Artù 07-08 2014

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Artù n°63 - Luglio - Agosto 2014

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Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati

La Cave Privée di Veuve Clicquot: una straordinaria selezione di millesimi Carne, la Wagyu di Luca Brasi e la frollatura secondo gli inglesi di Eblex Lusso e alta cucina si fondono a Villa Serbelloni, grazie a Bucher e Bocchia Nuovi format crescono: Drogheria Parini, Vita Nova, Griglia di Varrone Wine experience: Lagrein Urban, la verticale di Villa, i vigneti dell’Etna

Luglio Agosto 2014

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EDITORIALE n°63

START UP? Si fa un gran parlare, in questi tempi disgraziati, di start up, di nuove imprese, di newco, e chi più ne ha più ne metta. Sull’argomento c’è una discreta confusione, dettata da necessità e inquietudine sociale, oltre che da legittima, auspicabile, voglia di fare. Certamente, in un momento di economia recessiva (ovvero, quando la liquidità, quella sana, è carente), è d’obbligo “aguzzare l’ingegno”, cercando di inventarsi nuovi modi per vivere, sopravvivere o, se l’idea funziona ed è vincente, guadagnare. Il concetto stesso di start up nasconde uno sforzo appassionato di energie, un investimento ideale (e non solo) sul rischio, la volontà di buttarsi in un business che, quantomeno all’inizio, ha costi certi e ricavi incerti. L’impressione, quando si sente parlare di questi argomenti, è di trovarsi di fronte a una sorta di movimento utopico, in cui si fondono - in versione apparentemente innovativa - elementi di veterocapitalismo, da un lato, e di vaghe reminiscenze culturali marxiane, dall’altro. Con l’aggiunta di una buone dose di fatalismo. Come se bastasse sognare, insomma, per raggiungere risultati tangibili. Sappiamo bene che non è così, né in Italia né altrove. Il “cuore oltre l’ostacolo” è un lodevole assioma, di cui fare tesoro, ma che si scontra con una realtà ostica, segnata da una mentalità datata, scarsamente imprenditoriale, insufficiente sotto l’aspetto culturale. Prendiamo il nostro settore: nel biennio 2012-2013 hanno chiuso i battenti migliaia di attività di somministrazione (soprattutto bar e ristoranti, spesso dalle gestioni “stanche” per non dire vecchiotte), ma non si sono registrate altrettante aperture di locali, che

andassero a compensare l’emorragia. Si chiude, ma non si riapre in uguale misura. La contrazione generale dei consumi non perdona, non fa lo sconto a nessuno. Eppure, sono tanti gli esercizi che lavorano e fanno profitti: ma questi ultimi sono avidamente rosicchiati dalla pressione fiscale spropositata (e presuntivamente collegata a giri d’affari inesistenti). A risentirne sono la motivazione, l’entusiasmo, la passione. Quando vengono meno questi valori, ecco affacciarsi finan-

ziatori d’assalto, che “coprono” spese e “risciacquano” denaro sporco. Senza professionalità, senza etica, senza cultura d’impresa. Hanno voglia i teorici delle start up a parlare di “content redistribution”, ovvero di ridistribuzione dei contenuti! O della necessità di “radically democratize” il mercato e le esigenze della domanda… . Certo, qualcosa si muove, nuovi format nascono e cercano di consolidarsi sulla base di idee nuove. Nell’aria si sente una discreta voglia di cambiare, di essere sempre “sul pezzo”, magari offrendo ai clienti prodotti diversi, effettivamente legati al territorio, quando questo è possibile. O comunque fuori dagli schemi. In tal senso, ci pare importante segnalare lo sforzo di alcuni grandi della ristorazione che, mossi

da notevole inventiva, creano nuove formule (non minimaliste) e scoprono inedite realtà di prodotto. Fra questi, va segnalato Claudio Pasquarelli (a Bergeggi, il miglior pesce di Liguria): da poco ha introdotto in menu le ostriche di Lerici, nel Golfo dei Poeti. Dopo cent’anni, qui è ripresa l’attività di ostricoltura: questa è, in un certo senso, una vera start up! Claudio, Christian (il figlio, in sala) e Lara (la figlia, chef) hanno così soppiantato le più costose e lontane ostriche bretoni in onore di un prodotto eccellente, del posto e capace di valorizzare l’economia locale. Perché oggi, per restare sul mercato, non basta essere bravi. Bisogna anche saper cogliere le migliori opportunità. Con un’attenzione nuova e con quell’ambizione “puntuta” che porta risultati inaspettati. Alberto P. Schieppati Artù n°63

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In copertina: l’Hotel Cipriani di Venezia, alla Giudecca. Location esclusiva, nella capitale mondiale del turismo, ha appena rinnovato la propria offerta di ristorazione. Alla guida della cucina c’è ora Davide Bisetto, una giovane promessa di talento.

Info people Lo chef Peter Brunel approda sul Lungarno di Claudio Zeni La Wagyu di Luca Brasi Info brand Vino in Villa: vent’anni di emozioni di Elisa Facchetti Dry Aged Beef: frollatura, un must di Elisa Facchetti Focus wine Etna: la terra di fuoco che magnifica il vino di Rocco Lettieri Veuve Clicquot Cave Privée, millesimi grandiosi di Alberto P. Schieppati Lagrein Urban, una selezione affascinante di Giovanna Moldenhauer Focus food Villa Serbelloni, quando soffia il Mistral di Alberto P. Schieppati A piedi nudi sulla spiaggia. La Romagna è speciale di Stefano Bonini Quando lo chef non cade nella rete di Stefania Zolotti Protagonisti food Cipriani a Venezia, un mito resistente di Gualtiero Spotti Fabio Baldassarre cuoco a Taormina di Theo Smith Format food In Drogheria alla ricerca del meglio di Luisa Contri Milano verticale, identità carnivora di Fiorenza Auriemma Vita Nova, la grinta bresciana di Luisa Contri Corporesano Il latte al posto del latte di Corporesano Magazine Accueil Punta Tragara, Capri va alla grande di Gualtiero Spotti Kempinski di St. Moritz da 150 anni sempre al top di Elisa Facchetti Equipment Electrolux Professional efficienza e flessibilità in cucina di Elisa Facchetti News Nuovi chef stellati, birra, Pommery, San Daniele e riso Libri I macellai portano i capelli corti di Elisa Facchetti Secondo Alberto Rovello 18, professionisti con la P maiuscola di Alberto P. Schieppati

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Lo chef Peter Brunel approda sul Lungarno di Claudio Zeni Dal 7 luglio il giovane chef trentino Peter Brunel ha preso le redini della cucina del Caffè dell’Oro, il caffè-ristorante con formula "all day dining", attiguo al Portrait Firenze, l’esclusiva "residenza" a due passi da Ponte Vecchio, da poco inaugurata da Lungarno Collection, società di gestione alberghiera di proprietà della famiglia Ferragamo. Classe 1975, originario della Val di Fassa, Peter Brunel vanta un’esperienza ben consolidata nel settore della ristorazione. Dopo il diploma all’Istituto alberghiero di Tesero si trasferisce a Bolzano, dove inizia a muovere i primi passi nell’alta cucina sotto la guida dello chef Giorgio Nardelli al Parkhotel Laurin. Nel 2000 approda al Villa Negri di Riva del Garda, dove, nel 2003, a soli 28 anni conquista l’ambita stella Michelin. Passa poi alla guida del ristorante Chiesa di Trento e dal 2010 coordina il Ristorante Palagio59 a Rignano sull’Arno, dove nel 2012 diventa autore di “Chef’s Circus”, una serie di appuntamenti gastronomici du-

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rante i quali grandi chef stellati uniscono la loro fantasia culinaria alle dolci note del live jazz. In tutti questi anni Peter Brunel ha investito molto nella sua formazione e ha acquisito esperienza, anche in Francia, presso ristoranti stellati; ha fatto parte della Nazionale Italiana Cuochi e nel 2010 è stato selezionato da Triennale Design Museum per partecipare, esponendo opere di food design, alla mostra “The New Italian Design”, andata in scena inizialmente presso il Museo d’Arte Contemporanea di Istanbul, per poi spostarsi, nel 2012, a Pechino. Ruolo chiave per la sua crescita professionale l’ha giocata la sua predisposizione alla continua ricerca e una sensibilità che, spingendosi ben oltre la soglia della cucina, si rivolge spesso ai mondi dell’arte e dell’architettura come fonti di ispirazione da cui trarre nuove idee per la presentazione delle sue creazioni culinarie. Il suo concept miscela sapientemente tradizione e innovazione; la sua cucina è raffinata, creativa; utilizza ingredienti insoliti e preziosi provenienti da ogni parte del

mondo, senza però dimenticare di mantenere vive le tradizioni della propria terra. E ora l’incontro con Lungarno Collection in qualità di Executive Chef di tutti i suoi outlet ristorativi, a partire dal nuovo nato Caffè dell’Oro. Anche qui propone una cucina raffinata con l’utilizzo delle materie prime del luogo: salumi e formaggi selezionati tra i migliori toscani e italiani (da provare il Grigio del Casentino per rimanere senza parole), la chianina di Dario Cecchini di Panzano in Chianti, la pasta Verrigni, le uova di Paolo Parisi… . Un sapiente mix di tradizione e originalità per il risotto al caciucco con briciole di pane toscano, il tiramisù con cantucci e vin santo, per la caprese all’italiana con mozzarella fior di latte, bufala e burrata… . Non mancano incursioni nelle più importanti cucine regionali come gli gnocchi con il ragù alla bolognese, i mediterranei spaghetti con bottarga e limone pestato o la minestra campana di bietole e polpettine. oro@lungarnocollection.com


CINQUESTELLE CROCCANTINO


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info people

La Wagyu di Luca Brasi Che venga massaggiato a mano, come si dice per il manzo di Kobe, è quasi certamente una favoletta. Ma che il Wagyu (è questo il vero nome del bovino tipico giapponese) sia una razza unica ed inimitabile è fuor di dubbio. Secoli di selezione, di utilizzi specifici e di alimentazione particolare hanno dato origine ad un bovino che fornisce una carne caratteristica, infiltrata di grasso buono (la percentuale di monoinsaturi è molto elevata e di contro il contenuto in colesterolo è nettamente più basso rispetto alle altre razze). Alla degustazione sia a crudo che a maggior ragione dopo la cottura, la carne risulta così di una succulenza eccezionale, possiede quel quid di sapore in più che sempre i giapponesi definiscono umami. Grande qualità dunque per il Wagyu, ma difetti? Il primo il costo, molto elevato; il secondo il fatto che provenendo dall’altro capo del mondo la carne viaggia in sottovuoto, senz’osso. Ma c’è un modo per provarla senza svenarsi ed al massimo del suo potenziale organolettico. Da alcuni giorni (con serata di presentazione ufficiale lo scorso 20 maggio) la carne dell’unico allevamento italiano di Wagyu 100% è disponibile alla Braseria, l’insegna specializzata in carne e spiedo nel centro di Osio Sotto (via Risorgimento 17; tel. 035 808692). La famiglia Borletti, titolare dell’azienda agricola Tenuta Cà Negra di Venezia dove vengono allevati, ha affidato in esclusiva per l’Italia al patron Luca Brasi la possibilità di servire la carne di manzi che vengono allevati ed alimentati secondo il sistema tradizionale protraendo l’ingrasso fino ai 30 mesi rispetto ai 22 delle razze convenzionali. Il menu degustazione con cinque portate è proposto a 65 euro vini esclusi (vini inclusi a 85 euro). Se invece si vuole addentare una fiorentina bisogna mettere in conto 19 euro all’etto (fate voi i calcoli considerando che una bella bistecca per due pesa circa un chilo). E.G.

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Vino in Villa Vent’anni di emozioni di Elisa Facchetti La Verticale di Villa Franciacorta giunge alla XX edizione portando in degustazione 10 annate di Cuvette, la celebre etichetta protagonista del 2014 icona della Cantina di Monticelli Brusati. Lo sfondo di Borgo Villa ha regalato anche quest'anno momenti di eccezionale valore attraverso la degustazione di 10 annate tra storia, evoluzione e grande personalità dei Franciacorta Villa. Come ogni anno, la famiglia Bianchi e lo staff tecnico della Cantina, hanno accolto la stampa specializzata, opinion leaders e il team commerciale per offrire una memorabile esperienza, con una degustazione guidata di 10 annate di Cuvette: 1992, 1994, 1998, 2000, 2001, 2002, 2004, 2005, 2006 e 2007 en primeur, disponibile sul mercato dal prossimo dicembre. Simbolo dell'azienda, Cuvette rappresenta per Villa Franciacorta il forte legame al territorio e alla storia

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della famiglia, a partire dal nome: "cuvette" significa "conca" e identifica un cru omonimo localizzato in una sorta di avvallamento naturale sul lato sinistro della collina Madonna della Rosa, da cui provengono le uve. Ma non solo. La storia di Cuvette sancisce un legame ancora più forte, quello delle nozze di Roberta, figlia di Alessandro Bianchi che per l'occasione creò un Franciacorta con le migliori uve di tre varietà della vendemmia '83, Chardonnay, Pinot nero e Pinot bianco. Nasce così Cuvette e l'idea di riproporre ogni anno una selezione delle migliori vendemmie in quantità limitata, protagonista indiscussa dello Sparkling Menu e della filosofia della bollicina a tutto pasto, come era accaduto per il matrimonio di Roberta in cui Cuvette accompagnò ogni pietanza. La Verticale ha infatti aperto le danze con il percoso evolutivo che ha caratterizzato le diverse vendemmie negli anni di riferimento illustrato da Corrado Cugnasco, enologo, ed Ermes Vianelli, responsabile della produzione, per poi proseguire con la degustazione tecnica guidata da Fabrizio Penna, con il prezioso contributo di Giovanni Creminati, sommelier di grande esperienza nonché da diversi anni delegato AIS per la provincia di Brescia. “Sono particolarmente emozionata - commenta Roberta Bianchi di celebrare la ventesima edizione di Villa in Verticale con la Cuvette, non solo perché le sono legata da motivi affettivi, ma anche perché credo che sia il prodotto che per certi aspetti identifica l’essenza della nostra Azienda. Da an-

ni, infatti, lavoriamo nel rispetto dell’ambiente e delle peculiarità del territorio affinché chi beve le bollicine Villa possa leggere nei diversi millesimi le sfumature e le caratteristiche di ogni singola annata, i gusti raffinati e i bouquet inconfondibili che derivano esclusivamente dalle uve coltivate nei nostri terreni di proprietà”. Un prodotto certamente di carattere che oggi riposa fino a oltre 70 mesi sui lieviti, ottenuto da un’accurata selezione di Chardonnay (85%) e Pinot nero (15%) per esprimere al massimo la sua personalità: riflessi dorati, perlage fine e persistente, di notevole morbidezza, dotato di un bouquet intenso in cui si avvertono sensazioni di crosta di pane morbido, frutta e spezie dolci.



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Dry Aged Beef Frollatura, un must

di Elisa Facchetti

provenienti dai pascoli inglesi a essere trattati direttamente dall'azienda friuContinua all'insegna della qualità lana, un taglio dalle eccellenti qualità l'importante lavoro svolto da Eblex, organolettiche, lavorato con un trattal'Ente di promozione dell’Industria mento particolare di frollatura e staInglese delle carni. Oggi, in Italia, in gionatura. Si tratta del Dry Aged Beef: partnership con Jolanda de Colò, "Da sempre la nostra azienda seleziona azienda friulana produttrice e sele- e commercializza solo prodotti di alto zionatrice di specialità alimentari, al livello e il Dry Aged Beef è una carne fine di promuovere il Dry Aged Beef. perfettamente in linea con la nostra offerta e con la nostra filosofia di È stato siglato di recente l'accordo tra elevata qualità - commenta Bruno PesEblex e Jolanda de Colò, in base al sot, amministratore delegato dell’azienquale saranno i migliori tagli di bovino da di Palmanova -. La nostra esperienza

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e il nostro know-how nella trasformazione di materie prime ci permettono di dar vita a prodotti eccellenti e innovativi, sia in termini di gusto sia in termini di lavorazione, e la nostra carne ‘dry aged’ ne è sicuramente un esempio”. In celle frigorifere per 21 giorni, le mezzane subiscono un processo di lenta "asciugatura" e il risultato è una carne tenera, dal colore rosso scuro e dalla consistenza compatta. A degustarla in anteprima un selezionato gruppo di giornalisti e opinion leader, tra cui anche il direttore di Artù Alberto P. Schieppati, alla presenza di Bruno Pessot, amministratore delegato di Jolanda de Colò e Jeff Martin, responsabile dell’ufficio italiano di Eblex: "Solo una carne di alto livello può essere adatta a lavorazioni speciali come il ‘dry aging’ perché la qualità finale di una ‘bistecca perfetta’ è data dalla somma di più componenti. Siamo pertanto molto contenti di presentare oggi al mercato italiano questo nuovo prodotto per la ristorazione, frutto di una materia prima d’eccellenza lavorata in modo sapiente e con estrema professionalità”. Non plus ultra del range "dry aged" il Dry Aged Beef 5 coste St. George, metodo che sottopone la carne inglese a cicli di stagionatura naturale a umidità e temperatura controllata, fino a 30 giorni di asciugatura.


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Etna: la terra di fuoco che magnifica il vino

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di Rocco Lettieri Sull’Etna la vite ha una storia antichissima. Essa già esisteva prima della comparsa dell’uomo. Furono i Greci a portare in Sicilia il sistema di allevamento della vite ad alberello, le tecniche di vinificazione e la cultura del vino. Nel periodo romano i vini prodotti sull’Etna avevano notevole fama: Strabone e Teocrito, nei loro scritti, trattano ampiamente dei vini etnei e della viticoltura praticata alle falde del vulcano. Con gli Aragonesi, nel 1435, si registra a Catania la costituzione di un’importante associazione di viticoltori: la “Maestranza dei Vigneri”. Questa corporazione di contadini-viticoltori dell’Etna, creò le basi per una professionalità vitivinicola di cui protagonisti erano gli stessi produttori. Dopo 570 anni, “I Vigneri” è una realtà operante sull’Etna e in Sicilia orientale. La nuova Maestranza de I Vigneri, oltre a fornire manodopera viticola professionale e specializzata per la coltivazione dell’alberello etneo, svolge dal 2000 la selezione massale dei vitigni autoctoni della Sicilia orientale e la formazione dei giovani viticoltori, recuperando le antiche tecniche viticole in uso nell’Etna, dimenticate e spesso osteggiate dalla nuova politica vitivinicola locale. I Vigneri, in quasi quindici anni di attività, hanno impiantato, ristrutturato e coltivano più di 40 ettari di vigneti in Sicilia Orientale, in particolare sull’Etna. I Vigneri significa un nuovo modo di fare viticoltura, nato nel territorio etneo, attraverso una ricerca storica, sociale e tecnica finalizzata ad una vitivinicoltura di “eccellenza”, che utilizza strumenti e sistemi non invasivi, nel rispetto della tradizione e dei propri antichissimi vitigni. Lo spirito è il piacere di ben lavorare e fare, senza frenesie, in armonia prima di tutto con se stessi e quindi con tutto quello che ci circonda: ambiente, natura, il vulcano Etna, di cui ci si sente parte viva. I Vigneri è anche un sistema organico di fare vitivini-

coltura nel pieno rispetto dell’ambiente e dell’uomo. La storia ci dice che tra il 1880 e 1890 la vitivinicoltura, nel massiccio etneo, raggiunge un’importanza economica e sociale considerevole. Nei magazzini del porto di Riposto confluivano i vini di tutte le contrade etnee per essere imbarcati e via mare raggiungere le innumerevoli destinazioni. Nessuna zona dell’Isola, all’epoca, registrava una concentrazione così elevata in superficie vitata. Le aziende vitivinicole etnee, pur a carattere padronale, si estesero così tanto da far diventare Catania la prima provincia siciliana per superficie vitata e su Regio Decreto, nel 1881, fu fondata la Scuola Enologica, tra le prime in Italia. L’11 agosto 1968, con Decreto del Presidente della Repubblica, i vini Etna rosso, Etna rosato, Etna bianco ed Etna bianco superiore, sono stati tra i primi in Italia ad essere riconosciuti a Denominazione di Origine Controllata. Oggi dire Etna sta a significare un personaggio che dalla nascita ha vissuto, lavorato, studiato, scritto e propagandato le difficoltà che si incontrano in questa particolare regione: Salvatore Foti, classe 1962. Diplomato enologo nel 1981, inizia la sua carriera

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con note aziende siciliane dell’agrigentino, ragusano, trapanese, ma soprattutto con aziende etnee dove ha partecipato alla nascita di realtà vitivinicole oggi leader in questa zona. Foti è un uomo schivo che parla molto e bene del suo lavoro. Fa l’enologo, vive sull’Etna e conosce ogni versante del vulcano vitato. Lui, all’enologo, preferisce la definizione di “tecnico viticoltore”, cioè uno che ci pianta le mani, studia gli impianti, i terreni, quanta aria circola tra le piante, dove fare i tagli. Poi dopo, certo, c’è anche la cantina, ma solo dopo. La sua magnifica ossessione si chiama vite ad alberello, uno dei sistemi di allevamento più antichi al mondo che, insieme alle particolari condizioni pedoclimatiche dell’Etna, crea un ambiente quasi primordiale. Sono piante come bonsai che, soprattutto nel lato Nord, danno vita a veri e propri giardini caotici, uve diverse da piante di età diverse, che arrivano fino a 200 anni e qualcuna anche di più. E si è impegnato in alcune pubblicazioni: Etna. I vini del Vulcano, La Sicilia del Vino, La Montagna di

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fuoco. Nel Duemila, Salvo Foti, crea sull’Etna un’associazione di viticoltori professionisti: I Vigneri. Trova man forte in Maurizio Pagano, un etneo di Randazzo, con temperamento vulcanico, classe 1967, proveniente da una famiglia da sempre impegnata in viticoltura. Inizia la sua carriera di viticoltore sin da giovanissimo, seguendo con entusiasmo prima il nonno e poi il padre e lo zio. Nel 1985 l’abbandono dei vigneti etnei e la chiusura coatta dei Palmenti-Cantine dell’Etna costringono Maurizio, come tanti altri viticoltori, ad emigrare all’estero, per mancanza di lavoro. Dopo un periodo trascorso in Germania, come operaio in fabbrica, Maurizio decide di rientrare sull’Etna dove inizia a coltivare i piccoli vigneti di quei proprietari che, resistendo all’abbandono e all’estirpazione, incentivata dalla politica vitivinicola del tempo, continuano la produzione di vino. È un lungo periodo in cui si prende cura della coltivazione di piccolissimi vigneti di proprietà di anziani che producono il vino per consumo familiare e per la vendita, allo stato sfuso, ai consumatori lo-


cali. Nel 1999 incontra Salvo Foti con cui inizia a collaborare in un piccolo vecchio vigneto di soli 2100 mq e a 1246 di altitudine (il vigneto più alto d’Italia, ai piedi dell’Etna). Anziché estirpare la vecchia vigna, decidono di ristrutturarla e recuperarla, come si faceva una volta, utilizzando vecchi sistemi di coltivazione e aratura con il mulo. Maurizio e Salvo, nel giro di poco tempo, recuperano altri ettari di vigne centenarie, tra i 700 e i 900 m slm e quindi, come detto, un anno dopo rifondano la Maestranza dei Vigneri, a cui ad oggi partecipano ben otto aziende associate e tutte imbottigliano il vino in una bottiglia unica riportante un vecchio tralcio stampigliato a fuoco. ETNA: terra da vitigni autoctoni centenari La fillossera fece i danni. Ma qui sull’Etna, tra ceneri e lapilli, l’animaletto maledetto non riuscì nel suo intento. Molte le viti sopravvissute e ancora in ottima salute. Tra i principali vitigni autoctoni della zona etnea troviamo: Nerello Mascalese, Grenache (Alicante), Nerello Cappuccio e i bianchi: Carricante, Catarratto e Minnella. Il Nerello Mascalese, da sempre la cultivar più diffusa nella zona etnea di Mascali, alle falde dell’Etna, si coltiva da almeno quattro secoli. È un vitigno di grande vigoria vegetativa e produttiva condizionato, sull’Etna, dall’annata, dalla

zona in cui viene coltivato, dal sistema d’allevamento, dalla densità d’impianto e dalle pratiche colturali impiegate. Questo comporta una notevole variabilità qualitativa delle uve a maturazione, specie a carico d’alcuni costituenti polifenolici. Il Nerello Mascalese difficilmente produce più di 70 q.li per Ha. Dal Nerello Cappuccio, coltivato sull’Etna, si produce un vino che unito nella percentuale del 15-20% con il Nerello Mascalese, dà vini rossi dalle spiccate caratteristiche di tipicità e particolarmente adatti all’invecchiamento. L’Alicante è un vitigno di origine spagnola che venne introdotto a, Randazzo da un enologo alla fine dell’800. Le oltre 50.000 viti di Alicante sono tutte concentrate in agro "Gurrida" a Randazzo. Il Carricante, da sempre esclusivamente coltivato nella zona etnea, è un antichissimo vitigno selezionato dai viticoltori di ViaArtù n°63

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Ante, Vigna di Milo e Vinujancu; e i rossi Suber, Il Vino dei Vigneri, I Vigneri, Vinupetra, Alnus, Pistus, Aethenus, Arundo, Nero Ossidiana, Nerosichilli e Profumo di vulcano (ultimo entrato di Federico Graziani, illustre sommelier per molti anni da Aimo&Nadia e autore di libri sui vini). Un Passito di Pantelleria e una Malvasia delle Lipari. Il corso per studenti Questo loro lavoro è diventato un corso di formazione, un’occasione per imparare le antiche tecniche viticole in uso nell’Etna. “L’idea di questo corso - ci dice Salvo Foti - nasce dall’interesse riscontrato grande (versante Est), solitamente nelle intorno alla tecnica dell’alberello etneo. contrade più elevate, dove il Nerello Ma- Tanti giovani, anche stranieri, hanno scalese difficilmente maturava o nei vi- fatto brevi esperienze con noi e abbiamo gneti in miscellanea con lo stesso Nerello avuto tante richieste anche dall’estero. Mascalese e con la Minnella bianca Il corso vuole dare una visione completa (altra cultivar autoctona). Il Catarratto cercando di tenere in considerazione bianco è un vitigno antico della Sicilia tutto l’anno come periodo di produzione”. conosciuto e coltivato da tempo remoto I primi iscritti sono arrivati dall’Inghilterra e che ancora oggi caratterizza la viticoltura e dal Giappone. Hanno cominciato e dell’isola. È diffuso in quasi tutta la continueranno a lavorare in vigna, fianco Sicilia, in particolare nelle province di a fianco con i viticoltori, e impareranno Trapani, Palermo, Agrigento e Catania. a gestire un vigneto coltivato ad alberello Della Minnella bianca non si conoscono etneo. Riposti gli attrezzi di lavoro, ci sale origini. È coltivato nei comuni alle ranno lezioni teoriche per studiare argopendici dell’Etna. Solitamente questa menti come estetica ed eccellenza delvarietà viene allevata in vigneti promiscui l’alberello etneo, l’impianto del nuovo con le altre uve bianche di Carricante e vigneto, le cure del terreno prima e Catarratto. Da queste uve “I Vigneri” e dopo l’impianto delle barbatelle, il terle nove aziende associate: Ferrandes razzamento in viticoltura, teoria della (Pantelleria); Meridio di Chiaromonte potatura secca, conoscenza delle maGulfi; I Fenicotteri di Pachino; Manenti lattie, trattamenti fitosanitari e precauzione Guglielmo di Donnalucata di Ragusa; nell’uso di tali prodotti, teoria della poGianfranco Daino di Caltagirone; Tenuta tatura verde, impianto delle barbatelle, di Castellaro (Lipari); I Custodi delle scacchiatura e spollonatura, palificazione Vigne dell’Etna di Castiglione di Sicilia; e sfogliatura. Per chiudere poi tutto con Salvatore Foti di Mineo, propongono la vendemmia a inizio ottobre. circa 20 etichette. Un rosato Brut: Vinudilice; due rosato fermi: Rosa Caolino e www.ivigneri.it Alnus; quattro bianchi: Bianco Pomice, www.salvofoti.it

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Veuve Clicquot Cave Privée, millesimi grandiosi

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di Alberto P. Schieppati Non capita tutti i giorni di degustare prodotti memorabili. Se parliamo di Champagne, poi, pur essendo la qualità un dato indiscusso e comune a molte maison, sappiamo bene che non è così frequente provare esperienze che lasciano il segno. Recentemente, questa opportunità è stata offerta da Veuve Clicquot, che ha organizzato un incontro (i cui contenuti sono stati “segretati” fino allo scorso giugno) per presentare una collezione di magnifici vini che, per la loro elevata qualità e per il potenziale di invecchiamento, si pongono in modo inoppugnabile come una vera “chicca” nell’universo dello Champagne. Teatro dell’incontro è stata la Hostaria Glass di Roma, mirabilmente condotta da Cristina Bowerman, chef di straordinario e caratterizzato stile culinario. Al cospetto di un menù di cinque portate, l’enologo di Veuve Clicquot, Cyril Brun, insieme a Francesca Terragni, brand director Italia di Veuve Clicquot, ha presentato a un ri-

stretto gruppo di giornalisti la Cave Privée della Maison: una collezione di vini grandiosi, preservati per decenni con dedizione e cura nelle cantine di gesso. Già nel 2010, per celebrare il bicentenario del primo Millesimato, lo Chef de Cave Dominique Demarville aveva aperto le porte della cantina privata Veuve Clicquot, in rue de Temple 12, a Reims: fu un evento di grande suggestione, che diede il via alla successiva scoperta di questa collezione, che rappresenta la memoria storica della Maison. Ora, a quattro anni di distanza da quell’incontro indimenticabile, Veuve Clicquot ci sorprende con la nuova collezione di Millesimi, sia Blanc che Rosé. Attentamente scelti dopo l’apposito dosaggio e sboccatura, questi capolavori dell’arte enologica vengono proposti in bottiglie, in Magnum o Jéroboam, anche per consentire di degustare uno stesso vino in formati differenti, in modo da sperimentare diverse sensazioni organolettiche. Le dimensioni della bottiglia, non a caso, determinano

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la quantità di aria che il vino assorbirà nel tempo e che ne influenzerà il potenziale per un ulteriore invecchiamento. Più è grande la bottiglia, minore è la quantità di aria presente in proporzione al vino, rallentando così il processo di invecchiamento e mantenendone viva la complessità aromatica, ma anche “la cremosità e la sottile, fine effervescenza”, come ha sottolineato Cyril Brun durante la degustazione. “Ogni Millesimato è l’espressione unica di una particolare vendemmia, scelta per la sua particolare qualità. Vengono selezionate solo le più raffinate uve dai Premier Cru e Grand Cru di Pinot Noir, Chardonnay e Pinot Meunier. Le variazioni climatiche - sottolinea Cyril Brun - contribuiscono a determinare la personalità di un vino Millesimato: diverse combinazioni di tempo, sereno e nuvoloso, ventoso e piovoso, possono renderlo robusto e morbido, setoso o secco, più o meno opulento”. In questo senso, possiamo dire che, nonostante lo stile della maison sia sempre mantenuto, le caratteristiche dell’annata stabiliscono un’identità precisa per ogni Millesi-

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mato. Le bollicine della Cave Privée sono state abbinate ai geniali piatti di Cristina Bowerman, che ha concepito un menù a base di tartare di filetto di manzo con arancia, capperi, tobiko e wasabi, seguito da roastbeef in crosta di caffè e microverdure, raviolini di Parmigiano 60 mesi con asparagi, pluma di maiale, salsa al pop corn, okra, semifreddo allo yogurt, olio alla melissa, germogli. La serata ha avuto come protagonista d’apertura il Cave Privée 1990 Rosé, con le sue sfumature cromatiche ramate, intense e luminose. Al naso è una vera esplosione di aromi, il frutto rivela note di ciliegie e pan di zenzero, venate di liquirizia e torba. In bocca risulta vellutato, con delicato e finissimo perlage che denota morbidezza estrema. La sua lunghezza sembra interminabile, la potenza del Pinot Noir offre un carattere ampio e vinoso. A seguire il Cave Privée 1989 Blanc ha confermato l’eccezionalità di quell’annata, che si ricorda per il caldo straordinario e che, quindi, vide affermarsi vini di carattere, pieni, rotondi. Come questo, che rivela immediatamente in bocca una freschezza inattesa, forse imprevedibile. Un Millesimato sorprendente, “destinato a crescere ulteriormente nel tempo: già pienamente corposo, lascia intravedere in prospettiva la forza che mostrerà nei prossimi vent’anni”, sottolinea Cyril Brun. Interessante, per questo Millesimato, il confronto con il vino in Magnum: sembra di essere in presenza di un altro vino! Più fresco, più giovane, con note di albicocca fresca e agrumi… . Come se la permanenza nel grande formato avesse rallentato lo sviluppo del vino, regalandogli una personalità più caratterizzata, nel senso della salinità e della mineralità, rispetto allo stesso prodotto in bottiglia. Cave Privée 1982 Blanc: dopo due annate consecutive di vendemmie ridotte,


il 1982 è stato un anno particolarmente abbondante in Champagne. Il clima di fine estate è stato eccezionale e ha permesso alle uve di maturare adeguatamente. Il blend del 1982 vede solo 2/3 di Pinot Noir e 1/3 di Chardonnay che danno vita a un Millesimato molto delicato, provvisto di una effervescenza sottile e leggera, che si sviluppa lentamente. Ricco al naso, con sentori di frutta secca, accenni di cacao, caramello al burro salato e agrumi canditi, sorprende poi in bocca per la mineralità spiccata, che esalta la sua freschezza. Il quarto millesimo, il Cave Privée Rosé 1979 ci ha portato indietro di ben 35 anni, agli anni Settanta – “Un decennio che non ha prodotto molte annate di Millesimati capaci di lungo invecchiamento” –, ricorda Francesca Terragni durante la degustazione. Eppure, questo 1979, è proprio “l’eccezione che conferma la regola”: con una vendemmia piuttosto tardiva e uve che hanno impiegato più tempo del dovuto a maturare, questo millesimo dal colore intenso e dai riflessi ramati (il blend contiene un 19% di vini rossi di Bouzy, il villaggio che esprime ai massimi livelli le potenzialità del Pinot Noir) è inebriante al naso, con note di zafferano, cuoio, curry, frutti di bosco e un accenno di eau de vie. In bocca, nonostante l’età, è

giovanissimo: “Si resta colpiti dalla sua freschezza che sottolinea il carattere salino del nostro terroir gessoso, che conferisce al prodotto caratteristiche di serbevolezza uniche”, aggiunge Cyril con orgoglio. Questo grande rosé, equilibrato e pieno, è dotato di un’armonia incredibile fra corposità e mineralità, che conferma e rassicura sulle sue straordinarie potenzialità di invecchiamento: insomma, ancora un ragazzino destinato a crescere nel tempo… . Una serata, si diceva memorabile, quella con Cyril Brun, Francesca Terragni e Cristina Bowerman, che ha dimostrato il valore del tempo, essenziale per definire un’evoluzione capace di esaltare il carattere esclusivo di ogni Millesimato. La degustazione romana è dunque servita a comprendere fino in fondo che dietro a questa “collezione privata” si nasconde una cultura d’impresa che va oltre il blasone e la fama e che si fonda su una concreta valorizzazione del concetto di evoluzione, fondamentale per consentire esperienze uniche e irripetibili.

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Lagrein Urban, una selezione affascinante 22

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di Giovanna Moldenhauer Un viaggio in Alto Adige alla scoperta di una varietà tipica diventata motivo d’orgoglio per l’enologia altoatesina. L’indubbio valore del vino, la sua insospettabile longevità, è stata confermata da una verticale di sei differenti millesimi. La cantina Tramin, nota per le sue eccellenze nei vini bianchi, il Gewürztraminer in particolare, produce nella gamma dei rossi due tipologie di Lagrein. La versione classica è ottenuta da uve che provengono dalla zona di Ora, Egna e Termeno, la selezione Urban dal vigneto omonimo a Villa di Egna, dove la maggior parte delle piante ha più di 100 anni e da altri appezzamenti situati ad Ora. Incuriositi da questa straordinaria situazione abbiamo visitato l’impianto a pergola doppia, dove alcune viti avevano dimensioni assolutamente impressionanti. Il signor Vaja, che gestisce l’appezzamento, dopo attenti controlli sullo stato di salute

del vigneto, effettua qualche volta una leggera potatura di alcune radici per incentivare le piante a crearne di nuove. L’impianto al suo ultimo anno di conversione biologica, irrigato una volta all’anno per evitare lo stress idrico, ha una resa contenuta con grappoli piccoli. La zona considerata tra le più vocate per la coltivazione della varietà è a un’altitudine di circa 240 m s.l.m. su terreni formati dai depositi sabbiosi, ghiaiosi di origine calcarea dolomitica portati dal fiume Adige. Nel suolo è presente anche una componente porfidica di matrice vulcanica. Questi fattori, uniti alla forte insolazione durante il giorno, alle notti fresche, perfetti per il periodo vegetativo e produttivo della qualità, donano a questa selezione un buon equilibrio acido-saccarino, struttura, morbidezza. Secondo antiche testimonianze il Lagrein è coltivato da più di 600 anni in Alto Adige. L’ordinamento dei vini scritto dall’imperatore Carlo IV nel 1370 lo cita infatti come uno dei migliori prodotti nella zona di Bolzano. La varietà autoctona che, fatta

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eccezione per alcune piccole aree di coltivazione nella vicina provincia di Trento, non si trova in nessun’altra zona vinicola, era sino a qualche decennio fa soprattutto vinificata nella versione Kretzer/rosé oppure usata come taglio a causa di una scarsa richiesta da parte del mercato. I contadini erano soliti disporre nell’impianto di un nuovo vigneto ogni dieci, dodici piante di Schiava alcune di Lagrein per ottenere un prodotto più corposo e colorato. Ancora oggi il vino Santa Maddalena prodotto sulle colline sovrastanti la città di Bolzano è il risultato di questa combinazione. Dagli anni novanta il vitigno vinificato in purezza, riscoperto dai viticoltori come espressione del territorio dal carattere inconfondibile, ha registrato un incremento che ha portato la varietà a essere coltivata su circa 450 ettari pari al 8,5% dell’intera superficie vitata altoatesina. “Fortunatamente il Lagrein - afferma Willi Stürz durante il nostro incontro - è tra quelle poche uve autoctone antiche che sono ancora presenti nei vigneti della provincia di Bolzano. Sotto ogni aspetto si tratta di una varietà di grande personalità, assolutamente tipica della zona. Prova ne è che le viti piú vecchie della nostra cantina sono di questa

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qualità perché le piante hanno radici che scendono molto in profondità. Nonostante sia presente sul territorio da molto tempo, rimane ancora molto da scoprire sia in vigna che in cantina. I conferitori e il personale di Tramin si stanno impegnando a fondo per consentire alle nostre due etichette di raggiungere maggior finezza e profondità”. Per la cantina cooperativa, i due Lagrein costituiscono una percentuale importante che si attesta su una media di 120.000 bottiglie del classico monovitigno e su 20.000 della selezione Urban. Attualmente i vini rossi rappresentano il 40% dell’intera gamma. Lasciato il vigneto siamo andati nella sede a Termeno, dove era stata organizzata una degustazione di sei annate della selezione Urban. L’assaggio è stato preceduto da una breve descrizione sui passaggi della vinificazione. Le uve, dopo essere state diraspate con cura, passano a caduta, senza l’uso di pompe, in tini di rovere dove sono lasciate ammostare a temperatura controllata con frequenti follature. Il vino, dopo la fermentazione malolattica, viene messo in barrique parzialmente nuove per circa un anno per un primo invecchiamento, passando poi in grandi botti di rovere per un successivo affinamento. Imbottigliato dopo alcuni mesi, è conservato in bottiglia per un altro anno prima della messa in commercio. “L’annata 2011 - prosegue Stürz - ha tonalità violacee, aromi intensi di frutti di bosco, di ciliegia. Al palato è corposo, robusto e vellutato con una marcata veste tannica”. Il vino molto giovane ha avuto, sin dalla sua uscita sul mercato, valutazioni importanti da Luca Maroni con 93 punti, dalla guida Veronelli con 90 punti. Il millesimo 2009 dalla decisa componente fruttata aveva nell’assaggio un’acidità piuttosto contenuta, una bella morbidezza, pur essendo, al tempo stesso, meno intenso del 2011. Il 2007, dalla tonalità nel calice più intensa dei precedenti vini, aveva maggiore concentrazione, un deciso carattere vellutato, note aromatiche più evidenti di viola, vaniglia, una lunga persistenza. Seguiva nella degustazione l’annata 2003 che mostrava un colore


Il Lagrein Urban e la cucina stellata

Abbiamo chiesto a Norbert Niederkofler, chef altoatesino con doppia stella Michelin del prestigioso St. Hubertus ristorante del Relais & Châteaux Rosa Alpina di San Cassiano, quali ricette creative ritiene costituiscano un perfetto accostamento tra gli aromi del vino Lagrein Urban, sia con l’annata recente 2011 che con l’evoluto 2002, e i loro piatti. “Partendo dal presupposto che nel mio ristorante - risponde Niederkofler con il suo chef de service e sommelier Christian Rainer - si usano solo prodotti di montagna e di stagione, suggerisco per il 2011 una spalla di agnello della Val di Vizze, patate cotte in terra, aglio nero fermentato, crema alle mandorle abbinato a un consommé d’agnello e albicocche della Val Venosta. Con il 2002, invece, per esaltare la complessità, suggerisco una sella di capriolo, bietola, dressing alla nocciola con un 'jus' di ribes. Entrambe le etichette esaltano le caratteristiche di questi piatti, ne amplificano gli aromi per un’esperienza gustativa di grande armonia”.

granato più scuro che non virava per nulla su tonalità diverse. Sin da quando è stato versato aveva mostrato una maggiore consistenza dovuta alle condizioni metereologiche estreme dell’annata, profumi evoluti di frutti molto maturi, di spezie, un’acidità presente ma non dominante, restando nell’assaggio più diretto, quasi esagerato senza perdere la sua eleganza. Il millesimo successivo del 2002 aveva un’unghia appena aranciata, note che richiamavano le bacche di bosco seguite da sentori più evoluti, terziari. Un vino complesso, vellutato, elegante, dal lungo retrogusto che aveva ottenuto il riconoscimento dei Tre Bicchieri del Gambero Rosso. Chiudeva la degustazione l’annata 2000 che aveva una tonalità granata con una sfumatura aranciata sul bordo poco più accesa del precedente millesimo. Assolutamente sorprendente nell’assaggio era emozionante, maturo ma con ancora tempo per evolvere. L’assaggio delle sei annate ha dimostrato la verticalità ed evidenziato lo straordinario potenziale evolutivo della selezione. Il Lagrein Urban è un vino d’innegabile valore, frutto del percorso di crescita della cantina, della sua strategia orientata all’eccellenza, confermato dai numerosi premi dedicati nel corso degli anni alle etichette, all’enologo, alla cantina, alla cooperativa. Artù n°63

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Villa Serbelloni quando soffia il Mistral 26

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di Alberto P. Schieppati Bellagio è un luogo mitico, che propone se stesso al turismo internazionale con la consapevolezza di essere allo stesso tempo un luogo retrò, in cui nulla mai cambia, ma anche innovativo, nel senso di rispondere alle nuove esigenze del vacanziere raffinato, quello che cerca tranquillità non asettica, ma autentica. Villa Serbelloni, cinque stelle lusso, risponde a questa domanda con una ospitalità di altissimo profilo e con una cucina guidata da uno chef che ha una marcia in più. L’imprenditore illuminato è Gianfranco Bucher, famiglia svizzera di albergatori, l’executive è Ettore Bocchia, il genio della cucina molecolare. Dalla loro stretta collabora- l’Alto lago e supportato, alle spalle, da zione nasce un unicum, da raccontare una montagna incombente e rigogliosa al mondo con ambizione e orgoglio. che raffresca il clima e crea un contorno verde naturale che rafforza il contrasto Dicono che agli italiani il lago non fra la dolcezza delle rive lacustri e la piaccia. O meglio, sembra (statistiche ripida salita verso il Passo del Ghisallo. alla mano) che, nell’ordine, prediligano Il Grand Hotel è luogo di fasti e di prestiil mare, seguito da montagna (soprattutto gio, verso cui convergono per le loro vad’inverno) e, buon ultimo, il lago, ritenuto canze segmenti di clientela turistica inquasi un ripiego. Se è così, non sanno ternazionale desiderosa di: accoglienza cosa si perdono. Per me è quasi esatta- personalizzata, ambientazioni e atmosfera mente il contrario: adoro la montagna classiche, paesaggi mozzafiato, servizi (soprattutto d’estate), mi piace il mare alberghieri in cui domina il fascino della (soprattutto d’inverno), amo il lago, e in grande tradizione alberghiera italiana modo particolare il lago di Como. Perché ed europea. Un luogo fuori dal tempo, è un lago vero, che dispensa panorami verrebbe da dire, ma molto “dentro” un incredibili, dai toni contrastati fra il verde tempo che si sta riaffacciando nella dei boschi, il grigio delle rocce e le nostra contemporaneità: quello di stare cento tonalità del blu che lo contraddi- bene, di farsi trattare bene, di riconoscersi stinguono. Nel caso specifico, Bellagio nell’esclusività di una esperienza non rappresenta l’insieme di queste caratte- necessariamente modaiola. Gianfranco ristiche e, non a caso, è la meta prediletta Bucher, classe 1956, ingegnere, ramdel turismo internazionale più raffinato, pollo di una famiglia di albergatori di che ama l’italianità più autentica e che lignaggio, è il garante di un’ospitalità ne ricerca le differenze, e non gli stereo- dagli standard elevati, esclusiva ma tipi. La clientela italiana, peraltro, è non escludente, capace di far sentire sempre più sottile, a fronte di un 70% l’ospite libero nelle sue scelte e nei di clienti anglosassoni, molti australiani suoi movimenti, pur in un contesto di e un’alta percentuale di statunitensi, classicità e atmosfere connotate da da sempre innamorati di questo territorio. un’impostazione apparentemente formale. Il Grand Hotel Villa Serbelloni è, in un La location è tutto, si dice. Ma l’esclusività certo senso, il simbolo di Bellagio, del Grand Hotel Villa Serbelloni è un questo borgo su una penisola che si in- valore aggiunto fondamentale. “Siamo sinua fra le acque e divide il Lario nei l’unico albergo del Lario in riva al due celebri rami, aperto verso il nord e lago senza una strada davanti -

Hotel ● Grand Villa Serbelloni

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dice Bucher -. Per noi la privacy del cliente è al primo posto: in un certo senso, possiamo dire che la non facile raggiungibilità di Bellagio è più un vantaggio che un limite”. Da cosa nasce questo valore dell’esclusività, che si percepisce appena varcata la soglia della struttura? “Noi non siamo mossi dalla ricerca spasmodica del guadagno a tutti i costi - sottolinea Bucher -, non subiamo l’assillo dei budget e, quindi, possiamo permetterci di andare incontro senza limiti alle richieste dei clienti, soddisfacendo le loro esigenze più alte”. La personalità di Bucher emerge subito durante la conversazione e lo fa apparire come un albergatore d’altri tempi, la cui priorità assoluta è il godimento del cliente e il rispetto assoluto delle sue esigenze. Non a caso, aggiunge: ”La serietà della nostra politica di accoglienza dell’ospite è da cent’anni sempre la stessa, pur nell’ovvio adeguamento ai tempi che cambiano. Ma l’imprinting non muta: approccio per-

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sonalizzato, comportamenti professionali, che esprimano al meglio lo stile della Casa, senza favoritismi, con una incredibile attenzione ai dettagli e alle necessità dell’ospite. E poi, prodotti giusti, una cucina memorabile, garantita da un professionista del calibro di Ettore Bocchia, che ha portato la nostra ristorazione a meritare la stella Michelin. In sintesi, la conduzione di un albergo di lusso è difficilissima e questo dato di fatto allontana molti imprenditori dall’impegnarsi nell’attività alberghiera, ma semmai spinge verso soluzioni di tipo immobiliare, che spesso prescindono dalla professionalità e dalla managerialità che, in realtà, fanno la vera differenza”. Ecco, Villa Serbelloni, con i suoi due ristoranti, il Mistral (una stella Michelin, il ristorante di alta cucina) e la Goletta (linea più informale, ma di qualità), le sue cento fra camere e suite, la sua mitica piscina, il suo cocktail bar, fa la differenza. E Bucher, imprenditore dell’ospitalità, che dà e crea lavoro in tempi certo non facili della nostra economia, ne è orgoglioso:


perché la diversità non è data solo dagli scaloni marmorei, dalle colonne in stucco e dagli incredibili trompe l’oeil che conferiscono alla struttura una personalità unica, né dalla vegetazione lussureggiante e dallo splendido giardino all’italiana. La forza del grand hotel è data anche dalla qualità delle persone che vi lavorano, dalla brigata di cucina, dalla professionalità del maitre (Carlo Pierato, uno dei migliori esistenti sul mercato), dal sommelier (Antonino Alberti), dai camerieri di sala, uno più bravo dell’altro, dalla spa, fino a chi si occupa del servizio e di tutte le altre fasi dell’accoglienza. Certo, la ristorazione è un grande punto di forza dell’offerta del Villa Serbelloni: cenare sulla terrazza con impareggiabile vista sul centro lago è esperienza indimenticabile. Ma, anche in questo caso, è la forza delle persone a fare la differenza. I luoghi, splendidi, sarebbero solo un “panorama impareggiabile” che deve a sua volta poter contare su esseri umani, professionisti coraggiosi e instancabili, la cui dedizione si riassume in una sola parola: passione. Ettore Bocchia, executive chef del Mistral e della Goletta, è uno dei “valori aggiunti” del luogo: un motivo indiscutibile di richiamo per la clientela gourmet. Ettore compare in sala, con classe e pacatezza (pur nell’urgenza del suo ruolo, che lo vuole nelle grandi cucine a coordinare la brigata), ricordandoci che il Mistral rappresenta il massimo possibile dell’offerta

di ristorazione e che, a sua volta, la Goletta esprime un esempio di offerta più semplice, ma coerente e ragionevole. Chiedo a Bocchia qual è la sua idea di cucina, a lui che è stato ritenuto per anni il guru della cucina molecolare (termine coniato da Bocchia con il professor Davide Cassi, docente di fisica della materia all’Università di Parma), sulla quale si sono concentrate frequenti querelle e polemiche che non hanno mai consentito di coglierne l’essenza più profonda… . “Con semplicità, rispondo che la grande materia prima è la base fondamentale di una grande linea di cu-

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cina. Sono al tempo stesso consapevole del fatto che sia una condizione necessaria, ma non sufficiente, nel senso che la grande materia prima, teoricamente, possono averla tutti. Il problema vero è spiegarla, comunicarla con onestà, profondità, scientificità”. In altre parole? “Mi spiego meglio, facendo anche un po’ di storia. Quando iniziai, nel 1977, avevo 12 anni, lavoravo in un locale di Soragna (E.B. è nato qui, in questo lembo gastro-fascinoso della provincia di Parma) ed ero già attratto dal gusto delle materie prime. Soltanto più tardi compresi che dietro al gusto e ai sapori degli ingredienti si nascondono parametri oggettivi delle materie prime, ovvero la necessità di capire il valore della scienza applicata alla tecnica. La cucina cosid-

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detta molecolare nasce proprio sulla base di una esigenza di crescita culturale, dal bisogno di comprendere fino in fondo l’autentica essenza dell’invisibile!”. I piatti di Ettore, coadiuvato dal suo secondo, Andrea Arienti, rivelano una sedimentazione di esperienze che lo hanno portato ad essere un numero uno nello scenario degli chef internazionali, un protagonista del cambiamento che con la cucina molecolare - ha modificato un’epoca, ridisegnando i parametri oggettivi della degustazione. “Perché le materie prime che adoro sono quelle vere: prima trovo il prodotto, poi gli creo il vestito, curando ogni dettaglio nei minimi particolari…. Globalizzazione e massificazione del gusto ci hanno portato a non capire se un prodotto sia vero oppure no”. Ettore Bocchia continua, sicuro, nella sua prolusione: “Io adoro il cappelletto imperfetto di mia madre, in cui l’equilibrio del gusto primario è completo. Ma al tempo stesso va detto che l’oggettività del gusto è data dal ph della saliva individuale, che è diversa da persona a persona. Da qui la necessità di applicare parametri scientifici all’alimentazione, perlomeno da parte di chi se ne occupa in modo professionale”. Appunto. Da parte mia posso solo dire che i piatti di Ettore degustati, vanno ben oltre la scientificità e che, per il sottoscritto, rappresentano innanzitutto l’espressione di un talento straordinario, che sa trasmettere gusti inediti e piacere assoluto. Il granchio dell’Alaska in due versioni, chele croccanti con germogli e salsa all’arancia-insalata con noci di macadamia, mela verde e crema di limone è un piatto prodigioso, così come il crudo e il cotto di mare in insalata con piselli novelli e purea di vegetali, semplicemente memorabile. Da provare assolutamente per chi ancora non li avesse assaggiati, i tortellini di pasta fresca ripieni di pavone con brodetto di volatile, un piatto magistrale. Come il risotto mantecato allo zafferano con carciofi e animelle glassate e lo spaghettoro con pomodoro fresco, cipollotto e basilico. Fra i secondi va segnalata la degustazione di pesci, crostacei e molluschi selvatici con abbinamento di


patate e verdure o la portentosa pollastra di Bresse selezione Mieral, in due cotture, con patate alla crema, biete novelle e salsa al rosmarino. La variazione di agnello, poi, è un plus che conferma lo stile di Bocchia: il lombo alle erbe fini, la spalla arrosto con millefoglie di patate, la lingua in casseruola stufata al vino bianco e piselli freschi. Un capolavoro per struttura, consistenza, gusto. La

al vapore, salsa ai porri. Ci sembra paradigmatico di una grande cucina alternativa, capace di rimandare all’essenzialità delle materie prime e dei gusti primari. cucina del Mistral propone anche, natu- Nel lasciare questo “signore” della ristoralmente, un menu degustazione di razione, provo a chiedergli qualche nome, cucina molecolare, descritta per i neofiti qualche chef a cui Ettore guarda con come “metodo alternativo di cottura e ammirazione, dei quali condivide l’imdi abbinamenti insoliti che possono ge- pegno e la passione. E qualche nome nerare nuovi sapori, con prodotti scelti viene fuori, che riporto volentieri: Pino di prima qualità e freschezza”. Nel menu, Cuttaia, Enrico Bartolini, Paolo Lo Priore, che suggeriamo vivamente a chi non co- Alfio Ghezzi, Eston Blumenthal, Pascal nosce questo tipo di cucina, troviamo Barbot, Pierre Gagnaire, Ferran Adrià. piatti come i bocconcini di gamberi Un gruppo di chef solidi, dalla impostarossi siciliani con gelato al guacamole, zione ben caratterizzata e dalla fama increma di cocco e cialde al nero di discussa. “Professionisti che esprimono seppia, o il rombo assoluto cotto nello grandi cucine, verso cui nutro ammirazione zucchero con spuma di patate, verdure profonda e rispetto incondizionato”. Artù n°63

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di Stefano Bonini Estate, periodo di libertà, week end e vacanze al mare. E il mare più frequentato d’Italia è la Riviera Romagnola. In questo tratto di costa adriatica compreso tra le province di Ferrara e di Rimini siamo andati alla scoperta di quattro locali che regalano l’emozione di poter mangiare con i piedi sulla sabbia a due passi dal mare. Luoghi speciali, non scontati, lontani dalla vituperata folla rivierasca, nei quali si gode la simbiosi tra il tipico savoir faire romagnolo e le grandi materie prime dell’Adriatico e di questo gastronomicamente ricco angolo di Romagna. Il nostro tour con il profumo di salsedine addosso comincia a pochi chilometri dal confine con le Marche. Qui, tra Cattolica e Riccione, più precisamente a Misano Adriatico, abbiamo provato uno dei migliori ristoranti di pesce dell’intera provincia riminese: il Ristorante Le Vele, la casa di Fabio Leardini e Antonella Patrignani che accolgono i loro ospiti in un locale moderno ed elegante che si raccorda perfettamente con la spiaggia. La loro

passione e dedizione si percepisce al contatto con l’affabile e premuroso personale di sala. Il resto lo fanno l’accattivante menu e la ponderata carta dei vini, in un’armonia di elementi che consente di godere al meglio del suggestivo e rilassante panorama. Pasta e pane fatti in casa con farine selezionate, i carpacci dei migliori pesci locali, le tartare e i grandiosi crudi, il classico e perfetto risotto di pesce o i cappelletti di pesce asciutti con bottarga e alici e poi il fritto misto e la splendida grigliata di pesce rivisitata nella sua composizione, ma non nella sostanza. Ogni piatto è un inno al mare, ma anche i dessert non deludono: su tutti il sorprendente “uovo apparente”. Solo pochi chilometri più a nord, al confine tra Riccione e Rimini, c’è il Ristorante Sol Y Mar. Da una ventina d’anni lo conducono Teo e Barbara che lo hanno fatto diventare un punto di riferimento per tutti gli amanti della cucina di mare. Qui, gli appassionati del crudo possono cominciare con l’eccellente tavolozza di crudità, la tartare di mazzancolle su crumble di nocciole e fois gras con confettura di tropea o vivere un’emozione gastronomica con lo spaghetto “sushi”, dove la pasta di Mancini incontra il crudo dell’Adriatico. Un imperdibile clas-

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sico i gamberi alla greca (con pomodoro fresco e formaggio fuso), vera “colonna” del locale, così come il calamaro saltato con patate arrosto e bacon. Tra i primi ci siamo fatti conquistare dalle linguine, sempre del pastificio Mancini, in due declinazioni: una versione più delicata al nero di calamaro e calamaro marinato al lime oppure quelle più gustose e succulente con crema di peperoni dolci, tonno affumicato e bottarga. Tra i pesci, segnaliamo un paio di must come il filetto di rombo chiodato in crosta mediterranea su crema soffice di patata e pomodorino passito, o il nostro preferito: lo spiedone di pesce grigliato e insalatina mista al balsamico… giusti i pesci, perfetta la cottura, fantastica la semplicità. Vera sosta gourmand del nostro tour in riva al mare (con annessa stella Michelin) è Guido a Miramare. Era il 1946 quando

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Guido Guiducci inaugurò questo locale come semplice chiosco estivo. Oggi tre generazioni dopo i fratelli Luca e Paolo Raschi, nipoti di Guido, hanno trasformato quella baracca in uno spazio elegante e accogliente. Un ristorante contemporaneo, nel quale con passione, professionalità e competenza portano avanti una missione: quella di valorizzare la propria terra e il proprio mare (i fornitori sono tutti citati in menu e rappresentano il top delle produzioni locali: dal sale dolce di Cervia all’olio extravergine di Sapigni, dai formaggi di San Patrignano alla frutta e alla verdura di piccoli selezionatissimi orti dell’entroterra). Tecnica, passione e identità sono gli ingredienti alla base di un’esperienza culinaria che racconta la nuova Romagna a tavola attraverso l’utilizzo di una grande materia prima, come il “crudo di riva” nel quale i pesci vengono scomposti e ricomposti, in un elogio alla freschezza del prodotto. I piatti dello chef Paolo, adeguatamente presentati in sala da Luca, si rifanno alla tradizione e la declinano secondo dettami più attuali, l’ampia scelta di ostriche di Cadoret indica solo


che si è seduti ad una grande tavola. Il carpaccio di cefalo, pesce sovente bistrattato, al basilico e fior di sale di Cervia, la seppia e squacquerone così come la canocchia, sono un trionfo per l’antistante Adriatico con i pesci “poveri” che arrivano nel piatto trattati come dei re. Tra i primi, al di là dei fantastici spaghetti alle ostriche, siamo stati conquistati da un grande piatto della tradizione come i cappelletti alle poveracce (come in Romagna si chiamano le vongole). Mentre al momento dei secondi la scelta non può non ricadere sul delizioso e fragrante fritto misto con i piccoli pesci di tratta. Dolci finali all’altezza della “stella” … come l’atmosfera e l’impeccabile servizio! Ultima tappa di questo godurioso viaggio lungo le spiagge romagnole, Cesenatico. Qui, in una delle storiche capitali italiane della cucina marinara, tra la spiaggia e il Porto Canale Leonardesco, c’è un locale giovane, fresco recentemente ripensato e ristrutturato. Propone una cucina immediata, priva di voli pindarici, ma di grande efficacia, si chiama

Marè. Sintesi perfetta dello stabilimento balneare up-to-date, con un piacevole e riconoscibile stile provenzale/marinaro, le ampie vetrate sulla spiaggia antistante, il Marè è aperto dalla mattina a sera inoltrata ed è “giusto” a tutte le ore del giorno, colazione o cena che sia. Gli spazi ampi e ariosi, sono arredati con cura e attenzione ai dettagli. Si apprezzano la ricerca e la voglia di creare un bel posto, senza lussi o eccessi. Complimenti a Luca Zaccheroni, il giovane e dinamico proprietario (figlio tra l’altro del celebre allenatore ora alla guida della nazionale di calcio nipponica). In cucina Omar Casali è una certezza e regala quella tranquillità che fa dire che “comunque sarà un bella esperienza”. Con mano felice reinterpreta la tradizione romagnola proponendo una cucina di qualità e immediatezza. Si può cominciare con la tempura di alici, spremuta di pomodori e arancio o un freschissimo “tutto crudo” in due dimensioni (regular o extra large), altrimenti c’è la sfiziosa piadina “Roll Marè” con raviggiolo, melanzane e alici cantabrico. A seguire “la cassata al mare” (linguine ai ricci, ricotta salata e yuzu, un agrume molto aromatico simile al mandarino) o un must come i passatelli integrali, asparagi e frutti di mare. Per concludere il piacevolissimo BBQ di pesci e crostacei. Succulenta e mai banale la scelta dei dessert e per chi volesse ci sono anche alcune intriganti proposte vegetariane. Insomma, una Romagna alternativa, di suggestione e qualità superiore. Le Vele, il Sol Y Mar, Guido e il Marè rappresentano quelle eccellenze che fanno ricordare questa terra anche per una grande cucina di mare. Artù n°63

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Quando lo chef non cade nella rete di Stefania Zolotti Il rapporto degli chef con il web è complesso da sempre. Artù ha raccolto le testimonianze di tre professionisti della ristorazione, arrivando a una conclusione non scontata: ognuno ha il proprio modo di essere mediatico e di “usare” i social, ad una condizione: non assuefarsi mai nè diventare schiavi dei nertwork. E, per essere sempre se stessi e trasmettere la propria caratterizzazione, c’è un segreto: esplorare, scoprire, conoscere, senza fermarsi mai. Ci sembrò una conquista quando i primi ristoranti, in giro per il mondo, si mostrarono con cucina a vista, facendo entrare il cliente nel mondo misterioso degli chef grazie all'immaginazione. Fino a quel momento la cucina era una dimensione misteriosa, forse per questo anche più affascinante, al di là di quella porta che divideva i ruoli e le aspettative tra sala e fornelli. Poi arrivò internet. Se prima provavamo un misto di imbarazzo e di curiosità nell'affacciarci sull'acquario del ristorante – tutti più o meno abbiamo provato questa sensazione mentre ci buttavamo un occhio – ora sono quei fornelli a guardarci da ogni angolo, ricordandoci continuamente che lo chef moderno è un personaggio mediatico ma non sempre social. Eravamo abituati a valutarli per i loro

piatti ma ora che hanno scelto di usare anche altri canali, diventa curioso decifrarli per capire fino in fondo quanto la loro “immagine” sul web sia coerente con quello che sono realmente nella vita e nel lavoro. Cristina Bowerman, Riccardo Orfino e Ciccio Sultano – diversi per storie e geografie – fanno da paradigma a tre modi intelligenti di stare sui social. La rete è un po' come il menu di un ristorante e per scoprire nuovi sapori bisogna esplorare, non fermarsi ai piatti che si conoscono e che, dopo un po', rischiano di assuefare il palato (proprio come succede con certa televisione). CRISTINA BOWERMAN Glass Hostaria (Roma) Originaria e originale Social non vuol dire sociale, inteso nel suo senso originario, a meno che gli account non diventino uno strumento per mandare messaggi più grandi del nostro vivere per noi stessi. Cristina Bo-

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werman fa tante cose insieme – e nel frattempo posta on line – ma di fatto non sottrae nulla a nessuno: lei è così, basta a tutti, carica e generosa. Il cibo non è il suo leit motiv in rete, arriva ai follower con commenti diretti e spontanei


su temi come beneficienza, sprechi e rifiuti, salute femminile. Nei suoi profili sul web ovviamente il cibo non manca ma è sempre raccontato sdrammatizzando, riportandolo ad una dimensione spontanea. Merito dell'abilità tutta naturale della Bowerman che riesce a trasformarlo in un intermezzo tra la vita di donna come tutte le altre e la vita di donna che gestisce a Roma sia Glass Hostaria che il laboratorio di ristorazione Romeo Chef and Baker. Quando si intervista uno chef, la parola “materie prime” riecheggia sempre, in un verso o in un altro, quasi fosse un mantra: il salto di qualità lo fanno però solo i cuochi che possono dimostrare di riempire di contenuto quelle due parole. È sulla sostanza che lei si dimostra vincente. “Le ricette in sè sono uno strumento divertente ma ciò che per me conta è il principio che contengono,

sia esso in termini di tecnica o di valore. L'orto ne è una dimostrazione: nella mia cucina voglio offrire alla gente la possibilità di tornare alla cucina originaria e in questo senso il rapporto tra chef e produttore è alla base di qualsiasi successo perché chi coltiva deve sempre saper dire a chi cucina quali sono i suoi prodotti stagionali e quanta sarà la produzione in modo da consentire una programmazione al ristorante. Voglio essere originaria e originale, avere la certezza che quel prodotto della terra posso averlo solo io e restituirlo al cliente in tutta la sua freschezza. Il mio sogno è che tra dieci anni si riscopra la figura dell'agricoltore più che quella del cuoco. Il web ha infinite potenzialità per mettere in contatto il mondo della ristorazione con il tempo libero delle persone che navigano in rete. Può essere che ci sia un'incapacità nel comprendere i limiti di quello che puoi comunicare con i social nel momento in cui vieni travolto da questi canali. Io ho comprato il mio primo computer quando ero negli Stati Uniti, nel 1991 – dove sono rimasta fino al 2005 – e l'account su Facebook è stato il modo più immediato per non perdere i miei amici e colleghi americani. Per me è stato un percorso più che naturale avere in rete una vita pubblica da chef che fosse coerente con la mia vita privata, semplicemente perché non ho dovuto dimostrare niente di diverso rispetto a ciò che ero. Anche il lavoro come grafica in quegli anni, prima di intraprendere definitivamente la mia carriera attuale, è stato un passaggio fondamentale per saper mediare tra cucina e comunicazione. Molto spesso mi chiedono chi curi l'immagine mia o di Glass e io rispondo sempre: ‘nessuno’. Mi definisco, scherzando, una pessima pr di me stessa perché giro sempre senza biglietto da visita: di fatto però il contatto con le persone arriva diretto ugualmente e credo dipenda dalla mia attitudine innata alla relazione, oltre a tanta formazione fatta negli anni. Aver acquisito una piccola posizione nel panorama nazionale ha un significato speciale che posso utilizzare per fare

luce sui ragazzi della mia brigata. Sono una donna fortunata e ho il dovere di utilizzare questa posizione per restituire a chi ha meno di me: in questo i canali social mi permettono di far arrivare messaggi sociali, di supporto, di beneficienza, di sensibilizzazione su temi collettivi fondamentali per il nostro benessere. Essere chef vuol dire avere anche una responsabilità in più nei confronti del mondo che viviamo”. Cristina Bowerman RICCARDO ORFINO LadyBù (Milano) Ragazzo sempre, a prova di social Si può essere chef molto giovani, già alla ribalta della notorietà, senza però dimenticare la propria natura di ragazzi. Riccardo Orfino lo dimostra con il suo umile impegno e con l’immagine che rimanda di sé in rete. Arriva dalla stella Michelin “Il luogo di Aimo e Nadia” e oggi è executive chef di LadyBù, sempre a Milano, sempre al fianco di quei due nomi che pronuncia con una stima

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che la voce tradisce in ogni sillaba: Alessandro Negrini e Fabio Pisani. Padovano di origine e ormai “lumbard” di adozione, forse per trovare la giusta misura ha scelto di caratterizzare il bistrot con materie e sapori legati ad una cucina italiana creata attorno a materie prime di stampo mediterraneo. Il suo profilo Facebook rimanda di getto, guardandolo, una sensazione di leggerezza: non c’è artificio, non c’è voglia di emergere con foto o frasi ad effetto, non c’è ostentazione. Prima dello chef arriva il ragazzo circondato da una vita normale, dalla sua donna e dal labrador inseparabile. C’è poi tanto entusiasmo nel raccontare i corsi di formazione che organizza, la brigata, qualche dettaglio della sua mano premurosa su creazioni appena impiattate. “Scegliere di avere un proprio profilo sui canali social comporta inevitabil-

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mente non sono uno chef da spume, gelatine, arie o cotture particolari e questo di certo mi facilita nel trasporre i piatti sui social. Se mi disturba, da chef, vedere che in rete impazzano foto dei piatti da parte di chiunque? Proprio no, anzi mi fanno sentire più a mente il prezzo della relazione col pub- mio agio nel lavoro che amo perché blico che interagisce: solo così i network sento che l’attenzione su un tema sfruttano positivamente un vero valore come questo tocca davvero tutti”. di trasparenza. Se si sta in rete bisogna @riccardorfino anche accettare il rischio di non piacere Riccardo Orfino ma se ci si comporta sempre con rispetto del proprio lavoro e del proprio CICCIO SULTANO cliente, difficilmente ci si troverà in si- Duomo (Ragusa Ibla) tuazioni imbarazzanti. Ciò che conta è non dare mai seguito alle provocazioni La rete per sintonizzarsi col mondo inutili. La mia pagina, con il mio nome, Non sopporta i sapori mediocri, viene è lì da quattro anni e riflette lo stato spesso ritratto come lo chef che comd’animo di un ragazzo della mia età: batte i luoghi comuni della Sicilia in così come quattro anni fa, quando l’ho tavola, nasce pasticcere e si rivela aperta, condividevo il mio tempo libero chef sublime a tutto tondo. Ciccio Sule le mie passioni, oggi continuo a fare tano ha un nome pieno, di quelli che la stessa cosa senza pormi il problema già invogliano al cibo migliore, come della mia professione. Io sono me stes- se già da lì si intravedesse uno spiraglio so, non ho un ruolo: voglio essere dei suoi piatti. L'uso che fa dei social libero di esprimermi ma voglio la network manda coordinate precise: è certezza di poterlo fare con le persone uno chef di cui si scrive e si legge che conosco, ecco perché, nonostante molto, i link a rassegne stampa si sucle tantissime richieste di amicizia che cedono di continuo sulla sua pagina, ricevo, non le accetto se non ho almeno tanti gli amici e i giornalisti che gli triun minimo legame con loro. Per adesso butano il loro pezzo: seguirlo on line sui canali social desidero restare una offre grandi spunti per interpretare il persona, e non uno chef-personaggio suo stile. Il ristorante Duomo si trova pubblico: mi sembrerebbe presuntuoso a Ragusa Ibla, set televisivo per eccelcostruirmi una facciata di notorietà lenza con quel senso di Sicilia che considerando la tanta strada che devo non si spiega a parole ma che arriva ancora percorrere. Con Instagram e Fa- con la luce e la penombra, col silenzio cebook ho colto fino in fondo la centra- spesso indiscreto, con la leggerezza lità delle immagini per il lavoro che fac- del mare. Chi ha mangiato da lui raccio, così come ho capito che saperli conta di una pienezza estrema di usare è un traino prezioso per fare cul- sapori e di una giostra di colori in tura del cibo con le persone, che poi è bocca: non può essere che così in la mia attitudine in sala con i clienti. una terra come questa e il cliente a Le foto che posto sono ispirate alla fi- volte si aspetta esattamente quello losofia che ho imparato a ‘Il luogo di che le tradizioni raccontano. L'uso che Aimo e Nadia’: mettere in risalto la ma- Sultano fa dei social network è fedele teria prima sempre. E poi Instagram al carattere, incisivo, instancabile. Mapermette di esprimere un contenuto neggia Twitter con ironia estrema e senza parlare, senza commenti. Io uso con grande assiduità - nella sua timeline al massimo tre o quattro ingredienti scrive ‘siamo il rave party della cucina nei miei piatti e quando posto una siciliana’ - e su Facebook predilige infoto il mio scopo è focalizzare su quelle vece più relazione con gli altri, più conmaterie, a cui non serve altro. Tecnica- divisione. È uno di quegli chef a cui


non pesa tenere alta l'attenzione sui progetti culinari, nè scandire la progressione del lavoro con foto e commenti. Anche il sito-piattaforma del ristorante – che coincide col suo nome e cognome – mette in bella mostra i tanti plugin con cui seguirlo sui social; da facebook a twitter, da pinterest a google plus. Niente da dire: Ciccio Sultano gioca bene le sue carte. “Credo molto nel potere della comunicazione quando non è fine a se stessa. Periodicamente, quasi ogni quindici giorni, faccio un meeting con il mio staff e con i miei collaboratori per programmare come modulare la comunicazione, quali ricette, idee o articoli pubblicare. Mi piace essere sintonizzato con il mondo intero. Ho aperto i miei profili su Facebook e Twitter quattro o cinque anni fa con la convinzione che fossero estremamente utili per mettermi in contatto con l'esterno, senza prefissarmi utilizzi diversi per l'uno o per l'altro. Per spiegare chi sono uso molto anche il mio www.cicciosultano.it che non è proprio un sito ma una sorta di piattaforma, un alter ego che racconta la mia vita e la mia attività di cuoco. Non ho mai pensato di aprire una pagina pubblica per il ristorante e un profilo personale per me semplicemente perché le due realtà coincidono. Con le foto che pubblico, invece, mi diverto a mettere in risalto la vivacità, il fermento dei cambiamenti e dei nuovi progetti. Pur essendo così legato al

mio lavoro, mi sento a mio agio anche nel postare contenuti che ritraggano la mia terra, un tramonto sul mare, la passeggiata mattutina o le impressioni di un viaggio. Così come cerco sempre di dialogare coi miei follower su temi legati alle politiche del lavoro o all'attualità che ci sta intorno, anche questo è un modo per nutrire gli altri”. @cicciosultano Ciccio Sultano cicciosultano1

re cosa se ne fanno i telespettatori e i surfisti della rete delle miriadi di stimoli e ricette con cui vengono bombardati. Perché se venissimo a scoprire che lo stimolo sensoriale si limita passivamente a guardare - senza provare poi a sperimentare con le proprie mani e il proprio gusto - è altissimo il rischio che ci stiamo illudendo di conoscere semplicemente perché assistiamo alla sovraesposizione degli chef. Il cibo – per natura – ha bisogno di contatto, ma non solo di quello social.

Riflettiamo infine su qualche dato. In Italia, nel 2013, il 16% delle famiglie ha rinunciato del tutto a pranzi e cene fuori casa e il tempo medio trascorso quotidianamente in rete da un italiano è di 4,7 ore con accesso da laptop/desktop e di 2,2 ore con smartphon e mobile (dato ben superiore alla media europea). Aggiungendo che gli utenti attivi in Italia sui social network arrivano ad un 42% della popolazione contro il 40% del dato europeo e che i dati di ascolto tv dei programmi di settore aumentano e tanto, viene da pensare che forse gli italiani stiano dando alla cucina un valore più virtuale che reale? Sarebbe utile sapeArtù n°63

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Cipriani a Un mito resistente

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Venezia

Hotel Cipriani

di Gualtiero Spotti Venezia è una città che ha sempre avuto difficoltà a emergere tra le tante località italiane, tutte degne di attenzione per la loro tradizione a tavola e per la presenza di indirizzi gourmand di rilievo. E la ragione è molto semplice. Essendo una delle capitali mondiali del turismo, la ristorazione a Venezia non ha mai ricercato con costanza una qualità nella proposta, e a parte i bacari o le osterie di una volta, comunque da ricercare sul territorio tra le tante, e certo non tutte di buon livello, l’alta ristorazione ha quasi sempre mancato l’appuntamento importante. Tornando indietro negli anni e nella memoria, sono pochi i nomi di grandi cuochi che si sono affacciati in laguna e spesso la loro permanenza ha avuto tempi molto brevi, come nel caso di Corrado Fasolato e di Paola Budel. Da qualche tempo a questa parte, però, le cose sembrano siano destinate a cambiare, grazie all’arrivo in una maison di prestigio internazionale quale l’Hotel Cipriani, sull’isola della Giudecca, di un giovane di talento del calibro di Davide Bisetto, alla guida di un ristorante

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completamente rinnovato con il tocco magico di un architetto famoso (soprattutto per la realizzazione di alberghi e ristoranti) come Adam Tihany. Il nuovo corso dell’albergo Cipriani, iniziato con la novità del marchio della compagnia Orient-Express (ora diventato Belmond) è proseguito nei mesi scorsi proprio con l’arrivo del trevigiano Davide Bisetto, cuoco dalle esperienze importanti soprattutto in quel di Parigi dove ha guadagnato la stella al ristorante Carpaccio (nel 2002) prima di approdare a Casadelmar in Corsica, hotel nel quale ha saputo raddoppiare la sua stella nello spazio di cinque anni. Da inizio 2014, invece, il cuoco è alla guida del ristorante Oro (ed è nuovo anche il nome), proprio da Cipriani, in sostituzione dello storico cuoco Renato Piccolotto, giunto alla pensione dopo quarant’anni di onorato servizio. Qui, in linea con la volontà della direzione dell’albergo di dare forti segnali di rinnovamento in un albergo molto classico, non solo per quanto riguarda la ristorazione, Davide Bisetto ha portato la sua impronta più moderna e innovativa già dai primi giorni dell’apertura della sala, grazie a uno stile concreto e indissolubilmente legato al gusto, all’esplosione dei sapori al palato. “Una cucina che - come spiega

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senza mezzi termini lo chef stellato deve essere sana, pulita, capace di dare emozioni, facendo buon uso delle tradizioni storiche della casa, ma al tempo stesso capace di reinterpretare con stile, di saper voltare pagina quando necessario. E, ovviamente, capace di sfruttare la scelta dei migliori prodotti sul mercato, da quelli che trovo qui a portata di mano, visto che Cipriani offre un magnifico orto, fino a quelli che, magari, arrivano dall’altra parte del mondo. D’altro canto per una cucina di qualità bisogna sempre ricercare il meglio, anche quando questo arriva da molto lontano”. Così il prodotto essenziale di un piatto diventa sempre il protagonista, anche nel menu che riporta con cura dei dettagli le particolarità di ogni preparazione. Il baccalà, selezionato e mantecato a mano, viene accompagnato dal concentrato di pomodoro rosso, dall’inchiostro e dalla bruschetta di seppie crude, i gamberi rossi sono arricchiti dalla granceola al


naturale, dall’aspic di pompelmo, dall’essenza di limone, dalla granita al cetriolo di Sant’Erasmo e dall’acqua di Bloody Mary. E il classico cocktail Bellini, all’albicocca, diventa un imperdibile dolce da fine pasto, fresco e delicato. Grande cura nell’estetica e nella pulizia delle presentazioni sono caratteristiche che non mancano mai nei piatti di Bisetto, come dice bene l’essenziale e artistico asparago dipinto, che sembra uscito dal Guggenheim di New York ed è accompagnato al tavolo da una scorza di bottarga, un prodotto d’eccellenza tra i più amati del cuoco. A rendere poi l’esperienza al ristorante perfetta anche sotto il profilo enologico ci pensa l’empolese Carlo Tofani, restaurant manager brillante e di esperienza, arrivato fresco da Joia, il ristorante veg stellato di Milano, e che subito ha messo in mostra la sua grande passione per il vino. La cantina così è diventata più dinamica ed è ora capace di affiancare a quelle grandi etichette necessarie

per una maison importante come Cipriani, anche qualche nome tutto da scoprire, con buone bottiglie di piccoli produttori, come nel caso del Moscato di Scanzo De Toma, della più piccola Docg italiana o di qualche bravo vignaiolo meno noto ai più. Se poi tutto questo non bastasse e si volesse prolungare l’esperienza in chiave gastronomica con una full immersion veneziana più tradizionale, lo staff dell’albergo propone ai suoi ospiti una sensazionale esperienza notturna in barca (o meglio sarebbe dire su un bragozzo), in giro per i canali di Venezia esplorando i bacari più interessanti per un classico cicchetto e uno stuzzichino; una gita romantica e un po’ godereccia, per una indimenticabile visione della città dall’acqua, nei silenzi notturni e dopo l’incessante frastuono quotidiano della mole di turisti che frequentano la laguna. Ristorante Oro dell’Hotel Belmond Cipriani - www.belmond.com Artù n°63

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Fabio Baldassarre cuoco a Taormina di Theo Smith Dopo la breve esperienza al Carlyle di Milano, lo chef è in Sicilia a firmare nuovamente la linea di cucina del ristorante dell’Hotel Imperiale. Per il secondo anno è infatti attivo, sulla splendida Roof Terrace dell’albergo, il ristorante OpsoN, espressione di creatività culinaria ben caratterizzata. Il nome del ristorante, OpsoN, che in greco antico significa “cibo”, vuole sottolineare le radici territoriali che la cucina di Fabio Baldassarre propone, e che sarà fortemente radicata nella tradizione e nei prodotti siciliani, con tante proposte di pesce e piatti sviluppati in linea con la stessa fantasia gastronomica isolana che è già molto presente in una storia di contaminazione continua fra popoli e culture. Sulla Roof Terrace dell’Hotel Imperiale, da cui si gode un panorama ineguagliabile sulla baia di Taormina, ogni sera viene proposta agli ospiti una cena a lume di candela, con suggestioni altrettanto uniche, da una cucina che rispecchia il rigoroso e diversificato percorso professionale di Fabio Bal-

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dassarre fatto di esperienze vissute con profonda attenzione. “Curiosità e desiderio di scoperta si affiancano al valore dei ricordi, privilegiando i grandi sapori della tradizione” dichiara Fabio Baldassarre. “Mercato e stagioni suggeriscono piatti mai banali, dove i caratteri delle materie prime vengono esaltati per offrire persistenti emozioni, assecondando una creatività che interpreta le usanze del passato”. Con le sue 63 camere, di cui 14 Suites dotate di eleganti arredi e delle più moderne tecnologie e comfort, l’Hotel Imperiale Taormina è ideale per trascorrere momenti di rigenerante relax e delizia dei sensi, grazie anche alla Spa di 260 mq e al raffinato gusto del nuovo ristorante OpsoN, a cura dello chef stellato Fabio Baldassarre. Situato nel centro storico di Taormina, l’Hotel Imperiale offre ai propri ospiti un panorama mozzafiato, con il Teatro Greco in primo piano e il mare, da Capo S. Alessio alla baia di Naxos, a colorare lo sfondo.



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In Drogheria Alla ricerca del meglio

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Compagnia della Ristorazione che diridi Luisa Contri ge la Drogheria Parini 1915 - “è agli inizi”. Sia perché l’allestimento degli Da “gioielleria dell’alimentare”, come spazi destinati all’esposizione dei prodotti si conviene a un negozio ubicato in in vendita è concepito per essere utilizuna traversa di via Montenapoleone zato anche per la somministrazione. a Milano, a bistrot con bottega. È il Ciò grazie alla presenza, in tutta l’area nuovo format della Drogheria Parini drogheria, di piani d’appoggio ove i 1915 di via Borgospesso 1, concepito clienti possono appoggiarsi, per consuda Compagnia della Ristorazione, mare più comodamente l’aperitivo o che ha rilevato questo locale a fine uno spuntino veloce. Sia perché al ser2013 dai precedenti proprietari, i vizio sono destinati almeno i due terzi fratelli Parini. degli spazi accessibili al pubblico. Spazi che sono stati ampliati dai 200 mq oriPer Compagnia della Ristorazione, holding ginari a 600 mq e che prevedono ben italiana del settore food & beverage tre sale ristorante, una grande sala bar, nata nel 2011, si tratta della terza ope- due sale drogheria, oltre alla cucina e razione di salvataggio e rilancio di locali ai locali di servizio. Il progetto architetstorici di Milano, con un investimento tonico, curato da Giovanni Pagani, ha complessivo intorno ai 10 milioni di valorizzato le volte in mattoni, riportate euro. A giugno 2012 la società ha infatti a vista, risaltano i materiali naturali acquisito il controllo de Al Panino di come il cotto, il legno, la pietra medicea piazza Liberty, locale che aveva lanciato (quella bianca classica dei banconi il culto dei “paninari” negli anni Ottanta, delle macellerie). L’enfasi sulla compoe de Il Taveggia di via Visconti di Modrone, nente somministrazione è soprattutto caffè-pasticceria dell’alta borghesia mi- evidenziata dal fatto che Giuseppe Ferri, lanese tra le due guerre e posto d’aperitivi socio fondatore della Compagnia della negli ultimi decenni del secolo scorso. Nel caso della Drogheria Parini, come accennato, l’intervento ha comportato una più spiccata evoluzione rispetto al format originario, con il quale ha comunque punti di continuità: tutti i prodotti confezionati in vendita portano il marchio Parini e l’offerta complessiva punta a posizionarsi al top della qualità. Oggi la componente somministrazione alla Drogheria Parini 1915 prevale nettamente. Sia perché l’assortimento food & beverage in vendita è esiguo: si tratta di una cinquantina di referenze fra pasta, riso, confetture, frutta da bere, salatini, snack, sottoli, conserve ittiche e condimenti, cui s’aggiunge una selezione di vini. “Il lavoro di scounting dei prodotti” - assicura comunque Piero Giacometti, il socio di Artù n°63

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ma anche da milanesi e da chi lavora in zona. Saremo quindi aperti anche per il servizio della prima colazione. Ci piacerebbe farne un posto dove la gente viene quotidianamente per mangiare cibi semplici e genuini, come si faceva un tempo nelle salumerie, accompagnandoli con ottimi vini. Un aspetto che ho curato molto è la codifica delle ricette, per far sì che il livello qualitativo Ristorazione, ha chiamato uno chef stellato, il parmigiano Marco Parizzi, a concepire la proposta gastronomica della Drogheria Parini 1915. Il suo obiettivo è d’altronde fare di questo locale un format esportabile, tramite monomarca in città come Dubai, Hong Kong, Londra, New York... o nelle dimensioni ridotte di un corner all’interno di importanti templi del food di lusso, come Harrods o Dean & De Luca. “Drogheria Parini 1915” spiega Parizzi - “vuole caratterizzarsi come locale che propone eccellenze italiane in modo informale e a prezzi accessibili, seppur non popolari perché parametrati col livello qualitativo offerto. Puntiamo ad attrarre un pubblico vasto, fatto non soltanto da turisti di passaggio,

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si mantenga sempre costante”. L’informalità della Drogheria Parini 1915, oltre che nel servizio, pur sempre curato anche nei dettagli – il pane, per esempio, è quello a lievitazione naturale del progetto Pane Buono del carcere di Opera – si ritrova nell’impostazione del menu. La classica scansione antipasti, primi, secondi, contorni è sostituita dal susseguirsi dei piatti “pronto subito”: 11 proposte semplicissime, fra capresi con mozzarella fior di latte o di bufala, culatello 17 mesi, strolghino e taglieri di salumi o di formaggi misti, “insalate” (tre), “con un po’ di tempo in più” (nove piatti) e “dolcezze” (cinque varianti). A dire il vero l’impostazione del menu è ancora in predicato. “È deciso che ci sarà una rotazione stagionale dei piatti” - precisa Parizzi -. “Soltanto quando avremo verificato chi effettivamente frequenta il locale, se prevarranno cioè i clietni abituali o quelli di passaggio, decideremo quali piatti proporre e con che frequenza cambiarli. Dovessimo at-

tirare più clientela assidua, velocizzeremo la rotazione delle proposte. Se prevarranno invece i turisti, caratterizzeremo ancor più l’offerta con piatti che manterremo stabilmente in carta. Oggi di proposte fisse ne abbiamo solo due: il riso alla milanese, con lo zafferano, mantecato con midollo e servito con uno spezzatino d’ossobuco, e la cotoletta alla milanese, non però quella ben cotta e schiacciata, bensì alta due dita e cotta rosa, col suo contorno”.

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Milano verticale identità carnivora

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ph. Cristian Parravicini

Qui sopra, Massimo Minutelli (a destra) con il cuoco Antonio Valla.

di Fiorenza Auriemma Il nome Varrone è un’esplicita dedica al letterato romano Marco Terenzio Varrone, che nel suo “De re rustica” scrive tra l’altro di allevamento di bovini. È invece ligure di nascita e toscano di adozione Massimo Minutelli, patron de La Griglia di Varrone, ristorante aperto a Milano da alcune settimane e dedicato al vasto mondo degli appassionati di carne. Il nuovo locale – in via Tocqueville 7, e quindi a pochi passi da corso Como e dalla nuova Milano verticale – è il terzo a portare questa insegna e format: “La prima Griglia di Varrone l’abbiamo aperta a Lucca

nel 2006, poi si è aggiunto un locale simile a Pisa nel 2011, e ora questo a Milano”, racconta Minutelli. Il quale per oltre un anno ha passato al setaccio il capoluogo lombardo per studiarne i locali specializzati in carne. Giungendo alla conclusione che – nonostante la crisi – quelli che lavorano bene hanno un buon giro di clienti. “Di questi tempi, più che mai è necessario presentarsi sul mercato con un’identità precisa, ottima materia prima e ottimo servizio”. Ha le idee chiare, Minutelli. Per cui, la carne che offre ai suoi cliente proviene da tre continenti e arriva al locale tramite fornitori con i quali collabora ormai da anni con un rapporto di fiducia consolidato. “Nei miei locali serviamo selezioni di carne molto particolari. Ad esempio, è da sei anni che ho inserito il Black Angus americano che importo dalla Francia, per la precisione attraverso il distributore Giraudi: in questo modo, posso disporre di tre selezione Artù n°63

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dello stesso allevamento, e quindi ho la possibilità di scegliere i pezzi migliori che mi arrivano sottovuoto”. Parliamo ora dell’altra prima donna del locale, che condivide la scena insieme alla carne. Ovvero la griglia, progettata appositamente per dare il massimo in cottura, e alimentata con legna di quercia per esaltare al meglio il sapore del Black Angus U.S.A., selezione Prime. “Proviene dall’allevamento Creekstone Farm in Kansas, dove i manzi crescono seguendo il ritmo naturale, alimentati a mais e senza alcun intervento artificiale, additivi, ormoni e mangimi”, dice Minutelli. La carta offre anche il Black Angus australiano (Ribaye, controfiletto Prime, filetto), così come carne cilena, e la Rubia Gallega dalla Galizia, e ancora le ricercati carni giapponesi. Per gli amanti del genere, La Griglia di Varrone offre un’ampia scelta di hamburger: con spuma di foie gras, o salsa guacamole, oppure con fiordilatte, pomodori e pesto di basilico, fino al King Burger di 550 grammi. Ci sono poi diverse proposte di Asado, nonché Pluma di maiale iberico Joselito, per quindi tor-

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nare in Italia – e per la precisione, in Piemonte – dove dalla macelleria Oberti provengono i tagli che Minutelli destina a tartare, battuta al coltello e “sashimi” di pura razza piemontese. Chi ha un debole per la tartare, ordini il Gran Crudo: 10 generosi bocconi di Piemontese cruda abbinati ad altrettanti intriganti condimenti. “Se dovessi dare una connotazione precisa al mio locale, direi che si tratta di un ristorante di carne, con molto spazio per il crudo e per i salumi”, specifica il patron. E ha ragione a sottolineare questo aspetto. Perché scorrendo la carta si trovano salumi “firmati” tra l’altro da Massimo Spigaroli – il suo culatello, in primis – e da Paolo Parisi. Il quale è presente


anche con le sue rinomate uova, che si possono ad esempio gustare preparate in un apposito forno a 61 gradi e servite con Parmigiano Reggiano di 36 mesi e aceto balsamico, o bottarga di Cabras, salmone norvegese ecc. Visto che la zona è vivace sia di giorno, sia di sera, La Griglia di Varrone ha studiato un menu ad hoc per il pranzo in modo che possa andare incontro alle esigenze di una clientela che ha poco tempo e preferisce porzioni ridotte. La sera, invece, è il caso di non avere fretta e affidarsi all’esperienza di Minutelli e alla sua carne. Nonché alle caratteristiche consolidate della sua griglia, e al suo personale specializzato che sa come sfruttarla al meglio.

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Vita Nova la grinta bresciana

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di Luisa Contri

Sopra, raviolo nero aperto con branzino e sua riduzione.

cui sei di esperienza sul campo, e il responsabile di sala Erdjan Misini, anche Tutte le cose che, da cliente, piacerebbe lui di 22 anni, entrambi conosciuti alla trovare in un ristorante. È pensandole Dispensa pani e vini, e il pasticcere e che Roberto Giannoni ha costruito, aiuto cuoco Alessio Guerriero, 27 anni. mattoncino su mattoncino, il format "Come me - spiega Giannoni -, fanno del ristorante Vita Nova, locale che ge- un mestiere che li appassiona. Il fatto stisce dal novembre 2012 alla periferia che siamo tutti giovani, poi, mi consente nord di Brescia e che è inserito nella di assumere il ruolo di capo-amico. Ho club house del Bresciagolf Country creato fra di noi un grande affiatamento Club. Un locale che è il concretizzarsi e questo mi permette di chiedere loro di un suo sogno, di una passione de- quell’impegno in più indispensabile per stinata a consolidarsi. far sì che il ristorante si differenzi dagli altri a livello qualitativo e di servizio". "Io la parola crisi la intendo alla greca, Completate le presentazioni veniamo ai come cambiamento - dichiara ad Artù contenuti del format Vita Nova. Nelle inGiannoni -. Se riesco a portare avanti il tenzioni di Giannoni, deve essere un riprogetto del Vita Nova in un momento storante accogliente, non troppo rumodifficile come è l’attuale, non avrò grossi roso, con luci soffuse, un sottofondo problemi a farlo quando la situazione musicale discreto, un servizio molto ateconomica migliorerà". Parlando con tento, tanto da non risultare mai invaquesto 29enne bresciano, affiora tutta dente, una cucina moderna, di ricerca, la sua grinta e impegno nel portare al- molto giocata sugli abbinamenti di gusto l’affermazione il Vita Nova. E si ha anche insoliti, una cantina ben fornita, che si l’impressione che abbia le idee chiare, rinnova ogni sei mesi, e una spesa prononostante stia muovendo solo i primi porzionata, giusta. "Dò molta importanza passi nel mondo della ristorazione. all’accoglienza al cliente - afferma Gian"Ho scoperto la passione per la cucina noni -. Ho fatto tesoro di quello che mi mentre studiavo medicina a Parma - disse il maitre del Damindra. Il successo racconta Giannoni -. E nel 2009 ho deciso di lasciare gli studi e di trasformare questa passione in una professione. Ho frequentato un corso per chef presso la scuola Cast Alimenti e poi ho fatto quattro esperienze lavorative, tre in cucina e una in sala. Sono stato tre mesi dallo chef Vittorio Fusari alla Dispensa pani e vini in Franciacorta di Torbiato di Adro e altri sette mesi dallo chef bistellato Philippe Léveillé del Miramonti l’Altro di Concesio. Poi per otto mesi ho svolto l'incarico di sous chef al ristorante giapponese Damindra di Copenhagen. E infine ho fatto un’esperienza in sala al Carlo Magno di Collebeato. Quasi fin dall’inizio di questo periodo di formazione sul campo, avevo capito che la mia aspirazione non era fare il dipendente, bensì essere imprenditore. E grazie al sostegno dei miei genitori ho potuto cogliere l’occasione di aprire il Vita Nova". Giannoni ha coinvolto nella sua avventura una squadra giovane: lo chef, Francesco Fascella, 22 anni, di Artù n°63

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In alto primavera al mare, seppie cotte a bassa temperatura con gamberi rossi e panna acida. Qui sopra risotto ai due Franciacorta con battuto di gamberi rossi e lime.

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di quel ristorante era dovuto anche al fatto che il servizio in sala era curato e caldo, non freddo come nella maggior parte dei locali di Copenhagen. Quando il cliente entra nel nostro ristorante, lo accogliamo e riponiamo in guardaroba eventuali cappotti o valigette, lo accompagniamo al tavolo, gli chiediamo che tipo d’acqua desidera, quindi portiamo il menu e mentre spieghiamo i piatti arriva al tavolo l’aperitivo, prendiamo la comanda e l’ordine per il vino. Dalla cucina parte lo stuzzichino con pane e grissini e si va avanti seguendo un protocollo studiato nei minimi dettagli e nelle tempistiche. Il nostro servizio è insomma come una danza che accompagna il cliente durante la sua permanenza da noi. Un servizio discreto e silenzioso quando ci accorgiamo che gli ospiti desiderano stare soli. Oppure affabile e comunicativo se sono interessati a scambiare due parole, a chiedere chiarimenti sui piatti, sul vino". Il Vita Nova ha un potenziale di 38 coperti a servizio, ma Giannoni accetta un numero inferiore di clienti: una trentina nelle serate in cui riesce a scaglionare gli arrivi e una ventina quando ha molte prenotazioni

alla stessa ora. Questo sia per far sì che in sala rimanga qualche tavolo libero, così da garantire un po’ di privacy agli ospiti, sia per dar modo alla cucina di lavorare al meglio. "Preferisco chiedere alle persone che tornino un’altra sera se mi rendo conto che non possiamo servirle nei tempi e modi giusti - assicura Giannoni -. Avere solo due persone in cucina è stata una scelta dettata dall’esigenza di contenere l’investimento iniziale, ma è un limite quando abbiamo molta gente". Con molto pragmatismo Giannoni racconta di come il menu sia studiato minuziosamente anche per tenere sotto controllo il food cost. "Nei primi sei mesi - racconta - cambiavamo la carta ogni 60 giorni, ma ci siamo resi conto che questo creava sprechi di cibo e un carico di lavoro eccessivo e anche la qualità dei piatti ne soffriva. Abbiamo quindi preferito optare per un cambio stagionale del menu. Da quando siamo aperti, comunque, abbiamo sempre fatto piatti diversi. L’idea del classico non mi ha mai entusiasmato. Voglio caratterizzare il Vita Nova come un ristorante dove la gente viene per provare ricette nuove, alcune decisamente insolite, altre comunque che reinterpretano dei classici. Voglio fidelizzare la clientela incuriosendola e


facendo sì che torni per provare un nuovo risotto, un nuovo piatto a ogni cambio di stagione e di menu. E pian piano ci stiamo riuscendo. Abbiamo già una bella mailing list di clienti che informiamo delle novità e delle iniziative del locale e ci stanno arrivando parecchie richieste per cerimonie". È così che nella carta di primavera del Vita Nova si affiancano ricette particolari come la zuppa di mais e zafferano con bacon croccante e pistacchi, il cappuccino viola o il dentice, pesche e prugne, la torta tropezienne con salsa al passion fruit e piatti liberamente ispirati alla tradizione come la tartare di manzo con crema di topinambur affumicato e il risotto ai Franciacorta con battuto di gamberi rossi e lime. L’agnello con asparagi, riduzione

di aceto di mele e vaniglia o la pera sciroppata al vin brulée con cialda ripiena di crema al latte di mandorla. Materie prime povere come quelle dello sgombro marinato con panissa di ceci o nobili come la scaloppa di fegato grado d’anatra con frutti rossi e cipolle caramellate. La regola del cambio costante dei piatti al Vita Nova non è comunque da considerasi rigida e definitiva. Giannoni non ha la presunzione di trascurare tout court le richieste dei clienti di riassaggiare piatti di precedenti menu. In occasione dell’anniversario del Vita Nova, per esempio, ha proposto un menu a sorpresa fatto con i cinque best seller. "La cosa è piaciuta molto alla clientela - riferisce Giannoni -. Abbiamo fatto il pieno tutti e quattro i giorni. Ripetere i nostri piatti

A lato, ananas centrifugato con sablè e cocco rapé. Sotto, da sinistra verso destra, Alessio Guerriero, Roberto Giannoni, Erdjan Misini e Francesco Fascella.

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Sotto sfogliatella frolla alle amarene e babà affogato al rum con chantilly al miele.

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più apprezzati, magari in occasioni di eventi particolari o di serate a tema, però, è un conto. Inserire in carta un menu a sorpresa è un altro. Mi piacerebbe, ma lo ritengo prematuro. Sicuramente aiuterebbe a far conoscere lo chef, ma genererebbe sprechi di cibo che vogliamo evitare. Un po’ perché sarebbero un delitto, considerata l’alta qualità delle materie prime che utilizziamo. Un po’ perché non possiamo permetterceli, visto che non vogliamo alzare i prezzi. È presto per farlo, data la breve

vita del ristorante e, oltretutto, la congiuntura lo sconsiglia". Attento a non accentrare su di sé troppe incombenze, Giannoni ha delegato allo chef gli acquisti food, mentre si occupa personalmente di quelli dei vini. Come accennato, rinnova la carta ogni sei mesi, proponendo al calice quelli che hanno ruotato meno, e inserendone altri. "Il mio criterio guida è l’uvaggio. Cerco, per esempio, vini fatti col vermentino, ne provo alcuni e tengo poi quello che ritengo più interessante. Nella mia carta non mancano però anche uvaggi oggetto di recupero e riscoperta, come il timorasso, un bianco piemontese, e il nerello mascarese e cappuccio dell’Etna". Anche per continuare a coltivare la sua passione, Giannoni partecipa attivamente alla messa a punto della carta. "Quando dobbiamo preparare quella nuova - spiega -, io e Francesco prepariamo ciascuno dei piatti nuovi seguendo il nostro estro, ma spesso accordandoci preventivamente sugli ingredienti. Poi insieme ad Alessio li valutiamo, anche dal punto di vista dei tempi di preparazione. Avere tutti piatti gourmet, com’era il piccione in doppia cottura con tortino di patate, tartufi e crostino di fegatini di piccione dell’ultima nostra carta invernale, sarebbe bello. Ma con due sole persone in cucina e quattro fuochi oggi non è fattibile. Lo faremo più avanti…". Per il momento Giannoni si accontenta di fare 430 coperti alla carta, sui circa 1000 totali al mese, tenendo fede all’impegno di proporre una formula economica a pranzo per i frequentatori del golf club e il pubblico in generale.



Pagine a cura della redazione di

Il latte al posto del latte Isoflavoni per la soia, zero grassi per il riso, acido folico per l'avena. Tutto il meglio del vegetale per chi cerca un'alternativa al latte di mucca. Latte si ma vegetale. Ne esistono almeno 12 tipi, per chi è intollerante al lattosio o allergico alle proteine del latte, per chi evita i prodotti di origine animale o semplicemente è in cerca di alternative al latte di mucca. Dal latte di riso con zero glutine, lattosio e colesterolo, a quello di avena con fibre e acido folico. Ma quanto hanno in comune con il latte vaccino? Ottenuto da cereali, legumi o semi oleosi, il latte vegetale non ha niente in comune con il latte vaccino, di capra, ecc… se non il nome. Anzi, nemmeno quello perché ai sensi di legge non si può definire latte ma “bevanda di” e la composizione nutrizionale varia a seconda dell’ingrediente di base. Lo conferma Luca Avoledo, naturopata esperto in ecologia del corpo, nutrizione, salute naturale, il quale sottolinea che “nessun latte vegetale ha un significato nutrizionale particolarmente interessante. Sono cibi che possono essere buoni o gustosi e rappresentare un possibile ingrediente della colazione. Il vantaggio del fatto che ci siano molti “latti” vegetali diversi è che ciò permette una sana alternanza tra loro e con il latte animale; aspetto a mio avviso tra i più importanti da ricercare quando si parla di sana alimentazione”. Soia, avena, canapa, mandorla, riso sono le bevande vegetali più comuni, ma nei negozi specializzati si trovano anche quelli di orzo, cocco, farro, miglio, kamut, arachidi, noci e nocciole. Disponibili nelle versioni aromatizzate e zuccherate e quasi sempre ar ricchite

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tine, quindi indicato per celiaci e per neonati. Il sapore al palato varia molto per ogni marca. Meno comune del latte di soia è il latte di canapa (hemp milk), molto diffuso in America dove è di moda. Gustoso, cremoso e ricco di proprietà, il latte di canapa è ricavato dalla parte commestibile (i semi) della Non solo soia Tra quelli vegetali, il latte di soia è il Cannabis Sativa L, ma non contiene più conosciuto. È economico e facile nessun componente psicoattivo della da trovare. Dal punto di vista nutrizionale marijuana. Per i fan dei grassi “buoni” è molto simile al latte vaccino per pro- è ricco di omega 6 e omega 3 e altri teine e calorie e poiché la maggior importanti nutrienti che fanno di questa bevanda un ottimo alimento per parte delle confezioni vegetariani e vegani. Accertate sono fortificate (con anche facoltà antinfiammatointegratori di minerali rie. Unico aspetto negativo e vitamine) è anche è il prezzo, circa il doppio una fonte compararispetto a latte di soia e bile di calcio. Oltre mandorla. Con il suo deliad essere privo di zioso aroma e la consistencolesterolo, il latte za cremosa ricca di proteidi soia presenta una ne, il latte di mandorla è frazione lipidica ricca di grassi insaturi noti come "grassi buoni", ma scarsamente rappresentata nel latte vaccino. Le proteine di questi "fagioli" possiedono un elevato potere nutrizionale, grazie all'alto contenuto di aminoacidi essenziali, che risulta comunque inferiore rispetto a quello di origine animale. Le sue proprietà benefiche sono quelle della soia: contiene ferro e gli isoflavoni riducono il colesterolo cattivo e il rischio di arteriosclerosi. Il latte di soia è privo di glucon vitamine e calcio. Infatti, il latte vegetale, di qualunque tipo, a differenza del latte vaccino, deve essere integrato di nutrienti, quindi fortficato con aggiunta di Calcio, vitamina D e vitamina B12 di cui è carente.


Il calcio non è solo nel latte Dove trovare e come fare il pieno di questo prezioso minerale Tutti sanno che il latte e i suoi derivati sono ricchi di calcio, minerale prezioso per la nostra salute, in particolare per le ossa che a partire da una certa età si indeboliscono. Ma molti forse ignorano che apportatrici di calcio sono anche le verdure: broccoli, spinaci, rucola, solo per citarne alcune. Alimento Broccoli, cavolfiore Latte e yogurt Formaggi stagionati Formaggi freschi Fagioli secchi Spinaci

Calcio contenuti mg/100 gr 28-97 120-125 1263 438 102-132 78

un perfetto dessert. Nella tradizione siciliana il latte di mandorla è un ingrediente fondamentale e la versione zuccherata è la base per la rinfrescante granita di mandorle. Come ogni prodotto derivante da semi oleaginosi è fonte di antiossidanti, ma le quantità non sono comunque particolarmente significative come sottolinea Luca Avoledo. Per potenziare l'effetto antinvecchiamento e rendere il primo pasto della giornata un rito anti-aging è indispensabile, infatti, associare al latte, vegetale o vaccino, i semi (di chia, di lino), fiocchi di cerali semplici (orzo, miglio, avena), frutta in guscio, bacche esotiche (Acai, goji) che regalano energia e lunga vita.

Calcio Assorbito 40-60% 30-35% 30-35% 30-35% 20-25% 5%

sono nutrienti e ricchi di fibre, vitamine C, E, B1, B3, B5 e B6 e minerali tra cui ferro, selenio, sodio, calcio, magnesio e fosforo. A differenza del latte di mucca, il latte di cocco è senza lattosio e quindi può essere utilizzato come sostituto del latte vaccino dagli intolleranti. Popolare tra i vegani, è la base ideale per frullati e frappè anche perché naturalmente ricco di zuccheri. Un’altra alternativa al latte vaccino è il latte di avena, poco calorico e con pochi grassi, ma ricco di fibre, vitamina E e

acido folico. Ha proprietà tonificanti in quanto ricco di zuccheri semplici; ideale per gli sportivi e per i bimbi. Tra le bevande vegetali, quella di riso contiene meno grassi, la maggior parte polinsaturi quindi non nocivi. È perfetto per chi ha allergie alimentari, ma è anche privo di proteine, il che lo rende piuttosto inadatto per la cottura, in quanto non aggiunge cremosità ai piatti. Il latte di riso ha un sapore molto delicato che lo rende una bevanda rinfrescante o adatto con i cereali a colazione. Il latte di riso che si trova al supermercato, come quello di avena, contiene oli aggiunti, solitamente di girasole. Meglio se spremuto a freddo e di origine biologica. Seguiteci anche su www.corporesanomgazine.it

Cocco o Avena? Usato per preparare la Pina Colada o insaporire molti piatti asiatici, il latte di cocco ricavato dalla polpa del frutto mescolata con la propria acqua, è molto ricco di grassi naturali. Le noci di cocco

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Punta Tragara Capri va alla grande

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di Gualtiero Spotti L’indirizzo giusto per chi ama la tranquillità e la vista di un paesaggio incomparabile. Fra i plus della struttura, una cucina magistrale, guidata da Luigi Lionetti, allievo di Gennarino Esposito. La sua linea culinaria è un sapiente mix fra ricette della tradizione campana e ricerca di ingredienti innovativi, sorretti da sensibilità e conoscenza. L’isola di Capri è uno dei gioielli del Mar Mediterraneo. E anche oggi che è presa d’assalto da orde di turisti mordi e fuggi, oppure da vacanzieri che, invece, soggiornano più a lungo e, magari, si lasciano avvinghiare dalle bellezze artistiche e dai paesaggi incontaminati, rimane un luogo magico, soprattutto negli angoli meno conosciuti, quelli che permettono la scoperta delle storiche ville (come quella del Barone Fersen) o una rilassante camminata lungo i viottoli che si spingono oltre la famigerata piazzetta. Per questa ragione un albergo come il Punta Tragara, lontano dai clamori del centro di Capri, è un indirizzo consigliato per chi vuole vivere l’isola con maggior tranquillità. Senza dimenticare l’incredibile posizione che occupa la struttura. L’Hotel si trova alla fine della passeggiata che porta di fronte ai faraglioni, in parte immersa nella macchia, tra ville, case, deliziosi ristoranti e scorci paesaggistici mozzafiato. Come quelli, proprio sui faraglioni, che godono gli ospiti dell’albergo affacciandosi dalle terrazze delle stanze. Il Punta Tragara, poi, offre, il piacere di un quarto d’ora di full immersion lungo un percorso costiero, da fare ri-

gorosamente a piedi, che porta alla visione (è il caso di dire) della celebre villa appartenuta a Curzio Malaparte e diventata, visto anche il valore architettonico, un luogo mitico, utilizzato per numerosi film d’autore e, più recentemente, come scena di spot pubblicitari. Peccato che visitarla sia praticamente impossibile, essendo l’edificio di proprietà privata e vista la trafila piuttosto lunga di permessi necessari. Forse il modo più semplice di osservarla è ancora quello di concedersi un giro dell’isola su un gozzo e poterla così ammirare dal mare. Il Punta Tragara, invece, affascina oltre che per la posizione a dir poco unica, anche per lo stile e l’eleganza del servizio, così come dell’intera struttura. Le camere, quasi labirintiche, offrono diverse vedute di Capri e del mare da Artù n°63

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più angoli, e oltretutto realizzate con un gusto piacevolmente ibrido, un po’ moderno e quasi di design che si mescola a quello tipicamente mediterraneo. Un bel connubio che prosegue negli spazi esterni con le due piscine, illuminate anche nelle ore not-

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turne e, soprattutto nella cucina che mette in campo le qualità indiscusse del giovane Luigi Lionetti. La scuola è, in questo caso, quella di un grande della Costiera, Gennarino Esposito, che Capri la conosce molto bene avendo aperto, tra l’altro, poco più di un anno fa, il suo ristorante Mammà, in uno dei vicoli vicini alla piazzetta. Luigi Lionetti è uno dei suoi tanti discepoli e ora cammina con le sue gambe preoccupandosi dei piatti che escono nella sala del ristorante Monzù, cui si aggiunge una splendida terrazza esterna da vivere nella lunga stagione estiva, con vista su Capri e sulla costa Nord dell’isola. La sua è una cucina prevalentemente di mare, dove il pescato del giorno (portato a vista al tavolo per la scelta finale da parte dell’ospite) è imprescindibile, come sug-


geriscono con solerzia i camerieri in sala, ma dove non mancano neanche gustosi piatti di carne tipici della tradizione campana o i prodotti della terra. Come suggerisce l’ottima pasta e patate con astice blu, che incontra la provola affumicata dei Monti Lattari. Le preparazioni sono, ed è necessario secondo la tradizione del Sud Italia, molto fresche e immediate, esplosive al palato e ricche di gusto anche quando vivono di leggerezza. Per questa ragione alcuni piatti vengono reinterpretati in una chiave più moderna, come la parmigiana di melanzane, che qui diventa un tortino o un soufflé sicuramente più abbordabili per chi ci tiene alla linea. Inoltre Luigi Lionetti, ormai ai fornelli del Monzù da due anni, ha rivolto una particolare attenzione verso coloro che apprezzano una cucina vegana o vegetariana, o per chi è intollerante al glutine, realizzando appositamente per loro una serie di piatti nuovi, decisamente light. Il savoir faire e la discrezione dello staff fanno il resto. Ed è proba-

bilmente il valore aggiunto di un luogo che ha bisogno davvero di poco per vivere di un suo fascino eterno, immutato nel tempo. Al punto che non viene minimamente la voglia di fare quel quarto d’ora di strada che conduce verso le boutique e il centro della Marina Piccola, e si resterebbe per sempre cullati dal vento tiepido di fine giornata a osservare l’orizzonte, il volo di un gabbiano o a perdersi nel frusciare delle foglie della ricca vegetazione mediterranea che circonda Punta Tragara. Se poi avete la fortuna di soggiornare nella grandiosa Penthouse Suite all’ultimo piano dell’hotel (con tanto di vista a trecentosessanta gradi, terrazza olimpionica e comfort extralusso) la vita reale sembrerà davvero qualcosa di distante e il paradiso sempre più vicino. www.hoteltragara.com

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Kempinski di St. Moritz Da 150 anni sempre al top camere si dividono in camere singole Classic e Resort, camere Supeior, Deluxe e grand Deluxe, fino alle Suites e alle 11 Spa suites, due Spa Corner - veri e propri appartamenti da 90 mq - e due Tower suites da 120 mq. Prestigiosa la camera Presidenziale di ben 320 mq. Alla direzione dal 2004 Rupert Simoner: "Un hotel deve sempre cercare di fornire ai suoi ospiti ciò che è a loro familiare e sorprenderli piacevolmente con qualcosa di nuovo". A tale proposito ricordiamo la prestigiosa offerta gastronomica, sotto la supervisione di Axel Rüdlin, il nuovo Executive Chef al Kempinski dal 2013: accanto alle proposte più tradizionali ed internazionali, risalta l'apertura del nuovo Asian Sra Bua, ristorante giapponese caratterizzato da una cucina definita di Elisa Facchetti 150 anni e non mostrarli. Il Kempinski Grand Hotel des Bains di St. Moritz, cinque stelle, ha festeggiato di recente l'importante traguardo dalla sua nascita, punto di riferimento dell'ospitalità engadinese di lusso incastonato tra le Alpi dei Grigioni. Si staglia con la sua maestosa struttura architettonica il Kempinski di St. Moritz, primo hotel di lusso delle Alpi Grigionesi costruito nel 1864 con il nome di Hotel des Bains e ben presto eletto come meta estiva dall'alta aristocrazia europea. Ampia la ristrutturazione che interessò l'intero edificio nel 2002, prima di riaprire come Kempinski Grand Hotel des Bains, situato proprio alla foce della sorgente Mauritius, preziosa fonte termale grazie alla quale il Grand Hotel fornisce trattamenti speciali, percorsi Kneipp e una serie di lussuosi pacchetti spa con prodotti Valmont. Ben 184 tra camere e suite sono disponbili per rispondere a ogni esigenza, dotate di tutti i comfort e molto di più, arredate con lo stile inconfondibile del Grand Hotel che coniuga preziosi mobili di antiquariato ad arredi moderni e colori vivaci, in un incontro tra elementi tipici della tradizione engadinese e materiali naturali, per regalare un'atmosfera di semplice eleganza. Le

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pan-asiatica, con un tocco europeo. Accanto all'offerta fusion il Grand Restaurant Les Saisons, il ristorante Enoteca, il ristorante gourmet Ca' d'Oro - 17 punti Gault-Millau e una stella Michelin - e per i momenti di relax il Kempinski Lobby & Bar. La stagione estiva annuncia l'arrivo di altre novità proposte dal Kempinski per festeggiare insieme ai propri ospiti il 150° compleanno: interessanti pacchetti, che includono la gratuità dei trasporti pubblici nell'Alta Engadina, permettono a chi soggiorna di godere di un tour guidato dell'intero edificio, oltre


a numerose iniziative. In particolare l'offerta per il 150° anniversario prevede tre notti in camera doppia Resort, colazione a buffet, buono dal valore di 150 CHF, servizio in camera, un cesto con grigliata di specilaità locali, una cena all'Enoteca, ingresso gratuito al centro termale. Diversificate poi le altre offerte: il pacchetto Alpine Recreation, la proposta Family Time, il pacchetto Discovery Engadin e il programma Suite Dreams, oltre ai pacchetti in camere Deluxe, come la proposta Grande Anniversario e Grande Anniversario Family Edition, con costi ovviamente differenziati, fino a 4300 CHF. Il Kempinski di St. Moritz rivela tutta la sua bellezza non solo nei periodi estivi, ma soprattutto durante l'inverno per gli amanti dello sci: l'albergo è situato a pochi passi dalla funivia del comprensorio sciistico di Corviglia, così come la pista da fondo. Totalemente rinnovato, il Kempinski Grand Hotel des Bains è luogo di grande charme distinto da un servizio impeccabile, parte del gruppo Kempinski Hotels, la più antica catena di hotel di lusso in Europa che ad oggi gestisce un portafoglio di ben 75 alberghi a cinque stelle in 32 paesi ed è inoltre membro fondatore della Global Hotel Alliance, la più grande alleanza mondiale di catene alberghiere indipendenti, che proprio nel 2014 festeggia il decimo anniversario. Artù n°63

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Electrolux Professional efficienza e flessibilità di Elisa Facchetti La nota azienda di Pordenone offre una gamma completa di soluzioni ad alte prestazioni per cucine professionali. Oggi più che mai, con la nuova linea Thermaline, Electrolux Professional ha raggiunto ottimi risultati di flessibilità nella produzione di attrezzatura per la cottura, innovazioni intelligenti al servizio di ogni chef. È stata presentata di recente al mercato italiano e ha già riscosso grande successo la nuova gamma di cottura modulare 85 & 90 di Thermaline. Progettata per soddisfare le necessità di strutture di varie dimensioni, le apparecchiature fondono tecnologia d'avanguardia a afficienza e risparmio energetico: Thermaline è un esempio di tuttapiastra con

male il livello di cottura risparmiando fino al 35% dei consumi energetici. Così come i bruciatori a tripla corona "flower flame", brevettati, che adattano in modo automatico la fiamma in base alle dimensioni delle pentole impedendo la dispersione termica per un risparmio fino al 65%. Il modulo Tehrmaline è stato infatti concepito da Electrolux Professionl nell'ottica di semplificare al massimo il lavoro dello chef in cucina, per una resa efficiente e senza sprechi. "Parliamo di apparecchiature estremamente performanti - afferma Marco Parisi, senior project manager e head of the Therma competence center in Electrolux Professional -. Questa è una soluzione ideale per le cucine ad alta produttività. Le possibilità

e le configurazioni sono infinite, così da adattarsi perfettamente alle preferenze e agli stili di cottura dello chef che le ha scelte. Ogni singolo rivesti- dettaglio, dalla forma delle maniglie mento Ecotop sulle porte, alle manopole con impuche grazie a ben otto gnatura in silicone, al pannello di consensori di temperatura per- trollo ad alta visibilità, è stato studiato mette di monitorare in modo otti- per assicurare la massima funzionalità".

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I modelli 85 & 90 di Thermaline si differenziano nel display dei comandi: vetro temperato retro-illuminato per la versione 90, pannello in acciaio con i simboli tagliati a laser sul pannello per la proposta 85. Estetica diversa, ma grande flessibilità per entrambi i modelli, predisposti con numerosi funzioni dedicate alle varie preparazioni in cucina: l'apparecchiatura "aquacooker", multifunzione, è utilizzata come cuocipasta, cotture a bagnomaria o per la cottura sottovuoto; con la piastra "free-cooking" è possibile cuocere direttamemte il cibo sulla piastra, mentre il "frytop" con superficie "powertop" antiaderente e altamente resistente, può essere posizionato anche su basi refrigerate e freezer. In ultimo, ma non

per importanza, il sistema "induzione ampia superficie" che permette di posizionare su tutto il piano interessato fino a 16 pentole. Non solo flessibilità durante le preparazioni in cucina, ma anche in fase di installazione: la gamma modulare di Thermaline può infatti essere montata contro parete, a isola, schiena contro schiena, un assemblaggio perfetto garantito dal sistema di giunzione Thermodul che evita infiltrazioni di liquidi e assicura massima igiene. Sistemi brevettati, progettazione, attenzione ai particolari, alta tecnologia, questi gli ingredienti che fanno di Electrolux Porfessional una realtà tanto apprezzata nel settore ristorazione e ospitalità quanto destinata ad essere sempre più legata a importanti network enogastronomici internazionali e nazionali. Da qui nasce l'importante collaborazione con Slow Food e UNISG, l'Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, che insieme Artù n°63

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hanno collaborato con l'obiettivo di fondare la Scuola di Cucina di Pollenzo, a Bra (Cn). Progetto ampiamente condiviso dal Gruppo Electrolux che ha reso possibile la realizzazione di uno spazio per gli studenti allestito dal sitema a cottura modulare Thermaline 90: "Come rappresentanti dell'eccellenza nel mondo delle soluzioni professionali, siamo orgogliosi di collaborare con UNISG e di aver contribuito ulteriormente a valorizzare, con le nostre soluzioni, la Scuola di Cucina di Pollenzo - ha dichiarato Mario Lobbia, direttore generale di Electrolux Professional Spa -. Thermaline è la scelta ideale per l'esclusività della location e per le esigenze della scuola. Le sue funzioni innovative garantiscono processi di cottura delicati, che esaltano la qualità del cibo senza rinunciare alla potenza e quindi alla produttvità.

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La realizzazione della Scuola di Cucina di Pollenzo segna l'inizio di una prestigiosa partnership di eccellenza". Progetto, questo, reso possibile dalla specificità dei sistemi realizzati a misura di chef, vere e propri sistemi "taylor made" sviluppati grazie ai cuspicui investimenti nello sviluppo di nuove soluzioni. Solo qualche dato per chiarire il concetto: ogni anno viene investito il 3% del fatturato in ricerca e sviluppo e negli ultimi tre anni è stato possibile rinnovare più del 70% della gamma con prodotti in grado di aumentare la produttività, ridurre i costi, riparmiare energia riducendo l'impatto ambientale e ottimizzare lo spazio. Dati a conferma di un Gruppo in piena salute con un fatturato nel 2013 attestato a circa 640 milioni di euro, per un totale di 2600 dipendenti, sette stabilimenti, oltre 1000 tra agenzie e rivenditori e


Carlo Petrini, gastronomo, fondatore di Slow Food e Presidente dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Cn), così definsice il rapporto che lo lega ad Electrolux Professional.

2000 centri assistenza tecnica distribuiti in 140 Paesi. Un ventaglio di coordinate che ha permesso a Electrolux Professional di staccare il biglietto per accedere al mondo del design. Due i riconoscimenti dal mondo del design internazionale per la nuova gamma di cottura modulare 85 & 90 di Thermaline: il “Red Dot Award: Product Design 2014” e la “Menzione d'Onore” in occasione del XXIII Compasso d'Oro ADI nella sezione "design per il lavoro". Premi che onorano l'eccellenza del design, come ha dichiarato Michele Cadamuro, design director di Electrolux Professional: "Questi premi confermano l'impegno che mettiamo, quotidianamente, nel progettare prodotti d'eccellenza e rappresenta il giusto riconoscimento che va a tutto il team che ha contribuito e partecipato al raggiungimento di questo eccezionale risultato".

“Electrolux Professional, partner strategico dell’ateneo, ha fornito le sue migliori soluzioni alla Scuola di Cucina dell’Università di Pollenzo. Le nuove tecnologie, diventate sempre più sensibili per quello che riguarda l’arte della cucina, sono una delle cose più importanti di questo momento storico. Il fatto di aver trovato questa collaborazione con Electrolux, ed aver avuto la possibilità di metterla nel luogo dove cresceranno gli chef del futuro e dove gli chef stellati del mondo verranno ad insegnare, è un elemento molto prezioso: questa umanità ha bisogno di questi strumenti e non c’è dubbio che l’evoluzione dei prossimi anni andrà ancora avanti perché i livelli di bravura raggiunti da

aziende come Electrolux, che credono nell'innovazione, non possono che migliorare. Da che mondo è mondo, se non domini il fuoco, se non domini la fisica non puoi capire l’importanza degli strumenti.”

Mario Lobbia, direttore generale di Electrolux Professional Spa e Carlo Petrini.

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Nuovi chef stellati, birra, Pommery, San Daniele e riso Luca Marchini e Bertazzoni, due stelle in cucina

Luca Marchini L’inaugurazione a Milano dello showroom di Bertazzoni, azienda emiliana produttrice di elettrodomestici per la cottura di alta qualità con una tradizione di oltre 130 anni, è stata l’occasione di una cooking session coordinata da Luca Marchini. Lo chef, insignito nel 2009 di una stella Michelin, attualmente fa parte dei Jeunes Restaurateurs d’Europe - Italia. Aretino di nascita, emiliano d’adozione, è titolare dal 2003 del ristorante L’erba del Re nel centro antico di Modena. Il sua menu basato sul concetto di “tradizione – innovazione” propone piatti classici della cucina emiliana, interpretata con l’esaltazione dei migliori prodotti del territorio, abbinati a ricette dove la ricerca, la tecnica, la creatività portano a interes-

santi contrasti tra le temperature degli ingredienti e la tattilità degli elementi. Durante l’arco della giornata d’inaugurazione lo chef ha proposto quattro diverse preparazioni coinvolgendo a collaborare i giornalisti di settore intervenuti. Per la colazione Luca Marchini ha proposto un “Uovo morbido, castagna, riduzione di latte e panna, ciambelle dolci di pane”, seguito per il pranzo da un goloso “Risotto con parmigiano reggiano 28 mesi di stagionatura, salsiccia, rosmarino e aceto balsamico tradizionale di Modena”. La merenda è stata accompagnata da “Pane, burro, zucchero (… e poi acciughe e capperi)” concludendo, per l’aperitivo, con un “Club sandwich via Emilia”. Lo showroom esponeva nelle versione built-in e free standing piani cottura, forni, cappe delle collezioni Bertazzoni e Bertazzoni La Germania. Le due linee si distinguono per le diverse scelte di distribuzione e posizionamento sul mercato tra medio alto e top di gamma. I prodotti spaziano dal design firmato, tra gli altri da Stefano Giovannoni, al classico stile tradizionale con finiture cromate brillanti combinate con acciaio inox satinato. G. Mo.

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azienda italiana per l’estrazione e imbottigliamento di acqua minerale di proprietà della famiglia Pessina, un esempio da imitare. L'accordo per ridurre l'impatto ambientale e abbattere i costi energetici ha visto protagonista l'azienda Liquigas, la quale ha annunciato di aver firmato un accordo con Norda per la realizzazione di un impianto di stoccaggio

Norda per l’ambiente: la scelta di GNL Liquigas La scelta di utilizzare fonti energetiche pulite per ridurre l'emissione di anidride carbonica fa di Norda, la nota

Bertazzoni

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Riso Buono

e per la fornitura di GNL (gas naturale liquefatto) presso lo stabilimento del Gruppo. Significativa anche la riduzione dei costi prospettata dal nuovo impianto, grazie all’efficienza del GNL, dovuta ad un elevato potere calorifico e alla stabilità del suo prezzo e minor costo della caloria prodotta rispetto ad altre fonti di energia. Carlo Pessina, AD di Norda, ha dichiarato: “Il nostro Gruppo crede da sempre nell'innovazione e nell'utilizzo delle tecnologie e delle risorse più nuove. Lo prova, ad esempio, l'installazione dell'impianto in asettico nello stabilimento di Primaluna e adesso l'accordo con GNL Liquigas grazie al quale contiamo di ridurre i costi e soprattutto le emissioni nocive per l'ambiente”.

Riso Buono all’Università di Pollenzo Portare valore alla cultura agricola e culinaria italiana, contribuendo alla diffusione dei suoi valori. Da qui nasce l'accordo tra Riso Buono, la nuova realtà risicola dell'Azienda Agricola Luigi e Carlo Guidobono Cavalchini, nata a Casalbeltrame (No), e l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Cn), complice l'inaugurazione del Nuovo Anno Accademico e la celebrazione dei 10 anni di attività della prestigiosa istituzione accademica piemontese. Fornitore ufficiale dell’Università, Riso Buono mette a disposizione la qualità dei propri chicchi ai 25 chef stellati, italiani ed internazionali che, grazie al progetto Tavole Accademiche, propongono agli studenti un’esperienza gastronomica fondamentale per il loro futuro. Ma non solo, Riso Buono è protagonista nell’intera attività accademica, sia per le degustazioni nei Corsi Master e di Laurea, che per il Laboratorio di Analisi Sensoriale e per la nuova Scuola di Cucina. Chef e studenti possono così apprezzare due varietà di riso sorprendenti: il Carnaroli Gran Riserva Riso Buono, invecchiato almeno un anno, a l’Artemide, esclusiva dell'Azienda Agricola del novarese, ovvero il riso nero a chicco lungo.


Pommery, Un vino per l’estate La Maison Vranken-Pommery inaugura la stagione estiva partecipando alla terza edizione dell’evento milanese Un Vino per l’Estate, organizzato da Civiltà del Bere, per scoprire e degustare prestigiose etichette da apprezzare soprattutto durante la bella stagione. A incorniciare il prezioso evento il Chiostro dei Pesci dell’Umanitaria, in cui la Maison francese Pommery ha inaugurato la serata con Summertime Blanc De Blancs, perfetto per l’aperitivo e come abbinamento a piatti leggeri e delicati, per poi continuare con Pommery Noir, l’etichetta nera creata appositamente per il mercato italiano, a cui, per concludere la serata, è seguita la degustazione delle Cotes de Provence Château La Gordonne AOC Vérité du Terroir, rosé, brand del gruppo Vranken-Pommery. Ad accompagnare gli Champagne Pommery le prelibatezze gastronomiche della storica Trattoria Falconi di Politeranica (Bg) e le note del trio jazz Felice Clemente feat P. della Porta e M. Manzi.

La “Piccola” di Nastro Azzurro La birra premium di Birra Peroni cambia look per l'estate. Nastro Azzurro si fa "Piccola" con un nuovo design della bottiglia e un nuovo formato da 25 cl, la giusta dose per l'aperitivo "all'italiana", una limited edition da collezione che sarà presente per pochi mesi e con pochissime bottiglie, solo 400.000 in Italia. Battezzata, per così dire, al Fashion Cafè di

Milano, la Piccola è stata presentata in grande lancio internazionale non solo in Italia, a cui sono seguite le inaugurazioni a Roma e a Firenze, ma anche in Gran Bretagna e Francia. Curiosità: la nota icona del nastro azzurro deriva dal premio omonimo conferito alla nave passeggeri con il record di velocità media di attraversamento dell’Atlantico e celebra il primato del Rex, unico transatlantico italiano, in grado di percorrere tale viaggio, nel 1933.

Mario Cichetti

Orciolo d’oro 2014: olio extravergine protagonista

Il buy-back per salvare il prosciutto San Daniele Protagonista il prosciutto San Daniele, regia il Consorzio di tutela. Inedito il film coprodotto che ha ottenuto anche il plauso del Governo. Con un’operazione di "buy back" agricolo, i produttori friulani salvano il prosciutto di San Daniele, grazie all'intervento della Promo - società partecipata dal Consorzio di tutela del prosciutto di San Daniele Dop e dalla Finanziaria regionale Friuli Venezia Giulia Friulia Spa - che ha rilevato l’intero magazzino del prosciuttificio Brendolan in liquidazione e in concordato preventivo presso il tribunale di Vicenza. In parole povere l'operazione ha previsto che 10 produttori, anzicché riacquistare azioni proprie (come nel buy back convenzionale) abbiano rilevato l’intera produzione di Brendolan. I prosciutti saranno adesso assorbiti pro quota dalle 10 aziende coinvolte nell’operazione che provvederanno a immetterli sul mercato attraverso i propri canali commerciali. “La strategia adottata rappresenta un esempio per la corretta operatività dei Consorzi di tutela nella risoluzione e gestione dei momenti di crisi, che talvolta si manifestano nei vari comparti, perché dimostra come la peculiarità del nostro sistema produttivo agroali-

del San Daniele ha fatto quadrato per evitare che la liquidazione di un impianto importante come quello di Brendolan potesse generare difficoltà di mercato alla nostra Dop. Un’iniziativa condotta in stretta sinergia fra mondo imprenditoriale e universo creditizio locale dalla quale riteniamo emerga anche un importante segnale di affidabilità per l’intero sistema produttivo regionale".

mentare possa tutelare al meglio le eccellenze italiane” ha commentato il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina. L'iniziativa, del valore di ben 14 milioni di euro, ha previsto che la società Promo e il Consorzio di tutela del San Daniele fossero sostenuti finanziariamente da tre istituti di credito del territorio: Banca di Cividale Spa, Banca Popolare Friuladria Spa e la Cassa di Risparmio del Friuli Venezia Giulia Spa. "Una iniziativa – ha aggiunto il direttore del Consorzio di tutela del San Daniele, Mario Cicchetti – nella quale in una fase di evidente difficoltà congiunturale l’intero distretto

Si è svolta a Pesaro il 28 giugno la 23esima edizione dell'Orciolo d'oro, il più antico concorso nazionale sull'olio extravergine d'oliva organizzato da Marta Cartoceti di Enohobby club. Durante la tavola rotonda, introdotta da Michele Bungaro di Unaprol, con la partecipazione di Giulio Scatolini, direttore dell'Orciolo d'oro, si è parlato di come comunicare l'alta qualità e il valore competitivo della tracciabilità dell'olio extravergine d'oliva made in Italy. Per l'occasione abbiamo intervistato uno dei maggiori esperti, il professor Giuseppe Fontanazza già direttore dell'Istituto di ricerche sulla Olivicoltura del C.N.R di Perugia, il quale ha illustrato le cifre della produzione italiana di olio extravergine di oliva negli ultimi anni: "A livello mondiale la superficie olivicola ammonta a

Orciolo d’Oro

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news

12 milioni di ettari di cui 2 milioni e 600 mila si collocano in Spagna, 1 milione e 100 mila in Italia, costituendo rispettivamente il primo e il secondo paese produttore al mondo. La produzione mondiale si aggira a 3,4 milioni di tonnellate annue, di cui circa la metà proviene dalla Spagna, mentre l'apporto dell'Italia si aggira intorno a 450-500 mila tonnellate, con una sostanziale differenza tra i due Paesi in termini di incrementi produttivi che nell'ultimo decennio è stato del 16% per la Spagna e del 2,5 % per l'Italia". Stabilito che il consumo mondiale di extra vergine è in continua crescita, i prezzi all'ingrosso registrati negli ultimi anni vanno da 1,9-2 euro per kg in Spagna - scendendo ulteriormente in altri paesi olivicoli esportatori quali Tunisia, Turchia, Algeria - e da 2,5-3 euro per kg in Italia. Con una determinante differenziazone della segmentazione del mercato dell'olio, ampiamente illustrata da Giuseppe Fontanazza il quale ha citato tre distinte fasce: mercato di massa, di nicchia e di élite, in cui il mercato di massa rappresenta la percentuale maggiore a livello nazionale e più internazionale. Dopo un breve excursus sul mondo dell'olio segnaliamo i premiati al concorso Orciolo d'oro 2014: l'azienda Impero di Sonnino (Lt), i produttori Val di Comino (Fr), l'azienda Pietrabianca di Casalvelino Marina (Sa), Fattoria Altomena Pelago (Fi) e l'azienda Spaccavento di Molfetta (Ba). Nella foto da sinistra: Giulio Scatolini, Marta Cartoceti, Giuseppe Fontanazza. Chiara Masini

Campania, Calabria e Sicilia, per un totale di 390 vini in concorso. Questi i numeri che hanno caratterizzato Radici del Sud 2014, Festival dei Vitigni Autoctoni Meridionali, manifestazione organizzata dall’Associazione ProPapilla Tourism, Wine & Food di Nicola Campanile che si è svolto a Carovigno (Br). Tra i banchi d'assaggio grande apprezzamento è stato riconosciuto a Taersìa, negroamaro vinificato in bianco dell’Azienda Agraria Duca Carlo Guarini di Scorrano (Le), il nuovo bianco dell'azienda premiato e proclamato primo miglior vino nella categoria Gruppo Misto Vini Bianchi da Vitigni Autoctoni di Puglia e Basilicata dalla giura di assaggiatori nazionali. Ottenuto dalla lavorazione in bianco di uve rosse di Negroamaro in purezza, il risultato è frutto - come indica il nome stesso che significa nella lingua dei pescatori salentini "tempesta in arrivo" - di una grande novità e audace vinificazione in cantina. Grande la soddisfa-

zione di Giovanni Guarini, che da sempre sostiene la produzione puntando su Igt Salento e sui nomi dei vitigni autoctoni: “Il segreto per aver successo è ricordarsi sempre di essere pugliesi. Occorre riaffermare le radici, produrre vini orgogliosamente tipici e avere la volontà tenace di proporre la diversità della propria viticoltura. Sono felice che i giornalisti e gli esperti abbiano molto apprezzato il negroamaro vinificato in bianco, un prodotto unico nel suo genere”.

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Rational CookingLive

Il Prosecco Superiore brinda ai territori patrimonio Unesco I siti Patrimonio Unesco del Veneto brindano con il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore. Grazie alla strategia ideata dal Consorzio di Tutela, che da alcuni anni affianca il nome del Prosecco Superiore ad eventi culturali, il noto spumante italiano diventa protagonista della rassegna opeNights 2014 nella città di Vicenza, già riconosciuta Patrimonio Unesco, fino al 9 agosto, presso il Teatro Olimpico e le Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari. Dal 12 luglio fino al 13 settembre, inoltre, un calice di Prosecco Superiore darà il benvenuto agli ospiti presenti all'“Estate Tizianesca”, kermesse

Radici del Sud 2014 premia il Taersìa 3 giorni di degustazioni, 32 tra giornalisti, buyer ed esperti del settore, 173 produttori di Puglia, Basilicata,

che animerà il territorio delle Dolomiti. Gli appuntamenti estivi con il Prosecco Superiore fanno tappa anche a Cortina, per la serata di Calici di Stelle in programma il 9 agosto e nei sette rifugi aderenti alle “Cene Stellari”: Faloria, Scoiattoli, Averau, Lagazuoi, Da Aurelio, Locanda del Cantoniere e Col Drusciè.

Prosecco Superiore

Con il SelfCookingCenter® 5 Senses, primo sistema di cottura dotato di una vera e propria intelligenza, Rational ha dimostrato come sia possibile migliorare la qualità e le performance delle cucine professionali. La società organizza a tale proposito seminari CookingLive e prove per testare da vicino le potenzialità di SelfCookingCenter® 5 Senses. Trovare luoghi e date è molto semplice: con un click sul sito www.rationalonline.it si potrà accedere al calendario organizzato da Rational e iscriversi gratuitamente. I partecipanti potranno così vedere, testare ed assaggiare per comprendere al meglio il semplice sistema di funzionamento della macchina, scoprendo una perfetta simbiosi tra uomo e tecnologia: il SelfCookingCenter® 5 Senses è infatti in grado di determinare il percorso di cottura ideale durante la cottura stessa e comunicare costantemente con lo chef, a cui non resta che decidere il risultato finale.


“Delizie e virtù” della Valle d’Aosta Gastronomia di eccellenza sulle tavole di Courmayeur, per un'estate tutta da gustare con la rassegna “Le delizie e le virtù della Valle d’Aosta”. Il ciclo di appuntamenti propone “A merenda con lo chef”, con lo chef Stefano Zonca, della Locanda Belvedere, in Val Ferret

(Planpincieux) e i suoi abbinamenti creativi con il latte di capra e derivati. Venerdì 8 agosto protagonista la carne bovina di razza valdostana, interpretata dallo chef stellato Agostino Buillas del Café Quinson di Morgex. Terzo appuntamento, sabato 16 agosto, con i formaggi valdostani, valorizzati dallo chef stellato Maura Gosio, del Ristorante Petit Royal presso L'Hotel Royal e

Golf di Courmayeur. Appuntamento irrinunciabile il Marché Agricole della Valdigne: per tre martedì (29 luglio, 5 agosto e il 18 agosto) il Jardin de l’Ange ospiterà un mercato di prodotti tipici locali e infine, sabato 6 settembre, doppio appuntamento con la gastronomia locale con Lo Matsòn e l'evento ANCIperEXPO 2015, tradizionale fiera enogastronomica che si svolge nelle vie del centro storico di Courmayeur. A seguire i preparativi per il Tor des Géants®, il trail più impegnativo del mondo, e la VIII Fête Valdôtaine et Internationale des Patois, appuntamenti che impreziosiscono ulteriormente un palinsesto ricco di spunti e novità. C.Z.


libri

I macellai portano i capelli corti

Titolo: Come una bestia Autore: Joy Sorman traduzione Cinzia Poli Editore: Nottetempo Pagine: 160 Prezzo: 13,50 €

Titolo: La cucina dei numeri primi. E le briciole di sapere diventano libro Autore: Giovanni Ballarini Editore: Orme Pagine: 192 Prezzo: 17,50 €

Titolo: Locali storici d'Italia. Caffè, ristoranti, hotel Autore: Claudio Guagnini Editore: Locali storici d'Italia Pagine: 300 Prezzo: distribuita gratuitamente dall'Associazione a chi ne fa richiesta ed è disponibile presso i locali associati

Titolo: La storia di ciò che mangiamo Autore: Renzo Pellati Editore: Daniela Piazza Editore Pagine: 357 Prezzo: 28,00 €

I macellai portano i capelli corti "Occupa l’inquadratura fin dalla prima immagine, cinto di bianco e di dignità, con il coltello in mano. All’inizio si vede solo il busto stretto da un grembiule e le mani coperte con guanti di metallo. Poi la macchina si allontana e il giovane appare integralmente, in tutte le sue parti, dalla testa ai piedi: un macellaio...". È la storia di Pim, macellaio nel lavoro e nella vita, sezionatore di cosce, carne, carcasse, con l'ossessione di diventare il più grande macellaio del mondo. E a Parigi, con gli stessi occhi, seziona il mondo, le ragazze e perscepisce la realtà come in un macello, pronto alla sfida di disossare un vitello con la spada in mano. Prima regola: "...i macellai portano i capelli corti. Per igiene...". Seconda regola, per i lettori, è quella di leggere questo romanzo tutto d'un fiato, adatto per carnivori e vegetariani, purchè si tenga ben presente il leit motiv del racconto: un ritorno alle origini, alla scoperta di se stessi. Strana storia d'amore, questa, ma senza dubbio di impareggiabile e succulento effetto.

Briciole di saggezza Presidente dell'Accademia Italiana della Cucina dal 2008, Giovanni Ballarini ha voluto riportare in questo libro i veri significati della tavola, a partire dai sapori, dai riti, dall'etimologia delle parole che danno un nome proprio ai piatti, consuetudini abbandonate al tempo. La prefazione di Massimo Montanari ci introduce all'immagine delle briciole raccolte dopo il pasto trasformate in una torta, per poi passare a diversi argomenti trattati senza un ordine preciso, ma con il preciso intento di far riflettere sui tanti significati persi legati alla cultura della tavola. Dal "senso della cottura" alla "cucina dei segni" e quella delle "parole", dalla "cucina dei sensi" alla "ricerca delle origini" e "complementi della cucina", tra storie, curiosità, miti ed etimologie dimentcate o a cui nessuno aveva mai pensato prima. Uno spunto, insomma, per riaccendere antiche consuetudini e accompagnare una cena o un pranzo con un'amabile conversazione su argomenti, anche frivoli, di cucina.

Itinerari tematici Ricalca il consueto format la 38° edizione di questa "storica" Guida, che dal 2011 propone itinerari tematici e percorsi inediti tra i numerosi locali italiani che hanno ospitato e ispirato scrittori, poeti, pittori, cantanti, fotografi, compositori, artisti che, con la loro presenza, hanno reso celebre quel locale o caffè. Sei le new entry per il 2014, ampliata inoltre dalla sezione dei "primati", dove sono raccolte le curiosità sui locali. Non mancano le consuete illustrazioni del pittore Gianni Renna. La Guida locali storici d'Italia presenta ben 240 tra prestigiosi alberghi, storiche trattorie, pasticcerie e caffè, un ampio patrimonio raccolto in un pratico libello caratterizzato da un grande valore artistico, storico, civile e culturale, animato da personaggi, italiani o stranieri, che hanno lasciato un indelibile segno nella storia italiana. In edizione bilingue italiano-inglese.

Tutti i segreti del cibo Renzo Pellati, specialista in Scienza dell'Alimentazione e studioso di Nutrizione Umana e di cultura alimentare, approfondisce il delicato tema sull'origine degli alimenti che arrivano sulle nostre tavole, non tanto nel senso di "filiera controllata", ma nella ricerca di aneddoti, diffusione dei cibi nelle varie epoche, pregiudizi, notizie bizzarre, leggende, fino all'importanza della ricerca scientifica, per stabilire gli stretti legami fra alimentazione e salute e scoprire le cause che hanno fatto esplodere i conusmi di determinati cibi e bevande. Curiosa e divertente anche la lettura dell'origine dei nomi che hanno segnato alcune classiche preparazioni culinarie, come la béchamel, la cotoletta alla milanese, la torta Sacher, gli asparagi alla Bismarck e tante altre pietanze. "La storia di ciò che mangiamo" è duqnue il racconto, con precise documentazioni, episodi, fatti storici e di cronaca, di come nella storia sono cambiate le abitudini alimentari dell'uomo.

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secondo Alberto

Rovello 18, professionisti con la P maiuscola ROVELLO 18 Via Tivoli 2 20121 Milano Tel 02 72093709 Cell 338 8114017 www.rovello18.com

Le carni di Txogitxu e memorabile Cacio e pepe. Cinzia Rossi, seppure ancora giovane, è “vecchia” del mestiere. Già negli anni Ottanta era attiva, alle porte di Milano, con un locale di successo, poi - nel 2002 - ha varcato i confini della city ed è arrivata nel cuore della città, in via Rovello (la via del Piccolo Teatro di Giorgio Strehler, vanto culturale del capoluogo lombardo). Qui creò una trattoria vera, nel senso più profondo del termine, introducendo in menu piatti delle realtà territoriali più interessanti sotto l’aspetto della materia prima. Manager, patron ma soprattutto cuoca, Cinzia si è spostata, nel gennaio dello scorso anno, a duecento metri dalla sede precedente. Forse aveva nostalgia del Piccolo Teatro… e ne ha seguito gli spostamenti, visto che ora Rovello 18 è in via Tivoli, all’angolo con Corso Garibaldi, in una location molto interessante, a cinquan-

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ta metri dalla nuova sede del Teatro (che è in via Rivoli, con la R, attenzione alle iniziali delle vie!). Rovello 18 è in un palazzo storico, su due piani, e riproduce senza forzature la struttura delle antiche trattorie lombarde del passato. Una ampia sala vi accoglie, con una scaletta, in fondo, che vi porta al piano superiore, dove una quindicina di tavoli con affaccio sulla vecchia Milano ospitano clienti in cerca di tranquillità (soprattutto all’ora di pranzo). Qui vi accoglie Gualtiero Panciroli, un gourmet preparatissimo su vini e ingredienti, al punto da intavolare con voi piacevoli e serene discussioni sull’evoluzione di quel Barolo o sulla “prontezza” di un grande Brunello. Gualtiero, compagno di Cinzia, è l’anima enoica (e eroica!) del locale, oltre che il pacato ma profondo suggeritore di piatti coerenti e in linea con le aspettative. La linea di cucina è molto ragionevole e va dato atto a Cinzia di saper mettere la propria esperienza a disposizione della clientela, fedele e perlopiù cittadina (con qualche eccezione per stranieri di passaggio, richiamati dalla italianità dell’offerta). Una lista vasta ma non chilometrica che, al momento della visita (prima settimana di luglio), proponeva fra l’altro: la salsiccia di Bra con crostini, il culatello di Zibello Dop, il prosciutto D’Osvaldo tagliato al coltello, la polenta fritta con lo strolghino, i peperoni tonnati, lo speck affumicato servito con fichi e melone. Fra i primi: la pappa col pomodoro, la zuppa di borragine e fiori di zucca, gli agnolotti al plin (nella pura tradizione langarola), il riso al salto con taleggio, un “cacio e pepe” da favola, le tagliatelle di Campofilone al ragù, i paccheri con melanzane, gli spaghetti con cipolla di Tropea. Una linea semplice, connotata da materie prime di qualità, capaci di trasmettere gusti chiari e nitidi, in alcuni casi indimenticabili. Fra i secondi, le creazioni di Cinzia spaziano da una collaudata cotoletta alla milanese a una tartare di fassona al coltello, a un’insalata di polletto all’agro, a una carne all’albese con parmigiano,

LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza Due corone = Linea di cucina corretta Una corona = Cucina dignitosa e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Ragionevole Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole



secondo Alberto

Editore: Edifis S.p.A. Viale Coni Zugna, 71 - 20144 Milano tel 02 3451230, fax 023451231 info@edifis.it - www.edifis.it

co lo ph o

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Direttore editoriale: Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it

prolungate, la cui caratteristica principale è la alta percentuale di infiltrazioni di grasso “intramuscolare”, che crea una naturale tenerezza delle carni, definendo una “texture” unica delle carni stesse e di particolare soddisfazione per chi predilige il contrasto fra le parti grasse e quelle magre. Proporre la “costata galiziana” di Txogitxu è una scelta coraggiosa e va dato merito a Cinzia e Gualtiero di essere veri e propri pionieri della diffusione della qualità. In carta la carne di Imanòl viene proposta a 8.00 €/hg, una cifra corretta se rapportata alla qualità

Direttore responsabile: Andrea Aiello Redazione: Elisa Facchetti artu@edifis.it

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Collaboratori: Fiorenza Auriemma, Denise Battistin, Guido Bernardi, Stefano Bonini, Luisa Contri, Davide Deponti, Antonio Ezio, Beppe Francese, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Isa Grassano, Rocco Lettieri, Alberto Lupetti, Emilio Magni, Gianni Mercatali, Giovanna Moldenhauer, Aldo Nenzi, Anna Pesenti, Alessandra Piubello, Roger Sesto, Gualtiero Spotti, Theo Smith, Claudio Zeni, Stefania Zolotti _______________________________________________________________________________________________________

Art director: Claudio Rossi Oldrati

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al coniglio disossato “negà”. Qualche proposta di pesce fa timida ma ben definita apparizione: polpo saltato con zucchine e olive, orata al sale con patate, filetto di tonno al pepe verde, tonno alla siciliana. Definizioni semplici per piatti niente affatto banali, espressione di una sostanza sempre più desiderata da una clientela alla ricerca spasmodica di gusto, sapori, consistenze. Ma, a proposito di consistenze, di “tessiture” organolettiche delle materie prime, come non citare le carni galiziane di Imanol Txogitxu, una vera esclusiva di Rovello 18. Imanòl è un giovane selezionatore ispanico di carni bovine, operante nei Paesi Baschi, che si sta facendo conoscere e apprezzare in tutto il mondo per la inoppugnabile qualità delle carni che sceglie e commercializza, nei tagli migliori e dalle caratteristiche uniche. Secondo Imanòl, la carne deve essere di vacca “vieja y gorda”, ovvero vecchia e grassa. Carni bovine marezzate, marmorizzate, con frollature

dell’esperienza. Considerate che un Txuletòn (la costata secondo Imanòl) viene generalmente proposta per due persone in tagli che vanno dai sei etti al chilo, per un’esperienza carnivora davvero memorabile. I prezzi di Rovello 18 sono comunque ragionevoli se rapportati alla qualità, molto alta, delle materie prime utilizzate per i piatti. Il ricarico sul vino è corretto e la quantità di grandi etichette è decisamente ampia, con prevalenza di piemontesi, toscani, siciliani, insieme a celebri bottiglie di altri territori vinicoli. Un’esperienza da cui trarre insegnamento.




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