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Vita ultramarina, nutrimento celestiale!

Da dove deriverebbe la radice sanscrita della parola “mare”? Da “ morire”! Mare luogo infecondo, privo di vegetazione e quindi di vita? Una strana interpretazione etimologica! In ogni caso, il nostro mare è vita e nutrimento e cibo. Per cavalcare il concetto, iniziamo comunque il nostro viaggio gastronomico da un’isola che in realtà è un promontorio: dall’Isola di Capo Rizzuto (Crotone) e dal la sua frazione-borgo di pescatori, Le Castella, con l’iconico castello aragonese immerso in quelle macchie d’acqua salata verde smeraldo - trasparente - su uno sfondo di puro blu. Qui si coltiva il cosiddetto finocchio d’oro, dal profumo forte e inebriante e dalla fibrosità quasi inesistente: un ortaggio burroso confronto ai suoi conspecifici, perfetto crudo, per cominciare o terminare – e digerire – il pasto.

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Legumi vulcanici e trippe di mare

Rose di mare, coralli, barracuda, spugne e lenticchie. Siamo a Ustica. Le lenticchie sono piccoline e marroni, coltivate manualmente e senza pesticidi. Presidio Slow Food, le lenticchie di questa piccola terra vulcanica situata nel Tirreno sono perfette per zuppe profumate con basilico o finocchietto selvatico e per la “pasta e lenticchie” - che si prepara con gli spaghetti spezzati -, alternativa locale alla più nota con i fagioli.

Sulla scia del profumo marino attraversiamo la distesa d’acqua che separa le nostre due isole maggiori e sbarchiamo in un’altra isola nell’isola: San Pietro, pervasa dall’effluvio di erbe e ricci, alghe e patelle, dove nidifica il falco e dove regna il tonno, di cui non si butta via nulla. Il pesce è materia prima d’arte a Carloforte, capitale dell’isola. Il “Bélu” sono le sue trippe, una delle parti più prelibate. Si rosola con cipolle, patate e/o pomodori dopo una notte di dissalazione. Ugualmente preparati a spezzatino sono i “Gurézi”, ovvero esofago e branchie.

Capre a merenda

Se si chiama “Capraia” ci sarà ben un motivo! E dunque in quest’isola selvaggia e pescosa dell’arcipelago toscano noi facciamo i pastori e assaggiamo il delizioso f ormaggio caprino, Prodotto Agroalimentare Tradizionale, che porta nella sua pasta grassa di latte gli aromi del Mar Tirreno. Quando l’isola era colonia penale, veniva lavorato dai detenuti, men tre oggi lo produce un’unica azienda. Cambiamo mare e puntiamo verso Chioggia, la “Piccola Venezia”. Cos’è il “Caparossolo de Ciosa”? La vongola verace locale, che vive nei fondali sabbiosi

e si nutre delle acque della Laguna per poi finire in un cumulo di spaghetti insaporiti con prezzemolo e aglio! Grazie vongola. Che non disdegna certo il cappero come accompagnatore nel piatto. Certo, i più conosciuti sono quelli dell’isola di Pantelleria, ma lo sapete che anche quelli del Gargano sono riconosciuti e stimati? Questa varietà autoctona cr esce spontanea tra la macchia mediterranea e le pinete, in particolare nella zona dove si trova il borgo di Mattinata, con le sue spiagge di ciottoli e il mare sbandierato.

Aragoste al cioccolato

Rimaniamo in Puglia ma cambiamo un’altra volta mare: Porto Cesareo, costa ionica. Dune, isolotti, la “strada delle pescherie” e la zuppa di pesce, la “Quatàra alla Cisàrola”. La “quatàra” è la caldaia di rame che si usava un tempo, quando era accomodata tra le pietre sul fuoco e i pesci erano solo quelli di scarto. Oggi, ecco cipolla, pomodori e tutto il mare dentro: dai molluschi – con le immancabili seppie – ai crostacei e infine i pesci: obbligatorie le triglie. Dal mare ci si può comunque ispirare anche per il dessert con la

“Coda d’aragosta” della pasticceria partenopea, una rielaborazione della tr adizionalissima sfogliatella Santa Rosa, quella che nacque nel convento di clausura dedicato all’omonima santa sulla c ostiera amalfitana: con la crema pasticcera, l’amarena e la sfoglia superiore un po ’ sollevata a mo’ di cappuccio di monaco. La “Coda d’aragosta” è più grande, ha forma allungata – a foggia di coda del pregiato crostaceo, appunto – e oltre o al posto della crema è farcita con panna, crema chantilly o persino cioccolato.

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