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Andata e ritorno dalla terapia intensiva di un dirigente Avis

allievo del Prof. Storti di Pavia dove nacque negli anni ‘50 la moderna Immunoematologia, trovò anche il modo di ridurre quasi a zero le emorragie più frequenti nei suoi pazienti, quelle nelle articolazioni, con interventi chirungici di sinoviectomia. Ciò riduceva al massimo le infusioni di derivati del plasma - in particolare i liofilizzati commerciali importati dagli Stati Uniti - dei quali aveva capito con qualche decennio d’anticipo la pericolosità virale. Insomma se li produceva da solo, grazie ai controllatissimi “suoi” donatori Avis. In quegli anni la possibilità di farli produrre industrialmente con plasma di donatori italiani era nulla. A dirla tutta un altro luminare (solo in seguito) della cura dell’emofilia, Piermannuccio Mannucci a Milano, aveva iniziato a curare gli emofilici con i crioprecipitati che riuscivano a fornirgli i pochi centri che li isolavano dal plasma. Fra questi anche l’Avis di Milano che, vedi box, con questa esperienza si vide assegnare il Centro regionale di plasmaderivati. Nel box la breve storia. Il Mannucci, però, preferì virare proprio un paio di anni prima sui prodotti del mercato, più comodi da usare.

Nel frattempo, in Veneto, Traldi cominciava a veder sorgere in alcuni suoi pazienti - trattati nelle proprie regioni di provenienza con i liofilizzati - strani sintomi di una malattia ancora sconosciuta, ma letale. Le fu dato un nome nel 1981 (Aids) e individuato il virus (HIV) nel 1983. Inutile dire che il clinico-ematologo-trasfusionista accellerò su un progetto che gli stava a cuore e che stava partendo “in piccolo”, solo dal suo ospedale. Grazie a una convenzione in c/lavorazione con l’unica azienda italiana, la Farma Biagini voleva produrre i fattori della coagulazione per gli emofilici. Un progetto che entrò presto anche nelle corde di Avis Veneto presieduta dal 1981 al 1986 da Franco Vettoretti. Salvo che... Ciò che accadde ce lo siamo fatti raccontare direttamente dallo stesso Vettoretti.

“Già da tempo ci eravamo convinti della bontà delle tesi di Traldi e anche del suo collega di Verona Canali. Puntavano tra l’altro a “a far fruttare” al massimo in ogni sua parte il dono del

Pionieri del plasma:

a sinistra: Franco Vettoretti con la copia del periodico AvisVenetoAbvs (1981) che annuncia la sua elezione a Presidente regionale

sangue... E poi negli anni in cui emergeva l’Aids le “grida” di avvertimento di Traldi contribuivano a far crescere la cultura donazionale. Più volte anche col periodico chiedemmo alla Regione un Piano sangue e plasma serio”.

E invece?

“Invece un giorno mi chiamò l’allora Assessore alla Sanità Bogoni, era stato appena eletto nel 1985. Tutto contento mi mostrò la bozza di un contratto già pronto sul suo tavolo. Era un accordo di cessione del plasma “separato” dal sangue dei donatori veneti a una industria di Vienna. Mi disse che così si sarebbe dato più “valore” al dono dei veneti. Tra l’altro il plasma avrebbe potuto essere raccolto tramite speciali macchine che l’industria proponente avrebbe “donato” al servizio trasfusionale regionale. Mi disse che il Friuli era già sulla stessa linea”.

La risposta del presidente Vettoretti, e dell’Avis tutta, non si fece attendere troppo. Fu un tantinello ruvida, forse, ma a quanto pare efficace. Avis Veneto, compatta come non mai, minacciò di scendere nelle piazze di ogni Comune - se fosse stato firmato quel contratto - per raccogliere centinaia di migliaia di firme contro il provvedimento.

Qua sopra: il prof Agostino Traldi con uno dei suoi “ragazzi”: per inciso il primo emofilico operato di sinoviectomia da Traldi nel 1966 a Modena. Oggi Paolo è due volte nonno. L’occasione dell’incontro fu un convegno organizzato da Avis regionale Veneto, Avis Castelfranco e Lagev (Associazione emofilici) nel novembre 2013. Fu l’ultima volta che l’inventore del c/lavorazione venne in Veneto, da Lucca dove si era trasferito. Erano presenti più di 300 persone, fra cui una buona metà “ex ragazzi” confluiti da tutta Italia per l’occasione. (Foto, Barbara Iannotta)

segue ✒

Il “gran rifiuto”:

L’indimenticabile prof. Mario Zorzi, presidente di Avis nazionale dal 1979 al 1987. Quest’anno avrebbe compiuto 100 anni, proprio nell’anno in cui la Giornata mondiale del donatore avrebbe dovuto svolgersi in Italia. È scomparso a maggio 2019, alla vigilia dell’ultima Assemblea nazionale a Riccione

”E se ciò non fosse bastato - aveva proposto anche una parte più movimentista di Avis - avremmo anche potuto “invadere” Venezia e Palazzo Balbi (sede della Giunta, ndr) con centinaia di labari e migliaia di donatori”.

Il neo-malcapitato assessore, vista l’aria di tempesta che si preparava, fece pian piano dietro front. Ebbe forse la fortuna di confrontarsi con un altro trasfusionista illuminato, il dottor Canali da Verona, che aveva la stessa linea del collega modenese-trevigiano. Naturalmente una “spintarella” la diede pure la stampa veneta che prima dell’assemblea ragionale ‘86 titolava fra l’altro: “Le multinazionali del sangue tentano di accapararrsi il Veneto”. Fu proprio il dottor Guglielmo Canali uno dei due che “scortò” l’Assessore alla fatidica Assemblea regionale Avis, Rovigo 1986. Entrò durante la relazione iniziale di Vettoretti, a camminò nel cinema fra le due ali di delegati seduti nel gelo e nel silenzio più totale. ”Naturalmente mi interuppi e lo invitai a prendere la parola”, ci dice Vettoretti”. Leggiamo come Antonio Bogoni “ha considerato “doverosa” la sua partecipazione (anche se breve, aggiunge l’articolista di Avis-Abvs) non solo per il saluto della Regione, ma anche per assicurare l’impegno del suo assessorato a portare a compimento il Piano Sangue, dato il pressante invito di Avis per risolvere i problemi trasfusionali”. Parlò pochi minuti, ma la sostanza fu che “si era sbagliato” e che il sistema proposto da Avis e da Traldi sarebbe nato. Così nacque il Conto lavorazione del plasma prima veneto - dove i primi plasmaderivati DOC iniziarono ad arrivare l’anno successivo - poi italiano. Nel 1998 nacque il primo Accordo interregionale plasma (AIP). Ora sono quattro, gli Accordi che porteranno forse definitivamente fuori l’Italia dal mercato. Ma questa è una storia che continua... Quella del testardo “visionario”, Agostino Traldi, si è conclusa all’alba del 14 giugno 2017. Era la Giornata mondiale del Donatore di sangue. Un caso.

Un presidente gentiluomo e un Consorzio nato... morto

Nel febbraio del 1980 l’Avis di Milano fu autorizzata dal Ministero a “produrre albumina umana... essendo già autorizzata a far funzionare nei propri locali un Centro di produzione di plasmaderivati”. La firma dell’autorizzazione porta la firma di un certo Duilio Poggiolini.

Nacque così, su spinta Avis, il CREL (Consorzio regionale emoderivati Lombardia) che avrebbe potuto rappresentare una vera spina nel fianco per il mercato che, proprio in quel periodo, faceva affari d’oro con i concentrati plasmatici liofilizzati, in particolare anti emofilici.

Il CREL, nonostante tutta la buona volontà degli avisini, nacque praticamente “moribondo”. Scrive l’ematologo ed ex Sindaco di Pavia Elio Veltri nel suo libro “Non è un Paese per onesti” in cui è dedicato un ampio capitolo alla storia del plasma infetto e “pulito”: “Il CREL fu poco utilizzato per responsabilità delle giunte regionali che si sono succedute, nonostante le proteste continue degli amministratori dell’Ente e dell’Avis... finanziamenti esigui e pochissimo personale, per cui l’Ente era stato costretto alla totale inattività. Evidentemente le sirene delle industrie e dei medici avevano avuto la meglio”. Infatti in poco tempo il CREL defunse del tutto, proprio negli anni in cui centinaia di emofilici venivano falciati da AIDS di “importazione”. Nel frattempo le case farmaceutiche erano davvero potenti “sirene” a caccia di plasma “pulito”. Cercavano di tentare non solo i politici (riuscendoci quasi), ma anche i vertici associativi perché cedessero il plasma italiano, occupandosi come Avis solo della raccolta di sangue intero. È noto, ormai, l’episodio del 1985 raccontatoci dal grande presidente nazionale di quegli anni, Mario Zorzi, e custodito in video: “vennero nel mio studio i dirigenti di una nota casa farmaceutica austriaca proponendomi, come presidente Avis nazionale, di inviare i nostri donatori nei loro Centri di plasmaferesi che sarebbero sorti anche in Italia. E anche di cedere loro il plasma non utilizzato negli ospedali. Naturalmente in cambio avrebbero finanziato l’associazione (che in quel periodo era in cattive acque) e poi anche per il presidente...”.

Da quel gentiluomo che era Zorzi, li invitò a leggere l’acronimo sulla sua scrivania e a tradurlo (Associazione VOLONTARI Italiani Sangue). Poi, fin troppo gentilmente, li invitò ad aprire la porta del suo ufficio, a varcarla e a non farsi più vedere.

Andata e ritorno dalla terapia intensiva di un dirigente Avis

Intervista di / Beppe Castellano /

Prima di chiudere questo numero gli abbiamo fatto l’ultima telefonata: “Per fortuna è un paio di settimane che sono tornato al lavoro - ci dice - pur con tutte le precauzioni del caso...”. Francesco Magarotto, 57 anni, da Due Carrare (PD), vice presidente dell’Avis regionale Veneto per due mandati, per i due mandati precedenti tesoriere, 4 anni da consigliere nazionale. Di mesi - prima d’inferno, poi di purgatorio - Francesco ne ha passati quasi quattro, per il Covid-19. E ci sono pure “negazionisti” che: “Il coronavirus? Un bluff con cui la finanza vuole indebolire gli Stati... E le mascherine? “Dannose!”. E “balle” di questo tenore. Vale la pena sempre di far raccontare in da chi l’ha vissuto, se è il caso o meno di continuare con le dovute precauzioni. L’intervista è dell’8 giugno, naturalmente al telefono.

Come è iniziato, Francesco?

Avevamo fatto un viaggio in Centro Italia, due tre giorni, quando ancora non c’erano le chiusure. Siamo rientrati l’8-9 marzo. Il 12 è iniziata una febbricola, qualche linea, senza tosse. Nessun altro sintomo. Ho lavorato da casa, ma nel frattempo ho fatto il tampone. È arrivata la sentenza. Il 16 mi hanno ricoverato nel reparto infettivi di Schiavonia. Ero così velocemente peggiorato che il 17 marzo ero in terapia intensiva. Intubato, non riuscivo più a respirare.

Ma hai idea di come l’hai preso? E tua moglie Rosanna che era con te?

Probabilmente fermandoci in autogrill, non c’erano ancora le misure di sicurezza e c’era folla sempre. Mia moglie non ne è stata colpita, per fortuna. Era questa la mia più grave preoccupazione, mentre lottavo per sopravvivere. Non avevo notizie, non potevo vedere lei e le figlie...

Quanti giorni in terapia intensiva?

Prima di essere dimesso sono passati 45 giorni, sempre a letto, molti intubato. Non ricordo neppure quanti, so solo che hanno usato tutti i farmaci disponibili. Fino all’antivirale Revistivir che, dal primo aprile, ha iniziato a fare effetto.

Immaginiamo sia stata davvero dura...

Durissima. Sono dimagrito di 11 chili, ma mia moglie Rosanna perfino di tre, per la preoccupazione di non vedermi mai più. Poi il mix di farmaci - per una settimana mi hanno dato anche oppiacei - per giorni e giorni mi ha mandato fuori di testa. Sentivo le voci di mia moglie, della mia famiglia provenire dal corridoio. Una notte sono caduto dal letto, nel tentativo di alzarmi e di uscire a vederle. Amorevolmente le infermiere, i medici, mi spiergavano che non era possibile. Nessuno poteva entrare in quell’ospedale. Poi ci sono ancora tutti gli effetti collaterali di malattie e cure: l’emoglobina sottozero, la debolezza cronica, la muscolatura che scompare, le flebiti, i dolori ai reni e dappertutto, il fiato che manca. Ma sono vivo, questo conta. Ero sempre stato bene, avevo perfino fatto l’ultima donazione a dicembre, a marzo sarei dovuto tornare a farla.

Ecco i medici, il personale, li hanno chiamati “eroi”, ora invece...

Guai a chi dimentica quelle persone! Chiamarli eroi è poco. Mai vista una tale dedizione. Sono stati angeli, con chiunque. Dal primario all’ultima delle Oss, dispensavano a tutti non solo le cure, ma una carezza, una parola buona. Ogni giorno, ogni momento. Ci facevano coraggio, mentre negli scarsi momenti di lucidità di quei giorni mi rendevo conto che anche loro erano disperati nel veder morire la gente. Ricordo quando mi hanno tolto l’ossigeno (eravamo in stanze da due) mi son potuto girare. Ho visto che lo mettevano al mio vicino di letto: 94 anni, nessuna speranza. Ma gli parlavano, fino all’ultimo. Non dimentichiamoli, questi angeli.

Che diresti a chi non ne è stato colpito, a chi nega perfino...

Ai cretini non farmi rispondere. Per tutti gli altri dico che non dobbiamo rilassarci e usare ogni precauzione. Manteniamo ancora le distanze, usiamo le mascherine...

Ti è arrivata la lettera di invito a donare plasma iperimmune? Sì. E avrei voluto farlo fra i primi. Ma i medici me l’hanno proibito. Ho le piastrine bassissime, dopo le cure.

Ci vediamo presto?

Certamente, con la mascherina!

Francesco Magarotto: Sopra: “beccato” nel letto, dopo essersi ripreso un pò. La fonte della foto non la riveleremo mai neanche a lui... In basso: il giorno in cui, scaduti i 14 giorni di “quarantena casalinga” dopo la dimissione, è potuto tornare nel suo soggiorno e riabbracciare dopo mesi moglie e figlie.

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