecento n°92, Edizione speciale per la Repubblica del Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A di Roma, Supplemento al quotidiano “la Repubblica”, Anno 2003, pag.6).

Carlo Levi, allievo di Felice Casorati e amico di Modigliani e di Pablo Neruda, a suo tempo fece la sua notevole parte raccontando in prosa i luoghi dove non avveniva, non poteva avvenire la corsa (il progresso) in linea coi tempi che stava vivendo; in poesia forse le parole di chi vuole evidenziare gli stessi concetti possono possedere più veemenza, ‘colpire’ più direttamente le coscienze per mettere in ginocchio, appunto, la ragione. Da queste basi ma soprattutto per il forte legame amicale e di stima verso il collega irpino, deve essere sgorgato l’intento saggistico del professore poeta traduttore scrittore storiografico molisano, Antonio Crecchia, destinato alla figura letteraria contemporanea di Giuseppe (Peppino) Iuliano, poeta saggista scrittore di temi sociali politici religiosi ma soprattutto del Meridione e di critica letteraria, classe 1951, nato a Nusco, in provincia di Avellino nel territorio attraversato dall’arido Appenino meridionale se non fosse per la presenza dei fiumi Sabato e Calore e dall’alto corso dell’Ofanto, quale terra di vestigie sannite seppure tristemente ‘inchiodata’ a sé stessa per oscure cause socio-antropologiche e quant’altro ancora possa rallentare il regolare corso evolutivo della rispettiva comunità.

Leggendo – lo ha fatto per noi il saggista Crecchia riportando dei testi nella monografia in questione e commentandoli – alcune toccanti poesie di Giuseppe Iuliano, ci si accorge in relazione oggi più di ieri del peso specifico delle parole che redasse Carlo Levi nel descrivere la sua zona di confino in provincia di Matera, parlando di Eboli, in provincia di Salerno, come area off-limits (in termini di chilometri non sono così lontani i capoluoghi campani di Avellino-Salerno), lungi dagli schemi consueti di paesi sulla via dell’evoluzione sociale. Sono liriche quelle di Iuliano che scandiscono la

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qualità (purtroppo non buona) del tempo che scorre nella sua amata Irpinia, prima detta anche “terra dei lupi”, da hirpus in lingua osca che significa lupo, quale animale totemico seguito da una prima tribù che si staccò dalla comunità d’origine e che prese il nome di Irpini, abitanti dei monti dell’Irpinia; il battito sfortunatamente lento del cuore ‘pietroso e diffidente’ irpino che non riesce più a nutrire speranza per il domani migliore, perché tante sono state le delusioni e i fallimenti che ha dovuto per secoli subire.

Ricordiamo che gli Irpini discendono da una ramificazione del popolo antico dei Sanniti, a loro volta dai Sabini, famosi per aver messo a terra l’esercito romano nelle Forche Caudine del 321 a.C. così da imporre una tregua al Senato, quindi, forti caparbi e coraggiosi erano bravissimi come gladiatori – a Capua, provincia di Caserta, vi fu la famosa scuola per gladiatori dove fu addestrato anche il ribelle Spartacus – e fu Roma a imparare da loro questa arrischiata arte di combattimento e a portarla negli anfiteatri come passatempo pubblico, di cui il Colosseo ancora conserva la memoria.

«Siamo terragni d’Irpinia/ della striscia d’Oriente/ e di ogni altro confine/ noi, popolo di formiche,/ gente senza discrimine./ Qui Mefite mito di terra/ ara votiva degli avi pastori/ apriva le porte al regno di Dite/ e ai suoi cupi silenzi./ Ha tuttora spire di morte/ per chi sfida nel vento/ il veleno nascosto./ Maligna altra peste/ si annuncia a semina di scorie/ concimi di ossido e amianto/ oracolo di Stato, malizia di Sibilla/ che ha voce di legge e di decreto. […] Reduci ai pugni della storia/ volontari nella nostra riserva/ senza asce né penne né scalpi/ chiediamo aria pace e non gemiti/ di Washita a cocciute lingue biforcute./ S’allunga il filo, si attorce/ e si scompiglia al vento un aquilone./ Dietro gli corre la nostra voce/ amica antica disperata,/ urlo cosciente di ciò che fummo,/ Che siamo in questa nicchia di mondo.» (Dalla poesia L’urlo dietro l’ultimo aquilone, pagg.84-85).

La compagine della monografia ideata e curata dal professore Antonio Crecchia annovera una prima esposizione della Vita ed opere di Giuseppe Iuliano, a cui segue il capitolo della giustificazione de la vena satirica dello Stesso raffrontato al

poeta latino aquinate, Decimo Giunio Giovenale (55 d.C. circa – 135 circa), che si distinse per essere stato un «[…] buon conservatore, odiava parimenti anarchici e agitatori, i disubbidienti e i provocatori di ribellioni. Tutto ciò che non rientrava nell’osservanza delle leggi e della morale antica dei patres, lo disgustava al punto da farlo “arrabbiare” seriamente, fino a scatenare la sua “indignatio” e a muovere il suo astio contro i graeculi arricchiti e tuttofare.» (Pag.21).

Seguono una decina di capitoli ognuno con un’approfondita indagine critica di Crecchia ad altrettante dieci opere letterarie di poesia di Iuliano, pubblicate negli anni a partire dalla silloge Rosso a sera del 2010 fino alla raccolta di versi La mia cantorìa del 2021.

Vieppiù, c’è il capitolo sulle Divagazioni critiche con la sentita identificazione del saggista in quelli che «[…] sono i luoghi dell’anima del poeta Iuliano, ai quali ha dedicato l’intera sua opera letteraria.» (Pag.77).

Ciò di cui ha versificato Iuliano nelle sue crestomazie poetiche (e non solo) è il chiaroscurale mondo irpino che gli sta dinanzi da quando è nato, con le sue problematiche che in fondo si sovrappongono a quelle dell’intero Meridione, l’altra faccia dell’Italia che, come la Luna con la sua zona non visibile costituita da pochi mari e moltissimi crateri, preferisce non mostrare ma la satira di Iuliano ne ha sfiorato le corde più intime per far udire la musica dell’eventuale giustizia che sarà, non senza spargimento di fiumi d’inchiostro suo e altrui.

«Amo questa terra/ cerchio di monti e borghi/ eco di tuoni e suoni/ specchio di lampi e stelle/ e nero che infetta gli uomini/ entro e oltre lo spazio della notte.// Amo l’Irpinia. Odio il suo silenzio muto.» (Pag.103).

Conclude la pubblicazione il lungo capitolo de La parola al poeta con la libera facoltà monologante di procedere in qualsiasi direzione da parte di Giuseppe Iuliano e si fa interessante l’apprendere direttamente dal poeta le sue vicende biografiche a partire dalla sua Prima comunione e Cresima nel maggio 1958, all’età di sette anni, allorquando ci mancò poco per commettere un involontario peccato mortale a causa del pezzetto di formaggio donatogli dalla nonna la mattina della doppia ce-

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rimonia e subito rigurgitato fuori dalla bocca, sempre per l’intervento della stessa nonna accortasi della distrazione poiché nulla s’ingoia prima di prendere la Santa eucarestia.

«[…] Conservo e difendo, sentinella in servizio permanente sui monti d’Irpinia, la parola d’ordine mai mutata: resistenza. Ma cuore e mente sono aperti alla promiscuità, alla multietnicità, alla diversità che non è semplice tolleranza ma la costruzione del “mondo di tutti” come auspicava Tagore.» (Pag.154).

nezza sentimentale! E, nella successiva ‘Donna’, continua la magia di un connubio felice, meritevole di essere citata: “Nessun velo potrà mai nascondere/l’ipnotico fascino dei tuoi occhi;”. Sono emozioni che sanno di appagamento che il Poeta si porta fin dall’età dei vent’anni, età paragonabile all’estate, il cui ricordo ne alimenta la linfa irrorandola sua vitalità. Ma alla “vigilia” di quest’ultima stagione della vita, s’affaccia lo spettro della senilità; sentimento molto comune alle persone anziane.

ALDO RIPERT

PRIA CHE SERA A NOTTE CEDA

Prefazione di Marcello Falletti di Villafalletto, Associazione Domus, Accademia Collegio de’ Nobili Editore, Scandicci (Firenze) XXII, pp.74, € 10,00

Aldo Ripert (classe 1939) è romano, artista di arti figurative e favolista. Questa silloge Pria che sera a notte ceda, di cui ci occupiamo, comprende 46 componimenti di cui 4 sonetti nell’idioma rigorosamente romanesco che fanno ricordare Trilussa, Pasquino e Belli, come osserva nella prefazione il prof. Marcello Falletti di Villafalletto La silloge segue la precedente, che ho avuto il piacere di conoscere, “Parole in pentagramma”. Lo scrittore e critico, spiega trattarsi di poesie frutto dell’esperienza vissuta con la speranza, adesso, che la vita duri come oggi, “prima che sia troppo tardi” considerata la “caducità umana”, destinata a concludersi con una “luce perpetua”. In quest’opera l’Autore si presenta “nelle vesti del trasognato affabulatore”; perciò evoca vecchi ricordi per viverli poeticamente ritrovando sé stesso, rivelandone semplicità e purezza d’animo “senza scadere nel moralismo”, né nella pedanteria. Egli “maschera la sofferenza e il dolore” dei cari venuti a mancare, in incontri fantasiosi. Quanto alla versificazione essa si presenta libera e armoniosa.

Aldo Ripert apre la raccolta con ‘Il bacio della sera’, la cui chiusa cita il titolo della silloge “Pria che la breve sera a notte cèda, / un lieve bacio, una tenue parola, /per dir domani ci ameremo ancora.” Quanta delicatezza, romanticismo e pie-

Il Nostro eleva un elogio alla Poesia, ma si chiede deluso a chi importi oggi. Invoca la sua Calliope e prima che essa svanisca chiede in soccorso il canto di Orfeo. Elogia la solitudine perché consente di raccogliersi e di fare rivivere la stagione a lui più cara, cioè l’estate. “Nel silenzio il pensier si dipana/ ed a questo la voce sua s’affida.” Elogia la giovinezza, è bella per i bambini, perché anche se poveri sono pronti ai giochi e sono festosi; anche lui da bambino aveva gioia quando realizzava il suo giardino sul terrazzo; “ma è grato a quel fanciullo che ha nel cuore” (p.23).

Di tutte queste cose il Poeta ha nostalgia e ne sono metafora:così l’estate che si affaccia nel rosso dell’anguria; così nella mancata cura di una pianta nel vaso sul balcone in cui è nata e cresciuta l’ortica, chissà come vi è arrivata; ma certo anche i rapporti personali si inaridiscono se non vengono curati; parimenti la verbena nel vaso che non riceve le giuste cure. Il Poeta evoca l’incendio che distrusse la cattedrale di Notre Dame a Parigi (nel 2019), in cui sembra udire ancora il rintocco delle campane ad opera del “gobbo”, e dopo i restauri è tornata a nuova vita come l’araba fenice.

Ha nostalgia dell’infanzia, in cui bastava poco e molta fantasia per riuscire a giocare con niente; la sua fanciullezza negli anni quaranta (ovviamente del secolo scorso). Sembra udire il grido dell’artigiano, che in tempi ormai lontani, aggiustava la terraglia (vasellame di ceramica) di uso domestico, ricucendola, come le ‘conculine’. Egli riconosce il valore delle pur minime cose; era il tempo in cui non si buttavano via nemmeno le briciole di pane. “È buono il ricordo di vita lontana;/ lo sguardo a vedere, le mani a toccare, / quel forte richiamo, la strada laggiù. / (…) / in loco

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più degno innalzarlo, /ché il tempo vissuto continui a narrar.” (p.30).

Aldo Ripert considera che ci portiamo dentro l’inquietudine fin dalle origini; ma commenta quanto sia vacua l’illusione delle luci delle luminarie, mentre invece dovremmo nutrirci dei sentimenti dentro noi stessi; così“Fin quando amor al cor gentil s’apprende” (p.32) in cui avvertiamo una eco dantesca, se non erro. Ha ironia e buonumore perfino richiamando il poeta classico Fedro e la favola della volpe, la quale non riuscendo ad addentare l’uva penzolante si consola dicendo di non averlo fatto perché si trattava di “uva acerba”. È compiaciuto del fenomeno lunare di quando il satellite si avvicina alla terra nella minore distanza, ipogeo (ogni cento anni, nel 1999). Si compiace di ricordare la sua data di nascita: 9 giugno 1939. Chiude la sezione in lingua nazionale con ‘Fabiola’: “Sospiro di notte, il nome antico, /negli occhi il baglior d’un sorriso,” ritornando giovane innamorato.

Il Poeta nel suo vernacolo romanesco riesce ad essere ironico nei quadretti popolari dei quattro sonetti, in breve: lode alla poesia anche qui; dialogo spassoso e allegro con i trapassati al cimitero tra un figlio che si rivolge alla madre evocando il padre, d’altronde una volta si parlava con i morti come pure con i morenti; ed è scanzonato nel figurare due negozianti rivali; infine dice di riempire la valigia dei ricordi come quella di Gulliver.

Aldo Ripert con la silloge Pria che sera a notte ceda, che letteralmente preferisco volturare in “prima che la sera diventi notte” e quindi “prima che giunga la fine dei propri giorni”, vuole tracciare alcune sue impronte, una sorta di valigia dei ricordi. In molti componimenti si rivolge alla “poesia” fiducioso che “Una poesia potrà salvare il mondo”. Le poesie mi sembrano, ciascuna a tema (apertura, argomento, conclusione). Sono parole ricorrenti: estate quale pienezza di gioia e forza di sogni, musa, ultima età o ultima stagione o stagione matura, pensiero, giardino, seme, sole, affanni, pria; uso di parole tronche, molte rime, fra le figure retoriche molte similitudini. È presente qualche tono assertivo ma di innegabile valore morale. Mi piace l’espressione “verzura e fiori” (p.22), che sa di antico e tradisce la sua stagione di appartenenza, una stagione che si guarda con nostalgia se la raffrontiamo con i tempi frenetici attuali. Tutti elementi, questi, che offrono occasione di ulteriore riflessione.

ROCCO SALERNO NONOSTANTE QUESTO

Prefazione di Barbara Alberti, Postfazione di Antonio Spagnolo Macabor, Francavilla Marittina (CS) 2019, pp. 62, €12,00.

Rocco Salerno, professore di Lettere, saggista, presente in riviste e antologie, svolge la sua attività letteraria nella città di Fondi (Latina), senza dimenticare le proprie origini; è calabrese di Roseto Capo Spulico (nato nel 1952). Ma è soprattutto poeta e sotto questo aspetto ne esaminiamo il poema dal titolo Nonostante questo; opera introdotta e conclusa da due note critiche, alle quali attingo. In copertina abbiamo una foto dell’autore; il testo comprende sei canti numerati senza titoli; i versi si susseguono senza un ordine apparente. Barbara Alberti, scrittrice molto nota, capace di sondare gli anditi più nascosti della psiche umana, inizia la prefazione riferendo del poeta sovietico Vladimir Majakovskij, suicida, che rivive attraverso Rocco Salerno: “disperatamente spera, senza negare il rifiuto” e non vuole morire. E Antonio Spagnuolo, nella postfazione, spiega che Rocco Salerno indaga nella vita “aggrovigliata nelle immagini fulminanti del tradimento”, di una donna fra due uomini; quanto alla struttura del verso afferma che essa segue una “architettura neoclassica” rispettosa dei ritmi delle emozioni, che si adatta alle “pulsioni degli amanti”, tra libidine e tenerezza, in un rapporto vorticoso pericoloso, in una sorta di “rielaborazione del demone orfico”.

Confesso che, ad una prima scorsa delle pagine, mi sono sentito inadeguato, poiché non mi riusciva ricavarne una impronta; mi sembrava di trovarmi dinanzi alle più disparate voci; forse una differente stampa avrebbe giovato a distinguerne direttamente le singole fonti. Non è sempre semplice interpretare un testo, compenetrarsi nell’autore; probabilmente la rappresentazione su un palcoscenico consentirebbe di individuare i personaggi e comprenderne così i dialoghi (anche se a volte non è facile nemmeno attraverso le parole pronunciate). Sono costretto a fissare dei puntelli per reggere quello che sarà la intelaiatura del mio pensiero.

O, chissà che l’Autore non abbia voluto creare l’humus di una persona smarrita, in stato di catalessi (morte apparente), catatonico (folle dissociativo), in continue circonvoluzioni (di comportamenti). La voce narrante sembra provenire da un soggetto in trance (sotto ipnosi) o in preda al delirio, e tra le spire trova momenti di estasi. Un gor-

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goglio vorticoso di sentimenti contrastanti; immagini ardite; rigoglio di emozioni ora passionali, ora tenere. Perfino i nomi dei poeti russi citati sembrano piovuti per caso, a chi non ne abbia contezza (Vladimir Majakovskij, Krucenych), senza considerare i riferimenti alla cultura classica, moderna e orientale.

Tutti elementi fissati nel mio viatico (necessario) per tentare di comprendere i vaticini simili a quelli della mitica Pizia (che nomino per via degli oracoli enigmatici, anch’io ne faccio uso per entrare nello spirito del mistero). Alla fine mi tengo presente che la poesia non segue percorsi logici; nondimeno non deve costringere a dovere fare prima un corso di studi specifici: vanno oltre la comune comprensione.

Nel tentativo di raccapezzarmi, ho sfrontato e selezionato alcuni versi per me suggestivi o di comprensione più immediata. Comincio dall’incipit “I gridi sono appesi agli infissi, / si sono persi nei cortili. / Le pareti non riconoscono più la nostra storia. / Eppure cola sangue/ dal letto.” (C. I), e poco più avanti continua con queste parole: “Ed io ti parlo di un infante che attendeva la sua alba.” Abbiamo Statue che pietrificano, Najadi, Silani, e l’interrogativo: “Orfeo risusciterà Euridice?” Sembra di assistere a un alterco fra amanti che si rinfacciano reciproche accuse e lui ripete più volte che lei è “nonostante tutto” il suo sangue, il suo cancro. Questi versi contengono già una storia maturata (in un luogo, in una casa) che si sta concludendo (le pareti sono mute) e raffigurano una situazione forse violenta (di sangue) o forse triste per una nascita che non ha visto la luce (dell’alba). Per dare vigore e bellezza a queste immagini, Rocco Salerno, professore di Lettere, fa da sfondo con le citazioni del mondo classico; ma una domanda risuona terribile, quella su Orfeo. Come è noto il Cantore voleva trarre dagli inferi l’amata novella sposa; ma nulla può contro la volontà degli dei (I morti non tornano indietro).

Mi faccio prendere la mano dalla leggenda di Orfeo ed Euridice, pensando al connubio non coronato: “Ti lascio, fanciulla/ non consumata” e lei ribatte “non troverai scampo se non nel mio corpo/troppo presto profanato.” (C. II), in un misto di controsensi (non consumata e profanata). E nei toni più semplici, l’innamorato dice di essersi portato lo sguardo di lei in ogni angolo percorso del proprio paese, nonostante tutto continua ad amarla e impreca Dio per averlo reso pazzo, delirante. E come un giovane adolescente invoca la madre dicendo di non potere fare a meno dell’amata: “io che vorrei ad ogni istante/dentro di lei affogarmi/Sulle sue carni incendiarmi.” (C. III). Forse mettendo insieme l’amore filiale e una passione sfrenata, dice che lo sguardo della sua donna è veleno e che sarebbe stato disposto a cercarla ovunque se in carne e ossa, e non solo un nome scritto su carta. Linguaggio metaforico o espediente letterario, questo, per fugare ogni dubbio. Lei accende i desideri lussuriosi degli uomini; ma lui vuole difenderla contro i diffamatori, le malelingue. Continua a sfogliare “petali di ricordi” per autosostenersi ma sa che “La stanza/ è un capitolo dell’inferno di Krucenych. / (…) / in estasi, carezzai le tue mani.” (C. IV). Rocco Salerno inserisce un virgolettato che rimanda a un’opera del russo Vladimir Majakovskij di cui s’è detto nella prefazione (ma il lettore non è tenuto a saperlo). Ripete che lei è la sua cancrena, perciò è preferibile dirsi “addio adesso” nonostante questo (Aleksej Eliseevič Kručënych è altro poeta russo).

Adesso mi sembra che i contorni si delineino, mettendo in chiaro che la storia “Finirà; è troppo grande. / Tanta poesia non si può espandere/ in tre anime. / Una deve morire, morirà.” E gli altri (le voci) diranno (su di lui o su l’altro): “Era uno dei perditempo, / uno di quelli che bighellonano senza meta”(C. V). Motivo, questo, ripreso, tranne che il verbo di movimento è sostituito da “gironzolano”. Dichiara che è troppo il delirio, ma lo fa con una nota lieta “come un racconto di quei nonni tra il crepitio/ con l’ultima fiamma restia a morire, / come un sogno di Andersen o di Wilde” (C VI, p.46). Così i due sembra che decidano di lasciarsi perché “Troverai la tua stessa pace, / il tuo Siddharta.” (Siddharta fondatore del buddismo, Nepal, VI sec. a.C.). Infine la chiusa è questa: “Majakovskij pende ancora/ dalle labbra di Maria. // Nonostante. // Il mio sguardo/ nei vostri occhi/ s’è fermato, / s’è incendiato. // Nonostante.”

Osservo che il nome di Majakovskij, mi pare che compaia solo una volta, in chiusura, associato a

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quello di Maria, mai nominata prima. Mi chiedo che se Rocco Salerno in Nonostante questo abbia voluto fare riferimento a un poeta suicida, come si riferisce nella prefazione, forse ci deve essere una ragione che non voglio ipotizzare per non finire in ghirigori. La poesia,in generale, si lascia interpretare, bene o male, secondo l’impressione che si ricava dalla sua lettura. Il virgolettato del testo fa pensare a un dialogo, o a più voci, oppure a un soliloquio serrato, con sé stesso, indulgendo “alla menzogna per viltà o per comodo”. In ogni caso, si tratti di sogni o di incubi, dobbiamo intendere in chiave di invenzione poetica. Mi pare suggestivo pensare alle “tre anime”, quelle di: Rocco, Maria, Volodja (che è il diminutivo di Vladimir Majakovskij), delle quali “una deve morire”; forse Rocco Salerno dovrà scrollarsi di una di esse, ma non è dato sapere quale.

to con la citazione di alcuni versi che precedono i suoi, sono di: Eugenio Montale, Dino Campana, Wislawa Szymborska, William Blake, Thomas Stearns Eliot, Italo Svevo; e nel contempo scrive dediche al cugino Mario e alla ex compagna ginnasiale Antonella Telese “Un fiore decapitato”. Anna Cimicata si raccoglie in sé stessa con otto poesie di carattere intimo, ma non intimistico. Aggiunge la sua voce alle migliaia e migliaia di persone che vivono l’attimo, che hanno imparato ad amare la vita in silenzio, a sentire più di prima il silenzio della notte ed anche del giorno. Istintivamente la nostra invoca una Voce superiore e comprende che “Il senso si trova/nella preghiera/che nulla esige/ma attende una risposta.”

VANNA CORVESE (A CURA) INVISIBILI FILI

Spazidiversi Auser, Società Editrice L’Aperia, Caserta 2021, pp. 80, S.i.p.

Spazidiversi è un “laboratorio di lettura e scrittura creativa” sorto nel 2006, da un’idea di Vanna Corvese, presso l’associazione Auser in Caserta, che elabora libri collettanei autoprodotti. La curatrice nella premessa spiega che il presente volume comprende dieci piccole raccolte di poeti e poetesse, fra le quali ultime è inclusa lei stessa. Il titolo allude alla comunicazione online resasi maggiormente necessaria durante il Covid (20202021). Invisibili Fili si intrecciano e “rinsaldano” l’amicizia che Beatrice Squeglia ha interpretato realizzando l’illustrazione di copertina. Gli autori si presentano in ordine alfabetico, sono sette donne e tre uomini; quasi tutti, risentono del doloroso periodo vissuto e i componimenti sono ordinati cronologicamente. Passo di seguito alle pagine. Silvana Cefarelli ordina i propri dieci componimenti secondo la datazione conferendo un taglio diaristico. Entra subito in argomento con ‘Ali ignote’: “Mille luci spegnendosi/incontrano un battito d’ali. / Come in un sortilegio, / uno sgraziato pipistrello/ avvia la fatale pandemia.”. Così lei stessa descrive l’ansia di quei giorni; ricordiamo tutti i cosiddetti distanziamenti sociali e quando avveniva un incontro ci si riconosceva, appena, in un barlume di umanità, dietro le mascherine. Avvertiamo logorii, ferite, “pesi di memoria sparsa”, sussulti, “Sulla soglia del ricordo/incalza inesausta/la vibrante memoria.” Dà un tocco dot-

Vanna Corvese offre quattro titoli come una unica narrazione, volgendo lo sguardo all’esterno. Ha chiara la situazione in cui ci siamo trovati, perciò commenta: “Cari amici, ci resta/l’incontro quotidiano/sul display luminoso/con nuovi assembramenti… di parole.” Il mantra di quei giorni è stato ripetere che “Andrà tutto bene”. Grande è il desiderio di libertà, di immergersi nella natura cantata da Francesco d’Assisi, calpestare il verde dei prati, respirare a pieni polmoni.

Salvatore D’Ambrosio condivide nove componimenti che sanno di nostalgia; il bisogno di libertà gli suggerisce la scelta di non fare uso di virgole e sceglie versi inizianti con lettera maiuscola. Ci presenta visioni di abbandono, di incertezza, desiderio di purezza, desiderio di vedere cieli azzurri. È consapevole del senso di abbandono e del desiderio di darsi una ragione di quello che accade; ha la speranza che ci sia qualcosa ancora, oltre una fredda lastra che indica la fine.

Maria Luisa De Camilli scompone due titoli appena, in cui si rivolge alla Madonna. Trascorre molto tempo dentro casa o sul terrazzo ad ammirare il tramonto. Pensando alla sacra Pietà, scrive:

“Maria è sola/senza il figlio suo/e non suo.

/Ora/ finalmente piange.” Sono versi di una profondità immensa, sanno di filosofia, teologia e tanto senso umano.

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Guarriello offre dieci poesie che sanno di tenerezza, di desiderio di incontro e sente la mancanza di carezze. I suoi sono sentimenti universali, di una consapevolezza che disarma, come la felicità avuta di cui non ci rendiamo conto; quello che manca è l’incontro fisico, è l’abbraccio; siamo pervasi da inquietudine, non possiamo tacerla; la poesia ci “esplode nel cuore” ci fa tornare indietro quando da bambini ci si scambiava un fiore. Pasquale Lombardi partecipa con otto brevi poesie aventi visioni di vita povera che ci riportano negli anni Quaranta del secolo scorso; fanno immaginare le feste paesane con piccole luminarie e bancarelle con le “noccioline americane”, la speranza di tornare come prima.

Tiberio Madonna dispone di otto poesie, di cui la prima è molto lunga, direi che ha toni iniziali fanciulleschi e leggiadri, e insieme, sornioni e quasi scioglilingua, per esempio: abbagli m’abbagliano, m’allontano lontano, cipiglio col sopracciglio, ma anche con la metafora dei petali del fiore che cadono come Icaro; inoltre ha molte rime e ripetizioni. Le poesie successive hanno temi vari e più maturi, guardano alla natura, alla festa della mamma, formulano domande come su “un’amicizia sfumata/ di un amico che ha ingannato”; a volte sono alla ricerca del senso della vita, per concludere che “Il dolore non basta/non è mai/ abbastanza”; altre volte ha il cuore oppresso, ma vuole continuare a sognare.

Rosanna Marina Russo partecipa con dieci poesie, in cui si vivono un ventaglio di emozioni, tra cui scoramento e sensibilità all’ecologia: “Suonano sul vento le campane/rimestano ricordi di piazze di paese/ (…) /Mi piego sotto il peso dei panni freddi”; forse frutto del senso di solitudine e del desiderio di incontrarsi per strada “coi volti mascherati/dimenticati dai volti chiusi”. Sembra voglia dire che l’amore vero è dare. Abbiamo un tocco dotto per una élite in grado di riconoscere in Paumanoke in Walt, titolo e autore di un libro, quello di Whitman.

Marina Sirianni ordina i suoi dieci componimenti avvertendo che contengono enigmi e indovinelli; nondimeno non dobbiamo credere che siano poesie di puro divertimento, anzi sono poesie serie e possono anche leggersi sotto l’aspetto metaforico. Forse dicendo di scherzare, dice delle verità. Così nella ‘Fine di un amore’ leggiamo la soluzione “frigorifero”; ‘Per una umanità migliore’ che solleva le braccia, risolviamo in “pale eoliche”; così nel “bar” possiamo degustare il caffè ed altro come se si trattasse de ‘L’ultima poesia’.

Ci siamo fatti compagnia con i dieci poeti e siamo entrati nell’humus di quei tristi giorni di pandemia

che, purtroppo ad oggi (2023), non sono ancora finiti, ne abbiamo varcato appena la soglia e devo ammettere di non avere trovato toni di afflizione, di psicastenia, come ci si potrebbe aspettare, ma anzi ho colto toni pacati in cui vince la naturalezza. Plaudo all’iniziativa di Spazidiversi che, delle sette poetesse e dei tre poeti, ha realizzato una piccola comunità letteraria. Ho cercato di evitare commenti ulteriori limitandomi a passi scelti qua e là, per dare un senso di unitarietà.

LORENZO SPURIO

ERA D’AGOSTO Cronedit, 2021 – versione italo-rumena, pp. 81.

TRA GLI ARANCI E LA MENTA, PoetiKanten Edizioni, Sesto Fiorentino, 2016, pp. 86, € 12,00

Ho finalmente letto i tuoi due preziosi libri di poesia che mi hai fatto avere ed ora finalmente posso dirtene qualche impressione a caldo.

Era d’agosto (Cronedit, Iasi, 2021 – versione italo-rumena) è una silloge che ben esprime i fuochi del tuo poiein, d’impronta decisamente civile, dove per civile intendo una superiore “essenza poetica”, di valore universale, che tu versi in forma curatissima, con punte di intenso lirismo. Spaziare dalla violenza femminicida a quella del disastro di Chernobyl, dall’omicidio di Livatino a quello di Lorca, dalla pietas per i terremotati del Centro Italia alla comprensione per le tormentate vite di Alda Merini e Antonia Pozzi, denota la tua sensibilità angosciata per le derive umane, che sai trasformare in scrittura emozionale pura, strumento di riflessione etica per chiunque legga. Spero che i traduttori possano aver traghettato tutte le vibrazioni della tua parola accorata nelle lingue d'arrivo!

Tra gli aranci e la menta (PoetiKanten Edizioni, Sesto Fiorentino, I edizione 2016; II edizione 2020) mi ha poi totalmente e letteralmente attraversato di ferita irrimarginabile e sconfinato rimpianto, per questo amore assoluto che entrambi condividiamo per il Sommo Federi-

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co.

Dai tuoi versi mi giungono visioni e sonorità e perfino tracce dell'inarrivabile duende di Lorca. E come non sentire l’eco del canto per Ignacio, il nascondersi della luna nella notte della fucilazione, il profumo interrotto dei nardi, il pianto della chitarra gitana, come non sentire la dimensione d’immortalità che promana dalla tua asserzione«Morto è solo chi si dimentica»!

Di altissima intensità emotiva trovo il testo “Tagliami l’ombra”, che descrive la compenetrazione del lutto nella natura trascinando chi legge in un compianto pànico universale, dove il dolore indicibile si fonde confonde nella bellezza del canto. Credo che anche Federico avrebbe riconosciuto con commozione queste tue come parole ammirate di un amico fraterno.

Così ti ringrazio molto del dono-luce della tua scrittura, dei momenti comuni di com-passione provata. Ti auguro anche di continuare nel tuo studio – che so profondissimo – dell’opera di Lorca e di riceverne sempre maggiori soddisfazioni e riconoscimenti.

Roma, dicembre 2022

ROBERTO MAGGI

SCENE DA UN INTERNO

Terre D’Ulivi Edizioni, 2020, pp. 84, € 12,00.

La silloge Scene da un interno è divisa in quattro sezioni: “Metropolis a fuoco”, “Visioni a 180°”, “Bestiario digitale” e “Istantanee di Niente”. Contiene, inoltre, la postfazione di Floriana Coppola. Nella prima parte vi è la narrazione di tutto quello che riguarda l’esterno, il fenomenico. Nella seconda l’io poetico descrive ciò che è interno, l’introspettivo, quindi i sentimenti, le emozioni come la fragilità e la sensibilità. Nella terza si va oltre l’esterno e l’interno dell’io; Roberto Maggi, infatti, arriva fino “all’oltre immaginario”. Nell’ultima libera totalmente la sua fantasia fotografica e artistica.

Il suo è uno stile moderno, raffinato, nel quale si trova sempre una via d’uscita che è salvifica, rappresentata dal tono ironico. L’ironia, difatti, implica una critica che impegna intellettualmente il Maggi nell’interpretare ciò che accade nel mondo, ma anche nel suo profondo.

Ed è proprio la forma scelta che lo distacca dalla quotidianità e in un certo senso lo salva dalle fragilità umane.

L’autore, dunque, osserva da lontano, a volte quasi estraniandosi dalla realtà, ma vive e percepisce il suo percorso immaginario.

“… Con amarezza, non ci sono interlocutori”–scrive Floriana Coppola nella postfazione –“ma solo controfigure. Rappresentazione di una folla solitaria e persa. Il tono drammatico, man mano che la narrazione poetica procede, lascia lo spazio a un registro ironico, che si rivela strategia di salvezza. Si individua un percorso di consapevolezza che sana e guarisce da ogni autocelebrazione”. L’arco temporale di produzione lirica va dal 1983 al 2019. Apre la raccolta una fotografia, opera dello stesso Maggi, che vede una donna - unica immagine a colori, probabilmente a simboleggiare la Poesia - spalancare una tenda dietro alla quale vi è l’interno di una casa ritratta in bianco e nero. Come a voler svelare un accesso, che prima era serrato e segreto, sul mondo interiore e, forse, sulla vita stessa dell’autore.

In “Parole di sabbia” descrive come si sente un poeta in relazione al mondo: Armi del poeta/ buttate via/ vestigia fuori moda/ alchimie di parola fusa;/ pur in coda a rotte migratorie/ di specie rare/ su toponomastiche mai viste./Quando la verità tace/ e la vita è amara sottocute/sei Simeone/ nel deserto appollaiato/ tra voragini di distacco/ strazio del sé rimasto orfano;/ cantilena del bimbo accoccolato/ in campi di guerriglia/ che gioca nel fango disseccato”.

Tra toni ironici e malinconici si snocciolano i versi di questa raccolta che affronta temi e problematiche che riguardano il presente.

Il percorso poetico, al di là del momento storico, è sempre arduo e doloroso, ma soprattutto lo è per chi tenta di ricostruire il suo sé confrontandosi in una dimensione reale nella quale prolificano gli altari imbanditi dei predicatori urlanti.

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ISABELLA MICHELA AFFINITO

E LA LUNA BUSSO’ ALLA MIA PORTA

Genesi Editrice, Torino, 2022, pp. 148, € 12,50.

Imprimi sulla guancia della Luna il bacio d’amore per il suo bianco, lo stesso dei fogli su cui adesso le stai scrivendo!

Cinquantasei le poesie e due le recensioni di pellicole cinematografiche, che vanno a comporre l’ultimo lavoro di Isabella Michela Affinito E la luna bussò alla mia porta ha come soggetto il satellite terrestre che da sempre ha ispirato gli animi dei più famosi artisti. E anche la nostra poetessa ne è rimasta affascinata. Scrive, infatti, nell’introduzione: “La luna per me è diventata un inseparabile alter ego perché in essa c’è l’originaria intatta figura femminile ricettiva, sensibile, emotiva, timida, mutabile, comprensiva, estrosa, docile, paziente, magnetica e quant’altro faccia riferimento all’astro bianco, musa ispiratrice per eccellenza dei poeti, degli innamorati, dei cantautori…”.La scrittrice è rapita non solo dalla bellezza, ma anche dal silenzio che circonda la Luna: “Il suo silenzio è un vascello che m’attraversa la mente scavalcando sogni tempestosi come le cime di Emily Bronte”.

Nelle poesie l’Affinito descrive l’attimo in cui la vena lirica la spinge a comporre versi e si domanda, nel caso in cui il satellite sparisse all’improvviso, come sarebbe la vita senza più la sua presenza, la quale accompagna il tragitto degli uomini e delle donne dall’inizio dei tempi.

“Non so come è successo che all’improvviso i fogli m’hanno attratto, un ritmo avvertito ma non era un ballo e c’erano parole accalcate nel mio cuore che volevano uscire…”.

Lo stile è sempre quello: musicale, scorrevole e inconfondibile. Troviamo nelle composizioni un continuo dialogo e un’empatia con tutto ciò che la circonda e dunque con la Natura stessa. Dialoga con poeti, pittori, artisti di ogni tempo. La sua è una passione irrefrenabile per l’Arte intera.

Alla fine del volume si trova la recensione del film uscito nel 1968, “2001: Odissea nello spazio”, regia di Stanley Kubrick, il quale conquistò l’Oscar per gli effetti speciali e che, nel riguardarlo oggi, fa ancora riflettere sia sulla destinazione finale dell’uomo, sia sull’uso della tecnologia che proprio all’epoca ebbe inizio. La seconda recensione tratta di “La maledizione della prima luna”, film del 2003, regia di Gregor Verbinski. Anche in questo caso – scrive l’Affinito - si vedranno mirabili effetti speciali. È una pellicola in cui la figura del pirata risulta complessa rispetto al soli-

to e alla fine prevalgono i buoni sentimenti e i buoni propositi che porteranno alla redenzione del protagonista, il capitano Sparrow.

Il volume è impreziosito dall’immagin e di copertina, in cui viene ritratta la luna in veste di donna che domina il libro: elegante e magnetica. L’opera dell’autrice è stata realizzata con la tecnica pittorica e rifiniture a pennarelli, penne colorate e pastelli.

Quando uscirò dalla tua vita ti porterò con me e non sarà tanto il dolore quanto la gioia di averti accanto Cammineremo fra luoghi conosciuti Rammenteremo i giorni lieti e quel figlio tanto sofferto Ora dormi tranquilla Io vivrò sempre vicino a te

TU SEI

Tu sei come uno spazio aperto Barlumi e tralci Attimo dopo attimo il tuo chiarore dirada tutte le mie ombre e quando ti stringo a me ascolto lo stormire delle fronde

Da: Anima Mia, Ibiskos Ulivieri, 2020

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NOTIZIE

XXXII Premio Letterario Internazionale

Città di Pomezia per opere inedite in lingua italiana.

Il Centro studi specialistici Sisyphus, istituto culturale della Città di Pomezia, indice e organizza un concorso letterario per opere inedite in lingua italiana.

Il concorso si articola nelle seguenti sezioni:

A – Raccolta di poesie o poemetto (per un massimo di 500 versi), da inviare con titolo, pena esclusione;

B – Poesia singola (per un massimo di 100 versi);

C – Poesia in vernacolo (per un massimo di 35 versi), con allegata versione in lingua italiana;

D – Racconto o novella (per un massimo di 6 cartelle, considerata cartella un foglio di 30 righe per 60 battute cadauna, per un totale massimo di 12.000 battute, spazi inclusi);

Le opere dei primi tre classificati di tutte le sezioni saranno pubblicate in una opera collectanea curata dal Centro Studi Sisyphus, per i tipi di una casa editrice di notorietà nazionale. Ai primi tre classificati di ciascuna sezione sarà consegnata una targa e il giudizio critico dell’opera. Al 4° e 5° classificato di ciascuna sezione sarà consegnato

un diploma di merito e il giudizio critico. Agli autori delle opere selezionate di ciascuna sezione saranno consegnati diplomi per opera selezionata.

La Giuria del Premio, nella più totale gratuità, valuterà i testi in concorso, non conoscendo i nomi dei partecipanti.

Lettura e valutazione anonime, effettuate pro bono, saranno realizzate a garanzia di quanto l’autore non sarà stimato nel suo lavoro complessivo, ma solo in ragione di quanto presenterà in occasione del concorso: né il suo nome, né le pubblicazioni al suo attivo potranno in alcun modo influenzare la legittimità della disamina. Ogni giurato assegnerà un punteggio all’insaputa dell’operato degli altri giudici e, pertanto, libero dal vincolo di suggestioni altre (si vedano gli articoli 14 e 15 del seguente regolamento concorsuale). Il giusto e meritato Premio sarà, di conseguenza, l’inclusione nel proprio curriculum di un riconoscimento ottenuto fuori da una qualsiasi ottica clientelare e da qualsivoglia forma di mecenatismo.

La Giuria si riserva la possibilità di conferire Premi Speciali a persone di chiara fama, per la pregevole attività letteraria o scientifica.

In ragione di ciò segue il contestuale Regolamento, la cui pur parziale inosservanza comporterà l’esclusione e irrevocabile dal concorso, senza che il Centro Studi Sisyphus sia tenuto a darne comunicazione.

La Giuria del Premio, presieduta dal poeta

Giorgio Mattei, è così composta:

Claudio Carbone (poeta)

Fiorenza Castaldi (bibliotecaria, esperta di letteratura)

Giuseppe Episcopo (professore di letteratura presso l’Università St Andrews di Edinburgo)

Massimiliano Pecora (scrittore, critico letterario)

Davide Persico (saggista, critico cinematografico)

Giuseppe Sergi (critico letterario)

Le opere dovranno essere inviate, secondo le indicazioni prescritte nel regolamento,

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Defelice: Il microfono (1960)

entro il 31 Luglio 2023. La partecipazione al concorso è gratuita.

IV Premio nazionale di Poesia e Narrativa Ciò che Caino non sa 2023 È partita il 1° ottobre 2022 la IV edizione del Premio di poesia e narrativa Ciò che Caino non sa 2023, a tema imposto, contro la violenza di genere e verso il mondo dell’infanzia, a cura dell’Associazione culturale L’Oceano nell’Anima (Massa, Agradi, Infante)

Ideato da Maria Teresa Infante, presidente dello Stesso, il Premio intende sensibilizzare l’opinione pubblica sui crimini e le violenze fisiche e psicologiche che, ancor oggi, avvengono ai danni delle donne e contro abusi, soprusi, sfruttamenti e maltrattamenti sui minori.

Il Premio si compone di quattro sezioni per opere edite o inedite ma mai sul podio:

Sezione A massimo 2 (due) poesie di lunghezza non superiore a 35 versi ciascuna

Sezione B massimo 2 (due) poesie di lunghezza non superiore a 35 versi ciascuna

Sezione C 1 (uno) racconto che non superi tre cartelle, per un totale di 5.400 battute compresi gli spazi

Sezione S (Studenti) massimo 2 (due) poesie di lunghezza non superiore a 35 versi ciascuna o 1 (uno) racconto che non superi tre cartelle, per un totale di 5.400 battute compresi gli spazi

I candidati devono inviare i loro componimenti esclusivamente in formato elettronico (formato word, carattere Times New Roman, font 12, interlinea singola) all’indirizzo e-mail: ciochecainononsa@gmail.com allegando, in files separati:

a. scheda di partecipazione, debitamente compilata e firmata

b. componimenti privi di firma e di qualsiasi altro segno di riconoscimento

c. ricevuta del versamento di euro 5,00 per ogni sezione a cui si intende partecipare La sezione S (studenti) è gratuita)

Il versamento potrà essere effettuato a mezzo:

1) ricarica su carta Postepay evolution intestata a Maria Teresa Infante

nr. 5333 1710 5070 8763 - C.F. NFN MTR

61C60 I158S causale del versamento: Caino, IV edizione + Nominativo dell’Autore

2) bonifico su Postepay evolution, intestata a Maria Teresa Infante codice IBAN: IT91L0760105138236683736684 causale del versamento: Caino, IV edizione + Nominativo dell’Autore.

Come nelle precedenti edizioni sarà assegnato il Premio Speciale Roberta Perillo, in memoria della giovane donna di San Severo (FG) uccisa a soli trentadue anni dal suo ex fidanzato. Novità della IV edizione sarà l’assegnazione del Premio Speciale Irena Sendler – Giusta tra i Giusti, l’infermiera polacca che ha salvato oltre 2.500 bambini dal Ghetto di Varsavia – e il Premio Speciale Masha Amini, in ricordo della giovane uccisa a Teheran per non avere indossato correttamente il velo, oggi simbolo delle lotte in Iran per il riconoscimento dei Diritti umani e la parità di genere.

La Commissione, presieduta da Rosa d’Onofrio è composta da Franca Alaimo, Bartolomeo Smaldone, Roberto Deidier, Nunzia Binetti, Paolo Polvani, Michele Nigro, Gilberto Vergoni, Maurizio Ganzaroli, Bruno Daga, Mariarosaria Persico, M. Marina Grassano.

La cerimonia conclusiva si svolgerà a Foggia, in data e luogo da definire (giugno 2023)

L’adesione sarà possibile fino al 28 febbraio 2023.

Notizie più approfondite sono reperibili nel sito

http://www.oceanonellanima.it/oceano/event o_78.html

Premio Letterario Nazionale “Città di Mesagne”

XX edizione per opere edite e inedite di Poesia, Narrativa, Teatro, Saggistica

Scadenza: 29 aprile 2023

Premiazioni: Inediti 3 dicembre 2023 – Editi luglio 2024

A cura dell'Associazione “Solidea (1 Uto-

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pìa)” OdV premio@solidea1utopia.it–www.solidea1utopia.it – LinkedIn - Facebook con il Patrocinio del Comune di Mesagne (BR) - Area Cultura e Turismo e dell’Università del Salento – Dipartimento di Studi Umanistici.

Regolamento

1. Le opere inedite di Poesia, Narrativa e Teatro, anche se vincitrici di precedenti premi in altri concorsi:

- un numero massimo di 3 poesie, di contenuto indicativamente non superiore a 1 cartella ciascuna, e/o

- n. 1 racconto breve, di contenuto indicativamente non superiore alle 6 cartelle, e/o

- n. 1 opera teatrale, preferibilmente di ispirazione originale, non frutto di adattamento né di rielaborazione, completa di sinossi ed elenco caratteri, di contenuto indicativamente non superiore alle 40 cartelle e durata non superiore ai 90 minuti, anche se già rappresentata e pubblicata, e/o le opere edite, di Poesia, Narrativa e Saggistica, anche se vincitrici in altri concorsi:

- n.1 raccolta di poesie e/o

- n.1 romanzo o raccolta di racconti e/o

- n.1 saggio monografico, edito possibilmente nell’anno in corso e di carattere letterario, storico-artistico, socio-pedagogico, scientifico, che preferibilmente abbia attinenza con la realtà salentina e pugliese, devono pervenire a mezzo plico ordinario a:

Associazione Solidea (1 Utopia) OdV

Via Tumo, 48 - c/o Resina Color/Casati72023 Mesagne (BR), oppure, ove previsto, all’indirizzo mail premio@solidea1utopia.it con le seguenti modalità:

• Inediti: 5 copie, di cui solo una recante le generalità complete dell'autore. Le cartelle (indicativamente 30 righe) si intendono stampate su comuni fogli bianchi f.to A4, retro bianco, non rilegati né uniti da punti per cucitrice, fatta eccezione per i testi teatrali; le pagine devono essere numerate e spoglie di ornamenti grafici. Gli elaborati di Narrativa e Poesia inedite possono essere inoltrati via e. mail in formato Word e firmati in calce, con un contributo maggiorato

di 3 euro per Sezione. Opere pubblicate solo su siti internet sono considerate inedite.

• Editi: 2 copie in cartaceo e 1 in formato PDF da inviare tramite posta elettronica, oppure su CD da allegare al plico; l'autore vincitore di 1° premio o, in sua assenza, i vincitore di 2° premio, porterà al seguito altre copie per un banco libri in occasione della presentazione-premiazione nell’estate successiva. La paternità letteraria resta dell'Autore.

2. È fatto obbligo di allegare al materiale inviato, sia in cartaceo che via e-mail, la Scheda di Adesione integralmente compilata e la cedola comprovante il versamento del contributo di partecipazione.

3. Con decorrenza immediata, il termine ultimo di invio delle opere è la data del 29 aprile 2023, per la quale farà fede il timbro postale.

4. A parziale copertura delle spese organizzative, si richiede un contributo di 20 euro per ciascuna opera edita e per ciascuna Sezione inediti (*), da far pervenire con postagiro o versamento sul c/c postale n. 001004725626, oppure per bonifico all’IBAN IT08Y0760115900001004725626, intestato all'Associazione Solidea (1 Utopia) OdV.

(*) Per la sezione Poesia inedita intendasi, quindi, contributo unico e totale per la tema di poesie presentate; un racconto, o un testo teatrale, costituisce parimenti unica Sezione; opere di Teatro pubblicate saranno valutate unitamente all'inedito della stessa Sezione. La partecipazione a tre Sezioni, anche miste (inediti +-editi). prevede la riduzione del contributo da 60 a 45 euro. II materiale inviato non sarà restituito.

5. Premi:

• somma di 300 euro e attestato per il 1° classificato di ciascuna Sezione Editi e Inediti, con partecipazione gratuita alla successiva edizione;

• somma di 200 euro e attestato per il 2° classificato di ciascuna Sezione Editi e Inediti, con partecipazione gratuita alla successiva edizione;

• somma di 100 euro e attestato per il 3°

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classificato di ciascuna Sezione Editi e Inediti, con partecipazione gratuita alla successiva edizione;

• presentazione delle opere vincitrici del primo premio, con evento specifico nell'estate successiva;

• buffet di saluto;

• attestato per tutti i Concorrenti che ne facciano richiesta entro i 15 giorni precedenti l'evento di premiazione. Alle somme di cui sopra sarà applicata la ritenuta legalmente prevista.

6. Cerimonia di premiazione Inediti: entro il mese di ottobre 2023 gli Autori ritenuti meritevoli dei primi tre premi per ciascuna sezione saranno informati dell'esito del concorso e invitati alla cerimonia conclusiva, che si terrà a Mesagne, presso il Teatro Comunale, in data 3 dicembre 2023. Essi saranno tenuti a presenziare e ritirare di persona i premi loro attribuiti. l'adesione all’invito dovrà essere formalizzata e sottoscritta entro una settimana dall'avvenuta comunicazione. Qualora non riscossi personalmente, i premi in denaro saranno destinati a parziale copertura spese organizzative, ferme restando le graduatorie stilate dalle Giurie. I premi ex aequo stanno divisi fra gli interessati. Attestati e altri eventuali riconoscimenti, se tempestivamente richiesti, potranno essere ritirati da persona delegata o essere spediti per posta al costo di 10 euro.

7. Cerimonia di premiazione Editi: entro il mese di aprile 2024 gli Autori delle opere ritenute meritevoli del primi tre premi saranno informati dell'esito del concorso e invitati alla premiazione, che avrà luogo presso il castello di Mesagne nel luglio 2024. Nella circostanza sarà allestita una esposizione delle opere vincitrici di 1° premio, a esclusivo vantaggio degli Autori, i quali fruiranno di quanto previsto per la sessione inediti e si atterranno alle stesse modalità.

8. Alle manifestazioni di Premiazione potranno avere libero accesso, senza invito, anche gli altri partecipanti al Concorso che saranno comunque resi edotti del risultato finale all’indomani degli eventi conclusi. È esclusa la possibilità di ulteriori partecipa-

zioni per gli Autori vincitori di 1° premio nella stessa Sezione in tre edizioni, anche non consecutive, del 'Città di Mesagne'. Soci, Giurati, anche di precedenti edizioni, e relativo nucleo familiare sono esclusi dal concorso. La partecipazione al Premio implica conoscenza e accettazione integrali del presente Regolamento. Mesagne, 04/12/2022

Il Presidente dell’Associazione

Enzo Dipietrangelo

SCHEDA DI ADESIONE (Allegare al plico in concorso)

Alla Associazione Culturale “Solidea (1 Utopia) - ODV”- Via Tumo, 48, c/o Resina Color/Casati - 72023 MESAGNE BR

Il/La sottoscritt__

nat__ a prov.______

il _______________________ residente a __

prov._______ cap. ________ via nr._____ professione (facoltativo) ___________________________________ cell _______________________

e-mail (in stampatello)

D I C H I A R A

di aderire al PREMIO LETTERARIO

NAZIONALE “CITTA’ DI MESAGNE”XX Edizione – Anno 2023

di accettare le norme del relativo Regolamento datato 04.12.2022 di essere l’autore dei seguenti elaborati in lingua italiana, inediti e frutto della propria creatività: per la Sezione POESIA Inedita

per la Sezione NARRATIVA Inedita - titolo:

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1. titolo 2. “ 3. “

- titolo:

- titolo: per la Sezione TEATRO Inedito

- titolo:

genere

- titolo:

genere - titolo:

genere per la Sezione Editi di Poesia / Narrativa / Saggistica, di essere l’autore del/dei LI-

BRO/I

- titolo:

Ed._ - titolo:

Ed.____

- titolo:

Ed._ di aver versato il contributo previsto, allegandone qui cedola del bonifico / versamento:

° € ___________ per l_____________________

sezion_ a mezzo

in data_

di aver appreso del Premio da – organo di stampa, sito internet, persona o altra fonte –(facoltativo)

luogo e data firma

LIBRI RICEVUTI

VIVIANE FOURNIER – Et puis… Poesie; in copertina, “Lydia d’Akrotiri” illustrazione di Didier Fleurantin; Prefazione di Yolaine e Stephen Blanchard; Premio della poesia 2022 «Yolaine & Stephen Blanchard», Collection Florilège Editions France Libris, 2022, pagg. 48, € 10,00. Viviane FOURNIER è nata a Lione nel 1957. Professoressa di francese in un Liceo, ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra i quali il Primo Premio “Louise Chassagne – Lyon” e il Primo Premio “Festival International du Livre FR3-Nice”; è stata inserita in antologie e ospitata in svariate riviste. Tra le opere pubblicate: Les rêves dans l’encre (1978), Transparence (1981).

GIANNICOLA CECCAROSSI - Béati qui non vidérunt et credidérunt , Casa Editrice IBISKOS, Empoli, 2023; brossura, pp. 41 Giannicola CECCAROSSI è nato a Torino il 18 agosto 1937 e vive a Roma. Figlio d’arte (il padre era un grande musicista solista), si dedica alla poesia da molti anni. Proprio con il padre realizza nel 1970 il poemetto Per i semi non macinati per corno (Domenico Ceccarossi), voce recitante (Arnoldo Foà), coro e orchestra d’archi, musica di Gerardo Rusconi. Nello stesso anno vince il Premio Nazionale di Poesia Reggiolo. Dopo un lungo periodo dedicato alla carriera manageriale, inizia nel 1999 a partecipare a concorsi letterari aggiudicandosi numerosi primi premi. Ha pubblicato: Poesie, 1967, Ora non è più tempo, 1970, Le dieci lune, 1999, Frammenti, 2000, I fiori nella schiena, 2000, La terra dentro, 2001, I gridi nella mano, 2002, È appena l’alba, 2008, Aspetterò l’arrivo delle rondini, 2011, Ed è ancora così lontano il cielo, 2012, Casa di riposo (diario), 2013, Dove l’erba trasuda narcisi, 2014, La memoria è un grano di sale, 2015, Fu il vento a portarti, 2015, Birkenau, 2016, Un’ombra negli occhi, 2016, Canti e silenzio, 2017, Voci, 2018, Quando

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il tempo verrà fragile come la luna, 2019, Anima mia, 2020, Ed è un miracolo il volo degli uccelli, 2021, A mancare è il tuo canto, 2021, Il tempo è solo una parola, 2022.

ROBERTO MAGGI - Scene da un interno, Terre d’Ulivi Edizioni, 2020 ; brossura, pp. 84 Roberto MAGGI nasce a Roma, dove si laurea in scienze biologiche. Nel 2014 pubblica la sua prima raccolta di poesie dal titolo “Schegge liquide”, edita da Aletti. Seguono apparizioni su varie antologie poetiche, “Federiciano 2014” (Ed. Aletti), “Vivo da Poeta” (Ed. Montecovello), “Premio Erato” 2015 (Ed. Montecovello, con menzione di merito), nonchéla sua prima pubblicazione in prosa, il racconto breve “Irish blues”, nell’antologia “1000 parole” (2015, Ed. Montecovello). Nel 2015 avvia, insieme al pianista Theo Allegretti, un progetto che unisce poesia e musica, la performance “Suoni di-versi”, dove il dialogo tra i rispettivi linguaggi espressivi supera la tradizionale formula del “Reading-concerto”. Questa performance è stata realizzata in diversi contesti, tra cui anche manifestazioni pubbliche (“SeminarLibri” di Tivoli, “Pigneto Città Aperta” di Roma, “Giornata mondiale della Terra” - Perugia 2016). Nell’aprile del 2019 viene pubblicata la raccolta di racconti “Suites di fine anno”, edita dalla Florestano Edizioni. Nel 2019 viene inoltre pubblicata la raccolta antologica “Il diario della Natura” (Fuorilinea Edizioni) che lo vede coinvolto in triplice veste: come ecologo, in qualità̀ di curatore dell’Introduzione al volume; come poeta, con tre componimenti acclusi; e come fotografo, con l’inserimento di un suo scatto a soggetto naturalistico. A partire dal 2020 si dedica saltuariamente all’attività di articolista, con la pubblicazione di recensioni critiche dedicate a libri e autori. Nel gennaio 2021 viene pubblicata la sua seconda raccolta di poesie dal titolo “Scene da un interno”, pubblicata da Terra D’ulivi Edizioni. Ha, inoltre, vinto numerosi premi e riconoscimenti.

ANNA AITA – EMILIO FINA – FABIO AITA – Questa Volta Vinco Io – Contributi di Aldo De Gioia, Anna Aita, Fulvio Castellani, Roberto Ferrari, Angelo Calabrese. Cervino Edizioni, 2020, pagg. 118, s. i. p. Anna AITA è nata e vissuta in un ambiente di musica e poesia. Suo padre era pianista, lo zio paterno tenore del S. Carlo, mentre al nonno materno, Antonio Cinque, poeta, fondatore e direttore de “La piccola Fonte” (primo cenacolo letterario), è stata intestata una strada a Napoli. Aita ha pubblicato: “Riflessi dell’anima” (poesie), “Sul filo della memoria” (narrativa), “Soltanto una carezza” (poesie), “Trasparenze” (quaderno di poesie ottenuto in premio con votazione nazionale), “Il coraggio dell’amore” (romanzo verità), “In tre andando verso” (poesie), “Così la vita” (poesie), “Sintesi e commento di alcune opere di Carmine Manzi” (monografia), “Don Giustino tra storia e poesia” (biografia), “La lettera smarrita, La lunga notte”, “Domenico Defelice. Un poeta aperto al mondo e all’amore” (monografia), “Aldo De Gioia. Quando la storia diventa poesia. **

ANNA AITA – MARIA CRISTINA GENTILE – Quando l’amore è negato – Prefazione di Claudio Calvino, Cervino Edizioni, 2022, pagg. 116, € 12,00. **

ROSARIA DI DONATO – Preghiera in gennaio – Prefazione di Marzia Alunni, postfazione di Lucianna Argentino; in copertina, a colori, “Metamorfosi”, di Laura Zani – Macabor Edizioni, 2921, pagg. 74, € 12,00.

Rosaria DI DONATO è nata a Roma, dove vive. Laureata in filosofia, insegna in un Liceo classico statale. Si interessa di poesia, arte, cinema, letteratura; collabora a riviste e a vari siti letterari, tra cui il blog Neobar; presente in numerose antologie, tra le quali: Nuovi Salmi (2012), Voci dai Murazzi (2013), Un sandalo per Rut Oratorio per

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l’oggi (2014). Ha pubblicato: Immagini (1991), Sensazioni Cosmiche (1993), Frequenze d’Arcobaleno (1999), Lustrante d’Acqua (2008).

STEPHEN BLANCHARD – Les Temps

Pliés – Préface de Gérard Blua ; in copertina, a colori, « Scène avec réveil », di Marcel Caram. France Libris, 2023 – Pagg. 48, € 10. Stephen BLANCHARD è il presidentefondatore, dal 1974, dell’Associazione <<les poètes de l’amitié – poètes sans frontières » (marchio depositato) che pubblica la rivista di creazione letteraria e artistica Florilège. Fondatore dei “Rencontres Poétiques de Bourgogne” nel 1990, ha creato nel 2001 il Premio e l’Edizione della “Ville de Dijon”. Membro di numerose giurie letterarie, di cui il “Prix Marie-Noël” a Santenay e il “Prix Yolaine et Stephen Blanchard” a Digione, partecipa attivamente alla vita culturale della sua regione, segnatamente nella cattedra della “Printemps des poètes” e del Festival “à livres ou vers”. Sono 24 le opere prefate da Patrick Cintas a testimone d’una vera passione per la scrittura. L’autore ha ricevuto il 12 maggio 2021 dal Ministero della Cultura, la medaglia di “Chevalier dans l’Ordre des Arts et des Lettres”. Ecco alcune delle sue opere: Joie de vivre (1977), Sous les pierres (1979), Primes vers (1980), Douleurs à contre-jour (1980), Poèmes de nulle-part (1980), Préface de ma mort (1981), Cloaque (1981), Spiritualités picturales du Belge Marcel Frère (1982), Clopinclopant (1983), L’enfant, la poésie, la vie (1984), Sauf-conduits (1984, 1992, 1995, 2000), À chat perché (2005, 2010), Le rim’ailleurs… (2007), Survitudes (2010), L’éveilleurs de mots (2013), Ainsi faut-il… (2014), Débiles visés (2015), Hors Je (2016), Rage Dedans (2017), À la lisière des enfantements (2018), À l’effeuillée d’un songe (2019), À demi maux (2019), Effleuressences (2021), Vers de rage (2022).

TRA LE RIVISTE

FLORILÈGE – trimestrale di creazione letteraria e artistica diretto da Stéphen Blanchard – 19, allée du Mâconnais 21000 DIJON (F) – Email: aeropageblanchard@gmail.com – Riceviamo il n. 189, dicembre 2022. In prima, in quarta di copertina e all’interno, a colori, splendide pitture di Miriam Peters Rouyer, artista autodidatta, nata nei Paesi Bassi, ove è vissuta fino al 1990, quando si è trasferita in Francia. Numero ricchissimo di prose, poesie e rubriche. Tra le prose citiamo “L’Armada du Père Noël”, di Jyssé; “Hommage à Antonio Machado” di Bruno Salgues, responsabile delle Edizioni Cap de l’Étang”; “Quand la poèsie ose le numérique” di Kathleen Hyden-David. Impossibile citare tutti i poeti, ne riportiamo solo alcuni: Soazig Kerdaffrec, Marc Andriot, MarieFrance Cunin, Marie-Thérèse Bitaine de la Fuente, Denis Lefrançois, Joël Bertrand, Maria Lhermenier, Jean-Louis Hivernat, Marie-Claude Puyobro, Daniel Emond, Paule Milamant, Maurice Amstatt, Mahamed Mleiel, Claude Dussert, Yolaine Blanchard, Alain Marchand, Christian Amstatt, Pierre Boby, Élodie Sune, Dominique Bauer, Annie Jibert, Annick Gautheron, Sylvain Escalier, Julius Nicoladec, Stéphen Blanchard, Lyse Bonneville, Jean Sarraméa, JeanJacques Camy, Jacques Bonnefon, Pierre Ducouret, Didier Colpin, Daniel Durand, Nicole Portay, Katell Cornelio, Christiane Talazac, Claude Vella, Lucile Blanchard, Pascal Lecordier e Irène Clara

FIORISCE UN CENACOLO – mensile fondato nel 1940 da Carmine Manzi, diretto da Anna Manzi

84085 Mercato S. Severino (Salerno) – e-mail: manzi.annamaria@tiscali.it – Riceviamo il n. 10-12, ottobre-dicembre 2022, dal quale segnaliamo: <<Aldo Marzi, “Totò, Collodi e Pasolini”>>, di Isabella Michela Affinito e <<L’Avaro di Molière>>, di Carla D’Alessandro. Tra i poeti: Lucio Zaniboni.

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L’ERACLIANO – mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobili, fondata nel 1623. Direttore responsabile Marcello Falletti di Villafalletto – Casella Postale 39, 50018 Scandicci (Firenze) – e-mail: accademia_de_nobili@libero.it – Riceviamo il n. 297/299, dell’ottobre-dicembre 2022, che reca come articolo d’apertura “1623 – I quattrocento anni di vita accademica –2023”, di Marcello Falletti di Villafalletto, del quale è anche “Un cuore misericordioso dentro un grande uomo (Cav. Ettore Taddei)”, nonché la pagina in ricordo della regina Elisabetta II d’Inghilterra recentemente scomparsa. A pag. 10, “Un artista geniale”, di Carlo Pellegrini. Tra le altre firme, quella di Manuela Mazzola, la nuova direttrice di Pomezia-Notizie.

ILFILOROSSO – periodico diretto da Luigina Guarasci, responsabile Valter Vecellio – via Marinella 4 – 87054 Rogliano (CS)

AI COLLABORATORI

Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione o altro) a: Manuela Mazzola –via Catilina 6 – 00071 Pomezia, Roma, preferibilmente attraverso E-Mail: pomezianotizie22@gmail.com Tel: 349/4175191

Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute); per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. Si ricorda che Pomezia-Notizie si mantiene solo attraverso i contributi dei lettori. Per ogni ed eventuale versamento di sostegno, assolutamente volontario: IBAN

IT44M3608105138230560730640 per bonifici da tutte le banche e da qualsiasi conto corrente delle poste.

Abbonamento annuo…€ 50

Sostenitore … € 80

Benemerito… € 100

e-mail: info.ilfilorosso@gmail.com

Riceviamo il n. 73, luglio-dicembre 2022. Saggi di: Valter Vecellio, Gianluca Bocchinfuso, Maria Virginia Basile, M. Maddalon – J. Trumper; poesie di: Enzo Ferraro, Franco Araniti, Francesco Varano, Maurizio Bacconi, Andrea Lo Bianco, Alessandro D’Agostino, Serena Rossi, Maria Lenti, Francesco Angelo Calabrese, Simone Francesco Mandarini, Giuseppe Maria Blasi, Pina Oliveti, Ada Celico. Recensioni e molto altro.

LO SGUARDO

Il tuo silenzio, più compiuto Della parola.

Parla lo sguardo, sentimento d’inesprimibile.

Ed anche il mio risponde Ed è sorriso.

Wilma Minotti Cerini

Da:L’alba di un nuovo giorno, Eugraphia, 2020

Una copia… € 5,00 + Spese spedizione

L’abbonamento – in qualunque momento dell'anno corrente effettuato – ha valore solo per l’anno in corso.

Il mensile è disponibile gratuitamente sul sito www.issuu.com al link:

http://issuu.com/domenicoww/docs/

Pubblicazione privata

Direttrice responsabile:

Manuela Mazzola

Direttore Editoriale:

Domenico Defelice

Per inserire annunci pubblicitari i costi sono i seguenti:

1 pagina intera a colori 200,00

½ pagina a colori 100,00

¼ di pagina a colori 50,00

1 riquadro in prima pagina 250,00 mensile

2 riquadri in prima pagina 250,00 mensile

Contattare: pomezianotizie22@gmail.com

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