Dono&Vita Giugno/luglio 2020

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1981 al 1986 da Franco Vettoretti. Salvo che... Ciò che accadde ce lo siamo fatti raccontare direttamente dallo stesso Vettoretti. “Già da tempo ci eravamo convinti della bontà delle tesi di Traldi e anche del suo collega di Verona Canali. Puntavano tra l’altro a “a far fruttare” al massimo in ogni sua parte il dono del sangue... E poi negli anni in cui emergeva l’Aids

allievo del Prof. Storti di Pavia dove nacque negli anni ‘50 la moderna Immunoematologia, trovò anche il modo di ridurre quasi a zero le emorragie più frequenti nei suoi pazienti, quelle nelle articolazioni, con interventi chirungici di sinoviectomia. Ciò riduceva al massimo le infusioni di derivati del plasma - in particolare i liofilizzati commerciali importati dagli Stati Uniti - dei quali aveva capito con qualche decennio d’anticipo la pericolosità virale. Insomma se li produceva da solo, grazie ai controllatissimi “suoi” donatori Avis. In quegli anni la possibilità di farli produrre industrialmente con plasma di donatori italiani era nulla. A dirla tutta un altro luminare (solo in seguito) della cura dell’emofilia, Piermannuccio Mannucci a Milano, aveva iniziato a curare gli emofilici con i crioprecipitati che riuscivano a fornirgli i pochi centri che li isolavano dal plasma. Fra questi anche l’Avis di Milano che, vedi box, con questa esperienza si vide assegnare il Centro regionale di plasmaderivati. Nel box la breve storia. Il Mannucci, però, preferì virare proprio un paio di anni prima sui prodotti del mercato, più comodi da usare. Nel frattempo, in Veneto, Traldi cominciava a veder sorgere in alcuni suoi pazienti - trattati nelle proprie regioni di provenienza con i liofilizzati - strani sintomi di una malattia ancora sconosciuta, ma letale. Le fu dato un nome nel 1981 (Aids) e individuato il virus (HIV) nel 1983. Inutile dire che il clinico-ematologo-trasfusionista accellerò su un progetto che gli stava a cuore e che stava partendo “in piccolo”, solo dal suo ospedale. Grazie a una convenzione in c/lavorazione con l’unica azienda italiana, la Farma Biagini voleva produrre i fattori della coagulazione per gli emofilici. Un progetto che entrò presto anche nelle corde di Avis Veneto presieduta dal

le “grida” di avvertimento di Traldi contribuivano a far crescere la cultura donazionale. Più volte anche col periodico chiedemmo alla Regione un Piano sangue e plasma serio”. E invece? “Invece un giorno mi chiamò l’allora Assessore alla Sanità Bogoni, era stato appena eletto nel 1985. Tutto contento mi mostrò la bozza di un contratto già pronto sul suo tavolo. Era un accordo di cessione del plasma “separato” dal sangue dei donatori veneti a una industria di Vienna. Mi disse che così si sarebbe dato più “valore” al dono dei veneti. Tra l’altro il plasma avrebbe potuto essere raccolto tramite speciali macchine che l’industria proponente avrebbe “donato” al servizio trasfusionale regionale. Mi disse che il Friuli era già sulla stessa linea”. La risposta del presidente Vettoretti, e dell’Avis tutta, non si fece attendere troppo. Fu un tantinello ruvida, forse, ma a quanto pare efficace. Avis Veneto, compatta come non mai, minacciò di scendere nelle piazze di ogni Comune - se fosse stato firmato quel contratto - per raccogliere centinaia di migliaia di firme contro il provvedimento.

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Pionieri del plasma: a sinistra: Franco Vettoretti con la copia del periodico AvisVenetoAbvs (1981) che annuncia la sua elezione a Presidente regionale

Qua sopra: il prof Agostino Traldi con uno dei suoi “ragazzi”: per inciso il primo emofilico operato di sinoviectomia da Traldi nel 1966 a Modena. Oggi Paolo è due volte nonno. L’occasione dell’incontro fu un convegno organizzato da Avis regionale Veneto, Avis Castelfranco e Lagev (Associazione emofilici) nel novembre 2013. Fu l’ultima volta che l’inventore del c/lavorazione venne in Veneto, da Lucca dove si era trasferito. Erano presenti più di 300 persone, fra cui una buona metà “ex ragazzi” confluiti da tutta Italia per l’occasione. (Foto, Barbara Iannotta)

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