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LA PAROLA ALL’ESPERTO: Prodotti di salumeria al passo con i tempi - La Mortadella Bologna IGP si rifà il look per venire incontro alle esigenze di consumatori attenti alla qualità e alla salute

Prodotti di SALUMERIA al passo con i tempi

La Mortadella Bologna IGP si rifà il look per venire incontro alle esigenze di consumatori attenti alla qualità e alla salute

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Giuseppe L. Pastori - Tecnologo Alimentare

©Foto: Consorzio Italiano Tutela Mortadella Bologna

Ogni volta che di questi tempi parliamo di salumi e di carni, c’è sempre qualcuno che mette in discussione il loro valore come complemento nutrizionale di una dieta salutare. Tralasciando i motivi ideologici che spesso sono alla base di queste convinzioni, talvolta mirate alla convenienza di promuovere altri tipi e stili di alimentazione, i prodotti di salumeria rappresentano per gli Italiani un qualcosa che risponde al connubio tra cibo buono e gustoso, da non far mancare a tavola, e cultura enogastronomica del territorio a cui siamo legati. Le carni trasformate e le carni in generale contribuiscono alla dieta per il loro elevato valore nutrizionale, fatto di proteine facilmente assimilabili, amminoacidi essenziali, vitamine del gruppo B (presenti in natura solo nelle carni e nei loro derivati), minerali importanti come ferro eme e zinco. Tuttavia il loro consumo è legato anche agli aspetti edonistici e culturali. Il nostro Paese ha infatti sviluppato fin dai tempi antichi una vocazione a trasformare e conservare le carni diversificando le produzioni su una base territoriale estesa: basta pensare ai numerosi prodotti DOP e IGP (vantiamo il più elevato numero di prodotti certificati a base di carne in Europa, tra quelli a Indicazione Geografica, disciplinata da specifici riconoscimenti europei) e ai molteplici altri prodotti che sono elencati nelle liste dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT), riconosciuti dal Ministero su base regionale. La storia della salumeria italiana vanta lontane origini. Ne abbiamo traccia grazie ai ritrovamenti archeologici o perché con l’avvento dei Romani ci sono le prime testimonianze scritte sui sistemi di conservazione e produzione¹. Ai Longobardi stanziatisi stabilmente nell’Alto Medioevo sia nella Pianura Padana che nel Sud d’Italia dobbiamo l’intensificarsi degli allevamenti suinicoli – per lo più allevati in semilibertà nei boschi – e le conoscenze sulle tecniche di affumicatura. Per almeno un millennio dalla fine dell’Impero Romano la produzione è rimasta immutata nelle tecniche di lavorazione e nel tipo di allevamento, in genere circoscritto alle piccole comunità rurali. Ma anche se i salumi più pregiati finivano sulle tavole dei nobili (che però abbondavano soprattutto di carni di cacciagione), la carne conservata diventava scorta per i nuclei familiari allargati dei contadini, per allietare e rendere meno povera la loro mensa. L’abbondanza di sale (recuperato dalle saline costiere della penisola o ricavato da miniere di salgemma e sorgenti saline di affioramento) e il microclima con inverni freddi e asciutti, permetteva ai norcini, cioè coloro che erano pratici di macellazione e lavorazione delle carni, di passare di comunità in comunità per la lavorazione del maiale, quando da novembre in poi iniziava la stagione della macellazione per farne prodotti da conservare. I maiali del Medioevo erano però ben diversi da quelli attuali: erano piccoli, magri,

I maiali del Medioevo erano però ben diversi da quelli attuali: erano piccoli, magri, snelli, abituati alla vita dei boschi e incrociati spesso con i cugini selvatici, i cinghiali

1Catone il Censore nel II sec. a.C. descrive nel suo De Agri Cultura la procedura di salagione del prosciutto crudo. Apicio (famoso cuoco del I sec. d.C., a cui si deve una raccolta di 10 libri nota come De re coquinaria) descrive la produzione della lucanica - da non confondere con la luganega attuale, tipica del Nord Italia, che è una salsiccia fresca insaccata in un budello ovino di piccolo calibro, lungo e stretto dal gusto più dolce – e di molti preparati e arrosti a base di carne. La descrizione della salsiccia lucana ci viene riportata anche da altri autori, tra cui Varrone e Marziale.

©Foto: Consorzio Italiano Tutela Mortadella Bologna

snelli, abituati alla vita dei boschi e incrociati spesso con i cugini selvatici, i cinghiali. Intorno agli anni a cavallo del 1500, diversi autori [1-2] danno testimonianza di alcune ricette di salumi ancora legate però a preparazioni culinarie di immediata produzione. Si deve a Vincenzo Tanara nel 1664 [3], che di professione fa l’agronomo, un volume che tratta di diversi prodotti della salumeria, come li intendiamo ancora adesso. Nell’opera è riportata la descrizione dettagliata della mortadella, anche per quanto riguarda la tecnica di preparazione e di stufatura. Pare tra l’altro che il termine “mortadella” derivi dalle parole latine “murtatum”, ossia carne pestata nel mortaio, o “myrtatum”, cioè insaccato di carne lavorata con bacche di mirto. Nel 1661 è invece il card. Farnese a redigere un primo disciplinare che detta le regole per la produzione di un salume a pasta cotta di sole carni di maiale, a cui si fa risalire la produzione della mortadella attuale. Tuttavia dobbiamo attendere ancora il XIX secolo, perché con l’apertura dei primi opifici che impiegano il vapore per dare forza motrice a nuove macchine, inizi la prima vera e propria trasformazione della lavorazione delle carni suine. Il processo passa così da domestico ad artigianale e industriale e richiede una certa standardizzazione delle materie prime per ottenere prodotti più uniformi. È più o meno verso la metà dell’Ottocento che prende piede, dapprima nella pianura lombarda e poi in quella emiliana e nelle altre regioni del Nord, l’allevamento stabulare, abbandonando quello semibrado praticato nelle piccole comunità rurali. Veniva generalmente praticato a fianco dei caseifici, di cui utilizzava il siero – sottoprodotto ottenuto dalla lavorazione di formaggi e latticini – come mangime per i maiali, sviluppando nuove sinergie. Questa evoluzione la si nota anche nella produzione libraria: da un lato si continuano a scrivere libri di ricette di cucina che trattano della preparazione, dall’altro vengono stampati trattati tecnici sull’allevamento e sulla produzione delle carni trasformate. In Italia si ebbe la necessità di ibridare le razze locali poco produttive con maiali dalla struttura più massiccia come la Large White evoluta verso un maiale maturo di peso non inferiore ai 160 kg, nel resto d’Europa la selezione ha portato ad avere maiali di peso notevolmente inferiore (massimo 120 kg) con meno grasso sul dorso.

L’obiettivo di rendere la qualità della carne via via più omogenea e di migliore aspetto, ha voluto dire ibridare le razze autoctone a partire da fine ‘800 con razze di importazione

inglese per dare carni di qualità migliori. Si diede così vita, dopo diversi incroci, alla razza da cui deriva oggi il nostro suino pesante italiano identificato da una sua precisa linea genealogica gestita da ANAS [4]. Lo stesso accadde nel resto d’Europa. Ad esempio, in Olanda e in Danimarca (i due Paesi che più hanno sviluppato il concetto industriale di allevamento del maiale) l’obiettivo di rendere la qualità della carne via via più omogenea e di migliore aspetto, ha voluto dire ibridare le loro razze autoctone a partire da fine ‘800 con razze di importazione per ristabilire razze pure Landrace. Anche questi Paesi hanno fatto uso della Large White inglese, ma mentre da noi la linea di produzione del suino pesante italiano si è

I SALUMI ITALIANI SEMPRE AL PASSO CON I TEMPI

Nel corso del XX secolo si iniziano a comprendere meglio le funzioni fisico-chimiche delle molecole e le loro interazioni in matrici complesse, la microbiologia buona e quella dannosa, la fisiologia umana e la biochimica degli alimenti. Così la scienza medica moderna, derivata da studi sugli animali, applica le conoscenze biochimiche all’assunzione di ingredienti alimentari con la salute. È proprio all’inizio degli anni ’50 del secolo scorso che gli studi sulla fisiologia umana mettono in relazione le raccomandazioni nutrizionali con un consumo alimentare più adeguato per la popolazione di riferimento, che porta a definire i concetti di Dieta Mediterranea, le linee guide di sana alimentazione e la piramide alimentare, dove la carne e i prodotti da essa derivati – seppure raccomandati in moderate quantità di consumo – trovano il loro posto. Con la ripresa industriale degli anni ’50 e l’aumento del reddito pro-capite delle famiglie, i consumi subiscono un’accelerata e cambia in modo radicale il modo di mangiare. La crescita del consumo di alimenti come la carne, i salumi e gli altri prodotti di origine animale, è determinata anche dal fatto che i pediatri riscoprono questi alimenti come importante fonte di nutrimento per sostenere la crescita dei bambini dalla tenera età fino all’adolescenza. Offrono fonti proteiche con amminoacidi essenziali, vitamine e minerali facilmente assimilabili anche nell’età della vecchiaia e in particolari stadi della vita (gravidanza, alimentazione degli sportivi, ecc.). A quell’epoca, la produzione industriale di molte specialità di salumeria non veniva più fatta solo per conservare un alimento come nei secoli precedenti, ma per consentirne il consumo in tempi relativamente brevi e portarlo sulla tavola di tutti i giorni. Alcuni salumi come la mortadella sono diventati così prodotti di largo consumo. Le lavorazioni venivano fatte inizialmente con formulazioni più povere che in passato, per rendere la mortadella un alimento piuttosto economico destinato ad un pubblico molto ampio. Le prime formulazioni industriali non eccellevano tanto in qualità perché insieme a carni di maiale si utilizzavano anche frazioni di carne bovina e altri mammiferi (triti da lavorazione delle carni e tagli meno nobili) per abbassare il costo di produzione: il panino

In Italia, dalla fine degli anni Cinquanta, il boom economico contribuisce ad incrementare i consumi di carne, che diventano il simbolo di una nuova libertà e di emancipazione dalla povertà

con la mortadella è stato il classico esempio di cibo veloce e a buon mercato dell’allora classe operaia. In Italia, dalla fine degli anni Cinquanta, il boom economico contribuisce ad incrementare i consumi di carne, che diventano il simbolo di una nuova libertà e di emancipazione dalla povertà. In questi anni l’industria della carne risponde aumentando le produzioni per soddisfare la domanda crescente, mentre negli allevamenti si punta all’efficienza anche se la produzione italiana non è in grado di sostenere tutto ciò che viene trasformato. Dagli anni Ottanta in poi i consumi si stabilizzano e nel mondo occidentale si inizia a parlare di alternative alla carne, si crea una nuova sensibilità legata ai temi etici, come il benessere animale e l’attenzione all’ambiente. Alla carne si inizia ad imputare un ruolo negativo sia perché gli allevamenti sono ritenuti corresponsabili nell’emissione di gas climalteranti e nel degrado ambientale, sia perché un consumo in eccesso incide sui costi del sistema sanitario in relazione diretta con l’insorgere di alcune patologie e forme tumorali. Ciò è più evidente però in Paesi in cui il consumo di carne è maggiore che in Italia, dove i livelli di moderazione nel consumo suggeriti dalla dieta mediterranea non paiono dimostrare la stessa relazione. Nel frattempo, in più di 70 anni fino ad oggi, la qualità della carne è notevolmente migliorata sotto l’aspetto nutrizionale. Ha infatti beneficiato del miglioramento delle tecniche di allevamento e dei concetti di nutrizione animale, non più basata su pastoni utili solo per l’ingrasso ma su razioni e diete bilanciate, che hanno portato ad avere carni più magre. Il contenuto dei grassi nel suino, negli anni ’80, si è ridotto del 30%, migliorando altresì la sua qualità, diminuendo la frazione di acidi grassi saturi a favore di quelli insaturi più salutari. Inoltre anche le conoscenze tecniche della produzione e della conservazione hanno contribuito a migliorare l’immagine dei salumi. L’industria ha focalizzato l’attenzione sulle esigenze del consumatore che ha preso coscienza di vari aspetti nutrizionali, di un approccio salutare più attento ai propri bisogni limitando gli eccessi e – in questi ultimi decenni – di un deciso orientamento basato sui principi etici (attenzione al benessere animale e sostegno delle politiche ambientali). E alla luce di questo ha richiesto carni di qualità sempre migliore. In effetti uno studio effettuato da INRAN (oggi CREA) e SSICA (Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari) ha messo in evidenza come, dal 1993 al 2011, i salumi italiani abbiano migliorato il loro valore nutrizionale, diventando ancora più nutrienti e in linea per un’alimentazione moderna, migliore rispetto al passato. Sono prodotti con meno grassi, con meno colesterolo, meno sale e conservanti, potenziando la quantità e la qualità del contenuto di proteine, vitamine, minerali e acidi grassi essenziali [5]. Anche dal punto di vista istituzionale l’introduzione nel 1992 a livello europeo di un regolamento che stabilisce il protocollo dei prodotti ad Identificazione Geografica (IG), di cui possono godere i prodotti DOP e IGP [6-7], va nella direzione di tutelare la qualità delle produzioni, riconoscendone le peculiarità legate al territorio e alla tradizione. Della certificazione DOP/IGP beneficiano ben 43 prodotti italiani della salumeria: 21 DOP e 22

©Foto: Consorzio Italiano Tutela Mortadella Bologna

Il contenuto dei grassi nel suino, negli anni ’80, si è ridotto del 30%, migliorando altresì la sua qualità, diminuendo la frazione di acidi grassi saturi a favore di quelli insaturi più salutari

©Foto: Consorzio Italiano Tutela Mortadella Bologna

IGP, che rappresentano il numero maggiore di prodotti di origine animale certificati all’interno della UE. Del resto in Italia il desiderio di salvaguardare la specificità delle nostre produzioni rispetto a quelle degli altri Paesi in Europa e nel mondo spingeva già per avere questi riconoscimenti. Basti pensare che uno dei prodotti più consumati e riconosciuti nel mondo come la Mortadella di Bologna, protetta dal marchio IGP, per differenziarsi da molti altri prodotti simili già da tempo aveva definito di usare solo carni suine negli impasti dichiarandolo nel proprio disciplinare: di tutte le produzioni tra le tipologie degli insaccati quelle che impiegano un solo tipo di carne sono sempre sinonimo di migliore qualità e bontà. I Disciplinari di Produzione sono il documento che definisce passo dopo passo l’intero ciclo di produzione, nonché specificano l’area territoriale in cui la lavorazione deve avvenire. Forniscono inoltre la documentazione storica e attestano il suo legame con le tradizioni di quella precisa area geografica, giustificando così la richiesta e la concessione della tutela. Il prodotto IG viene certificato e protetto attraverso il riconoscimento giuridico dello Stato membro e quindi dell’Europa, che lo recepisce emanando un apposito regolamento, non prima di averlo sottoposto a una serie di esami e all’approvazione senza impedimenti di tutti gli altri Stati membri.

LA MORTADELLA BOLOGNA IGP SI RIFÀ IL LOOK: MODIFICA IL DISCIPLINARE PER ESSERE PIÙ ATTENTA AI BISOGNI DEI CONSUMATORI

Come già menzionato, i prodotti della salumeria attuali sono molto diversi da quelli del

Se oggi un’azienda vuole fare un prodotto a ridotto contenuto di sodio, può sostituire parzialmente il cloruro di sodio con quello di potassio, senza modificare l’equilibrio del prodotto

più recente passato, poiché le carni stesse hanno migliorato la loro composizione in termini di qualità organolettica, incrementato il contenuto proteico e ridotto il grasso. A beneficiarne maggiormente sono state le carni suine, quelle cioè che hanno il più largo impiego nella trasformazione nei prodotti di salumeria. In seguito a una riduzione del contenuto dei grassi, si è migliorato progressivamente l’equilibrio tra grassi saturi e insaturi e questi ultimi sono passati dal 30% al 60% dei grassi totali; si è ridotto il deposito lipidico nel muscolo limitandolo al tessuto adiposo. I salumi, considerando che il loro apporto nutrizionale è del tutto simile a quello della carne, hanno beneficiato del miglioramento organolettico delle carni sotto il profilo nutrizionale in linea con le esigenze moderne di dieta equilibrata e salutistica, in un quadro orientato alla riduzione o all’eliminazione di additivi e conservanti. Anche il contenuto salino dei prodotti ha beneficiato di una generale riduzione, stante sia l’orientamento dei consumatori a ridurre questo ingrediente nella dieta per avere bassi tenori di sodio (poiché alti livelli di sodio sono associati all’ipertensione), sia per il miglioramento delle tecnologie legate alla conservazione. Storicamente, infatti, il sale non era solo un ingrediente, ma veniva utilizzato prevalentemente come conservante e per rendere più funzionali alcuni processi. Tuttavia in molti prodotti cotti la conservazione è oggi garantita proprio dall’impiego delle tecnologie e da elementi con proprietà antiossidanti: e già lì, l’uso del sale è molto più ridotto rispetto a quello impiegato nei salami e negli stagionati. Inoltre, grazie alle più recenti conquiste scientifiche applicate al settore, se oggi un’azienda vuole fare un prodotto a ridotto contenuto di sodio, può sostituire parzialmente il cloruro di sodio con quello di potassio, senza modificare l’equilibrio del prodotto. E per quanto riguarda il conferimento di sapore, il sale può essere ridotto utilizzando altri ingredienti come spezie o aromi dal gusto umami. La stessa industria di trasformazione si è resa disponibile ad offrire prodotti in linea con le raccomandazioni salutistiche e nutrizionali dettate dalla comunità scientifica, riformulando le ricette nel rispetto dei vari disciplinari di produzione dei salumi DOP e IGP e delle procedure di lavorazione tramandate fino ai giorni nostri. La prova è l’offerta dei prodotti a basso contenuto di sodio che nei salumi, nell’arco di quasi un ventennio (dal 1993 al 2011), ha portato alla riduzione del sale dal 4 al 47% a seconda del prodotto: nel caso della mortadella Bologna IGP la variazione registrata è stata del 20%. Questo percorso è in continua evoluzione e i Consorzi di tutela che sono attenti a questi segnali provenienti dal mercato e dai consumatori, possono modificare i Disciplinari di produzione per renderli più adatti ai tempi, pur nel rispetto della tradizione e della vocazione produttiva dei territori nel valorizzare le proprie eccellenze. È quello che ha fatto il Consorzio Italiano Tutela della Mortadella Bologna IGP, presentando nel febbraio 2021 una proposta di modifica del Disciplinare di produzione, che è stato approvato dall’Unione Europea il 9 giugno scorso e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 22 giugno 2022 [8]. L’esigenza della modifica del Disciplinare di produzione – secondo il presidente del Consorzio italiano Tutela, Guido Veroni – è dovuta all’obiettivo di adeguare l’IGP ai nuovi stili alimentari dei consumatori, continuando nel percorso di valorizzazione dell’immagine di un salume sano e nutriente, che in passato aveva già visto l’eliminazione del glutammato e l’impiego dei soli aromi naturali. Le principali modifiche del Disciplinare riguardano il contenuto del sale che è consentito con il limite massimo del 2,8%, l’aumento del tenore proteico minimo che adesso deve essere del 14,5%, oltre all’esplicito divieto di utilizzo dei polifosfati, di coadiuvanti tecnologici e di sostanze con effetti coloranti.

Mix personalizzati con prestazioni tecniche uniche.

Anche l’impiego degli aromi naturali è stato consentito nella dose massima dello 0,3%. Questo salume è riconosciuto come prodotto a marchio tutelato IGP dal 1998, mentre dal 2001 è attivo il Consorzio Italiano Tutela Mortadella Bologna, che ha il compito di promuovere le produzioni e difendere il marchio dalle contraffazioni. La zona di produzione della Mortadella Bologna IGP comprende, secondo il disciplinare, i territori delle seguenti regioni o province: l’Emilia-Romagna, il Lazio, il Piemonte, la Lombardia, il Veneto, la provincia di Trento, la Toscana e le Marche. La produzione si caratterizza per l’uso di materie prime esclusivamente di origine suina (che vengono utilizzate per ottenere prodotti della massima qualità). I tagli che Innovative food solutions più frequentemente si usano sono la spalla del suino, la cui percentuale nella frazione carnea magra dell’impasto è massima nelle mortadelle di qualità superiore; i triti del suino, cioè i tagli derivanti dalla sezionatura delle mezze quando si rifilano prosciutti, lombi, coppa, ecc.; il grasso cubettato, cioè i “lardelli”, che oggi sono prevalentemente ricavati dal grasso di gola che è il più duro tra i grassi del maiale e che è preferito rispetto a quello di schiena. La tecnica di lavorazione, seppur praticata con sistemi moderni, è quella più legata alla tradizione e prevede: • la triturazione delle carni magre, fatta nel tritacarne, passando attraverso una serie di coltelli e piastre con fori di diverso diametro, di cui almeno uno deve avere fori del diametro non superiore a 0,9 mm. In Italia si usa il tritacarne e non il cutter, come in analoghi prodotti fatti in Europa e nei Paesi extraeuropei, perché la farcia che si ottiene non si deve emulsionare ma deve restare omogenea per legare meglio i cubetti di grasso; • il grasso di gola, tagliato nella tipica forma del cubetto, viene lavato accuratamente con acqua calda per eliminare dalla sua superficie le frazioni di acidi grassi oleose con basso punto di fusione, che potrebbero nuocere formando delle sacche di grasso e dare untuosità della fetta; • la farcia di carne e i lardelli sono amalgamati insieme nell’impastatrice perché si distribuiscano uniformemente. Si aggiungono sale e altri ingredienti, spezie (con pepe in grani e/o pistacchi), aromi; • dopo l’impastatura con tempi variabili, l’impasto viene trasferito all’insaccatrice. Si utilizzano sia involucri naturali (vesciche) che artificiali. Diversi sono i calibri che si possono ottenere: sul mercato è possibile reperire mortadelle calibrate da 350-500 g fino a quelle da 80-100 kg, che talvolta fanno bella mostra di sé in esposizione nelle gastronomie e salumerie d’eccellenza; • la cottura è la fase più delicata del processo; questa va ottimizzata in funzione del

tipo di stufa, del calibro delle mortadelle e di quanto è carica la stufa. Le stufe sono normalmente in muratura, il calore viene trasmesso a secco mediante riscaldamento dell’aria per contatto indiretto con il vapore. Le mortadelle devono raggiungere i 70°C al cuore con tempi di cottura variabili in funzione della pezzatura: si dice che una volta raggiunta la temperatura di esercizio della camera occorra considerare 1 ora per chilogrammo di prodotto. Una cottura gestita male per eccesso di calore, può avere influenze sul colore alterando il naturale colore rosato e causare parziale fusione dei lardelli; • terminata la cottura la mortadella viene raffreddata mediante docciatura con acqua fredda e successivamente portata in cella di raffreddamento per essere ulteriormente raffreddata e stabilizzata a una temperatura inferiore ai 10°C. E dopo la fase del raffreddamento la mortadella è pronta per essere servita e gustata: a fette, a pezzettoni o cubetti, da sola con il pane o in preparati gastronomici con altri ingredienti.

Il merito della produzione industriale è stato quello di rendere popolari alimenti come i salumi, facendo in modo che finissero sulle tavole di tutti

CONCLUSIONI

La sfida che accompagna oggi la salumeria italiana è quella di garantire non solo la qualità organolettica delle proprie produzioni in termini di sicurezza e salubrità (argomento che si dà già per scontato) a partire dall’impiego di materie prime selezionate, ma anche di considerarle in un contesto più ampio. Si deve tener conto della valorizzazione dei contenuti nutrizionali (in un quadro funzionale alla dieta e alla salute) e degli aspetti etici della produzione cui i consumatori dimostrano attenzione, riguardo l’ambiente, la sostenibilità, il benessere degli animali da cui si ottengono carni, latte, uova e loro derivati. In questo contesto la comunicazione al consumatore sulle caratteristiche del prodotto che risponde a queste nuove richieste diventa fondamentale. In passato, l’esigenza era principalmente quella di conservare la carne o di farne un prodotto tanto eccellente ma troppo costoso, come erano le mortadelle del ‘600 che potevano essere consumate solo da un ristretto gruppo di persone appartenenti alle classi sociali più abbienti. Il merito della produzione industriale è stato quello di rendere popolari alimenti come i salumi, facendo in modo che finissero sulle tavole di tutti. All’inizio dell’era industriale, ma soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale con la forte crescita della domanda di alimenti dall’alto valore biologico (come sono le carni e i salumi), la produzione di massa è stata declinata nei termini di produttività ed efficienza: al punto che gli allevamenti di suini nostrani non erano più in grado di soddisfare la domanda in crescita di carni da trasformare in salumi (perché a differenza di quelli europei erano già orientati alla produzione di un suino pesante adatto alla trasformazione di prodotti tipici della nostra salumeria). Ci si è quindi rivolti all’importazione di carni suine dal mercato comunitario. La nascente consapevolezza di fornire un prodotto che fosse attento anche ai bisogni nutrizionali e ai criteri di salute pertinenti la dieta di ciascuno, ha portato – negli anni successivi – a migliorare la qualità delle carni e a prestare più attenzione alle esigenze espresse dai consumatori. Prodotti come la mortadella, diventati popolari perché a buon mercato ma di qualità non eccelsa in quanto fatti con carni miste poco pregiate di suino, bovino e altri mammiferi, sono stati rivalutati e hanno via via riacquistato una loro nobiltà. Tutto ciò grazie a una maggiore consapevolezza dei produttori che, consorziandosi e poi entrando nei circuiti tutelati a marchio DOP e IGP, hanno saputo stare al passo con i tempi nel fornire ciò che i consumatori chiedevano. Hanno cambiato le loro abitudini alimentari in ragione della salute e con maggiore consapevolezza di un loro ruolo attivo quando si è creata una coscienza etica più incline alla ecosostenibilità. Le carni negli ultimi 70 anni sono migliorate dal punto di vista organolettico e nutrizionale. È stata incrementata la loro componente proteica, riducendo il grasso e aumentando la presenza di vitamine e minerali. Sono così diventate, insieme ai salumi, dei prodotti dotati di attività probiotiche e nutraceutiche. È stata anche posta una maggiore attenzione alla riduzione dell’uso degli additivi chimici e del sale, sostituendoli con trattamenti tecnologici che garantissero una migliore conservabilità o la loro sostituzione con antiossidanti di origine naturale. Tutto questo ha portato a una riformulazione delle ricette di tutta la gamma della salumeria. Lo sviluppo tecnologico, unito a maggiori conoscenze biochimiche degli elementi in funzione nutrizionale, ha portato i Consorzi di tutela del circuito DOP e IGP alla modifica dei rispettivi Disciplinari di produzione, per adeguarli alle nuove circostanze. È quello che ha fatto anche il Consorzio Italiano Tutela Mortadella Bologna che si è visto approvare nel corso del 2022 l’ultima modifica al Disciplinare (altre ne erano state fatte in passato) che valorizza la proposta della Mortadella Bologna IGP più attenta ai bisogni del consumatore che chiede un prodotto al passo con i tempi. Se la Mortadella Bologna è tornata ad essere un salume pregiato, fatto solo di carni suine, lo si deve all’attenzione che i produttori rivolgono al mercato. 

BIBLIOGRAFIA

1. Maestro Martino da Como, a cura di L. Ballerini e J. Parzen. Libro de arte coquinaria. Guido Tommasi Editore (ediz. 2002) 2. Cristoforo di Messisbugo. Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale. Anguana Edizioni (ediz. 2021) 3. Vincenzo Tanara. L’economia del cittadino in villa. Nabu Press (ediz. 2010) 4. ANAS – Ass. Nazionale Allevatori Suini (2022). Mission and Special concerns. https://www.anas.it/files/circolari/202200001.PDF 5. Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN - 2011).

Salumi Italiani: Nuovi Valori, Nuovo Valore.

Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie

6. Regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio, del 14 luglio 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (non più in vigore). 7. Regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (in vigore). 8. Ministero delle Politiche Agricole Agrarie e Forestali – Provvedimento del 13 giugno 2022. Modifica minore del disciplinare di produzione della IGP «Mortadella

Bologna». (GU n.144 del 22-6-2022)

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