Artù 06 07 2017

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€ 5,00

In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi

La ristorazione ragionevole

Cover Story Giancarlo Morelli Chef e imprenditore Grandi chef Leveillé, Bocchia e Bartolini California Un esempio di vero Made in Italy Ospitalità Posta Vecchia, Relais Alberti, Villa Cordevigo

Giugno Luglio 2017

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Il tempo dà forma alla qualità Doppio Malto, Rossa, Puro Malto. Ogni Peroni Gran Riserva ha un gusto unico e un denominatore comune: l’altissima qualità. La qualità del Malto 100% Italiano, la qualità delle materie prime accuratamente selezionate, la qualità del processo produttivo di extra decozione. È così che nasce una birra speciale, fatta in Italia e premiata nel mondo.


Antonia Klugmann, chef una stella Michelin, L’Argine a Vencò, Dolegna del Collio (GO)

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Editoriale

Rigore e buon senso. Dunque, RAGIONEVOLEZZA Con-te-nu-ti! Con-te-nu-ti! L’eco di questo termine, che nasconde molto più di una semplice parola, sembra moltiplicarsi in modo esponenziale, anche nel nostro settore. Se ne parla da un pezzo, per la verità, ma solo episodicamente questo valore viene “applicato” al mondo dell’alta ristorazione, intesa nel suo complesso (cucina, sala, offerta vino, tecniche ecc.). Già Paolo Teverini, lo chef di Bagno di Romagna, aveva sottolineato dieci anni fa la necessità di “una cucina dal volto umano”, che sapesse intercettare i bisogni e i desideri della clientela ma che, soprattutto, fosse in grado di dare risposte chiare, salde, trasparenti, in una parola sola: ragionevoli. Senza definizioni astruse dei piatti, senza esage-

razioni stilistiche, senza inutili eccessi. Una cucina del necessario, insomma. Il dibattito su questi temi è proseguito alacremente: personalmente abbiamo dedicato molto tempo e lavoro a questo tema, fino ad arrivare a concepire un convegno, un grande momento di incontro e confronto fra protagonisti della scena, che si terrà a Milano il 3 e il 4 ottobre prossimi. Non è certo semplice riunire gli “Stati generali della ristorazione” ma, proprio in nome di quei contenuti che vogliono essere il nostro focus principale, vogliamo valorizzare una particolare tipologia di offerta attraverso i suoi protagonisti che, coraggiosamente, puntano su alcuni (apparentemente) semplici concetti, che ci piace ricordare qui. Primo. Qualità estrema della materia prima: l’unico eccesso che la ragionevolezza consente è proprio questo… Ovvero, saper acquistare: selezione accurata dei prodotti (food, wine e tutto il resto), ricerca diretta del meglio reperibile sul mercato, conoscenza profonda di ingredienti, rapporto personale con gli imprenditori che lavorano con serietà e passione. Secondo: lavorare in cucina con profonda aderenza alle possibilità, senza strafare, ma favorendo il gioco di squadra, liberando la propria creatività in chiave di espressione del proprio stile, delle proprie sensibilità, del proprio talento. Ovviamente con l’obiettivo del miglioramento continuo, insieme all’affermazione della propria unicità. Sembra facile, ma richiede molta esperienza e, Un piatto di Ernesto Iaccarino, due stelle Michelin al Don Alfonso: prima ancora, una predisposiun grande esempio di ragionevolezza. zione all’apprendimento, con

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l’aggiunta di una buona dose di umiltà. Che non riguarda solo una fase della propria vita professionale ma che deve essere una costante nel tempo. Sì, perché si può anche sperimentare, ma solo quando si padroneggia la materia ci si può permettere certe libertà. Nella ristorazione di qualità, i “sentito dire” fanno poca strada. Mi diceva Andrea Berton qualche giorno fa, parlando di alta cucina: “Si parla tanto di Tradizione: ma per applicarla al meglio, devi conoscerla molto bene, insieme agli ingredienti e alle materie prime: Massimo Bottura, per esempio, è arrivato ai livelli attuali anche perché grazie a talento e esperienza conosce a fondo i piatti della tradizione, le cotture giuste, i tempi, le tecniche adeguate… Anche qui sta la sua grandezza”. Terzo: pensare al cliente, puntando su una sua fidelizzazione che, come si sa, non passa solo attraverso la bontà dei piatti ma anche su come viene accolto e seguito al tavolo. E qui subentra il quarto punto: l’importanza della sala. Senza empatia con l’ospite da parte di chi lo serve, lo chef può creare piatti eccellenti che, ahimé, rischiano di perdere la propria forza se non comunicati correttamente. Il servizio di sala, continuiamo a ripeterlo, è fondamentale per la riuscita dell’impresa (perché di impresa si tratta, in tutti i sensi!). Cameriere, maitre, sommelier, ma anche figure dai nomi più impegnativi, come quella del restaurant manager, sono l’anima dell’offerta. Insieme allo chef, alla brigata di cucina, alla qualità e all’origine delle materie, alla presenza di attrezzature d’ avanguardia fanno il successo dell’attività. Chiaro che posizione, bacino di clientela, food cost e altre variabili correlate fanno il resto. Ma è dalla passione dei singoli e dalla conseguente capacità di trasmetterla alla squadra, con ambizione, identificazione e senso di appartenenza che nascono l’affermazione del proprio lavoro e la qualità dei risultati...• Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it


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In copertina: Giancarlo Morelli, chef stellato al Pomireu di Seregno, fa il bis a Milano: dopo la Trattoria Trombetta, apre il suo ristorante all’interno del nuovissimo Hotel Viù. Una cucina per degustare piatti innovativi ma anche storici, oltre che per apprezzare il bere miscelato al Mixology bar The Bulk.

8 News L’intervista 18 La squadra è tutto. Parola di Bertolini L’opinione 22 Il sale può essere pleonastico 23 I camerieri, recuperare stile e valore Dal mondo 24 Quel Terun di Zuckerberg 28 Italiani a Londra. Mazzei mette Radici Cover story 34 Giancarlo Morelli: lo chef? Soprattutto un imprenditore Protagonisti food 38 Le tante anime dello Chef Dimitri 42 Canone inverso. Fidatevi di Bocchia Focus food 46 Chapeau, monsieur Leveillé. Il bretone sempre meglio Protagonisti food 50 Thai Gallery, Thailandia in città 54 Chef Giovannini: storia di una amicizia culinaria Format food 56 San Pietro a Milano. Il Gavi entra in città 58 La Madia di Brione. Coerenza del gusto Focus food 59 Con il Grass Fed vince il territorio 60 Mantegazza, carrello chiavi in mano Accueil 62 Relais Alberti, relax in Laguna 66 Villa Cordevigo, lusso gardesano 68 Villa Flori, alta cucina con vista 72 La Posta Vecchia. Luogo della memoria Focus wine 74 Wine expert a Maison Krug Libri 75 Gazzosai in viaggio, champagne, le ricette di chef Rossi e saluti da Fortulla Format beverage 76 Alla Refezione, si abbina Norda 78 Alpi e Mediterraneo si incontrano in un drink La ricetta di Artù 79 Nel regno del quinto quarto, il Vitello tonnato del Trippa Equipment 80 Servizio da Stelle Gusto e mercati 82 Shopping experience. Punto vendita, ti amo! 84 Pillole La foto di Artù 85 Andrea Aprea e Nicola Ultimo Alberto’s Choice 86 Emergenti in Trentino. La Locanda Camorz

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Sommario

€ 5,00

La ristorazione ragionevole

Cover Story Giancarlo Morelli Chef e imprenditore Grandi chef Leveillé, Bocchia e Bartolini California Un esempio di vero Made in Italy Ospitalità Posta Vecchia, Relais Alberti, Villa Cordevigo

Giugno Luglio 2017

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direttore editoriale Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it

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Una lezione di design dall'Accademia Luigi Bormioli

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Gli Stati Generali della Ristorazione Ragionevole copertina.5_6_15_Layout 1 14/05/15 14:10 Pagina 1

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€ 5,00

€ 5,00

€ 5,00

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Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati

Emergenti A Cernobbio vince la Materia Pizza Gourmet Renato Bosco al Saporé

Dicembre 2016

www.artumagazine.it Artù n°68 - Maggio - Giugno 2015

In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi

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Brigate di cucina e grandi chef. I ritratti di Ferdinando Cioffi fanno storia Hong Kong, le tre stelle di Umberto Bombana: il made in Italy va fortissimo S.Pellegrino Sapori Ticino, riparte l’evento gourmet di Dany Stauffacher Mercato del vino in crisi? Macché, mai andato così bene.: parola di Vinexpo Chef e dintorni: Botta, Conti, Sciarrabba, Abbate, Falk, Parisi, Trapani

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Maggio Giugno 2015

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La ristorazione ragionevole In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi

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La ristorazione ragionevole

L’intervista Davide Scabin Il genio nel DNA

Cover story Maison Krug e l’umile uovo L’intervista Marianna Vitale il Sud migliore Eventi Chef a Milano

Novembre 2016

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3 e 4 Ottobre 2017

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La ristorazione ragionevole

La ristorazione, per affermarsi, consolidarsi e crescere, ha bisogno di passione, energia, professionalità. Ma anche di cultura degli ingredienti, padronanza delle tecniche, visione di mercato, strategie e posizionamento, oltre che di conoscenza del proprio bacino di clientela. A sua volta, la clientela deve riconoscere chiaramente il valore economico della qualità, argomento che spesso sembra un tabù. Per sviluppare concretamente questi temi, Artù convoca a Milano il 3 e il 4 ottobre prossimi oltre 100 grandi professionisti per fare il punto sulla tendenze della ristorazione contemporanea. Il messaggio andrà anche nella direzione dell’offerta Ragionevole, ovvero della necessità di trasmettere messaggi chiari, onesti, trasparenti e tangibili. Sia nel Food che nel Beverage che nella Sala. Cuochi, chef, restaurant manager, sommelier, comunicatori, giornalisti si confronteranno sui grandi temi della ristorazione e animeranno un dibattito ricco di spunti e riflessioni. La serata di martedì 3 ottobre si terrà al Principe di Savoia un gala dinner, alla cui riuscita contribuiranno chef stellati con i loro piatti, affiancati dalla brigata dell’Acanto, il ristorante gourmet dell’hotel: durante la due giorni milanese, fra l’altro, verranno assegnati i premi alla “Ragionevolezza secondo Artù”.

evento promosso e realizzato da

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News

Taglio nastro per Caffè Milani

Chef Santoro arriva alle Carrube Masseria “Le Carrube”, a pochi passi da Ostuni, inaugura la stagione estiva con una grande novità: l’arrivo, alla guida del ristorante, di Massimo Santoro, lo chef pugliese con una spiccata predisposizione per la cucina vegetariana ed ecosostenibile. Il fil rouge che lega Santoro alla Masseria “Le Carrube” - l’ultima “creatura” della famiglia Melpignano - è il rispetto e la valorizzazione della tradizione pugliese. La Masseria è infatti stata restaurata secondo i dettami dell’architettura pugliese e prevede, oltre alle 19 stanze e alle due piscine riscaldate, un’esperienza nei profumi e nei colori tipici della macchia mediterranea.

Carozzi, il gusto nobile del formaggio Carozzi Formaggi, realtà casearia valsassinese nata nel 1960, ha una mission: rendere il formaggio protagonista delle ricette. Abbinato a crostacei, ai tagli di carne pregiati, alla frutta, il formaggio non solo può dare vita a ricette gourmet, ma deve essere considerato come un ingrediente primario, capace di dare vita a contaminazioni di pregio. Carozzi Formaggi, al fine di supportare ulteriormente il mondo dei professionisti della ristorazione nel scegliere con criterio i formaggi da inserire nelle proprie creazioni, ha creato da un anno Carozzi Magister, una piattaforma e-commerce grazie alla quale, oltre a poter ordinare la migliore selezione Carozzi Formaggi senza limiti di peso e spesa, tutti gli addetti ai lavori trovano al proprio fianco un maître fromager di fiducia in grado di guidarli nella scoperta del prodotto sotto ogni punto di vista.

Pierluigi Milani e la figlia Elisabetta

Caffè Milani, la storica torrefazione di Lipomo (Como) ha celebrato lo scorso sette giugno tre importanti avvenimenti: il compimento dei suoi primi 80 anni di vita aziendale, l’inaugurazione del nuovo stabilimento e l’inaugurazione dell’Esposizione Caffè Milani. Pierluigi Milani, che ha accolto i numerosi partecipanti nella nuova e ampia sala corsi, durante il saluto ha sottolineato due punti cardine della sua attività: l’amore per il caffè e l’amore per il territorio. Una passione, la prima, appresa dal padre e che a sua volta ha trasmesso ai figli. Il legame con la città di Como è sottolineato dalla collaborazione attiva a numerosi progetti, soprattutto di carattere culturale. L’Esposizione Caffè Milani è l’omaggio reso alla sua azienda e alla città: una testimonianza di storia, ma soprattutto di cultura aperta a tutti. Ha preso quindi la parola l’architetto Carlo Castiglioni dello studio Castiglioni & Nardi, che ha progettato il complesso: una ricca sequenza di immagini ha mostrato la genesi del nuovo stabilimento, che si presenta come un “villaggio”, un borgo medievale in cui i corpi di fabbrica sono aggregati secondo necessità di forme e funzioni, ben al di fuori del classico “parallelepipedo industriale”. Enrico Maltoni, titolare dell’omonima collezione di macchine da caffè d’epoca, ha posto in risalto la completezza del percorso espositivo offerto dall’Esposizione. Lino Stoppani, presidente Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi, infine, ha sottolineato la grande importanza per il nostro Paese dell’industria del caffè e dei pubblici esercizi, il cui fatturato annuale supera i 70 miliardi. A lui è spettato il compito del taglio del nastro che ha inaugurato ufficialmente lo stabilimento e il percorso espositivo. L’incontro è proseguito con la visita all’Esposizione Caffè Milani, uno spazio esperienziale dedicato alla formazione e alla diffusione della cultura del caffè, che propone il viaggio dalla pianta alla tazzina e permette di cogliere in prima persona la realtà e l’importanza di ogni passaggio. Dalla selezione delle drupe alla loro lavorazione, dall’arrivo del caffè verde, alla tostatura ai diversi metodi di estrazione. Il primo piano dell’Esposizione offre una panoramica di strumenti e apparecchiature, tra cui spiccano pezzi di grande pregio. Una full immersion nel mondo del caffè per lo più sconosciuta; da non perdere. L’Esposizione può essere visitata ogni primo e terzo venerdì del mese, prenotandosi.

M’Ama, i piatti pronti di Gourmet Italia Gourmet Italia, società del Gruppo Dr. Schär, ha lanciato i nuovi piatti pronti a marchio M’Ama. I prodotti, frutto di ricerca e attenzione per mantenere gusto e proprietà nutritive, sono tutti ispirati alla dieta mediterranea e rispondono ai bisogni di chi vuole mangiare bene sempre, anche quando il tempo è poco. Le due linee, Classici Italiani e Nuovi Sapori sono destinati al canale ho.re.ca. Si possono trovare nei bar e nelle tavole calde.

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ALMA Caseus, i vincitori Sono Giovanni Gazzetti e Cristina Campani i vincitori della sezione “Professionisti” del concorso ALMA Caseus, dedicato al patrimonio dei formaggi italiani, riservata agli operatori di settore quali affinatori, produttori e ristoratori. Il concorso, che quest’anno si è svolto durante il Gola Gola Festival di Parma, è promosso da ALMA - La Scuola Internazionale di Cucina Italiana. A determinare il risultato della gara, l’esito di sei differenti prove: un test di cultura sulla conoscenza del mondo dei formaggi italiani; la degustazione alla cieca di cinque bocconcini di formaggio DOP, privi di crosta per renderne ancora più difficoltoso il riconoscimento; la presentazione di una composizione di formaggi (selezionati dai concorrenti tra una rosa di formaggi DOP o la cui filiera sia italiana al 100%); la presentazione dello stesso tagliere; la gestione di una degustazione, con cinque formaggi e altri prodotti, raccontando al pubblico come abbinarli e perché rispettare una precisa successione d’assaggio; e il taglio di precisione, senza l’uso di bilancia, di una forma. Partner del progetto ALMA Caseus, il Birrificio Angelo Poretti che, in occasione della finale di ALMA Caseus, ha assegnato una Menzione Speciale alla coppia composta da Alessandro Monti e Cristiana Donati del Ristorante del Lago di Bagno di Romagna (FC). Il merito di questi due professionisti è quello di aver proposto un eccellente abbinamento tra formaggi e birra: da un lato Raviggiolo di capra, dall’altro 10 Luppoli Le Bollicine, anche nella variante rosé, e 8 Luppoli Armonie di Gusto.

Coquard enologo a Prime Alture È iniziata la collaborazione tra Jean François Coquard, enologo francese originario del Beaujolais, e Prime Alture Wine Resort. Coquard non è nuovo a questo territorio: per ben quindici anni ha lavorato per Tenuta Mazzolino, esperienza che gli ha permesso di costruire un legame forte con l’Oltrepò Pavese. Un lavoro, quello di Coquard finalizzato non a stravolgere quanto ad accompagnare quanto già impostato, perfezionando tutti i vini di Prime Alture, primo fra tutti il Pinot Noir. Coquard programmerà visite mensili in azienda, per vivere l’evoluzione del ciclo della vite e rinforzare sia il legame col terroir, che con lo staff aziendale. Il cuore di ogni visita consisterà in un sopralluogo in vigna e nella degustazione sistematica di tutti vini in corso di affinamento, con particolare attenzione alla maturazione del Pinot Noir e al suo affinamento in cantina.

Jean François Coquard

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Maurizio Cimbali

Maurizio Cimbali nominato Cavaliere del Lavoro Maurizio Cimbali, Presidente di Gruppo Cimbali – nota realtà che progetta e produce macchine professionali per caffè, bevande a base di latte fresco, bevande solubili e attrezzature dedicate alla caffetteria – è stato nominato Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Maurizio Cimbali diventa consigliere di Officine Cimbali spa nel 1972, per diventarne presidente nel 1984. Dal 1988 è presidente di Cimbali spa ora Gruppo Cimbali spa. Il Gruppo, di cui fanno parte 4 brand (LaCimbali, FAEMA, Casadio e Hemerson), opera attraverso 3 stabilimenti produttivi in Italia e 7 filiali estere, impiegando complessivamente 660 addetti di cui il 65 per cento in Italia e il restante 35 all’estero. L’impegno del Gruppo per la diffusione della cultura del caffè espresso e per la valorizzazione del territorio si è concretizzato nel 2012 con la fondazione del MUMAC - Museo della Macchina per Caffè, una grande esposizione permanente dedicata alla storia, al mondo e alla cultura delle macchine per il caffè espresso con oltre 100 macchine esposte, 15 mila documenti e numerosi materiali audio-video organizzati in un percorso multimediale e polisensoriale.


CantinaTramin.it | Termeno | Alto Adige


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Coca-Cola, la qualità passa dal vetro Quando si parla di un ristorante o un locale, ogni piccolo dettaglio può fare la differenza nel comunicare al consumatore un’idea di qualità: dalla velocità e precisione delle ordinazioni alla possibilità di poter gustare il proprio piatto o bevanda preferita al suo meglio, grazie a un servizio perfetto. Lo sa bene Coca-Cola, che per il 2017 continua a puntare nel fuori casa sull’iconico formato in vetro a perdere da 33 cl con una gamma completa che oggi conta sette referenze. A testimoniare il valore di questo packaging sono gli stessi esercenti che hanno scelto di sostituire la lattina in favore della bottiglia VAP 33 cl. Uno di loro è Paolo Aruta, Amministratore Unico di Fratelli la Bufala, un marchio che in soli 15 anni ha creato una rete di più di 70 ristoranti tra l’Italia e l’estero. “Oggi per avere successo nel mondo della ristorazione bisogna puntare su due fattori: il primo è specializzarsi in qualcosa di tipico, che ti permetta di raccontare un territorio e la sua storia, il secondo è la qualità” – ha spiegato Aruta -. “In tal senso abbandonare la lattina a favore della VAP 33 cl è stata una scelta assolutamente apprezzata dai nostri clienti. Da un lato infatti la classica bottiglia Contour Coca-Cola è la prima immagine a cui ognuno di noi pensa quando si nomina la bevanda, dall’altro il formato in vetro ci permette di offrire nei nostri ristoranti un servizio perfetto, in linea con il posizionamento del marchio Fratelli la Bufala che potremmo riassumere in due parole: qualità e tradizione.”

S.Pellegrino Sapori Ticino, grande successo per l’edizione 2017 È terminata la undicesima edizione 2017 di S.Pellegrino Sapori Ticino con il Final Party che, per la prima volta, si è svolto a Campione d’Italia. Il festival ticinese di enogastronomia, tra i più importanti d’Europa, ha scelto il Casinò progettato da Mario Botta dove hanno cucinato gli otto talenti culinari ticinesi: Lorenzo Albrici, Dario Ranza, Andrea Bertarini, Alessandro Fumagalli, Frank Oerthle, Egidio Iadonisi, Mauro Grandi e Domenico Ruberto e si è aggiunto alla squadra Bernard Fournier, stella Michelin del “Ristorante Candida” di Campione. Per il 2017 S.Pellegrino Sapori Ticino ha incontrato Le Soste, Associazione italiana che riunisce molti dei migliori Chef della gastronomia d’Italia, per regalare emozioni culinarie di altissimo livello all’insegna dei sapori mediterranei. Il festival 2017 ha coinvolto nelle sue iniziative, tra cene e alcuni appuntamenti speciali, un gran numero di professionalità: chef, sous chef, sommelier, personale di sala, dell’hotellerie, dell’organizzazione ecc., che si aggira intorno alle mille persone, oltre ai tremila partecipanti a cene ed eventi vari. Le cene e i pernottamenti hanno generato un giro d’affari che si aggira intorno ai 600 mila euro.

Streeteat, il marketplace dei Food Truck Una App gratuita che, attraverso la funzione di geolocalizzaizone, permette di aggregare i Food Truck in un’unica piattaforma, con evidenti vantaggi sia per l’utente finale, sia per gli stessi truckers. È questo, in sintesi, il fine Streeteat, la App utilizzabile da dispositivi IOS e Android che cavalca la moda dello street food e che, aprendo anche alla cucina gourmet, agli eventi, ai catering, sdogana il classico “panino del baracchino”: i truckers che fanno parte del network offrono infatti cucine diverse, regionali, internazionali, etniche. Dunque un luogo virtuale in cui domanda e offerta si incontrano in tempo reale: i truck, condividendo la propria posizione, possono essere intercettati dall’utente finale in pochi istanti. Entrando nel dettaglio, Streeteat definisce la sua attività attraverso due distinte App: Streeteat, ossia la App destinata agli utenti, e Streeteat Truck Check-In, quella dedicata ai truckers. Con la prima, gli utenti scelgono la nazione entro la quale effettuare la propria ricerca (Italia, Spagna, Francia o Inghilterra) e la tipologia di prodotto ricercato. All’interno di ciascuna categoria (cucina dal mondo, hamburger, cucina regionale, pizza, panini, dolci, ecc.) si trovano i diversi truck, ognuno dei quali è rappresentato da un profilo dettagliato. La seconda App - Truck Check-In – è invece dedicata esclusivamente agli operatori: ogni truck, con un semplice click, può geolocalizzarsi nel momento in cui inizia il servizio, diventando così visibile agli oltre 20mila utenti che hanno già scaricato l’app. A fine servizio, scomparirà dall’offerta. Si tratta quindi di uno strumento teso a valorizzare un servizio che si muove in due direzioni: B2C e B2B, poiché si tratta di un nuovo canale di distribuzione anche per piccole e grandi aziende. Basti pensare che Grom, nota catena di gelaterie recentemente acquisita da Unilever, è uno degli oltre cento food truck che hanno scelto di far parte di Streeteat.

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Antica Fonte della Salute Acqua Minerale Naturale Oligominerale

Mille anni di lento scorrere tra le rocce per una purezza straordinaria. Meno dello 0,00001% di Nitrati. Antica Fonte della Salute, già apprezzata nei ristoranti più prestigiosi grazie all’esclusivo formato in vetro da 65 cl è disponibile anche nella nuova linea in Pet da 25 e 40cl.

L’International Taste & Quality Institute ha conferito ad Antica Fonte della Salute, sia nella versione Naturale che Frizzante, il massimo riconoscimento possibile, le “3 stelle” del Superior Taste Award. Scopri di più su www.sanbenedetto.it


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Sinfonia di sapori da Mammà Tra i fiori all’occhiello dell’offerta culinaria di Capri spicca sicuramente Mammà, il ristorante nato nel 2013 su iniziativa di Gennaro Esposito, che ha poi affidato le redini della cucina allo chef Salvatore La Ragione (1 Stella Michelin). Per la stagione 2017 sono stati presentati i nuovi menù nei quali spiccano i ‘grandi classici’ della cucina mediterranea e campana cucinati con la stessa passione, creatività e genuinità “con cui li cucinerebbe mamma” ma rivisitati in chiave contemporanea e innovativa. Leit motiv delle ricette dello chef è sempre il pesce, freschissimo e ‘a chilometro zero’. Ad aprire le danze una selezione di antipasti tra cui spiccano alcuni dei piatti signature dello chef, come l’immancabile Tagliatella di seppia con germogli, il Fritto della tradizione napoletana e i suoi caratteristici ‘crudi di pesce’. E poi Paccheri al ragù, Vermicelli ai ricci di mare, Ravioli di gamberi provola e porcini, Catalana di crostacei, Trancio di pesce gratinato alla caprese. A caratterizzare il Mammà è anche la sua posizione privilegiata, a due passi dalla storica piazzetta, e il legame tra la proposta gourmet e l’ambiente interno, ove dominano le tonalità del bianco e dell’azzurro, con dettagli e complementi d’arredo che richiamano le sfumature del mare che si staglia oltre la grande vetrata della terrazza, regalando agli ospiti una visione unica sul Golfo di Napoli. (Claudio Zeni)



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Re-opening per il Monzù di Capri Al Monzù di Capri, il ristorante del Punta Tragara affacciato sulla baia di Marina Piccola, l’executive chef Luigi Lionetti propone un menù à la carte fresco e fantasioso, con piatti che hanno fatto la storia della tradizione mediterranea reinterpretati in chiave creativa. Alle creazioni di Lionetti si possono abbinare i preziosi vini custoditi nella suggestiva ‘wine cave’. Si parte con una ricca proposta di antipasti con protagonista il pesce, dalle seppie con ceci, friarielli e pizzico di n’duja, alla zuppetta di arancia, scampi, ricotta di bufala, crema di finocchietto e bottarga di muggine, alla tartar di branzino all’erba cipollina accompagnata da un gazpachio di pomodoro. Seguono i primi con alcuni piatti signature dello Chef come il Risotto con scampi, burrata, capperi al profumo di limone, Pasta e patate con astice e provola affumicata, Spaghettone di Gragnano con broccoli, vongole e cotto e crudo di tonno. Per i secondi lo chef lascia spazio a ricette a base del miglior pescato del giorno e di pregiate carni come il maialino nero casertano. E per terminare in dolcezza, gli squisiti e originali dolci della chef pasticcera Cristina Passini, tra i quali l’Assoluto di limone o il Tiramisù a modo mio che viene composto direttamente al tavolo. Novità della stagione è l’inaugurazione del Monzù Gin Club & American Bar a bordo piscina. Affidandosi all’esperienza del barman Daniele Chirico, si possono gustare drink a base di gin scegliendo tra 70 etichette, 13 di tonic water e un’ampia selezione di botanicals, gli aromi e le spezie che conferiscono ai cocktail un tocco di originalità. (Claudio Zeni)

Collisioni, Barolo in festa In fase di lavorazione le prime novità cominciano a delinearsi. Una straordinaria novità per il Festival Collisioni è il grande concerto-evento d’apertura di venerdì 14 Luglio e di sabato 15 Luglio 2017 che vedrà esibirsi insieme (in due serate) tre famosi artisti italiani: Daniele Silvestri, Carmen Consoli e Max Gazzé in un progetto esclusivo, ideato e prodotto dalla OTRlive insieme a Collisioni, unica produzione italiana in cartellone, studiato appositamente per il Festival Agrirock di Barolo. Domenica 16 Luglio ci saranno i Placebo per la loro unica tappa in Italia. Dopo aver entusiasmato i fan italiani con un incredibile soldout al Mediolaum Forum di Milano lo scorso novembre, Brian Molko e compagni saranno i protagonisti dell’attesissima nuova edizione di Collisioni Festival. Il tour, ‘20 Years of Placebo, celebra il ventesimo anniversario della pubblicazione del loro album di debutto ‘Placebo’. Dopo lunghi mesi di silenzio e lavoro, finalmente Collisioni può annunciare l’arrivo della super star inglese, Robbie Williams, che salirà sul palco di Collisioni lunedì 17 Luglio 2017. Sarà Renato Zero l’ultima star dell’edizione 2017 di Collisioni, il festival agrirock a Barolo. L’artista si esibirà in concerto martedì 18 Luglio 2017, a chiusura della quattro giorni musicale che arricchisce il programma della rassegna di letteratura, musica e food. Collisioni sarà anche vino, con il creativo Progetto Vino, ideato con Ian D’Agata. (di Rocco Lettieri)

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Esclusiva Norda per la Ristorazione.

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L’intervista

La squadra è tutto Parola di Bartolini di Maurizio Bertera

Quattro stelle Michelin divise fra tre locali, più Venezia, Dubai, Abu Dhabi, e grandi progetti imminenti. Ecco perché lo chef è un numero uno. Gira (fuori servizio) nelle sale del suo ristorante al Mudec, con l’aria di chi si trova veramente bene. Per un cuoco, non è così scontato come si pensa. Enrico Bartolini vive probabilmente la prima grande svolta della sua carriera. Bravo, bravissimo lo è sempre stato ma sino a un paio di stagioni era ‘semplicemente’ uno dei migliori chef del Nuovo Millennio. Classe 1979, figlio di Pescia – in effetti, pur vagando in Lombardia da dodici anni, la pronuncia pistoiese si sente ancora – era famoso per aver portato le due stelle Michelin nella ‘bomboniera’ all’interno del Devero Hotel di Cavenago, praticamente sulla A4 tra Milano e Bergamo. ‘Il miglior autogrill d’Italia’ diceva lui con quella dose di autoironia che concede solo a chi lo conosce. E’ uscito da lì a fine 2015, portandosi dietro i più bravi della brigata, ed è sbarcato a Milano, per aprire il ‘suo’ ristorante al museo di via Tortona. Doppia stella Michelin confermata, altre due stelle

in giro per la penisola e tanti progetti interessanti. cale nella Badiola. Un’escalation, che ha dell’incredibile in un Paese Ma il risultato è identico: stella in Città Alta e stelcome il nostro dove un cuoco già fatica a gestire un la in Maremma. Sorpreso? solo locale di proprietà. Può sembrare una sciocchezza ma noi lavoriamo Caro Enrico, ma al di là che ti sei autodefinito il sempre per avere tre stelle in ogni locale, nel sen‘Pirlo dei fornelli’, in omaggio so che vogliamo dare il massialla tua grande fede rossonera, mo della qualità al cliente. Poi, a volte arriva anche il premio di come hai trovato in pochi mesi “Le cose migliori una guida che vuol dire ‘bravi, il tocco magico? stiamo capendo il vostro lavoro’ E’ stato determinante l’arrivo a arrivano con ma in sostanza non mi aspettavo Milano, che inseguivo da temla capacità e il nulla. Nel caso specifico, nulla po. Non mi sono trovato male al mi garantiva le due stelle al MuDevero, sennò non mi avrebberagionamento”, dec appena aperto né tantomero premiato con la doppia stella dice lo chef, che si no quelle singole a Bergamo e Michelin. Però, ogni volta che mi alla Badiola. muovevo, evidentemente nasceprepara alla grande Sei come Re Mida, quello che vano problemi e quindi mi senavventura di Fico, tocchi (o cucini) diventa oro. tivo bloccato. Con il Mudec si è No, semmai è che le cose miaperto un mondo, il successo ha a Bologna. gliori arrivano con lavoro e caportato a nuovi locali e questi ad pacità di ragionare. A Bergamo, altre iniziative. pensavamo a un bistrot e ne è C’è il tuo stile in ogni posto ma uscito un ristorante ‘serio’ che sfrutta una posizione con declinazioni diverse. E’ difficile seguire tutto? invidiabile, in una città bellissima e in grande crescita. No, a patto di avere una grande squadra. In buona In Maremma, abbiamo preso il posto della brigata di parte ci sono persone che lavorano da anni con me Alain Ducasse e ci siamo concentrati su una cucina e questo è un vantaggio enorme. Ho dato fiducia ai migliori e sono stato ripagato. Poi, è evidente che il diversa, fatta di brace e di orto. Piace molto, del reCasual di Bergamo non può essere il Mudec o il losto la Trattoria è inserita in un contesto meraviglioso. Evidentemente, hai una passione per la bellezza dei luoghi. Il Glam a Venezia sarà la prossima stella della galassia bartoliniana? Non ho idea. Mi piace essere in laguna perché si avverte un Rinascimento della cucina, ci sono locali storici in rinnovamento grazie a giovani cuochi e patron, magari tornati dall’estero. Poi ci sono chef affermati in location nuovissime. Noi operiamo in un palazzo dell’800 e portiamo un contributo al fenomeno, utilizzando molto i mercati di Venezia che sono fantastici. Ora sei al Mudec, da un solo anno. Eppure sembra che lo occupi da una vita, no? E’ vero. Magari nei primi mesi dopo l’apertura, c’era qualcosa che non mi convinceva. Adesso questi nove tavoli, tra opere d’arte e di design, le vetrate e il verde mi rendono di buon umore. Il Mudec rappresenta quello che ho dentro e deve stare in Italia, a Milano in particolare. Chi gira il mondo, a un certo

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Nella pagina a fianco: la fedele brigata al completo e un piatto firmato da Bartolini; in questa pagina: lo chef Enrico Bartolini.

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L’intervista punto si siede qui, in mezzo al quartiere del design. E al piano terra c’è una caffetteria con 90 coperti, a dimostrazione che non abbiamo timore a occuparci di panini e brioche. La ristorazione su grandi numeri insegna sempre qualcosa. I lettori ci perdoneranno: ma per completare il giro, dobbiamo chiederti del ristorante che aprirai al FICO di Bologna. Una visione geniale di Farinetti, sta per creare la Walt Disney del cibo. Si andrà li per vedere nello stesso posto come si coltiva, si alleva, si ricavano i pro-

dotti…Un’attrazione incredibile. Mi ha detto se volevo utilizzare uno spazio di 250 mq e abbiamo condiviso l’idea di offrire due menu speciali per una clientela media. Per intenderci, sarà un ristorante e non un bistrot. Parliamo di cucina italiana all’estero? Curi uno splendido ristorante a Hong Kong – Spiga – e due locali più piccoli, Roberto’s a Dubai e Abu Dhabi. Ritengo che dobbiamo offrire agli stranieri quello che si aspettano da noi, stop. Rispettare gli ingredienti, preparare i piatti in modo goloso e tradizionale. Lo straniero accetta a fatica la creatività in Italia, figurati a casa loro. Non ha senso per me rivisitare l’amatriciana in Asia o negli Emirati: già è un problema trovare la materia prima giusta per cucinarla. Non ho niente contro le loro ma faccio arrivare più ‘roba’ possibile dall’Italia. Ti senti un conservatore, quindi. Sono un cuoco che guarda le ricette tradizionali con un occhio tecnico e contemporaneo, se mi è concessa questa definizione. Non amo destrutturare o cambiare per forza, ma migliorare e alleggerire sì: in tanti piatti storici, ormai si può evitare la frittura e trovare la quadratura dei sapori. Cito sempre come esempio le nostre Alici di scoglio in incontro di saor e carpione che sembrano un’altra cosa ma sono ‘quel’ piatto antico.

Signature dish fra le boiserie In primis Enrico Bartolini-Mudec è un gran bel posto, per ora imbattibile pensando al livello di ristorazione nei musei italiani. Ma anche se non si trovasse al terzo piano di una struttura del genere, lascerebbe a bocca aperta per la linearità e la classe: Riva Mobili D’Arte di Meda ha realizzato una boiserie bianca su misura e Catellani&Smith si sono invece occupati del design relativo a luci e illuminazione, creando un effetto elegante e gioioso. Opere d’arte, luce naturale e verde danno il tocco in più. Nella gestione del bistellato, Bartolini può contare su due bracci destri ben noti: Remo Capitaneo, sous chef (“con il quale ho da sempre grande affinità”) e Sebastien Ferrara, direttore di sala e sommelier di grande esperienza, da un paio di anni nel team. A lui – e ai suoi collaboratori, il compito di gestire il migliaio di etichette della cantina. Parliamo di cucina? Tre degustazione: Be Contemporary (sette proposte dello chef, 160 euro più 110 con abbinamento vini), Green Taste (sei piatti, tutti vegetariani a 110 euro, più 90) e Be Classic con cinque signature dish di Enrico, sempre a 110 euro più 90. Nella carta, tre i piatti inediti: Lumache della Lomellina alla salvia, pepe verde “ultirancotta Maricha” e tartufo nero di Montefeltro, servito con un geniale tacos di mandorle, erbe e foie gras; Tagliolini al caviale Royal, capesante, cavolfiore e Imperial puro sale accompagnati da un brodo, vodka e Sevruga; Maialino da latte in tre passaggi.Curiosità: per il pranzo è stata creata una formula light lunch a 45 euro con la scelta di un ingrediente di stagione o a tema.

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Ma non è un limite che ognuno di voi faccia a modo suo? I francesi hanno imposto nel mondo un ‘loro’ stile culinario e vincono la sfida. Sulla replicabilità, a dire il vero, vincono e vinceranno sempre i cinesi. Che sia una trattoria a Londra o uno stellato a Hong Kong, le loro ricette classiche sono perfettamente uguali. Noi non siamo così: l’importante – lo ripeto – è dare una visione corretta della nostra cucina, con lo stile personale. Quanto ai francesi, invidio la loro forza nel concetto di fine dining: ovunque nel mondo, un cliente pensa a loro per l’esperienza importante. E’ su questo che dobbiamo sfidarli, siamo pronti con la cucina e meno nell’imprenditoria. Di te si sa pochino. Giovanissimo nella trattoria dello zio, poi in giro per l’Europa con in mezzo un ritorno a Pistoia. Prima di essere chef a Le Robinie, in Oltrepò dove hai preso la stella nel 2009,


Oltre al Mudec, le altre stelle

Nella pagina a fianco: lo chef Bartolini impegnato in una delle sue cucine; la sala ristorante all’interno del Mudec; qui a fianco dall’alto: gli altri tre ristoranti gestiti dallo chef: il Casual (Bg); la Trattoria Enrico Bartolini (Gr), e sotto il Glam all’interno del Palazzo Venart (Ve).

eri considerato un allievo di Max Alajmo e nulla più. Un caso? Forse no, ma è la verità. Il passaggio più importante è stato effettivamente quello dagli Alajmo dove ho conosciuto il cuoco che più mi ha trasmesso l’emotività in cucina. Massimiliano era poco più grande di me ma aveva già tre stelle Michelin. L’unico rammarico è che non sono riuscito a carpire anocra di più, ero troppo giovane. A 38 anni, comunque, lo hai quasi raggiunto e hai un sacco di locali pure tu.

Al Mudec abbiamo dedicato un box a parte, ma per capire quanto sia diventato un ‘regista’ come pochi in Italia, vogliamo inquadrare il network bartoliniano, ricordando che nel museo di via Tortona, gli è stata affidata anche la gestione del bistrot al piano terra, che apre all’ora della colazione e chiude alle 23.30, passando per il lunch e un aperitivo non banale. “La cultura è di tutti, il cibo è di tutti. Tutti possono sedersi alla caffetteria, a prezzi normali. Tutti possono fare un’esperienza al ristorante, se hanno voglia di spendere di più” spiega Enrico. A 70 Km dal Mudec, c’è Casual: in posizione ottimale – nel cuore di Bergamo Alta – e arredato in modo informale, con tanti materiali naturali. Due sale e una splendida terrazza (in stagione) per gustare i piatti di una carta classica e regionale al tempo stesso con degustazioni su tre piatti (45 euro più 20 con abbinamento vini) o solo di pesce (70 e 90 euro). La cantina è in linea con la filosofia culinaria. Stella immediata, quasi a sorpresa, considerando la ‘serenità’ del progetto che però Bartolini ha affidato a una coppia molto affiatata: Marco Locatelli in sala e Christopher Carraro in cucina. La quarta stella è arrivata per la Trattoria Enrico Bartolini, che si trova nella Tenuta La Badiola - quella della famiglia Moretti - e curata in precedenza da Alain Ducasse. La carta è un intelligente mix di piatti contemporanei e toscani, ovviamente con il tocco bartoliniano: tanto è vero che viaggiano a braccetto il degustazione classico a 95 euro e il 100% Brace con sette proposte a 130 euro. In cantina c’è il meglio della Toscana, ma non solo. Enrico ha affidato il locale a Marco Ortolani (resident chef) e Davide Macaluso (direttore di sala). Nel rinascimento culinario della Serenissima, Bartolini ha piantato la bandiera nello splendido Palazzo Venart, oasi silenziosa con un giardino affacciato sul Canal Grande: al Glam Enrico Bartolini si gioca molto sui sapori della laguna, ma si possono scegliere anche piatti contemporanei e i signature dish di Enrico. Cantina ‘veneziana’ e due degustazioni (90 e 110 euro) , curate da Davide Ascani a cui è stata affidata la brigata: ha solo 30 anni, e vista la stima di Bartolini (“ha una costante attenzione agli ingredienti e il palato fine”) conviene segnarsi il nome. Semmai, a 40 anni posso iniziare la mia vera carriera. E’ un refrain che raccontano ai giovani cuochi ma tutto sommato, ora che ci penso, non è del tutto sbagliato. Se guardo per esempio agli Alajmo o ai Cerea, ho ancora molto da fare. Considerando che hai iniziato a cucinare a 13 anni, viene da sorridere. Lo so, ma un tempo funzionava così. Oggi gli stagisti hanno 16-18 anni e iniziano più tardi a lavorare seriamente, magari senza passare per i locali da grandi numeri. Non è un caso che l’età per far parte dei Jeunes Restaurateurs si sia alzata, rispetto a quando sono entrato io: non sto dicendo che i giovani sono meno preparati, anzi. Ma hanno più distrazioni di noi e forse meno voglia di soffrire. Sto generalizzando, sia chiaro. Un lavoraccio, comunque

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Cucinare è il meno. E anche alle critiche ci si abitua, anche se odio quelle incomprensibili o senza responsabilità di chi le fa. Le rotture sono le altre ed è inutile che annoi chi legge, fermo restando che il problema principale è far quadrare i conti, nonostante si lavori dal mattino a notte inoltrata, spesso per sette giorni su sette. Consiglio: vai in televisione, così integri i guadagni e trovi pure qualche sponsor. Ammiro chi ci va, è che non rientra proprio nel mio carattere. Vorrei essere simpatico come Cannavacciuolo e bravo come Cracco. Non lo sono. Enrico, ma dopo ventincinque anni ai fornelli ti diverti ancora a cucinare? Godo come un pazzo, però a mangiare di più. Se a pranzo e cena, potessi sedermi spensierato in un buon ristorante, sarei l’uomo più felice del mondo.•


L’opinione

Il sale può essere pleonastico di Mauro Remondino

Quegli innocenti pizzicotti di sale rischiano il limbo nel nome di una cucina sempre più salutista. Chi l’avrebbe mai detto. Sale rosso, sale nero di Cipro, cristalli di sale, fiore di sale, sale rosa dell’Himalaya, le vie del sale che hanno alimentato viaggiatori e mercanti, merce di scambio da secoli, ma croce e delizia a tavola. Come farne a meno? Eppure un gruppo di importanti chef sta già servendo piatti con ridotto contenuto di sale, grassi, zucchero. Il

anche se il nutrizionista Michele Carruba mette in guardia: “Ciascuno di noi assorbe mediamente dieci grammi di sale al giorno quando il fabbisogno è di uno solo”. Un motivo in più rilevato dal gastronomo Marcello Coronini che ha ideato, coadiuvato da un comitato scientifico, il progetto “la cucina del senza”. Tra i quattro menu dei fratelli Costardi, “Passione”, prevede orto, piatto a base di verdure di stagione condito con bottarga di tonno e caviale pronti a conferire sapidità e armonia. L’esempio più basico per dimostrare la nuova filosofia. “Non sono un medico per me viene prima il gusto e dopo l’aspetto salutistico”, dice lo chef napoletano Andrea Aprea

risotto “clorofilla”, per esempio, allestito da Christian Costardi nel ristorante di Vercelli, oltre ai preziosi chicchi Carnaroli, si avvale di ingredienti sapidi in natura. La clorofilla del prezzemolo si integra con la polvere di cardamomo, lime, fondo al nero di seppia e una presa di tartare di scampi crudi. “Completamente senza sale, ma sapido e gustoso”, ammette il suo ideatore. Sanità a tavola come trend di un prossimo futuro

medaglia. Un pesce in natura, il merluzzo, che necessita della dissalatura. Immangiabile se l’operazione è fatta male. Eppure è accaduto ad autorevoli chef. Se non si conosce la sapidità dei prodotti in natura e il dosaggio prende la mano ecco che una risposta la trova il talento di Luca Veritti, sul palcoscenico di Venezia, nel piatto “le mie sarde in saor”: accanto agli elementi classici, con cipolla, uvetta, aceto e pinoli il cuoco sfodera il sedano essicato e frullato che si sostituisce alla funzione del “La sapidità è in sale, tuttavia “senza dimenticare natura. Ciò non toglie il valore di questo elemento”. Lo chef Enrico Bartolini ha conche vi siano ottimi quistano negli anni una consissali da utlizzare, per tente credibilità con la cucina contemporanea. I suoi “bottoni” la marcia in più del che gestisce due ristoranti all’incaratterizzano piatti che convinterno di Park Hyatt. Così la sua cono palato ed estetica. L’elepiatto” caprese dolce-salato si presenmento sale è abbandonato nei ta esteticamente chiusa in sfera bottoni di olio e lime al sugo solida creata con isomalto indi caciucco e polpo cotto alla vece del saccarosio, quindi basilico, pomodoro, acbrace. Dieci tipi di pesce compongono la salsa, pezciuga, crostino di pane, olio extravergine. Tuttavia a zo forte del piatto, insieme alla pasta fresca. L’emulchi non è capitato di trovarsi di fronte a un piatto di sione cremosa di olio e lime, nel ripieno, bilancia baccalà esageratamente salato: l’altra faccia della struttura e acidità. Il sale non si fa rimpiangere. •

L’aggiunta di sale ai piatti o alle materie prime spesso è inutile, se non peggiorativo.

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L’opinione

I camerieri, recuperare stile e valore di Stefano Bonini

l’importanza dei camerieri e dell’organizzazione della sala. Diego Masciaga, Umberto Giraudo, Simone Pinoli, È necessario riportare questa Beppe Palmieri sono tra i pochi camerieri ad aver figura agli antichi fasti, pur fatto carriera, ad aver raggiunto quella fama e notorietà direttamente proporzionale alla loro profesadeguandola al mutamento dei sionalità, in grado di fungere da stimolo ed esempio costumi. per le giovani leve. Era un’arte italiana, lo è stata per decenni. SperiSe in Francia il lavoro di sala assicura reputazione amo che torni ad esserlo, noi ci stiamo impegnane retribuzione, e fa “rango” questo dipende dal fatto do affinché questo succeda: che il servizio di sala che l’organizzazione della ristorazione ha una storia torni ad essere un grande valore per la ristorazione e una tradizione centenaria, più antica e codificata nazionale. della nostra. Purtroppo in Italia quella del cameriere Da quando la rivoluzione della è vista come una professione nouvelle cuisine ha fatto sentire umile, senza prospettive, oscui suoi effetti dirompenti non solo rata dal successo mediatico e “Masterchef e la in cucina, ma anche in sala, con dalla visibilità che le decine di tv hanno puntato l’introduzione del servizio al piformat televisivi dedicati al cibo, atto, la figura del maître è stata tutto sulla figura del alla cucina e al mangiare garanrelegata in secondo piano e la tiscono ai cuochi. cuoco, ma hanno spettacolarità del servizio oscuOggi imbattersi in camerieri con rata. Oggi la bulimia da Masterla C maiuscola, soddisfatti di messo in ombra chef sta portando alla luce, con quello che fanno, è cosa rara, il servizio un pizzico di nostalgia, quane quando si incontrano diventomeno negli addetti ai lavori, ta normale mostrare apprezzadi sala” un problema per anni sottovalumento e dargli grande valore. Se tato: l’assenza di maestri e punti le nuove leve rifuggono dall’esdi riferimento in sala e la conseguente perdita di sere camerieri, tranne che per qualche mezza giordignità e prestigio del ruolo del cameriere, fondanata o una stagione turistica, è un problema. mentale componente di ogni ristorante di succesIl servizio deve riconquistare la propria dignità e riso… non solo stellati. ottenere il rango di professione, di pietra angolare Mentre in Francia il servizio resiste come stile di vidella ristorazione: avere camerieri qualificati, pronti ta e passione, prima ancora che come lavoro, dea consigliare un vino, a raccontare un piatto, a ritermina la percezione positiva del menu ed è emsolvere dubbi e curiosità degli ospiti dovrebbe esblematico della qualità del ristorante, in Italia stiasere uno degli obiettivi prioritari di ogni ristoratore mo trascurando il ruolo di chi accompagna il cibo dalla cucina alla sala. Siamo rimasti indietro come scuola e come approccio culturale. I nostri istituti alberghieri non preparano più come quelli francesi e svizzeri, e sempre meno sono i giovani che, iscrivendosi, scelgono il percorso legato al servizio. Preferiscono i trionfi televisivi di chi opera in cucina e le prospettive esaltate da MasterChef mentre dilaga l’incapacità dei ristoratori di capire

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o albergatore … al pari di trovare un bravo chef! In Italia ci sono oltre 400mila camerieri in servizio, in maggioranza insoddisfatti, disaffezionati, alla ricerca di un altro mestiere. Attualmente non possiamo fare altro che consolarci con le poche centinaia di innamorati del loro lavoro, che vogliono continuare a farlo e persino insegnarlo. Un piccolo esercito di persone soddisfatte, che ama la propria professione, a cui piace il contatto con il pubblico e non pesa lavorare sabato e domenica. Per dare nuovo smalto al cibo e rilievo alla professione del cameriere, bisogna rilanciarne l’immagine, la percezione e il valore. Una piccola grande rivoluzione copernicana che infonda prestigio al mestiere del cameriere, per andare oltre la semplice esecutività e lo faccia diventare una persona parlante, in grado di comunicare, consigliare e raccontare. Formazione, addestramento e coaching sono gli strumenti per avviare questa pacifica rivoluzione e creare i nuovi ambasciatori del servizio e dello stile ristorativo e gastronomico italiano. •


Dal mondo

Osvaldo Danzi

Quel Terun di Zuckerberg

di Stefania Zolotti

Due fratelli calabresi e un ristorante in California. Storia di pionierismo italiano. Per spiegare la cucina italiana può essere utile allontanarsene, apparentemente andarsene. Ci sono tanti modi per farlo e quello dei fratelli Campilongo è una possibilità. Premessa doverosa: qui si parla di un nuovo pionierismo culturale del cibo italiano e non di un piano di fuga ben riuscito. Il segreto di Terùn a Palo Alto sta nella triangolazione delle competenze perché se vuoi il successo lo devi pure condire. Un racconto di cibo trasformato in servizio. Franco Campilongo è calabrese, galeotta nel 2002 la scelta di andare a perfezionare l’inglese in California e non a Londra, seguendo il consiglio di un amico che stava aprendo un ristorante. Anche Kristyan D’Angelo, chef pugliese, in California ci arriva nel 2002 dopo una sponda preziosa in Piemonte come chef. “Tu u mestier me l’haia arrubbà” (Tu il

spetto che richiede è direttamente proporzionale a mestiere me lo devi rubare), gli ripeteva sempre il quello che pretende. pizzaiolo napoletano che lo aveva plasmato. Leg“Quando iniziai a lavorare nei ristoranti americagenda o verità che sia, pare che ogni storia di ristoni, la cosa che mi colpiva erarazione italiana parta sempre da no le porzioni. Enormi, eccessiabili nonne in cucina; è succes“Il segreto a Palo ve. Un giorno, per curiosità, anso anche qui. Maico Campilongo dai a pesare il piatto che stavo raggiunge il fratello tre anni doAlto sta nella servendo: seicento grammi tra po e anche lui non si risparmia triangolazione delle pasta e condimento. Ora le coesperienze e gavette. se stanno cambiando ma qui Terun apre l’8 febbraio 2013. Il competenze perché c’era il culto dell’esagerazione, nome di Palo Alto evoca la Silise vuoi il successo dell’abbondanza al senso del licon Valley che a sua volta evoca la velocità di una cultura digitalo devi pure condire. mite”, racconta Maico. “Il gusto italiano per noi è anche un gule e tecnologico mischiata a puUn racconto di sto estetico fatto di equilibri e ra imprenditorialità, quella che misure. La gratificazione di un non ammette sofisticazioni e va cibo trasformato in piatto arriva non solo dal palaavanti per meriti e buone idee. servizio.” to ma anche dalla mente e solo Prendere o lasciare, i tre hanno ciò che trasferiamo come mespreso. saggio italiano aldilà del cibo Se oggi ai tavoli di Terùn siedono può trasformarsi in memoria capace di riportare Zuckerberg e Bezos, per citare i simboli di un moun cliente”. Lui quella impalpabilità italiana la pordello, è perché un fiordilatte vero, un lievito madre ta in mezzo ai tavoli con la grazia dell’accoglieno una parmigiana di melanzane non bastano più a far sentire italiano chi di fatto non lo è. Il cibo è za che può anche voler dire suonare una chitarra sempre più democratizzato e sconfinato ma il riclassica e cantare ma senza mai degenerare nel

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racconti di famiglia non finiscono mai. Roccaforti di una regionalità culinaria italiana che sbarcano sul Pacifico a testa alta e di cui i clienti non riescono più a fare a meno. Se presentano gli scialatielli, spiegano che sono una pasta tipica di Amalfi, tipo spaghetti, nati nel 1978 per mano dello chef Enrico Cosentino e che, presentati a un concorso culinario, gli valsero il premio Entremetier dell’anno. E proseguono con le etimologie per non sprecare l’occasione di spiegare che la parola fondecla napolentanità dello “scialare” (godere, enjoy) e della padella “tiella”. Il menù gira spesso da Terùn ma guai a togliere dalla carta i fondamentali dello stivale perché i clienti li reclamano con forza; è già successo in passato e guai a ripeterlo, lo sanno bene in cucina. Kristyan D’angelo non si è fatto migliaia di chilometri per restare uno dei tanti chef italiani d’America e in tempi brevi il segno l’ha lasciato. “Non mi stanco mai di perfezionare la pizza. Dalla Calabria al Piemonte alla California ho capito che dovevo sempre ricordarmi dove sto perché cucinare è uno scambio con quello che c’è intorno. Non basta un lievito madre. La temperatura in cui far crescere la pasta risenOsvaldo Danzi

nazional-popolare; anche in questo i fratelli Campilongo hanno saputo ripulire un immaginario fino a quel momento confuso e fuorviante. Te la sanno raccontare bene l’Italia se hai voglia di ascoltarli e più gli americani chiedono più loro danno. Enjoy te lo ripetono sempre in California e ai tavoli di Terùn ne cogli tutto il senso. Provano a rieducare il cliente portandolo oltre il confine che si darebbe un ristorante italiano in terra straniera. Lo fanno a pranzo e cena con scialatielli, gnocchi e orecchiette - che da americano devi pure imparare a pronunciarli bene i nomi perché noi italiani ci sforziamo sempre tanto a parlare un buon inglese ma ogni tanto tocca agli altri visto che anche qui si tratta di cultura - ma è con la parmigiana di melanzane e le lasagne che descrivono al meglio l’Italia. Piatti di strati e di tecnica, le giuste dosi del tutto perché ad ogni taglio devi sentirci qualcosa che stia bene in piedi in bocca e non abbia spigoli. Il pomodoro che dall’America era arrivato a noi, Terùn lo restituisce dentro una storia del sud Italia. Vale anche per l’olio che, se hai fortuna, è proprio quello delle poche piante di casa Campilongo a Scalea, in Calabria, tramandato di padre in figlio e non ancora stanco. Se mangiare a ristorante fosse un corso di lingua, questo locale ricorderebbe ogni giorno le regole di base: olio, sole e pomodoro. L’arte della cucina è anche fondere e ricreare, come per le trofie al pesto genovese rivisitate col polipo. Sul menù, “spicy spreadable Calabrese salami” è la traduzione più fedele per la nduja: la poggiano sui paccheri, sulla pizza, sul pane e le spiegazioni e i

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Nella pagina a fianco: i fratelli Maico e Franco Campilongo; in questa pagina: lo chef Krystian D’Angelo e l’insegna del ristorante.

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te di mille variabili e ogni giorno cerco l’equilibrio perfetto tra clima e umidità, dentro e fuori. Niente di nuovo, solo il rispetto per il mio mestiere e per i clienti. Sento la responsabilità della pizza italiana come bandiera, cerco di farla sventolare al meglio perché questo pezzo di California ha potenzialità comunicative immense. Per me tutti i clienti sono uguali ma per il marketing non è così e uno Zuckerberg che entra e ordina la nostra pizza, e poi ci torna per mangiare anche altro, diventa un lasciapassare culturale per l’Italia intera. In California impari che il successo di uno è il successo di tutti”. Franco Campilongo gestisce il locale in prima fila e “sarà per questo che lui c’è sempre quando a sorpresa e con grande modestia entrano quelli di Google, di Facebook o di altre big company”, commenta Maico. Sia lui che il fratello si dividono il tempo di lavoro tra Terùn e l’altro gioiello di casa. Perché il nome Terùn non ce lo siamo detto ancora. Forse perché a un americano va spiegato cosa balla in quel commento - e con quale bagaglio di orgoglio i tre soci l’hanno scelta per rivendicare un pensiero - ma a un italiano no. Semmai va detto che l’idea iniziale di chiamarlo Terrone fallì perché il marchio era già preso e declinare sul dialetto fu istintivo. Talmente convinti di aver centrato il segno da battezzare Italico il secondo ristorante aperto il 24 luglio del 2016. Poche centinaia di metri più in là, marciapiedi opposto, la cucina e l’atmosfera di un’Italia che scava più a fondo di una pizza per andare in scena in America. In un colpo solo il locale di presenta all’ingresso: tutta l’eleganza di una can-


Dal mondo

Osvaldo Danzi

tina a parete alta quanto le aspettative di mangiare e bere la bellezza. In anteprima per Artù, il nuovo menù metterà in carta un piatto tipico della tradizione calabra, del cosentino e dell’Alto Tirreno: i peperoni cruschi che loro chiamano “pipi arruschat”. “Sono un prodotto dei tempi che mi piace definire pre-frigorifero. Seccati al sole o sotto sale, consentivano a persone come mia madre di conservarli senza problemi anche senza corrente elettrica. E’ una bella sfida offrire una cultura pretecnologica a clienti che vivono nel tempio della modernità e dell’intelligenza artificiale”, commenta ancora Maico. Ma Italico è soprattutto una ristorazione di ricerca e sperimentazione dove lo scambio culturale non

vuol mancare e la pizza è rigorosamente bandita. L’esempio migliore è l’anno sabbatico che il toscano Luca Martinelli (titolare dell’omonima trattoria ad Altopascio di Lucca) ha speso con loro a Palo Alto per far nascere l’idea della Wood fired bistecca, un taglio di prime rib eye cotto nel forno a legna di cui a Italico vanno molto fieri e che al palato ricorda “un sapore eccezionale di Pasquetta”: bistecca alla fiorentina cotta a legna come succedeva in passato. Una carta dei vini che in Italia spesso te la sogni. Immancabile Napa Valley ma giusto il necessario,

Osvaldo Danzi

Osvaldo Danzi

A fianco, Maico Campilongo; qui sotto: l’ingresso con la cantina a vista del secondo ristorante aperto dai due fratelli: “Italico”; infine, Krystian D’Angelo nella sua cucina.

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onesti e veritieri i prezzi, tutto il resto sono pagine di enografia italiana a raccontare un paese così diverso da nord a sud, isole comprese. Dietro quella carta c’è il lavoro di importatori italiani che vivono a Palo Alto o giù di lì, hanno quaranta o settant’anni e traducono più generazioni: messi insieme sono il risultato perfetto per viaggiare dentro un calice. Ci parli al tavolo mentre mangi e, col sorriso, ti raccontano il rapporto degli americani col nostro vino o quello degli italiani col Merlot e lo Zinfandel. Sorridono tutti a Palo Alto. Italico e Terùn sono fatti così: non sai mai chi ci sarà nel tavolo accanto ma tutti bene o male vorranno scambiare un po’ se stessi senza pregiudicare alcuna intimità. Prenotare sempre.•



Dal mondo

Italiani a Londra Mazzei mette Radici di Luisa Contri

Cavalcando il boom della nostra cucina in UK, lo chef patron de La Sartoria a Mayfair, fa il bis a Islinton. Il vulcanico Francesco Mazzei non ha nessuna intenzione di sedersi sugli allori. Non pago d’aver portato in 18 mesi La Sartoria in Savile Row a essere un (se non il) ristorante italiano di riferimento a Londra, il mese scorso ha inaugurato un secondo locale, sempre in tandem con D&D London. Il nuovo ristorante, il Radici, è leggermente più periferico. È infatti in Almeida street a Islington, non lontano dallo stadio dell’Arsenal e di fronte al teatro che dà il nome alla via. È piuttosto grande: disporrà di circa un centinaio di coperti fra la sala principale, una saletta privata per 15 e d’un tavolo da sei in cantina. Proporrà una cucina semplice: quella delle radici di Mazzei, che viene da un piccolo paese della Calabria, Cerchiara, nel parco del Pollino. Ricette della tradizione gastronomica contadina della sua regione quindi e piatti tipici della cucina del Sud Italia. Il locale farà orari piuttosto ampi: in settimana sarà aperto per pranzo e cena e, la sera, la cucina chiuderà verso le 23,30, facendo anche servizio di dopo teatro. Il sabato e la domenica sarà invece aperto tutto il giorno, dalle 10,00 del mattino per la colazione al dopo teatro. E la cucina probabilmente sarà aperta fino a mezzanotte. «Inizialmente», dichiara ad Artù Mazzei, «avevamo concepito il Radici come un ristorante di quartiere. Un locale ove portare a mangiare la famiglia senza spendere un botto, in un ambiente accogliente, con un servizio informale e una mise en place essenziale. E in considerazione di ciò avevamo pensato a una carta stringata. La fama che mi ha portato La Sartoria rischia però di fare dell’inaugurazione di questo locale l’apertura dell’anno a Londra. Ho finito quindi per ampliare l’offerta. Oltretutto il Radici è in una posizione strategica. Per quanto un po’ periferico, dovrebbe consentirmi d’attrarre i frequentatori dello stadio e, a pranzo, anche gl’impie-

In questa pagina: l’ingresso del Radici; nella pagina a fianco: lo chef Francesco Mazzei; due scorci dell’interno del ristorante e dei Gamberoni.

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Giuseppe Ippolito

gati della City, che è vicina a Islington. Penso di recuperare parte della clientela che già frequentava il mio ex ristorante Anima». Il Radici avrà dunque un menu con sei antipasti, sei primi, sei secondi, sei contorni, sei dolci e sei pizze, uguale a pranzo e a cena. In più, ogni giorno, proporrà tre piatti del dì, pensati per la clientela assidua e per consentire a Mazzei d’inserire proposte ispirategli da materie prime che avrà trovato al mercato. E anche un menu occulto, che prevede le mezze porzioni, concepito per i bambini e per chi vuol stare leggero e guarda pure al portafoglio. Vi

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Dal mondo In questa pagina a lato: la cantina dei vini; sotto: un momento rubato in cucina durante la prepazione di una pizza; Torta di mandorle con more e bacche; nella pagina a fianco sopra: Chicken Calabrese; sotto: l’aperitivo organizzato per l’inaugurazione; Tonno crudo e sottoaceti.

figureranno piatti semplici come spaghetti al pomodoro, penne all’arrabbiata, cotoletta di pollo, le pizze e alcuni piatti cotti nel forno a legna come la parmigiana di melanzane e i conchiglioni gratinati. Breve, ma non per questo priva di bottiglie importanti, la carta dei vini: ce ne saranno 20, serviti da un wine waiter, non da un sommelier, per mante-

nere l’informalità del servizio. Vini che si potranno degustare anche presso il bar della cantina, accompagnati da salumi e formaggi venduti a peso (saranno esposti in una grande frigo-vetrina dietro il banco del bar), dai sottaceti prodotti dallo stesso Mazzei: dalla cipolla di tropea intera al radicchio, e da piccoli assaggi dal forno, come polpettine,

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crocchettine di melanzane, bignè di formaggio. Al bar in cantina e ai tavoli in sala si potranno pure consumare cocktail, aperitivi e digestivi sia classici sia originali, a base di liquerizia, bergamotto, peperoncino, ideati per il Radici dal mixologo Simone Caporale, che già collabora con La Sartoria. «Se ne La Sartoria oggi ci stiamo un po’ allargando», puntualizza Mazzei, «e a piatti della cucina del Sud stiamo affiancandone altri del Centro e Nord Italia, per esempio, tortelli, risotto e cotoletta alla milanese, al Radici ci manterremo nel solco delle tradizioni gastronomiche del Meridione, privilegiando ricette essenziali, poco elaborate, che realizzeremo con le stesse ottime materie prime che impiego nel ristorante in Savile Row, ma che potrò proporre a prezzi contenuti, grazie alla maggior semplicità


delle lavorazioni e del servizio e al ricorso a tagli meno costosi, ma non per questo meno gustosi. Un pasto al Radici verrà a costare circa 35 sterline a persona, contro le 70, ma senza acqua, vino e caffè, di un buon ristorante del centro di Londra con servizio formale. Immagino che piatti come il polipo coi cannellini e la ricotta mustìa, le cappesante con la ’nduja e la salsa verde, gli spaghetti alla cetarese, l’involtino con contorno di patate affumicate, i pipi e patane (peperoni e patate fritti in

padella finché diventano croccanti, ndr) diverranno presto dei must del Radici». Non potendo permettersi di smettere di presidiare La Sartoria, che oltrettutto da fine marzo è aperto anche la domenica, Mazzei sarà al Radici circa tre giorni la settimana nei primi sei mesi dall’apertura. Ha quindi affidato il ruolo di resident chef ad Antonio Mazzone, suo collaboratore da 10 anni a La Sartoria, che coordinerà una brigata di cucina composta da dieci persone (in sala invece ci sa-

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ranno 16-17 persone). Come anticipato, il vulcanico Mazzei non intende comunque fermarsi qui. Approfittando del fatto che i londinesi hanno ormai imparato a distinguere la cucina toscana, dalla romana, milanese, piemontese, calabrese, ecc., sta progettando un terzo ristorante alla Battersea Power Station, sul Tamigi, che farà cucina romana e che aprirà ad agosto prossimo. Di più, per ora, non è dato sapere.•


Una presenza ancora più forte e una penetrazione più capillare: Artù è nelle VIP Lounge degli aeroporti di Malpensa, Linate, Bologna, Napoli, Firenze, Verona, Venezia; nell’esclusiva location milanese Clubhouse Brera e nelle edicole Hudson News degli aeroporti di Malpensa, Linate e Stazione Centrale di Milano.

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Giancarlo Morelli: lo chef? Soprattutto un imprenditore di Alberto P. Schieppati

Apre a Milano il ristorante dello chef del Pomireu, una stella consolidata nel tempo. La linea di cucina punta su trasparenza e semplicità. Verso metà maggio ho deciso di incontrare Giancarlo Morelli nel suo nuovo ristorante, al di fuori dalle presentazioni ufficiali, in cui vedi uno, saluti l’altra ecc ecc. Non perché abbia qualche idiosincrasia personale nei confronti delle “vernici”, ma perché mi piace sentire i luoghi, viverli direttamente, assaggiare i piatti, guardarli, annusarli, cogliere lo spirito della cucina, guardare i ragazzi della brigata, conversare con chi serve ai tavoli. E, soprattutto, parlare con lo Chef: che, in questo caso, è anche e soprattutto imprenditore. L’esordio della conversazione è di quelli che lasciano il segno, almeno per chi sa

cogliere (credo di essere fra questi, senza presunlo chef debba essere imprenditore, perché deve sazione) la passione e l’ambizione di chi si mette alla pere cosa significa creare occupazione, dare lavoro guida di un’impresa di ristorazione come questa. ai giovani e non solo, avere una funzione si sviluppo E che impresa! Dopo il Pomireu, dopo il Phi Beanell’economia di una società. Non deve soltanto prech in Sardegna, dopo la Trattoparare grandi piatti…”. Qui ci sta ria Trombetta, è la nuovamente il succo del pensiero di Morelli, la volta di Milano. Il VIU’, hotel che andrebbe davvero esteso il “Nello spazio 5 stelle che ospita il Morelli (inpiù possibile a tanti che persedell’Hotel Viù, teso come Ristorante Giancarguono solo fama e celebrità perlo Morelli e il Bulk, il Mixology cinque stelle, Morelli sonale. Anche senza fare nomi, food bar), è una delle strutture è prevedibile. E’ chiapropone una doppia laro risposta di ospitalità più belle di Milano che, quando si entra in un (www.morellimilano.it) . Ubicato vortice, la spirale avvolge anche linea: Mixology e in zona Sempione, in via Fiorate: la soluzione è restarne fuoFood bar al Bulk e vanti, a due passi dal Ceresio 7 ri, senza per questo sentirsi fuodi Elio Sironi e co.(un’altra icona grande cucina nel suo ri dai giochi. E, standone fuori, dell’offerta cittadina di alto procreare qualcosa di unico: come ristorante” filo), il ristorante ben rappresenin questo caso. All’ingresso del ta lo stato dell’arte della cucina Morelli, si coglie subito la frecontemporanea che guarda al schezza dell’ambiente, per certi futuro. L’attacco della chiacchierata non è la rispoversi ancora vergine, e proprio per questo autentico, sta a una mia domanda, ma una vera e propria diconviviale nel senso più corretto del termine. Così chiarazione di intenti da parte di Morelli: “Penso che si legge nel menù del Bulk: “Non è la ricchezza che

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In questa pagina: Piccione cotto in due tempi, salsa allo sherry barbabietola rossa marinata ai chiodi di garofano; lo chef Giancarlo Morelli; sotto: alcuni particolari del Bulk.

manca nel mondo, è la condivisione. Ecco perché pensiamo che il Bulk sia il luogo ideale per far crescere la convivialità e la gioia nella condivisione dei piatti”. Il messaggio è chiaro. “Nati da una gestazione di 25 anni di attenta e inarrestabile ricerca di sapori, di materie, di colori, di tecniche”, sia il Bulk che il Morelli hanno trovato posto al pianoterra del VIU’: all’insegna di un’eleganza essenziale, il Bulk propone una linea semplice, che parte dai panini di alta qualità (serviti dalle 12 alle 24, prezzo medio 15 euro) per arrivare a preparazioni che sono un’icona dello stile di Morelli. Uno per tutti, fra le proposte in carta, è il Club Sandwich Inside Out che ha reso celebre lo chef del Pomireu (a Seregno, dove ha preso la prima stella): pane a tre strati, prosciutto crudo 24 mesi, cipolla rossa di Tropea, burro di alpeggio, cuore di lattuga, pomodoro, ventresca di tonno, uovo di quaglia e gelato al parmigiano. Troppi ingre-

dienti? Provatelo e vi resterà nella memoria. Ma è nello spazio del ristorante gourmet, intitolato a se stesso, che Giancarlo Morelli, bergamasco schietto e con la schiena dritta, esprime livelli superlativi: già dalla cucina professionale di 200 mq, disegnata dallo stesso chef a propria immagine, con all’interno la presenza di un tavolone di legno antico da 14 posti, si capisce che Morelli è animato da uno spirito di condivisione, diretta, sincera e senza fronzoli. La qualità della sala, raffinata e quasi senza tempo (se non il proprio), mette l’ospite a proprio agio, grazie alla distanza fra i tavoli, alla semplicità non ossequiosa ma sincera del servizio, alle pareti decorate con stile. Il resto dell’esperienza vede protagonista la cucina, con piatti di estrema raffinatezza e armonia: fra quelli che ho degustato, nessuno ha evidenziato pecche o limiti. La linea di Morelli va nella direzione, tanto auspicata da critica e mercato, della semplificazione: i piatti sono a dir poco innovativi, ma la direzione intrapresa da Morelli concede par condicio ai suoi diversi modi di intendere una stessa, identica filosofia: comprensibilità, condivisione, piacere. Tre menù degustazione, rispettivamente denominati Tradizione, Esperienza sensoriale e Lo chef sceglie per voi (un percorso di sette portate), chiariscono subito l’ impegno della brigata: nel menù “sensoriale”, la Spuma di patate di montagna, trippa di baccalà, caviale e burro all’erba cipollina è un piatto che apre con intelligenza ai successivi Ravioli di pasta fresca ripieni di porro alla brace, crema di latticello, polline allo zafferano, davvero squisiti. Così come la Sogliola , tuile di cavolfiore e dragoncello e maionese al carbone vegetale, un grande piatto che riconcilia il palato con il pesce e la sua struttura organolettica,

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spesso mascherata in altre cucine da ammennicoli che ne mascherano il sapore. E, se volessimo parlare del Trancio di salmone demi-cuit con latte di cetriolo, o della Tartare di gallinella con le sue uova a mo’ di cialda, dovremmo ammettere che la ricerca di Giancarlo Morelli sulla materia prima ha raggiunto livelli eccelsi. Il Menù a la carte, poi, presenta chicche che andrebbero provate piuttosto che

A destra: Spalla d’agnello in crosta di levistico, polenta di patate, carote fermentate al macis; a sinistra: Zuppa di limone sfusato di Amalfi, gelatina di finocchietto, insalata di frutta esotica; sopra: la sala e il tavolo all’interno della cucina.

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maestro pasticcere, e da Luca Franceschin, mentre lo chef di cucina è Livio Pedroncelli. La sala è governata da un personaggio del calibro di Alessandro Colombo, affiancato da giovani di esperienza e dotati di molta passione, fra cui Simone Marelli, sommelier e Mattia Pastori, il bartender del Bulk. Fondamentale, quest’ultima, per raggiungere i risultati che tutti si aspettano e che, dalle premesse, confermano che siamo sulla strada giusta. Il capitolo vini, colpevolmente tralasciato da chi scrive, è ricco di capitoli importanti, con parecchi spunti inediti e di valore. A conferma che, anche sotto il profilo dell’offerta enoica, la ricerca è tanta. Un’ultima nota: il figlio di Giancarlo, Giacomo Morelli, ventidue anni, segue le orme del padre: aiuta in cucina al Pomireu, con impegno e successo: “la sua vena, dice il padre, è creativa, direi artistica”. • lette: gli Gnocchi di patate e polenta, ripieni di quartirolo, pancetta di coniglio e piselli all’agli orsino, lo Spaghetto di grano grezzo con calamaro, cipollotto e fave (solo a leggerlo in carta viene fame), il Maialino croccante, il Piccione in due cotture, salsa allo sherry, barbabietola rossa marinata ai chiodi di garofano, e molto altro. La carta propone anche i piatti Heritage di Giancarlo, quelli che ne hanno accompagnato l’evoluzione al Pomireu: la Crema di foie gras con uovo poché e tartufo, il Riso Carnaroli ai pistilli di zafferano midollo e riduzione al vino rosso, i Casoncelli alla bergamasca di mamma Rosa con burro pancetta e salvia, la “nostra” Cotoletta alla milanese e, per chiudere, il Tiramisù. I dolci sono curati da Gianluca Fusto,

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Protagonisti food In questa pagina: lo chef Dimitri Mattiello; nella pagina a fianco: la facciata del suo ristorante.

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Le tante anime dello Chef Dimitri di Alessandra Piubello

Da sempre alla ricerca delle “perfezione accessibile”, il cuoco vicentino non finisce di stupire. E’ una spirale. Il centro parte da Arcugnano, nei Colli Berici, tocca Dubai, prosegue per Altavilla Vicentina, tocca Bangalore, ritorna ad Altavilla Vicentina, ai piedi dei Colli Berici. Energia propulsiva del movimento che non è dato sapere dove spingerà ancora. Per il momento è ben visibile sulla facciata del ristorante di Dimitri Mattiello. Cinque anni fa, quando apre il suo locale ad appena ventotto anni, Dimitri sceglie il suo simbolo per dei motivi ben precisi. “La spirale per me è l’emblema della perfezione, che si ottiene con la ricerca del buono, del bello, del giusto prezzo. Poi rappresenta, con tutte quelle bollicine che ne compongono il tratto, il perlage del vino visto dall’alto di un bicchiere. Non ultimo, il locale che ho rilevato era la “legnara” (stiva del legno ndr) del

non solo). Sarebbe stato facile restare sotto l’ala protettrice della famiglia. Dimitri d’altronde inizia a lavorare nella cucina di mamma dai tredici anni, anche se è sin dalla nascita che respira le alchimie culinarie. Quando si parla della cucina della memoria, beh, ecco, Dimitri ne ha i cassetti mentali, sensoriali, emotivi, stracolmi. La sua prova del fuoco? Con Vissani. Un anno di stage a Baschi, comprese le trasmissioni ad Uno Mattina con quel geniaccio ribelle e anticonformista, paese, e la spirale mi ricorda i nodi dei tronchi d’aldannatamente bravo. Dimitri apprende moltissimo, bero, gli stessi dei boschi di dove sono nato”. Dimitri si tempra, comprende e applica le diverse cucine figlio di Demetra, la madre terra. Porta un nome che regionali, studia nuovi sistemi di cottura. Si allena rispecchia il suo essere custode dei prodotti della a trattare un alimento in modo inconsueto, vedennatura, non a caso si occupa di portare i prodotti dolo sotto un’altra ottica, sforzandosi di andare olgastronomici italiani di qualità tre all’apparenza, per osare altre a Dubai e in India (al suo attivo interpretazioni. Ritorna al focoper il momento due ristoranti a lare familiare con la sensazione Bangalore, anche se il progetto che tutto sia più stretto. Investe “Da provare il Vitello i suoi risparmi per acquistare un ultimato ne prevede altri tre). In realtà è figlio di Imera Gianello, furgone usato. Carica pentole, 56 e patata, dove il cuoca dell’Antica Osteria Penapiatti, sedie e tavoli e si dedica numero corrisponde anche a un servizio di catering a cio di Arcugnano, e rappresenta la quinta generazione di una domicilio: sperimenta la propria ai minuti di lenta stirpe di cucinieri che hanno fatindipendenza, pur restando nelcottura della carne” to la storia della ristorazione vile fila “penaciane”. Poco a poco centina, fucina di formazione di matura la decisione di lasciare molti talenti. Uno zio ha fondatutto. Inizia dal suo nome, Dimito un suo ristorante, idem una tri, (è l’insegna del suo locale, zia, mentre l’altro zio ha deciso per l’appunto). Nessun filo condopo anni di chiudere il suo. Insomma i “Penacio” duttore visibile alla dinastia, pur forte e grato dell’income vengono soprannominati, sono una garanzia negabile bagaglio professionale interiore stratificato gastronomica da decenni nella città del Palladio (e anno dopo anno. Rischia, con coraggio ci mette la faccia, la sua. Ovvia conseguenza, il nucleo familiare lo critica, anche aspramente, sentendosi abbandonato. Dimitri segue la sua strada. Crea un locale con più anime. Il caffè bar, aperto dalle sette della mattina, per le colazioni. Il ristorante, a pranzo, con un menu che cambia ogni giorno, ben visibili i minuti di preparazione vicino ad ogni piatto, ad un prezzo onesto. Per venire incontro alle esigenze di chi ha una pausa breve e desidera impiegarla al meglio, senza inutili tempi di attesa e senza dover far tardi al lavoro. Le aziende nei dintorni sono molte, tanto che Dimitri ha anche previsto, per quelle abituali, di organizzare anche saltuariamente, su richiesta, dei catering lunch in azienda senza nessun sovrapprezzo (purché sia nel raggio di cinque chilometri). Un servizio in più per fidelizzare e coccolare i lavoratori della vita moderna. Ma torniamo alla base: lo stesso spazio, informale e moderno, occupato da una cinquantina di coperti al pian terreno con un accogliente bancone, si trasforma poi nel locale per aperitivi, una sosta per brindare con gli amici. Più tardi, ecco che l’ambiente diventa “Hosteria

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Protagonisti food italiana”. Ai tavoli (nella bella stagione anche nel dehors) la scelta spazia fra una quindicina di ricette caratteristiche della tradizione italiana, proposte in piatti unici, e le pizze, lavorate con quattro tipologie di farine per trenta ore, concettualmente divise per categorie. Tre opzioni per ogni sezione, da re pomodoro alle gran gourmet, dal maiale al manzo, dal mare alle vegetali. Al piano superiore, due sale

di cinquanta coperti dedicate al ristorante gourmet. Le sale dei piani alti non ve le descriviamo, perché tra qualche mese Dimitri cambierà tutto. Gli brillano gli occhi, lui sempre così posato e concreto, così ben piantato per terra (e non sono i suoi cento e passa chili), così cuoco e al tempo stesso imprenditore (difficile interpretare bene i due ruoli, non è da tutti). S’illumina in viso descrivendoci i colori, i materiali, le luci, le insonorizzazioni. Sì, perché tutto il nuovo concept parte dalla musica, altra passione di Dimitri. Silvia, la sua dolce compagna, che si muove leggiadra in sala portandoci i piatti, lo guarda con ammirazione e un pizzico di curiosi-

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tà per il futuro. Distoglie per un attimo lo sguardo, iniziando a descriverci le preparazioni culinarie a firma dimitriana. Così, una ricetta dopo l’altra, entriamo in un godurioso percorso fatto di sostanza e di costanza, con qualche colpo d’ala. Dimitri non gioca a fare il fenomeno, punta moltissimo sul lavoro di squadra. Da lui il lavoro in cucina è organizzato su una linea dedicata agli ingredienti, non alla classica suddivisione fra antipasti, primi, secondi, dolce. Ogni piatto vede l’intervento dello specialista di quell’ingrediente e porta la firma di più mani, fra le quali quella del creatore (non smettereste mai di fargli domande, perché è uno che usa la testa, che innova, che dà al commensale delle risposte inconsuete e uniche, che cerca incessantemente). I nostri piatti preferiti? “Tonno, uovo, tartufo”, ogni ingrediente integro nei suoi acuti, risaltato dal contrasto di sapori; il baccalà, cremoso e avvolgente nelle sue gustose sembianze, che si contrappone al materico riso venere in un gioco di consistenze, avvalorate dai cubetti di polenta di Storo fritta. Deciso e diretto lo spaghetto alla bietola con canestrelli e

Nella pagina a fianco: Dimitri con la compagna Silvia nonché sua collaboratrice in sala; Baccalà mantecato; Risotto d’asparagi di mare e terra; Spaghettone rosa; Nido di riso venere; in questa pagina: “Polipo 300”: trecento sono i minuti di cottura a bassa temperatura a bagno d’olio d’oliva in una pentola di terracotta che l’ingrediente trascorre senza perdere né consistenza né colore.

colatura di alici, che avanza in un crescendo d’intensità. Il “vitello 56 e patata” (56 sta per i gradi di cottura, per otto ore) dimostra l’abilità tecnica sulle cotture millimetriche: la carne si disfa letteralmente in bocca. Il mio spazio sulla pagina è finito, tanti racconti interessanti son rimasti nella penna: ora tocca a te scoprirli, narrati da Dimitri in persona e dalla sua cucina.•

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Protagonisti food

Canone inverso Fidatevi di Bocchia di Maurizio Bertera

Lo chef parmense, a Bellagio dal 1992, riconferma una volta di più il suo talento e il suo genio. Ettore Bocchia è cuoco (e persona) fuori dal comune. Classe 1965, parmense di San Secondo – il paese della buonissima spalla cotta - dopo cinque anni in giro per gli alberghi di mezzo mondo, nel 1992 è arrivato al Grand Hotel Villa Serbelloni a Bellagio. Poteva accontentarsi per tutta la carriera di servire buoni piatti classici per la clientela – in gran parte straniera - di un luogo dove la posizione e l’ambiente bastano e avanzano. Invece, ossessionato dalla ‘materia’ e dalla ricerca, nel 2002 ha avuto l’intuizione che lo ha reso celebre nel settore: crea il primo menù italiano di cucina molecolare grazie agli studi fatti in collaborazione con il fisico Davide Cassi docente di Fisica della Materia all’Università di Parma. Due anni dopo, il Mistral conquista la stella Michelin. La filosofia non è la stessa, resa celebre da Ferran Adrià negli anni ‘90: se il cuoco catalano utilizzava i principi ‘molecolari’ per creare volumi

e consistenze spettacolari (da qui piatti innovativi, quasi assurdi e giocati sui contrasti), Bocchia invece usa i processi chimici per ottenere delle implementazioni a livello di qualità del cibo. “Io ragiono su come scindere proteine, carboidrati e grassi in modo da preparare piatti estremamente salutistici e “Un menù capace di spettacolo ma per far capire al che esaltino il prodotto. Mai ceresaltare al massimo cliente come si possa gustarlo a cato esercizi di stile o stranezze” una temperatura ottimale senza spiega. In effetti, le proposte del le materie prime: ghiacciare la bocca, grazie alla suo menu molecolare – sempre e Ettore Bocchia cristallizzazione immediata del disponibile al Mistral, a 170 eucibo. Poteva bastare per la faro – sono perfette per gusto e fa del Mistral del ma, anche se Bocchia in realtà leggerezza quanto semplici alla Villa Serbelloni una non la insegue. Basti pensare vista. Ma ogni piatto nasce da che nei sei mesi in cui è libero una tecnica pazzesca. Qualche meta di eccellenza dall’impegno a Bellagio, gira il esempio? Gli gnocchi alla zucgastronomica” mondo per sedersi nei ristoranca non contengono patate, fariti e bere grandissime bottiglie, na e uova: in pratica è la zucca, la sua vera passione. “Ho una trattata con la leticina di soia, bella cantina (ndr, chi è entrato dice che a livello che diventa lo gnocco. Il rombo ‘assoluto’ è cotto personale è una delle più incredibili d’Italia), costinello zucchero che permette di ottenere la reazione tuita in buona parte da vendemmie prima degli anni di Maillard, senza l’uso di oli e grassi. Lo zabaione ’80, quelle che hanno dato i vini migliori. Quando che accompagna il vitello cotto a bassa temperaho voglia, senza pensare ad abbinamenti o eventi, tura è all’inulina, sostanza che sostituisce i grassi e ne apro una: ma l’ho creata soprattutto per i miei gli zuccheri. E ancora il gelato all’azoto liquido, prefigli, devono coltivare la memoria del vino”. Ora la parato al tavolo: non solo per fare un minimo di

Sopra: Fondente al gianduia amaretti olio d’oliva e sale grezzo; qui a lato: Fegato d’oca; nella pagina a fianco: l’executive chef Ettore Bocchia.

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nuova idea: Canone Inverso, ovvero la sequenza di piatti che tra qualche settimana sarà a disposizione di chi siede al Mistral. Eccola in modo completo: Biscotto al cioccolato fondente all’olio d’oliva, crema di caprino, pere fondenti, sedano candito, sorbetto raffreddato all’azoto liquido, olive disidratate; Scaloppa di fegato grasso fritta in olio d’oliva con fave novelle, germogli di pisello e spuma alle mandorle; Scampi fritti in olio d’oliva alla pizzaiola, patate ratte schiacciate all’olio d’oliva e buccia di limone, germogli d’origano; Cappelletti di pasta senza uovo, ripieni all’olio d’oliva in brodo ristretto di tonno, bottarga di Favignana e funghi enoki; due fette di Culatello. Per chi è non è sazio, ci sono poi i Bucatini (fatti a mano dal cuoco) all’amatriciana e una Bruschetta al tartufo nero. E chiude con il dessert vero e proprio: Fondente al gianduia, amaretti, olio d’oliva e sale grezzo. Perché Canone Inverso? “Solo per esaltare i miei prodotti, dimostrando che laddove c’è armonia tra questi ,si può cambiare l’ordine costituito” spiega Bocchia. Detto che esiste un legame con l’Up & Down del Combal.Zero - dove il menu parte con il piccione all’ortolana e si chiude con l’insalata ghiacciata alle ostriche – il risultato è positivo per gusto e leggerezza. Magari non c’è il piatto da wow, ma la sequenza finale (culatello da urlo, bucatini all’amatriciana, tartufo e dolce al gianduja) è da standing ovation, a conferma che Bocchia sa il fatto suo e ‘provoca’ in nome della sua ossessione per la materia prima e non per stupire. Lui è un cuoco puro come gli piace sottolineare (in effetti, lavora solo per il Grand Hotel di Bellagio), senza nessuna ricetta scritta (“Le tengo tutte a mente” dice) e con una meritevole passione per la divulgazione delle tecniche per realizzare al meglio le ricette della nostra tradizione “che va ottimizzata nel processo tecnico ma non cambiata assolutamente”. Se volete scoprire come – secondo lui – va fatto lo spaghetto al pomodoro più buono del mondo, potete vederlo su ifioridelmale.it Ristorante preferito?

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Protagonisti food A fianco: il Manzo secondo Ettore Bocchia; sotto: Bruschetta al tartufo e una Tartare di scampi.

o allevano il ‘suo’ pesce e i ‘suoi’ pavoni – che servono per il ripieno dei ravioli - con un’alimentazione studiata su misura da Bocchia che vuole ‘quel’ sapore dell’animale. “Non capisco proprio i colleghi che si fanno mandare tutto ma proprio tutto al locale e non si recano, con regolarità, a vedere da dove arriva e come viene preparato: è anche questione di etica verso il cliente” sottolinea l’executive chef del Mistral. Difficile, pur sapendo come ‘gira’, sostenere che sia un visionario.•

“Forse il Blue Hill di Dan Barber: uomo libero che mette in tavola tutto quanto produce, raccoglie o alleva a pochi metri dalla cucina. Semplicità a 500 dollari per gente che arriva da New York per sedersi in una ex-fattoria. Anche io sogno un posto così, con il ‘mio’ macello per avere la carne giusta al momento giusto”. I tour nei giorni o mesi di chiusura servono anche a stabilire nuovi rapporti con i fornitori o a rinsaldare i vecchi, quelli che fanno il ‘suo’ culatello

Lo stile della cucina rivive in sala Uno dei punti critici dell’alta ristorazione è che spesso il valore della cucina non viene doverosamente rappresentato in sala, ovvero nel servizio ai tavoli e nella gestione della clientela. Beh, al Mistral del GH Villa Serbelloni questo problema “non sussiste”. La sala è presidiata con attenzione ai dettagli e con quella “helicopter view” capace di osservare, valutare e risolvere ogni situazione: il personale di sala, guidato magistralmente da Carlo Pierato, restaurant manager, forma un gruppo responsabile, mai sopra le righe ma totalmente disponibile verso la clientela, internazionale e non. “ Questo è un lavoro da svolgere con la massima umiltà, sostiene Pierato, per soddisfare fino in fondo l’ospite, comunicandogli allo stesso tempo contenuti relativi ai piatti e ai vini, che vanno sempre proposti e serviti con discrezione e oggettività, senza strafare”. Il segreto di un professionista “completo” (che ha all’attivo esperienze in grandi stellati) è dunque quello di saper trasmettere emozioni, con trasparenza e aderenza totale alla realtà che, nel caso del Mistral, è di assoluta eccellenza.

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La qualità del gelato Sammontana da oggi in versione cremosa. Fresca, vellutata, sfiziosa: queste sono le caratteristiche di Nettare di Gelato. Un modo diverso per degustare un ottimo gelato che ha tutta la qualità Sammontana. Un’occasione in più per sollecitare i desideri dei vostri clienti. Disponibile in quattro gusti: Caffè Ecuador, Limone di Sicilia, Cacao e Yogurt. Semplice da preparare grazie all’esclusiva ed elegante sorbettiera.

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Format food

Chapeau, monsieur Leveillé Il bretone sempre meglio di Maurizio Bertera

Conosciuto come lo “chef del burro”, il bistellato del Miramonti l’altro difende l’alta qualità. Trent’anni di Italia, tutti passati - a parte qualche intermezzo, tra Montecarlo e la Bergamasca – in terra bresciana. E venticinque anni sotto il brand Miramonti, quello della famiglia Piscini: prima a Caino e poi nella sede attuale di Concesio, ai vertici delle guide specializzate. Una villetta che spicca in mezzo alle altre della cittadina: i gourmet italiani la cono-

rebbe perfetto, visto il physique du role, per un film di cappa e spada “Ah oui, sarebbe divertente: mi piacerebbe fare Porthos, non l’oste che cucina per i Moschettieri”. In una recente intervista al Corriere della Sera di Brescia ha fatto sorridere chi non sapeva come mai fosse finito dal mare all’acqua dolce, quasi senza capirlo. “Ero un giramondo, ho persino fatto il servizio civile, con Médecins sans Frontières, lontano dalla Francia – racconta - poi ho iniziato a lavorare: New York, Martinica, il Principato, Sudamerica… Nell’87, in una serata a Rio de Janeiro, ho incontrato degli amici di

scono bene, un tempio del gusto e dell’accoglienza - curato da Daniela Piscini, una delle ‘signore’ della ristorazione nazionale, nonché moglie di Philippe dal 2003 – che dall’ultima estate si è fatto ancora più chic. Sia lode all’oste-artigiano Vittorio Fusari se questo 54enne di Nantes, che parla la nostra lingua con l’imprescendibile ‘erre’ bretone, ha regalato e continua a regalare emozioni vere con i suoi piatti buoni, buonissimi. Tecnici e intensi. E poi, in mezzo a italici chef che sembrano modelli e giocano a fare i filosofi, fa piacere incontrare – davanti a una flute di Champagne, ca va sans dire – un cuoco che sa-

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Vittorio (ndr, Fusari) che parlavano con entusiasmo del Volto. Volevo tornare in Europa e mi sono detto: ‘L’Italia, perché no’’. Ma quando sono arrivato alla Stazione Centrale di Milano, in dicembre, ho pensato di aver fatto la cavolata più grande della mia vita. Per la cronaca erano quattro anni che giravo in bermuda bianchi e hawaiana, manco avevo un ve-


stito invernale…E quando ero sul trenino verso Iseo, bucando la nebbia, mi sembrava di essere finito in un film di Hitchcock. Pensai di ringraziare Vittorio e ripartire il giorno dopo: sono rimasto due anni alle Maschere. Imparando tanto e scoprendo un uomo così innamorato della sua terra da impostare la sua cucina e la vita su questo”. Da Fusari a una famiglia, quella Piscini. “Sono arrivato da loro nel ’92, dopo vari giri, ma non capì subito quanto fossero straordinari. A partire dai primi anni in cucina con la signora Mary, che mi passò gradualmente la mano. Poi sotto la tutela del figlio Mauro è iniziata una grande storia. A quasi 54 anni mi sento un uomo felice, circondato da una brigata molto giovane, con ben nove ragazze tra cui il sous-chef Arianna Gatti, 25 anni e grinta da vendere: il Miramonti l’Altro oggi esprime una cucina femminile. Ma resto ai fornelli perché in sala ho Daniela: è brava, mi dà la serenità ideale, in un lavoro complicato per le coppie, come è la ristorazione”. In effetti, le tour de main si avverte eccome: Philippe ha siste“Cerco di dare mato i signature dish (pardon, les plats historiques) ai clienti del mio in uno dei menu, sempre riristorante una chiestissimo. “Non toglierò possibilità in più, per mai dalla carta il Risotto e formaggio dolgodere fino in fondo aice funghi di montagna che faceva Mary al Miramonti di Caino l’esperienza del – spiega, sorridendo - uso la gusto” stessa ricetta e per farlo lo scorso anno ho consumato 950 kg di riso...”. Ma gli stimoli under 30 sono stati importanti per i nuovi piatti, vedi le entrées: Tartare di gamberi, bufala e gazpacho (la nota #volevoessereunpomodoro!!); Cubismo di lingua; Astice in rosa (barbabietola e croccante di crostacei). Poi i primi come Il mare sottocoperta (lasagnetta di mare), gli Spaghetti di pasta all’uovo con tè nero affumicato e aglio fermentato i Bottoni di piselli e aglio dolce con zenzero e lemongrass che sono il ritorno dal viaggio perenne di Leveillé tra Brescia e Hong Kong dove c’è il locale gemello. E poi c’è al tecnicità nei secondi: Capesante, patate e zabaione (Paint is black, bellissimo come cromia); Un piccione in tre con funghi e chorizo: il Crescendo di agnello; le Triglie di scoglio . Reso omaggio, volendo, al monumentale carrello di formaggi, si può passare ai dolci – altrettanto buoni - oppure riscoprirsi bambini con lo storico gelato alla crema, uno dei più famosi della ristorazione italica. E’ questo mix di tradizione e innovazione, di certezza e di sfida che si ama di Philippe, da sempre etichettato come lo chef del burro quasi fosse un delitto. “Mais non, io

Nella pagina a fianco: Variazione di anatra al pepe di Sichuan, miele e aceto balsamico tradizionale; due scatti dell’interno del Miramonti L’altro; in questa pagina: lo chef Philippe Leveillé.

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Format food

difendo il cibo di qualità, che sia burro o olio poco importa. Con la qualità risolviamo un sacco di cose, forse anche molte malattie. Oggi sono tutti light, c’è questo trend del vegetarianesimo. Ma quanti sanno come si rende un prodotto ‘leggero’? Preferisco mangiare un burro sano, buono dove si sente l’erba, anziché quello light. Ne mangerò di meno, piuttosto”. Di sicuro, al Miramonti l’Altro non si seguono le mode, i piatti non sono minimalisti né essenziali. “Molti colleghi tolgono, io invece aggiungo cose ottime, senza prevenzioni. Per me, la succulenza sarà il futuro della cucina: chi viene qui si lascia coccolare. Voglio farlo godere, renderlo felice, rilassarlo. Per me, il ristorante dovrebbe essere come una te-

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Sopra in senso orario: Riccio di mare, uovo alla coque e lemongrass; la suggestiva vista dalla sala del Miramonti L’altro; “#Volevoessereunpomodoro” ovvero un «finto pomodoro» a base di gelatina di acqua di pomodoro, riempito con una tartare di gamberi di Mazara del Vallo e un’emulsione di mozzarella di bufala, servito con sorbetto al basilico; infine lo chef concentrato durante un’impiattamento.

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rapia e noi cuochi dovremmo essere i dottori”. Per chiudere, una curiosità: le capita mai di dire ‘ah les Italiens…’, la storica battuta dei suoi connazionali? “Assolutamente, dico semmai in italiano ‘ahi, questi francesi…’. Se c’è una cosa che mi ha inorgoglito recentemente è l’essere stato scelto dall’Ente Nazionale Risi per spiegare il risotto presso la scuola di Bocuse, il mito assoluto. Ora in cucina l’Italia non è più dietro la Francia. L’Italia è come la Francia: ve lo devo dire io che sono bretone?” •

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Protagonisti food

Thai Gallery Thailandia in città di Gualtiero Spotti

Chef Suchat Suajamsin abbandona gli eccessi speziati, privilegiando i contrasti. Ci si accomoda all’orientale, ma si utilizzano posate. Ottima la carta dei vini. L’ondata di ristoranti etnici, soprattutto provenienti da Paesi del sud-est asiatico, sembra quasi inarrestabile. Tra cinesi e giapponesi ora però, a Milano, spuntano anche “altre” cucine, quelle vietnamite o thai, che mettono in tavola nuove sensazioni e diversificano ulteriormente l’offerta. Spesso con proposte davvero avvincenti e originali, sia nella forma che nella sostanza. Un caso classico è quello del Thai Gallery che si trova in un angolo della Piazza Alvar Aalto, nella zona ancora in crescita di Porta

Nuova, e che fa parte di quella nutrita schiera di locali aperti Funziona bene in zona Expo. Per la precisiola formula della ne verso la fine della grande esposizione milanese, nell’aucondivisione, con i tunno del 2015, sfruttando piatti posizionati al l’onda lunga che ha permesso al capoluogo lombardo di avcentro del tavolo. Ma vicinarsi agli standard moderni si possono scegliere delle principali città europee. Il nome del ristorante racchiude singole preparazioni. alcune delle peculiarità che lo contraddistinguono. Oltre al rigore di una cucina di impronta da piscine zen, da un buddha thailandese, c’è anche l’idea di gigantesco, da comodi cuscini una piccola galleria di opere d’arte del proprietario colorati e da ricordi asiatici sparsi qua e là, ci si ac(cinese) del locale, che nella sala principale ha raccomoda a livello del pavimento, alla maniera oriencolto alcune dei quadri da lui stesso dipinti. Poi c’è tale. Niente chopsticks però, ma posate classiche la curiosa liturgia di accesso ai tavoli, che prevede e un servizio ordinato da parte di solerti camerieri di privarsi delle scarpe (ma verranno riconsegnate che presentano ai clienti un modernissimo tablet al momento di lasciare il ristorante…) per indossare sul quale scegliere i piatti da ordinare. Qui al Thai delle comode calze usa e getta. Infine, circondati Gallery funziona bene la formula della condivisione,

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Nella pagina a fianco: Crocchette dorate di gamberi servite con deliziosa salsa agrodolce; sotto: la sala interna del ristorante con i divanetti, la vista dall’esterno; e il bancone; in questa pagina: Insalata di papaya verde con fagiolini, pomodorini e granella di arachidi; Zuppa agrodolce di gamberi con citronella e funghi di paglia.

con i piatti posizionati al centro del tavolo e l’assaggio da parte di tutti i presenti, anche se non manca la possibilità di scegliere una singola preparazione. A guidare la brigata di cucina è il criptico Suchat Suajamsin, cuoco silenzioso (forse anche perché mastica poco sia l’inglese che l’italiano) e proveniente da Bangkok, dove ha lavorato presso lo Shangri-La. Nella lunga lista di piatti l’approccio è un po’ quello all’occidentale, dove in buona parte si lasciano per strada gli eccessi speziati che potrebbero non essere esattamente nelle corde della clientela milanese, e si preferisce invece esaltare l’incrocio di dolce, amaro e piccante. Certo, non mancano piatti più decisi e vicini alla cucina thai più autentica ma è il cliente a decidere se si può osare o no con le spezie. Non è quindi un caso che insieme

a curiosi e appassionati meneghini, nella sala principale ai tavoli si presentino clienti internazionali o asiatici in cerca di buone sensazioni. Ma vediamo cosa offre la cucina. Il classico irrinunciabile è ovviamente il Pad Thai, i vermicelli di riso tradizionali, saltati con frutti di mare, uova e scalogno, che vengono preparati anche in versione carnivora, con il pollo. Poi le varianti sono d’obbligo, così arrivano i Vermicelli saltati con gamberetti, scalogno e citronella, oppure le tre diverse versioni di riso: con l’ananas e i frutti di mare (servito dentro l’ananas stesso), con anatra arrosto, ananas, pomodori e scalogno, e saltato con pollo e basilico Thai. La scelta si amplia decisamente quando si passa ai secondi, dove è facile pescare in diverse varianti dei

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Protagonisti food A sinistra: la sala ristorante del Thai Gallery, Tapioca con crema di cocco avvolta in foglie di pandan, infine, un’altra sala dai colori vivaci dove accomodarsi.

gamberi (saltati con aglio e pepe, al forno con uova, cipolla e curry giallo, cotti nel wok con lime, galanga e peperoncino, oppure bagnati nel curry rosso con gocce di latte di cocco), fare un salto nei sapori del Mekong con il Filetto di branzino dorato condito con aglio, pepe e una salsa di peperoncino thai; e ancora deliziarsi con il mezzo pollo alla griglia con glassa al miele. Una piccola lista a parte permette di dar sfogo alle esigenze degli amanti del curry (da provare la Crema al curry giallo con crema di cocco, citronella e patate), mentre con i dolci si entra in clima totalmente esotico, con l’ottimo Mango su un letto di riso dolce con latte di cocco, la torta artigianale alla banana, la Tapioca avvolta in foglie di Pandan e la Crema thai di zucca, molto simile alla panna cotta. Da rimarcare poi, cosa non banale, l’ottima carta dei vini, con scelte decisamente interessanti e poco comuni alla tipologia di ristoranti orientali. Al Thai Gallery si beve decisamente bene, tra champagne di marca, eleganti riesling e una scelta piuttosto varia che tocca molta Francia e Italia. Chi però non vuole sentirsi eccessivamente avvolto dagli orientalismi, ha come alternativa quella di accomodarsi a uno dei tavoli della sala che caratterizza l’ingresso al ristorante (una quarantina di coperti in tutto), in una stanza più sobria e urban come ambiente, con vista sul banco bar che mette in fila anche una serie di gustosi aperitivi e cocktail. L’ulteriore alternativa è, nella bella stagione, quella di accomodarsi all’esterno in uno dei tavoli che occupano un angolo della piazza. Ma forse verrebbe meno l’esperienza quasi totalizzante di sentirsi trasportati verso altre culture e cucine, accolti con gesti misurati e avvolti da sapori forse ancora da scoprire nella loro pienezza. •

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Protagonisti food

Chef Giovannini storia di una amicizia culinaria di Emanuela Stifano

Classe 1974, Franck Giovannini ha recentemente preso la direzione delle cucine del Restaurant dell’Hôtel de Ville di Crissier, Svizzera. L’incontro con Chef Violier segna il suo percorso, non solo professionale. Una bella storia di amicizia e di affiatamento professionale che vale la pena raccontare. Teatro di questo racconto è il ristorante Crissier, dell’Hotel de la Ville, in Svizzera. Qui, da pochissimo, chef Franck Giovannini ha preso il posto di chef Benoît Violier. Quella di Giovannini non è però una première in queste cucine: qui, affiancando Violier, Giovannini si trova a è già stato chef di cucina. Giovannini si trova ora a dirigere dirigere una équipe una équipe di più di venti peraltamente qualificata, sone, altamente qualificate, che naturalmente conosce perfettache conosce mente: dopo aver condiviso con perfettamente: ha Benoît Violier 20 anni di amicizia e di lavoro, ora tocca a lui condiviso con Violier progettare la carta del ristoran20 anni di amicizia e te seguendo, come da tradizione, il ritmo delle stagioni e dandi lavoro do continuità al lavoro svolto da chi, al Crissier, lo ha preceduto: Frédy Girardet, Philippe Rochat e, appunto, Benoît Violier. Orgoglioso e volenteroso di dare il suo meglio, Giovannini ha così commentato: “Lavorerò nel rispetto dell’eredità che mi hanno lasciato i miei predecessori. Le mie priorità sono il rispetto del cliente, dei produttori e dei loro

In questa pagina: lo chef Franck Giovannini all’interno della sua cucina; nella pagina a fianco: alcuni piatti dello chef del ristorante Crissier.

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prodotti e, naturalmente, il rispetto dell’équipe che lavora con me, équipe che stimo enormemente e che conosco molto bene”. Commentando la nuova nomina, Giovannini non ha esitato a lasciarsi andare ai ricordi, rivivendo quello che è stato un grande sodalizio professionale, nonché un’amicizia che nulla potrà cancellare: “In venti anni di complicità e di amicizia con Benoît, abbiamo avuto momenti meravigliosi, fatti di grande felicità, di piccoli rituali quoti-

diani e, soprattutto, di esperienze culinarie uniche e straordinarie. Mi preparo a condividere con Brigitte Violier e l’équipe del Restaurant dell’Hôtel de Ville, momenti di gioia della stessa intensità”. In effetti, quella di chef Giovannini è una carriera segnata indelebilmente dall’incontro con chef Benoît Violier e dal ristorante Crissier. Il giovane Franck, incoraggiato da suo padre a perseguire la sua vocazione, comincia il suo apprendimento seguendo Claude Joseph nel cantone de Vaud à l’Auberge de la Couronne. Nel 1993, giovanissimo, va in Canada e poi a New York, nella cucina di Gray Kunz, al fianco del quale occupa il posto di chef de partie al Restaurant Lepinasse dell’Hôtel St. Regis. Gray Kunz gli trasmette quello che Giovannini ama definire il «virus de Crissier». Kunz aveva infatti trascorso cinque anni sotto la direzione di Frédy Girardet e il ristorante svizzero gli era rimasto sempre nel cuore. Così, al suo rientro da New York, nel 1995, Giovannini inizia il suo servizio come chef de partie al Crissier, sotto la direzione di Frédy Girardet. Il Ristorante dell’Hôtel de Ville sarà, di fatto, il luogo della sua carriera. Un anno dopo, nel ‘96 conosce Benoît Violier: ha così inizio quella che diventerà una amicizia profonda, segnata da momenti importanti. Negli anni a seguire – siamo tra il

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1999 e il 2000 - Giovannini completa la sua formazione internazionale negli Stati Uniti come souschef de cuisine al Stonehedge Inn Restaurant, nel Massachussetts. Forte di questa importante esperienza, torna al Crissier nel 2000 per rendere visita al suo amico Benoît Violier. In quell’occasione, Violier lo convince a diventare sous-chef de cuisine nel ristorante svizzero. “Se Benoît non avesse insistito per avermi con sé, credo che sarei ripartito nuovamente per gli Stati Uniti”, ha confessato Franck Giovannini, per sottolineare il profondo legame che unisce i due grandi chef. La complicità e la sintonia in cucina tra i due chef negli anni diventa leggendaria, tanto da determinare riconoscimenti a livello nazionale e internazionale. Giovannini lo si può definire uno chef inventivo, meticoloso e generoso, che ama trasmettere il suo sapere, soprattutto ai giovani. È’ sposato e ha due figli: il tempo libero lo dedica alla sua famiglia e alla montagna, sua grande passione. E’ inoltre un appassionato di concorsi culinari, passione che condivide con la sua squadra. Ha vinto due volte la selezione svizzera Bocuse d’Or: nel 2007 si è aggiudicato il terzo posto, nel 2011 ha vinto la finale di Lione. Non solo: nel 2009 ha vinto il concorso internazionale “Disciples d’Escoffier”; oggi è anche presidente dell’Accademia svizzera Bocuse d’Or. •


Format food

San Pietro a Milano Il Gavi entra in città di Alessandro Luongo

Locale versatile e multifunzione, creato dall’imprenditore milanese Corrado Alota. Corso Buenos Aires 6, Milano. In pieno centro città, ma sembra di stare in un’altra capitale europea. E’ la prima sensazione che si prova entrando al San Pietro Milano, concept store inaugurato (in sordina) nell’autunno 2015, dove è possibile fare colazione o merenda, pranzare, gustare dolci e torte fatte in casa, apprezzare cocktail originali, cenare, e comprare abbigliamento. E il prossimo anno anche soggiornare in una delle sei suite con affaccio e vista sulla Madonnina. Una sensazione che si consolida una volta seduti all’interno. Mancava un locale di respiro internazionale come questo, che all’entrata ha un bel bancone e un salone riservato al bistrot al centro, corredato da capi multibrand ai lati dello spazio enorme. “Un concept

che non è finto o imposto ma realizzato in maniera armonica” spiega il suo ideatore, Corrado Alota, imprenditore milanese che, in cerca di un “buen retiro” nel 2002, scoprì e s’innamorò delle dolci colline del Gavi e acquistò la storica Tenuta San Pietro nel Comune di Tassarolo, fra Piemonte e Liguria. Proprietà di 65 ettari globali, di cui 35 vitati (presto diventeranno 45), soprattutto a Cortese di Gavi e una piccola parte a vitigni di uve a bacca nera autoctone (Albarossa, Barbera, Nibiö). Da allora s’ispirò all’agricoltura biologica- biodinamica. E i suoi vini sono così certificati dal 2013. “Il San Pietro Milano nasce

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pertanto come idea per far conoscere i miei vini a Milano- riprende il fondatore, che viene dal settore dell’abbigliamento- è dunque una vera e propria “vetrina” dell’azienda, che porta in sé qui una contaminazione della sezione dedicata alle firme multimarca”. Un concept già diffuso in altre metropoli, ma del tutto unico con questa formula e spirito nel capoluogo lombardo, in una posizione esclusiva: la via dello shopping. I lavori di ristrutturazione in questo stabile che occupa 1.500 metri su quattro livelli sono partiti nel 2014. Al piano sotterraneo c’era il vecchio caveau


La polifunzionalità del Gavi che va dal bistrot con l’ampia sala situata al piano terra; il piano inferiore dedicato all’enoteca; infine il piano superiore, con uno spazio riservato al solo acquisto di moda multibrand.

della banca, un tempo ospitato, la cui vecchia cassaforte è stata conservata (rimodernata) in una delle tre sale esclusive dell’enoteca. L’arredo è una sorta di post industriale. Gli alti soffitti ricordano quelli dei loft e abbonda il ferro, vetro, e il caldo legno di Castagno nostrano pulciato; qua e là anche pezzi di antiquariato che contribuiscono a rendere l’atmosfera accogliente. Due dehor: uno sul corso, con 20 tavoli; l’altro sulla via pedonale interna Spallanzani, 50 tavoli e una terrazza che li sovrasta, e che in futuro potrebbe essere ampliata di volumetria. In mezzo il bistrot. In tutto 200 posti a sedere. Una piccola cu-

Sergio Mei al Four Seasons di Milano, che sarà lo chef executive del nuovo ristorante gourmand in uno degli spazi spettacolari del locale in via di definizione. Andrea ha le idee molto chiare: “amo la cucina mediterranea basata sugli agrumi e le spezie, ho tanta voglia di mettermi in gioco e fare bene”. E i suoi contrasti ci deliziano il palato. Come, ad esempio, l’ardita insalata di gamberi, melone, pomodoro, maggiorana e vinai“Una vetrina per i grette di lampone; proseguendo con la tartare di tonno fresco, vini della Tenuta, crema di avocado e guanciale ma anche uno croccante, per finire con l’ombrina all’acqua pazza con carciofini spazio dal respiro (di giornata). Si parte insomma internazionale” dalla cucina del territorio del Gavi ma si allarga il giro a tutte le regioni d’Italia. Il motto è: “Oggi del mercato”. Vale a dire, piatti del giorno e di stagione. Non meno originale è la fascia serale dell’aperitivo dalle 18 alle 22 affidata al mixologist Eddy Ramonez (come sottofondo musica rilassante, in prevalenza jazz). L’esperto gioca sui vini della casa (in particolare: i due Gavi, San Pietro e Mandorlo; poi il Nero, il Bellavita, e i due brut San Pietro e San Pietro Rosè). Ci mostra un fogliettino ripiegato ed estratto dalla sua tasca, dove ha scritto l’ultima ricetta a base di Bellavita (rosso), Aperol, Top soda/gazzosa, e un cucchiaino di zucca. I drink saranno accompagnati da piattini sfiziosi, che si pagano a parte. Altro fiore all’occhiello del San Pietro- che al primo piano ha tutto uno spazio riservato al solo acquisto di moda multibrand- è l’enoteca, al piano inferiore. cina a vista si affaccia sulla sala. Tre le sale, ognuna con il suo ingresso indipendente. S’inizia alle sette, si chiude dopo le 23.30. Dalle 12 Accademy, per 10-12 persone, per riunioni o cene in poi si trovano sempre pizze, focacce e altre prelibaimportanti; quella centrale, Caveau, con un tavolo tezze. Dalla stessa ora alle 23.30 si pranza e si cena. adibito a 15-20 persone sempre a uso esclusivo; e, Per intenderci: se si arriva qua affamati alle 16 si infine, la Wine Bank, con la vecchia cassaforte maspuò ordinare una focaccia con un buon Gavi Docg o siccia riverniciata, dove saranno organizzate deguscegliere fra una delle 920 etichette presenti in lista. stazioni di vini, corsi di cucina e laboratori, e che ha Oppure degustare gli agnolotti di Gavi con crema di una cucina a vista collegata. “In questi spazi saranparmigiano e Pecorino con ragù di verdure. In cucino studiati menù a scelta, sartoriali” accenna Gurzi. na una giovane brigata è guidata da Andrea Gurzi, Novità in vista? “C’è l’idea di partire dalla scelta dei 27 anni, nativo di Reggio Calabria, di formazione vini per abbinare il piatto giusto” conclude il giovaalberghiera e soprattutto discepolo per otto anni di ne esperto.•

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Format food

La Madia di Brione Coerenza del gusto di Elio Ghisalberti

Capiranno perché Michele Valotti riesce a catalizzare l’attenzione della clientela. Cuoco integralista, propone una cucina che, per dirla con le sue parole, “inNella trattoria lombarda terpreta la territorialità bresciana senza fermarsi alla prevale il principio della esclusiva tipicità delle ricette”. Integralista, lo abbiamo definito, per sottolineare quanto serio e coerente ragionevolezza: nella materia sia il suo modo di pensare e di agire, come cuoco prima, nel servizio, nei prezzi. e ristoratore ma ancor prima come persona. Scelta una linea non l’ha cavalcata allegramente come tanti Ai ristoratori che si lamentano dell’ubicazione, giuhanno fatto ma l’ha applicata fino in fondo, senza stificando così l’esiguità dei coperti serviti, bisocompromessi, dedicandosi personalmente alla selegnerebbe rivolgere una semplice domanda: vi siezione dei prodotti e delle materie prime andando a te mai chiesti per quale motivo conoscere uno ad uno gli artigiauna persona dovrebbe scegliere ni, i contadini e gli allevatori. Da di investire tempo e denaro per autodidatta Michele Valotti li tra“La schiettezza e la raggiungervi? Ed in caso di riduce in piatti che qua e là potrannaturalezza dei piatti no risultare un poco ridondanti e sposta poco convincente gli si potrebbe consigliare di fare una magari stilisticamente imperfetti, di questo locale nel capatina in quelle insegne che, ma che colpiscono ed intrigano Bresciano ricordano per gusto, sostanza, schiettezza, nonostante siano posizionate in luoghi altrettanto complicati da (e per non farsi manche qualità e quantità naturalezza raggiungere, lavorano invece a care niente anche per generosità vanno spesso pieno ritmo. Provino per esemnelle porzioni. Meriterebbero di pio a percorrere le non poche essere segnalati tutti da un med’accordo” curve che da Iseo o da Gussanu che fornisce perfino il numego portano fino ai 650 metri di ro di telefono del fornitore delle Brione (balconata naturale sula materie prime. Qualche esempio Franciacorta) per godere della tavola de La Madia tra quanto assaggiato pochi giorni fa: la giardiniera (www.trattorialamadia.it) dopo essersi messi in fila è fatta con le verdure bio della Fattoria Paradello di per la prenotazione, praticamente indispensabile. Rodengo Saiano e di Armonia Verde di Desenzano;

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Qui sopra: lo chef Michele Valotti; in basso: una delle scritte che campeggiano all’interno della trattoria; e la terrazza che si affaccia sulle colline bresciane.

la zuppa del raccoglitore con le erbe spontanee selvatiche e del Borghetto di Bedizzole; la pecora arsa servita in tagliata (super) è quella allevata libera da Massimo Balduzzi a Clusone; la barbina affumicata e cotta nel fieno(doppiamente super) proviene da Toscolano Maderno. E così via, con l’aggiunta di selezioni di salumi e formaggi davvero super da ammirare nelle vetrine-frigo che arredano l’originale sala che in ogni angolo rivela e svela passioni e curiosità. Prezzi da encomio: menu degustazione di campagna o di monte a 29 euro vini esclusi da scegliersi da un selezione anch’essa molto originale. Un plauso anche alla preparazione del personale di sala. •


Focus food

Con il Grass Fed vince il territorio di Sebastiano Graziani

Le carni inglesi, bovine ed ovine, si impongono all’attenzione per la loro indiscussa qualità. Quella inglese è una secolare tradizione di allevamento di carne bovina ed ovina che si tramanda da padre in figlio e che, con il passare del tempo, ha giovato dello sviluppo industriale che ha segnato la storia del Paese. È tra le morbide e verdi colline della regione del West Country, il cuore “storico” dell’Inghilterra mi sentirei di scrivere, che ben si esemplifica il perpetuarsi di questa tradizione. Posta all’estremo sudovest dell’Inghilterra e composta da 6 contee, Cornovaglia, Devon, Dorset, Gloucestershire, Somerset e Wiltshire, la West Country è la regione geografica più grande e più agricola del Paese. Quindi è un cuore ancora pulsante che, forte di un

come avviene da secoli. Il grass fed non ha solo un impatto sul peculiare paesaggio della West Country, ma è anche determinante nel rendere il West Country Beef e il West Country Lamb delle carni dalla caratteristica tenerezza e dal sapore pieno e ricco. Sono questi gli aspetti che hanno fatto conoscere e apprezzare le carni inglese nel mondo, non sono in Italia. Un metodo di allevamento così legato alla tradizione si confronta con un impianto tecnologico di conambiente naturale tra i più ricchi dell’intero Regno trollo della filiera all’avanguardia, a garanzia dello Unito, mantiene un saldo legame con il settore pristile di vita e dell’alimentazione dei capi e, di conmario. Una connotazione che è ancora più evidenseguenza, delle qualità organote se si guarda l’allevamento: le lettiche che contraddistinguono aziende agricole che si trovano “Il West Country il prodotto finale. in quest’area producono circa il Connubio che ha fatto guada24% della carne bovina e circa Beef e il West gnare al West Country Beef e il 21% della carne ovina di tutta Country Lamb West Country Lamb l’indicaziol’Inghilterra. ne geografica protetta (IGP), cerÈ un’attività intimamente consono le prime carni tificata solo a condizione che gli nessa al territorio che ha contriinglesi ad ottenere animali allevati nelle 6 contee buito a mantenere vivo e inalteWest Country siano “grass rato il paesaggio e il patrimonio dall’Unione Europea della fed”. naturale della zona. Gli straoril marchio IGP” “Si tratta di un importante tradinari scorci che quest’angolo guardo per due prodotti sempre d’Inghilterra offre sono anche più apprezzati dal mercato; un l’istantanea di un sistema promercato nel quale rappresentano due realtà sempre duttivo ben integrato con l’area di appartenenza, il più riconoscibili nel gusto, nelle caratteristiche e per “grass fed”, ovvero “alimentati con erba”. una crescente competitività di prezzo”, ha sottolineGli animali, sia gli ovini che i bovini, sono allevati ato Jeff Martin, rappresentante per l’Italia dell’ente al pascolo in modo naturale da aprile a novembre, AHDB Beef&Lamb, durante un recente evento. • cibandosi spontaneamente di erba autoctona, così

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Focus food

Mantegazza, carrello chiavi in mano di Valentina Santambrogio

La storica azienda di Lozza propone un assortimento completo di formaggi, che annovera prodotti italiani e stranieri. A essi si affianca una nuova selezione di salumi. Niente può essere lasciato al caso se il ristoratore vuol proporre nel suo menu un assortimento di formaggi di prim’ordine, specialmente se caratterizzato da una scelta particolare e mirata, che va dal prodotto regionale italiano o straniero, alla ricercata tipologia degli ingredienti, al gusto forte oppure morbido richiesto a seconda del momento e del menu. Per tale motivo, Dante Mantegazza, alla guida col fratello Alberto della “Mantegazza Formaggi Spa”, azienda storica con sede a Lozza nel Varesotto e una rete commerciale in grado di soddisfare ogni mercato all’ingrosso in Italia e non solo, ha creato nel mondo della ristorazione un canale privilegiato che, appunto “su commissione”, veicola gli assortimenti più prelibati e innovativi già pronti e dosati per l’offerta in sala. Il tutto mirato a una clientela selezionata, che apprezza il formaggio come piatto forte, se non addirittura principale, di un pranzo o di una cena. Dall’ampia oasi gastronomica di Lozza una équipe di agenti da sempre permette al prodotto di raggiungere ogni punto vendita d’Italia, ma le richieste arrivano anche dall’Europa e dall’America: i clienti serviti attualmente sono oltre un migliaio. Tra loro anche una serie di ristoranti cui il “carrello chiavi in mano” viene offerto direttamente a seconda dei gusti richiesti, che puntano anzitutto sui formaggi italiani dop, dai freschissimi agli sta-

portunità che vengono offerte dal mutamento dei gionati, controllati a ogni loro arrivo per garantirne gusti e anche delle abitudini del pubblico”. Su quela qualità, la freschezza, la giusta stagionatura. Ma sta linea non c’è solo il “carrello su misura”, magari non ci sono solo referenze italiane: l’offerta annoveaccompagnato da una scelta ra formaggi svizzeri dall’ Emmentaler al gruyère, e poi i francesi, particolare di bevande in abbitedeschi, olandesi, spagnoli, belnamento, ma anche per esem“Dante Mantegazza gi, inglesi. Ma volendo, il “carrelpio l’apertura nei confronti dello” spazia anche sui salumi, un lo “street-food”, che potrebbe offre ai ristoratori settore commerciale sviluppato presto caratterizzarsi in divercarrelli “su di recente dalla grande e storica se città con chioschi di nuova azienda di Lozza. Italiani anche concezione - magari anche in commissione”, già occasione di particolari eventi qui come il lardo di colonnata, le pronti e dosati per - dove l’offerta dei formaggi (e bresaole, i prosciutti crudi e cotti, anche deisalumi) della “Mane poi salami, pancette, porchetl’offerta in sala.” tegazza” potrebbe conquistarsi ta, coppe, culatello, ma anche il gusto di un nuovo pubblico. spagnoli e francesi, per arrivare Fermi restando i canali più traai salmoni scozzesi, norvegesi e dizionali della commercializzacanadesi. La solida tradizionale zione, visto che l’occhio alla tradizione sviluppatasi commerciale della “Mantegazza” non impedisce incon tanto successo nei decenni, evoluzione della latsomma di imboccare anche percorsi ad alto conteteria di Caidate di Sumirago negli anni Trenta, resta nuto innovativo. “Intendiamo continuare a essere al il punto di riferimento irrinunciabile. Il vero marchio servizio del mercato mantenendo il massimo livello di un’azienda certamente antica, ma con le radici qualitativo possibile - ricordano nei grandi capanpiantate anche saldamente nel futuro.• noni di Lozza - senza rinunciare però alle nuove op-

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Accueil

Relais Alberti relax in Laguna

di Gualtiero Spotti

Palazzo dalla storia antica e di grande fascino, rivive i fasti del passato grazie alla capacità imprenditoriale di Micaela Salmasi e Michela Cafarchia, locandiere dei giorni nostri.

Giorgio Trovato, cuoco quarantaquattrenne di origini calabresi che vanta varie esperienze in giro per l’Europa, svolge il ruolo di consulente e food stylist.

Il Lido di Venezia vive in una specie di limbo surreale, tra eventi mondani che occupano le date del Festival del Cinema, la routine quotidiana di un sottile e lungo lembo di terra un po’ scomodo soprattutto per chi vuole visitare i dintorni della Serenissima, le frequentazioni dell’ospite esigente che cerca la tranquillità in laguna e, infine, il gruppo dei vacanzieri estivi fermamente decisi nel raggiungere le spiagge fronte mare. Insomma, il Lido e i paesi che lo animano raccolgo-

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no diverse realtà, ma, cosa ancor più importante, l’area negli ultimi tempi si sta un po’ rivitalizzando dopo qualche stagione di stanca. Merito, ad esempio della riapertura (con una gestione nuova) del Relais Alberti a Malamocco, da qualche settimana nelle mani di due imprenditrici locali dedite all’hotellerie e alla ricettività turistica, Micaela Salmasi e Michela Cafarchia, che rivestono a tutti gli effetti il ruolo di locandiere, come vuole la tradizione delle signore lagunari. Palazzo dalla storia antica e di


Nella pagina a fianco: una delle eleganti sale della residenza Relais Alberti; In questa pagina: vista su Malamocco, la piccola località del comune di Venezia, situata nella parte meridionale dell’isola del Lido dove sorge il Relais Alberti; sotto: le due imprenditrici nonché locandiere Micaela Salmasi e Michela Cafarchia.

grande fascino, Relais Alberti, come dice il nome, si lega alle vicende della ricca famiglia Alberti che ancora oggi viene ricordata negli Stati Uniti il 2 giugno, nella celebrazione di Pietro Alberti, il primo italiano trasferitosi nei territori del Nord America nel lontano 1635. Nella cittadina di Malamocco invece, borgo veneziano celebrato per le scorribande di Hugo Pratt (che bazzicava le osterie locali), ma anche per la sua bellezza immutata nel tempo, si rinnova così l’ospitalità di un relais emozionale, dove si è accolti come a casa propria, in due diverse strutture, Ca’ Alberti e Ca’ del Borgo. In tutto si tratta di una ventina di camere arredate in stile nobile e con un’atmosfera molto romantica. Ma non è tutto, le due locandiere appena insediate si sono subito date da fare per rendere ancora più accogliente e varia la proposta per gli ospiti. Così è iniziata la collaborazione con Giorgio Trovato, cuoco quarantaquattrenne di origini calabresi e con varie esperienze in giro per l’Europa, che oggi svolge il ruolo di consulente e food stylist (tra le sue ricerche alimentari anche quella dell’utilizzo della canapa in cucina) e che ha realizzato su misura per Relais Alberti la linea per gli aperitivi, il

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Accueil A sinistra: un altro elegante ambiente; sotto: una delle camere della residenza dove spiccano tessuti preziosi che adornano mobili antichi dal design caldo, familiare, elegante e avvolgente, tipico delle case d’epoca veneziane; infine: una delle proposte della linea food disegnate dal Chef Giorgio Trovato per Relais Alberti.

dare una mano alla cuoca, la madre Adriana Filippello, ed occuparsi in prima persona di un locale in netta crescita e con scelte enologiche, come è facile intuire, di grande classe e mai banali. In più con il ruolo di ambasciatore dello champagne Monmarthe a Venezia. Anche chi vuole vivere lo sport ci sono diverse possibilità, come quella di calcare il green

lunch e la cena. Da ricordare, tra i piatti che contraddistinguono la sua filosofia in cucina, l’Acqua di Mare (una zuppettina con vongole e asparagi di mare), la Crema di ceci al rosmarino e baccalà mantecato di Tagliapietra e Figli con trasparenze alla canapa, e il Gazpacho e quenelle di caprino in crosta di decorticato di canapa. In più si aggiungono le molteplici proposte per gli ospiti da vivere in diversi

momenti della giornata. Come l’incontro con Francesca Luise, giovane veneziana e artigiana del cibo, con la quale condividere la situazione informale di una cooking class dove si utilizzano le erbe spontanee, le verdure dimenticate o i grani autoctoni; per una cucina salutare perfetta per vegani e vegetariani. Non è un caso che l’altro momento più curioso

risulti essere la simpatica trasferta dagli alberghi per raggiungere i vicini orti di Malamocco e, magari, fare una spesa a chilometro zero prima di rientrare nel borgo. Queste sono tutte scelte in linea con il nuovo progetto Green Lido, che promuove un turismo sostenibile e la valorizzazione delle bellezze locali, per andare alla scoperta di una Venezia diversa. Così a dare una mano c’è anche il trentunenne Ottavio Licitra Venditto, brillante sommelier campione d’Italia Ais nel 2014, con alle spalle esperienze di rilievo al Dopolavoro di Perbellini e da Azurmendi a Bilbao, prima di tornare a casa sua, nel ristorante La Tavernetta al Lido di Venezia per

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del Golf Club di Punta Alberoni, uno dei percorsi più belli d’Italia e luogo dagli inaspettati contorni storici, visto che proprio qui avvenne uno dei primi incontri tra Hitler e Mussolini all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Il Lido svela così alcuni dei suoi luoghi meno conosciuti, ma dal fascino immutato. Lo si percepisce camminando per le strade poco affollate di Malamocco in un giorno qualunque della settimana, con i gatti che sonnecchiano in un angolo della piazza, i panni stesi ad asciugare, i rituali dei pochi abitanti che custodiscono gelosamente un piccolo mondo antico. Lo stesso che si ritrova, con un tocco di aristocrazia, nelle stanze del Relais Alberti, coccolati dalla coppia di simpatiche ed affabili locandiere. Che già dai primi mesi dall’apertura hanno saputo imbastire una serie di incontri culturali, di serate musicali e di momenti salottieri aperti anche agli abitanti del borgo. •



Accueil

Villa Cordevigo, lusso gardesano di Emanuela Stìfano

In seguito a un importante progetto di restauro, una dimora Settecentesca è diventata un wine relais a cinque stelle. Imperdibile una cena al ristorante stellato Oseleta. Siamo a Cavaion Veronese, a pochi chilometri dal centro di Verona, dall’Aeroporto Valerio Catullo, dal Lago di Garda e da numerose attrazioni turistiche. Ma siamo anche in un’oasi di pace: è sufficiente varcare l’ingresso di Villa Cordevigo – albergo a cinque stelle lusso -percorrerne il viale d’ingresso alberato con cipressi secolari, e ci si riconcilia immediatamente con il mondo. Immersa tra le vigne, Villa Cordevigo è il buen retiro ideale per un lungo week end o per una settimana all’insegna del relax – Essentia SPA, con i suoi percorsi olistici, è un’esperienza da provare – della cultura dei luoghi vicini e della buona tavola. All’interno della Villa sorge in-

fatti l’Oseleta, l’elegante ristorante stellato che trae il suo nome “Residenza storica di dal vicino vitigno autoctono, condotto con entusiasmo e tenacia nobili famiglie, Villa dall’executive chef Giuseppe D‘ACordevigo è oggi un quino. Il quale, forte di numerose esperienze all’estero, definisce la wine relais immerso sua cucina un mix di tecniche e in una tenuta di cento di esperienze acquisite nel corso degli anni, nonché dei tanti ettari di vigne e ricordi legati alle sue origini naoliveti appartenenti poletane. Ed ecco che da questa fortunata combinazione, nascono all’azienda i piatti che allietano il soggiorVillabella. ” no degli ospiti: c’è chi sceglierà il menu green, c’è chi si farà tentare dalla triglia o dalla ricciola. Tutti apprezzeranno senza indugi gli Spaghetti al pomodoro del piennolo, burrata, scorza di limone. Rimessa in auge con una cospicua, sapiente e non scontata ristrutturazione voluta dagli attuali proprietari – la residenza è stata rilevata nel 2004 dalle famiglie Cristoforetti e Delibori, già proprietarie dei Vigneti Villabella - Villa Cordevigo accoglie i propri ospiti nelle 34 camere e suite (tutte diverse tra loSopra: Villa Cordevigo circondata dalle sue vigne in una vista dall’alto; a sinistra: l’eleganza settecentesca di un interno della villa; nella pagina a fianco: l’executive chef Giuseppe D‘Aquino che gestisce il ristorante interno: Oseleta; una delle cantine Villabella dove è possibile effettuare degustazioni; infine, da sinistra: i proprietari della dimora: Franco Cristoforetti, Giorgio Cristoforetti e Tiziano Delibori.

ro) dislocate nella Villa padronale e nelle due ali laterali denominate barchesse. E offre loro diverse opportunità: c’è chi vorrà passeggiare nell’immenso parco, chi vorrà rilassarsi a bordo piscina, chi vorrà interessarsi agli aspetti culturali legati alla dimora. Basti pensare che tra le ricchezze ancora oggi gelosamente custodite, la Villa vanta una collezione di 3.000 reliquie presenti all’interno della Chiesetta consacrata risalente al 14esimo secolo. Reliquie appartenenti a Marcantonio Lombardo, vescovo di

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Crema e padrone della Villa nel 18esimo secolo. E, naturalmente, ci sarà anche chi vorrà prediligere una wine experience. I vigneti di Villa Cordevigo partono dalla piscina e, a piedi o in bicicletta, possono essere visitati dagli ospiti guidati da un esperto di vini. A seguire, è possibile effettuare una visita alle cantine Villabella e procedere con una degustazione dei numerosi vini qui prodotti: i classici veronesi come Bardolino, Lugana, Custoza, Soave, Valpolicella, Ripasso e Amarone, ma anche i grandi bianchi e rossi IGT da uve autoctone della provincia di Verona.. Ma Villa Cordevigo offre anche quello che è il perfetto connubio tra lusso e lavoro: le due sale meeting attrezzate sono un’ottima soluzione per eventi aziendali e per riunioni di lavoro, che potranno terminare in bellezza con una cena gourmet al ristorante Oseleta. •

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Accueil

Villa Flori, alta cucina con vista di Rocco Lettieri

Vivere il lago di Como con una vista unica e una ristorazione impareggiabile: ecco la mission di LarioHotels. Gli alberghi del gruppo LarioHotels, ovvero l’ Hotel Villa Flori, www.villaflori.it, l’albergo Terminus e il Posta Design Hotel, con i rispettivi ristoranti, sono caratterizzati da uno charme straordinario, frutto di una gestione oculata e attenta, che offre alla clientela la possibilità di scegliere la location ideale per vivere al meglio l’esperienza “Lago di Como” . La storia dell’Hotel Villa Flori ha radici lontane. Si trova sulla strada che da Como porta a Cernobbio, situato

a solo tre km dal centro città e posizionato su una terrazza che nel tempo è stata considerata, anche da riviste internazionali, una delle quattro più esclusive e panoramiche del Lago di Como. Per oltre un secolo la villa fu contesa dall’aristocrazia lombarda anche per via della sua posizione felice, affacciata direttamente sul lago e con una vista unica, e che fu trasformata in albergo nel 1958. Il nucleo originario della costruzione è la villa che il Marchese Raimondi, noto patriota comasco, avrebbe fatto costruire come dono di nozze per la figlia diciottenne che il 24 novembre 1860 doveva andare in sposa a Giuseppe Garibaldi. Il matrimonio andò a monte (come tutti sanno!!) ma a Villa Flori si respira ancora un’ atmosfera ottocentesca. L’hotel è immerso in un grande parco e gode di una delle più affascinanti viste panoramiche del primo bacino del Lago di Como. Completamente rinnovato nel 2010 e riaperto nel 2012, offre un ristorante gourmet di alta cucina italiana, il Raimondi. Affascinante come non mai, la lounge che si apre sulla terrazza ad angolo

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“Un giovane chef di grandi esperienze, insieme a un maitre e sommelier di livello, garantiscono una sosta memorabile”

dalla vista mozzafiato. Il Ristorante Raimondi è situato al livello del lago, con grande terrazza per poter pranzare en plain air o cenare al lume di candela; una grandiosa sala affacciata sul parco e completamente rinnovata nel suo arredo in stile ottocentesco può ospitare su tavoli rotondi ben spaziati circa 50 persone. I colori morbidi del damasco usato per la tappezzeria, l’elegante motivo grafico della moquette, le modanature classiche delle colonne creano un ambiente caldo e accogliente che ben si accorda con la sempre stupenda vista del Lago di Como. Comode sono le poltroncine imbottite, la preziosità delle tovaglie aumentano il piacere di un pranzo raffinato. Al Ristorante Raimondi è possibile accedere anche via lago, attraverso il

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Qui sopra: lo chef canturino Paolo Arnaboldi; la vista sul Lago di Como e la terrazza del Raimondi, il ristorante situato all’interno dell’Hotel Villa Flori.

pontile privato. Il Lounge Bar, con il suo arredo di avanguardia, offre la possibilità di consumare anche un pasto leggero “pieds dans l’eau” con un calice di vino prezioso o con un veloce snack, oltre a piacevoli e sapienti aperitivi. Qui troviamo un vero professionista del settore: Dusan Pejakovic (maître e sommelier), 39 anni, responsabile anche della Carta dei ini (con circa 180 etichette italiane con qualche chicca straniera). Dalla terrazza la vista è incomparabile sia monti sia sui paesini e sulle ville ottocentesche arricchite da piante gigantesche. Sulla quiete dell’acqua lacustre il ristorante Raimondi vive una vita molto raffinata ed elegante. L’interpretazione dei piatti è


Accueil affidata alle abili mani di Paolo Arnaboldi, giovane chef di 39 anni, canturino di nascita, uno dei talenti della cucina italiana che nel suo percorso ha affiancato chef stellati di fama internazionale, preso i quali ha formato la sua distintiva filosofia gastronomica. Paolo ha maturato esperienze di tutto rispetto partendo dalle scuole alberghiere di Chiavenna e di Domodossola e facendo la sua prima esperienza proprio qui, nel ristorante di Villa Flori. Poi il richiamo del miglioramento professionale lo ha portato nelle cucine di rinomati e prestigiosi ambienti, molti dei quali anche bistellati. Tra questi: Perbellini di Isola Rizza (Verona), Roland Pierroz del Rosalp di Verbier in Svizzera, il Daniel Boulud di New York (tre stelle Michelin) come pure al Noma di René Redzepi di Copenhagen, e a seguire il Santini di Edimburgo, La Siriola a San Cassiano (Bolzano), con puntate all’Hotel Eden di Roma e due anni al Castello di Velona a Montalcino. Un giovane chef che dopo aver

girato il mondo è tornato sul suo Lario. Paolo presta molta attenzione all’alta qualità della materia prima per mettere in tavola il meglio della grande cultura culinaria italiana. I suoi piatti sono decorati con gusto pittorico, quasi come se fossero tavolozze gastronomiche. Ci racconta: “Il mio ultimo impegno è stato in Toscana e qui ho puntato su una cucina ricercata, attenta ai dettagli, ma che al contempo sia in grado di restituire la semplicità e la purezza dei sapori della natura. Nei miei piatti cerco sempre di non dimenticare i sapori semplici e genuini che appartengono alla terra in cui ho vissuto: la Brianza. La mia scelta degli ingredienti è rivolta soprattutto a quelli del territorio, sia di terra che lacustri”. I suoi piatti sono caratterizzati dall’equilibrio tra nu-

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Qui sopra: Zuppa di lattuga e finferli; a sinistra: Calamaro ripieno e zenzero; sotto: Tavolozza di semifreddo e cioccolato fondente.

merosi piccoli ingredienti che creano una impeccabile armonia di sapori, colori e consistenze. Il binomio freddo/caldo è il fil rouge che lega la scelta dei piatti del menù, dal quale spiccano combinazioni sperimentali dei prodotti esclusivi che seleziona.Durante la mia visita, con altre due persone, ho potuto apprezzare piatti che hanno messo in luce le “performance” di questo giovane che avrà di certo un grande futuro: Polipo, avocado, chips di patate viola, fragola e prosecco; Pappardelle all’uovo con fave e tartufo nero estivo; Zuppa di lattuga, finferli, patata affumicata e zenzero; Triglia, mozzarella, limone, barbabietola, estratto di acciughe di Cetara; Semifreddo alla vaniglia con fondo di cioccolato. I vini in abbinamento serviti da Dusan erano in perfetta sintonia con i piatti. Una bella esperienza da rifare per degustare altri piatti anche di carne. Lo chef mi aveva suggerito di provare il “Piccione a sorpresa”. Ritornerò in buona compagnia.•



Accueil

La Posta Vecchia Luogo della memoria

di Gualtiero Spotti

Un mondo a parte, dove si respira ancora la presenza del magnate Jean Paul Getty, che lo portò agli attuali splendori. Ecco quando l’hotel diventa la destinazione per eccellenza e tutto quello che c’è intorno passa in secondo piano. La Posta Vecchia www.pellicanohotels.com è proprio questo, un luogo colmo di riferimenti artistici e storici, appoggiato su una spiaggia che forse non si può definire come particolarmente affascinante (siamo dalle parti di Ladispoli, sulla costa laziale a nord di Roma), ma qui basta trascorrere qualche momento in queste stanze d’altri tempi, oppure osservare il vicino e grandioso Castello Odescalchi, rilassarsi su una delle amache in giardino e ancora scendere nei sotterranei per scoprire i resti di una antica villa romana del secondo Secolo Avanti Cristo e la prospettiva cambia radicalmente.

E’ un mondo a parte dove si respira ancora oggi la presenza importante di colui che è stato il proprietario per molti anni, il magnate Jean Paul Getty, che la acquistò nel 1960, quando questa era ormai in rovina, per portarla agli antichi splendori, ai tempi delle dinastie Orsini e Odescalchi. Con il passaggio di proprietà e nella successiva ricostruzione, il nuovo inquilino americano si fece aiutare dal critico d’arte Federico Zeri per fare della sua nuova residenza europea una dimora ricca di oggetti e mobili d’arte, molti dei quali si possono ancora oggi osservare se si decide di trascorrere qualche giorni in questo hotel a dir poco unico. Si perché il nuovo proprietario, Roberto Sciò, che ha acquistato la residenza da Paul Getty nei primi anni Ottanta facendola diventare la propria casa di famiglia, dopo qualche stagione decise di trasformarla in un albergo. Ed è Inutile dire che in brevissimo tempo La Posta Vecchia ha saputo rendersi famosa, soprattutto presso la clientela d’oltreoceano, proprio per i suoi contenuti a dir poco straordinari. Non esiste al mondo un hotel capace di offrire una visita a un museo

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mato proprio da Gioia mentre era al Kulm di Sansotterraneo ricco di reperti e di storia antica, co sì kt Moritz, in Svizzera. La formazione professionale come rimane unico il fascino di sedersi in una deldi Magliulo è varia e molto legata alla ristorazione le spaziosi suite affacciate sul mare dove il tempo d’albergo (nel curriculum ci sono il Grand Hotel Imsembra essersi fermato. Anche se poi non mancano perial a Levico Terme, il Dorchei comfort e i lussi necessari ad ster a Londra e il Four Seasons attirare una clientela esigente a Milano, così come la tradizioe moderna. Così la piccola spa “Una dimora unica, ne dei Trovato a Colle Val d’Elsa), offre trattamenti di benessere personalizzati, con il supporto ricca di oggetti d’arte ma sono sempre stati l’anima e la passione il vero motore deldei prodotti firmati dall’officina che richiamano una la sua cucina, sin dai primi andi Santa Maria Novella di Firenni quando, seguendo il percorso ze, la piscina (si trova al coperclientela da tutto tracciato dai genitori (entrambi rito e al piano terra in un angoil mondo. L’ottima storatori) ha mosso i primi paslo dell’edificio), offre la squisisi dal paese natio di Maddaloni ta visione di una lunga vetrata cucina di Antonio subito alla pasul bastione di fronte al mare, Magliulo fa il resto” appassionandosi sticceria e frequentando le cucie chi vuole rilassarsi ha a dine che contano. Tecnica e amore sposizione un lussurreggiante per la didattica innanzitutto, ma parco con un piccolo orto. E a traspare oggi nello stile di Magliulo anche la volonquesto proposito si apre il capitolo dedicato alla tà di mantenere una mano pulita e delicata, senza cucina. L’orto, nato diversi anni fa per volontà del troppi voli pindarici. Una cucina, per dirla tutta, di cuoco di un tempo, Michelino Gioia, che ha portasostanza, capace di soddisfare la clientela internato all’hotel la stella Michelin, è oggi stato ampliato zionale dell’albergo, ma anche di offrire qualche cue rivisto dal nuovo responsabile di cucina, Antonio rioso spunto di interesse. Anche su dettagli di non Magliulo, trentacinquenne arrivato nel 2008 e chiapoco conto, come la scelta degli olii al tavolo, o la cura maniacale con la quale si allestisce il breakfast scegliendo prodotti vegan free o alternative per la clientela più esigente. La materia prima è sicuramente uno dei punti di forza di The Cesar, il ristorante de La Posta Vecchia, come dice bene, ad esempio, la scelta di affidarsi ai salumi tutti locali di Dol, a Centocelle (Dol sta per Di Origine Laziale…), o ai pesci di Corrado Tenace a Roma. Scelte ben ponderate che sono funzionali all’approccio mediterraneo della cucina

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Nella pagina a fianco: lo chef Antonio Magliulo posa davanti alla facciata dell’hotel La posta Vecchia; una delle suite; in questa pagina in senso orario: un’altra elegante suite; la suggestiva piscina; la sala del ristorante The Cesar all’interno de La Posta Vecchia.

e all’utilizzo e alla valorizzazione dell’orto bio di casa. Come nel caso del Branzino all’amo, con Zuppa di vongole, violette, calamari spillo al granchio e porri grigliati, o dell’Ostrica Ronce, con centrifuga di sedano, gin e polpa di mandorla. Stuzzicante però anche il Risotto con crema di erbe, tartare di tonno rosso, lime e stracciatella affumicata. Un po’ contemporaneo e un po’ classico, con qualche tocco creativo. Infine, un paio di mesi fa, La Posta vecchia è stata inserita da The Leading Hotels of The World in una classifica dei 40 Hotel Top al mondo che nel 2016 si sono distinti per la qualità del servizio e basata soprattutto sul feedback del client. Un bel riconoscimento che la dice lunga sull’esperienza completa che si può vivere in questo albergo da favola. •


Focus wine

Wine expert a Maison Krug di Alberto P. Schieppati

renti annate, la più lontana nel tempo del 1998 e la più recente del 2016! Notevole l’esposizione di Olivier Krug riunisce a Margot Moncomble, che ha sapientemente descritto le particolarità del 2016, un’annata che resterà Reims la migliore stampa nella memoria. Incredibile la sequenza, e le differeninternazionale per condividere ze, rivelate durante la degustazione, condotta magistralmente da Eric Lebel e dal team di enologi della unicità e grandezza della Maison, dei vini dell’anno e dei vini di riserva. Un Grande Cuvée. grande momento di condivisione di sensazioni, dettagli, segreti, scelte, decisioni ma anche passione, Ancora una volta, come ogni anno, la Maison di che stanno dietro la creazione di ogni nuova EdiReims ha accolto la comunità internazionale dei Wition di Krug Grande Cuvée. “Dalla conoscenza e ne Experts, durante il recente Krug World Festival dall’intuizione di ogni annata, diversa da ogni altra, svoltosi in primavera. Un evento di grande profondiognuna con suo carattere distintivo, si comprende tà, sia sotto l’aspetto comunicazionale che sotto il come Krug sia in grado di esprimere al meglio l’oprofilo dei contenuti, supportati rigine di ogni singolo vino, ma dall’esperienza diretta fatta nelle anche l’essenza di ogni singolo esclusive degustazioni: l’inconappezzamento. In questo senso, “Ogni nuova Edition ogni bottiglia di Krug ha la protro ha visto protagonista Olivier pria storia da raccontare”. DuKrug che, insieme allo Chef de di Krug Grande rante il World Festival, gli ospiCaves Eric Lebel, ha condiviso Cuvée è sempre ti hanno goduto altresì di especon la stampa internazionale i rienze memorabili, legate a una risultati raggiunti negli anni da un’emozione: ogni straordinaria sequenza di tasting Krug Grande Cuvée ed espressi compiutamente, fra l’altro, nel- bottiglia ha una storia session, che hanno visto protagonisti Krug 2002, la 158ma e la eccezionale 172ma edizione da raccontare” la 156ma Edition di Krug Grande della Grande Cuvée. Un blend inCuvée, ma anche la 164ma Edicredibile di 146 vini di 11 diffe-

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Sopra: una parete di bottiglie di Krug che decora la nuova ala della Maison di Reims; Olivier Krug con André Lallement; Eric Lebel, Chef de Caves, descrive le zone di origine.

tion. La grande cucina di Andrè Lallement, tre stelle Michelin all’Assiette Champenoise, ha dato un forte contributo gourmet all’evento. Il Krug Festivale 2017, fortemente connotato dal carisma di Olivier Krug e dalla sua appassionata forza comunicativa, ha consentito di comprendere in modo diretto e partecipato quali sono i principali step -selettivi, produttivi, strategici e culturali- che consentono di realizzare uno Champagne che rappresenta, con la sua unicità, un vero capolavoro. •


Libri

Gazzosai in viaggio, champagne, le ricette di chef Rossi e saluti da Fortulla

Titolo: Carozzi, formaggi a lavorazione tradizionale Autore: Marco Rossi Editore: Carozzi Pagine: 28 Prezzo: -

Titolo: In viaggio con i gazzosai Autore: Carlo Cambi; Riccardo Giuliani Editore: Cinquesensi Pagine: 144 Prezzo: 18,00 €

Titolo: Saluti da Castiglioncello Autore: Fulvio Martini Editore: Maurizio Corraini srl Pagine: 120 Prezzo: 16,00 €

Titolo: Champagne Autore: Essi Avellan’s Editore: AvelVino 2017 Pagine: 352 Prezzo: -

Dal mare alla montagna, e ritorno Che cosa lega Carozzi – azienda casearia valsassinese – allo chef Marco Rossi, maestro della cucina gluten free? Naturalmente i formaggi che, nel piccolo libretto voluto dal caseificio, sono alla base delle preparazioni dello chef. In particolare, sono riportare nove ricette - La Rossa, Sentimento Valligiano, Viola d’Arancio, Formaggio al Freddo Gelato, Grigna che fa bene!, Capesante autunnali, Che esagerato, Da Pasturo al mare, Tonnissimo di capra – in cui le selezioni Carozzi occupano un posto di rilievo. A proposito di Carozzi, va segnalato che un anno fa lo storico caseificio ha aperto La Formaggeria: non un semplice punto vendita, ma un luogo nel quale trascorrere il proprio tempo libero, degustare formaggi e i prodotti tipici della tradizione valsassinese.

La distribuzione di bevande secondo Partesa Un diario di viaggio, il cui protagonista è un camioncino che va su e giù per l’Italia, per raccontare - attraverso l’intreccio di testimonianze - processi di produzione, aneddoti, orizzonti e sfide economiche, fatiche e passioni che animano il viaggio di chi trasporta bottiglie. Un libro voluto da Partesa, azienda che distribuisce bevande e che, tanto per definirne la portata, durante Expo è stata Official beverages distributor. Dunque un’azienda che di gestione e di trasporto di bottiglie se ne intende: grazie al suo operato ogni anno sono gestiti venti milioni di colli. Ma per rendere ancora meglio il dinamismo aziendale, si conti che nei 25 anni di attività sono state acquistate, stoccate, etichettate e consegnate a destinazione – nei bar, nei ristoranti, nei locali - 680 milioni di bottiglie.

Nella terra dell’azienda agricola Fortulla Pinete, ulivi, scogliere e porticcioli: così, in sintesi, Castiglioncello, una frazione del comune di Rosignano Marittimo, una piccola cittadina di mare a sud di Livorno. Un percorso storico tra arte, cinema, natura e gastronomia, per illustrare e celebrare i vent’anni del Casale del Mare, un relais ricavato da una antica fattoria di campagna – Fortulla - restaurata sull’altipiano delle Spianate sopra Castiglioncello. Testi, fotografie, immagini, sogni e ricordi di Fulvio Martini, fanno rivivere la storia antica e la storia recente del luogo. Una testimonianza culturale di un territorio che ha molto da raccontare e, al contempo, una bella storia di famiglia e di imprenditoria italiana.

Dedicato agli Champagne lovers e ai viaggiatori gourmet Un viaggio tra Reims e Troyes, nella regione dello Champagne. Non un libro che vuole aiutare ad acquistare e degustare il migliore Champagne, ma un vero e proprio tour tra le terre più vocate alla produzione delle bollicine. Una serie di interessanti e prestigiosi consigli - l’autrice, sommelier finlandese, è una dei maggiori esperti del mondo in fatto di champagne - raccontano infatti dove mangiare, bere e dormire quando si visita questa regione. Per l’autrice lo Champagne è una grande passione; da 12 anni se ne occupa costantemente, osservandone i mutamenti: dal valore – un bene di lusso, ma anche un vino - all’evoluzione fino alla diffusione. Essi Avellan’s, che è membro di “The Champagne and Sparkling Wine Word Championships”, ha infatti osservato che oggi si può bere un buon Champagne praticamente in tutto il mondo.

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Focus beverage

Alla Refezione si abbina Norda di Virginia Zacchetti

“Non seguiamo le mode, perseguiamo un modo”. Così Maurizio Galligani, patron del ristorante di Garbagnate, descrive la filosofia del locale. Ad accompagnare i piatti della cucina toscana acqua Daggio, una delle referenze Norda più adatte all’ho.re.ca. A Garbagnate Milanese, a pochi chilometri da Milano in direzione nord, si trova il ristorante “La Refezione”. Situato all’interno di uno Sporting Club e immerso nel verde, colpisce per l’atmosfera elegante, raffinata e – allo stesso tempo – casalinga. Tanto che, al primo impatto, sembra di entrare in un ampio e luminoso soggiorno, con un grande camino sul fondo e ampie vetrate che danno su un

giardino rigoglioso. Le opere d’arte – grande passione dei padroni di casa – e i numerosi libri che spaziano dall’arte alla cucina al territorio, completano l’immagine di un ambiente raccolto e rilassante. La Refezione rappresenta da 34 anni la passione e la vita di Maurizio Galligani, toscano doc trapiantato a Milano, figlio di osti e ottimo padrone di casa, capace di accompagnare la spiegazione e la presentazione del menu con racconti e aneddoti di vita. Che nel tempo la squadra abbia ricevuto la stella Michelin o il Premio per il Miglior Servizio a Tavola del Gambero Rosso sono dettagli che si scoprono tra un racconto sulla Guida Veronelli e un ricordo legato a Franco Colombani, mentore e grande amico di Maurizio. A lui e alla brigata in cucina guidata dagli chef Laura Santi, Gicela Pacheco e Matteo Lanzanova, si è aggiunta negli anni Giovanna, oggi alter ego di Maurizio e responsabile della sala. Tra le sue funzioni, grazie anche alla qualifica di interprete, rientra anche quella di intrattenere e consigliare i numerosi ospiti internazionali che frequentano il locale. La semplicità e la cura dei dettagli sono due con-

Maurizio Galligani titolare de La Refezione con Giovanna, sua fidata responsabile di sala.

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cetti chiave in questo ristorante: un menu in cui gli ingredienti di stagione giocano un ruolo fondamentale, cucinati con sapienza accompagnata da creatività e impiattati con gusto, ma senza gli estremismi di cui il panorama della ristorazione odierna è fin troppo saturo. “Non cuciniamo per stupire, ma per far star bene i nostri clienti, ama ripetere più volte Maurizio. Clienti che, inevitabilmente, in molti casi diventano amici e vengono da noi per trascorrere del buon tempo insieme”. Non è una coincidenza che, raccontato il menu, Maurizio proponga spesso ai propri clienti di provare almeno un assaggio della sua pappa col pomodoro, piatto che rivela meglio di altri lo spirito di questo luogo e delle persone che ci lavorano. Una proposta antica e umile, esaltata dagli ottimi ingredienti, a partire dal pane fatto in casa leggermente abbrustolito che aggiunge un guizzo deciso al piatto. Una pietanza che rimanda a sapori genuini, a estati lontane e che di certo scalda il cuore. Da anni sui tavoli de La Refezione viene servita l’acqua Daggio, la più famosa del Gruppo Norda, che

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sgorga in alta quota (1935 metri s.l.m.) e viene imbottigliata nello stabilimento di Primaluna, sulle montagne del lecchese. La Daggio è un’acqua pura e leggera, con un minimo residuo fisso che la rende particolarmente adatta ad abbinamenti con i piatti presenti nel menu. “Tra le numerose proposte offerte dalla Carta delle Acque del gruppo – continua Maurizio – abbiamo scelto Daggio innanzitutto per la sua bontà e per il desiderio di offrire un prodotto non banale, di grande qualità e accompagnata da un’estetica pulita ed elegante della bottiglia.” Le bottiglie, caratterizzate da esclusive etichette in oro e argento con in primo piano una grande D, sono contraddistinte dalla denominazione Ferma (naturale) e Mossa (frizzante), una scelta che richiama la tradizione enologica e stabilisce un piacevole coordinamento stilistico in tavola fra acqua e vino. Il rapporto con Norda e Acque Minerali d’Italia, la holding che raggruppa le tre masterbrand della famiglia Pessina: Norda, Gaudianello e Sangemini, è il risultato di una lunga frequentazione e fedeltà a un marchio che ha sempre saputo soddisfare le esigenze di una ristorazione di alto livello. •


Focus beverage

Alpi e Mediterraneo si incontrano in un drink di Valentina Santambrogio

Roner presenta e distribuisce Z44 Gin e Vermouth GW e KS, uno rosso, l’altro bianco. Ideali, anche, per essere mixati in piacevoli cocktail. Tre bottiglie in cui i profumi, i sapori, le tradizioni e i costumi altoatesini si fondono con quelli tipici della macchia mediterranea. Sono Z44 Gin e Vermouth GW e KS, tre prodotti distribuiti da Roner distillerie. Nel primo caso il risultato è un gin inedito, in cui sono ben riconoscibili le note delle pigne di pino cirmolo lasciate maturare per tre anni e raccolte a mano sulle pendici del Corno Bianco, ma in cui non è difficile scorgere le tipiche note del ginepro che si armonizza perfettamente con la achillea e con le profumate radici di violetta e di genziana. Per ottenere questo risultato, le pigne vengono lavorate per infusione: successivamente ne viene distillato l’estratto in un piccolo alambicco. E’ qui che è racchiusa l’autenticità di Z44 Dry Gin, un distillato che regala un’esperienza che coinvolge in ugual misura più sensi: vista, olfatto

e gusto. La vista è infatti appagata già solo dalla bottiglia, capace di raccontare il prodotto: la tipica trasparenza del distillato ne esalta il disegno, espressione chiara e forte del mondo contenuto all’interno. Il naso è subito coinvolto dalle note balsamiche fresche, intense, quasi mentolate del pino cirmolo; starà al palato distinguere e riconoscere i profumi caratteristici delle Alpi e del Mediterraneo. Il risultato è un prodotto equilibrato, che si presta per essere degustato da solo, ma che può essere anche mixato

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con altri spirits. Per esempio con GW e KS, i due Vermouth che insieme a Gin Z44, sono in grado di dare vita a piacevoli cocktail, tra cui un paio di interessanti versioni di Negroni. GW e KS nascono dalla tradizione del Vermouth, ma devono molto anche ai costumi e alle tradizioni altoatesini. Interpretano infatti i vitigni tipici dell’Alto Adige, in un incontro di sapori mitteleuropeo. In particolare, GW è il Vermouth bianco trasparente, brillante, dorato. Al naso sono subito evidenti le note dei pompelmi, degli agrumi, dei chiodi di garofano. Al palato si riconoscono invece ricche note di rosa e chiodi di garofano, nonché i toni amarognoli dell’artemisia. Come il Vermouth impone, è da notare anche il retrogusto: persistente, ma con un interessante intrecciarsi di dolcezza e note speziate. Diverso, non solo per il colore rosso rubino scuro, è KS, il Vermouth rosso. Al naso si scorgono le note delle scorze di arancia essiccate, la cannella, l’anice stellato, le prugne e il fieno. Il gusto rotondo e armonico, la freschezza e l’asperità del vino vengono sostenute da sottili note speziate e note di radice di genziana. Dopo averlo degustato, le note di artemisia e calamo aromatico accompagnano a lungo l’esperienza. •


La ricetta di Artù

Nel regno del quinto quarto, il Vitello tonnato del Trippa a cura di Maurizio Bertera

Vitello Tonnato

Magari Trippa non è la Trattoria che mancava a Milano, che tutto sommato ne ha e di buonine. Ma sicuramente Trippa è la Trattoria con la T maiuscola che ha trovato l’immediato successo (non ne dubitavamo, peraltro) di pubblico e di critica: i titolari Diego Rossi (chef) e Pietro Caroli (direttore di sala) sono stati decisamente bravi. E se si parla di

Ingredienti per quattro persone 500 g di coscia di vitello (girello o fiocco) 1 uovo e tre tuorli 500 ml di olio di semi di girasole 250 g di tonno sott’olio 5 filetti d’acciuga sott’olio 1 cucchiaino di capperi 1 cucchiaino di senape di Digione 1 cucchiaino d’aceto 2 cucchiaini di succo di limone fondo bruno olio extravergine d’oliva sale Maldon pepe cucina, ovvio che dobbiamo fare i complimenti al baffuto veronese (‘di campagna’ sottolinea), classe ’85, che al posto di una carriera da Stella sicura (tra i suoi maestri Norbert Niederkofler e Alfio Ghezzi) ha preferito l’idea della ‘sua’ trattoria, con una sala classicissima per arredi e colori ma una cucina da grande ristorante che domina con l’allure di chi ha un passato importante. Nel menu dove

Procedimento Salate la carne e scottatela su ogni lato, utilizzando una padella antiaderente rovente unta in precedenza con un filo d’olio. Fate raffreddare la carne e mettetela sotto vuoto in un apposito sacchetto con un rametto di timo, uno spicchio d’aglio e un filo d’olio extravergine d’oliva. Immergete il sacchetto in un roner e fate cuocere la carne per circa 10 ore a bassa temperatura. Preparate una maionese con le uova, l’olio di semi, il sale, l’aceto, il limone e la senape montando tutti gli ingredienti insieme fino a ottenere una consistenza compatta. A questo punto mettete la maionese con tonno, acciughe e capperi in un robot da cucina e frullate il tutto. Trasferite la salsa ottenuta in un sifone, caricatelo con l’azoto e mettetelo in frigorifero a raffreddare. Tagliate la carne in fette sottili, disponendole al centro del piatto in modo concentrico e intervallandole con della salsa tonnata. Terminate il piatto con il fondo bruno, i capperi sott’olio, un filo d’olio extravergine d’oliva, il sale Maldon e il pepe nero. •

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regionalità a 360°, tante frattaglie (eterno amore dello chef) in altrettante ricette e piatti nuovi, c’è un ‘evergreen’ tra gli antipasti: il Vitello Tonnato. “La ricetta è quella della tradizione piemontese, che ho per tanti anni a Cuneo, approfondendone la storia – spiega Rossi - le materie prime sono di altissima qualità, a cominciare dalla ‘Carne di Vitella Unica’ di Marco Martini, ricca di amminoacidi e proteine. E’ facilmente digeribile e dalla consistenza tenerissima, ottenuta anche grazie alla lenta cottura. La salsa con cui viene servita è quella della ricetta cuneese del XVIII secolo, adagiata sulla carne come fosse una nuvola leggera, che rende la presentazione gradevole alla vista e perfettamente armonica”. E’ un piatto apparentemente semplice ma molto tecnico, con tre passaggi fondamentali quali la cottura sottovuoto, l’utilizzo del sifone e la preparazione del fondo bruno. Da Trippa viene sempre un piccolo grande capolavoro…Un appassionato di vino quale Rossi (‘naturale sia chiaro, è quello che bevo regolarmente’ sottolinea) consiglia un abbinamento con un bianco ‘macerato’ di Josko Gravner, Radikon o Damijan Podversic. •


Equipment

Servizio da Stelle

di Emanuela Stìfano

Le porcellane Royale, prodotte a Lomazzo dalla famiglia Fanfarillo, sono oggi diffuse in tutto il mondo e si trovano sulle tavole di 150 stellati. Eleganza, raffinatezza, resistenza e funzionalità caratterizzano questi prodotti interamente fatti a mano. Sperimentare, provare e ri-provare, fino a raggiungere il miglior risultato possibile. Seguendo questa filosofia, un’azienda italiana della provincia di Como – Royale si trova infatti a Lomazzo - si è affermata nel mondo ed è riuscita a posizionare le sue porcellane per la tavola - interamente fatte a mano – nei ristoranti più blasonati e stellati di tutto il mondo. Essendo prodotti pensati e progettati per l’alta ristorazione, e dunque destinati a un utilizzo professionale, oltre all’estetica ricercata e mai banale, Royale pone, come condizione indispensabile alla loro immissione sul mercato, anche la funzionalità. Per questo motivo, oltre a sperimentare, provare e ri-provare, Royale ha un altro segreto: ascolta chi le porcellane e i servizi deve utilizzarli. Ma attenzione: non soltanto gli chef che, probabilmente, sarebbero portati a un giudizio per lo più estetico, ma anche maître e camerieri. Il risultato di queste continue ricerche, di questi continui confronti, sono ben visibili e molto apprezzabili in quelle che sono le collezioni di punta di Royale: basti citare Diva e, il lavoro enorme che ci sta dietro, appare subito evidente. D’altro canto, per Royale lavora un pool di persone accomunate da almeno due elementi: la passione per quello che produce e la determinazione. Se non fosse così, l’escalation di successi inanellati in trent’anni di attività sarebbe inspiegabile. Royale nasce infatti nel 1986 per merito di Vittorio

Fanfarillo e di sua moglie Teresa, oggi coadiuvati nel lavoro dai figli Angelo e Silvia. Partiti con un organico di tre persone, oggi la famiglia Fanfarillo conta su un forza lavoro che supera le 100 unità e su una rete commerciale capillare e pronta a soddisfare le esigenze dei locali di tutto il mondo. Non solo: partner strategici gestiscono il marchio in via esclusiva su diversi territori, portando così il 30 per cento della produzione sul mercato straniero. Se

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l’anno della svolta è il 1990 - la famiglia Fanfarillo, oltre a lanciare in grande spolvero Royale, investe in un nuovo stabilimento con una superficie di circa 5mila metri quadrati – l’anno dell’affermazione è il 2013. Con l’intendo di avvicinarsi all’alta ristorazio-


ne, Royale apre infatti un nuovo reparto produttivo in cui si realizzano prodotti unici, cuciti su misura di clienti esigenti e raffinati. Nascono così due collezioni esclusive, Diva e SuMisura, i cui articoli sono tutti decorati e modellati a mano. Entrambe le collezioni piacciono subito e ne vengono apprezzati gli elementi caratterizzanti: la scelta degli articoli e dei materiali impiegati, l’assenza di piombo, il metodo di produzione (1320 gradi, con un ciclo è di 24 ore), la capacità di produrre articoli su misura per qualsiasi cliente. Ad ampliare e rafforzare l’offerta di Royale, la distribuzione di due prestigiosi marchi: Dudson e Bonna. Il primo è un marchio inglese fondato nel 1800, il che suggerisce che l’esperienza proprio non manca: ecco perché i prodotti Dudson, oltre ad essere belli, sono anche pratici e resistenti, tanto da essere dotati di garanzia a vita “Edge Chip”, che copre tutti gli articoli prodotti nello stabilimento di Stoke-on-Trent. Anche Dudson negli ultimi anni sta crescendo e, oltre a incrementare la propria presenza in nuovi e interessanti mercati, ha anche ampliato la propria gamma di prodotti lanciando le collezioni Evo, Ice, Concrete. Passando a Bonna, si tratta di un’azienda che dal 1981 produce in Turchia stoviglie per la tavola, porcellane dipinte a mano, porcellane per il settore retail distribuite in 45 Paesi. Da qualche anno è stata poi avviata la produzione destinata al canale ho.re.ca, il che ha determinato la ricerca di materiali sempre più ricercati, l’ampliamento degli spazi produttivi - oggi si produce su 15mila metri quadrati – e l’incremento dell’organico, che il prossimo settembre toccherà quota 250 unità. I prodotti Bonna si caratterizzano per resistenza agli urti e ai graffi e per il caratteristico aspetto traslucido-trasparente. Notevole il colore bianco, riconducibile al Bone China. Dunque Royale, con la propria ampia e mai scontata offerta, unitamente alla capacità di lavorare su ordinazione, su misura, e secondo i desiderata dei clienti, è in grado di offrire un valore aggiunto alla mise en place dei locali di tutto il mondo. I ristoratori, gli chef, i restaurant manager non devono fare altro che chiedere: sicuramente gli sarà dato. •

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Gusto e mercati

Shopping experience Punto vendita, ti amo! di Vincenzo Russo*

za stessa del consumo. Per valutare la reazione moeizonale provocata e l’effetto che ha sulla shopping experience gli L’atmosfera del punto vendita strumenti di neuromarketing hanno un può rivelarsi persino più ruolo determinante, soprattutto perché influente del prodotto stesso nel la maggior parte degli effetti di queste variabili è inconsapevole e immediata. determinarne l’acquisto. Sempre più spesso il Centro di Ricerca di Neuromarketing viene chiamata a In questo panorama, appurata la forte componenvalutare l’effetto delle variabili sensoriali te soggettiva della shopping experience, molti aunei punti vendita. In questi, come dicetori evidenziano che “al momento non si conoscono vamo, agiscono molte variabili sensoriquali elementi dell’atmosfera siano i più salienti ali rinviando ai prossimi numeri gli altri per i consumatori quando si formano impressioni e elementi soffermiamoci brevemente sui percezioni in store” (Turley e Chebat 2002, p. 139). colori. Da sempre si sa che i colori hanAlcuni ammettono che “si sa poco di come progetno un ruolo determinante non solo neltare un ambiente di servizi in grado di migliorala valutazione delle caratteristiche ambire l’esperienza di consumo” (Bolton, Grewal e Levy entali, ma anche nella valutazione della 2007, p. 4). In effetti non esiste un’atmosfera idecomunicazione che avviene in store. Si ale, in quanto ogni mercato è composto da indivipensi ai colori delle etichette dei produi differenti e si torva in contesto sociali e culturali dotti , i colori dei cartelli promozionali differenti. Ciononostante l’atmosfera di un punto vendita è composta da una serie di stimoli di nao i colori nei volantini promozionali. La scienza dei colori, applicata al marketing tura sensoriale e relazionale che possono essere dimostra come i colori siano in grado di influenzapiù influenti del prodotto stesso nel determinarne re le azioni e i pensieri delle persone Gli effetti del l’acquisto (Ward et al. 1992). Alcuni di questi ascolore su performance e sull’interpretazione cognipetti apparentemente collaterali giocano un ruolo tiva che le persone fanno ne suggeriscono i potenstrategico nel costruire il significato simbolico atziali effetti positivi sui comportamenti d’acquisto tribuibile ai prodotti, al luogo di vendita, alle attivi(Babin et al. 2003). Come le parole, anche i colori tà collegate al loro consumo, nonché all’esperienpossiedono qualità semantiche, ossia sono in grado di veicolare dei significati comuni agli individui. Nell’arco della vita, ritroviamo frequentemente determinati colori associati a specifici significati e queste associazioni diventano per noi degli schemi mentali radicalizzati. Partendo da questa prospettiva potremmo chiederci: perché pensando al rosso ci viene in mente l’amore, il sangue, e il pericolo, mentre quando pensiamo al blu Esempio di output di Eye Tracking sui box di colore giallo e rossi. alla notte e alla calma? La menIl dato viene correlato all’attivazione EEG elettroenfalografica e ai segnali te è costituita da un reticolo di biologici (conduttanza cutanea e battito cardiaco). nodi connessi gli uni con gli al-

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Effetto del colore dei box promozionale nei volantini sulla visione analizzata con Eye Tracking.

tri per similarità. Ogni volta che un nodo viene stimolato, tutto il reticolo ad esso connesso si attiva. Anche le esperienze di vita e la cultura cui apparteniamo ci suggeriscono come associare specifici significati a specifici colori. Esiste un meccanismo immediato di attribuzione di affetto ai colori (caldo freddo). In linea di massima, i colori caldi (giallo, arancione, rosso) sono stimolanti e positivi, ma anche irruenti e decisi. Il grigio, il nero, il marrone e il bianco sono colori eleganti ma passivi: freddi e distaccati, vengono spesso associati a sensazioni e situazioni negative o spiacevoli. I colori tenui, come le tonalità pastello, sono rassicuranti e ispirano fiducia. Stessa cosa per il verde e l’azzurro. Per esempio, il rosso e l’arancione sono conosciuti come intensi colori emozionali, che stimolano l’aumento del battito cardiaco e del respiro. Inoltre – questa forse non è cosa molto nota- questi colori, applicati nel settore alimentare, incoraggiano i consumatori a mangiare di più e più velocemente. Nella progettazione degli spazi non esistono i colori giusti, come


analizzare il movimento ocunon ne esistono di sbagliati. Eslare in relazione all’attivazione fiistono, invece, i colori adatti che “In un contesto siologica che provoca la visione ovviamente variano sulla base competitivo, di un prodotto, del suo prezzo e del progetto su cui stiamo ladella scontistica. E’ quello che vorando. saper governare abbiamo fatto con il gruppo di Le tecniche di neuromarketing l‘esperienza lavoro del Centro di Ricerca di indicano che i colori sono parNeuromarketing, analizzando i ticolarmente efficaci nell’attirad’acquisto può volantini di tre tra le principali re l’attenzione soprattutto quanrivelarsi strategico catene della GDO del Nord Italdo c’è un’eccessiva abbondania. L’analisi è stata condotta sia za di stimolazioni. Questo è un e proficuo per la in laboratorio in condizioni conproblema rilevato in diversi ammarca” trollate che sul campo, con la biti, ma anche nella semplice finalità di valutare la forza ateconomia progettuale dei votrattiva dei colori nella visione lantini promozionali. In questi il delle strategie di pricing. Si è reso evidente che se difficile equilibrio sta nel tentativo di inserire quanti i colori aiutano a dare maggiore ordine alle immagpiù prodotti possibile, da una parte, senza però afini dei volantini, e a contribuire alla logica “less is follare eccessivamente lo strumento di promozione. more” (ovvero meno confusione provoca maggiore Spesso purtroppo questo delicato equilibrio viene gradimento) l’effetto dei colori risulta sicuramente sacrificato sull’altare dell’inclusione massima. Ecpositivo. In questo caso i colori aiutano a definire co che la scelta dei colori diventa una soluzione gli elementi da visionare riducendo lo stato di ecindispensabile per mettere in evidenza gli aspetti cessiva attivazione fisiologica che è stata associache più devono essere attrattivi. Nell’analisi di efta a una valutazione negativa dello stimolo. L’uso ficacia dei colori con il neuromarketing è possibile

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* Vincenzo Russo è un professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing, Ph.D Coordinatore del Centro di Ricerca di Neuromarketing Behavior and Brain Lab presso lo IULM di Milano

di colori naturali, come per esempio il legno del tagliere su cui posizionare il salame, o l’ambiente di produzione riportato come sfondo del prodotto, provoca nei soggetti un’elevata attivazione fisiologica, attirando maggiormente lo sguardo e rendendo più memorizzabile il messaggio. Anche l’uso del colore giallo (più del rosso) ha una grade efficacia soprattutto nell’attirare l’attenzione dei consumatori sullo sconto. Tuttavia per ottenere il massimo effetto è sempre opportuno valutare l’effetto che ha in relazione al contesto e ad altri colori. Il rischio di colorare l’intera pagina di giallo, perché funziona, è spesso molto elevato rendendo inutile la scelta cromatica fatta. •

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Pillole Vienna House apre a Berlino

Estate romana al Salad Bar

Loison per festeggiare l’Italia

Il gruppo alberghiero austriaco Vienna House ha aperto a Berlino il ristorante Mavericks, in stile californiano. Situato a Lichtenberg, a soli 15 minuti dalla piazza Alexanderplatz, prevede piatti in stile California con influenze asiatiche, messicane ed europee. Il tutto accompagnato da una ricca selezione di vini della California e da un carattere distintivo del ristorante che combina legno, colori flash e l’aspetto chic-industriale di ottone e acciaio. L’ispirazione e il supporto per i sapori da Pacific Rim si devono a Philipp Vogel, noto chef di Colonia, che ha già calcato la scena culinaria di Vienna nel ristorante Edvard a Palais Hansen Kempinski. In qualità di guest chef a Berlino, ha lavorato con lo staff della cucina locale per creare un menu che offre molto di più dei classici BBQ.

L’Hotel Eden di Roma ha inaugurato il Salad Bar, uno spazio aperto e luminoso del Giardino Ristorante&Bar. Ideale per chi cerca un momento di pausa nella calda estate romana, il lunch al Salad Bar, leggero e saporito, è in linea con la filosofia healthy e gourmet dell’Executive Chef Fabio Ciervo. La terrazza all’aperto, la vista straordinaria sulla cupola di San Pietro e Villa Medici e il verde giardino verticale rendono l’esperienza ancora più piacevole. È aperto fino alla fine di agosto.

Il 4 giugno scorso, a Montreal, presso lo Stadio Olimpico “Saputo Stadium”, il Consolato Generale d’Italia ha organizzato una grande festa per omaggiare tutti gli italiani presenti nella città canadese, una comunità che conta 300mila presenze e che ha contribuito notevolmente alla crescita economica del Paese. La festa è stata organizzata in concomitanza con due anniversari: il 375esimo della Fondazione di Montreal e il 150esimo della Confederazione del Canada. Tra i prodotti tipici degustati per l’occasione, anche quelli firmati Loison: sia quelli della linea Frutta e Fiori, sia quelli ai gusti Classici, nonché i Biscotti Loison.

Boizel, aperitivo d’autore Ultime Extra Brut di Boizel è il risultato di un assemblaggio – 50 per cento Pinot Nero, 37 per cento Chardonnay, 13 per cento Pinot Meunier - che favorisce la ricchezza e l’espressione delle tre varietà di uva: uno champagne che può essere prodotto unicamente in anni di grande maturità. Nessuna liquer viene aggiunta al vino per “ammorbidirlo”, ma l’armonia viene raggiunta durante l’assemblaggio lasciandolo maturare lentamente sui lieviti da 6 a 8 anni. Prodotto con il 40 per cento dei vini di riserva, è uno champagne perfetto per l’aperitivo dell’estate e con la grande cucina italiana d’autore. Lo chef Paolo Barrale, del Ristorante stellato Marennà, espressione massima della cultura dell’accoglienza di Feudi di San Gregorio, lo propone in abbinamento al suo “risotto carciofi, menta e ventresca di tonno affumicata”.

Riso Buono nella Grande Mela Riso Buono ha preso parte al Summer Fancy Food Show, la più grande fiera dedicata all’industria alimentare ed alle sue innovazioni che si tiene a New York. Un’occasione che ha permesso al Carnaroli Gran Riserva, all’Artemide e alle Farine di Riso Buono di farsi conoscere dagli appassionati gourmet americani.

Nuovi rossi nel catalogo Pellegrini Pellegrini Spa ha annunciato l’ingresso a catalogo dei vini Roccapesta e Kollerhof, l’uno toscano, l’altro altoatesino. I vini Roccapesta provengono da vitigni autoctoni, le fermentazioni avvengono per mezzo di lieviti indigeni e non sono previste filtrazioni. Il terroir dal quale nascono questi vini è fatto di terreni duri, dove i sassi si mescolano all’argilla. I vini Lollerhof traggono invece origine nel Sud dell’Alto Adige, a 500 metri di altitudine, nella rinomata località di Mazon (o Mazzon), frazione del comune di Egna, zona tra le più vocate per la produzione del Pinot Nero. Su questo altopiano molto soleggiato, sorge la tenuta Kollerhof: i terreni sono ricchi di minerali, l’ambiente è caratterizzato da forti escursioni termiche; qui si coltivano, con metodo biologico, 4 ettari di vigneti di Pinot Nero. Nel bicchiere il Pinot Nero Kollerhof si presenta di colore rosso rubino, con aromi freschi e ricchi che ricordano ciliege e frutti di bosco.

Arla presenta il fresco spalmabile La novità per il mercato italiano di Casa Arla è il formaggio fresco spalmabile Arla Cream Cheese. Prodotto esclusivamente con ingredienti naturali, senza conservanti, stabilizzanti, additivi o coloranti di alcun tipo, è a base di latte scremato, latticello, panna, sale e fermenti lattici. È disponibile in tre diverse varianti: Naturale con il 25% di grassi, Light con il 16% di grassi, e Senza Lattosio con il 16% di grassi. Ideale per panini, toast, cracker e piadine, si presta molto bene anche per torte e dolci, per salse e mousse. Arla Cream Cheese è disponibile, sia in versione Naturale sia Light, anche nel secchiello da 1,5 chilogrammi pensato per il canale ho.re.ca.

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Ventitré medaglie per spiriti italiani Ventitré medaglie ‘spiritose’, di cui 8 Gold e 15 Silver, per altrettante grappe e acquaviti di diverse regioni d’Italia. Sono quelle assegnate durante il 34esimo Premio Alambicco d’Oro, promosso dall’associazione Anag, Assaggiatori grappa e acquaviti. Il concorso ‘spiritoso’, che conta sul patrocinio di Istituto Nazionale Grappa, Associazione Donne della Grappa e Camera di commercio di Asti, si conferma anche un’occasione per valorizzare il distillato di bandiera e una produzione ‘spiritosa’ 100 per cento ‘made in Italy’ capace di esaltare, con i suoi aromi e profumi, la passione per l’antica arte distillatoria, tramandata di generazione in generazione. Una passione che anima i produttori e li rende sempre più attenti a coniugare tradizione e innovazione, puntando a conquistare nuovi consumatori attraverso una crescente attenzione alla presentazione del prodotto, a partire dal packaging, e a una ‘cultura del buon bere consapevole’, obiettivo condiviso da Anag.

Il golf brinda con Pommery Nel prestigioso Circolo Golf Villa d’Este si è svolta la terza tappa della Pommery Golf Cup 2017. Grandissimo successo per le numerose e qualificate presenze, dove giocatori e ospiti hanno potuto apprezzare le esclusive peculiarità rappresentate dai prestigiosi brand degli sponsor presenti nel villaggio ospitalità. Letteralmente presa d’assalto la buvette Vranken-Pommery dove tutti i partecipanti sono stati conquistati dalla fresca vivacità di Royal Blue Sky, servito in bicchieri colmi di ghiaccio.


La foto di Artù

La cucina e la sala, ai massimi livelli: l’Executive Chef Andrea Aprea e il Restaurant manager Nicola Ultimo. Ristorante VUN del Park Hyatt Hotel, Milano, una stella Michelin.

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Alberto’s choice

Emergenti in Trentino La Locanda Camorz ANDREA ROSSI, GIOVANE E BRAVO

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Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza

Devo ringraziare Stefano Fambri e Davide Semenzato, rispettivamente Direttore commerciale e Brand Ambassador di Cantine Mezzacorona (quelli del Rotari e di Alpe Regis, per intenderci) se ho scoperto questo luogo di cucina semplice, schietta ma al tempo stesso estremamente curata, rigorosa nella scelta degli ingredienti e delicata nel risultato finale dei piatti. A Mezzocorona, fra Trento e Bolzano, noto oltre che per essere sede della Cittadella del vino per essere nel cuore della piana rotaliana, ci si fermava nei “soliti” ristoranti, per la verità tutti superiori alla media, per freschezza delle materie prime e ragionevolezza complessiva dell’offerta. Ma questa Locanda Camorz, dal nome del luogo, ha una marcia in più: innanzitutto la posizione, isolata

Due corone = Linea di cucina corretta

Una corona = Cucina dignitosa e affidabile

e tranquilla, di fronte a uno dei più bei vigneti di Teroldego della zona, ricco di grappoli sani e belli. Poi la sobrietà del locale, un ristorante arredato con gusto, di pochi coperti all’interno, con una terrazza che ospita quattro tavoli, fronte vigna, suggestivi ed insoliti. Ancora, la presenza di uno chef molto giovane, Andrea Rossi, 24 anni, di Roverè della Luna, a

Corona nera = C’è ancora molto da fare

Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza

Due cervelli = Ragionevole

Un cervello = Abbastanza ragionevole

Cervello nero = Scarsamente ragionevole

Al centro lo chef Andrea Rossi

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A Artù Numero 83 giugno/luglio 2017

Alberto’s choice

Direttore editoriale Alberto P. Schieppati - alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile Andrea Aiello

pochi chilometri da Mezzocorona, ricco di esperienze in cucine della zona (una per tutte, quella della Vecchia Sorni, sopra Lavis: un ristorante semplice e in splendida posizione dominante la vallata, dove opera uno chef innovativo che, a suo modo, ha fatto scuola). E Andrea, lasciata Sorni, da discepolo è diventato maestro, nel senso che ha optato per aprire il “suo” ristorante, defilato dai fluissi di traffico e forse, proprio per questo, ancora più esclusivo. Accolti da un giovane che vi accompagna al tavolo, i clienti si trovano su questa terrazza, al livello dei filari di Teroldego, che dà la sensazione di un’esperienza del tutto particolare. Agile e disinvolto, anche nelle spiegazioni dei piatti, il cameriere di sala sarebbe un esempio da imitare da parte di molti: bravo a descrivere i piatti, sintetico nelle descrizioni, attento a non interrompere gli ospiti durante le loro conversazioni. Il menù alla carta –cambia sei volte all’anno- della Locanda Camorz (che, nonostante il nome, non ha camere proprie, ma si appoggia su una struttura limitrofa, l’Antico Fienile Agritur) ci ha impressionati positivamente. Ma soltanto dopo avere assaggiato alcuni piatti, ci siamo resi conto del valore di Andrea, uno chef che non si è montato la testa e, pare, non ha alcuna intenzione di montarsela in futuro.

Gli antipasti, molto interessanti, spaziano dalla Melanzana, grigliata e servita con robiola di capra e pomodori confit (da togliere una “e” di troppo nella definizione in menù) all’Uovo allevato a terra (cotto a bassa temperatura a 65 gradi, fritto in crosta di polenta, servito con fonduta e salsa all’aglio orsino), le Polpettine (eccellenti, carne di “vacca vecchia” con salsa di pomodoro fresco e purè di patate, il Salmerino affumicato, affettato e servito con pan brioche e riccioli di burro trentino. Il capitolo primi è fortemente orientato al territorio, senza fanatismi da km zero ma con sana aderenza alle materie prime della tradizione locale: le Crespelle con asparagi di Zambana e fonduta leggera al gorgonzola, la Mezzaluna di mirtilli, pasta fresca con ripieno di cervi, serviti con burro e mirtilli rossi, gli Gnocchi di patate, fatti ovviamente dallo chef,serviti con pesto di rucola e code di gambero, il Conchiglione Monograno Felicetti, selezione Matt con crema di piselli freschi, robiola di capra e scorza di lime. I secondi sono tutti importanti, ovvero sanno abbinare qualità a quantità delle porzioni: il Lombo di cervo in crosta di erbe aromatiche, crema di ceci e finferli saltati, il Salmerino alpino, ovvero filetto alla piastra in crosta di pistacchi e insalata di finocchio all’aneto, il Maialino da latte (perfetto, mi ha ricordato quello di un altro giovanissimo chef, Pietro Zamuner, del milanese Cuccà), servito con eccellente purè alla nocciola e gelatina di mele Golden, il Roast beef di Angus servito freddo su insalata e cubetti di melone. Da non sottovalutare i contorni, non semplici comprimari ma espressione di rara succulenza, che emana anche alla semplice lettura: Patate saltate al timo, o Purè di patate fatto come Dio comanda. I dolci vanno provati: Semifreddo al torrone e scaglie di cioccolato su letto di salsa al cioccolato, la Crostata di cannella con marmellata di rabarbaro e gelato alla mandorla tostata, la Ciambella di polenta, fritta e servita con gelato alla vaniglia e salsa di mirtilli rossi. La carta dei vini è ricca dio proposte trentine, ricaricate con intelligenza ed onestà. I prezzi sono oltremodo ragionevoli: un pasto completo difficilmente super i 40 euro, per un’esperienza davvero memorabile. Ma lo chef Andrea Rossi non si ferma qui, visto che ha recentemente inventato un “Panino Gourmet”, una sorta di Club Sandwich composto da pane al sesamo con hamburger di vacca vecchia, formaggio di media stagionatura d’alpeggio, uovo all’occhio di bue, speck croccante, scalogno brasato al vino, insalata e patate al forno. Su prenotazione, Andrea è disponibile a preparare per voi una Fiorentina di carne Chianina, selezionata da un piccolo allevatore toscano, con contorni a piacere. Il peso? Beh, almeno un chilo e tre a testa, come impone la tradizione…

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Artù giugno/luglio 2017

In redazione Emanuela Stìfano - emanuela.stifano@edifis.it Contatti artu@edifis.it - www.artumagazine.it _______________________________________________________________

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Iniziative speciali: Cristina Fagioli - cristina.fagioli@edifis.it Andrea Ragusa - andrea.ragusa@edifis.it _______________________________________________________________

Grafica e impaginazione Daniele Scozzari

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