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Leggende gustose

Il canto della sirena e la Pastiera napoletana

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Fu la bellezza del golfo incastonato tra Posillipo e il Vesuvio che fece innamorare la sirena Partenope di quei luoghi, al punto di convincerla a fissare lì la propria dimora. La bellissima creatura, ogni primavera, emergeva dalle acque del mare per allietare le felici genti del golfo con il suo magico canto. Un giorno il canto della sirena era così soave e melodioso, la sua voce così dolce e le sue parole così ricche d’amore e di gioia, che la popolazione ne rimase affascinata e rapita. Tutti accorsero verso il mare per ascoltare meglio il magico canto che la creatura stava loro dedicando. Per ringraziarla di tale diletto, decisero di offrile ciò che avevano di più prezioso e incaricarono sette tra le più belle fanciulle di consegnarle i doni: la farina, che rappresentava la forza e la ricchezza della campagna; la ricotta, omaggio di pastori e pecore; le uova, simbolo della vita; il grano tenero bollito nel latte, prova dei due regni della natura; l’acqua di fiori d’arancio, omaggio dei profumi della natura; le spezie, a rappresentare i popoli più lontani; lo zucchero, per esprimere la dolcezza del canto stesso della bella Partenope. Felice di tanti preziosi doni, la sirena si inabissò portandoli al cospetto degli dei, i quali, anch’essi inebriati dal canto della creatura, mescolarono con arti divine gli ingredienti, creando così la prima Pastiera, dolce e soave come il canto della bella Partenope.

L’ombelico che diede origine al tortellino

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Era circa il 1200, quando a Castelfranco Emilia, una giovane e bella marchesina, decise di fermarsi in una locanda per riposare. Il locandiere accompagnò la dama alla sua camera e, rimasto così affascinato dalla sua bellezza, decise di spiarla dalla serratura. E così, lo vide... Quell’ombelico che lo stregò. Tornato in cucina per preparare la cena per la marchesina, il locandiere non riusciva a togliere quella celestiale visione dalla propria mente, tanto da tirare la sfoglia fino a riprodurre un ombelico di pasta bello quanto quello della giovane dama. Non sapendo come servire quei pezzi di pasta così com’erano, decise di riempirli con della carne e così nacquero i prelibati tortellini ripieni. C’è chi dice che a ispirare il locandiere non fu la giovane marchesina ma la dea Venere, a sottolineare la bellezza della dama che diede origine a uno dei più rappresentativi piatti della nostra cultura.

Il pittore che inventò il risotto alla milanese

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Ai tempi della costruzione del Duomo di Milano, tra gli artisti impegnati alla lavorazione, vi era una comunità di belgi - guidata da Valerio di Fiandra -, responsabili di lavorare le vetrate colorate che dovevano rappresentare episodi della vita di Sant’Elena. Tra i discepoli del Valerio, ce n’era uno di grande talento che usava mescolare dello zafferano alla pittura per dare più tonalità ai colori. Per questo i suoi colleghi lo soprannominarono

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“Zafferano”. Nel 1574, il giorno del matrimonio della figlia del maestro vetraio, il giovane discepolo convinse il cuoco ad aggiungere la “sua” spezia al risotto che stava preparando e che sarebbe stato servito solo con del burro. Per i commensali la sorpresa per il colore, simile all’oro, e per il gusto, speziato e ottimo, fu tale da far entrare questo piatto, nato quasi per caso, tra le leggende della cucina tradizionale italiana.

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