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Il nuovo direttore del Cns, le sfide italiane dei prossimi anni

Arriva da Udine Vincenzo De Angelis, ed è dal 1° agosto il nuovo direttore del Centro nazionale sangue. Coordinerà nei prossimi 5 anni tutto il complesso e delicato Sistema trasfusionale italiano. L’abbiamo intervistato sui temi più attuali.

a cura di / Beppe Castellano con Giorgio Brunello /

Il dottor Vincenzo De Angelis è il direttore Cns dal 1° agosto scorso. Sostituisce il dottor Giancarlo Maria Liumbruno, in carica dal 2015. Con De Angelis abbiamo realizzato una video-intervista a distanza, a tre, il 13 settembre.

Dottor De Angelis, dopo poco più di un mese, come va in quel di Roma?

Molto Bene! Sono molto soddisfatto ed entusiasta. Ho trovato al Cns ottimi collaboratori. La mia impressione è decisamente positiva, molte energie da valorizzare.

Già partito in quarta, insomma, per rafforzare il “Sistema Paese”?

Sì. Anzi faccio una premessa. Io sono decisamente “di parte”. Sono cioé dalla parte del Sistema Pubblico, dell’interesse del Paese: mi pagano per questo, per difendere la parte pubblica. Nel confronto con le parti private io, che difendo il “pubblico”, devo capire quali sono gli interessi primari. Non sono quelli di spendere più soldi e di avere prodotti che non sappiamo come utilizzare, ma al contrario avere più prodotti di qualità e quantità utilizzabili, senza doverci poi chiedere cosa fare di quelli in esubero.

Ma partiamo dalla raccolta. Come è andata a luglio-agosto? In alcune parti d’Italia ci sono stati momenti di gran sofferenza.

Questa estate non è stata brillante. Anche inizio settembre ha visto criticità in regioni che, di solito, rappresentano un serbatoio per quelle carenti. Ci interroghiamo sulle cause, ma è da convenire siamo in un anno particolare. La pandemia di Covid-19 ha costretto gli ospedali nel periodo marzo-aprile a rallentare o sospendere del tutto l’attività non urgente. Molte attività programmate sono state rinviate, ma per quanto rinviabili devono riprendere. L’utilizzo di sangue, “sospeso” in primavera, sarà ancor più necessario adesso. E il periodo estivo, da quando mi ricordo, è sempre stato critico. C’è poi il fatto che la pandemia ci ha costretti a rivedere le modalità organizzative della raccolta sangue. La prenotazione è diventata dappertutto praticamente obbligatoria, per garantire distanziamento e totale sicurezza di operatori e donatori.

“CHI È” Vincenzo De Angelis

Friulano di adozione, classe 1956, Vincenzo De Angelis è nato

anagraficamente in provincia di Belluno: “A quei tempi era uso partorire i figli in casa della madre. I miei genitori, padre medico di origine calabrese e madre bellunese, abitavano però a Padova”. Specializzato

in Ematologia e in Biologia Clinica all’Università di Padova è stato Responsabile del Coordinamento Regionale ed Interregionale delle attività trasfusionali del Friuli Venezia Giulia ed è componente della Consulta nazionale permanente per il Servizio Trasfusionale presso il ministero della Salute. È stato inoltre designato dal ministero della Salute quale esperto nazionale a partecipare alle Commissioni e ai Gruppi di lavoro presso il Consiglio d’Europa, l’Unione Europea ed altri organismi internazionali, per le problematiche inerenti la sicurezza del sangue e degli emoderivati. Ha lasciato il suo incarico di primario del Dipartimento di Medicina Trasfusionale dell’Azienda Ospedaliera di Udine. È stato fra i protagonisti della nascita del Naip (Nuovo accordo interregionale plasma, di cui è capofila il Veneto) e della successiva gara per il c/lavorazione del plasma assegnata alla CSL Behring. Il decreto di nomina a direttore del Cns è del Ministro della Salute, Roberto Speranza

Cosa a cui non possiamo dare che il “benvenuto”. Anche perché i donatori si dimostrano contenti: entrano, donano, tornano a casa senza più lunghe attese.

Ma non tutti sono pronti alla chiamata con prenotazione...

Dobbiamo rimodulare i nostri assetti organizzativi di raccolta per questo tipo di programmazione. Ciò impatta anche sulle associazioni di donatori, che pur hanno un rapporto molto stretto con il donatore, che va consolidato. Perché arrivi sempre all’ammalato “ciò che serve, quando serve e quanto serve”.

Nella fase acuta della pandemia, abbiamo fatto appelli ai donatori rinchiusi in casa, donazioni che sarebbero potute servire dopo? C’è da dire che molti, sentendo parlare di plasma “benefico”, si sono fatti avanti per la prima volta, gran parte hanno donato più avanti. Conferma?

A maggio su un webinar di esperti di tutto il mondo ho evidenziato proprio questo. All’inizio della pandemia c’è stato un calo improvviso delle donazioni, mentre l’uso era ancora “normale”. Con gli appelli di tutti - parlo di associazioni, ma anche di tutto il Sistema trasfusionale - la risposta delle persone, donatori periodici o nuovi, è stata entusiasmante. Però gran parte dell’attività ospedaliera si era fermata. La situazione è tornata a normalizzarsi verso fine aprile. Questo è un anno del tutto imprevedibile, per tutti, con situazioni poco gestibili. L’analisi va fatta, ma è indubbio che l’andamento donazioni/uso del sangue non poteva essere previsto da nessuno.

In fondo nessuno era “pronto” per gli effetti di una pandemia del genere...

Esatto. Ma come dico a volte ai colleghi stranieri, per fortuna siamo italiani. Potremo anche essere, a volte, “lazzaroni”, ma per nulla stupidi. Il modo per uscir fuori dalle situazioni difficili lo troviamo sempre. È però indubbio che stiamo navigando sotto costa. Come si dice a Trieste stiamo bordeggiando, navigando a vista. Ma non è una situazione soltanto italiana, accade la stessa cosa in tutto il mondo.

Come vanno Paesi della UE?

Ci sono pregi e difetti, possiamo dire che nei Paesi “sopra” le Alpi la “robustezza” organizzativa è certamente migliore della nostra. A volte è un vantaggio, altre è però il contrario perché noi riusciamo ad avere una flessibilità che i sistemi iper-organizzati non possono avere. L’deale sarebbe perfetta organizzazione e flessibilità, ma è come avere la moglie ubriaca e la botte piena.

Il Sistema italiano, pur non perfettamente organizzato come altri, si basa - anche per quanto riguarda il plasma - sul Servizio pubblico e sulle Associazioni di donatori volontari non remunerati. Nei prossimi cinque anni, il miglioramento del livello organizzativo è una delle sfide da vincere?

Penso che non sia l’organizzazione che ci manca. Nel Paese abbiamo eccellenze da nord a sud, così come zone d’ombra. Non è questione geografica e non si tratta nemmeno di “copiare” dalle realtà dove tutto funziona bene. L’Italia è più lunga che larga: la storia, le culture, le sensibilità, le tradizioni sono molto diverse. Le modalità che, faccio un esempio, nel ragusano dove la raccolta è totalmente associativa, funzionano benissimo, non è detto che applicate altrove funzionino lo stesso. Lo stesso potremmo dire del modus operandi del mio Friuli, dove non esiste la raccolta associativa.

Quindi? Autonomia operativa?

L’importante, a mio parere, è che Centro nazionale sangue, Regioni, Associazioni, Società scientifica Simti riusciamo a darci tutti insieme obiettivi credibili. Condividendoli come sostanza e tempi. L’autonomia se usata bene produce risultati buoni, se usata male produce risultati cattivi... In regioni dove l’indice di donazione è molto alto si è forse trovato il modo giusto di parlare ai potenziali donatori. Noi come Cns dobbiamo intervenire come autorità competente per aiutare ognuno a trovare la propria strada. Non come “occhiuti ispettori”, bensì come un organo di consulenza autorevole, non autoritario.

Banche del plasma iperimmune da convalescenti anti-Covid-19, molte regioni stanno mettendo insieme la propria “banca”. Serve?

Non abbiamo ancora dati scientifici univoci sui vari trattamenti con plasma iperimmune che, un po’ ovunque, è stato utilizzato nella scorsa

“Le modalità organizzative per giungere all’autosufficienza devono essere adeguate alla storia, alle tradizioni, alla cultura. Ciò che funziona a Ragusa, può non funzionare a Trieste. L’Italia è lunga, essenziale che gli obiettivi siano concordati e e credibili. Compito del Cns è di supporto tecnico per aiutare ognuno ad arrivarci”.

segue ✒

“Negli Stati Uniti le case farmnaceutiche vendono oggi le immunoglobuline a 70 dollari al grammo. Che interesse avrebbero a venderle all’Italia a 50 euro? Strategica è l’autosufficienza italiana, con plasma di donatori non remunerati e “non sfruttati” e l’armonizzazione degli scambi di medicinali plasmaderivati fra i 4 consorzi interregionali del c/lavorazione”.

emergenza Covid-19. Certo è che l’immunoterapia passiva di plasma e derivati contro tanti agenti patogeni la usiamo tutti i santi giorni, fin dall’inizio del secolo scorso. In particolare sotto forma di immunoglobuline specifiche. C’è un protocollo nazionale (Tsunami, ndr) di studio da cui aspettiamo risultati concreti. Certamente dove si è scelto di conservare il plasma ricco di anticorpi anti-Covid-19 si è presa una decisione saggia. In attesa di sapere quanto funziona, su che casi funziona (precoci o gravi?), quali dosi standardizzate usare, se possiamo ricavarne immunoglobuline specifiche... Ritengo sia ottima cosa, prudente e saggio avere una scorta per ogni evenienza. Non servirà? Pazienza, potrà sempre essere avviato alla lavorazione industriale per ottenere plasmaderivati. Non possiamo certo metterci a raccoglierlo in fretta e furia in caso di recrudescenza della pandemia.

Le multinazionali del plasma investono, sia promuovendo la dazione di convalescenti a pagamento, sia per la ricerca in tal senso. È segnale che sia una strada percorribile? Il “profit” che investe senza prospettive di ritorno economico...

Certo sì, altrimenti non si spiegherebbe un tale sforzo economico. È una conferma che abbiamo fatto bene a stimolare nel Paese la raccolta e la conservazione del plasma iperimmune. È poi partito il Progetto “Support-E” dell’Unione Europea (vedi box sotto), proprio per giungere

Support-E, il progetto Europeo da 4 milioni di Euro per raccolta dati e ricerca condivisa

Support-E (SUPPORTing high-quality evaluation of Covid-19 convalescent plasma throughout Europe) è un progetto europeo, partito a luglio, che ha come obiettivo una valutazione, basata su evidenze scientifiche, delle terapie a base di plasma da Convalescente Covid-19 (Ccp). Inoltre si propone il raggiungimento di una armonizzazione fra tutti gli stati membri su un utilizzo clinico appropriato, attingendo anche dal database comune. Per riuscirci sono stati stanziati 4 milioni di euro.

Interscambi fra Regioni nel 2019

(fonte: Gazzetta Ufficiale 17/09/2020)

a conclusioni certe e condivise fra i ricercatori e i clinici europei. In Italia siamo partiti in anticipo, anche se all’inizio non in modo coordinato.

Test sierologioci Covd-19 di massa ai donatori di sangue. Da qualche parte, anche in Veneto, si assiste a fughe in avanti. Servono?

Domanda difficile. La risposta non può essere che piena di dubbi. In questo momento sappiamo che la predittività di questi test non è ottimale. Siamo sicuri di volere un test di massa che può darci falsi positivi o falsi negativi? Nel novero statistico può avere qualche utilità, ma al singolo soggetto non dice nulla. Anche perché dopo mesi dall’infezione gli anticorpi possono sparire e l’immunità potrebbe non essere permanente. La verità è che del virus SARS-Cov-2 sappiamo molto poco.

Parliamo di plasma, non iperimmune: autosufficienza di medicinali plasmaderivati. In Italia abbiamo 4 accordi interregionali per il c/lavorazione. Il Naip (capofila il Veneto), che lei conosce molto bene essendone stato un protagonista: dopo la prima gara a tempi di record conferisce da due-tre anni. Poi ci sono il Ripp e il Planet (capofila Emilia Romagna e Toscana) che iniziano a conferire in questi mesi. L’Accordo di Lombardia, Piemonte, Sardegna sta espletando la gara d’appalto. Coordinare e armonizzare l’interscambio dei prodotti eccedenti di ogni Accordo è cosa non semplice. Sarà una delle sue sfide?

Già quando ero “quality manager” all’interno del Naip, da anni osservavo (assieme ad Antonio Breda del Crat Veneto) che ogni raggruppamento o Regione produceva Albumina e Immunoglobuline per i propri bisogni, senza eccedenze. Oggi è strategico ottenere la massima resa di Immunoglobuline dal plasma donato. Sono i medicinali “critici” nel mondo. In questo periodo, per fare un esempio, le industrie farmaceutiche vendono le immunoglobuline a cifre da capogiro negli Stati Uniti: 70 dollari al grammo. Quale industria farmaceutica potrebbe vendere lo stesso prodotto a 50 euro in Italia, quando è più lucroso negli USA?

Il plasma materia prima “strategica”, al pari di energia, metalli rari, acqua potabile...

Per questo è importante avere il plasma suffi ciente per questi prodotti, ma è anche importante avere rese adeguate dal Conto lavorazione. Ogni Accordo tendenzialmente si terrà la sua albumina e le sue immunoglobuline perché non ancora autosufficienti. In Italia abbiamo però un grande vantaggio: Accordi con aziende diverse,

che hanno “portafogli” di prodotti diversi. Siamo nelle condizioni di poter dire a un “Accordo X”, che prevede la produzione di fibrinogeno, di produrlo per tutto il Paese. Così si potrà dire per un altro Accordo con l’antitrombina. Alla fine queste compensazioni creano uno scambio, ma con denaro “virtuale”. Ciò ci permetterebbe di avere prodotti da plasma italiano, scambiando i prodotti fra le varie Regioni. L’ho sempre visto come strumento strategico, per il Paese.

Che toglie fette di mercato alle Aziende...

Ovvio che le Aziende farmaceutiche non “ci ameranno”. Ma noi dobbiamo, ripeto, fare l’interesse del Paese e il Conto lavorazione è l’invenzione italiana che fa questi interessi. Sono convinto, comunque, che possono coniugarsi anche con quelli delle Aziende in una vera partnership trasparente, anche fra le diverse aziende. E fra più aziende possibili. È uno dei traguardi che mi piacerebbe raggiungere, tutti insieme, in questi cinque anni. Scrivetelo pure, il ruolo che occupo sia ora, sia in passato, è stato ed è quello di un “ringhioso guardiano degli interessi della parte pubblica del sistema”.

I donatori volontari, periodici, non remunerati sono più sicuri di quelli a pagamento?

Siamo sempre partiti dall’evidenza che in passato è stata purtroppo dimostrata con tanti lutti: Di sicuro il sangue e il plasma dei donatori non remunerati aveva e ha livelli di sicurezza maggiori. Oggi? Dati sui donatori a pagamento non ne abbiamo. Se ci sono non vengono pubblicati. Mentre i nostri epidemiologici sui donatori non remunerati, sì. Ma se questo è un tema che riguarda la sicurezza, c’è anche quello che riguarda la morale. Accettiamo l’idea che le persone facciano mercimonio di parte del proprio corpo? Personalmente non accetto che in caso di bisogno si possa fare mercimonio e vendere parte di se stessi. Non è più una scelta libera. E passerebbe l’idea dello sfruttamento della persona.

Gran parte del plasma mondiale, però, viene raccolto così...

Questo è un altro tema da tenere in considerazione. Se il 70% delle industrie di medicinali plasmaderivati è in Europa è anche vero che il 70% della materia prima è importata dagli Stati Uniti. Non possiamo dimenticarlo. Se da un giorno all’altro dicessimo che non vogliamo più farmaci da plasma a pagamento, rimarremmo senza farmaci per gli ammalati. Dobbiamo promuovere ovunque questo nostro modello etico, di civiltà e cultura giuridica.

Come qualità di plasma donato l’Italia possiamo dire che può fare scuola in Europa?

Posso aggiungere anche di più. Tutte le case farmaceutiche del c/lavorazione, tutte, ottengono dal plasma italiano maggiori rese proprio perché i nostri donatori sono “trattati meglio”.

In che senso?

I nostri donatori non sono “sfruttati” come quelli che, a pagamento, donano plasma ogni tre giorni. I livelli di immunoglobuline nei nostri donatori sono più alti perché vengono rispettati. Per la donazione di sangue, in tutto il mondo, il limite massimo è simile: 4-5 volte l’anno. Altra cosa il plasma: da un massimo, per legge, di 20 donazioni in Italia a cifre incredibili che superano il centinaio negli Stati Uniti. È ovvio che il plasma dei nostri donatori sià più “ricco” di proteine utili.

Accordo Naip e pasta di crio (crioprecipitati) da cui ricavare fattori della coagulazione. Un semilavorato in esubero. Che fine fa?

La pasta di crio viene utilizzata per produrre fattore VIII. Già ne è stato prodotto, il Beriate. Che è un prodotto a registrazione centralizzata che potremmo anche cedere a Paesi della UE, se ci fosse richiesta. C’è da dire che dalla pasta di crio si ricava anche il Fibrinogeno e il Fattore Von Willebrand, prodotti anch’essi molto importanti. Dobbiamo quindi decidere di volta in volta in anticipo quale far produrre. In questo periodo il consumo nelle rianimazioni di fibrinogeno sta aumentando, per esempio. Verò è che da accordi dobbiamo produrre un certo quantitativo di Fattore VIII e IX anche se il suo uso è in continuo calo. Fra i quattro Accordi dobbiamo decidere cosa farne, degli esuberi. Ci sono larghissime parti del mondo dove i malati emofilici non vengono trattati con alcun farmaco. Come Centro nazionale sangue siamo molto attivi nella Cooperazione internazionale in questo senso. Questo grazie anche - lasciatemelo citare - al dottor Calizzani, scomparso proprio all’inizio del mio mandato che ha lasciato un gran vuoto al Cns per la sua competenza nel settore plasma.

Un’ultima domanda, attuale. Vaccinazione anti influenzale per i donatori...

Assolutamente sì! Il Ministero della Salute si è già pronunciato, noi del Cns lo stesso e riprenderemo le campagne per la vaccinazione gratuita. Perché sapete che i sintomi di Covid-19 sono simili a quelli dell’influenza e ciò ci permette di poter escludere, almeno, che sia un’influenza. Vacciniamoci, vacciniamoci, vacciniamoci. Anche perché così potremo anche mantenere costanti le donazioni, oltre che salvaguardare la salute dei donatori.

“Possiamo accettare, moralmente, il principio che per bisogno un individuo possa fare mercimonio e vendere parte di se stesso? Non è più una scelta e un dono libero... I donatori italiani al massimo possono donare 20 volte il plasma ogni anno, per legge e per la loro salute, in altre parti si arriva a numeri incredibili: anche due-tre volte a settimana”.

Giuliano Grazzini.

Primo direttore del Cns dalla sua istituzione (2007) al 2015.

Giancarlo Maria

Liumbruno. Alla guida del Cns dal 2015

Gabriele Calizzani.

Nell’ultimo Convegno triennale della Simti (la società scientifica degli Immunoematologi e Trasfusionisti). Genova, maggio 2018.

Sotto: la sua eredità (Fonte: Gazzetta ufficiale 17/9/2020).

Addio a Calizzani, “inventò” la cooperazione plasmaderivati

di / Beppe Castellano /

Domenica 16 agosto scorso è scomparso prematuramente il dottor Gabriele Calizzani. Era responsabile del settore plasma e plasmaderivati del Centro nazionale sangue. Un ruolo ricoperto dall’istituzione del Cns, dove fu chiamato nel 2008 dal suo primo direttore, Giuliano Grazzini. Calizzani era componente del Comitato scientifico dell’Istituto superiore di Sanità. Laureato con lode in Medicina all’Università di Bologna nel 2000, con una tesi sulle Malattie rare, specializzazione in Igiene e Medicina preventiva, diversi master di secondo livello. Coautore di numerosissime pubblicazioni scientifiche su plasma, plasmaderivati e emofilia, è stato relatore in innumerevoli convegni, anche mondiali. Concreto, preciso, pignolo all’estremo sui dati ideò, sostenuto da Grazzini, il primo dei Rapporti Istisan “Analisi della domanda dei principali medicinali plasmaderivati in Italia (2007-2011)”: anni di raccolta scientifica di dati e notizie su un settore “strategico” allora e oggi. Al primo rapporto, il più difficile visti i dati allora disaggregati di ogni Regione, seguirono il secondo (2011-2014) e il terzo (2014-2017): strumenti indispensabili per l’autosufficienza plasmatica in Italia, “patria” del conto lavorazione. Aveva appena terminato l’ultimo Rapporto che “fotograferà” l’evoluzione della situazione negli ultimi anni grazie anche a un sempre più nutrito numero di collaboratori e ricercatori, fra cui Fabio Candura accanto a lui dal 2011.

Alla luce dei numeri finalmente oggettivi del primo Rapporto Istisan - che evidenziavano in Italia un surplus di fattori della coagulazione - Gabriele Calizzani “inventò” anche i programmi di cooperazione internazionale per i plasmaderivati. I primi passi nel 2011/12, supportato da Avis nazionale e dall’allora AIP (Accordo interregionale plasma, capofila il Veneto). La non semplice normativa arrivò nel 2013, cui seguì subito il primo invio nel 2013 a Kabul, Afghanistan. Fino ad oggi oltre 44 milioni di unità di Fattore VIII e IX sono serviti a curare emofilici in Paesi (Afghanistan, India, Albania, El Salvador, Serbia, Armenia, Palestina…) dove - come l’80% degli emofilici al mondo - gli ammalati non dispongono di alcuna o limitatissime terapie.

I programmi plasma del Cns hanno così valorizzato eticamente il dono di quasi due milioni di donatori periodici e non remunerati italiani. Il tutto sempre insieme con le Regioni proprietarie del plasma e dei medicinali, la collaborazione delle Associazioni dei donatori, Avis in testa, e di Associazioni di pazienti. Gabriele fu infatti anche Presidente della Federazione Italiana Associazioni emofilici (Fedemo) dal febbraio 2009 al 2014. Durante i suoi due mandati puntò, tra le tante altre cose, alla totale trasparenza dei rapporti di Fedemo, Associazioni ed emofilici stessi con le multinazionali del settore e a far conoscere, sempre più attraverso i media, la malattia. Gabriele ha lasciato la moglie Francesca (anche lei dottoressa), la piccola figlia Sofia e tantissimi, veri, amici. Ciao Gabriele...

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