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C arta stampata

C arta stampata

Nel passaggio tra il 2022 e l’anno in corso, il tema dominante dello scenario economico mondiale è stato senza dubbio l’inflazione.

A gennaio, la sua corsa sfrenata, e la risposta delle Banche centrali – basata, come di prammatica, su un forte rincaro del costo del denaro - avevano indotto la maggior parte dei centri di ricerca e lo stesso Fmi, ad annunciare che tale contrasto avrebbe provocato una diffusa recessione.

Oggi, a parere di molti, questa previsione non è più scontata. C’è, anzi, chi si spinge a lasciar spazio a una certa euforia, atteggiamento, peraltro, che per la verità, appare imprudente. È possibile che vi sia po’ di rosa nel nostro futuro, ma non c’è alcuna certezza che il peggio sia passato. Più realistico è ritenere che siamo in una stagione in cui l’incertezza è destinata a farla da padrone ancora per diverso tempo e non solo per il saliscendi dell’inflazione. Conteranno molto, infatti, anche l’evoluzione del quadro geo-politico (soprattutto in rapporto agli sviluppi del conflitto russo-ucraino) e l’andamento dei prezzi dell’energia. Sarà dunque l’insieme di questi tre fattori che orienterà le scelte delle banche centrali, in primo luogo Fed e Bce e queste, a loro volta, condizioneranno l’andamento dell’economia reale.

Per ora – come rileva l’ultima nota mensile (diffusa dall’Istat il 10 febbraio) è in atto, e si tratta di un segnale rassicurante, una attenuazione delle pressioni inflazionistiche soprattutto per effetto del calo, durante questo inverno, dei prezzi dei prodotti energetici. Appaiono perciò plausibili le speranze, ricorrenti nelle ultime settimane, che la spinta all’aumento dei tassi di interesse diventi più graduale di quanto verificatosi di recente. Questo non dissolve, ma rende meno pressanti le preoccupazioni di rallentamento dell’economia mondiale. Per contro, tuttavia, le previsioni sul commercio mondiale continuano ad essere negative. Sempre attingendo alla nota Istat, si rileva infatti che il volume degli scambi internazionali di merci, a dicembre 2022, è diminuito nel 2,5% rispetto al mese precedente, con un netto peggioramento rispetto al dato di ottobre ( -1,4%) mentre il PMI globale sui nuovi ordinativi all’export a gennaio è risultato al di sotto della soglia di espansione: e si tratta di una tendenza che prosegue, ormai, da undici mesi consecutivi.

Questo dato, unito a quello, altrettanto significativo, della caduta dei noli marittimi fa ritenere che la contrazione in atto della domanda mondiale proseguirà, probabilmente, nei prossimi mesi. Anche il barometro dei grandi motori dell’economia globale segnala un tempo che non è né bello né stabile ma solo moderatamente positivo. In Cina i risultati dell’ultimo trimestre 2022 hanno confermato una crescita del 3 per cento: il risultato peggiore degli ultimi quarant’anni (eccetto, causa Covid, il 2020). Negli Stati Uniti lo stesso dato ha registrato una variazione positiva ma di portata limitata (+0,7%) e in decelerazione. La crescita totale dello scorso anno (+2,0%) attesta una stabilizzazione di consumi e investimenti e una riduzione dell’export. Questo spiega perché, mentre la crescita dell’inflazione USA appare segnata da un’inversione di tendenza, il livello della fiducia dei consumatori a gennaio (dato del Conference Board) è diminuito: quindi le loro attese sul breve termine non sono positive. Quanto all’Europa, l’inflazione è meno impetuosa ma resta elevata (oltre l’8% nella zona euro). In quest’area il tasso di disoccupazione a gennaio, è rimasto sotto il 7% per il quarto mese consecutivo mentre la manifattura persevera nella sua capacità di tenuta. Tutti fattori positivi che, allo stato, hanno contenuto le spinte recessive e assicurato un buon clima di fiducia: l’Economic sentiment indicator è tornato ai massimi dal giugno 2022.

Preoccupa invece l’andamento debole di consumi e investimenti: una tendenza comune a tutta l’area continentale che pesa non poco anche da noi.

In Italia le prospettive della produzione industriale (+1,6 a dicembre su novembre 2022) si mantengono, anche se modeste in ragione d’anno, in territorio positivo.

Assai meno rassicuranti, al contrario, quelle che riguardano il commercio e l’andamento dei consumi.

Il 2022 è stato, specie per i piccoli negozi, un “anno nero”. Le prime stime indicano che in questo periodo sono nati 22mila nuovi esercizi, ma, nello stesso tempo, superano i 40mila quelli che hanno chiuso.

Quanto ai consumi, l’Osservatorio Findomestic, per l’anno scorso, registra la contrazione (-2%) del risultato per i beni durevoli. Per il complesso delle vendite al dettaglio, per lo stesso periodo, l’Istat indica una crescita in valore, dati i prezzi in aumento, ma una contrazione del volume che sfiora un punto percentuale. Nell’anno in corso il settore commerciale si trova perciò di fronte a una sfida impegnativa che non potrà essere vincente se non sarà l’economia nel suo complesso a registrare una robusta espansione. Centrare questo obiettivo non sarà, tuttavia, agevole. Sarà prima di tutto necessario ottenere concreti risultati su almeno tre fronti: a) la riprogrammazione, in raccordo con la Commissione di Bruxelles, di quei capitoli del Pnrr (non sono pochi) in ritardo di attuazione; si tratta di un traguardo da tagliare, comunque, entro il 2026, scadenza non aggirabile; b) ottenere modifiche alle norme vigenti sugli aiuti di Stato articolate in modo che esse non abbiano effetti dannosi per quei Paesi, come l’Italia, che hanno pochi spazi fiscali disponibili, data la condizione dei propri conti pubblici; c) concludere con successo la spinosa trattativa, iniziata a Bruxelles, sulla revisione delle regole di bilancio per i membri dell’Unione.

In altre parole, per l’Italia si prepara una scalata di sesto grado. Senza contare le incognite della politica monetaria europea. Sono esplicite le recenti dichiarazioni (Corriere della Sera, 12 febbraio) del Governatore della Banca d’Italia: “E’ fondamentale comunicare un forte impegno a riportare l’inflazione al valore obiettivo” (che per la Bce è il 2 %). “Ma farlo minimizzando i costi per l’economia reale non lo è da meno”.

In sostanza, sostiene Ignazio Visco , la recessione non è inevitabile, perciò l’inflazione va certo combattuta, ma con prudenza e cautela: bisogna sperare che Christine Lagarde segua questi consigli.

Antonio Duva

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