Artù n°73 - Marzo - Aprile 2016 In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi
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Gusto | Tendenze | Mercati
Marzo Aprile 2016
73 Cover story La Grande Dame 2006
Storie di successo Ceresio 7, stile e glamour
Focus wine Sarà sempre export?
Editoriale
Trionfalismi e ripartenze Mezzo secolo di Vinitaly. Cinquant’anni, di cui almeno trenta ci hanno visti presenti, ogni anno, con fedeltà e dedizione, per tutto il periodo della fiera. Vinitaly dovrebbe darci una medaglia. Con o senza stand, ma sempre con grinta, determinazione e con l’attenzione necessaria che i professionisti seri devono riservare ai grandi eventi. E Vinitaly indubbiamente lo è, con i suoi 4.100 espositori, con le migliaia di buyer internazionali che affollano ogni anno la fiera, con la tensione positiva che contraddistingue le cantine espositrici, orientate a comunicare i risultati raggiunti sul fronte qualitativo e a lavorare sempre meglio per conquistare nuovi mercati internazionali. Tutto bello, bellissimo, o quasi: nel 2015 l’export è cresciuto ancora (+5.4%) sull’anno precedente, il made in Italy spopola nel mondo e funge da grande motivo di richiamo. Ma, si chiede qualcuno a bassa voce, “e in Italia come va?” Che succede sul mercato interno? È vero, mi domanda un enologo americano, “che da voi si beve sempre meno”? “E che i vostri grandi vini, al ristorante, sono richiesti solo dalla clientela internazionale”? Perché? Gli italiani non spendono più per il vino? Dov’è finito lo stile italiano? Mica facile, rispondere a questa domanda. Di certo lo stile italiano del vino riguarda più il prodotto che i consumi (o i consumatori). E i produttori, giustamente, cercano di esportare questo stile nel mondo. D’altronde, i dati relativi al mercato interno ci parlano di consumi in caduta libera, in modo direi speculare all’andamento economico del nostro Paese, nonostante proclami e autoconvincimenti onirici (disturba qualcuno doverlo ammettere?). Rulli di tamburo e grancassa a parte, infatti, varrebbe la pena di fare una riflessione profonda sullo stato dell’arte di: consumi interni, immagine, prezzi delle nostre etichette, dalle più prestigiose a quelle “di tutti i giorni”. Dopo esserci beati per anni, organizzando convegni e tavole rotonde sul fatto che “il vino rosso fa bene alla salute”, che “i nostri vini hanno un ottimo rapporto qualità-prezzo”, che “il servizio del vino nel nostro Paese è il migliore al mondo” (grazie,
sommelier!), dopo tutte queste (vere, peraltro) attestazioni di autostima, ora dovremmo fare i salti di gioia perché l’export è in continua crescita!?! Preferirei gioire del fatto che i consumi in Italia crescono e si qualificano, grazie alla costante tendenza a scegliere (e acquistare) vini sempre più di qualità. Ma non è così: gran parte delle aziende (e le si può anche capire, sotto certi aspetti vi sono costrette) hanno concentrato i propri sforzi sull’export: perché i mercati sono più attenti, i consumatori più preparati, i prezzi (anche elevati) più accettati. Con buone strategie di marketing, sorrette dal lavoro di importatori capillarmente presenti sui mercati esteri, il vino italiano ha letteralmente conquistato il mondo, il vecchio ma anche il nuovo. Così, mentre a Roma la politica esalta il business internazionale, nei nostri wine bar si fatica a vendere grandi bottiglie agli italiani (oppressi da scadenze fiscali e carenza di liquidità). Per fortuna che c’è la clientela straniera, che paga, paga, paga. Il grande tema su cui dibattere dovrebbe, dunque, essere: come possiamo riqualificare la nostra immagine all’interno dei nostri confini, ritornando ad essere oltre che un grande Paese produttore anche un grande Paese consumatore? Meditate, gente, meditate = Alberto P. Schieppati
1 Artù marzo/aprile 2016
Sommario
Marzo /Aprile 2016
In copertina: una degustazione verticale di Veuve Clicquot Grande Dame mette in risalto grandi annate. Presentato il millesimo 2006, sintesi di potenza e raffinatezza. E nasce l’Atelier des Grandes Dames, con le donne chef più brave e geniali protagoniste (ph. Lyle Roblin).
A 4 News Cover story 12 Veuve Clicquot Grande Dame, “Una sola qualità, la migliore” L’intervista 18 Mai lontano dai fornelli, parola di Antonio Guida L’opinione 24 Contro la chimica, basta paraocchi 26 Alè si degusta! Ma non esageriamo… 28 Accontentarsi della mediocrità? Storie di successo 30 Ceresio 7, quando il glamour è sostanza 34 De La Ville a Monza, stile impeccabile 38 Appius 2011, è la volta del Sauvignon 42 Offerta vino, qualcuno fa sul serio 46 Barbara Tamburini, la signora del vino Focus food 48 Open Blue, acqua pulita per un pesce perfetto 52 Magia peruviana, ma il ceviche abita qui 54 Hervé Mons, e il formaggio diventa easy 58 Roma, nuovo chef all’Hotel Quirinale Focus wine 60 Colline di Sopra, dieci anni di sfide 62 Export vino, crescita esponenziale 64 Unterebner di Tramin, la selezione di Pinot Grigio 68 Dianella e Bernabei, la sfida assoluta 70 Tenuta di Tavignano l’eccellenza del Verdicchio 74 Vino italiano, un futuro radioso? 78 Partesa, tutti gli aspetti del vino La foto di Cioffi 81 Massimiliano Alajmo Dal mondo 82 La Sultana a Marrakech. Rito e concretezza Equipment 86 Design funzionale, la parola chiave di Nude 90 Brand news Libri 92 Fuoricasello ha fatto dieci! Champagne, gusto e cucina Alberto’s Choice 95 Dal Piemonte con amore, e Bove’s apre a Milano
direttore editoriale Alberto P. Schieppati
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News Artmenu Factory a Identità Golose Specializzata nella progettazione, produzione e personalizzazione di liste menu, carte dei vini e articoli per l’ospitalità alberghiera, l’azienda emiliana Artmenu Factory ha incontrato il grande pubblico professionale nella dodicesima edizione di Identità Golose. Tema di quest’anno “La forza della libertà”, intesa come libertà creativa in cucina e non solo, un tema che rispecchia la forza di Artmenu Factory. Dimostrazione ne è la nuova linea di portamenu 7900 declinata in tutte le sue molteplici varianti. L’evento è stato dunque il contesto ideale per presentare e spiegare a un pubblico qualificato i concetto di artigianalità e made in Italy che caratterizzano da oltre 30 anni l’azienda emiliana. ________________________
Heineken: Soren Hagh è il nuovo Managing Director Cambio di guardia nel Gruppo Heineken. Dopo sette anni Edwin Botterman lascia la guida di Heineken Italia passando con lo stesso ruolo di Managing Director di Alken Maes, l’operating company di Heineken in Belgio. A dirigere il brand sul mercato italiano sarà invece Soren Hagh, attuale Executive Director Global Marketing del Gruppo, che presenta una grande esperienza nel settore marketing avendo lavorato con ruoli di spicco per Lego e l’Oreal. Presente dal 2013 in Heineken come Executive Director Global Marketing, ha seguito, in particolare, lo sviluppo dei global brands e la trasformazione digitale della comunicazione dell’azienda che ha portato al conseguimento del premio che Heineken ha vinto nell’ultima edizione dei “Cannes Lions” come “Creative Marketer of the Year”.
Ornellaia, Vendemmia d’Artista L’azienda vinicola di Bolgheri ha presentato l’ottava edizione del progetto Ornellaia Vendemmia d’Artista, nato nel 2009 con l’obiettivo di coinvolgere un artista contemporaneo di fama internazionale per interpretare il carattere di ogni singola vendemmia. Per l’8° edizione è stato incaricato l’artista giapponese Yutaka Sone a illustrare con la propria creatività il tema Ornellaia 2013 “L’Eleganza”. Ne sono nate speciali etichette a rivestire una serie limitata e numerata di bottiglie grande formato Ornellaia, che saranno battute da Sotheby’s il 19 maggio in un’asta benefica, per un totale di nove lotti unici, all’Hammer Museum di Los Angeles, a cui saranno destinati i proventi. Il progetto ha di fatto raccolto e interamente donato più di 1 milione di Euro a Fondazioni e Musei nel mondo capaci di aiutare l’arte, in ogni sua espressione. Nel dettaglio Yutaka Sone ha creato per la Tenuta di Bolgheri un’opera site-specific in marmo e esclusive etichette firmate che vestono 109 grandi formati di Ornellaia: 100 bottiglie doppio Magnum (3 litri), 8 bottiglie Imperiali (6 litri) e un’unica Salmanazar (9 litri). Inoltre l’Artista ha realizzato la bottiglia 0,750 di Ornellaia: un esemplare verrà inserito in ogni cassa in legno da 6 bottiglie. Curatori d’Arte del progetto Ornellaia Vendemmia d’Artista sono Bartolomeo Pietrimarchi e Maria Alicata.
Il Falconiere di Cortona presenta il suo primo libro Il Relais Il Falconiere, a Cortona (Ar), simbolo di grande ospitalità e di alta cucina, è gestito con intraprendenza e impegno dai proprietari Silvia Regi Baracchi e dal marito Riccardo Baracchi. Il ristorante, che fa parte dal 1997 della prestigiosa catena dei Relais & Chateaux, nel 2002 ha ottenuto l’ambito riconoscimento della stella Michelin, un traguardo raggiunto grazie alla cucina proposta dalla chef Silvia Baracchi, in cui l’interpretazione del territorio e la geniale sperimentazione di nuovi abbinamenti convivono in perfetto equilibrio. L’amore per la buona tavola e per le tradizioni si combinano perfettamente con la grande creatività di Silvia, attraverso un incontro che oggi può essere “gustato” anche sotto forma di libro. È infatti uscito il primo libro di Silvia Regi Baracchi intitolato “Rosso di Gusto – Passioni in Cucina”. Edito da Trenta.
4 Artù marzo/aprile 2016
Astoria Venice Collection Astoria Vini presenta Fanò, il primo Spumante Asolo Prosecco Superiore D.o.c.g. La linea “Venice Collection” dei Prosecchi Docg Astoria, con le sue caratteristiche bottiglie intagliate, si completa così con l’arrivo di uno spumante Extra Brut: “Volevamo offrire ai consumatori una gamma completa di possibilità - dichiarano i titolari di Astoria Vini, Paolo e Giorgio Polegato -. Infatti sono in crescita gli estimatori di spumanti più secchi, con una nota di acidità. Per questo abbiamo selezionato alcuni conferitori con cui collaborare in tutte le fasi di cura della vite, dalla potatura alla vendemmia, fatta rigorosamente a mano.” Fanò, realizzato con uve glera, denota perlage minuto, colore giallo paglierino chiaro, profumi eleganti e fruttati.
News
Wicuisine, la disciplina in cucina Di Wicky’s Wicuisine Seafood Artù ha già avuto modo di parlare e di toccare con mano la straordinaria cucina, nonché conoscere da vicino la grande personalità di Wicky Priyan (nella foto di Ferdinando Cioffi). Ritorniamo con grande entusiasmo a raccontare la filosofia che anima fin dalla sua nascita Wicuisine: la tecnica, la disciplina, la conoscenza di Wicky ricevuta dai grandi maestri Kaneki e Sushi Kan rappresentano il valore e l’essenza di questa realtà, una dedizione che prosegue ancora oggi dopo oltre 10 anni di addestramento nelle tecniche più raffinate della cucina nipponica. Wicky Priyan, dal canto suo, propone una cucina senza segreti in un percorso che si snoda in due varianti: trenta piatti signature e il percorso degustazione che segue l’improvvisazione dello chef e della
Alessio Mecozzi al Nira Montana
© Ferdinando Cioffi
stagionalità di alcuni ingredienti. Anche la cantina merita una menzione per la sua curata selezione di etichette e annate. Importante novità è inoltre
Nira Hotels&Resorts, con le sue prestigiose strutture in Svizzera (Nira Alpina), Mauritius (Shanti Maurice) e Scozia (Nira Caledonia), amplia la sua offerta gastronomica con una new entry nella sua struttura in Italia al Nira Montana, primo e unico hotel 5 stelle di La Thuile (AO) premiato come World’s Best New Ski Hotel 2015. A dirigere le proposte guormet sarà infatti l’Executive Chef Alessio Mecozzi, conosciuto anche come “Lo chef dei Vip”. Forgiato da importanti esperienze nazionali e internazionali, lo chef sposa la filosofia di Nira Hotels&Resorts per offrire un’esperienza di soggiorno e di cucina autentiche, piatti che rappresentano “una costellazione di fragranze che evocano il piacere della tradizionale cucina italiana”.
la presenza di un maestro di sushi Edomae, secondo del grande maestro Sushi Kan, entrato a far parte della brigata di cucina.
Con Ruinart, viaggio nello Chardonnay In via Ampola 18, a Milano, nello spazio Marì&co Foodplace, si è recentemente svolta una degustazione di diversi Ruinart, alla presenza dello Chef de Cave della storica Maison, Frederic Panaiotis, che ha presentato in questo spazio l’evento “Viaggio nella luce dello Chardonnay” proponendo in abbinamento a ogni portata tre degustazioni di vino: un Ruinart e due Chardonnay “misteriosi” ai quali i convitati avrebbero dovuto dare un’indicazione di provenienza, esercizio reso ancor più complesso dal fatto che gli abbinamenti Ruinart avevano sempre la meglio sugli altri. A deliziare i pochi, selezionati ospiti, i grandi piatti di Lugi Taglienti. Il Chaud-froid di fegato d’oca, sedano e mela verde si accompagnava a Ruinart Blanc de Blancs, insieme allo Chardonnay Jermann Were dreams e al Ridge Vineyards Monte Bello. Dom Ruinart 2004 completava la degustazione di Velouté parmentier con capasanta arrosto e Champagne, abbinata anche a Olivier Bernstein Corton-Charlemagne Grand Cru e Craggy Range Gimblett Gravels Vineyards Les Beaux Cailloux, gli stessi vini selezionati per accompagnare il fantastico Brodo di pane tostato con raviolo di cipolla. Il Pollo di Bresse alle alghe marine, lattuga e spugnole sposava lo champagne Dom Ruinart 1998, seguito da Kongsgaard Wine e Marc Morey 1er Cru Les Referts. A conclusione della cena, Fragola, invidia e meringa al pepe nero: un dessert di grande armonia.
6 Artù marzo/aprile 2016
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USA: Montcalm Wines distribuisce Genagricola I vini de Le Tenute di Genagricola, avranno un nuovo distributore per il mercato americano. Ad annunciarlo l’ad Alessandro Marchionne che ha confermato la distribuzione esclusiva delle nove Tenute da parte di Montcalm Wines Importers Ltd., già distributore di alcune sue linee di prodotto. Di proprietà della stessa Genagricola, Montcalm Wines distribuirà, oltre ai vini della casa madre, anche una selezione delle principali regioni vinicole italiane di alto profilo. Nel portafoglio anche due nuove etichette, Borgo Magredo e Torre Rosazza.
Parmigiano Reggiano, ogni anno tre milioni di forme Recuperare le tante identità che danno vita a un prodotto d’eccellenza, per promuovere le diversità nell’uguaglianza e svelare l’eccellenza attraverso lo storytelling. Il Consorzio del Parmigiano Reggiano dà vita a un’operazione promozionale tesa a valorizzare il duro lavoro quotidiano dei 350 caseifici, ognuno con una sua storia e specificità, per ribadire un concetto fondamentale: il re dei formaggi, nonostante i numeri importanti (oltre 3 milioni le forme prodotte ogni anno, il 68% delle quali vendute nel nostro paese) rimane un prodotto artigianale, realizzato attraverso le mani e le sensibilità dei casari. “Pensiamo - dichiara Giuseppe Alai, presidente del Consorzio del formaggio Parmigiano Reggiano - che ogni caseificio, la sua storia e le sue specificità debbano essere valorizzate. E la ristorazione può fare tanto, costruendo percorsi di approvvigionamento diretto in azienda e, magari, svelando ai propri clienti la provenienza e le particolarità del Parmigiano Reggiano servito”. Biologico, razze bovine tradizionali, lunghissime stagionature: il Parmigiano Reggiano del terzo millennio fa leva sulle sue tante anime per ribadire la vitalità della sua lunga tradizione. D.B.
Collalto, non solo Prosecco Nella zone del Conegliano la cantina Collalto produce un rosso che rappresenta una delle massime espressioni del particolare uvaggio, rosso appunto, previsto dalla Docg Colli di Conegliano. Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot e Marzemino le uve selezionate e presenti in percentuali variabili a seconda dell’annata, tutte provenienti esclusivamente da vigneti di proprietà dell’azienda agricola Collalto. L’unione della composizione bordolese Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot - con il Marzemino conferisce al vino note di grande freschezza nonostante la struttura corposa. Il Colli di Conegliano Rosso Docg presenta un colore rubino profondo, con leggere note granate, mentre al naso sprigiona sentori di piccoli frutti a bacca nera e prugna. La struttura tannica regala una certa morbidezza permettendo una grande bevibilità e piacevolezza. Questo rosso di Collalto è ideale con le preparazioni di carne alla brace, arrosti di capretto e agnello, ricetta dove la speziatura e il fondo salsato si contrappongono alla freschezza e alla tannicità del vino. Interessante l’abbinamento con i formaggi di media stagionatura.
News
Sanpellegrino, il nuovo gusto del Fine Dining
Col Vetoraz e i piatti di Enzo De Prà
Le Bibite Sanpellegrino tornano sul mercato con una grafica rinnovata e una formula ancora più ricca, come le Aranciate Sanpellegrino con ben il 20% di succo d’arancia e con meno zucchero ridotto al 10%. A questo si accompagna il restyling dell’intera gamma che si avvicina nella grafica alle bibite vendute sul mercato internazionale, mentre la shape ricorda quella dell’acqua minerale Sanpellegrino, simbolo in tutto il mondo di Fine Dining. E su questa tema sono dedicati i nuovi gusti, sempre nel segno della premiumness e della valorizzazione delle eccellenze locali, vere e proprie “Specialità Italiane” che rappresentano il meglio delle diverse zone geografiche italiane. Nel formato lattina sleek da 33 cl, sono tre i gusti proposti: Limoni di Sicilia&Infuso di Menta Piperita del Piemonte, Arance&Fichi d’India di Sicilia e l’innovativo Chinotti di Sicilia&Bacche di Mirto di Sardegna. Eccellenze del made in Italy che sono un inno alla “Meraviglia Mediterranea” di cui le Bibite Sanpellegrino sono testimonial, anche grazie al progetto di comunicazione che racconta la bellezza del Mediterraneo attraverso le voci di tre grandi artisti italiani, lo scrittore Gianrico Carofiglio, il fotografo Giovanni Gastel e la stilista Margherita Maccapani Missoni, le cui testimonianze si possono vedere sul sito www.bibitesanpellegrino.it.
Tra le colline del Valdobbiadene, nella fascia collinare della marca trevigiana, Col Vetoraz interpreta questo territorio dal lontano 1838, sviluppando da subito la coltivazione della vite sul punto più elevato del Cartizze a quasi 400 metri di altitudine. Oggi la cantina vanta una produzione che rispecchia a pieno titolo le caratteristiche della zona vocata al Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg e del Cartizze Superiore Docg, quest’ultimo punta di diamante dell’azienda che lo ha presentato al Vinitaly 2016 in abbinamento alle Sarde in Saôr alla Veneziana preparate dallo chef stellato Enzo De Prà. Vino spumante vellutato e aromatico, dal profumo intenso, rivela la delicatezza di fiori e frutta matura proveniente dai migliori vigneti dell’omonima area che limita la produzione a piccole quantità.
Monteverro, la passione per il valore “assoluto” Monteverro, azienda vinicola toscana che sorge sulla Costa d’Argento, è oggi una realtà produttiva portata avanti dai due giovani proprietari, Julia e Georg Weber, con il supporto di un team di collaboratori internazionali. L’amore per il territorio, la ricerca continua di risultati sempre migliori e l’obiettivo dichiarato di produrre vini di valore assoluto, sono gli elementi chiave di questa azienda del grossetano, che focalizza la propria produzione su sei diverse etichette: Monteverro, Tinata, Terra di Monteverro, Chardonnay, Verruzzo e Vermentino di Monteverro. Una produzione che vuole rivolgersi soprattutto al mercato italiano e lo fa partecipando a Vinitaly 2016, piazza ideale per raccontare la realtà produttiva e far conoscere i propri vini a un pubblico attento ed interessato di addetti ai lavori e non solo.
8 Artù marzo/aprile 2016
News Torna Fish&Chefs L’edizione 2016 di Fish & Chefs - dal 21 al 27 aprile - ha un programma ancor più ricco degli anni precedenti. Fulcro della manifestazione - ideata dallo chef stellato Leandro Luppi e da Elvira Trimeloni per far conoscere i prodotti tipici della zona - saranno le sei cene gourmet ospitate in cinque località del Garda (Gardone Riviera, Garda, Bardolino e Costermano) con protagonisti Luca Marchini, Peter Brunel, Andrea Berton, Andrea Aprea, e dal Giappone, Valentino Palmisano e Kido Toshimizu, cui si unirà l’ultima sera il Dream Team Lake Garda, ovvero i top chef della zona. La novità è Street Food Street Art Street Music: sul lungolago di Garda, in contemporanea con Fish& Chefs, si terranno cooking show, degustazioni ed eventi artistici per il pubblico. F.A.
Moncaro, i vini green delle Marche Terredora, Moncaro punta sulla sostenibilità ambientale con l’introduzione papà Walter festeggia di 175 ettari di nuovi vigneti bio e con la produzione del 50% di energia da fonti rinnovabili. La maggiore realtà produttiva delle Marche in ambito vincolo potenzia così il suo valore “green” aumentando anche la produzione di vini senza solfiti aggiunti, grazie alla coltivazione biologica e alla ricerca portate avanti da Doriano Marchetti, Presidente della cantina, e dall’enologo Giuliano D’Ignazi (nella foto). La realtà di Montecarotto (An), che conta ad oggi 928 viticoltori associati e 1.400 ettari di vigneti di proprietà aziendale coltivati con tecniche a basso impatto ambientale, si è presentata al Vinitaly con una importante novità: la sboccatura del Madreperla spumante Gran Cuveé Metodo Classico nelle due versioni, 60 mesi di permanenza sui lieviti e 84 mesi Pas Dosé. In evidenza anche i vini bianchi del Piceno, la linea “Ofithe” che comprende le selezioni di Passerina e Pecorino prodotti nello stabilimento di Acquaviva Picena (Ap).
10 Artù marzo/aprile 2016
Walter Mastroberardino, che con i figli Paolo e Daniela conduce l’azienda vitivinicola Terredora, ha scelto Milano per festeggiare i suoi 70 anni di attività lavorativa. Per l’occasione ha voluto accanto a sé, oltre ai familiari, il direttore editoriale di Artù e gli agenti commerciali che hanno creduto fin dall’inizio nella qualità dei vini prodotti nella celebre cantina irpina. La festa si è svolta lo scorso febbraio presso il ristorante Controvento, guidato da Beppe Lamantea. Il menù? Rigidamente meneghino, con risotto giallo allo zafferano e costoletta alla milanese, entrambi da manuale.
12 Art첫 marzo/aprile 2016
Cover story
Veuve Clicquot Grande Dame, “Una sola qualità, la migliore” di Alberto P. Schieppati
Presentato a Milano l’ultimo Champagne della Maison, la Grande Dame 2006, protagonista di un percorso di valorizzazione delle donne chef italiane. Nel mare di eventi delle ultime settimane, uno spicca su tutti per lo stile e il carisma dei protagonisti e, diciamolo, delle protagoniste. Palazzo Clerici, a Milano, è stato il teatro di una serata memorabile, in cui la Maison Veuve Clicquot, brand del Gruppo LVMH, ha svelato grandi progetti, che si sviluppano su più fronti diversificati. Tutto parte dalla scelta di valorizzare ulteriormente uno Champagne già di per sé prezioso, la Grande Dame, ovvero la Cuvée de prestige della Maison di Reims, presentata nei suoi millesimi più eccelsi, a partire dal 2006, da oggi presente sul mercato. La seCru storici: Ay, Bouzy, Ambonnay, conda importante notizia va di “L’Atelier des Grandes Verzy per il Pinot Noir (53%); pari passo con la prima: FranceAvize, Oger e Le Mesnil-sur-Oger Dames presenta sca Terragni, Direttore Marketing per lo Chardonnay (47%). Domie Comunicazione di Moet Hennique Demarville, il celebre Chef quattro protagoniste nessy Italia, la massima autorità de Caves di Veuve Clicquot, ha indiscusse dell’alta per i prestigiosi brand delle Maicondotto la degustazione con la son del gruppo LVMH sul mercato consueta perizia, ma anche con cucina, esempio italiano, ha annunciato la nascita la passione di chi, quelle parceldi grande dell’Atelier des Grandes Dames, les, le conosce perfettamente un progetto di comunicazione una per una. Dominique è in professionalità” del valore delle chef italiane più Veuve Clicquot dal 2006 e si occapaci e professionali, impegnate cupa di ogni aspetto della proin prima persona nella linee di cucina di altissima duzione: dall’approvvigionamento delle uve all’asqualità. “L’idea è nata dalla constatazione obiettiva semblaggio, dalla supervisione del vigneto a tutte le del valore ricoperto dalle donne-chef sullo scenario pratiche enologiche. A lui spetta il compito di tramanitaliano dell’alta ristorazione”, ha sottolineato, dati dare il carattere distintivo dello Champagne, a lui la alla mano, Francesca Terragni durante la presentazione responsabilità di far vivere nel tempo lo spirito com- Qui sopra: un momento della serata Atelier des Grandes dell’evento. La serata era partita molto bene, con plessivo della Maison. Nelle mani di Dominique si Dames a Palazzo Clerici di Milano e Dominique una degustazione verticale che ha consentito a pochi sposano in modo perfetto heritage e innovazione, le Demarville, Chef de Caves di Veuve Clicquot fortunati giornalisti e wine writer di apprezzare La nobili tradizioni del passato e l’audacia indispensabile con Francesca Terragni, Direttore Marketing Grande Dame, in bianco e in rosa, con otto bottiglie per guardare al futuro, mantenendo integra nel tempo e Comunicazione di Moet Hennessy Italia. di annate sorprendenti. Ha aperto le danze la Grande l’identità di Veuve Clicquot, una Maison che ha Nella pagina a lato: le chef presenti alla serata Dame 2006, assemblaggio esclusivo di otto Grand sempre fatto dell’eccellenza il proprio credo. Secondo (ph. Lyle Roblin).
13 Artù marzo/aprile 2016
Cover story
la filosofia di Dominique, i territori della Champagne sono in grado di offrire ai vini elementi di raffinatezza e complessità, capaci di farne prodotti unici e caratterizzati. E su questo si deve lavorare, per arrivare agli assemblaggi migliori, anzi, perfetti. L’assemblaggio delle uve di diversi appezzamenti, provenienti dai Grand Cru storici, si deve tradurre in eleganza, passione, creatività, sempre coerenti con la qualità e lo stile della Maison. Obiettivo raggiunto. La dimostrazione concreta di questa eleganza emerge netta nella Grande Dame 2006, il nuovo vintage (sboccatura gennaio 2014) immesso ora sul mercato. Colore intenso, con bagliori dorati e perlage fine ed esuberante, rivela al naso un sottofondo salino e minerale, seguito da decisi aromi floreali, note di frutta fresca (pesca, pera), di nocciola abbrustolita e mandorle tostate. Agitando leggermente il bicchiere, il bouquet diventa ricco e voluttuoso, con chiari sentori di brioche, torrone, ginger e conserva di limoni. Al palato, la Grande Dame 2006 è rotonda e corposa, con una struttura fresca e setosa, di grande eleganza e pulizia: la mineralità del gesso risuona con vivacità e dà una sensazione di croccantezza, contribuendo a creare un lungo finale. Un’annata complessa, un millesimo importante: uno Champagne, intenso e fascinoso, destinato a abbinamenti gastronomici con piatti delicati, anche cremosi. Un prodotto che conferma quanto sia acuminato e assiduo il lavoro di ricerca di Dominique Demarville, incentrato sulla esaltazione esclusiva delle uve provenienti dai Grand Cru della Champagne. Ma quanto
Qui a lato: La Grande Dame 2006, ultimo nato della Maison, destinato ai segmenti alti del mercato.
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sia anche fondamentale il corretto posizionamento sulla fascia alta del mercato, come sottolinea Francesca Terragni. La verticale guidata dallo Chef de Caves è poi proseguita con altri tre rari millesimi: 1998, 1989, 1976, annate memorabili che hanno visto il Pinot Nero presente in percentuali leggermente superiori rispetto al 2006. Grande Dame 1998 (64 % Pinot Nero, 36% Chardonnay) ha rivelato una incredibile finezza, rilasciando al naso sentori floreali e minerali e, in bocca, fragranze di frutta candita, agrumi e mandorla dolce. Una complessità aromatica notevole, perfettamente equilibrata grazie alla franchezza e alla purezza al palato, combinate a una morbidezza vellutata. Il 1989 (60% Pinot Nero, 40% Chardonnay) segna il ritorno alle annate calde e assolate, come quelle leggendarie del 1945, 1959, 1964. Non a caso, la Grande Dame 1989 ha un magnifico colore verde-oro brillante e un perlage particolarmente fine e persistente. Al naso denota complessità e raffinatezza. Dopo le prime impressioni di freschezza floreale, subentrano successivamente aromi più caldi di brioche e fiori secchi, che donano al prodotto una morbidezza
spiccata. Al palato, l’89 evidenzia una rara eleganza: aromi di fiori, frutta bianca e agrumi esprimono un mosaico di profumi freschi e pieni. Come sottolinea Dominique, la Grande Dame 1989 è ideale come aperitivo. La Grande Dame 1976, invece, ha retto
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molto bene al peso degli anni (quaranta non sono pochi): bel colore, sostenuto, con riflessi dorati. Il naso è ancora intenso, tendente vagamente al metallico: ma emergono anche frutta secca, tiglio, miele. Elegante, ha un gusto ampio e leggermente “viscoso”, ma equilibrato, con finale lungo e una texture che rimanda a certi vini liquorosi. Un quartetto di Champagne intriganti e “contemporanei”. Lo stesso concetto di modernità emerge dalla successiva verticale di Rosé, iniziata con lo straordinario Grande Dame 2006, coetaneo del precedente. Il 2006 Rosé ha colpito tutti per l’intensità del colore, per i suoi riflessi ramati, ma anche per il perlage fine ed esuberante: grande salinità al naso, seguita da note floreali (frutta a bacca rossa, ciliegie, fragole di bosco) e aromi di nocciola tostata, fave di cacao e spezie dolci. In bocca, il vino è rotondo e corposo, con una struttura fresca e setosa, con tannini giustamente presenti che invitano all’abbinamento con piatti ricchi di consistenza, che lo possano far risaltare nella sua pienezza. Dal finale lungo e avvolgente, Grande Dame 2006 (60% Pinot Noir, 40% Chardonnay) si presta a lungo invecchiamento. E a un grande futuro sui segmenti alti del mercato. La Grande Dame 2004 è un altro capitolo a sé: le eccezionali condizioni climatiche del settembre di quell’anno, consentirono alle uve di maturare in modo ottimale. “La vendemmia sottolinea Dominique Demarville - aveva portato uve
Al centro: il salone di Palazzo Clerici durante la serata. In alto: Francesca Terragni. Qui a fianco: Aurora Mazzucchelli, Fabrizia Meroi, Isa Mazzocchi, Marianna Vitale e Dominique Demarville.
Cover story
eccellenti, belle e sane”. Il colore è luminoso, rosa ramato brillante, con riflessi ambrati. Perlage abbondante e fine, con bollicine che si dispiegano leggere e formano arabeschi graziati. La trama minerale è netta, il fruttato di grande intensità. Anche qui emergono sentori di brioche, torrone, cannella, amarena. Al palato il gusto è pieno e tondo, la consistenza croccante e setosa; la nota finale è fresca, generosa, e lascia intuire un dosaggio leggero che non disturba l’equilibrio naturale del vino. Gli altri due millesimi degustati, il 1998 e il 1989, hanno confermato come da assemblaggi di uve provenienti da Grand Cru escano degli Champagne da urlo. Grande Dame 1998 (64% Pinot Noir, 36% Chardonnay), ha colore brillante e limpido, fra il rame e il salmone. Al naso, emergono sentori di fruttato e speziato con, in filigrana, una mineralità ben distinta. All’aerazione, le note fruttate rivelano una grande complessità aromatica che, al momento della degustazione, lascia emergere aromi di visciola, di more e di gelatine, il tutto avvolto da una fragranza di vaniglia e spezie. La grande potenza olfattiva di Grande Dame 1998 è
mitigata e equilibrata da una straordinaria freschezza. Anche la Grande Dame 1989 (60% e 40%) rimanda alle annate calde e assolate che hanno contraddistinto la stessa annata in bianco: il colore è caldo, rosa ramato con riflessi dorati. Il bouquet è intenso, dapprima fruttato, poi tostato, leggermente grigliato, comunque sempre elegante e raffinato. “Lo stile dell’annata 1989 - continua Dominique Demarville - è particolarmente evidente in bocca; il vino sfoggia una deliziosa rotondità
Sopra: le annate rare di Grande Dame. Qui sopra: un momento della degustazione e, a lato, La Grande Dame Brut Rosé 2006.
16 Artù marzo/aprile 2016
e una incredibile concentrazione di aromi, su cui prevalgono fiori rossi maturi”. Otto Champagne di grande stoffa, bottiglie preziose che raccontano agli appassionati il valore e l’unicità dei Grand Cru selezionati dalla Maison di Reims con sapienza e stile, andando a individuare per queste Cuvée le uve più adatte, in una parola perfette. “Lavorare con la natura fa stare con i piedi per terra” sostiene Demarville con chiaro riferimento alla sua “visione” della vinificazione. E, grazie a questa capacità di ascoltare la natura, Dominique è pienamente in accordo con il celebre motto di Madame Clicquot: “Una sola qualità, la migliore”. Principio al quale sicuramente si ispirano anche le quattro donne chef prescelte per la cena, abbinata a Grande Dame 2006: Aurora Mazzucchelli, del Marconi di Sasso Marconi (Bo), Isa Mazzocchi, de La Palta di Borgonovo Val Tidone (Pc), Fabrizia Meroi del Leite di Sappada (Bl), Marianna Vitale, del Sud di Quarto (Na). Il quartetto di professioniste, espressione talentuosa dell’alta ristorazione italiana, con le loro creazioni gourmet (tre piatti a testa, proposti durante la serata), ha dimostrato grandi capacità di creazione culinaria, in una logica di abbinamento perfetto con Veuve Clicquot Grande Dame. L’Atelier des Grandes Dames, destinato a coinvolgere in un viaggio ideale i talenti femminili dell’alta cucina italiana, non poteva partire meglio. Con eleganza, stile e raffinatezza =
L’intervista
Mai lontano dai fornelli Parola di Antonio Guida ziale di aver portato con me un gruppo storico de Il Pellicano: otto persone tra cui il pastry-chef Nicola Di Lena e Federico (ndr. Dell’Omarino). L’executive chef del Seta, il Uno pensa che i proprietari de Il Pellicano ristorante del Mandarin, a Milano, abbiamo rischiato il suicidio per un trasferimento spiega i motivi del suo successo così ampio. Ovvio che siano rimasti basiti quando ho comunicato e descrive coraggiosamente che li avrei lasciati per andare a Milano. Poi hanno capito che non potevo perdere un’occasione del gela mission del suo mestiere. nere. Detto questo, per me resterà un’esperienza Rilassante. Talmente tranquillo e sereno da non straordinaria. avere neppure bisogno della prima fila. Anche se in Gli altri 25 cuochi come li ha scelti? pochi mesi di attività, il Mandarin Oriental di Milano Ho guardato il curriculum, conta comunque. Ma poi ha conquistato pubblico e critica (il premio più ho scelto le persone che durante il colloquio mi recente: il Five Star di Forbes Travel Guide), pare hanno trasmesso passione per il lavoro e amore bearsi di stare “nascosto” tra via Manzoni e via per il cibo. Monte di Pietà, celando il lusso e un giardino interno Ho saputo che l’età media è sui 25 anni. Come molto suggestivo. In un progetto colossale ma al giudica la nuova generazione di cuochi? tempo stesso non strillato, non sorprende trovare An- Bene. I più intelligenti stanno sfruttando quello che tonio Guida al timone della cucina. Un timone che i quarantenni come me faticavano ad avere. Si può deve essere saldo, visto che supviaggiare di più, in genere si portato dal suo storico sousparte da famiglie più disponibili chef Federico dell’Omarino, coe poi ci sono tanti maestri. “In un progetto ordina 33 cuochi: 12 per il Seta, Il suo maestro è stato Pierre 7 per il bistrot, 7 per la pasticceria colossale ma al tempo Gagnaire. e 7 per il room service. Una “coUn genio: mi ha segnato la vita, stesso non strillato, razzata” che il 43enne salentino per la sua capacità di mettersi guida – nomen omen – con non sorprende trovare continuamente in discussione. mano gentile, equilibrata ma ferAvevo 26 anni e mi sembrava di Antonio Guida al ma. I risultati si sono già visti. E lavorare con Mozart, tanto era c’è la sensazione che il progetto timone della cucina” pazzesca la sua creatività. CamSeta - ristorante gourmet - abbia biava molti piatti durante il servizio una potenzialità che espressa e parte della brigata andava via gradualmente, come piace a lui di testa per questo. Pure io ale ai suoi collaboratori, colga traguardi non dichiarati l’inizio non riuscivo a capire ma alla fine del biennio espressamente ma studiati chirurgicamente. Guida da commis sono diventato capo-partita e poi saucier sorride, ma non si nasconde. che in Francia ha una responsabilità enorme. Caro Antonio, apriamo con le benemerenze in Dicono che lei non esca mai dalla cucina. Se è pochi mesi dall’apertura: miglior cucina di Milano vero, fa notizia al giorno d’oggi. per il Gambero Rosso, primo in nuce per l’Espresso Lo faccio perché è nella mia natura e perché reputo e una stella Michelin che molti giudicano già an- un po’ pericoloso restare lontano dai fornelli. Per ticipazione della seconda. me è come suonare il piano: più lo fai, più migliori. Sono stati gentili, hanno capito lo sforzo per essere Poi penso che la brigata, soprattutto i componenti Qui sopra: il piatto ananas arrosto, frutto della passione, subito al top. Da parte nostra, siamo stati bravi a più giovani, siano lì per lavorare con te ed è tapioca e gelato al ginger; il MOMLN Seta Courtyard. scegliere la brigata ma è stata vincente la scelta ini- importante stargli vicino. Fatico a capire come tanti Nella pagina a lato l’executive chef Antonio Guida. di Maurizio Bertera
18 Artù marzo/aprile 2016
19 Art첫 marzo/aprile 2016
L’intervista
La squadra vincente del Mandarin La “corazzata” del Mandarin Oriental, in sala, è guidata dal bravo Alberto Tasinato, direttore del Seta e del servizio colazioni e playmaker a tutto campo. A lui è affidato il compito di gestire venti persone e quattro hostess, tenendo ben presente le esigenze di chi siede senza fretta al Seta o più frettolosamente al bistrot che si affaccia sul bar, dove a comandare c’è un altro fuoriclasse quale il bartender Mattia Pastori. Non è un caso che per i casting Tasinato abbia impiegato sei mesi: “Cercavamo persone non solo esperte e competenti, ma soprattutto con l’attitudine al progetto. Ho fatto colloqui lunghissimi come test sulla capacità di interfacciarsi con l’ospite”. Giovane ma già esperto navigatore, Tasinato ha chiarissimo l’obiettivo del Mandarin Oriental e del Seta in particolare: “L’importante è vivere ogni giorno, ogni servizio, come fosse il primo. Senza stress, ma coinvolgendo tutti nello sforzo di far sentire l’ospite come un re e venire incontro alle aspettative. Che qui sono elevate, ovviamente”. Una domanda d’obbligo: ma la crisi della sala? “Se ne parla tanto, forse troppo. Sembra che essere fuori dalla cucina sia un inferno e non si trovino persone ma la realtà è diversa. Sicuramente è un lavoro impegnativo, ma ha dei vantaggi e in una struttura alberghiera come la nostra, permette ritmi meno stressanti che in un ristorante nomale. Ecco, io non continuerei a parlare di crisi ma di prospettive della sala”. Ben detto.
colleghi passino così tanto tempo fuori dalla cucina. Per me è un piacere starci. Da qui l’idiosincrasia verso la televisione? Intanto, non amo essere sotto i riflettori per carattere. E il poco tempo libero lo dedico a mia
Qui sopra: la cucina a vista del MOMLN Seta Courtyard; l’executive chef Antonio Guida, l’executive sous chef Federico Dell'Omarino, il pastry chef Nicola Di Lena e una sala del MOMLN. In alto il piatto cavolfiore con salsa di latte di mandorla, succo di yuzu e frutti di mare. A destra il MOMLN restaurant manager Alberto Tasinato.
moglie Luciana e mia figlia Viola. Dico solo che la televisione è semplicemente un altro lavoro: non ho detto negativo ma un altro. Mia opinione, sia chiaro, e comunque non discuto che tutto l’interesse creato dai programmi di cucina abbia portato più attenzione sul nostro ruolo e migliorato la percezione generale del cibo. Il Seta ha portato un altro mattone nell’opera di “accettazione” per i ristoranti in hotel. È vero, un tempo era concetto difficile da vendere. In realtà, un bravo cuoco migliora lavorando in strutture del genere perché bisogna adattarsi maggiormente al cliente. Qui da noi, vige la flessibilità perché soprattutto gli ospiti dell’hotel vogliono piatti fuori menu. La brigata quindi deve sapere a memoria le basi ed essere molto reattiva. Come definirebbe la sua cucina? Classica, rivista in chiave contemporanea se necessario. Sono un cuoco che continua a preparare - con sommo piacere - la Lepre alla Royale. Ma anche un
20 Artù marzo/aprile 2016
entusiasta del Cacio e Pepe, nella ricetta originale. Il mio concetto base è la continuità nel menu. È molto più bello sorprendere il cliente con nuovi piatti, in questo c’è la mano di Gagnaire: non ho mai paura di togliere i signature dish dalla carta e rimetterli quando lo trovo sensato. È anche un modo di stimolare costantemente la brigata. Immagino che non abbia più tempo di cercare i prodotti “live” come a Porto Ercole? In effetti, sono i fornitori che vengono da me... Ma li
Mandarin oriental, un gioiello nel cuore di Milano Per lo sbarco in Italia, Mandarin Oriental Hotel Group – colosso con 11mila camere in 47 strutture di 25 Paesi – ha scelto il centro di Milano, compiendo un vero capolavoro su quattro palazzi del 18° secolo, a poca distanza da Piazza della Scala. L’entrata è in via Andegari 9 mentre la Spa su 900 mq – che è stata considerata in pochi mesi la migliore d’Italia dalla Forbes Travel Guide – si affaccia anche su via Monte di Pietà. Raffinato e lussuoso, l’hotel ha 73 camere e 31 suite. Due i locali interni, che possono contare su altrettanti cortili – saranno un must nei prossimi mesi – e con orari diversi: il Seta viene utilizzato per colazione, pranzo e cena con le scansioni di un albergo di lusso (sabato a pranzo e domenica dalle 7.00 alle 10.30) mentre il Mandarin Bar apre alle 8.00 e chiude alle 2.00, salvo domenica, lunedì e martedì quando anticipa di un’ora lo stop. Il general manager del Mandarin Oriental è Luca Finardi.
conosco benissimo e li seguo con attenzione, in quanto credo nel prodotto sin da quando ho iniziato questo lavoro e adoravo sceglierli direttamente. Il salto a Milano come è stato? Come tornare a casa. Sui circa 200 dipendenti del Mandarin Oriental, una trentina vengono dal mio Salento…E in città non faccio che incontrare pugliesi! Battute a parte, Milano mi piace molto: ordinata, pulita, con uno spirito che invita alla competitività e a migliorarsi sempre. A Porto Ercole era più semplice, qui ci si confronta con locali e hotel di grande livello. Guida, lo sa che tanti si aspettano di vedere qui le tre stelle Michelin nel giro di pochi anni? Ne ho sentito parlare (ndr, sorride) e penso sia il sogno di ogni cuoco. In passato lo si inseguiva in maniera spesso sbagliata, montando e smontando il locale ma anche la propria idea di cucina, senza pensare che il primo obiettivo del nostro lavoro è avere il locale sempre pieno. Oggi mi pare ci sia meno stress ed è giusto, perché resta un errore terribile - da executive chef o da patron - trasmettere ansia e insicurezza alla brigata. Quanto al Seta, inutile nascondersi dietro a un dito: si lavora per un grande progetto e i voti positivi hanno motivato ancora di più i ragazzi come il sottoscritto. Dallo scorso luglio non si è concesso nulla salvo
21 Artù marzo/aprile 2016
Qui sopra: il MOMLN Mandarin Bar Lounge e il barman Mattia Pastori.
qualche mini-break. Vacanze mai? Eh no, questa volta dopo quattordici anni di lavoro, potrò andare in ferie nei mesi estivi. Soprattutto a Il Pellicano era impossibile…Tornerò in Salento, nella mia Depressa (ndr, frazione di Tricase), e in questo caso davvero non toccherò una sola pentola: cucina mamma Michelina, che mi ha educato al rigore e al gusto. E non vedo l’ora di riassaggiare la sua lasagna: non è un piatto ma un rito =
Dal 2016 una presenza ancora più forte e una penetrazione più capillare: Artù è nelle VIP Lounge degli aeroporti di Malpensa, Linate, Bologna, Firenze, Verona. SEGUITECI ANCHE ON AIR
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L’opinione
oggi perseguito con la lotta integrata, che riduce l’uso di antiparassitari integrandoli con prodotti che non sono di origine chimica; la conduzione biologica, che limita l’uso di prodotti chimici ai soli rame e zolfo; la conduzione biodinamica che esclude l’uso della chimica. Ma non ci si può fermare soltanto qui. Vanno utilizzati anche quei sistemi che consentono di arrivare a produrre viti che offrano una buona resistenza alle malattie, inseguendo così l’obiettivo di contenere/abbattere il ricorso alla chimica per combatterle. La recente scoperta ce n’era mai stata così tanta. Ci fu un ampio ab- del sequenzionamento del genoma della vite offre bandono della viticoltura in favore di altre coltiva- oggi alla ricerca nuove importanti opportunità: di zioni. Poi, gradualmente, si trovarono le contromisure individuare le viti che ospitano il gene della resie nel secolo scorso si individuò stenza (al patogeno) e trasfenella chimica il mezzo più effirirlo nel genoma di viti che cace per contrastare le fitopanon lo posseggono. Pratica da “La strada per tologie attraverso l’impiego di attraverso l’impiego di abbattere l’uso della avviare antiparassitari, definiti via via biotecnologie che non sono anche come fitofarmaci, pestiequiparabili agli OGM transgechimica nel vigneto cidi, veleni chimici. E la chimica, nici. Andrà chiesto ai vivaisti è lunga, se la si vuole di dedicare maggiore attenzione a farla da padrona, continuò a fornire altri prodotti ancora da condurre con successo al materiale derivante da seleimpiegare in qualità di fertilizzione massale, per non affidarsi va percorsa con zanti e diserbanti. È nel secolo totalmente alla selezione clocorrente che prende forza la nale che produce viti più fragili. coraggio” domanda di una agricoltura Al fine poi di recuperare salute che faccia meno ricorso alla al vigneto, andranno estese le chimica e si affermano per il cibo l’esigenza della pratiche che consentono di rafforzare la vitalità sanità, a protezione della salute del consumatore, del suolo. La strada per abbattere l’uso della chie della pulizia, affinché la coltivazione non divenga mica nel vigneto è lunga, se la si vuole condurre inquinante per l’ambiente. L’obiettivo primario di con successo va percorsa senza paraocchi, utilizridurre l’impatto della chimica in viticoltura viene zando tutti gli strumenti disponibili =
Contro la chimica, basta paraocchi di Angelo Gaja Tra il 1850 ed il 1890 si abbatterono sulla viticoltura europea l’oidio e la peronospora, fitopatologie nuove ed aggressive come non si erano mai viste nei secoli precedenti. I viticoltori dovettero imparare a combatterle sistematicamente con l’impiego di antiparassitari, zolfo e rame, se volevano salvare la produzione d’uva. Come non bastasse, qualche tempo dopo arrivò la fillossera ad innescare la moria delle viti, a seguito della quale si fu costretti ad estirpare la totalità dei vigneti per reimpiantarli successivamente su portainnesto di vite americana, quest’ultima resistente alla malattia. Sembrò a quel tempo che la viticoltura europea ricevesse un colpo mortale. Non fu possibile allora attribuire il disastro al supposto cattivo stato di salute della viticoltura causato da un impiego eccessivo della chimica, perché non se n’era mai fatto uso prima; alla monocoltura, perché si era sempre praticata la policoltura; alla perdita di biodiversità, perché non
24 Artù marzo/aprile 2016
L’opinione
Alè si degusta! Ma non esageriamo… avere anche un senso divulgativo ancor più difficile cantina vera e propria e salubre. Nonostante il resta da codificare quale consiglio dare prima prezioso lavoro di andirivieni dei sommelier Alla confusione che regna oggi sovrana non della scelta sulla bontà e salubrità di questo o impegnati a servire e versare. Più di una volta ho sfuggono le degustazioni del vino. Le annate per quel campione. Dunque un priassistito a degustazioni di anintenderci che vengono presentate, anno dopo mo aspetto tattico che apre la nate importanti in Italia e alanno, per rivelare qualcosa che non risponde ai disputa. Buono, troppo buono, l’estero, devo ammettere che “Spiegare un vino, canoni della certezza. In fondo il vino si rivela corretto, non pronto, migliorerà? si tratta di una cosa diversa. i terreni, la vigna, anche decine di anni dopo. Una overdose di Poi il ruolo dei produttori o di Proprio a Verona, Angelo Gaja etichette e bottiglie che raccontano di stagioni chi si presenta. Spiegare un vidi Barbaresco, ha raccontato comprendere le piovose e vendemmie più o meno riuscite. L’anno no, la proprietà, i terreni, la viBarolo Sperss di fronte stagioni, l’evoluzione ila suo comincia con le sfilate di Amarone, Brunello, gna, ricordare e comprendere una grande platea di ascolChianti e poi qualche mese dopo Barolo e Nero le stagioni, l’evoluzione ha bitatori prima e bevitori poi, in ha bisogno di un d’Avola, via via gli altri vini: dovrebbero essere lo sogno di un buon divulgatorecirca tre ore. A Yquem, dove si buon divulgatore specchio fedele di quanto beviamo. In realtà non produttore che deve essere così fa il Sauternes più noto e colo sono. Perché sono troppi 150 vini mediamente lontano dal contesto specifico stoso del mondo, il marchese e produttore” serviti in due giorni da valutare e soprattutto da ri- del suo vino e così vicino al Lur de Saluces, ha raccontato cordare, sia, primo di ogni altro, per il degustatore contesto complessivo del monla vita sua e delle bottiglie che stesso e anche per il semplice appassionato ac- do vino. Una tappa difficile. Poi il luogo. Dove si ha tappato dalle 9 di mattina all’ora di pranzo. creditato. Le papille gustative dell’uomo possono accalcano uomini e bottiglie, spesso location pia- Dunque resta questo interrogativo di fondo: servono tenere a mente tre-quattro vini e sfido chiunque a cevoli, ma inadatte al vino stesso parcheggiato im- ancora queste chilometriche degustazioni, tour di descrivere il contenuto della bottiglia numero 98. propriamente accanto a fonti di calore, luce o in 48 ore, per ricordare l’uscita dell’ultima annata? Considerato che poi queste degustazioni dovrebbero situazioni che non rispondono ai canoni di una Presentate così hanno gli anni contati = di Mauro Remondino
26 Artù marzo/aprile 2016
L’opinione
solo dopo altri 18 minuti di contestazione basata sulla richiesta di conoscere il nome del produttore, allora... solo allora appare lo Chef e l'unica cosa che sa dire è: "Ahi ahi ahi forse abbiamo sbagliato", e comunque il formaggio te lo trovi sul conto. Certo lui è sfortunato perché al posto di un tavolo di clienti russi ha trovato un cliente che è stato svariate volte dai produttori di Roccaverano. Ma questa non è una giustificazione: utilizzare un nome di qualità per stupire e poi rifilare un formaggio di qualità notevolmente inferiore, è semplicemente ingiustificabile. Qualità della materia prima, tutti ne parlano e poi? Poi c'è chi usa la qualità come pretesto o su una vita parallela il cliente che non è disposto a pagare il giusto per un branzino pescato all'amo e pensa che un branzino allevato in vasca sia sempre lo stesso pesce e quindi il prezzo corretto sia 12 Euro al piatto. Poi consulti Trip Advisor e scopri che a Roma, Milano e altre città i migliori ristoranti sono paninoteche o pizzerie al trancio. Qualità ed eccellenza, due parole di cui tutti si riempiono la bocca e che ogni giorno perdono di significato. Forse è pulire un rombo in crosta di pane, disossare ora di cominciare a parlare di qualità percepita, un'anatra muta o degustato un vino del suo ossia il grado di giudizio che riesce a dare il territorio o un distillato di alta gamma? Qualità cliente in base alle sue conoscenze, alle sue ed eccellenza sono parole che esperienze e alle sue aspettahanno un costo fatto di tempo, tive. Forse questa è la strada di esperienza, di conoscenza “Qualità ed eccellenza giusta: negli anni '80 era suffie molte volte anche di passione ciente conoscere sei persone sono parole che e di sacrificio, non possono esper essere un P.R., negli anni sere banalizzate, non possono hanno un costo fatto di '90 dopo un corso all'AIS eri essere utilizzate per promuovere sommelier esperto tempo, di esperienza, ediventato un prodotto ed un servizio ad adesso dopo un programma ogni costo. Non possiamo previsto in TV diventi esperto di di conoscenza e tendere di avere cibi e servizi cucina. Aiuto! Gualtiero Marmolte volte anche di qualità se poi non siamo dichesi usa dire che il cliente va sposti a pagarli. Accontentiaistruito, io sarei già felice se di sacrificio” moci della mediocrità! O di Chef, maître, camerieri e ristoquei ristoratori che vivono di ratori, lo accompagnassero sefurbizie dozzinali come ad esempio in un ristorante renamente alle soglie del capire e nello stesso stellato delle Alpi italiane dove, dopo varie insi- tempo lo trattassero con rispetto e non come stenze, una cameriera asserisce che il formaggio quello Chef di montagna che, siccome i clienti servito sia una Robiola di Roccaverano e anche non capiscono, può " rifilargli" ogni cosa. I miei ridopo essersi consultata in cucina con lo Chef, e spetti a chi se li merita =
Accontentarsi della mediocrità? di Oscar Cavallera Viaggiatore curioso Negli ultimi anni le parole eccellenza e qualità affiorano in ogni dove: nel manifatturiero, nella scuola, nella ricerca, nell'alimentare, nel tecnico, nella moda pronta e in altri mille luoghi di produzione e di servizio. Poi mi guardo attorno e mi accorgo che queste due fantastiche parole sono dette il più delle volte a vanvera perché nessuno è più disposto a pagare l'eccellenza di un prodotto, né la qualità di un servizio, anzi mi chiedo se un cliente sia in grado di distinguere la qualità oppure se si affidi totalmente a marchi, nomi, cognomi e pubblicità. Come si può pensare di vivere un momento qualitativamente alto bevendo un aperitivo dove con 10 euro viene proposto un buffet straripante di mille cibarie? Dove trovo l'eccellenza nel menù pranzo a 12 euro acqua e caffè inclusi? Come posso trovare la qualità nella preparazione di un ragazzo diplomato alla scuola alberghiera dopo 5 anni in cui non ha mai visto
28 Artù marzo/aprile 2016
Ceresio 7, quando il glamour è sostanza
30 ArtĂš marzo/aprile 2016
Storie di successo
di Alberto P. Schieppati
Elio Sironi, executive del ristorante, manda in visibilio con i suoi piatti strepitosi. La cucina e il luogo, una volta provati, fanno solo venire voglia di ritornarci. Per anni ho “predicato” contro i locali alla moda, vecchio, grigio palazzo dell’Enel si sarebbe trasformato come un vecchio brontolone. Luoghi, anche belli, in in un esempio così innovativo di architettura contemcui la qualità della cucina, le materie prime, il servizio, poranea, “inventando” uno spazio dall’interior design erano solo un complemento (spesso pleonastico) caratterizzato da preziosità e stile. Il progetto di alla forza della location, all’impronta trendy delle ge- Ceresio 7 nasce dalla volontà di proporre, in una stioni, alla tipologia dei frequentatori, magari antipatici cornice internazionale e connotata da un design e ma alto-spendenti. Pura questione di business, in- da un aspetto estetico di alto livello, una linea di somma. Al Ceresio 7 ho dovuto ricredermi, arrivando cucina solida, strutturata e ben identificabile per addirittura a ribaltare una percezione errata, in molti gusto, sapori, ingredienti, equilibrio. “Tutto ciò si casi figlia di diffidenze e di analisi datate. In questo realizza a Milano, in questo spazio in cui mangiare alspazio sopra il cielo di Milano, l’insegna dell’eccellenza, in un’atfra la zona Garibaldi e la zona mosfera unica, informale, ma di Sempione, glamour e estetica grande classe” sottolinea Edoardo “Pochi posti, almeno vanno di pari passo con lo stile Grassi, un approccio al cliente, il in Italia, danno e la qualità dell’offerta: vera, consuo, fatto di stile e sapienza, creta e trasparente. Questo Cefrutto di doti naturali e di espequesto senso di resio 7 Pools & Restaurant è rienze internazionali (una per contemporaneità, una destinazione che dà molto tutte, il ristorante Windows dell’di più di quanto uno si aspetti, Hyde Park di Londra), affiancato di essere dentro aldilà di ogni previsione. Il segreto nell’impresa, partita due anni or al movimento sta lì, nell’offrire un ventaglio di sono, dallo chef Elio Sironi, da proposte, di sensazioni, di atmoMarco Civitelli e da Luca Pardini. delle cose” sfere che danno il senso dell’au“Ceresio 7 nasce dall’idea di ritenticità, dell’esperienza irripetiproporre Elio Sironi al pubblico bile, di qualcosa che sta a metà strada fra il desiderio milanese, con la grande chanche di rivoluzionare i cae il sogno. In pochi locali ho provato una sensazione noni ormai consolidati dell’offerta gastronomica misimile (al Dry, per esempio, dove Guglielmo Miriello, lanese”, aggiunge Edoardo. Ceresio 7 vive tutta la con la sua calma zen, atarassica e vigile, gestisce giornata, offrendo ai clienti un’atmosfera rilassante, una clientela super-esigente, o al Mio Bar dell’Hyatt, avvalorata da un roof garden con due piscine scoperte dove Nicola Ultimo, il maestro, sovrintende il grande che si affaccia su Milano e consente di delinearne i teatro dei consumi di fascia alta con sapiente attenzione ai particolari). Pochi posti, almeno in Italia, danno questo senso di contemporaneità, di In alto: Elio Sironi, chef del ristorante. “essere dentro al movimento delle cose”. D’altra A lato: il roof garden del locale con una delle due piscine parte, nessuno si sarebbe mai aspettato che il scoperte che si affacciano sullo skyline milanese.
31 Artù marzo/aprile 2016
Storie di successo
contorni, dai grattacieli più recenti fino alle testimonianze storiche del vecchio reticolo urbano del quartiere: un panorama mozzafiato. Lunch in terrazza, aperitivo bordo piscina o, la sera, all’American Bar, con i drink della scuola internazionale e i twist con prodotti italiani (bitter, infusioni, amari, aperitivi del secolo scorso). Appetizer eccellenti, all’altezza dei drink, uno sopra tutti: la semplice ma intensa focaccia calda con mortadella al pistacchio. Poi la cena, con i grandi piatti di Sironi, e il dopocena nella Cigar Room, con una fantastica selezione di distillati “last drop”, per chiudere la serata. L’offerta di Ceresio 7 è completa, al punto che richiederebbe, detto senza polemica, un approccio più trasversale da parte della critica, che si ferma a definire la proposta di ristorazione di Sironi connotata da “una cucina che rispolvera, modernizzandoli, i grandi piatti della cucina italiana”. Siamo d’accordo, ma i piatti di Elio Sironi meritano qualche parola in più, o no? Facciamo
qualche esempio, provato di persona a fine febbraio: il Carpaccio di dentice crudo con bottarga è di rara bontà, la Capasanta con scaloppa di foie gras indimenticabile, i Ceci rossi di Norcia, tortellini con mais e baccalà strepitosi per bellezza e bontà (e usiamolo ‘sto termine: bontà!), per non dire dei Vermicelli con verza stufata e salsa “gricia”, voci presenti in carta che compongono un mosaico perfetto, senza eccessi, né sbavature di impronta “rivisitatrice” (non se ne può più di “chiave moderna” ecc…). Un altro piatto al quale bisognerebbe inchinarsi, perché nasce da una analisi onesta delle aspettative gustative di una clientela contemporanea, è la Ricciola con carciofi e caprino caramellato: piatto armonioso, che trasmette serenità e appaga senza stupire. Questa, credo, sia la vera forza di Elio: non cercare l’applauso a tutti i costi, non accelerare sulle futili aspettative spettacolari ma puntare dritto e deciso su quel “bisogno di buono” che aleggia, spesso inespresso e male interpretato, nella società contemporanea. Bravo Elio. Ancora, cito a memoria dalla carta: Salmone al fegato d’oca, blinis di caprino e mango, Gamberi di Sicilia crudi, finocchi arancia e cioccolato, Tartare fine di manzo, Rafano e capasanta alla piastra; Vermicelli arrabbiati, broccoli e tartare di scampi, Ravioli ripieni con tartare di vitello, n’duja, capperi e limone; Rombo e spinaci al sesamo, fumetto al pinot bianco, Spigola e carciofi, aneto e purée di topinambur, Agnello del Dorset, rape rosse, prugne e fondente di pecorino; Castagne e cachi gianduia e sorbetto al melograno,
32 Artù marzo/aprile 2016
Tiramisù “distratto”, pistacchi caffè e fior di sambuco. Mi fermo perché non mi piace scivolare in un’elencazione che rischierebbe di apparire pedissequa: preferisco soffermarmi su quello che ritengo essere il valore aggiunto di Elio Sironi e della sua cucina. Vale a dire: la capacità, legata evidentemente al talento di questo cuoco cinquantenne, brianzolo di Casatenovo (in provincia di Lecco), patria dei Vismara (quelli del salumificio), nel rendere le materie prime protagoniste di ogni singola emozione gustativa. Piatti, insomma, che fanno dire “wow” senza bisogno di essere
Nella pagina a lato: Edoardo Grassi, Luca Pardini, Elio Sironi e Marco Civitelli; un piatto di Elio Sironi e alcuni scorci del locale.
esercizi masochistici. Ovvio dunque che sia la qualità assoluta degli ingredienti e l’uso di tecniche di cottura tradizionali a fare la parte del leone in cucina: perché i sapori devono essere trasmessi con fedeltà alle origini, senza anacronismo ma con grande rispetto del tempo. Dunque, Elio Sironi interpreta solo se stesso, pur avendo amori e maestri: già dai tempi della sua presenza al Bulgari, sempre a Milano, di lui avevo colto la tenace e caparbia capacità di personalizzare i piatti in chiave di consistenza e struttura. Il tempo, le esperienze, sorrette da una curiosità totale e da un’intelligenza inquieta e lungimirante, ne fanno oggi uno dei miei cuochi preferiti. Anche il capitolo vini, come la cucina, si fonda sulla valorizzazione di etichette di alto profilo, fuori dalla “cupola” che domina gran parte della scena ristorativa milanese: alla base, come conferma - a nome del gruppo di lavoro del Ceresio sezionati, senza che vi sia la necessità di analisi o in- 7 - Edoardo Grassi, la volontà di ricerca di prodotti dagini suppletive (che amano tanto fare certi critici “da poter raccontare, scoprire e far scoprire, privilegastronomici incapaci di godere) ma che esprimono giando dove possibile le uve storiche e più vocate se stessi a tutto tondo, nella loro dignità di piatto per ogni territorio produttivo”. Chapeau, anche per i diretto, senza quelle complessità tortuose, degne di ricarichi: intelligenti, onesti, rispettosi =
33 Artù marzo/aprile 2016
Storie di successo
De La Ville a Monza, stile impeccabile edificio di fine Ottocento che si compone di 70 camere e di una dependance, “La Villa”, di raro fascino. Ogni stanza è arredata con estrema raffinatezza I fratelli Nardi, patron della e cura, gli spazi comuni sono arricchiti da complementi prestigiosa struttura, hanno dato d’arredo preziosi e da oggetti di antiquariato, in estrema importanza all’offerta di linea con un rispetto per l’“heritage” che permea discretamente l’atmosfera. Argenti, porcellane, mapristorazione dell’hotel, guidata da pamondi, specchiere, libri antichi, stampe pregiauno chef del calibro di Fabio Silva. te… Lo stile, da alcuni definito british, è in realtà strettamente legato alla cultura e alla formazione Monza è la terza città di Lombardia per numero di professionale di chi guida la struttura stessa: Tany abitanti. Dopo Milano e Brescia, arriva lei, buona (Arcangelo) Nardi e il fratello Luigi, patron del De terza: i monzesi sicuramente se ne possono vantare. La Ville dal 1958, affiancati dai rispettivi figli, BartoDevono anche sapere, però, che, dal punto di vista lomeo e Francesco, hanno un background imprendituristico, è forse la meno blasonata della regione. toriale senza uguali, fatto di conoscenza dei mercati D’accordo, c’è la Villa Reale, esempio unico di ar- e supportato da stile e profondità di analisi, grazie chitettura neoclassica, con uno dei parchi più belli al quale hanno portato la struttura monzese ad e vasti d’Italia; per non dire del Duomo e del centro essere un riferimento per la clientela internazionale storico, monumenti di valore storico altissimo; è (business e leisure) ma anche e soprattutto per i vero, c’è il Gran Premio di Formula 1, ma “copre” gourmet che frequentano il Derby Grill, il ristorante un periodo brevissimo, senza dell’hotel. La location del De La dare alcun tipo di continuità a Ville della famiglia Nardi è più un indotto che non esiste; cer- “Fabio Silva ha imposto unica che rara. Proprio di fronte tamente ci sono molte aziende alla Villa Reale, evoca sensazioni la sua linea di cucina parigine (non per scimmiottare sul territorio, ma la crisi degli ultimi anni ne ha minato crescita i francesi, ma per sottolinearne quale modello di e competitività. Soffocata fra il la grande capacità nel saper “talento e passione” lago di Como e Milano, Monza rendere statutaria la propria ofsi trova ad essere il capoluogo in modo equilibrato e ferta complessiva). Una volta di una Brianza che, negli ultimi entrati, già dalla reception si anni, si è resa evanescente, im- discreto, con attenzione comprende di essere in un luogo poverita, incapace, forse, di vaspeciale: aldilà della professioagli ingredienti” lorizzare un grande patrimonio nalità di chi accoglie gli ospiti, (di ville storiche, di paesaggi si è colpiti dalla impeccabile orcollinari, di tradizioni culturali, di opere d’arte) che ganizzazione del ricevimento, all’insegna dell’esclusività avrebbe potuto avere un maggiore richiamo, anche e di un lusso comunque non ostentato. È evidente turistico. Ma la regola deve essere: mai piangersi che in un posto simile l’offerta di ristorazione sia addosso, cari monzesi. Anche perché avete fra le strategica, fondamentale per l’immagine elevata mani quello che si può ben definire un patrimonio dell’albergo che, non a caso, fa parte degli Small inestimabile: una residenza prestigiosa, dalla struttura Luxury Hotels of the World. Una ristorazione vincente maestosa ed elegante, dall’ospitalità raffinata e deve essere articolata, ben strutturata e perfettamente dallo stile caratterizzato, al cui interno opera un ri- definita, in ogni dettaglio, dalla scelta delle materie storante con un offerta di cucina “stellare”, che prime, alla formazione del personale, al food cost. merita il viaggio (come dice Michelin). L’Hotel De Impossibile indulgere a spontaneismi o pseudoinLa Ville è un luogo di accoglienza superlativa, un ventive, qui la brigata di cucina deve essere ben ordi Alberto P. Schieppati
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Qui sopra: lo chef Fabio Silva e la sala del Derby Grill. A lato: un esterno dell’Hotel De La Ville e la terrazza ristorante e bar.
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Storie di successo
ganizzata, motivata e pronta ad affrontare un mercato, quello della ristorazione gourmet, sempre più difficile ed esigente. Ogni errore di valutazione,
Sopra: il maître Roberto Brioschi con lo chef Fabio Silva al Derby Grill e una camera Deluxe. Qui a destra: Tany Nardi.
ogni leggerezza, ogni ingenuità rischierebbero di vanificare gli obiettivi ambiziosi della proprietà. È da questa tensione positiva, sorretta da un gioco di squadra formidabile, che nasce l’impostazione del Derby Grill, forte di una guida in cucina determinata e capace, aiutata da una perfetta organizzazione della sala, dove governa Roberto Brioschi, maître dall’esperienza forte e consolidata, supportato da Antonio Renzulli. Fabio Silva, 38 anni compiuti il 21 marzo, cuoco napoletano residente in Brianza, aderente a Eurotoques (presieduta da Enrico Derflingher), è cuoco di talento: sarebbe troppo facile “liquidarlo” con lo scontato appellativo di chef “creativo”, in realtà Fabio è un professionista interamente votato alla causa della cucina “alta e buona”. Alta,
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per selezione e qualità delle materie prime e degli ingredienti; buona, per stile, correttezza e genialità delle esecuzioni e delle presentazioni nel piatto. D’altronde, Tany Nardi sa perfettamente che è dalla bontà dei piatti (e dal valore della cantina) che arriva la soddisfazione della clientela. E la bontà ha un valore importante che, in tempi come questi, deve essere proposto alla clientela con lealtà e rispetto. Un esempio arriva dalle proposte di menù degustazione di “cucina tradizionale lombarda”, dove Fabio Silva esprime notevole capacità di aderenza a ricette del territorio lombardo e monzese in particolare (qualche piatto dai due menù in carta: Terrina di anguilla, barbabietola all’agro di lamponi e il suo sorbetto sapido, Ossobuco di vitello in gremolata e
riso agli stimmi di zafferano, Dolce tiepido alle mele Golden della Valtellina con crema di vaniglia e gelato alla cannella o, in seconda battuta: Risotto con la luganega magra, specialità di Monza, la vera Costoletta alla milanese, poco battuta e a doratura lenta nel burro chiarificato, la Torta di pane e cacao con pinoli ed uvette da vecchia ricetta brianzola, Crema al mascarpone). Che dire? La costoletta è fra le migliori mai mangiate, in linea con le attese di chi la desidera “come dev’essere”: morbida, al giusto rosa, alta il centimetro e mezzo, non biscottata né “primaverata” (orribile moda), né orecchia di elefante, ma panata armonicamente e cotta lentamente nel burro chiarificato, ovvero privato di siero acqua e caseina. Insomma, anche per cucinare un piatto semplice è necessario un approccio complesso e sapiente, mai banale, capace di trasmettere sapori non sapidi e gusti non gustosi…. Certo, Fabio Silva forse apprezzerebbe di più se lo si citasse anche per altri piatti, di impegno superiore e di passione talvolta esplosiva: ed eccolo accontentato. Il Sashimi di gamberi rossi e testina di vitello rosolata, con la
giardiniera di ortaggi, o l’Uovo cotto a bassa temperatura con asparagi verdi e tartufo nero sono antipasti di buon equilibrio, mentre la Trota salmonata cotta a bassa temperatura, sorbetto di barbabietole e rape è fantastica. Il Risotto Carnaroli Riserva San Massimo, con formaggio Resegone, nocciole tostate, sedano e rapanelli delizioso per sapore complessivo, tostatura del riso e mantecatura non troppo cremosa. Il trancio di baccalà cotto nel latte, crema di polenta e cipolline borettane, esemplare per pienezza e struttura. Beh, ci troviamo di fronte a uno chef (al De La Ville dal 2011) di grande valore, che ha
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Qui sopra: la Sala Reale per gli eventi di gala dell’hotel, un particolare della cucina e un piatto dello chef Fabio Silva.
portato la sua vena partenopea in terra brianzola e, senza rivisitazioni modaiole, ha imposto la sua linea di cucina quale modello di “talento e passione” in modo equilibrato e discreto, con profonda attenzione agli ingredienti, senza rulli di tamburo e, ciò che più conta, senza indulgere a spettacolarizzazioni esasperate. E, spesso, esasperanti =
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Storie di successo
Appius 2011 È la volta del Sauvignon della sostanza con una macerazione sulle bucce prolungata di due giorni. Le barrique hanno poi accolto per un anno la perfetta combinazione di Il winemaker Hans Terzer della Sauvignon, Chardonnay e Pinot Grigio. Ed è proprio Cantina San Michele Appiano ha questo che Hans Terzer vuole trasmettere con le presentato al Merano WineFestival uve selezionate personalmente: “Vogliamo ricavare il meglio dalle nostre aree di produzione per poter la seconda edizione del suo competere alla pari con le zone di produzione vinicola più rinomate al mondo” e Appius 2011 ne “vino da sogno”: Appius 2011. rappresenta senza dubbio l’esempio perfetto. A Alla fine del 2014 Artù gli aveva dedicato la cover quattro anni dalla vendemmia si presenta a un pubdel N°65 e tra i “protagonisti”, nelle primissime pa- blico selezionato e competente per entusiasmare e gine, si parlava di una sfida ambiziosa, quella di stupire i grandi intenditori nonché i grandi appasHans Terzer e del suo “sogno” di produrre un vino sionati: intensa la varietà di profumi come la pesca unico, frutto “del meglio delle nostre uve, delle e la pera che rimandano al Pinot Grigio e Chardonnay, nostre viti e dei nostri terroir”: Appius 2010. A ma anche frutti più maturi e tropicali come il distanza di un anno il sogno si rinnova, ogni anno mango, accompagnati da note più vegetali, a testidiverso ma sempre nell’ordine dell’eccellenza, frutto moniare la presenza del Sauvignon, come erbe medel lavoro di ben 30 anni: il vino dovrà essere una diterranee. Morbidezza e freschezza si insinuano alsorpresa ogni anno. “Ci sono anni con maggiore l’assaggio con una nota vivace di mandarino. aroma e frutta, ci sono annate Raffinato ed elegante, come si caratterizzate da più acidità e addice a un vino di tale portata, mineralità oppure anche annate il design della bottiglia, interpre“La creatività più complesse. Tutto questo ditato ogni anno con una collezioe l’esperienza di Hans ne numerata: l’etichetta riporta pende da tanti fattori esterni, e proprio questi dovranno essere la sequenza della formula di FiTerzer hanno dato percepibili e assaporabili nelbonacci, a testimoniare la contiorigine a una nuova l’Appius” dichiarava Hans Terzer. nua tensione di Hans Terzer alla Obiettivo centrato. Al Merano visione nella produzione ricerca della realizzazione del WineFestival 2015 l’attesa per vino perfetto. La cantina di San della cantina di San la seconda edizione di Appius Michele Appiano, con oltre 100 era palpabile, un’attesa ricomanni di attività, ha saputo rinnoMichele Appiano” pensata da una produzione livarsi e cambiare la propria idenmitatissima, 5000 bottiglie di tità, nonché filosofia di produelevata caratura simbolo della continua ricerca tesa zione, grazie all’intuito di uno dei migliori 10 alla perfezione dove, in questa wine collection, winemaker al mondo - così definito nel 1997 dal domina il Sauvignon Blanc come protagonista, ac- Gambero Rosso -, e con Hans Terzer inizia un compagnato a Chardonnay e Pinot Grigio, una percorso fatto di successi, di duro lavoro e caperbietà, scelta di uve pregiate provenienti dai vigneti migliori. un percorso che ha portato la Cantina di San L’annata scelta, il 2011, ha regalato una maturazione Michele Appiano al successo elevando lo scenario perfetta delle uve, grazie a una primavera calda e vitivinicolo dell’Alto Adige nel mondo: 340 soci, un’estate ben ventilata, fresca e piovosa all’inizio 380 ettari (70% uve bianche e 30% uve rosse) terminata con un settembre molto soleggiato. Ricche vitati su altitudini dai 250 ai 700 metri, 2,5 milioni e succose, alle uve di Sauvignon Blanc è stato riser- di bottiglie vendute in oltre 38 Paesi e un fatturato vato un trattamento speciale per estrarre il massimo annuo di 18 milioni di euro. I numeri oggi parlano di Elisa Facchetti
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Sopra: il winemaker Hans Terzer e la sede della cantina di San Michele Appiano. Nella pagina a lato: i vigneti e la chiesa del Calvario sul monte omonimo, detto il “Dosso Gleif”.
Storie di successo Appius 2011 Per la seconda volta Hans Terzer realizza l'idea di produrre il vino dei suoi sogni. Nell'Appius 2011 il protagonista principale è una delle varietà d'uva più importanti della Cantina San Michele-Appiano, il Sauvignon, accompagnato dallo Chardonnay e dal Pinot Grigio. La bassa resa, le uve completamente mature provenienti da viti di 2535 anni, il lavoro meticoloso nei vigneti e in cantina, sono gli ingredienti che caratterizzano questa straordinaria cuvée. Appius 2011 promette assaggi eccellenti anche dopo molti anni di invecchiamento. Dal colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, presenta aromi consistenti di frutti tropicali, abbinati all'uva spina, bacche di sambuco e vaniglia tostata; in bocca è cremoso, morbido, fresco, minerale, concentrato e complesso. Vitigni Varietà: Sauvignon, Chardonnay, Pinot Grigio Età: 25-35 anni Vigneti Località: vitigni selezionati ad Appiano Esposizione: sudest/sudovest Terreni: calcareo-ghiaiosi e morenici Forma di allevamento: guyot Vendemmia Da metà a fine settembre Vinificazione Fermentazione, in parte malolattica e affinamento sui lieviti in barrique-tonneau. L'assemblaggio avviene dopo quasi un anno cui fa seguito un'ulteriore maturazione e affinamento di tre anni in tini d'acciaio. Temperatura di servizio 8-10°C Consigli d'abbinamento Appius 2011 è ottimo per accompagnare piatti di pesce decisi a base di rombo o coda di rospo, ma si abbina benissimo anche al risotto ai funghi o alle specialità al tartufo. Inoltre si sposa perfettamente con piatti gustosi che vedono protagonisti la quaglia e il piccione, nonché con le animelle di vitello fritte ai funghi. da soli, ma per consolidare questo impero ci sono voluti molti anni, alcuni difficili, fino alla svolta (fine degli anni ‘80), con la consapevolezza di puntare sulla produzione di vini bianchi, nel grande parterre di una produzione mondiale di rossi. La scelta di Hans Terzer, e la sua passione per i vini bianchi, è la risposta che da molto tempo la
Qui sopra: il winemaker Hans Terzer e una bottiglia di Appius 2011.
con un vino nuovo, nato da una riflessione e da un lavoro trentennale: “L’idea dell’Appius me la porto dentro da tanto tempo, dovevo solo attendere il momento giusto” dice Hans Terzer. E nel 2014 il sogno si avvera. Appius è la prima cuvée che non solo porta la firma dello stesso Hans Terzer, ma è il suo “vino da sogno personale” nato con lo scopo di realizzare una wine collection in grado di entusiasmare ogni anno gli appassionati di vino di tutto il mondo: “Volevo raccogliere a parte proprio l’uva di queste viti, affinarla e produrne un vino completamente nuovo e strepitoso. Un vino come nessun altro prima nella cantina di San Michelecantina di Appiano stava aspettando, un impulso Appiano”. La creatività e l’esperienza di Hans per qualificare le zone climatiche adatte come l’Ol- Terzer hanno così dato origine a una nuova visione tradige a produrre grandi vini bianchi. Con la Linea nella produzione della cantina di San Michela ApClassica, la Linea Selezione e con Sanct Valentin, piano, prima elevando il Sauvignon, Pinot Bianco, fiore all’occhiello della produzione, Hans Terzer Pinot Grigio, Chardonnay e Gewürztraminer ai primi esalta la perfezione di questi vini: “La qualità non posti tra i migliori vini bianchi italiani, e poi con la conosce compromessi. Il mio obiettivo è quello di “sequenza” di Appius per valorizzare e interpretare produrre vini di elevata qualità non solo in quantità nei migliori dei modi ogni annata dei vitigni migliori. ridottissime e per un gruppo esclusivo di intenditori. Le edizione di Appius, 2010 e 2011, sono limitate, Ogni appassionato dovrebbe trovare sul mercato i ogni bottiglia è numerata e accoglie dentro sé un nostri vini pregiati ad un prezzo accessibile. Non potenziale di invecchiamento di almeno dieci anni, siamo ancora al traguardo e gli obiettivi da rag- un valore che aggiunge ancora più fascino e che giungere sono ancora tanti, sia per i rossi che per saprà sorprendere, a distanza di anni, l’intenditore i bianchi”. Ma il grande traguardo stava per arrivare, che l’ha acquistato =
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Storie di successo
Offerta vino, qualcuno fa sul serio naturali, da qualche anno riteniamo invece che questo tipo di proposta sia limitante. Vogliamo proQuattro professionisti, in diverse porre un vino buono, sia gustolfattivamente sia salubremente, coerente e onesto (anche nei prezzi). aree del Veneto, qualificano la Caratteristiche che non sono prerogativa esclusiva dei vini naturali. La nostra sfida è dare un grande proposta del vino rivolgendosi vino rispetto alla qualità-prezzo”. a una clientela stanca di luoghi Ora cambiamo scenario, sentiamo il parere di Pierluigi Portinari, grande patron di sala e raffinatiscomuni e in cerca di novità. simo esperto di vini, fratello di Nicola, chef bistellato Vino al centro. Visto da quattro angolazioni diverse. (dal 2009, prima stella nel ’96) de La Peca in quel Il racconto di quattro protagonisti che lo vivono di Lonigo, provincia di Vicenza. Tempio di una ristoquotidianamente nei loro ristoranti, osterie, pizzerie. razione di alta cucina, di solida tradizione ma in coCominciamo con Luca Olivan proprietario insieme stante, dinamica evoluzione. Una carta che è la a Federico Biasinutto delle Osterie Moderne, a Treccani del vino, con oltre duemila etichette da Campodarsego in provincia di Padova. In quindici tutto il mondo. “Ho iniziato ventotto anni fa a anni organizza quattrocentocinquanta serate di de- costruire la cantina, prima concentrandomi sul gustazione, durante le quali fa assaggiare agli ap- meglio di ogni regione italiana, poi dedicandomi alpassionati circa diecimila etichette, a prezzi veramente l’estero, in particolare la Francia. Ora i criteri sono onestissimi. In carta poi, mette a disposizione un esclusivamente legati alla qualità delle sensazioni migliaio di vini (anche per l’aspordurante l’assaggio e all’abbinato). Luca è un oste dei tempi mento con la nostra cucina. In moderni: accoglienza, grande questo momento trovo partico“Il vino visto da ricerca della materia prima, atlarmente indicati alle nostre riquattro angolazioni tenzione a tutti i dettagli, ma cette i vini minerali e con una soprattutto passione di far culspiccata acidità, con una netta diverse: quattro tura, di trasmettere conoscenza, preferenza per il Riesling. L’abprotagonisti rendendola accessibile anche binamento cibo-vino è complesa chi non può permettersi di so ma molto appagante, e quanlo raccontano spendere molto (esempio condo funziona risulta essere la nella loro esperienza somma delle due qualità. Però creto: una serata sulla Borgogna, sedici vini di produttori famosi, può diventare una sottrazione... quotidiana” con annate fino alla 2007, quaLa base di partenza è quella ranta euro). “Ho pensato di metcodificata dall’AIS, ma in pratica tere il vino sul palco, l’ho fatto salire in console a ho abbandonato qualsiasi schema, ascoltando suonare la serata. Ad ogni degustazione arrivano solo le mie sensazioni. Il cliente si fida delle dalle centotrenta alle trecento persone, con le proposte che gli sottopongo, studiate sempre sulquali ci confrontiamo e conversiamo. La nostra l’armonia dei due elementi, anche rischiando di carta vini nasce anche dallo scambio che instauriamo suggerire un vino che potrebbe non piacere ma con persone delle quali ci fidiamo, assidui frequen- che sul piatto viaggia bene, esaltandolo”. tatori dei nostri appuntamenti. Certo, poi partecipo È il turno ora di un pezzo di storia enogastronomica sempre alle manifestazioni del settore, sono in co- veronese (e non solo), quella Bottega del Vino stante collegamento con gli esperti. Nel tempo ho nata nel 1890, che vanta una cantina di diciannosviluppato un mio percorso enoico. Per esempio, vemila bottiglie, con quattromiladuecento etichette all’inizio siamo partiti dando molto spazio ai vini in carta. Ce ne parla Alberto Bongiovanni, sommelier: di Alessandra Piubello
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Sopra: Luca Olivan e Federico Biasinutto, proprietari delle Osterie Moderne e la sala del locale. A lato: la cantina de La Peca (ph. Gabrio Tomelleri).
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Storie di successo
“Al banco, dove serviamo tanta clientela che viene per l’aperitivo e per i classici ‘cicchetti’ (spuntini), proponiamo circa cinquanta etichette, anche di vecchie annate, fra bollicine, bianchi, rossi (almeno cinque Amarone) e dolci al calice. Questa è la casa dell’Amarone, per tradizione, lo chiedono sempre anche quando l’abbinamento con il piatto non è sintonico. D’altronde i classici canoni AIS sono affidabili ma inattuali, ormai i piatti sono modulati su nuove idee di cucina, più complesse, e si possono proporre vini che un tempo erano impensabili. Il cliente si affida quasi sempre al mio consiglio, e io punto sull’equilibrio del piatto e sulla territorialità. Cerco di rendere le cose semplici e parlo con la pancia più che con la testa. Sdrammatizzo, evitando la sacralità di alcuni sacerdoti del vino e facendo sentire il cliente a proprio agio, sempre”. E ora passiamo la parola a Simone Padoan, il pizzaiolo che ha reso famoso il concetto della pizza gourmet. Ai Tigli, a San Bonifacio di Verona, propone una pizza lievitata con pasta madre, fragrante e digeribilissima, farcita di ingredienti di prima scelta e di tanta creatività. “Fin dalla fondazione, nel 2004, ho scelto di suggerire l’abbinamento con il vino alle mie pizze e non con la birra, che non fa parte della nostra tradizione. Ho organizzato per anni serate di degustazione con un vino a tema, mettendolo in assaggio insieme alla pizza.
Per farne capire l’importanza a chi lo rifiuta per abitudine o per preconcetto. Oltretutto trovo che sia più digestivo da unire al lievitato rispetto alle birre. Per esempio le bollicine sono un accompagnamento perfetto, dallo Champagne ai nostri autoctoni Durello e Garganega rifermentata in bottiglia. Quaranta delle cinquanta etichette che abbiamo in carta sono a disposizione alla mescita, in ogni caso se il cliente ordina la bottiglia avvisiamo subito che se la può portare anche a casa nell’apposito contenitore. Il criterio fondamentale nella scelta di tutti i vini è il naturale, da più di vent’anni. Siamo stati pionieri anche in questo e ne siamo ancora pienamente convinti. Cerco di dare identità ed espressività in tutto ciò che faccio, sia nel cibo solido sia nel cibo liquido, per il benessere del commensale”. Ma quali sono i vini più di tendenza? “Per l’Italia spiega Pierluigi Portinari - i Nerello Mascalese dell’Etna, i bianchi del Vesuvio, valdostani e qualche friulano, non i Nebbioli di Langa ma i Gattinara, i Valtellina, i Lessona; per l’estero Riesling, Loira, Borgogna, Jura e gli champagne dell’Aube”. Alle Osterie Moderne vanno molto i vini del territorio, Colli Euganei, Colli Berici, ma soprattutto Barbera e Lagrein. Poi il Pinot Nero dell’Alto Adige, il Valpolicella Superiore, le seconde e le terze linee delle grandi realtà toscane. Il Soave è in crescita, il Lugana va molto ed anche il Vermentino sardo. C’è un ritorno al consumo dello Champagne, mentre il Lambrusco è stata una moda passeggera. “Il vino per me è convivialità da un lato - afferma Luca Olivan - e dall’altro intimità del proprio percorso di scoperta. Lo svolgersi del mio viaggio enoico dopo tanti anni di assaggi mi ha riportato alle origini: alla piacevolezza della semplicità”. Alla Bottega
In alto: lo staff de La Peca, lo chef Nicola Portinari, il patron e sommelier Pierluigi Portinari e l’art director Cinzia Boggian (ph. Gabrio Tomelleri). Qui a lato: l’insegna e una sala interna dell’Antica Bottega del Vino di Verona.
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del vino, dopo l’imperante Amarone, grande successo per i Barolo, per Prosecco, Franciacorta, Champagne, Lugana, Soave, Brunello, Montepulciano d’Abruzzo. “Penso che - dice Alberto Bongiovanni - nel futuro potrebbero emergere i vini dell’Etna, i Fiano, i Colli di Luni. L’attenzione per i biologici e i naturali è molto viva, infatti ne abbiamo molti in carta. La nostra lista, che come etichetta più datata ha un Acinatico di Bertani del 1928 (ma ci sono anche gli Amaroni Bertani dal ’59, Château Lafite-Rothschild ’51 e tanto altro), propone anche degli emergenti. Qualche esempio? Monte Santoccio e Aldrighetti per la Valpolicella, Cascina Roccalini e Olek Bondonio per il Barbaresco, Villa Calicantus per il Bardolino, Emmanuel Brochet per lo Champagne, Georges
Noëllat per la Borgogna, Patrick Piuze per lo Chablis, Schäfer Frölich per la Renania Palatinato”. Nicola Portinari, che propone vini che spaziano dai 18 euro di un Vespaiolo sur lie a un Romanée-Conti a 12.500 euro, anche se poi i clienti si assestano in media su una spesa di 70 euro, punta su altri nomi: “Per l’Italia penso a Sauro Maule e Daniele Portinari per rimanere in provincia, fuori opto per Guccione in Sicilia, Ampeleia con il suo Alicante, Antonio Camillo con il suo ciliegiolo, Ciro Picariello con il brut contadino, ma è un momento di grande fermento e di novità, per cui potrei continuare. In Francia direi Domaine Rietsch con il suo intrigante Pinot Nero alsaziano e poi Jean-Claude Berrouet con il suo elegante e minerale Irouleguy prodotto a Ispoure sui Pirenei, (il produttore non è un emergente, era l’enologo di Petrus, ma l’azienda sì). Per la Germania e quindi Riesling, Ansgar Clüsserath in Mosella e a Schäfer Frölich
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nella Renania Palatinato”. Opinione comune, per tutti, l’aumentata conoscenza e preparazione dei clienti. Finita anche l’era del terrore etilometro, i consumi a tavola sembrano essersi ripresi, con maggior consapevolezza. E allora, al colto e all’inclita: in alto i calici, brindiamo alla vita =
Qui sopra: la sala della pizzeria I Tigli di San Bonifacio, il pizzaiolo gourmet Simone Padoan e una pizza lievitata con pasta madre.
Storie di successo
Barbara Tamburini la signora del vino di Rocco Lettieri
Protagonista del mondo del vino, l’enologa Barbara Tamburini ha al suo attivo importanti consulenze con aziende vitivinicole di prim’ordine. In una giornata di quasi fine ottobre mi incontro con Barbara Tamburini a Rovereto, dove si sta svolgendo Mondo Merlot, e caso vuole sia lei la vincitrice con due vini sul podio, ormai un classico di questa competizione. A Barbara, in occasione di questa manifestazione, è stato consegnato anche un riconoscimento speciale, tutto suo, il premio “Protagonisti eccellenti” del mondo del vino. Da lei un rimprovero severo: “Sono due anni che mi aspetto una tua visita nella mia nuova casa di Castellina Marittima”. Fortuna vuole che una settimana dopo io sia in Toscana per degustazioni tra Prato e Carmignano. Prendo la palla al balzo universitario in Tecnologie Alimene dico ok, mi allungherò sino a “Barbara è una delle tari nel 2000. Dopo aver svolto Castellina Marittima la mattina vari periodi di tirocinio in alcune donne del vino più di sabato. Puntuale come uno aziende toscane durante gli studi svizzero arrivo con l’aiuto del naintriganti per profes- universitari, inizia la propria attività vigatore in cima ad una collinetta, di enologo nel 1999 con imporsionalità, piacevolezza tanti consulenze, che vanno via dove si trova una villetta, da dove, girando gli occhi, si può e caparbietà nel fare via aumentando di numero negli spaziare sulla valle sottostante, anni, dapprima in Toscana e, più vini di grandissimo sino al mare. Qui vive Barbara, tardi, in Umbria, Piemonte, Lomuna delle donne del vino più inbardia, Emilia Romagna e Sicilia. spessore” triganti per professionalità, piaLa sua conoscenza nel 1994 in cevolezza e caparbietà nel fare Toscana con il maestro Vittorio vini di grandissimo spessore e fine qualità. Donna Fiore, enologo di lunga esperienza e di fama interna“sposata” per il momento solo con il vino, realizza at- zionale, segna l’inizio di un percorso di collaborazione traverso la propria filosofia un equilibrato connubio che, per alcune realtà produttive, continua tutt’oggi. fra tradizione e modernità. I molti produttori che a lei Animata da intensa curiosità professionale, si cimenta si sono rivolti per ottenerne la collaborazione dichiarano con successo nell’elaborazione di vitigni sia autoctoni di apprezzare soprattutto la sensibilità nel saper inter- che di provenienza estera. La sua prima vendemmia pretare le potenzialità dei vitigni e nel sapere esprimere la fece nel 1996 nella Tenuta di Capezzana; nel il legame con il territorio in cui sono coltivati. Barbara 1999 è a Gualdo del Re (Suvereto) firmando l’intera si laurea in Viticoltura ed Enologia all’Università di gamma dei vini aziendali per Nico Rossi e Maria Pisa nel 2002, dopo aver già conseguito il diploma Teresa Cabella. Ed eccola quindi a fare consulenze
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Sopra: Barbara Tamburini con l’enologo Vittorio Fiore.
ad altre importanti realtà vitivinicole italiane tra cui ricordo Fattoria di Grignano in Chianti Rufina, Le Poggiarelle e Colline San Biagio a Carmignano, Castel Pietraio a Monteriggioni, La Corsa a Orbetello, Le Regge a Greve in Chianti, Tenuta Roccaccia a Pitigliano, Cecilia sull’Isola d’Elba, Goretti di Perugia, Le Mura Saracene di Montefalco, e quindi in Valtellina con l’azienda Triacca dopo e non ultime le collaborazioni con Antonella D’Isanto de I Balzini a Barberino Val d’Elsa, Podere Ristella di Ribolla, Tringali Casanuova di Bolgheri. Le sue incredibili capacità di interpretare la sua vita in maniera dinamica e vivace, l’hanno portata ad essere la quinta donna al mondo, il 29 ottobre 2004, a salire su un MB339 - il mitico aviogetto delle Frecce Tricolori - ed insieme al comandante della Pattuglia Acrobatica Nazionale, fare un’ora di volo acrobatico nei cieli del Friuli. Che dire…Con lei si vola in alto = www.barbaratamburini.it
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Focus food
Open Blue, acqua pulita per un pesce perfetto di Fiorenza Auriemma
Allevare pesci in un ambiente ottimale, in modo che siano poi buoni al palato, economicamente remunerativi e rispettosi dell’ambiente: è questo l’obiettivo di Open Blue. Protagonista di questa impresa è il pesce Cobia. Registrato all’anagrafe marina come Rachycentron canadum, è conosciuto anche come black kingfish, black salmon, kuro kampachi, lemonfish. Corpo affusolato, pelle spessa con poche squame, testa piatta e spine dorsali affilate, assomiglia vagamente allo squalo, raggiunge il metro di lunghezza, e lo si può incontrare in acque tropicali e subtropicali, inclusi i Caraibi e l’Oceano Indiano. Questo pesce pelagico è un solitario che non vive in banchi, particolare che spiega perché non sia mai stato pescato per scopi può trovare un ambiente che commerciali, se pur apprezzato gli è naturalmente congeniale. “Il Cobia è un pesce dai pescatori locali quando rieQui le correnti oceaniche corrodi fondale con scono a scovarlo. no a oltre tre chilometri all’ora “Il nostro obiettivo è offrire al un’ottima consistenza fornendo acqua senza parassiti mercato un pesce che possa e satura di ossigeno. A tutto della carne e una nutrire le generazioni di oggi e vantaggio del pesce, che può del futuro, in armonia con il generosa percentuale nuotare e crescere sano e forte, ciclo marino. L’impegno è prene dell’ambiente circostante, che di grassi, ottimo sia dersi cura del delicato ecosiviene salvaguardato”. Ciascun stema del mare alla ricerca Cobia Open Blue inizia la propria crudo che cotto” delle acque migliori, dei migliori esistenza nell’avanotteria sulla processi e degli ambienti più costa panamense, rimanendo naturali ideali per l’allevamento”. A parlare è Brian due mesi nelle vasche-nursery prima di nuotare in O’Hanlon, terza generazione di allevatori di pesci. mare aperto, all’interno di grandi gabbie progettate Dopo anni di studi, pianificazione e innovazione su misura per Open Blue: completamente sommerse, nell’ambito di progetti su piccola scala, nel 2007 il fondo di queste grandi vasche forate si trova a O’Hanlon ha deciso di fare il grande passo e 30 metri di profondità, la parte superiore a 10. Al fondare Open Blue, il più grande sistema di mari- centro di ogni gabbia, un tubo permette di immettere coltura in mare aperto al mondo, una sorta di aria compressa quando è necessario farla riemergere. riserva marina di mille ettari a otto miglia dalla “Il nostro intento è riprodurre al meglio un ambiente costa nella regione panamense di Arriba. “È una naturale dove il pesce possa vivere senza stress, a zona dove non ci sono industrie, l’acqua è pulita, bassa densità: nelle gabbie, il 97% è costituito da e il Cobia, particolarmente sensibile all’inquinamento, acqua e il 3% da pesce” dice O’Hanlon. “E nutrirsi
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Nella pagina a lato: Cobia alla griglia. Qui sopra: una fase della pesca e il Cobia crudo.
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in modo adeguato: utilizziamo mangime senza OGM, ormoni, coloranti, pesticidi, antibiotici e altri contaminanti, composto per il 60% di proteine vegetali, come soia e mais, vitamine e minerali, e per il 40% di proteine marine ricavate da pesca sostenibile, compresa una percentuale del 5-10% di Omega3”. Quest’ultimo è un punto di vanto per O’Hanlon: “Analisi esterne dimostrano che il nostro Cobia ha un contenuto quasi doppio di acidi grassi ‘buoni’, ovvero EPA e DHA, rispetto al salmone atlantico d’allevamento”. Una volta raggiunti i 4/5 chili di peso, all’incirca al nono mese di vita, gli esemplari vengono pescati con la tecnica giapponese Ike-Jime (risucchiati dalla gabbia attraverso un tubo pieno di acqua, vengono storditi e dissanguati, così da non stressarli e ottenere carne bianca), puliti sul posto e preparati per essere spediti nel mondo. Ogni esemplare è corredato da un’etichetta per la tracciabilità, che permette di risalire fino all’uovo dal quale è nato. Fin qui, i dati tecnici. Ma quali sono le caratteristiche organolettiche di Cobia, e quali i risultati in cucina? Nei paesi dove viene esportato già da tempo - tra cui gli Stati Uniti - è apprezzato e utilizzato sia per preparazioni a crudo (è privo di anisakis), sia cotto. La ventresca in particolare è indicata per sashimi e tartare, la coda invece per sushi-maki, il trancio e la paillard per la cottura alla griglia, al forno e in padella, il collare per la frittura e il filetto e il dorso per la preparazione a vapore. “Si tratta di un pesce di fondale diverso dai nostri, con un’ottima consistenza della carne e una generosa percentuale di grassi. Il sapore ricorda la ricciola australe”, è il parere di Andrea Aprea, chef del Vun di Milano. Come altri suoi colleghi in Europa prima di lui, Aprea è stato contattato da Nicholas Sawyer - che si occupa dello sviluppo di
Dall’alto: etichetta per la tracciabilità dei Cobia, le gabbie per la pesca, l’allevamento e il piatto Cobia millefoglie.
Cobia Open Blue sul mercato europeo - per sapere se fosse disposto a testare il Cobia cucinandolo a suo piacere, dando poi agli allevatori un feed back sulle qualità organolettiche, la resa in cucina. Aprea lo ha sperimentato sia crudo sia cotto, e quindi ha scelto di presentarlo per una degustazione in tre diverse preparazioni: tagliato sottile al coltello, scottato e condito con cipolla rossa caramellata e spuma; cotto indirettamente al sale, condito con
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pizzaiola di datterini disidratati, capperi, olive nere taggiasche e origano fresco; fritto in pastella e servito con vinagrette aglio olio e peperoncino. “Nel 2014, per esordire nel mercato europeo, abbiamo scelto il Belgio, spedendo il pesce a circa 60 ristoranti, di cui 11 stellati: volevamo capire se fosse adatto alla gastronomia del Vecchio Continente. Visto il risultato positivo, siamo poi approdati in Inghilterra, Germania, Francia. E ora, eccoci in Italia” conclude Sawyer. Dove al momento il Cobia Open Blue è in vendita - intero - alla Metro, mentre a breve dovrebbe arrivare anche - in tranci - nella grande distribuzione =
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Magia peruviana, ma il ceviche abita qui di Maurizio Bertera
Le contaminazioni sudamericane sono all’ordine del giorno. Ma una su tutte si è diffusa e affermata in Italia, quella del ceviche, piatto nazionale del Perù. Virgilio Martinez, piccolo grande chef del Central di Lima - quarto nella The 50 World’s Best Restaurant e primo in quella dell’America Latina - sostiene da sempre che fermarsi al ceviche in Perù è come “per un turista straniero, che viaggia in Italia, accontentarsi solo di un piatto di tagliatelle alla bolognese”. Parere illustrissimo, ma è innegabile che per la diffusione della cucina peruviana (e di quelle sudamericane che si affacciano sul Pacifico), il ceviche sia stato determinante, diventando un piatto simbolo co“Il leche de tigre me negli anni ‘90 fu il sushi. Difficile che possa ripercorrerne la è un segreto fortunata storia ma non c’è dubdella ricetta, dice bio che gli italiani - milanesi in primis, come è da sempre per la Jaime Pesaque, cucina etnica – iniziano ad apdel ristorante prezzarlo e consumarlo regolarmente. Se sull’etimo della parola milanese Pacifico” non si è ancora trovata la soluzione (si va da parole arabe a
inca sino a mix con lo spagnolo), gli studiosi di cucina sono più o meno concordi sull’origine “tecnica”: il pesce crudo, già in epoca pre-colombiana, veniva preparato con i succhi fermentati di frutta locale. L’arrivo dei conquistadores portò due prodotti che ne cambiarono la storia, facilitandone la preparazione e rendendola più veloce: limone e cipolla. Dalla contaminazione è uscita la ricetta base che ovviamente ha le sue varianti negli altri Paesi e persino tra una regione e l’altra del Perù: pesce, succo di lime, peperoncino (i locali dicono che non c’è ceviche senza aji e loro ne vantano una varietà incredibile), pepe e un pizzico di sale. Spesso si uniscono cipolla rossa cruda, coriandolo e sedano ma i tocchi d’autore sono innumerevoli. Quanto al pesce, freschissimo, si utilizzano branzini,
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sogliole, sardine, tonno ma anche polpo, capesante e crostacei. Il contorno classico è composto da patate dolci e mais andino. Al Pacifico di Milano, ristorante elegante e per gourmet - non a caso fa parte della catena firmata da Jaime Pesaque, il più internazionale degli chef peruviani - il menu offre
sette tipi di ceviche, eccellenti e fantasiosi: il più recente si chiama Hulk per il colore verde della preparazione a base di ostriche, capesante, cozze, quinoa nera e leche de tigre di erbe. Il latte di tigre è uno dei segreti della ricetta: il succo di marinatura (quindi il lime con gli altri elementi) che “bagna” il pesce prima di essere servito. “L’immediatezza è basilare, la temperatura fredda anche - spiega Jacopo Signani, titolare con il fratello Leonardo del locale pian piano, con la qualità, stiamo conquistando il pubblico non solo milanese, che prima era solo curioso”. Altri posti dove assaggiare un buon ceviche: El Chorillano e l’eclettico Replay The Stage sempre sotto la Madonnina, Inca Fusion a Pavia, il raffinato Fusion & Bar Restaurant di Firenze, El Portal del Sol e La Fortaleza del Inca a Roma. Pochi? Sicuramente rispetto alla cinquantina in attività nella sola Londra ma, inesorabilmente, cresceranno. Intanto, i cuochi
italiani non restano insensibili al fascino del ceviche: Daniel Canzian, che nel suo locale milanese, durante Expo, ha organizzato i “quattro mani” con i big peruviani, ha in carta la sua personalissima versione, simile a un cubo di Rubik: tonno, branzino, avocado e ombrina marinata con acqua allo zafferano. Curiosità: il leche de tigre, una volta filtrato, può diventare una bevanda dissetante e gustosa. I barman peruviani aggiungono un misurino di Pisco - il distillato nazionale - e ne fanno (parole loro) un "levantamuertos", il miglior Viagra che esista. Naturalissimo =
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Da sinistra verso destra: il cubo di Daniel Canzian, lo chef peruviano Jaime Pesaque e il leche de tigre. Qui sopra: due scorci del ristorante milanese Pacifico.
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Hervé Mons, e il formaggio diventa easy
mondiali per l'arte casearia, abbiamo fatto il punto su queste tendenze che stanno attraversando L’affinatore transalpino, considerato il mercato mondiale dei derivati dal latte e sul futuro di questo antico e nobile alimento. Incontrato uno dei più bravi maître fromager nel cuore della zona di produzione del Parmigiaal mondo, spiega l’evoluzione subìta no-Reggiano, invitato da Selecta distributore in Italia dei formaggi a marchio Mons, l’affinatore negli ultimi anni dalla proposta transalpino ha condiviso con noi la sua visione di formaggi nella ristorazione. del mondo caseario, prima di lasciare spazio e parola alle sue creazioni, proposte in abbinamento Cheese is not dead. Nonostante il formaggio con la creatività dello chef Enrico Bergonzi de Al abbia perduto il suo ruolo di portata a sé stante, Vèdel di Parma. “Il declino del formaggio nella ritradizionalmente servita dopo il secondo piatto e storazione di livello - spiega - coincide con la spaprima di frutta e dessert nella classica scansione rizione del servizio alla francese, cioè quello incentrato sul carrello come unità dei pasti “formali” pre destrutdi presentazione e sullo sporturazione, l'apprezzamento per zionamento dei piatti di fronte l'arte casearia non è assoluta- “Il servizio a tagliere fa al cliente. Oggi l’impiattamento mente scemato. Anzi, ha saputo riscoprire il piacere del diretto in cucina da parte della farsi scudo delle sue peculiarità brigata ha sostituito operazioni (un'infinita varietà a disposi- cibo condiviso, mette al svolte tradizionalmente dal perzione; un consumo easy e fincentro il formaggio nel sonale di sala come lo sfilettager; l'abbinamento senza tempo mento dei pesci, la disossatura con il vino) e le ha trasportate suo modo più puro, e porzionatura delle carni o il nel terzo millennio, sotto forma consumato in abbinaflambé dei dolci. Di fatto lo di nuovi concept di locali, dai chef, la sua creatività, la sua quali tornare a diffondere il mento con il vino” brigata hanno oscurato tutto il suo verbo, fatto di semplice personale di sala e il loro ruolo convivialità. In particolare tra i foodies, che incarnano alla perfezione l'identikit tradizionale. In questo cono d’ombra è finito anche del moderno cheeselover, perso tra affinamenti, il carrello dei formaggi, un tempo uno dei pilastri stagionature, legno e muffe nobili. Con Hervè del classico menù nella ristorazione di livello e Mons, considerato uno dei principali maître uno degli standard del servizio di sala, oggi quasi fromager di Francia e uno dei punti di riferimento del tutto sparito”. di Davide Bernieri
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Nella pagina a lato: Hervé Mons. In alto: il caprino fresco Fromage Cathare. A seguire proposte di degustazione dei formaggi.
Focus food
Piccolo breviario dei formaggi Mons L’affinatore Hervé Mons, ultimo di una dinastia di fromager transaplini, oggi ha circa 250 formaggi in catalogo, tra vaccini, capra e pecora. Ecco alcune specialità: - Mimolette è detta anche “Boule de Lille”, dalla regione francese da cui proviene ed è prodotta con latte vaccino crudo; è caratterizzata da un color arancio, provocato dall’annatto, un colorante naturale del Centro America con il quale viene addizionata la pasta della Mimolette, stagionata minimo per 12 mesi. - Fourme d’Ambert Dop è un formaggio di latte vaccino francese che deve il nome alla zona d’origine; si tratta di un erborinato dal gusto dolce e pasta asciutta, ma cremosa che sprigiona un leggero aroma di cantina, con stagionatura minima di 28 giorni e affinatura che dura fino a 60 giorni. - Fromage Cathare è un caprino fresco a cagliata lattica prodotto con latte crudo in Linguadoca, ricoperto in superficie da cenere con impressa la croce occitana; la cagliata viene raccolta manualmente “à la louche”, messa in forma e salata a secco. - Comtè 18 mesi prodotto esclusivamente con latte di vacche di razza Montbeliarde e Simmental francesi sul Massiccio del Jura, dal caratteristico retrogusto di noci. Il Comté è considerato uno dei migliori formaggi al mondo ed è senz'altro un formaggio da meditazione della famiglia dei gruyéres francesi.
Eppure la scena internazionale del formaggio sembra piuttosto viva in questo momento… Una nuova stagione di risveglio sta venendo dalla crescita del fenomeno tapas bar e wine bar, concept
di locali che, dopo un primo interesse che ha riguardato soprattutto il pubblico giovane, oggi sono apprezzati da una platea più vasta. Il servizio a tagliere fa riscoprire il piacere del cibo condiviso, dell’approccio conviviale e senza inutili complicazioni, mette al centro dell’attenzione il formaggio nel suo modo più puro, consumato in abbinamento con il vino, come da tradizione. Proprio il percorso di riscoperta del vino, delle varietà autoctone, dei terroir ha favorito la rinascita del formaggio, delle varietà tipiche, delle specialità locali, in un percorso di riscoperta di sapori antichi e di rinascita culturale. Con un piatto di formaggio e con un calice di vino, il pasto si trasforma in un’esperienza di scoperta. Naturalmente a condizione che il ristorante non si limiti a portare in tavola formaggi di qualità industriale, ma sia in grado di accompagnare il proprio cliente in un percorso di riscoperta verso prodotti di alto livello. Paesi storici produttori, come Francia e Italia, oppure nazioni che si stanno affacciando solo ora al consumo di prodotti di qualità: che giudizio può dare di questo “nuovo mondo” caseario? Questo fenomeno di rinascita del formaggio ha una dimensione globale, ma per assurdo questo prodotto sta avendo più successo in paesi come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna che non hanno una vera tradizione alle spalle come da noi nell’Europa continentale. In questi paesi emergenti, nonostante le tante remore dettate da un approccio alimentare che demonizza il consumo di alimenti grassi, sono i giovani a guidare la rivoluzione, i foodies amano mangiare prodotti alimentari che hanno una storia alle spalle e sono frutto di una lunga e radicata tradizione. Inoltre, nonostante molti giovani si definiscano gourmet, la larga parte di essi non cucina, quindi non c’è niente di meglio di un tagliere di formaggi per soddisfare tutti i desideri che abbiamo elencato finora. Italia e Francia, due modi di intendere il formaggio: quali sono le differenze e le analogie tra la produzione casearia dei “due cugini”? Tra Italia e Francia casearia c’è tanta sintonia, c’è una matrice comune e la stessa visione del terroir e la medesima, peculiare, diversificazione produttiva.
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Qui sopra: il formaggio Mimolette, caratterizzato dal colore arancio. Un momento dell’intervista a Hervé Mons e un impiattamento.
Anzi, credo che in Italia si siano difese di più e meglio le specialità tradizionali rispetto a quanto è avvenuto in Francia. In Italia il formaggio è molto usato in cucina, entra praticamente in tutte le ricette della tradizione regionale e questo è un aspetto che ha permesso di mantenere più viva la tradizione. A proposito di tradizione, qual è il suo giudizio sul Parmigiano Reggiano, uno dei capisaldi della tradizione casearia italiana? Il Parmigiano-Reggiano è un capolavoro dell’arte casearia mondiale, sinonimo di qualità, salubrità e naturalità. È emozionante pensare che questo prodotto sia riconosciuto in tutto il mondo come uno dei formaggi simbolo, quelli che incarnano in sé tutta la magia di questa arte =
Focus food
Roma, nuovo chef all’Hotel Quirinale della cucina di un albergo importante, fatta di grandi numeri e numerosi eventi, visto che prima della sua ditta personale di catering e ricevimenti È Cristian Silvestro il nuovo condotta per sette anni, ha lavorato per più di dieci Chef del Ristorante Rossini, anni come chef de partie all'Hotel Cavalieri Hilton indirizzo gourmet della Capitale. di Roma, dove ha avuto modo di stare a fianco con grandi chef perseguendo l'eccellenza. Non è quindi La preziosità e la raffinatezza degli ambienti dello nuovo alla dimensione alberghiera e lo dimostra storico Hotel Quirinale di Roma trovano adesso nel con l'equilibrio della sua carta. Cristian coccola gli suo ristorante Rossini la giusta eco nei piatti coreo- ospiti con presentazioni sempre curate: ogni piatto, grafici del nuovo chef Cristian Silvestro. In carta pro- anche il più semplice, viene presentato come un poste appaganti per il palato e la vista in un menu quadro. Come dimostra il suo signature dish Perla spiccatamente italiano, ma con frequenti incursioni di tonno ripiena di patate viola ed asparagi con cloesotiche e spunti giocosi: dai classici della cucina rofilla al basilico, un antipasto tanto coreografico romana e italiana rivisitati, ad eleganti piatti signature per colori e composizione quanto sorprendente per creati dallo chef, fino al “Wrap Kebab”, una proposta consistenze e sapori. Lo chef, infatti, ama giocare veloce e divertente con carne di tacchino, vitello e con i contrasti, come dimostra anche il suo Risotto pollo su piadina araba con salse preparate dallo al radicchio con taleggio e speck croccante o il chef (hummus, harissa e salsa allo yogurt alla Tonno scottato con julienne di finocchi e senape al menta) e alle pizze. Cristian Silvestro è giovane, ma miele, magistralmente tagliato e cotto, esaltato ha il bagaglio di esperienza e le competenze che lo dalla complessità della salsa agrodolce preparata rendono adatto a prendere in mano la gestione sul momento. Cristian fa suoi anche elementi esotici di Claudio Zeni
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mixando culture diverse in modo personale. Così Giappone e Medio Oriente si fondono nella proposta vegana Polpettine di felafel su coulis di peperoni ed alghe fritte, o approda in Sud America con il Ceviche di spigola e salmone marinato al pepe rosa con crumble di nachos e guacamole. Fra gli antipasti spiccano il Carpaccio di manzo su pesto di rucola con scaglie di parmigiano e lamelle di tartufo e il Petto d'anatra affumicato con quenelle di melanzana, semplici ma sofisticati. Ad aggiungere un tocco di esclusività dell’Hotel Quirinale il passaggio privato con accesso riservato diretto al Teatro dell’Opera, che ha reso l’Hotel il luogo prediletto da grandi della musica del passato e del presente = www.hotelquirinale.it
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Colline di Sopra, dieci anni di sfide
Paolo abbiamo origini piemontesi e lui, poi, aveva già una cascina nel vercellese, Parte nel 2006 la scommessa di una dove si occupava di riso. Un viaggio al mare in Toscana e il peregrinare alla ricoppia piemontese che decide di cerca di un bel posto dove trasferirci fare vino di qualità a Montescudaio nell’entroterra pisano ci ha condotto tra le colline di Montescudaio, e qui abbiamo (PI). Una storia di tenacia e di pensato di investire in una attività che risultati, tutti di qualità. avesse a che fare sempre con la terra. Nostro figlio Marco ha raccolto immeLuisa Silvestrini è una di quelle donne del vino di diatamente la sfida con grande entusiaultima generazione che sta movimentando il mondo smo e così è partita l’avventura di Colline dell’enologia nostrana. Tenace, di Sopra”. L’azienda caparbia, legata alla terra, e nasce dunque nelcon una passione fortissima l’autunno del 2006, “Luisa Silvestrini è che l’ha portata a cambiare rama nell’area presceluna di quelle donne dicalmente lavoro una decina ta (in totale cinque ettari di di anni fa, nel 2006, pur avendo vigne e una paio per la coltivadel vino di ultima una brillante carriera di architetto zione dell’olivo) non c’erano vigenerazione che sta ben avviata, ha deciso di camgneti, così per la prima vendembiare le carte in tavola della mia di prova bisogna aspettare movimentando il propria esistenza e si è trasferita al 2009. Le viti qui sono a mondo dell’enologia fino in Toscana, a Montescudaio, conduzione biologica, sono poper “fare vino” coinvolgendo il sizionate su pendii argillosi che nostrana” marito e il figlio. “È stata una guardano verso la Val di Cecina scelta istintiva, ma dettata da e poste tra i 100 e 200 metri diverse circostanze”, racconta oggi la proprietaria di altezza, e subito mettono in evidenza la predidell’Azienda Colline di Sopra, “Io e mio marito sposizione verso la produzione di vini rossi con di Gualtiero Spotti
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una particolare attenzione per il locale Sangiovese, ma dove non mancano anche Syrah, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot e Merlot, cui aggiungere la bacca del Moscato (forse reminiscenza delle origini piemontesi…) che va a finire nelle bottiglie di un vino bianco fresco e profumato, chiamato Tredici, e nel passito chiamato Luis, un classico vendemmia tardiva con appassimento delle uve sui graticci. “La zona è battuta tradizionalmente da venti come la Tramontana, il Libeccio e il Maestrale - ricorda la proprietaria - e questo ci aiuta non poco a risolvere i problemi di umidità
sulla pianta. Poi la bravura della coppia formata dall’enologo Giovanni Bailo e dall’agronomo Mauro Carrara fa il resto”. Il totale delle bottiglie prodotte al momento rimane poco al di sotto delle 30mila con una forte attenzione per il mercato estero che raccoglie il 50 per cento delle vendite (Svizzera, Germania, Danimarca e Stati Uniti figurano tra i maggiori clienti) e il restante in Italia, con una buona presenza in Toscana, a Milano e nel Nord. Anche se una delle idee della vulcanica Luisa Silvestrini, per il futuro a breve, è quella di puntare maggiormente sulla vendita diretta in cantina. E di spingere ancor di più nella produzione del Sangiovese in purezza, il Sopra, che è il top di gamma dell’azienda e che ha riscosso buon successo sul mercato. Verranno così impiantati a breve nuovi filari di Sangiovese, riducendo leggermente la produzione dei vitigni internazionali. Nel frattempo i
Da sinistra verso destra in senso orario: i vini, la cantina, Luisa Silvestrini, la vinificazione, i vigneti del Moscato, il terreno delle viti, la lavanda e i vigneti.
in bocca o di evidenziare sottili note di caramello e mora come nel caso del Ramanto, uvaggio di Cabernet Franc e Petit Verdot. Un bell’esempio di caprimi segnali di una produzione in crescendo in ter- parbietà femminile, di amore per la genuinità mini qualitativi ci sono già, e le premesse per condito con la giusta attenzione per l’ecosostenibilità. un’annata 2015 di ottimo livello non mancano, so- L’azienda, infatti si preoccupa di utilizzare fonti di prattutto dopo un 2014 che aveva portato a vini energia rinnovabile e gestisce con oculatezza le con poca struttura come l’Eola, il Costa Toscana sue risorse idriche. E per chi volesse conoscere Igt rosso dell’azienda. Ma in linea di massima la ancor meglio il mondo di Colline di Sopra, c’è gamma proposta è rappresentata sempre da vini perfino l’olio della casa, un fruttato medio-leggero semplici e puliti, che denotano eleganza e una di- extravergine di varietà leccino = screta versatilità, capaci come il Larà (Merlot e Syrah) di concedersi anche una buona lunghezza www.collinedisopra.com
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Focus wine
Export vino, crescita esponenziale di E.F.
Principali Paesi clienti italiani di vini e mosti Ettolitri
L’Osservatorio del Vino ha pubblicato i dati sulle esportazioni del vino italiano relative al 2015. I numeri parlano chiaro: record di incassi e boom di spumanti.
Il presidente dell’Osservatorio del Vino Domenico Zonin.
Gen-Nov 2014
L'Osservatorio del Vino italiano è il punto di riferimento istituzionale per la raccolta, l'analisi, il commento e la diffusione dei dati statistici del settore vitivinicolo, sia sul fronte produttivo che su quello dei mercati interno e internazionale. Ed è sui mercati internazionali che si sposta il nostro interesse, alla luce dei dati più che soddisfacenti relativi alle esportazioni dell’anno 2015. Nel dettaglio da gennaio a novembre 2015 si contano 4,9 miliardi di incasso, ovvero +5% rispetto all’anno precedente, con un boom registrato nell’esportazione di spumanti italiani nel mondo: il giro d’affari si attesta a 874 milioni di euro (+15% rispetto al 2014) per un totale di 2,5 milioni di ettolitri esportati (+13%). Il presidente dell’Osservatorio Domenico Zonin così commenta gli eccellenti risultati: “Il vino è un settore fondamentale per l’agroalimentare italiano. Il 2015 si è prospettato un anno da record
Gen-Nov 2015
Migliaia di euro Var.%
Gen-Nov 2014
Gen-Nov 2015
Var.%
Stati Uniti
2.749.591 2.919.326
6,2% 1.034.502 1.172.303
13,3%
Germania
5.436.562 5.113.985
-5,9%
887.039
880.310
-0,8%
Regno Unito 2.721.852 2.926.065
7,5%
601.958
669.497
11,2%
Svizzera
647.289
627.464
-3,1%
289.638
291.727
0,7%
Canada
630.271
645.880
2,5%
253.078
276.255
9,2%
Giappone
396.526
397.480
0,2%
141.116
144.021
2,1%
Svezia
443.525
432.997
-2,4%
133.379
138.833
4,1%
Danimarca
385.860
374.698
-2,9%
130.310
133.116
2,2%
Francia
791.358
800.722
1,2%
122.881
132.148
7,5%
Paesi Bassi
394.779
393.241
-0,4%
108.705
116.740
7,4%
Belgio
275.534
280.729
1,9%
92.234
98.870
7,2%
Norvegia
238.991
228.246
-4,5%
88.329
88.157
-0,2%
Austria
459.153
410.719
-10,5%
87.567
81.452
-7,0%
Cina
225.935
245.587
8,7%
67.065
79.238
18,2%
Russia
386.463
269.078
-30,4%
95.920
65.494
-31,7%
Australia
85.191
88.977
4,4%
35.352
37.754
6,8%
Spagna
204.651
199.949
-2,3%
36.235
36.639
1,1%
Polonia
149.252
143.117
-4,1%
32.675
33.727
3,2%
Rep. Ceca
275.811
249.213
-9,6%
29.924
30.865
3,1%
Irlanda
110.127
114.952
4,4%
27.700
29.500
6,5%
Finlandia
74.029
72.921
-1,5%
24.989
25.351
1,5%
Lettonia
91.459
75.982
-16,9%
36.469
24.425
-33,0%
Brasile
90.360
80.949
-10,4%
27.503
24.347
-11,5%
16.486
16.354
-0,8%
16.486
16.354
-0,8%
-2,0% 4.677.185 4.915.043
5,1%
Altri Mondo
18.733.695 18.364.621
* vini comunitari e non comunitari, non ulteriormente classificabili in Dop e Igp Fonte: Ismea su dati Istat
per l’export del vino italiano. A trainare sono ancora i vini spumanti per un valore di 874 milioni di euro (+15%) e circa 2,5 milioni di ettolitri (+13%). Il Prosecco guida questa domanda con un incremento del 28% a volume e del 29% a valore”. I dati Istat si
62 Artù marzo/aprile 2016
Principali Paesi clienti italiani di vini spumanti Ettolitri Gen-Nov 2014
Gen-Nov 2015
Regno Unito
531.206
Stati Uniti
383.154
Germania
Principali Paesi fornitori italiani di vini e mosti
Migliaia di euro
Ettolitri
Var.%
Gen-Nov 2014
Gen-Nov 2015
Var.%
750.879
41,4%
160.818
232.284
44,4%
Francia
471.818
23,1%
140.941
177.590
26,0%
Spagna
191.027
200.809
5,1%
74.096
75.880
2,4%
Svizzera
94.675
98.782
4,3%
42.223
47.047
11,4%
Belgio
68.992
75.496
9,4%
26.319
29.383
11,6%
Giappone
63.483
59.512
-6,3%
26.836
27.666
3,1%
Russia
126.523
76.501
-39,5%
37.279
23.962
-35,7%
Francia
65.476
77.171
17,9%
19.070
22.687
Svezia
50.003
59.494
19,0%
19.532
Canada
35.742
42.556
19,1%
Austria
60.055
43.544
Lettonia
69.927
Paesi Bassi
Gen-Nov 2014
Gen-Nov 2015
167.197
Migliaia di euro Var.%
Gen-Nov 2014
Gen-Nov 2015
Var.%
159.390
-4,7%
133.038
145.506
9,4%
1.656.767 1.734.949
4,7%
63.009
68.145
8,2%
Stati Uniti
446.928
392.839
-12,1%
42.594
39.500
-7,3%
Australia
90.089
156.310
73,5%
8.320
14.873
78,8%
Germania
44.941
68.174
51,7%
9.437
12.215
29,4%
Portogallo
16.658
15.439
-7,3%
5.362
5.112
-4,7%
19,0%
Austria
12.909
14.640
13,4%
1.615
1.874
16,1%
22.416
14,8%
Slovenia
2.308
7.610
229,7%
655
1.537
134,6%
16.905
20.175
19,3%
Ungheria
21.909
12.442
-43,2%
1.476
1.288
-12,7%
-27,5%
22.880
17.086
-25,3%
Paesi Bassi
4.700
1.113
-76,3%
992
1.130
14,0%
41.709
-40,4%
29.407
14.839
-49,5%
Romania
7.475
7.086
-5,2%
912
1.046
14,7%
20.741
19.031
-8,2%
10.376
13.984
34,8%
592
900
52,0%
662
1.026
55,1%
Norvegia
24.345
28.218
15,9%
10.238
12.354
20,7%
N. Zelanda
1.194
3.751
214,1%
451
1.022
126,7%
Cina
47.386
41.948
-11,5%
11.342
11.029
-2,8% Regno Unito
609
1.964
222,4%
762
896
17,7%
Danimarca
24.289
24.322
0,1%
8.196
8.732
6,5%
Polonia
21.669
26.662
23,0%
6.504
8.507
30,8%
Cile
2.862
6.429
124,7%
704
781
11,0%
289.810
317.042
9,4%
97.724
108.054
10,6%
Altri
37.694
23.885
-36,6%
4.938
4.436
-10,2%
2.168.501 2.455.496
13,2%
760.685
873.673
14,9%
Totale
2.514.833 2.606.921
3,7%
274.927
300.388
9,3%
Altri Totale
Svizzera
Fonte: Ismea su dati Istat
Fonte: Ismea su dati Istat
riferiscono, nello specifico, agli elaborati da Ismea, lore del 2% e del 18%. Nota di riguardo per l’export partner dell’Osservatorio, relativamente all’export del del segmento spumanti: guida la classifica il Regno vino nei primi 11 mesi del 2015. “Da questi risultati Unito con incrementi di 41% in volume e 44% in - aggiunge Domenico Zonin - confrontati con i dati valore (oltre 230 milioni di euro), seguito da Stati Istat sul comparto agroalimentare che ha chiuso il Uniti. Bene anche i Paesi Bassi e la Norvegia che 2015 con introiti da export pari a 36,85 miliardi di fanno rilevare una crescita in valore rispettivamente euro (+7,3%), emerge chiaramente come il vino, del 35% e del 21%. Ma non solo sull’export si con una quota pari al 14,5% di tale sistema, ne rap- basano i rapporti analizzati dall’Osservatorio del presenti sempre più un settore molto significativo”. Vino, che anzi per illustrare in modo completo l’intero sistema italiano del setLe tabelle a seguire riportano tore vitivinicolo, si affida anche nello specifico una fotografia inai dati rilevati dall’import per teressante sul panorama dell’ex- “Il 2015 si è prospettato fornire alle istituzioni un quadro port che pone in luce i Paesi un anno da record per aggiornato e corretto del mercato che foraggiano maggiormente del vino. In relazione sempre al gli introiti: in primis gli Stati con l’export del vino 2015 l’import ha toccato 2,6 un incremento in valore di oltre italiano. A trainare 13%, per il Regno Unito l’export milioni di ettolitri (+3,7%) per vale 670 milioni di euro (+11%) un corrispettivo di poco superiore sono ancora i vini mentre la Germania fa registrare a 300 milioni di euro (+9,3%): spumanti per un valore da segnalare come le importaun -6% in volume e un -0,8 in valore. Se la Germania rivela un di 874 milioni di euro” zioni italiane siano concentrate arresto nella richiesta sullo sfuso che, con 2,2 milioni di vino italiano, buodi ettolitri, fa segnare il +8% su ne notizie arrivano invece dall’Estre- base annua. Corona alla Spagna che si consolida mo Oriente dove in Giappone e tra i primi fornitori dell’Italia con 1,6 milioni di in Cina il vino italiano cresce in va- ettolitri di vino sfuso importati (+10%) =
63 Artù marzo/aprile 2016
64 Art첫 marzo/aprile 2016
Focus wine
Unterebner di Tramin, la selezione di Pinot Grigio di Giovanna Moldenhauer
Incontriamo Willi Stürz, enologo presso la Cantina Tramin. Originario di Termeno è profondamente legato al territorio, alla cultura e alla gente del luogo. In occasione di questa visita abbiamo voluto approfondire, dalle parole del suo artefice, la nostra conoscenza del Pinot Grigio Unterebner che fa parte della linea Selezioni di Tramin. Robert Parker ha dichiarato un anno fa a proposito di questa etichetta “È una versione che va bene oltre il livello di altri ottimi vini prodotti, da questa varietà, in Italia. È un vino sorprendente per la sua complessità ridotta ma diminuisce nettamente la sensibilità di ancor maggiore rispetto a quella che ci si potrebbe questo vitigno al marciume acido a causa dei mai aspettare!” Alle nostre domande Willi Stürz grappoli stretti del clone originale. Negli ultimi anni stiamo calibrando magesordisce “È un progetto nato giormente le sfogliature in modo con degli obiettivi un po’ diversi da privilegiare il risultato finale, da parte della nostra cantina. “Il suo assaggio lasciando le foglie intorno a Quello primario è stato di viniperfetto in ogni fase ogni grappolo per proteggerlo ficarlo in modo da collegarlo, da un’esposizione solare ecin modo chiaro, alla provenienza è la conferma della cessiva, visto l’esposizione per della varietà che arriva dalla la maggior parte a sud, sud Borgogna avendo al tempo stes- longevità di Unterebner, est dei vigneti. La nostra scelta so un’interpretazione diversa espressione di Pinot è di vendemmiare e vinificare da molte altre specialmente Grigio prediletta separatamente ogni impianto in Italia. Ogni anno raccogliamo sino alla fase dell’assemblaggio l’uva molto matura per produrre dall’enologo di Tramin” conclusivo per un miglior risulquesta etichetta nella frazione tato”. Prosegue poi “La vinifiSella, sita sopra Termeno, a un’altitudine tra i 400 e 500 metri di altitudine, cazione si ispira a quella adottata in Champagne zona ideale per la sua coltivazione”. L’area è ca- dove sul grappolo intero (i francesi lo fanno con ratterizzata da forti escursioni termiche dovute a lo Chardonnay per ottenere una migliore base giornate calde, influenzate dal clima mediterraneo, spumante) viene applicata una pressatura lunga notti fredde con venti molto freschi che giungono e al tempo stesso molto soffice per non avere dalle montagne. Le viti meno giovani sono su per- attriti che provocherebbero la cessione di note gola, gli impianti più recenti a guyot. “Da più di verdi, di tannini duri. In questo modo estraiamo 15 anni - sostiene Willi - abbiamo scelto man bene, grazie alla maturità dell’uva e al sottile mano che sostituivamo gli impianti una cultivar a spessore della buccia, gli aromi dando al tempo grappolo spargolo in collaborazione con l’Istituto stesso un’ottima materia prima al mosto. In seguito enologico di San Michele, che presenta una resa facciamo sia la fermentazione che la maturazione
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Qui sopra: il vigneto Unterebner a Sella e l’enologo e direttore tecnico di Cantina Tramin Willi Stürz. Nella pagina a lato: selezione di bottiglie di Pinot Grigio Unterebner 2014 di Cantina Tramin.
Focus wine
La verticale di Unterebner
Qui sopra: il Pinot Grigio in vigna (ph. IDM Florian Andergassen) e accanto il vigneto Unterebner a Sella.
Il vino del millesimo 2014, con una tonalità oro chiaro, ha profumi fini con note importanti di pera che sfumano nei sentori erbacei del fieno, di pane tostato con burro spalmato, toni speziati di tabacco, vaniglia e incenso. Pieno, ricco, morbido e denso dalla tipica freschezza alpina ha all’assaggio una buona succosità, mineralità, con finale persistente e di grande carattere. La degustazione del 2013 ha un naso che gioca su note fruttate di mela, pera, belle sensazioni speziate con finale di mandorla. Al palato sprigiona una buona freschezza equilibrata con la sapidità, è morbido e avvolgente. Un’annata che risulta all’assaggio più equilibrata nel suo complesso. A seguire Willi ha proposto un 2010 in grande spolvero dove il colore è lievemente più intenso, i profumi più sfaccettati e dove ho trovato anche toni lattici di yogurt. In bocca è fresco, sapido, morbido, caldo, avvolgente e
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lungo. Un millesimo dove le condizioni climatiche hanno portato a una vendemmia più tardiva del solito per la perfetta maturazione dei grappoli. Stürz poi ha proseguito la nostra verticale con un 2009. I profumi di frutta gialla passavano poi al miele e lieve tostatura. All’assaggio è meno persistente ma dal piacevole equilibrio. Un meraviglioso 2005 ha concluso la verticale. Il colore ancora più intenso è stato il preludio di frutta dalla mela alla pera matura, passando poi al fieno ed erbe di sfalcio, echi tostati di legni esotici, di vaniglia e cipria, nocciola e burro. L’assaggio, ancora estremamente bilanciato tra acidità e sapidità, con una bella intensità e morbidezza, aveva un retro gusto di pera, di vaniglia e persistenza tostata. Il suo assaggio perfetto in ogni fase è la conferma della longevità di Unterebner, espressione di Pinot Grigio prediletta dall’enologo di Tramin.
Herbert Hintner e gli abbinamenti con due annate di Unterebner
in botte”. In dettaglio la fermentazione lenta a temperatura controllata di 18-20°C è eseguita per un quarto in tonneaux e per il resto in botti grandi di legno - di uno o al massimo due anni dove avviene anche la fermentazione malolattica. Dopo la sfecciatura del mosto, per sedimentazione naturale, il vino prosegue la sua maturazione in botti grandi di legno da 30-40 ettolitri sempre a contatto con i lieviti fino a fine agosto. Il proseguo della sosta sui lieviti di alcuni mesi in più è stato fatto per la prima volta con la vendemmia 2014 per dare modo alla curva di evoluzione di completare il suo ciclo. Dopo l’imbottigliamento, il vino è lasciato in bottiglia per almeno 4 mesi in modo da ottenere un’ulteriore maturazione, portando il periodo di affinamento complessivo a un minimo di 15 mesi. L’Unterebner prodotto per la prima volta con le uve della vendemmia 1991 era vinificato solo in acciaio. L’uso del legno è stato via via calibrato nel corso degli anni successivi introducendo soprattutto l’uso della botte grande, con solo una parte di tonneaux, per dare modo al vino di essere più equilibrato, rotondo e complesso come si evince dalla degustazione che segue =
Lo chef stellato del ristorante Zur Rose a San Michele Appiano ha preparato due ricette che esaltano il 2014, prima annata con una maggiore permanenza sui lieviti, e l’annata più evoluta 2005. Il Pinot Grigio Unterebner è presente da anni nella carta dei vini con diverse annate. Herbert, profondo conoscitore dei prodotti della sua terra dove seleziona gli ingredienti forniti dai contadini per una cucina a Km zero, propone, in accordo con la moglie Margot Rabensteiner esperta sommelier, un piatto “Ravioli ripieni di asparagi verdi con mandorle di terra” in abbinamento al millesimo 2014. Con il 2005, per esaltare la complessità, ha preparato una sua personale sinfonia “Variazione di testina di vitello” dove la pralina in crosta alle erbe era proposta insieme alle millefoglie, a fettine leggermente più spesse accompagnate da una vinaigrette al pomodoro e basilico. Una versione decisamente diversa dal piatto tradizionale che accompagna in equilibrio la complessità gustativa del millesimo più evoluto mettendo al tempo stesso in risalto la competenza e la personalità di Herbert.
In alto: “Variazione di testina di vitello”. Qui sopra: lo chef Herbert Hintner e “Ravioli ripieni di asparagi verdi con mandorle di terra”.
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Focus wine
Dianella e Bernabei La sfida assoluta
la proprietà deve gran parte del fascino attuale alla sapiente opera di restauro, curata personalmente dai Conti Passerin Francesco e Veronica Passerin d’Entrèves e Courmayeur, che ne sono d’Entrèves scelgono il celebre proprietari dalla seconda metà del Noveenologo per la nuova progettualità cento. Il resto è storia recente: Francesco della cantina toscana. Ed è successo. e Veronica Passerin d’Entrèves sono una splendida coppia che, prendendosi cura Vinci, in provincia di Firenze, ha dato i natali a Leo- del luogo e salvaguardandone con dedizione nardo, vanto dell’Italia nel mondo. Un villaggio che, l’heritage, ne hanno anche colto l’immensa potenzialità in virtù di questa illustre associazione, meriterebbe sotto l’aspetto della produzione vinicola. Siamo nel di più, in termini di richiamo turistico, di valorizzazione “comprensorio” del Montalbano, ad ovest di Firenze, internazionale. Ma Vinci evoca anche altri grandi una delle sottozone del Chianti Docg dal 1932: un nomi dell’arte e della letteratura: territorio ad altissima vocazione, uno per tutti, Renato Fucini, il caratterizzato dalla produzione celebre scrittore dell’800 che di vini morbidi, dai profumi in“I vini di Fattoria qui compose molte delle sue connotati da profonda Dianella si pongono in tensi, opere, sonetti e novelle. La faadesione al proprio territorio e miglia Fucini aveva scelto bene: una logica produttiva alle sue espressioni migliori, il borgo di Dianella, risale al frutto di ricerca e assiche sa combinare 16° secolo ed è composto da duità, in vigna e in canpoche case, da una chiesa del rispetto della tradizione tina. La Fattoria di Dia‘200 e da una villa, costruita nella si estende per e valorizzazione di un 90 alle fine del ‘500 e utilizzata ettari, di cui 25 a dai Medici come casino di caccia vigneto, su terreni colterritorio unico” (da cui il nome Dianella, vezzeglinari di natura calcagiativo di Diana, dea della cacrea, con esposizione cia). Superata Vinci, Dianella appare improvvisa in sud-sudovest: il vitigno di elezione è il tutta la sua suggestione: sopra una collina dolcissima, Sangiovese. La produzione complessiva di Alberto P. Schieppati
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dell’azienda non raggiunge le 100mila bottiglie. D’altronde, la tradizione vinicola di Dianella risale alla fine del Settecento, come testimoniano gli scritti del Fucini: dal Novecento, poi, il fiasco di Chianti era ben presente sulle tavole delle migliori trattorie italiane, mentre la bottiglia di Dianella era la prima scelta nei menù dei pranzi ufficiali al Quirinale. I tempi sono cambiati e, con la rivoluzione “culturale” del vino italiano, anche i prodotti di Fattoria Dianella hanno fatto, negli ultimi quindici anni, uno strepitoso balzo in avanti, ponendosi in una logica produttiva che sa combinare rispetto della tradizione e valorizzazione di un territorio unico, combinate ad un blasone familiare che rende ancor più affascinante i suoi prodotti. Il Chianti Docg e Docg Riserva (Sangiovese 95% più Colorino 5%) connotano la maggior par-
Da sinistra verso destra in senso orario: la gamma di Fattoria Dianella, i vigneti, un interno, Il Matto delle giuncaie, il Chianti Riserva 2013, Francesco e Veronica Passerin d’Entrèves, la cantina e sotto una lattina di olio extravergine Dianella.
l’equilibrio perfetto fra sapidità e acidità, ideale per abbinamenti con piatti di carne alla griglia, selvaggina, arrosti. E il 2006, in successiva degustazione, conferma questo amore totale per il tempo. La gamma di Dianella si compone anche di altre etichette: Maria Vittoria and Ottavia, un Rosato frizzante fatto col metodo “ancestrale” (niente degorgement, seconda fermentazione naturale), 100% Sangiovese, dal gusto fresco e minerale; All’aria aperta IGT rosato, ancora Sangiovese in purezza, un vino dal carattere forte e dal bouquet accattivante, ideale per aperitivi, magari in te della produzione, abbinamento a finger food di in linea con la volontà qualità; Le Veglie di Neri (dove il di Francesco e Veronica di proporre vini legati al territorio, espressione nome ricorda lo pseudonimo anagrammato di Renato di personalità e stile, oltre che di rispetto profondo Fucini, Neri Tanfucio), Sangiovese 85% e Cabernet per le origini. Il Riserva, invecchiato per 16 mesi in Sauvignon 15%, un vino di grande beva, che può botti di rovere e successivamente affinato in bottiglia, tranquillamente essere bevuto giovane; Dolci Ricordi, è un vino di grande eleganza e struttura, seppure un fantastico “vendemmia tardiva”, Malvasia 100%, non roboante né “marmellatoso”. Tutt’altro: il Riserva fresco e equilibrato, mai stucchevole, ottimo per ab2013 esprime notevole equilibrio al palato, si binarsi a grandi formaggi. Una “linea” di prodotti abbina alla grande con piatti di repertorio italiano vasta e collaudata, già ben presente sui mercati regionale, pur nella consapevolezza del lungo tempo (con oltre il 60% di vendite sul mercato italiano, che lo aspetta per sprigionare le sue massime po- prioritario), destinata a crescere ulteriormente per tenzialità. Ma è con il Matto delle Giuncaie, IGT penetrazione e capillarità. A questa crescita contribuisce Toscana 2013, che i Passerin d’Entrèves svelano il certamente la recente scelta di condividere con il celoro amore per le sfide assolute, senza compromessi: lebre enologo Franco Bernabei la cura e la gestione uve Sangiovese di un unico cru, uve vendemmiate dell’attività di vigna e cantina. Un supporto a tutto a mano, maturato per 14 mesi in barrique, affinato tondo, quello di Bernabei, che certo aggiunge una per sei mesi in bottiglia. Il risultato? Un rosso carica progettuale di prim’ordine alla già spiccata potente ma non prepotente, capace di conquistare verve imprenditoriale dei Passerin d’Entrèves. “Non al primo sorso. Avvolgente e ammaliante per voglio stravolgere né sovvertire alcunché, esordisce
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Franco Bernabei nell’intervista che ha rilasciato ad Artù: anche perché Fattoria Dianella ha già le carte in regola per completare il proprio processo di evoluzione complessiva. Le potenzialità sono straordinarie: il trinomio equilibrio-terreno-habitat qui a Dianella è eccellente “. In questa logica di “creazione di una progettualità”, Bernabei mette al primo posto la necessità di “creare aggregazione, mediante un sistema congiunto di rispetto per questo territorio unico, facendo anche, se necessario, sistema con le altre cantine del territorio”. Perciò è sempre più necessario valorizzare le biodiversità, tenendo conto dei tempi tecnici della terra, che richiedono pazienza, attenzione e rispetto. “Il nostro progetto punta alla valorizzazione del territorio attraverso i prodotti, aggiunge Bernabei. Con il vantaggio di poter contare sulle caratteristiche uniche di questo terroir, che è la risultante di diversi elementi: climatici, ampelografici, naturali ma anche paesaggistici e culturali”. In questo modo si contribuirebbe a valorizzare ulteriormente il comprensorio, sottolineandone tutte le opportunità. Il luogo ben si presta a questo tipo di progettualità: la villa, ricca di testimonianze e di storia, insieme alla offerta di ospitalità della Fattoria (tre suite dotate di ogni comfort, con l’arredo di una vecchia casa di campagna) e alla produzione di olio extravergine di altissima qualità, ne fanno un “approdo culturale ma anche remunerativo”, sottolinea Bernabei. “All’insegna dell’autenticità totale”, è il motto dell’enologo, che trova conferma anche nella scelta di ripristinare le vecchie vasche di cemento per la conservazione dei vini rossi: un’antica testimonianza di metodi di vinificazione forse datati ma che, secondo Bernabei, può tranquillamente essere ripresa, secondo logiche moderne che vedono il vino al centro di un processo evolutivo graduale e permanente: in un’ottica di rispetto per il passato, ma sorretta da una progettualità che punti su innovazione e crescita aziendale =
Focus wine
Tenuta di Tavignano l’eccellenza del Verdicchio i vini della Tenuta che si sono susseguiti negli anni. La scelta della forma di allevamento a cordone speIl paesaggio che Stefano Aymerich ronato ha permesso di avere nel tempo una resa bassa, costante, di alto livello che ha portato, sodi Laconi e sua moglie Beatrice prattutto le selezioni, ai massimi punteggi e a premi ottenuti costantemente dal 2008 sulle maggiori hanno trovato a Tavignano li ha guide. Decisero poi d’impiantare vitigni autoctoni in conquistati. Poi, la decisione di dare controtendenza con la moda in voga a quei tempi che privilegiava per lo più le varietà internazionali, vita alla loro azienda agricola. dedicando inoltre più della metà della superficie Una visita a Tavignano e alla sua dimora agricola, ri- vitata alla varietà bianca autoctona più rappresentativa portata agli antichi splendori con un restauro con- e tipica delle Marche. “Il Verdicchio ha rappresentato servativo e ora fulcro dell’azienda viticola, ha - sostiene Stefano Aymerich di Laconi, nobile sardo permesso al nostro sguardo ammaliato di spaziare dalle origini spagnole - sin dall’inizio una passione a 360 gradi sulle colline e sui rilievi che le fanno da nella nostra storia di produttori. L’obiettivo di cornice. Il monte Conero a est, la vallata della realizzare da questa varietà vini di alto livello ci ha cittadina di Jesi a nord, il monte San Vicino a ovest portato a creare il Misco perché potesse divenire e i monti di Cingoli, i Sibillini fino al massiccio del una delle etichette più importanti della Doc”. Gli Gran Sasso a sud fungono da barriera ai venti di altri tredici ettari sono stati via via dedicati a vigneti ponente e libeccio. La posizione dell’azienda agricola, a bacca rossa, principalmente all’autoctono Monteperfettamente baricentrica tra i pulciano, al Sangiovese, alla Lamonti e il mare distante solo crima di Morro d’Alba che hanno 40 chilometri, ma anche tra la “La scelta della forma di ampliato la gamma produttiva valle del fiume Esino e quella della cantina. Da due anni Steallevamento a cordone del Musone, permette una confano Aymerich di Laconi, ora tinua presenza di correnti da che Beatrice non c’è più, ha speronato ha permesso nord e da est, una minore prescelto di coinvolgere nella gedi avere una resa bassa, stione della Tenuta sua nipote senza di nebbie, ristagni di umidità, e costituisce al tempo stesOndine de la Feld che dopo costante, di alto livello so una forma di difesa da infeuna lunga esperienza nel settore zioni in vigneto. La Tenuta, ubi- che ha portato numerosi della progettazione e del design cata nei pressi della cittadina ha accettato la sfida di gestire riconoscimenti” storica di Cingoli, appartiene l’azienda per continuare la viper cultura a Jesi ma come prosione dei suoi fondatori, per vincia a Macerata. Stefano e Beatrice, dopo avere dare risalto e notorietà ai vini di Tavignano. “La acquistato Tavignano nel 1990 con i suoi 230 realtà unica di questa cantina - afferma Ondine de ettari, dando vita così alla loro azienda agricola, la Feld - mi appassiona profondamente. Intendo hanno scelto, due anni più tardi, di dedicare 30 di portare avanti la Tenuta con spirito dinamico e imessi alla viticoltura. Da subito furono prese decisioni prenditoriale comunicando l’energia positiva che che denotano la personalità dei proprietari, la loro pervade il nostro mondo supportata dal gioco di passione per la qualità, la fierezza delle radici mar- squadra dei professionisti che collaborano con noi. chigiane di Beatrice. Optarono infatti per lo sviluppo Penso che la nostra selezione Misco possa essere di tutta la superficie vitata intorno alla dimora paragonata a una donna elegante, mentre la nostra creando una sorta di brolo e al tempo stesso confe- riserva a una più eccentrica, esotica e incantatrice”. rendo un’identità pedoclimatica ben precisa a tutti I vigneti di Verdicchio sono su terreni argillosidi Giovanna Moldenhauer e Giuseppe Arena
70 Artù marzo/aprile 2016
In alto: Stefano Aymerich di Laconi, Ondine de la Feld e Giulio Piazzini, enologo della cantina (ph. di Giuseppe Ferrara). Qui sopra: Verdicchio in vigna e nella pagina a lato strada per Tavignano.
71 Art첫 marzo/aprile 2016
Focus wine
calcarei con esposizioni sud, sud-est ed est. “La forte presenza di calcare attivo - sostiene Giulio Piazzini, enologo interno alla cantina dove interagisce con Pierluigi Lorenzetti, consulente, - associata a una fertilità non elevata dei suoli, permette di contenere il carattere naturalmente vigoroso del Verdicchio e a concentrare il lavoro delle viti sui grappoli. Inoltre la potatura a cordone speronato sulle viti, destinate alle selezioni della cantina, contribuisce a un contenimento senza forzature del potenziale produttivo delle viti”. I vigneti a Tavignano, in conversione biologica dal luglio del 2015, sono oggetto di cure maniacali, con tecniche senza impatto sull’ambiente. “Il terroir di Tavignano - prosegue poi - non si compone solamente di vigneti, suoli e aspetti microclimatici, ma vede l’intervento dell’uomo quale pura interpretazione del potenziale dell’area in senso vitivinicolo. Le scelte ricadono su ridotte rese di produzione in vigneto, raccolta a mano, mancato utilizzo di recenti tecnologie che tendono a estremizzare i naturali processi di riduzione o ossidazione
dei mosti, temperature mediamente basse per la fermentazione e l’utilizzo dell’acciaio, oltre che per la fermentazione, anche per l’affinamento - e talvolta per tipologie come la riserva - privilegiando una maggiore attenzione sul tempo di permanenza sulla feccia fine. Questa serie di decisioni sono state ma-
Il Misco Riserva e la cucina giapponese Abbiamo chiesto a Marco Mazzilli, direttore di Sushi B ristorante giapponese in Via Fiori Chiari a Milano, di studiare degli abbinamenti per due diverse annate della Riserva Misco abbinandoli all’alta cucina dell’executive chef Nobuja Niimori. Il sodalizio lavorativo tra Nobuja e Marco, nato da Armani Nobu nel 2011, è proseguito nel ristorante in zona Brera a Milano di proprietà di una holding nipponica, la Threebond. “Queste due esperienze - racconta il giovane direttore - sono state altamente formative sia dal punto di vista conoscitivo del cibo e delle abitudini alimentari che per l'approccio con clientela internazionale”. La sua cultura, resa più completa e sfaccettata da due viaggi in Giappone, è arricchita dalle sue spiccate capacità di accostamento dei vini siano essi bianchi o metodo classico, rossi o passiti, per farli interagire con la cucina dell’executive chef dove gli aromi e le strutture gustative tipiche della tradizione nipponica si fondono ai gusti italiani. Con il Misco Verdicchio Castelli di Jesi Classico Riserva 2012 Marco propone Black cod con spinaci saltati e salsa di miso bianca (il Black cod è un pesce pescato nelle acque profonde dell’Alaska utilizzato da anni nella cucina giapponese). L’abbinamento con la complessità degustativa del Misco Verdicchio Castelli di Jesi Classico Riserva 2008, intenso dalle note di anice, macchia mediterranea, sensazioni di pietra focaia sia al naso che all’assaggio del vino, si accostano a un’Anatra, salsa teriaky, miele e mandorle. Entrambi gli abbinamenti sono di grande equilibrio gustativo dove il vino esalta le caratteristiche di ogni piatto restandone sublimato a sua volta.
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Sopra: due bottiglie di Misco Riserva al ristorante Sushi B e il direttore Marco Mazzilli (ph. di Giuseppe Ferrara). Black cod con spinaci saltati e salsa di miso bianca.
turate nel corso degli anni in base a prove ed analisi effettuate per individuare la modalità di espressione dei vigneti più autentica e confacente con la filosofia dell’azienda”. L’assaggio di diverse annate delle selezioni Misco e Misco Riserva, ha permesso di apprezzarne la struttura e la straordinaria capacità d’invecchiamento dei vini, dove i gradi di acidità elevati, la spiccata componente minerale arrecano sensazioni di freschezza e mai di pesantezza. Tecnicamente le due selezioni di Verdicchio, durante la vinificazione e dopo una macerazione pellicolare in pressa per 4/5 ore, fermentano in acciaio a temperatura controllata, sostano poi sulle fecce fini per 6 oppure 12 mesi a seconda della tipologia prima di riposare in bottiglia. Vinificazioni che non sono mai estreme ma che rispettano il carattere intrinseco dei vini portandoli a essere eleganti, raffinati, emozionanti all’assaggio =
Focus wine
Vino italiano, un futuro radioso?
di Rocco Lettieri
Veronafiere-Vinitaly ha organizzato una seconda edizione di Wine2Wine. Significativa la voce di Jancis Robinson che non ha lesinato critiche al “sistema vino” italiano.
Dopo l’edizione numero “0” dello scorso anno, il forum dedicato al mondo del vino ha schierato a fianco delle aziende vitivinicole figure professionali della filiera enologica export-oriented, proponendo workshop e incontri tenuti da illustri figure del mondo business. Sei le aree tematiche per 26 workshop: marketing e comunicazione, mercato internazionale, normativa e finanza, scenari di mercato, viticoltura e special workshop. In calendario altri 16 appuntamenti, tra sessioni di networking per lo scambio di informazioni su mercati, trend e nuove tecnologie ed esperienze, speed dating b2b con buyer selezionati prove“La strada da percorrere nienti da Stati Uniti, Germania e Regno Unito e uno speaker's corper il comparto ner dove poter portare e condividel vino, che vale dere idee. Il respiro internazionale dell’evento è stato garantito dalla per l’Italia oltre presenza di circa un centinaio 14 miliardi di euro, di relatori altamente qualificati, la maggior parte dei quali provesarà sempre più nienti dall’estero. Tra questi Danny quella dell’export” Brager, Senior Vice President per gli Stati Uniti dell'area Beverage Alcohol Practice di Nielsen, Levi Dalton, wine-editor per Eater NY e conduttore del podcast TU drink to that, che ha come pubblico privilegiato gli operatori specializzati del mondo del vino negli Usa e con il quale è stata anche realizzata in via sperimentale in vista di Vinitaly 2016 una selezione di buyer, che sono stati invitati a Wine2wine. Presenti anche gli ambasciatori del Vinitaly International Academy, provenienti da tutto il mondo per costruire una rete di supporto e promozione globale del vino italiano all’estero. Moltissimi gli incontri programmati per i due giorni di Wine2Wine. Impossibile seguirli tutti per la coincidenza in contemporanea dei forum. “Pesca dove ci sono i pesci” dicono gli americani. E così anch’io mi sono adeguato ed ho seguito una decina di incontri davvero molto qualificanti. Tra tutti l’annuncio del presidente di Veronafiere Danese: “Per il 50° Vinitaly previsti 8 milioni di investimento per il business. Infatti, per il prossimo Vinitaly abbiamo pianificato questi investimenti a supporto del wine business, dell’incoming di operatori esteri, del miglio-
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ramento delle infrastrutture di servizio per i nostri clienti e per rendere ancora più netta la distinzione fra operatori professionali all’interno della rassegna nel quartiere fieristico e i wine lovers che avranno il proprio riferimento in un evento dedicato nel centro della città. Tutte le attività finalizzate a potenziare il business fieristico sono la priorità del nuovo consiglio di amministrazione. La strada da percorrere per un comparto che vale per l’Italia oltre 14 miliardi di euro sarà sempre di più quella dell’internazionalizzazione. A tal proposito, nell’ambito del programma nazionale di sostegno per il settore vitivinicolo per la campagna 2014/2015 sono stati erogati oltre 336 milioni di euro a favore del settore, vale a dire il 99% dei fondi assegnati”. “Il Piano straordinario - ha ricordato invece il direttore generale di Veronafiere Giovanni Mantovani - ha mostrato la propria efficacia anche con un’altra delle manifestazioni di punta di Veronafiere, Marmomacc, che ha accresciuto il numero di delegazioni commerciali e buyer dall’estero e ci attendiamo da Vinitaly un’ulteriore spinta per l’export del vino italiano nel mondo”. Solo nell’ultima
edizione di Vinitaly, ha ricordato ancora Mantovani La sala dell’auditorium “la presenza estera è stata di oltre 55mila operatori durante uno dei workshop da 141 nazioni, pari al 37% del totale dei visitatori. di Wine2Wine. L’incoming sarà rafforzato con azioni specifiche su Paesi target quali Germania, Austria, Svizzera, Regno Unito, Paesi Scandinavi, Polonia, Usa e Canada, Russia, Giappone e Cina, e per i vini naturali e biologici, con un sostegno a specifici operatori su mercati come Nord Europa, Paesi Scandinavi, Germania e Benelux”. Oggi Vinitaly è un sistema a rete di cui fanno parte Vinitaly International, OperaWine, Vinitaly Wine Club, VIA - Vinitaly International Academy, wine2wine, Sol&Agrifood, Enolitech e i premi collegati. Senza dimenticare Vinitaly & the City, che nel 2016 rappresenterà l’ombrello sotto il quale saranno collegate tutte le iniziative “fuori fiera” durante i giorni di manifestazione. Rafforzati anche la logistica (dalla viabilità agli ingressi) e i servizi agli operatori (connessioni dati, navette anche dall’aeroporto di Venezia, fast track per visitatori esteri etc). Il 50° di Vinitaly, dal 10 al 13 Aprile 2016. “Non celebra solo una storia, ma permette di costruire concretamente un pezzo di futuro - ha detto il Ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Maurizio Martina -. Questi 50 anni hanno raccontato la storia del vino italiano, dai problemi alle opportunità, dai momenti difficili alle grandi occasioni. In questi anni Vinitaly è stata in tutto e per tutto l’agenda che ha consentito al vino italiano di costruirsi, rinnovarsi e raccontarsi per fare salti di qualità in avanti. Noi ci siamo e dobbiamo cooperare e continuare a lavorare con una si-
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Focus wine
Il direttore scientifico di VIA - Vinitaly International Academy Ian D'Agata durante la presentazione del Premio Enologico Internazionale “5 Star Wines”.
nergia tale da portare risultati concreti per il comparto e per l’intero Paese”. Fra le novità annunciate per Vinitaly 2016 anche il nuovo Premio Enologico Internazionale “5 Star Wines”, presentato da Ian D’Agata, direttore scientifico di VIA - Vinitaly International Academy: “Un premio disegnato come reale strumento di business e leva di marketing per le aziende che vi prendono parte con una giuria internazionale composta di esperti di specifiche aree produttive, che valuteranno solo i vini provenienti da quelle zone e secondo le modalità riconosciute dal mercato - ha detto Ian D’Agata -. Dopo 22 edizioni del Concorso Enologico Internazionale, si tratta di un cambiamento epocale, che alza ulteriormente l’asticella della qualità richiesta ai partecipanti. Non sarà più una competizione, infatti, ma un premio destinato solo ai vini che raggiungeranno e supereranno i 90 centesimi nel giudizio espresso da commissioni composte da esperti internazionali specializzati per area geografica di provenienza dei vini”. Faccia a faccia Robinson-Ballotta “Il vino italiano è un parco giochi per i winelover di tutto il mondo”, ma “è un cavallo di razza che abbiamo tenuto troppo tempo ai box”. È la sintesi del faccia a faccia tra Jancis Robinson winecritic, scrittrice e giornalista e la Ceo di Business Strategies,
Silvana Ballotta, al Wine2wine di Veronafiere. Jancis Robinson, con 40 anni di carriera di Wine Wrtiter e firma enoica del "Financial Times", ha così affermato: “Non ho ricordi che la qualità del vino italiano sia mai stata più alta di adesso: è la congiuntura perfetta per poter sfruttare appieno i cambiamenti sullo scenario globale. Toglietevi la Francia dalla testa, credete di più nell’Italia del vino, che ha tante risorse e piace al mondo, andate nei mercati più spesso, meglio, e con più organizzazione e coesione, per raccontare i vostri prodotti e il vostro lavoro, e non date nulla per scontato, ma preparatevi sempre a dialogare, nel modo giusto, con gli interlocutori che avrete davanti di volta in volta. Che l’Italia sia cresciuta tanto in qualità non è in discussione, è evidente e per me rimane un mistero, però, che alcuni mercati, a partire da quello del Regno Unito, non riescano a capirlo a pieno. Gli inglesi non sanno molto, in verità, dei vostri vini. Dovete fare di più, esserci di più. E qui chiamo in causa anche le vostre istituzioni. Dovete venire a fare più degustazioni, molte, molte di più. Servirebbe un primis un ciclo di tasting che mostri, nello stesso luogo, la qualità e la varietà della vostra produzione nazionale. Ma anche più programmazione: ho ricevuto inviti a press tour e cene a fine anno, 10 giorni prima dell’evento, come se ci si fosse accorti che avanzavano dei soldi da spendere in ogni modo.
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Non ha senso, gli altri Paesi programmano con molto più anticipo e strategia. L’immagine dell’Italia è così affascinante, siete ospitali, divertenti: dovete solo scordare la Francia, toglietevela dalla testa anche perché i francesi ora stanno vivendo una grandi crisi su alcune delle loro certezze storiche. Basta con paragoni, siate voi stessi, perché avete tante risorse. Fate l’Italia e siate italiani, dovete credeteci. Quello della vendita diretta è un trend inarrestabile, e il web è uno strumento perfetto in questo senso. Detto questo, non so se per l’export può funzionare davvero, anche perché, per voi italiani, c’è lo scoglio della lingua, che va superato. E per questo dovete investire sui giovani che sono freschi e moderni, che parlano bene inglese, e che saranno i vostri ambasciatori”. Un’identità ancora giovane, come ha commentato Silvana Ballotta: “Il vino ha assunto solo recentemente la consapevolezza di non essere solo un prodotto agricolo e per questo è importante lavorare sulla promozione come ha fatto il settore della moda. Dobbiamo essere pronti a rischiare di più, anche alzando un po’ i prezzi. La comunicazione - ha proseguito la Ceo della società fiorentina che cura l’internazionalizzazione di oltre 400 aziende italiane - è fondamentale in questo processo, e il piano straordinario del viceministro Calenda è sicuramente una buona notizia, perché porterà una bella iniezione di fondi per la promozione. Ma non è solo una questione di denaro, è altrettanto importante spenderlo bene”. E sui mercati Far East, ha concluso Ballotta: “In Cina è ‘il piccolo passo che fa la lunga strada’. Bisogna sapersi e potersi muovere, mettere in campo una promozione che miri all’educazione del consumatore cinese. E in questo contesto il binomio con la gastronomia non può rappresentare un vincolo. Il vino deve potersi integrare e sperimentare con la cucina cinese, senza essere ghettizzato con quella italiana”. A picchiare duro sull’Italia è ancora la Robinson: “Oggi però mi sembra che i produttori
italiani siano concentrati su se stessi. Credo sia meglio raccontare tutto quello che ruota attorno a loro, il vitigno, il vigneto, il territorio, la cultura, il cibo. Ed oggi avete un'altra grande possibilità. Quella di tirare fuori dall’oblio i tanti vitigni autoctoni che avete. Una catena della gdo ha scoperto il Pecorino, lo ha fatto conoscere e ora molti inglesi bevono il vino da questo vitigno poco conosciuto. Ma ci è voluto un lavoro di approfondimento e di divulgazione ben organizzato. Non si può improvvisare”. E continua dicendo: “Credo che il mercato del Regno Unito potrà funzionare se il produttore presterà attenzione. Serve un lavoro di ricerca. Non si può andare in un Paese e conquistarlo subito. C'è una certa Italia che si sta muovendo con successo. Penso al Chianti Classico o anche al Barolo. Per il quale abbiamo fatto una degustazione molto bella dove si degustava e si mangiava. Ecco, forse sono idealista ma penso che sia necessario per l’Italia organizzare degustazioni non di singoli produttori ma di territori poco conosciuti. Far venire fuori attraverso il vino un’Italia nascosta fatta di tanti vitigni autoctoni”. Poi l’affondo sul nostro sistema di promozione: “Mi pare che avete un ente di promozione che si chiama ICE e spende i vostri soldi. Io nella mia posizione di esperta non ho alcuna evidenza che l’ICE esista, magari hanno un ufficio a Londra, ma non ho idea. Una volta mi invitavano, mai per eventi interessanti, sembravano piuttosto cose buttate lì una volta all’anno”. Dalla platea parte l’appaluso. E la Robinson aggiunge: “Un consorzio veneto mi ha invitato appena 14 giorni prima dell’evento e due giorni prima per una cena. Ecco, credo che serva più programmazione e più lungimiranza. Per fare le cose bene ci vuole tempo. Il Bordeaux non è più di moda, lo champagne subisce la grande concorrenza di altri vini spumanti. E allora dico: se avete tante cose non cercate i francesi, siate italiani fino in fondo e soprattutto siate fiduciosi” =
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La winecritic, scrittrice e giornalista Jancis Robinson e un momento del Wine2Wine.
Focus wine
Partesa, tutti gli aspetti del vino un manuale che già nella prima edizione si è affermato quale strumento di riferimento per specialisti, ma anche appassionati. Un successo tale Continua il progetto che vede da indurre Partesa a pubblicare, sempre con CinPartesa in prima linea nella quesensi, la casa editrice, una seconda edizione diffusione della cultura del ampliata con contenuti specifici e testimonianze di alcuni protagonisti dell’enologia italiana e internavino. È stata presentata zionale, coinvolgendo così un pubblico ancora più la seconda edizione del libro ampio. Roberto Racca, curatore della pubblicazione, così commenta il prestigioso progetto: “Siamo alla “Il Vino. Istruzioni per l’uso”. seconda edizione di un lavoro editoriale completo, Nasce nel 1998 il progetto “Partesa per il vino” approfondito, interdisciplinare, di taglio innovativo, che vede l’azienda di Sesto San Giovanni, facente nato da un’idea forte e da un’ambizione: quella di parte del Gruppo Heineken Italia, specializzata nei fornire sia al neofita che all’appassionato uno struservizi di vendita, distribuzione, consulenza e for- mento di conoscenza seria, su un argomento, il mazione per il canale Ho.Re.Ca., in prima fila per vino e la viticoltura, nostri punti di comunicare la propria forza nella gestione di un forza nella difficile sfida dei mercati inportfolio di vini di qualità. Un progetto che nel ternazionali. Un manuale che affronta corso degli anni ha permesso al network di distri- tutti gli aspetti di questa affascinante buzione, in anticipo rispetto ai competitor, di realtà dell’agroalimentare. Uno strucrescere nel mondo del vino differenziandosi dagli mento unico a cui riferirsi per un apaltri player del settore e guadagnandosi la fiducia proccio consapevole”. A cui fanno eco di partner e gestori del mondo Ho.Re.Ca. A testimo- le parole di Riccardo Giuliani, Ammininiarne il successo i numerosi stratore Delegato premi ricevuti dalle principali Partesa, che ne sotguide italiane sui vini selezionati tolinea il valore di“Per la realizzazione e distribuiti, una scelta attenta chiarando che “in di questo progetto e ragionata che ben rispecchia queste pagine si i valori di quel progetto iniziale, fa cultura del vino Partesa ha chiesto il tanto audace quanto geniale, in un modo accessibile a diversi contributo di nuovi e in grado di penetrare il mercato livelli” e anche della birra, dato con una politica commerciale che nella seconda edizione trova interessanti nomi del innovativa, evolvendo in interesuna sezione più corposa mondo del giornalismo spazio santi momenti di business dove dedicata interamente alla birra partner commerciali, trade spedi settore e non solo.” che racconta il percorso di vacializzato, gestori dei locali ma lorizzazione del prodotto e anche tutti gli appassionati di della cultura birraria compiuto vino hanno potuto toccare con mano la qualità in questi anni in Italia, grazie alla sfida intrapresa offerta per il segmento dedicato al vino. Gli stessi da Partesa e da Heineken Italia. Da sottolineare interlocutori a cui Partesa dedica un interessantissimo come la categoria birra rappresenta circa il 40% progetto editoriale: con la pubblicazione “Il Vino. del fatturato di Partesa, di cui il 70% è costituito da Istruzioni per l’uso” si racconta la storia del vino, si birre del Gruppo Heineken. A dare il loro prezioso illustrano gli aspetti tecnici e produttivi, le caratteri- contributo alcuni protagonisti del giornalismo di stiche e le specificità suddivise per tipologie e settore, chef e specialisti che hanno accolto con envitigni, le nuove sfide di comunicazione e di mercato, tusiasmo l’invito di Partesa a raccontare il mondo di Rebecca Andreola
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del vino in 11 capitoli a cui segue un 12 con la funzione di sintetizzare “Il vino in 167 parole”, definizioni e terminologie utili da sapere anche per i profani. “Il vino. Istruzioni per l’uso” è un manuale di facile lettura, strumento
pratico e fruibile che ad approfondimenti su tematiche storiche, tecniche, economiche, movimenta la narrazione con interviste e punti di vista dei 27 “collaboratori”, nonché fautori, del volume. In dettaglio hanno dato il loro contributo come autori Antonio Boco, Giuseppe Carrus, Beppe Caviola, Federico Curtaz, Paolo De Cristofaro, Gianni Fabrizio, Nicola Frasson, Eleonora Guerini, Donato Lanati, Vittorio Manganelli, Andrea Rea, Gian Piero Romana; i “contributori” sono stati Silvia Baratta, Michela Borsa, Giancarlo Gariglio, Andrea Gori, Alfredo Pratolongo e gli intervistati Silvia e Riccardo Baracchi, Ivano Boso, Massimo Bottura e Giuseppe Palmieri, Daniele Cernilli, Jean-Louis Chave, Luca Corrado e Mario Cordero, Vincent Dauvissat, Christian Di Bari, Michel Drappier, Francesco Eblovi, Oscar Farinetti, Maurilio Garola, Reinhard Löwenstein, Bernard Noblet, Alessandro Regoli, Davide Scabin. Partesa si schiera
così dalla parte di chi, oltre a veicolare qualità, alimenta un importante flusso di cultura del vino, e anche della birra, fornendo con questo prezioso volume uno strumento efficace e rappresentativo della propria professionalità =
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Da sinistra verso destra: Roberto Racca, Alfredo Pratolongo, Riccardo Giuliani e Sara Vitali.
La foto di Cioffi
Massimiliano Alajmo, Le Calandre, Caffè Quadri, Stern Caffè e...
81 © Ferdinando Cioffi
Artù marzo/aprile 2016
La Sultana a Marrakech Rito e concretezza 82 Art첫 marzo/aprile 2016
Dal mondo
di Gualtiero Spotti
Qui lo Street Food è una realtà, in quest’atmosfera che offre occasioni uniche per conoscere e degustare i sapori del Marocco più autentico, seppur fortemente turistico. I profumi delle spezie, il via vai ininterrotto di persone nel cuore della Medina, i colori sgargianti delle bancarelle nei souk e la grande piazza di Jemaa El Fna, crogiuolo di razze e punto di incontro imperdibile per vivere la magia di una città della charme, con i suoi cinque Riad, tutti diversi uno quale ci si innamora facilmente. Marrakech è dall’altro e collegati in un complesso labirintico tutto questo e molto altro, per chi decide di che svela angoli sorprendenti ad ogni passo. Ma fermarsi qualche giorno e vuole perdersi tra i andiamo per ordine. L’accoglienza prevede per vicoli della città, magari entrando in uno dei tanti l’ospite che giunge alla reception il rito immancabile magnifici Riad, oppure approfittando delle molteplici del tè alla menta, da consumarsi comodamente occasioni per sperimentare sul seduti nella terrazza che occupa campo il vero street food locale. l’intero edificio e dalla quale All’interno della stessa Medina, “I veri punti di forza si gode di un panorama a 360 nel centro storico circondato gradi sulla città, in attesa di de La Sultana da mura e fulcro della vita turiprendere possesso della propria stica della città, i quartieri con stanza. Nel frattempo si scorimangono una propria anima non mancaprono altre sorprese che arricl’accoglienza e no e spesso si distinguono in chiscono la giornata di chi base a peculiarità commerciali. vuole restare ai piani alti dell’assoluta eleganza Capita così, ad esempio, di vil’hotel. Dalla tenda che nascone perfezione sitare la Mellah, un’area che de un biliardo (e ci si immagina, sta vivendo una riqualificazione pur trovandoci a Marrakech, di delle camere” urbana importante e dove ci vedere comparire da un mosi spinge per acquistare erbe mento all’altro il Rick Blaine e spezie in un mercato coperto, oppure di arrivare di Casablanca con il volto di Humphrey Bogart), nella zona delle tintorie, nella quale si resiste a alla piccola piscina per momenti di assoluto relax, fatica all’odore acre delle pelli trattate, e ancora fino alla scuola di cucina open air. Si perché a La nella Kasbah, un quartiere popolare e vivace, a Sultana, su richiesta e durante la mattinata, per due passi dal Palazzo Reale. Proprio qui, nascosto un massimo di otto persone, si può partecipare a in un vicolo che è quasi difficile scorgere, a fianco corsi di cucina durante i quali vengono preparate del monumento storico delle Tombe Saadiane, si insalate marocchine e diversi tipi di tajine. Ed è trova La Sultana, uno degli alberghi di maggior prestigio di Marrakech e un’isola di tranquillità e di pace con vista sulle montagne dell’Atlante. La Nella pagina a lato: cena romantica a La Sultana. Sultana è quello che si definisce un hotel di Sopra: esempi di tajine realizzati ai corsi di cucina.
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Dal mondo
un modo per conoscere meglio i piatti della tradizione locale berbera, prima di assaggiarli durante il pranzo che segue la lezione. I veri punti di forza de La Sultana però rimangono l’accoglienza e l’assoluta eleganza e perfezione delle camere, che sono vere e proprie suite dove si vivono esperienze da Mille e una Notte. Ogni Riad è arredato diversamente e gioca con la storia e le tradizioni, sia locali che, più in generale, del continente africano. È il caso del Riad Saadia, dove viene rappresentata la ricchezza e il fasto della città imperiale di Fèz, attraverso il colore e i toni caldi del legno di cedro, o il Riad Shéhérazade con un giardino che evoca la savana, i saloni in stile senegalese e un artigianato decisamente animalier. E poi c’è il Riad Almohade, quello principale, con la grande piscina de La Sultana intorno alla quale esplodono le nuances dell’ocra che richiamano alla mente le mura e gli edifici di Marrakech, e i colori si confondono tra l’acqua turchese e la vegetazione lussureggiante che offre una piacevole penombra. Qui, a pranzo come a cena (e lo spazio viene utilizzato anche per le colazioni) si svolge la principale attività di ristorazione dell’hotel. In particolar
modo la cena ha un fascino unico, con il tavolo che sfiora l’acqua della piscina, la musica live di un suonatore di oud, il servizio discreto e attento, ma soprattutto la scelta di piatti che è in grado di soddisfare tutte le esigenze. Chi vuole muoversi in un percorso fatto di sensazioni e sapori locali qui trova pane per i suoi denti, con l’Harira, la zuppa di lenticchie e agnello accompagnata da datteri; la Pastilla, una pasta sfoglia di carne (al piccione) arricchita di spezie tra cui non può mancare la cannella; la Tajine di cozze alla curcuma; i Gamberi alla salsa chermoula (preparata con erbe, limone,
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olio e coriandolo, tra gli altri) o il classico Couscous ma in versione tfaya, ovvero con una salsa di cipolle. Invece, per i più tradizionalisti che vogliono consumare un pasto in stile internazionale, la cucina propone piatti di ottima fattura quali la Terrina di foie gras d’anatra “maison” con coulis di rape e pan di spezie, le Animelle fritte con spinaci, le Capesante accompagnate da una “cascata” di porri, il San Pietro con caviale di zucchine e coriandolo e il Carré di agnello con patate. Quindi una cucina che pesca a piene mani nella classicità francese, come è giusto che sia visto
che i cugini d’oltralpe ancora oggi rappresentano una buona fetta del mercato turistico, sia in giro per la città che nelle suite de La Sultana = www.lasultanahotels.com
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Alcuni dettagli degli interni dell’hotel La Sultana, in stile marocchino, e la location dei corsi di cucina.
Equipment
Design funzionale la parola chiave di Nude delle collezioni 2016 per la casa e per il professional. I bicchieri dallo stile classico vengono così proposti al mercato per un uso più casual, non solo come Lente d’ingrandimento calici da vino ma anche come bicchieri da cocktail. su Sisecam, il colosso del vetro “Nel panorama del vetro l’offerta è smisurata in turco che in 30 anni ha conquistato questo momento - dice Massimo Leonardi - ma Pasabahce si impegna nell’aiutare la catena distributiva il mercato italiano. a suggerire cosa è più opportuno presentare ai proUn nuovissimo brand di prestigio e un affermato fessionisti della ristorazione e nelle case degli marchio di calici per la ristorazione di qualità: così italiani. Serviamo i più importanti punti vendita in Sisecam, leader nel campo del vetro, si pone l’ambi- Italia e per noi è importante il posizionamento: la zioso obiettivo di offrire soluzioni coerenti e ambiziose ricerca e lo sviluppo del prodotto devono andare a agli operatore della ristorazione. Sempre più attenta braccetto con il prezzo, che non deve svilire il proalle richieste di questo settore, l’azienda turca può dotto”. Tra le varie novità di prodotto c’è Borcam, vantare in Italia una distribuzione attenta e puntuale pirofile da forno in borosilicato, proposte quest’anno nella gestione delle oltre 2000 referenze presenti a nelle versioni acquamarina e brown. catalogo. Artù ha incontrato Massimo Leonardi, Ceo Con un catalogo vastissimo, Pasabahce è il secondo di Pasabahce srl, per comunicare a un pubblico produttore di vetro in Europa, terzo al mondo. Di attento e professionale i valori di una realtà che da cruciale importanza è l’attenta distribuzione nei molti anni opera sul territorio nazionale con riscontri canali che meglio accolgono e comprendono la decisamente positivi. Ruolo di qualità dei prodotti: “Il nostro spicco spetta al brand ultimo percorso - ci spiega Massimo nato Nude, calici e oggetti per Leonardi CEO di Pasabahce srl “Artù ha incontrato il serving in vetro sonoro supe- si basa soprattutto sulla coMassimo Leonardi, riore senza piombo, presentato municazione, sulla presenza a al mercato italiano nel 2015 fiere di settore e sui magazine Ceo di Pasabhace, in occasione della fiera dedicata specializzati, per arrivare in mol’azienda turca che all’ospitalità professionale Host. do chiaro ed efficace al mondo Con il suo motto “Simple is be- punta, con i suoi prodotti, ho.re.ca. Con il nostro marchio autiful”, Nude si inserisce nel premium Nude, desideriamo ai professionisti settore della ristorazione e delfarci conoscere dalla ristorazione l’hotellerie con articoli dal design di medio-alto livello, un segdella ristorazione” funzionale, tra cui bicchieri, demento di mercato che può canter, oggetti per il food service offrire interessanti sviluppi. Dobe complementi d’arredo. biamo comunicare ai ristoratori e ai sommelier le L’universo Sisecam si è mostrato in tutta la sua potenzialità di questo brand che si propone con creatività e perfezione anche durante la mostra un prezzo coerente e adeguato, senza inutili e Ambiente 2016, a Francoforte, grazie all’imponente sterili battaglie sul prezzo, come spesso purtroppo stand dedicato al marchio Pasabahce: un grandis- accade, con la conseguenza di svalutare l’intera simo spazio con al centro un bancone da bar e ani- produzione di calici e bicchieri. La forte concorrenza mato da numerosi momenti dedicati al mixology può essere combattuta puntando in modo mirato show, tendenza su cui oggi l’azienda turca sta pun- e direi acuminato sulla ristorazione ‘ragionevole’, tando molto. Calici con forme e decori retrò come la definisce Artù, ovvero quei professionisti (collezioni Diony e Timeless) o il barattolo da con- che sanno offrire alta qualità a un prezzo corretto servazione (collezione Homemade) sono i protagonisti e in linea con le aspettative di una clientela di Elisa Facchetti
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Sopra: Pasabahce Store in Corso Matteotti, 3 a Milano e calice vino della linea Mirage di Nude. Nella pagina a lato calici linea Vintage e serving set Quartet con base in ardesia di Nude.
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Equipment
In questa pagina: la linea Casablanca, tra i best seller di Pasabahce; bicchiere whisky della linea Finesse di Nude e il calice Diony, perfetto per vino e mixology.
moderna ed evoluta”. L’asticella può essere ancora alzata con la qualità e lo stile di Nude, allargandosi anche alla sfera luxury con articoli soffiati a bocca per un servizio impeccabile, da abbinare in parallelo, nell’ambito di hotel di fascia alta, a collezioni realizzate a marchio Pasabahce. Gli investimenti, supportati da una holding del calibro di Sisecam, con sede a Istanbul, sono rivolti alla ricerca e alla qualità dei materiali. Fiore all’occhiello dell’offerta, con un logo smart e una riconoscibilità immediata, è senza dubbio Nude, con le sue creazioni in vetro sonoro superiore senza piombo. Nude rappresenta un’eccellenza nel panorama del vetro che si impone sulla scena italiana vantando anche collaborazioni con illustri designer: un percorso che continuerà nei prossimi anni e che vedrà all’opera ulteriori firme nel campo del design. “Per il primo anno - continua Massimo Leonardi - ci aspettiamo buoni risultati con Nude. Vogliamo proporci come un nome riconoscibile per la sua qualità e aumentarne la penetrazione presso la ristorazione medio-alta”. Menzione d’onore spetta al Pasabahce Store in Corso Matteotti 3, a Milano: “A solo un anno dall’inaugurazione - continua
Massimo Leonardi - iniziamo già a registrare ottimi risultati: il negozio di 500 metri quadri, nel pieno centro città, è una vetrina strategica che offre ulteriore visibilità ai nostri marchi. Per il futuro prossimo pensiamo anche all’organizzazione di eventi e partnership con aziende vitivinicole, e griffes del quadrilatero della moda, interessate a sfruttare non solo lo spazio ma il nome stesso del negozio come cassa di risonanza per attrarre una clientela sempre più eterogenea e diversificata, ma caratterizzata dall’amore per l’alta qualità” =
88 Artù marzo/aprile 2016
Brand news Davide Oldani per Impresa Semplice
Helix: il twist che conquista
Da Spumador Acqua Mood
La nuova campagna pubblicitaria di Impesa Semplice ha un nuovo volto: lo chef-imprenditore Davide Oldani racconta le potenzialità dei nuovi servizi TIM, in particolare l’utilizzo del cloud computing di TIM. ________________________
Helix rappresenta una delle più rivoluzionarie soluzioni di packaging del vino. Un’idea nata nel 2013 dalla collaborazione delle due leader internazionali del settore: la portoghese Amorim Cork ha realizzato il tappo in sughero che si svita-avvita mentre O-I (Owens-Illinois) si è occupata della bottiglia complementare con filettatura interna. ________________________
Distribuita nel canale Ho.re.ca., Mood è la nuova acqua prodotta da Spumador Spa. Oligominerale, l’acqua Mood presenta una bottiglia in plastica dal design minimale che combina la consistenza del vetro alla praticità della plastica. ________________________
Zorzettig, vini friulani in degustazione
I dolci tipici pasquali d’Italia si sono presentati in Valle d’Aosta il 19 il 20 marzo, a Saint-Vincent, in un nuovo evento creato sulla scia di Re Panettone® ideato da Stanislao Porzio: La Primavera è Dolce. Il Palais Saint-Vincent ha ospitato i maestri pasticcieri provenienti da tutte le regioni italiane.
Lunelli, “Wine Family of the Year” In occasione del Meininger Award “Excellence in Wine & Spirit” di Düsseldorf la famiglia Lunelli è stata nominata “Wine Family of the Year”. Matteo e Marcello Lunelli, Presidente e Vice Presidente delle Cantine Ferrari, hanno ritirato la prestigiosa onorificenza.
ll ristorante Da’ Pescatore, a Firenze, ha fatto da cornice alla presentazione delle nuove etichette della linea classica Zorzettig. I piatti preparati dallo chef napoletano Daniele Pescatore, cinque portate dedicate al baccalà, sono stati abbinati ai vini della cantina friulana.
Coca-Cola HBC Italia: nuovo Out of Home Director
La Primavera è Dolce Nuova nomina per Coca-Cola HBC Italia, maggiore produttore e distributore di prodotti a marchio The Coca-Coca Company sul territorio nazionale. Sarà infatti Petros Papageorgiou il nuovo Out of Home Director che, dopo una carriera decennale in Diageo, avrà il compito di gestire e far crescere ulteriormente l’Out of Home del noto brand.
Libri
Fuoricasello ha fatto dieci! Champagne, gusto e cucina
Titolo: La cucina piacentina Autore: Andrea Sinigaglia, Marino Marini Editore: Orme Editori Pagine: 222 Prezzo: 17,50 €
Titolo: Grandi Champagne Autore: Alberto Lupetti (a cura di) Editore: Ass. Cult. Trois Cépages Pagine: 450 Prezzo: 18,00 €
Titolo: Conegliano con il gusto in bocca e gli occhi all’insù Autore: Maurizio Potocnik Editore: Club Magnar Ben Editore Pagine: 152 Prezzo: 19,80 €
Titolo: Fuoricasello Autore: AA.VV. Editore: Longo Editore Pagine: 460 Prezzo: 20,00 €
L’identità in cucina Parte attiva della scuola di Alma a Colorno, i due autori accompagnano il lettore nelle viscere della cucina del territorio, picentino, per far comprendere al meglio l’identità gastronomica. Dopo un breve abbecedario si entra nel vivo della terra parlando di denominazioni e presidi, dal momento che “cucinare è come scrivere e leggere è come mangiare” ed è quindi necessario illustrare alcune terminologie, ingredienti per disporre un preciso ordine narrativo. Si passa quindi alla rassegna dei grandi salumi piacentini, dei formaggi, con un excursus sul pomodoro piacentino, fino a un salto nelle osterie e botteghe storiche, nonché il rinomato ristorante. E come sempre la cucina dell’eccellenza va di pari passo con un’eccellente produzione vitivinicola. Utile il ricettario finale.
Le migliori bollicine francesi in Italia Così recita il sottotitolo di questo importante volume dedicato al “re dei vini”, lo champagne. Una breve introduzione sulla storia e la produzione invita il lettore ad addentrarsi in alcune testimonianze di note cantine produttrici, fino ai migliori abbinamenti. Una trentina di pagine e ci si tuffa nel mondo dei produttori e dei loro champagne: per ogni produttore, ben 90, è dedicata una pagina esplicativa a cui seguono i prodotti di punta della Maison. 320 le cuvée recensite con schede chiare e puntuali: composizione dello champagne, valutazione espressa con un punteggio, descrizione e in alcuni casi la segnalazione con un “Coup de coeur”. Il sito www.lemiebollicine.com resta il punto di riferimento sul web e la naturale estensione della guida.
Look at, Taste, Drink La “Urbis Picta” di Maurizio Potocnik si snoda in 12 affreschi (look at), 12 piatti (taste) e 12 vini (drink). Tra narrativa in prima persona, descrizione dei dipinti, ricette con tanto di foto e descrizione minuziosa della preparazione, il lettore si sente coinvolto in una giostra che ruota e si sofferma ora su quel dipinto, ora su un particolare vino, ora su un piatto da (ri)scoprire grazie anche al contributo del fratello dell’autore, l’architetto Michele Potocnik (a lui la descrizione degli affreschi) e di Wladimiro Gobbo, sommelier che ha abbinato i 12 vini ai 12 piatti e ai 12 affreschi. Un incontro tra arte figurativa e arte culinaria che è piacere della vista e del gusto, in una città tutta da scoprire e da assaporare. Bilingue.
Soste di gusto Hanno raggiunto la decima edizione, con oltre 650.000 copie vendute. I fratelli Longo (Giovanni, Osvaldo e Paola) hanno decretato, una volta di più, il successo della “loro” guida: uno strumento decisamente utile che indica 812 luoghi di ristoro ubicati a pochi minuti dai caselli autostradali di tutta Italia. La guida è stata presentata presso il locale milanese Mangiari di strada, un esempio di vicinanza alle tangenziali cittadine ma soprattutto testimonianza di cucina autentica, basata sulle materie prime “povere” dei nostri territori italiani. La serata, con Bruno Pizzul, Gianni Mura e altre firme del giornalismo, è stata l’occasione per raccontare il volume, ormai indispensabile a quanti desiderano cibarsi on the road, ma con la consapevolezza di scegliere “il meglio che c’è in zona”.
92 Artù marzo/aprile 2016
Alberto’s choice
Dal Piemonte con amore E Bove’s apre a Milano LA CARNE DI BOVE’S, CRUDA, FROLLATA E…
di locali di impronta partenopea aperti in ogni dove a Milano, questo Bove’s - dai colori che ricordano vagamente gli interni del newyorkese GallaBove’s gher’s - spicca per la sobrietà raffinata, tutta pieVia Cesare Da Sesto 1 montese, che ci pare il valore principale che 20123 Milano Marco Martini abbia voluto dare a questa sua seTel 02 58107932 conda, importante, apertura. Il primo locale, opewww.boves1929.it rativo a Cuneo in pieno centro storico (Via Dronero, Chiuso Mercoledì a due passi dalla Saletta, il bar delle sorelle Panero ritenuto da molti, me compreso, il migliore bar del vino italiano per varietà dell’offerta e qualità degli abbinamenti gastronomici), aveva La carne di Marco Martini, il celebre macellaio di già privilegiato nelle sue proposte la elevata Boves, in provincia di Cuneo? Signorsì, è proprio qualità delle carni bovine, rigidamente provenienti a lui e alla sue carni da manuale che si ispira la da allevamenti piemontesi, lavorate nel macellonuova apertura di Milano, a Porta Genova: a prima modello della famiglia Martini, rinnovato nei primi vista Bove’s ci è apparso come un ristorantino anni Duemila sulla base di tecnologie di avanguardia: un luogo da visitare. Ora, l’approdo a Milano: chi già conosce la bontà dei tagli di Martini potrà avere una conferma in più della serietà del macellaio di Boves, divenuto negli anni il fornitore di riferimento di tanta ristorazione blasonata in tutta Italia. Chi non lo ha mai conosciuto, potrà apprezzare l’offerta di Bove’s e diventarne cliente affezionato, almeno così spera Andrea Pirotti, il nipote di Marco Martini. Andrea è la guida di Bove’s: accoglie i clienti con austera cordialità, ne segue le esigenze, sa delegare ai camerieri di sala il d’atmosfera, con arredo minimal ma elegante, compito (non facile) di condurre il cliente milanese stile “vecchia macelleria” (piastrella bianca alle (esigente e sbrigativo) all’interno di un percorso pareti, pavimento a blocchi esagonali modello gra- lento e pacato, lontano da scelte d’impulso e conniglia anni Trenta, carta da parati rossa, tavoli in notato da ampia possibilità di selezione. E proprio marmo autentico, piccola - ma neanche troppo - qui potrebbero nascere le difficoltà, provocate da cucina a vista), destinato, a giudicare dalle una “piazza” difficile come quella milanese, che intenzioni di chi lo ha creato, a sparigliare l’offerta “brucia” tutto nel volgere di poco tempo e piega milanese di ristorazione a base carne. Fra decine ogni buona intenzione, tentando di modificare imdi hamburgerie sorte negli ultimi anni, fra decine postazioni altrui al proprio concetto di benessere
94 Artù marzo/aprile 2016
LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta
Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza
Due corone = Linea di cucina corretta
Una corona = Cucina dignitosa e affidabile
Corona nera = C’è ancora molto da fare
Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza
Due cervelli = Ragionevole
Un cervello = Abbastanza ragionevole
Cervello nero = Scarsamente ragionevole
momentaneo. Certamente, come sottolinea Andrea Pirotti, Bove’s è un concept, nostalgico e innovativo insieme. Ma non à certo destinato a chi ha fretta, anche perché le voci in menù - diviso in sezioni sono tante e meritevoli di attenta lettura prima dell’ordinazione. Qualche esempio: “i crudi e i cotti”, ovvero carne cruda al naturale, Tartare classica, Carne cruda all’albese, Fassone tonnato al
A Artù Numero 73 marzo/aprile 2016
Alberto’s choice
Direttore editoriale Alberto P. Schieppati - alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile Andrea Aiello In redazione Elisa Facchetti - elisa.facchetti@edifis.it Contatti artu@edifis.it - www.artumagazine.it
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giusto rosa (quello che a Milano chiamano grossolanamente vitel tonné); “i taglieri”, che indicano il Misto di salumi e i formaggi piemontesi; “i tagli pregiati” alla piastra, che stanno per Costata, la classica bistecca di carré con osso, tenera e succosa, anche nella versione frollata almeno 40 giorni, ovvero Dry Aged, e poi il Cubo di Bove’s, e altre proposte che si scopriranno addentrandosi nel menù. Questo Cubo, una tagliata di 240 grammi, 15 minuti di cottura (sceglietela al sangue) è da provare, così come la “Coteletta” da 300 grammi (sì, con la “e” come la chiamavano i nostri nonni), cotta al rosa e alta un centimetro abbondante. Ancora, le proposte di hamburger (bovino, agnello, pollo) proposti anche in varianti dalle simpatiche dizioni, tra cui: la Base, il Ciccione, l’Agricolo, il Piccante… Di ogni proposta viene sug-
gerita la grammatura, in modo da conoscere esattamente il peso di ogni porzione e poterne trarre le debite conseguenze caloriche. Fra i contorni, suggeriamo il purè fatto con le patate della Bisalta, il monte che sovrasta Cuneo e le patatine fritte, fra le migliori della città (le patate erotiche del Borghetto sono sempre un benchmark di riferimento). Andrea Pirotti, durante l’apertura serale, è affiancato da un navigato esperto di bere miscelato, Oscar Quaglarini, che propone i suoi favolosi cocktail in apertura (o chiusura) di serata. Certo, perché Bove’s è anche un Cocktail e Spirit bar (segue l’esempio del Dry di via Solferino, dove Guglielmo Miriello ha fatto scuola con la sua conduzione attenta, abbinando grandi drink alle migliori pizze della città), oltre che una cantina con etichette di prim’ordine che, pur seguendo una bella traccia piemontese (Gaja, Rinaldi, Ca’ Viola), ha grandi bottiglie del resto d’Italia e del mondo. Al bar, grandi rum, malti e spiriti di gran pregio, destinati a rasserenare gli animi degli intenditori. Il servizio è assicurato da una squadra volonterosa di giovani camerieri, gentili, non pretenziosi e disponibili all’ascolto. Solo un suggerimento di servizio: il vino al calice va versato nel bicchiere al tavolo, di modo che il commensale possa vedere la bottiglia e l’etichetta. Ricordiamo che è un’ingenuità da evitare quella di portare i calici già pieni al tavolo, come ci siamo permessi di far notare ad Andrea. Oltretutto, le etichette della cantina sono da esibire, senza se e senza ma, grazie anche alla bellezza della piccola, elegante cantina. Altro dubbio: non sarebbe consigliabile “esibire” uno chef o comunque valorizzarne la figura, anche di fronte alla sala (considerata anche la cucina a vista) piuttosto che far lavorare la brigata nell’anonimato? La “ragionevolezza” di Bove’s è garantita da prezzi onesti, in linea comunque con la qualità estrema delle carni di Marco Martini: una cena importante, escluso il vino (che ha comunque ricarichi corretti), è tra i 40 e i 50 euro. A pranzo, i prezzi si dimezzano, a fronte di un’offerta semplificata ma di altrettanta qualità. Per Milano, e per la eccellente statura delle carni di Martini, ci pare davvero accettabile.
96 Artù marzo/aprile 2016
Hanno collaborato Rebecca Andreola, Giuseppe Arena, Arianna Augustoni, Fiorenza Auriemma, Denise Battistin, Irene Bernabò Silorata, Guido Bernardi, Davide Bernieri, Maurizio Bertera, Stefano Bonini, Luisa Contri, Davide Deponti, Antonio Ezio, Maurizio Forte, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Gigliola Gigli, Rocco Lettieri, Alessandro Luongo, Emilio Magni, Rosa Marchetti, Gianni Mercatali, Giovanna Moldenhauer, Riccardo L. Molino, Aldo Nenzi, Riccardo Oldani, Cristina Panigada, Anna Pesenti, Gio Pirovano, Alessandra Piubello, Gualtiero Spotti, Theo Smith, Claudio Zeni, Stefania Zolotti. _______________________________________________________________ Progetto grafico e impaginazione Claudio Rossi Oldrati _______________________________________________________________
Foto Ferdinando Cioffi (Massimiliano Alajmo), Giuseppe Ferrara (Tenuta di Tavignano), IDM Florian Andergassen (Pinot Grigio di Tramin), Gabrio Tomelleri (La Peca), Lyle Roblin (Veuve Clicquot), Studio Fotografico Righi.it (Fattoria Dianella). _______________________________________________________________ Pubblicità dircom@edifis.it _______________________________________________________________ Traffico pubblicitario Roberta Motta - roberta.motta@edifis.it _______________________________________________________________ Stampa Aziende Grafiche Printing S.r.l. - Peschiera Borromeo (MI) _______________________________________________________________ Prezzo per una copia € 5,00 - Arretrati € 10,00 _______________________________________________________________ Abbonamento Italia: € 40,00 - Europa: € 80,00 - Resto del mondo: € 100,00 abbonamenti@edifis.it _______________________________________________________________ Amministrazione amministrazione@edifis.it _______________________________________________________________ Registrazione del Tribunale di Milano n. 222 del 24/03/2000 Iscrizione Registro Operatori della Comunicazione n. 06090 _______________________________________________________________
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