Artù novembre 2017

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€ 5,00

Patiskie

In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi

La ristorazione ragionevole

Copertina Fabio Silva, Tonno e carote L’intervista Niko Romito. Niente complicazioni Vino al ristorante Iyo, la cantina è multietnica Olanda gourmet Chef: lo stile di Eveline

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Editoriale

Milano punita Milano premiata

Lo chef Roberto Conti, Trussardi alla Scala, ha preso la sua prima stella Michelin nell’edizione 2018

Il rispetto che portiamo verso Michelin è ben noto e storicamente documentabile. Anche per questo ci permettiamo riflessioni e punti di vista che ne mettono in evidenza pregi e criticità. Parliamo dell’edizione 2018 della guida, presentata a Parma a

metà novembre. Durante la presentazione, restiamo stupiti da una sottrazione importante. Quasi una premessa all’elenco delle stelle successivamente assegnate: Cracco meno uno, Sadler meno uno. Togliere una stella a Carlo Cracco e una a Claudio

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Sadler, che ne avevano due, ha il sapore di una presa di posizione dura, per non dire persino discretamente provocatoria. Comunque, una decisone paradigmatica, che non possiamo che augurarci meditata, ma che fa riflettere (o, se preferite, ipotizzare, al di là di ogni dietrologia) sulle conseguenze (per i responsabili della guida che hanno fatto questa scelta) di certi comportamenti legati a coraggiosa esposizione di sè e del proprio valore che, piaccia o no, è molto elevata, in entrambi i casi. Evidentemente l’imminente apertura di Carlo Cracco in Galleria e l’impegno incessante di Claudio Sadler nella propria attività non sono stati ritenuti da Michelin all’altezza delle due stelle, che non sono valse neppure come credito di fiducia e di autorevole continuità. Cosa è successo? Cosa non ha funzionato in occasione delle visite primaverili degli ispettori della Michelin? Non sappiamo e dubitiamo che si possa mai sapere. Pazienza. Ma la mannaia su Milano è stata mitigata dalla prima stella per gli ottimi Eugenio Boer, Mattias Perdomo, Roberto Conti (era ora!). E soprattutto c’è soddisfazione per la seconda stella al Vun del Park Hyatt di Milano, dove l’eccellente Andrea Aprea ottiene un meritato supplemento di attenzione. O per Raffaele Lenzi, laborioso e appassionato chef al Sereno di Andrea Berton. Buone notizie anche per Norbert Niederkofler, la terza stella è più che meritata. Bravo, numero uno per passione , coraggio, cultura. Fa gran piacere anche la prima stella a Christoph Bob, Chef nel più bell’albergo d’Italia, il Monastero Santa Rosa in Costiera amalfitana. Anche qui va detto: meglio tardi che mai... • Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it


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In copertina: Un nuovo piatto di Fabio Silva, Executive Chef al Derby Grill di Monza, il ristorante gourmet del celebre Hitel De La Ville. Cromatismi notevoli, che esaltano la qualità complessiva del tonno, adagiato su un letto di carote con la loro crema (Foto Patiskie)

6 News L’intervista 20 Niko Romito, complessità senza complicazioni L’opinione 24 Riflessioni sulla guida (rossa) Protagonisti food 26 Francesco Apreda, la mia IMAGO di cucina 30 Ciro Oliva Napoli dentro 32 Un tocco di Giappone in cucina Dal mondo 38 Wynwood, due stelle nella piatta Olanda Focus food 42 Corvara, Posta Zirm Gusto e salute 48 Royal Welsh Show, l’anima di una nazione Accueil 50 Ocoa Bay Visita in cantina 54 Turin Palace Hotel Dolce dormire a Torino 56 Castel Monastero, resort con (molta) anima Equipment 60 Mixology, cocktail perfetto Focus wine 62 Il vino secondo Iyo 66 Paratus, il nuovo Sauvignon di Ritterhof 68 Caino e Monteverro storia di grandi affinità 70 Gerardo Cesari, un restyling che valorizza la tradizione 74 Cantina La-vis, quando la tradizione è crescita 76 Col Vetoraz le etichette per brindare 77 Un’acqua per ogni gusto Libri 78 I nuovi menu di Sadler, il luogo di Aimo e Nadia, 40 anni d’amore per la Piedigrotta e l’autenticità del cioccolato La ricetta di Artù 79 Un grande piatto di Stefano Cerveni Gusto e mercati 80 Colore, gusto e pregiudizi. Gli effetti del rosato 82 Pillole La foto 84 Un piatto di Hide Matsumoto Alberto’s Choice 86 La pizza dell’Angolo leggera e memorabile

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In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi

Sommario

€ 5,00

La ristorazione ragionevole

Copertina Fabio Silva, Tonno e carote L’intervista Niko Romito. Niente complicazioni Vino al ristorante Iyo, la cantina è multietnica Olanda gourmet Chef: lo stile di Eveline

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direttore editoriale Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it

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A Follow Artù, la cena di Elli con le bollicine di Pommery

Durante la due giorni di Follow Artù, la sera del 3 di ottobre, si è tenuto un gala dinner al Principe di Savoia. In cucina lo chef Mauro Elli, con Fabrizio Cadei e la brigata del Principe. Ad accompagnare i piatti del raffinato menu, le esclusive bollicine di Pommery, in diverse declinazioni. Con il “Benvenuto dalla cucina” è stato servito Champagne Pommery Brut Apanage, mentre per l’antipasto “calamaretti e lenticchie di Colfiorito croccanti” l’abbinamento perfetto è risultato quello con lo Champagne Pommery Brut Blanc De Blancs. A seguire, è stata prima la volta di Champagne Pommery Grand Cru Royal Brut

Alberto Schieppati con Ezio Indiani, Mauro Elli e la brigata del Principe di Savoia

Mimma Posca, CEO di Pommery Italia

Executive chef dei ristorante “Al Cantuccio”. Gli altri premiati, in rigoroso ordine sparso, e ognuno con una menzione appositamente pensata, sono stati: Paolo e Giordano Teverini, Tosco Romagnolo, con la menzione “I primi ispiratori del concetto di Ragionevolezza”, Giancarlo Morelli, The Bulck, “Un format innovativo a cura di un grande chef”, Paola e Piero Bertinotti, Pinocchio, “Sapienza e costanza alla base del successo”, Juan e Cristina Lema, Mirta, “Il format trattoria portato ai massimi livelli”, Anna Bertola, Locanda Altavilla, “Quando la tipicità punta in alto”, Famiglia Scandogliero, Locanda Quattro Ciacole, “Vino e materie prime frutto di passione e ricerca”, Famiglia Bologna, I Bologna, “Tradizione e impegno danno risultati superlativi”, Luca Gagliardi, La Rampina, “Genialità ed entusiasmo di un figlio d’arte”, Famiglia Mischi, La Passeggiata, “I maestri del Nodo di amore di Valeggio”, Hide Matsumoto, Le Api, “Tecnica orientale, ingredienti italiani”, Marco Parillo, Casale del Mare, “Coerenza ed entusiasmo nella creatività”, Cristina e Luca Cerbi, Osteria di Fornio, “Cultori del concetto autentico di territorio”, Oreste Corradi e Annamaria Leone, Locanda Vecchia Pavia, “Ricerca, stile e talento al servizio del gusto”, Famiglia Sperandeo, Da Palmiro, “Sapiente ricerca della migliore materia”, Matteo Scibilia, Osteria della buona condotta, “La ragionevolezza protagonista dell’offerta”.

Millésimé, abbinato con “Le violette, fonduta bitto, pomodorini confit e olio al rosmarino” e poi dello Champagne Pommery Cuvée Louise 2004 Nature, che ha accompagnato “il maialino di Cinta senese podere Forte arrostito alle erbine aromatiche, rosti di patate e radicchio tardivo agrodolce”. In chiusura, con “il lingotto al pistacchio con sorbetto alla pera Coscia e crema al limone”, è stato servito lo Champagne Pommery Dry Elixir. Durante la serata, Alberto Schieppati, direttore di Artù, ha assegnato “I premi alla Ragionevolezza”. Tra i premiati, con la menzione “Talento e passione al servizio del gusto”, anche Mauro Elli,

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Il Parlamento ha varato una norma che concede un credito d’imposta fino al 75% (90% per le PMI) a chi incrementa almeno dell’1%

l’analogo investimento pubblicitario a mezzo stampa effettuato l’anno precedente. art. 57-bis DL n. 50/2017, conv. in legge con modificazioni dalla L.n. 96/2017

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AIS, Roberto Anesi è il miglior Sommelier d’Italia Dopo le fasi regionali che hanno designato i semifinalisti, in quattro si sono confrontati nella finale per il Concorso Miglior Sommelier d’Italia – Premio Trentodoc. Una formula rinnovata, che ha visto protagonisti il trentino Roberto Anesi, il toscano Massimo Tortora, il lombardo Andrea Sala e il molisano Carlo Pagano. Su tutti ha prevalso Roberto Anesi, a cui è andato il titolo di campione 2017. Enrico Zanoni, Presidente dell’Istituto Trento Doc ha dichiarato: “La sinergia con l’Associazione Italiana Sommelier è un passo fondamentale per l’affermazione del nostro mar- chio, quale emblema della spumantistica d’eccellenza. Essere partner del Concorso Miglior Sommelier d’Italia, che premia il migliore tra coloro che con grande professionalità promuovono la cultura del buon bere, è per noi il suggello perfetto di questa collaborazione”.

Astoria presenta Tiramisù Due fra i prodotti tipici trevigiani si uniscono in tavola: il tiramisù e lo spumante. Astoria Vini, azienda conosciuta per il suo Prosecco, ha infatti deciso di realizzare il “Tiramisù” Spumante Italiano. Un vino nuovo, caratterizzato da uve del territorio trevigiano, con un dedicato dosaggio zuccherino che gli conferisce un sapore particolarmente avvolgente e fruttato, per creare una perfetta armonia con il piacevole e morbido sapore del Tiramisù. L’idea è nata dalla collaborazione di Astoria con la prima Tiramisù World Cup che si è tenuta a Treviso all’inizio di novembre. Una gara a cui hanno partecipato 720 pasticceri rigorosamente non professionisti, da tutta Italia e dal mondo, che si sono sfidati per realizzare “il Tiramisù più buono del mondo”. Paolo e Giorgio Polegato, titolari di Astoria, hanno così commentato: “da tempo avevamo ipotizzato di creare un vino dedicato al Tiramisù, perché è un dolce tipico sempre più diffuso e amato, ormai lo si trova normalmente persino in Giappone, ma mancava un vino del territorio a cui accompagnarlo. La Word Cup è stata l’occasione perfetta, sarà l’esordio per questo spumante che, dopo una fase di test in Italia, contiamo di lanciare dall’inizio del 2018 negli oltre 80 Paesi in cui esportiamo.”

Roberto Anesi

Una cantina tra i boschi, all’insegna della sostenibilità

Sulle colline di Parma, a Ozzano Taro (PR), Andrea Ferrari e Paolo Pizzarotti hanno deciso di vivere la loro avventura di produttori e di uomini, sintetizzata nel nome di Monte delle Vigne. I terreni profondi, marnosi, ricchi di calcare e argilla scendono fino alla riva destra del fiume Taro, consentendo alle viti di trasmettere ai grappoli quell’intensità che si assapora in bottiglie come Nabucco, rosso di grande struttura, fine ed elegante, che fonde i sentori della frutta rossa della Barbera con i tannini fitti del Merlot e che ha esordito nel 1992. La qualità e il rispetto per l’ambiente si sono rivelate col tempo il cuore della filosofia di una cantina costantemente in viaggio verso la sostenibilità. L’obiettivo di produrre grandi vini partendo prevalentemente da vitigni autoctoni si è quindi allargato, trasformandosi in una missione che mira all’agricoltura di precisione e a una grande cura di vigneto, tesa a ridurre le rese per ottenere maggiore qualità sul grappolo. Monte delle Vigne produce “Nabucco”, “Callas”, “Sogni”, “Argille”, “Poem”, “I Calanchi” e “I Salici”, tutte bottiglie che sono caratterizzate da una forte personalità e da un imprescindibile legame con un terroir ineguagliabile.

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Pentole Agnelli festeggia i suoi primi 110 anni

Ecrudo, obiettivo benessere assoluto

Angelo Agnelli

Il progetto Ecrudo nasce dalla creatività di Alessandro Agrati, architetto e art director milanese che ha fatto della ricerca sul benessere assoluto, inteso a livello fisico, emotivo e spirituale, la sua firma. Ecrudo fa parte di un concept della società Italy First Sa ed è il primo di un progetto a largo respiro, con l’obiettivo di espandere e trasmettere lo stile di vita e l’eleganza italiani, non solo nel fine dining, ma anche nell’hotellerie di lusso “personalizzato” e nella gastronomia-bistrot d’eccellenza. La sintesi di Ecrudo è nelle parole di Agrati: “Ecrudo richiama il concetto di grezzo inteso come vero, primordiale, originario, senza orpelli. Ecrudo è un luogo dedicato al cibo, un posto fatto di verità e contrasti netti, con un’anima forte, mai banale, in cui buon cibo e buon vivere elevano il concetto di “stare bene” e lo dilatano nel tempo. La fretta, da Ecrudo, non esiste”. Nulla a che fare col proporre esclusivamente piatti crudi, dunque, anche se il menu presenta anche una scelta di piatti di questo tipo. Sono cento i posti a sedere, distribuiti su più ambienti: da quello iniziale, più informale, dedicato all’aperitivo e delineato sul grande banco bar, passando per la zona disegnata per il fine-dining più classico, per finire con il caveau-salotto, più appartato, silenzioso, arricchito con comode sedute in velluto di seta. Il design è curato in ogni dettaglio ed è valorizzato dalle opere, create appositamente per Ecrudo, dall’artista brasiliana Malù Cruz Piani e dalla pittrice tridimensionale Giovanna La Falce. La cucina di Ecrudo è affidata ad Angelo Mancuso, con il coordinamento di Umberto Vezzoli, executive chef di tutto il Gruppo Italy First. Lo chef Mancuso, partenopeo, classe 1983, si è fatto apprezzare nelle cucine dei ristoranti 5 stelle di Londra, Firenze, Ravello, Gstaad per stabilirsi poi a Milano dove ha lavorato con Elio Sironi. La cantina di Ecrudo è curata da Piero Sattanino, che ha scelto aziende e produttori in alcuni casi poco noti.

1907-2017: Pentole Agnelli spegne 110 candeline e lo fa con un fatturato di oltre milioni di euro e più di un milione di pentole prodotte all’anno. Dalla linea celebrativa Agnelli110, in cui il cuore d’alluminio nobilita le linee perfette dell’acciaio, che oggi arriva rinnovata anche nei manici, passando per il vintage della linea Nonna Aurelia, dove spiccano i fornetti. E poi i cavalli di battaglia: dalla padella a mantecare, prodotto unico che rende il marchio riconoscibile al primo sguardo, alla linea home cooking antiaderente Al-Black, passando per i grandi classici in alluminio nudo che hanno fatto grande il marchio e che restano i preferiti dai cuochi e dai gourmet per l’estrema versatilità e la resa professionale ineguagliabile. E questa carrellata non può che chiudersi con la pentola d’oro, status symbol e oggetto del desiderio di ogni chef. “Celebrare oggi più di un secolo di storia significa essere cresciuti insieme alla ristorazione italiana, averla vista mutare ed essere cambiati con essa” ha commentato Angelo Agnelli, che guida insieme al padre Baldassare l’azienda capofila del gruppo di famiglia. E in effetti al centro del successo del marchio c’è proprio questo rapporto di scambio e collaborazione con gli chef. Strumenti sempre più performanti che si adattano meglio alle evoluzioni della cucina sono il risultato di uno studio continuo fianco a fianco con i cuochi che sono i primi destinatari del prodotto. Non è un caso che negli anni proprio sopra la fabbrica sia nato Saps Cooking Lab il centro di ricerca per lo studio dei materiali e delle forme degli strumenti di cottura.

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Ad Artissima, l’arte culinaria di Mariangela Susigan

Artissima fiera d’arte contemporanea che richiama collezionisti e amanti dell’arte da tutto il mondo, quest’anno è stata accompagnata dalla cucina stellata di Mariangela Susigan. La chef è una grande interprete della tradizione piemontese che negli oltre 40 anni del suo Gardenia ha sempre raccontato con arguzia, rispetto e fantasia. Dal 3 al 5 Novembre Mariangela Susigan ha infatti trasferito il suo Gardenia da Caluso (TO) alla Vip Lounge dell’Oval, ospitando mercanti d’arte, galleristi e visitatori con l’autenticità, l’entusiasmo e il sorriso che sono da sempre parte della sua personalità e della sua cucina. Il menù, creato apposta per Artissima, è un omaggio alla tradizione piemontese e racconta una cucina “concreta e comprensibile” ma mai scontata. Poco spazio per sofisticati virtuosismi, la vera sorpresa sono stati i sapori, l’uso creativo dei prodotti del territorio, la rivisitazione contemporanea di materie prime eccellenti della tradizione piemontese, nell’utilizzo sapiente e inedito delle erbe. Due i piatti simbolo: la Patata cotta al sale e la zuppa Francigena. Quest’ultima è composta esclusivamente da ingredienti presenti in Piemonte nel 1500: la borraggine, il sorgo e l’ortica, fave, radici e fagioli.

Chef Umberto Bombana, Cavaliere della Repubblica italiana Umberto Bombana ha festeggiato nel suo ristorante of 8½ Otto e Mezzo Bombana di Hong Kong l’Ordine al merito della Repubblica italiana. Conferito dal Presidente della Repubblica, il titolo nasce con lo scopo di “ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione nel campo delle lettere, delle arti, dell’economia e nell’impegno di pubbliche cariche e di attività svolte a fini sociali, filantropici e umanitari, nonché per lunghi e segnalati servizi nelle carriere civili e militari”. E’ stato il console Generale d’Italia Antonello De Riu ad officiare la cerimonia nel ristorante 8½ Otto e Mezzo Bombana, dichiarando: “Sono molto felice di rappresentare il Presidente Mattarella durante questa importante cerimonia dedicata a Umberto Bombana. Da più di 20 anni Chef Bombana si fa ambasciatore del nostro territorio, delle tradizioni italiane e della passione che caratterizza la nostra cucina”. Dopo la cerimonia Bombana ha festeggiato con giornalisti, amici e clienti affezionati con una cena da sei portate usando gli ingredienti che più caratterizzano la sua cucina. (Claudio Zeni)

Umberto Bombana

Re Panettone, l’appuntamento è doppio Un traguardo importante per Re Panettone: quest’anno, a Milano e a Napoli, si tengono, rispettiamente, la decima e la terza edizione. Il 25 e il 26 novembre a Milano, e il 2 e il 3 dicembre a Napoli, torna infatti la kermesse dedicata al Panettone, ideata da Stanislao Porzio. Entrambi gli appuntamenti prevedono, come è ormai tradizione, esposizione e vendita, momenti di degustazione, incontri con i pasticcieri, approfondimenti tematici e laboratori sensoriali. Saranno quaranta e più i pasticcieri a Milano e venticinque a Napoli, ciascuno con il proprio banco espositivo e il proprio ventaglio di proposte: dal Panettone tradizionale a quello più innovativo. L’edizione milanese si svolgerà nella nuova sede, la Fabbrica Orobia 15, sita in via Orobia 15, a due passi dalla Fondazione Prada. La decima edizione meneghina presenta due novità: il lancio della Certificazione Re Panettone® e La Notte Bianca del Panettone. A Napoli, invece, si svolgerà nei saloni del Grand Hotel Parker’s di Corso Vittorio Emanuele 135. Anche quest’anno verrà assegnato da una giuria di esperti addetti ai lavori e con la collaborazione degli studenti dell’Istituto Alberghiero Elena di Savoia di Napoli il Premio Re Panettone Napoli ai migliori panettoni innovativi.

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La Guida Vitae 2018 si ispira all’operosità I migliori vini italiani sono stati raccolti, ancora una volta, nel volume che l’Associazione Italiana Sommelier dedica ogni anno ai suoi soci. Quindicimila etichette in rappresentanza di oltre duemila cantine sono raccontate nelle pagine di Vitae 2018. Un grande lavoro viene naturalmente fatto a monte, quando un vero esercito di degustatori ha preso in analisi trecentocinquantamila campioni provenienti da tutta la penisola. Ventidue vini si sono aggiudicati il Tastevin, premio che l’AIS dedica alle etichette che, di anno in anno, meglio sanno rappresentare il proprio territorio di appartenenza, scelte tra quelle insignite delle Quattro Viti. Le pagine mettono in evidenza un’attenzione crescente verso le produzioni “green”, in cui sostenibilità ed etica produttiva danno origine a vini di grande originalità ed espressione qualitativa.

Al concorso di Rational, vince Elena Minari La seconda edizione del concorso “Lo chef incontra il SelfCookingCenter” ha visto in finale sette giovani cuochi provenienti da diverse regioni d’Italia. I sette chef hanno superato le selezioni nei mesi scorsi e, durante la finale, hanno dimostrato di avere tanta passione e una grande voglia di mettersi in gioco, di rischiare, di rivisitare in chiave moderna piatti tradizionali delle loro terre di origine. Alcuni hanno proposto pietanze normalmente servite nei ristoranti in cui lavorano, altri hanno invece ideato un piatto appositamente per la competizione. Davanti a una giuria guidata dallo chef stellato Davide Oldani e composta da quattro giornalisti esperti del settore, tra chi Alberto Schieppati, e uno chef Rational, i cuochi hanno presentato il loro cavallo di battaglia, avvalendosi del finishing del SelfCookingCenter, processo che permette di rigenerare la pietanza in modo che risulti come appena cotta. «La tecnologia Rational è senz’altro un valido aiuto in cucina, ma non dobbiamo dimenticare l’importanza di un buon cuoco, che sappia rispettare e valorizzare gli ingredienti a sua disposizione. I concorrenti oggi hanno dimostrato le loro capacità e il loro impegno, è stato bello vedere questi giovani mettersi in gioco in cucina» ha commentato lo chef Davide Oldani. La selezione degli ingredienti, la preparazione accurata e il corretto utilizzo della parte tecnologica hanno portato a grandi risultati. Il piatto che però più di tutti ha conquistato la giuria è stato quello di Elena Minari, unica ragazza in gara e anche la più giovane del gruppo. I suoi “Anelli di cotiche e fagioli al forno” hanno messo d’accordo la giuria per i picchi di contrasti e per l’eleganza e la delicatezza della cotenna. Al secondo posto si è classificato Luca Andrè con “Risi e bisi”, ricetta totalmente vegetale, pura, gustosa, seguita al terzo posto da Ivo Musto e suoi “Tentacoli di polipo arrosto su crema di patate allo zafferano”, un piatto con i giusti equilibri e una perfetta cottura del polpo.

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Rocchi si aggiudica Villa Cipressi King Gestioni Alberghiere si è aggiudicata Villa Cipressi, l’hotel tre stelle di Varenna di proprietà del comune della cittadina in provincia di Lecco, con un’offerta di 250mila euro annui. La famiglia Rocchi, proprietaria della società aggiudicatrice, continua così il proprio progetto di espansione e di sviluppo del turismo sul lago di Como. Già proprietaria dell’Hotel Royal Victoria, sul lago annovera anche il Grand Hotel Victoria di Menaggio, l’hotel Regina Olga di Cernobbio e altri immobili sia in provincia che in altre destinazioni turistiche. Villa Cipressi è un complesso di edifici e giardini ricchi di storia, fu di proprietà della nobile famiglia Serponti (1163), del Barone Isimbaldi (fine ‘700), della famiglia Andreossi, che ne curò in particolare il Parco, di Sir Astley e Sir Salton (primi ‘900) e per ultimo l’editore Accame. Nel 1980 viene acquistata mediante una pubblica volontaria sottoscrizione dai varennesi e amici di Varenna per essere destinata ad uso pubblico. Di proprietà di enti pubblici, principalmente del Comune di Varenna, ospita 32 camere, un ristorante e una sala eventi destinata a meeting e cerimonie.

Nasce la foresta di San Benedetto Acqua Minerale San Benedetto S.p.A. ha presentato il progetto di sostenibilità “Nasce la Foresta San Benedetto”, un’iniziativa tesa a sottolineare l’impegno verso le tematiche del rispetto e della tutela del territorio e dell’ambiente. Nello specifico, si tratta di un polmone verde di 8 ettari e 6.000 alberi realizzato nel Comune di Scorzè (Venezia) in collaborazione con Treedom. Pioppo, Salice Bianco, Olmo, Ontano Nero, Carpino, Quercia, Acero e Frassino, sono le specie arboree tipiche del bosco della pianura padana presenti nella Foresta San Benedetto che, secondo le stime elaborate da Treedom, nel loro ciclo di vita permetteranno di assorbire ben 1.105.000 kg di CO2, una quantità che basterebbe a riempire ben 234 piscine olimpioniche. Il progetto di sostenibilità consentirà inoltre di ricostituire l’intero habitat naturale grazie ad arbusti e specie tipiche dell’ecosistema umido della pianura veneta.


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Le proposte di Krug per il Natale La Maison de Champagne Krug ha selezionato una serie di proposte per il prossimo Natale. Una selezione elegante e raffinata di coffret, a cominciare da Krug Grande Cuvée 164ème Édition, vinificato a partire dalla vendemmia del 2008, un’annata piuttosto fresca con condizioni favorevoli che si sono sviluppate nella tarda estate. Il numero di ciascuna Édition, che indica il numero di volte in cui è stata ricreato Krug Grande Cuvée dall’anno della fondazione della Maison, può Francesca Terragni, Direttore Mktg Moet-Hennessy Italia, essere usato come riferimento per colleziona- con Rosalba Piccinni, “fiorista cantante” re bottiglie e degustarle in futuro. Un regalo elegante e di qualità per soddisfare anche i palati più raffinati. Un cofanetto prezioso racchiude invece la novità assoluta della Maison Krug: il millesimato Krug 2004. Caratterizzato da un’armoniosa tensione e da un’elegante vivacità, Krug 2004 narra la vibrante storia di un’annata di affascinante freschezza, che ha spinto la Maison a soprannominarlo “Luminous Freshness”. Uno Champagne molto equilibrato, che abbina delicatezza e una ricca varietà di note agrumate a una splendida struttura. La sua eleganza nasce da 12 anni di invecchiamento nelle cantine, durante i quali questo Champagne guadagna armonia, espressività e raffinatezza. Krug Rosé 21ème Édition è invece racchiuso in un raffinato coffret. Già a prima vista, il delicato color rosa pallido di Krug Rosé, è una promessa di eleganza. Alletta il naso con aromi di rosa canina, prosciutto stagionato, more di gelso, ribes rosso, peonia, pepe e pompelmo rosa. Infine, delizia il palato con delicati sapori di miele, agrumi e frutta secca, offrendo poi un lungo finale esaltato dal suo fine perlage. Krug Rosé esprime un’ampia gamma di eleganti note e rivela sorprendente ampiezza e profondità, eseguendo una composizione musicale sensuale e audace. È l’unico Champagne de Prestige Rosé assemblato con vini provenienti da tre varietà d’uva e annate diverse. L’aggiunta del vino rosso Pinot Noir a macerazione tradizionale infonde una tonalità seducente, una notevole lunghezza e carattere speziato.

Pacifico, Perù in Italia Una stagione importante per Pacifico, il brand che ha portato la grande cucina peruviana in Italia. Prima a Milano, nell’elegante locale di via San Marco, angolo via Moscova, aperto nel 2015, e dalla scorsa primavera a Roma, nel suggestivo spazio all’interno di Palazzo Dama, in Lungotevere Arnaldo da Brescia 2. Due ristoranti che si trovano ai vertici delle guide italiane, per quanto riguarda la cucina etnica, ma che soprattutto hanno trovato il riscontro del pubblico. È questo che ha convinto Jaime Pesaque, corporate-chef di Pacifico e uno degli ambasciatori della cucina peruviana nel mondo, a rinnovare l’impegno. Da qui la nuova carta per i due Pacifico, dove i migliori ceviche, simbolo della cucina peruviana - sono a fianco delle raffinate espressioni nikkei – cucina che incrocia le tradizioni locali e la tecnica giapponese – quali i tiradito e i dim sum, ideali anche per un aperitivo. Poi ecco gli stuzzicanti anticuchos – gli spiedini tipici – e gli especiales come il lomo (filetto di vitello) o la causa, piatto a base di patate e pesce che Pesaque ha genialmente rivisitato. La grande materia prima e la capacità tecnica rendono originale ogni proposta, anche quella dolce.

Venezia d’inverno al Salute Palace Hotel Visitare Venezia in inverno vuol dire riscoprire la città, conoscerla in una veste più intima, calma e silenziosa. Lontano dalla frenesia dell’estate, il periodo da fine novembre a marzo è ideale per perdersi tra le sue calli, ammirare senza fretta le bellezze architettoniche e lasciarsi incantare dal suo ricco patrimonio culturale. Per abbinare il soggiorno in un palazzo storico, trasformato in un hotel di charme recentemente ristrutturato ed entrato a far parte del prestigioso network Châteaux & Hôtels Collection, a un tour culturale della Serenissima, senza rinunciare ai sapori autentici della cucina veneziana, un’interessante proposta è il Salute Palace Hotel. Il raffinato albergo del sestiere Dorsoduro offre la possibilità di trascorrere notti in una delle 45 eleganti camere approfittando della posizione privilegiata, nel cuore di una delle zone culturalmente più interessanti della città, per scoprire alcuni dei tesori custoditi in città, partendo proprio dal Museo Peggy Guggenheim, a pochi passi dall’hotel. E per respirare appieno l’atmosfera e la magia di una Venezia di altri tempi, gli ospiti potranno assistere a una rappresentazione di musiche di Vivaldi in una location d’eccellenza qual è la Chiesa di San Vidal, comodamente raggiungibile dall’albergo attraverso il Ponte dell’Accademia. Negli ambienti eleganti del Bistrò da Cici, lo chef Stefano Bison porta in tavola le eccellenze della buona tavola veneziana. Ricette come zuppa di fagioli borlotti e trippe di baccalà al prosecco, tagliolini al ‘granchio porro’ e crema di spezzati, trancetto di branzino infuso al timo, petto d’anatra rosa con scorzonera e, dulcis in fundo, bavarese ai cachi e biscuit ai semi di papavero sono protagoniste del ricco menù à la carte, basato su ingredienti semplici e genuini che, grazie alla creatività dello chef, acquisiscono un guizzo fantasioso. (Claudio Zeni)

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Cantina S. Michele Appiano presenta Appius 2013 Novembre, per il comparto vitivinicolo sudtirolese questo mese significa Merano Wine Festival, ma anche APPIUS, arrivato quest’anno alla sua quarta edizione. La Cantina Michele Appiano ha presentato la sua prestigiosa Cuvée APPIUS 2013, espressione della sensibilità e della visione di Hans Terzer, storico winemaker della Cantina, votata alla costante Hans Terzer ricerca della qualità. È una Cuvée nata dalla selezione del meglio della propria annata. Nato tre anni fa con l’annata 2010 e proseguito con le annate 2011 e 2012, il progetto APPIUS è quello di creare un vino in grado di rappresentare fedelmente la creatività del suo autore. La creatività è l’elemento fondamentale di APPIUS. Anche il design della bottiglia e l’etichetta, quest’anno realizzata da Life Circus di Bolzano, sono di anno in anno rinnovati: l’etichetta, in particolare, ha un significato simbolico, ma lascia anche spazio alla creatività. L’idea è di rendere APPIUS una “wine collection” in edizione limitata; quest’anno, infatti, sono disponibili solo 5.000 bottiglie e un centinaio di magnum di APPIUS 2013. Quella del 2013 è stata un’ottima annata per il Sud Tirolo, nella quale le condizioni climatiche favorevoli hanno favorito soprattutto le uve bianche, le protagoniste della Cuvée APPIUS. In quest’ultima edizione si denota una forte presenza di Chardonnay (55%), seguita da uva Sauvignon (25%) e da una minore presenza di Pinot Grigio e Pinot Bianco. Dalla limpida colorazione giallo dorata, questo vino si caratterizza per la freschezza e per gli intensi profumi di bouquet di frutta esotica come l’ananas, la papaia e il frutto della passione. Lo Chardonnay dona un sentore di buccia di agrumi, mentre mela e pera riconducono al Pinot Grigio e Pinot Bianco. La fermentazione in botti di legno e la prima parte dell’affinamento, in barrique e tonneaux per circa un anno, si riflettono nelle note speziate dolci di vaniglia e noce moscata. Prima dell’imbottigliamento, si avvicendano tre anni di elevazione in tini di acciaio. Il gusto è massiccio e polposo con una beva fresca e naturale, nel retrogusto si avvertono le note tostate del legno e di pera Williams, caratteristica del Sauvignon blanc.

Aria di Alba protagonista a Hong Kong All’inizio di novembre il ristorante Tosca di Hong Kong ha ospitato “Aria di Alba”, l’evento ideato e promosso dall’azienda piemontese Tartuflanghe. Lo chef Pino Lavarra ha accolto infatti il tristellato Paolo Casagrande del ristorante Lasarte di Barcellona, per una serie di pranzi e cene che hanno visto come protagonista il tartufo bianco di Alba. Giunto alla decima edizione, l’evento si incentra su un format internazionale che porta nei ristoranti più importanti del mondo i più reputati chef per una serie di appuntamenti enogastronomici. Nel caso di Hong Kong, il ristorante stellato collocato al 102esimo piano dell’International commerce center e all’interno del Ritz Carlton Hotel è stato il palcoscenico di un menù che accosta piatti “icona” degli chef a creazioni volte ad esaltare il Tuber magnatum Pico e alcuni dei prodotti innovativi di Tartuflanghe. Un viaggio del gusto che ha visto diverse entrée tra cui un Canestrello con cime di rapa scottate, uovo di quaglia e tartufo bianco, un Amadai con salsa di essenza di mare, granchio reale, pomodoro in crudo e zafferano passando per uno Scampo leggermente affumicato con zuppetta di prosciutto iberico e basilico, mini cannellone di coda e guanciale. A seguire, una Cagliata di tartufo e funghetti fermentati, verza all’olio di oliva extra vergine o con un Risotto al tartufo bianco, cuori e ricci di mare al peperoncino di “Espelette”. A conclusione di questo percorso, oltre alla piccola pasticceria e al Sorbetto di zenzero, frutta della passione e cocco, carota e papaya per la cena, Praliné di mandorle e sale, caramello, albicocche e crema ghiacciata di Rhum.

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Omaggio Milano, il panettone di Canzian

Torna il Panettone “Omaggio a Milano” creato da Daniel Canzian: una ricetta esclusiva a base di riso e zafferano, pensata dallo chef per celebrare la sua città d’adozione. Omaggio a Milano è il frutto di un lavoro meticoloso, in cui tutti gli ingredienti, scelti e selezionati dallo chef, hanno trovato il loro equilibrio, donando al classico panettone un aroma e una consistenza del tutto nuovi. Lo zafferano e il riso, ingredienti principali della cultura gastronomica meneghina, conferiscono un nuovo carattere e un’esclusiva raffinatezza al dolce milanese emblema della tradizione natalizia. Lo zafferano regala profumo all’impasto, che è ulteriormente arricchito dall’uso del riso. Una ricetta esclusiva nobilitata dalla presenza dello Zafferano Zaffy Grand Cru, una selezione dedicata all’alta ristorazione creata grazie alla collaborazione tra Zaffy, azienda italiana di zafferano di alta qualità, Giancarlo Morelli, chef stellato, e l’Università degli Studi di Milano, poi apprezzata dallo chef Daniel Canzian che l’ha scelta per la sua ricetta. La scelta dei partner non è casuale, il panettone Omaggio a Milano è infatti preparato, secondo la ricetta esclusiva dello chef, dalla storica pasticceria milanese Clivati. Il risultato è un panettone al 100% milanese, soffice e profumato, pronto a raccontarsi nel Mondo. La cura estrema per la materia prima che contraddistingue la cucina dello chef si ritrova in questo prodotto artigianale prelibato, che conquista per gusto e leggerezza.



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SINA Chefs’ Cup, quando la cucina incontra la moda

Dining With the Stars 2018, gli chef JRE nei Diamonds Resort

Giovanni Luca Di Pirro

Si è conclusa a Milano, al ristorante L’Opèra dell’hotel SINA De la Ville, la quinta edizione della SINA Chefs’ Cup Contest, che ha visto protagonisti i due chef Giovanni Luca Di Pirro e Valentino Cassanelli con le creazioni ispirate alla moda “Ravioli ripieni di scampi con consommé di miso d’orzo ai porcini e nocciole tostate” e “Un’eleganza senza tempo, bianco e nero di Scampo, pomodoro e cipolla”. Durante la serata, Di Pirro e Cassanelli hanno dimostrato un grande spirito di squadra ma, il punteggio finale di 96/100, se pur molto alto, non ha permesso ai due chef di superare la coppia formata da Riccardo Bassetti e Massimo Viglietti, che nella tappa veneziana ha ottenuto il punteggio più alto, 98/100. Sono dunque Bassetti e Viglietti a qualificarsi per la finale londinese. SINA Chefs’ Cup Contest è un’iniziativa realizzata in collaborazione con Cantine San Marzano e con Diners Club. A rendere le serate ancora più frizzanti, le bollicine Ferrari.

Valentino Cassanelli e Giovanni Luca Di Pirro

Planhotel Hospitality Group e Jeunes Restaurateurs d’Europe saranno di nuovo insieme per dar vita alla quarta edizione di Dining With the Stars. 14 settimane, 42 chef di 12 Paesi di provenienza, 3 location incantate: questi i numeri dell’appuntamento gourmand che anche nel 2018 porterà gli star chef JRE nelle cucine degli esclusivi Diamonds Resorts delle Maldive e di Zanzibar. Da gennaio ad aprile, l’arte culinaria di questi giovani talenti delizierà gli ospiti di Diamonds Athuruga e Diamonds Thudufushi – le isole gemelle dell’incontaminato atollo di Ari Nord – e al Diamonds Star of the East - una delle strutture più esclusive dell’Isola di Zanzibar, affiliato alla prestigiosa catena Small Luxury Hotels of The World. Come ha spiegato Ernesto Iaccarino, Presidente di Jeunes Restaurateurs e chef del ristorante 2 stelle Michelin Don Alfonso 1890 – e che sarà a Thudufushi dal 14 al 22 gennaio - “si tratta di una grande opportunità; i nostri giovani chef si impegneranno al meglio per dare vita a un evento unico al mondo.” Ogni chef JRE sarà ospite di un resort per una settimana. All’arrivo, si esibirà in uno show cooking, organizzato nei Buffet Restaurant: un appuntamento informale per svelare in anteprima la propria arte. Ma il vero spettacolo culinario andrà in scena con il “gala dinner”, esclusiva cena gourmet. Infine, i veri foodies avranno l’occasione di partecipare alle cooking class dove gli chef JRE sveleranno ricette e segreti della propria cucina. Novità del 2018 è la cena a quattro mani tra i JRE e l’executive chef di Athuruga e Thudufushi, Giacomo Gaspari, autore di una cucina naturale basata su materie prime di qualità che nasce da una fusione di sapori mediterranei, tecnica orientale e scienza dell’alimentazione ed esperto di cucina ayurvedica. Guest Star prima dei JRE sarà Andrea Berton, che realizzerà due cene alle Maldive il 28 e il 30 dicembre (una per isola) e due cooking lessons e che passerà il testimone dal 31 dicembre a tre punte di diamante dell’associazione, che firmeranno il capodanno dei Diamonds Resorts: gli stellati Filippo Saporito de La Leggenda dei Frati di Firenze e Luca Marchini de L’Erba del Re di Modena rispettivamente a Zanzibar e a Thudufushi e il giovane – classe 1989 – e talentuoso Adrian Klonowski del Metamorfoza di Danzica ad Athuruga.

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Milani, il caffè su misura per l’ho.re.ca Caffè Milani propone un innovativo sistema per l’ho.re.ca, concepito per realizzare il caffè espresso di qualità in modo semplice e senza sprechi. Si tratta di Espresso System Milani, una soluzione globale studiata ad hoc per ristoranti, gelaterie, pasticcerie, bar e hotel, ossia un pacchetto completo destinato ai locali con volumi non elevati di servizio che dà la possibilità di scegliere tra più tipi di caffè e ai quali unisce macchine espresso pratiche e di facile manutenzione. Il cuore di questo “pacchetto” è la miscela Espresso System Milani che in tazza dà un espresso con un gusto piacevolmente bilanciato e aromatico, sormontato da una crema persistente. È disponibile in grani in latta da un chilo o in capsule da dose singola o doppia: sono estremamente pratiche e permettono di salvaguardare a lungo nel tempo gli aromi del caffè, offrendo espressi sempre perfetti. Per soddisfare la crescente molteplicità di gusti dei clienti più ricercati, alla miscela si uniscono caffè in singola origine 100% arabica. Le quattro proposte sono Brasile Santos Cereja Madura con un aroma delicato, una leggera acidità e un gusto dolce; Etiopia Sidamo, dal profumo molto intenso, un ottimo corpo e netti sentori di speziato con accenni di rum, cioccolato e frutta tropicale; Papua Estate Plantation dall’eccellente corpo, profumo delicato e aroma equilibrato e fruttato; Guatemala Genuine Antigua, dolce e fruttato con uno spiccato corpo e una buona acidità. Non può mancare Cuoril, il decaffeinato nuovamente in capsula.

La famiglia Lageder festeggia i trent’anni della linea Löwengang

Il 2017 è un anno importante per la linea Löwengang: Chardonnay e Cabernet - oggi vini-simbolo della Tenuta Alois Lageder a livello internazionale - compiono trent’anni. Ed entrambi festeggiano il loro trentesimo anniversario con due edizioni speciali, prodotte in esclusiva e in un numero di bottiglie molto limitato: il “30 anni Löwengang Chardonnay”, un uvaggio delle tre annate 2013, 2014 e 2015, e il “30 anni Löwengang Cabernet”, ottenuto per la prima volta vinificando esclusivamente uve di viti con un DNA di oltre 140 anni. I vini dell’anniversario sono stati presentati in anteprima a Milano il 7 novembre, presso Aromando Bistrot, rispettivamente a chiusura della verticale di cinque annate di Löwengang Chardonnay (’92,’96,’04,’10,’14) e delle due prove di botte di Cabernet, ovvero le due componenti del vino d’anniversario “30 anni Löwengang Cabernet”, un vino proveniente da viti di 140 anni e un vino proveniente da piante giovani riprodotte con selezione massale che portano il DNA delle viti antiche. Durante la presentazione, è stato ricordato lo scalpore che ci fu in Alto Adige, quando la Tenuta Alois Lageder, a metà degli anni Ottanta, per la prima volta vinificò uno Chardonnay in barrique. Ma ben presto anche i più scettici dovettero ricredersi, tanto che oggi, per celebrare il trentennale, la Tenuta si presenta sul mercato con un’edizione unica battezzata “30 anni Löwengang Chardonnay”, un uvaggio delle annate 2013, 2014 e 2015. Ciò significa che una parte di questo vino è maturata sui lieviti in barrique per ben tre anni. Quanto al Cabernet, è stato ricordato che quando giunse sul mercato il primo Löwengang Cabernet, annata 1984, le viti di questo vigneto avevano già un’età di circa 100 anni. Oggi, alcune di queste viti hanno fino a 140 anni di età, e sono fra le più antiche dell’Alto Adige. Per conservare intatto un patrimonio genetico così prezioso, la Tenuta Alois Lageder ha isolato per selezione massale nuove piantine, estendendo la superficie di questi vigneti. Con l’annata 2014, per la prima volta sono state selezionate e vinificate le viti di questo antico DNA, ottenendo un vero balzo di qualità. Il vino dell’anniversario “30 anni Löwengang Cabernet” sancisce dunque una svolta che anche negli anni futuri caratterizzerà il Löwengang Cabernet.

Panettoni e musica l’autore Tramandare alle nuove generazioni il valore della cultura, per far apprezzare le tradizioni e le eccellenze milanesi. I panettoni di Giovanni Cova & C. saranno vestiti con le riproduzioni delle opere dei grandi Maestri del Melodramma, la massima espressione dell’Opera, testimonianze che l’Archivio Storico Ricordi conserva nel tempo e che mette a disposizione per promuovere la memoria di compositori come Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini ma anche di illustratori come Marcello Dudovich e Leopoldo Metlicovitz tra gli altri grandissimi. Per citarne alcuni, il Pandoro e il Panettone Classico Giovanni Cova & C., per il Natale 2017, saranno vestiti con le immagini storiche della Turandot di Puccini, mentre alle altre specialità verranno riservate le riproduzioni delle partiture autografe di Paganini del 1817, la copertina del libretto della prima assoluta della Madama Butterfly di Giacomo Puccini, le illustrazioni di Marcello Dudovich e la copertina della storica rivista musicale Ars et Labor del 1907.

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Niko Romito, complessità senza complicazioni di Maurizio Bertera

Il grande chef del Casadonna, tre stelle Michelin, si apre e racconta se stesso, la sua cucina, le prospettive future.

Alberto Zanetti

Per il neofita – soprattutto se viene da lontano – anche il viaggio di andata e di ritorno per il Reale è pieno di significati. L’attesa per un posto isolato ma anche al centro del mondo – non dimentichiamo che è considerato il 43° ristorante del pianeta – si prova nel percorrere una piana tra le più belle d’Italia, simbolo dell’Abruzzo verde. E il ricordo dell’esperienza, magari corroborata da una colazione da leggenda - divisa in più servizi al tavolo come si trattasse di una cena – vi accompagnerà verso casa. Non ci sono dubbi che Niko Romito sarebbe cuoco di successo tra le Alpi come a Pantelleria (infatti, i suoi bistrot Spazio vanno benissimo a Milano e Roma) ma è altrettanto certo che un luogo unico come Casa-

donna gli permetta di realizzare un lavoro diverso da quello che tutti i suoi migliori colleghi stanno facendo. A parte il ‘bello’ naturale e il silenzio regalati dal convento del ‘500 ristrutturato – con camere suggestive – è affascinante che in una sconosciuta frazione di Castel di Sangro si sfornino tanti bravi cuochi, nascano progetti di educazione alimentare come vini biologici, si producano ricettari online e persino ottimi panettoni. Oltre ad apparecchiare una trentina di coperti per chi vuole gustare una cucina straordinaria. La premessa era doverosa per inquadrare un genio sconosciuto ai più, recentemente proclamato miglior cuoco in Italia per la guida ai Ristoranti del Gambero Rosso, e che ha iniziato un progetto rivoluzionario: portare ‘seriamente’ la cucicucina italiana e non dovrà accontentarsi di una na italiana nel mondo, grazie a un nuovo concept caricatura, magari buona. Ma non l’originale. all’interno dei Bulgari Hotels. E’ stato un grande anno, quanto a riconoscimenti, Niko, una provocazione: fa sorridere pensare che anche da parte delle guide… una sfida così grande e inedita nasca in un amIn effetti, il 2017 è stato un anno speciale: per me, biente monacale e non in un grattacielo della nuomia sorella, la mia squadra, i giovani di Casadonna. va Milano, per esempio. Da tutto il mondo sta arrivando gente che chiede Vero. E in effetti, i manager di Bulgari mi hanno di formarsi qui. Poi sono arrivati il progetto Bulgari chiesto subito di definire la e il lavoro legato alla ristocosa invitandomi in città. Io ho razione in ospedale. Questo detto ‘Prima venite a trovarmi’ “Meno contaminazione, perché con i ragazzi riesco non per snobismo, ma per a unire grande ricerca e alta più tradizione: ai capire chi sono e cosa facciacucina, finendo per declinarla mo qui. Sono arrivati e hanno ai bistrot Spazio e nelle altre giovani vorrei dire compreso, per me è stato il attività. di non farsi troppo passo decisivo. Ecco la cucina: passi per un Del resto, sei fissato da semmaestro dell’essenzialità, influenzare da pre con la codificazione della qualcuno dice sin troppo. televisioni e internet, nostra cucina. Premessa: a Casadonna è Bisogna andare all’estero con ma di studiare a fondo il tutto più calmo, il tempo e le idee chiare. Almeno questo, la riflessione influenzano la territorio” poi in patria ognuno mantenga mia cucina. Sono arrivato a la sua visione giusta o sbagliaquesto traguardo attraverso ta che sia. Mi ricordo sempre vari passaggi, aggiornando la frase di Ducasse: ‘Non posso aprire direttamente prima la tradizione e poi scrivendola con il mio linin Italia perché non vi siete ancora messi d’accordo guaggio. Oggi fa moda dire che i piatti sono semplici su quanto sale occorra per l’acqua della pasta’. e puliti, ma spesso scopri una finzione. Io non posso Provoca, ovviamente, ma è vero che i nostri piatti perché arrivano al Reale da lontano, per spendere fondamentali non sono uguali nel mondo: Bulgari mi anche 300 euro con buoni vini, e mi auguro di vederli permette al suo interno di creare un menu identico, tornare. Devono trovare i contenuti. per ricette preparate ovunque nello stesso modo: Metti due elementi in un piatto, a volte solo uno lo straniero capirà finalmente quale sia l’autentica come il carciofo. Quindi?

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Brambilla Serrani

L’intervista


Brambilla Serrani

In questa pagina: lo chef Niko Romito; nella pagina a fianco: Melanzana arrosto; vista esterna del Casadonna.

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L’intervista

La tecnica Assoluta Al Reale si gusta una delle cucine più essenziali, millimetriche e complicate del Paese, frutto di una ricerca pazzesca, senza tregua, faticosa. Tecnica di livello assoluto al servizio di piatti lontano da ogni fronzolo, ogni barocchismo. Pennellate di gusto, di colore, d’autore che riportano alla tradizione quanto più sembrano allontanarsene: citiamo solo i piatti 2017– Lenticchie, nocciole, aglio e Manzo torbato, cardoncelli arrostiti al pepe – per dare peso alla teoria. Il vero problema – se vogliamo – è scegliere tra i due degustazione: Essenza (140 euro più 70 di abbinamento vini) e Ideale (190 euro più 100). Non si tratta di prezzi, né di preferenze: sono formidabili entrambi con vette assolute quali il Calamaro, pepe e lattuga o Pancetta e sedano rapa o ancora la Verza arrosto. Per la cronaca, la carta prevede ben 25 piatti – ognuno con l’anno di nascita – più 8 dessert, ovviamente formidabili come Essenza e la Granita di liquirizia e aceto di vino, cioccolato bianco e aceto balsamico. Il servizio è giovane – con diversi accenti e pure questo fa capire il valore del Reale, ormai casa italiana e non solo abruzzese – guidato dalla sorella Cristiana, impeccabile e sorridente. Il servizio è competente, concentrato, mai legnoso. Quanto alla cantina, tra le circa 500 etichette si trovano i classici come i vini dei piccoli produttori, con lo sforzo mirato di dare spazio agli ultimi. Un giorno, magari, saranno i primi come è successo per Niko Romito.

Brambilla Serrani

come “Il volto gentile e sorridente, sempre con una nota di riservatezza, di suo fratello Niko”. E’ una definizione perfetta. La ricetta per il successo? Penso il coraggio o la testardaggine, tutta abruzzese. Ma soprattutto la voglia di migliorarsi perennemente. Detto questo, anche quando ci siamo trasferiti nel 2011 a Casadonna, non è stato facile e spesso avevamo pochissimi tavoli prenotati: solo con l’arrivo della terza stella, è arrivato il sereno e finalmente con mia sorella sono riuscito ad avere un vero stipendio. Quindi la posizione di un locale è fondamentale anche per un talento?

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Alberto Zanetti

Alberto Zanetti

Se essenziale vuol dire che un piatto manca di complicazione sono d’accordo. La complessità può essere vantaggiosa, la complicazione mai. In piatti come Verza e Patate che sorprendono il cliente, c’è l’essenzialità che non mette da parte il gusto semmai diventa l’esatto opposto, perché tira fuori il meglio dei prodotti. Troppi ingredienti in cucina sono utilizzati così, senza senso. A me piace prepararli separatamente e unirli come per un cocktail. Ovviamente per riuscirci, occorre studiare scientificamente la materia prima come mettere a punto cotture millimetriche: ecco perché nel mio team di ricerca ci sono chimici e ingegneri. Pochi sanno che la tua folgorante carriera è partita da un grande dolore. Ero a Roma per studiare Economia e Commercio: papà – che aveva trasformato la pasticceria di famiglia in una trattoria chiamata Reale – si è ammalato gravemente. Morì poco dopo. Sono tornato a casa nel ‘98, rinunciando all’idea di fare il broker e con mia sorella Cristiana mi sono rimboccato le maniche. Due anni in sala e poi ho deciso di mettermi ai fornelli, per capire soprattutto. Sino a quel momento, avevo seguito solo qualche corso di cucina a Roma, la mania della formazione nasce sicuramente dal fatto che sono stato autodidatta. Era destino evidentemente. Stella Michelin in soli sei anni, tristellato nel 2013. E ancora tre Forchette del Gambero, Cinque Cappelli dell’Espresso. Un Mozart della cucina? La verità? Ancora oggi, quando tanti mi chiedono consigli come fossi un guru, penso che sono troppo giovane nel mio lavoro per poterli dare. I primi anni sono stati durissimi, facevo una cucina d’avanguardia per la zona anche se in realtà utilizzavo prodotti locali: senza il supporto e il sostegno di Cristiana non ce l’avrei mai fatta. Oggi lei è una straordinaria responsabile del servizio. Una guida l’ha descritta

In questa pagina: Cristiana Romito resposabile di sala del Reale; a fianco Gel di Vitello, porcini secchi, mandorle e tartufo nero; nel box: lo staff di sala del Reale al completo. Nella pagina a fianco: Tortelli con pollo; nel box: Fettuccine al ragù di carne e pomodoro.


lavoro – offra più garanzie dello stesso concept a Pescara. Ci vogliono testa, bravura e coraggio. I giovani hanno tutte queste doti? Buona domanda. Per me sono troppo influenzati dalla televisione e da internet. Ho coniato una battuta che ripeto spesso: ‘Se per sei mesi non guardate siti e programmi, i piatti non vi verranno tutti uguali’. A parte, vedo spesso piatti bellissimi ma senza gusto. Si pensa più alla contaminazione e si dimentica la tradizione, forse perché nel secondo caso devi studiare e non inventare. Forse sarebbe meglio fare stage in Basilicata e in Sicilia più che al Nord Europa. Sei stato il primo big a occuparsi della ristorazione in ospedale. Perché? Cinque anni fa non ci pensavo minimamente. Ora che la macchina funziona bene, ho deciso di interessarmi alla ristorazione collettiva, con questo primo progetto che riguarda il Cristo Re e il Villa Bethania a Roma: 400 pasti al giorno, spendendo 5-6 euro a testa. Ci siamo messi sotto e il sistema funziona così bene che due allievi della mia scuola mi hanno chie-

Con Bulgari, un accordo ambizioso Bulgari

“Bulgari aveva iniziato a contattarmi una decina di anni fa, ma solo in luglio la collaborazione si è concretizzata. Per i nuovi hotel cinque stelle di Pechino, Dubai e Shanghai, ho studiato un concept per una cucina autenticamente italiana ma attualizzata alla luce di esigenze e tecniche contemporanee Mi hanno chiesto subito un linguaggio identitario in cucina come all’architetto Antonio Citterio per il design. L’ambiente e il cibo si fondono a parlare una lingua comune e riconoscibile. Lui lo ha fatto con lo stile, io con i sapori”. Così Niko Romito spiega l’accordo con il brand che fa parte di LMVH Il percorso gastronomico utilizza materie prime ricercate, all’insegna della semplicità, così come ingredienti umili nobilitati dalla tecnica. Un brodo purissimo per iniziare, seguito da un originale antipasto in cui è stato sintetizzato un grand tour delle regioni d’Italia. Poi le versioni codificate della tagliatella al ragù, della cotoletta alla milanese, della pasta spezzata con polpo e patata, del tonno sott’olio, del tiramisù. Con il pane sempre protagonista al centro della tavola in quanto elemento-cardine della filosofia di Romito, nonché asse portante della nostra cultura alimentare Grande attenzione sarà riservata all’intero spettro dei condimenti e “fondi all’italiana come alla finitura al tavolo “quella fatta di piccoli tocchi come la grattugiata di parmigiano, il filo di olio a crudo versato sul minestrone o la gocciolatura di aceto balsamico”. Lo chef conta su una squadra selezionata con la solita cura: Diego Ottaviani, classe 1970, di Guardiagrele (Ch), precedentemente executive chef del Ristorante Italiano a Macau, sarà lo chef di Pechino; Giacomo Amicucci, classe 1986 di Cattolica, già al fianco di Romito proprio al Reale sarà il responsabile a Dubai; Claudio Catino, classe 1984, di Terlizzi (Ba), in precedenza al Ristorante Berton, andrà a guidare la cucina della sede di Shanghai. In più, per ogni nuovo locale ha scelto tre figure professionali: chef, sous chef e pastry chef mentre gli altri saranno selezionati nelle diverse destinazioni. Tutto preciso, tutto calcolato. “Abbiamo protocollato ogni dettaglio di ogni ricetta servita. Chef, sous chef e pastry chef per ogni ristorante si sono ‘allenati’ qui o già lavoravano a Casadonna: una volta di più, avere la Niko Romito Formazione mi è servito tantissimo”. Non ne dubitavamo.

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Brambilla Serrani

Assolutamente: quando i ragazzi mi chiedono tre consigli per un nuovo ristorante, rispondo sempre ‘location, location e ancora location’. Ricordo le difficoltà degli ispettori della Michelin nel trovare il Reale: chiesero a Google Maps di aggiornare la cartina, visto che si erano persi. Se pensi di aprire un posto, devi ragionare a lungo e studiare un territorio, senza presunzione: nella provincia italiana, ci sono un sacco di locali senza riferimento, lo trovo un errore grave. Ecco perché mi piace quanto stanno facendo Caterina Ceraudo a Strongoli e Cristian Torsello a Valva: sono passati qui e stanno facendo benissimo in zone fuori dalle solite rotte gourmet. Mi viene da ridere quando sento colleghi lamentarsi perché Roma è una piazza difficile. In generale, basterebbe seguire le tue orme, no? Se avessi fallito nel passaggio a Casadonna, sono certo che non parleremmo così serenamente: ho tenuto duro e mi è andata bene. Poi ho imparato pure io con il tempo a ragionare di più: ovvio che un posto come Spazio Milano – se svolgi bene il tuo

sto di lavorare lì e non in un altro locale. Perché c’è entusiasmo, non mancano le tecnologie e la materia prima è buona: abbiamo una vera cucina, non un ‘qualcosa’ messo lì, senza logica. Se insegnassimo alle persone come e cosa mangiare attraverso le mense di scuole, aziende e ospedali faremmo un salto decisivo. La gente capirebbe che il 40% della salute dipende dall’alimentazione. Anche tu impegnato sul fronte etico… Penso che la ricerca debba avere uno scopo per ogni fascia di clientela. Studio al millimetro la cottura di un piatto di carne al Reale come trovo la migliore soluzione, pensando ai costi, per un brodo dedicato ai pazienti dell’ospedale. Il dieci per cento del mio fatturato è ricerca, sogno un magnate che mi consenta di arrivare a una soglia più elevata…Quanto all’etica, se ne parla un sacco e voi giornalisti a volte ‘caricate’ il concetto. Per me i geni della cucina restano le nonne come le mia che riutilizzava tutto, a partire dal pane secco. Creatività ed etica. L’alta cucina in Italia non ha esaurito il suo momento di gloria? Ci saranno sempre trenta locali che andranno bene. Manca la fascia media, quella con il conto da 4050 euro, dove si mangi bene e ci sia una ricerca nei piatti. Non scopiazzando qua e là o parlando di territorio e tradizione come alibi per non andare avanti. Come bisogna impegnarsi maggiormente sull’obiettivo di nutrire in modo corretto a 15 euro, vedi il lavoro di Autogrill. Niko, uno come te sicuramente non finirà cuoco. In effetti, pensavo di mollare verso i 50 anni. Il mio futuro è scuola e ricerca. Da un lato voglio formare ancora tanti giovani: sono felice quando una persona passata di qui ha trovato la soluzione ideale per la sua vita. Dall’altro mi affascina la sfida sui grandi numeri: cucinare bene e in modo sano per centinaia di persone è molto qualificante. Ti assicuro che nulla mi emoziona quanto i complimenti di un paziente sui nostri piatti. Il massimo. •


L’opinione

Riflessioni sulla guida (rossa) di Mauro Remondino

Autunno tempo di rendiconto, bilanci, guide. Una per tutte la Michelin, la “rossa”, la guida degli pneumatici, degli automobilisti, sino a pochi anni fa, prima di cedere a stringate descrizioni, un elenco di ristoranti e hotel dove i viaggiatori possono rifocillarsi. Un vademecum che si è guadagnato notorietà e credibilità più degli altri. A maggior ragione in Italia, dove si è ammaliati dall’esterofilia. Tanto da creare autentiche paranoie negli chef che, senza stella o stelle, si sentono sminuiti nel loro lavoro. Giusta l’ambizione, ma portata all’eccesso negli ultimi tempi. “Senza stella non si fa cucina” è diventato lo slogan di molti. Precisando tuttavia che non c’è una regola scritta: la stella non è un premio che arriva a fine carriera e tanto meno a poche ore dall’apertura di un nuovo desco. Mi è capitato di trovarmi in luoghi meritevoli che sono finiti in guida dopo parecchi anni di attesa: forse anche fuori tempo massimo. Uno per tutti Pier Giorgio Parini dell’Osteria del Povero Diavolo a Torriana (Rimini), oggi chiuso, ristoro situato in un luogo fuori dalle rotte del movimento di massa. Superficialità dei critici o scarse raccomandazioni hanno fatto sì che si sia verificata una discrasia tra

merito e giusto riconoscimento per un lavoro che non si può improvvisare. Dunque le ultime leve bramano, giustamente se l’ego è in proporzione, per finire tra le pagine della “rossa” che nasce francese e nel cuore dei curatori porta avanti più possibile le tavole di quel Paese. Ad Alba, in Piemonte, per esempio,

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al ristorante LaRossa, fresco di apertura, mi è capitato di trovare una tavola interessante e nuova per la cucina in genere. Dove c’è spazio per le tecniche ispirate alla creatività stillata da Grant Achatz e Ferran Adrià, ma anche abbinate alla qualità che una regione come il Piemonte offre agli epicurei. Così ad Alba il ristorante citato azzarda la stella. Giusto, ma chi dovrebbe assegnarla o quanto meno stimolare l’intervento degli assaggiatori? D’accordo il passa parola, le schede, eccetera, ma il sistema empirico e autorevole, si presume, dovrebbe essere anche celere (e non lo è) nel rilevarlo. Senza contare che un test soltanto non è sufficiente e la valutazione richiede altro tempo. In definitiva “le stelle” dovrebbero essere questione per severi intenditori. Va soltanto bene per il folklore presentarsi in incognito o camuffati da improbabili viaggiatori. La cucina è salute, “l’arte del mangiar bene” fa discutere da sempre, senza voler scomodare Escoffier e Brillat-Savarin, per i quali un piatto era godimento dei sensi, ma anche “sapore e nutrimento”. Ragioni ineccepibili per affermare la sicurezza a tavola di fronte agli occhi di ciarlatani e visionari delle pentole. Tra questi ultimi probabilmente gli stessi che hanno attribuito stelle a chef e ristoranti che nell’arco di poche stagioni sono poi spariti di scena o hanno perso il riconoscimento inscenando tragedie. •


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Protagonisti food

Francesco Apreda, la mia IMAGO di cucina Di Maurizio Bertera

L’executive chef, quarantatre anni, ha una lunga esperienza internazionale. In cima a Trinità de’ Monti – immersi nel lusso storico e autentico dell’Hassler Roma - è divertente pensare che nel 1993 Francesco Apreda, 19enne appena diplomato all’Alberghiero di Formia, lavorava in cucina come commis. 25 anni dopo, lo chef napoletano domina la Capitale dall’alto di Imàgo, ristorante che sta scalando le classifiche (è Stella Michelin dal 2009 e Tre Forchette del Gambero Rosso da ottobre) e conquistando il pubblico. Apreda, oggi 43enne, è uomo di mondo e giramondo: si è formato prima in una lunga esperienza londinese (cinque anni tra Le Gavroche e due locali italiani di rilievo) e poi a soli 27 anni ha gestire Cicerone, il ristorante italiano dell’Imperial Hotel di Tokyo, aperto dalla proprietà dell’Hassler. Dopo due anni nel Sol Levante, nel 2003 il suo mentore Robert Wirth – titolare dell’hotel – gli chiede se vuole tornare dove era partito. Ma come executive chef delll’intera struttura: il ‘panoramico’ al sesto piano, le colazioni e il room service, i banchetti come gli eventi nonchè la cucina degli altri due ristoranti interni ossia il Salone Eva e l’estivo Palm Court. “Ero molto felice ma anche teso, sentivo la responsabilità di un posto incredibile dove era stato da ragazzino – racconta Apreda – per tre anni, ho pensato solo a portare la cucina al livello dell’hotel rivedendo l’offerta e creando una brigata tutta nuova. A quel punto, mi sono sentito pronto per il salto e in pieno accordo con la proprietà è nato Imàgo”. Un nome significativo: in latino significa immagine, visione, sogno. Diventato realtà importante, con non poca fatica. “Quando abbiamo aperto nel 2007 avevo un primo obiettivo: convincere i romani, legatissimi alla tradizione e poco all’innovazione, a venire qui. Ci sono riuscito senza compromessi, con il passaparola e un menu a 70 euro. Ora la nostra clientela è praticamente divisa a metà tra stranieri e italiani, che si fermano magari a dormire o che considera-

a rilasciare tutto quanto accumulato e questo spieno Imagò come tappa fissa del loro tour nella Caga molto della mia cucina”. Detto questo, ad Aprepitale”. Un gran risultato, favorito evidentemente da il concetto della ‘contaminazione’ va stretto. “Si dal super ‘contenitore’ Hassler. “Vero, abbiamo dato perché in Italia ne vedo troppe finte, scopiazzate e personalità a un ristorante d’albergo: eravamo poco comunque non vissute sul campiù che ragazzi e ora siamo una po. Faccio un esempio: il Capvalida brigata, attiva sette giorni su sette, perché la continuità per “Una cucina elegante pellotto di Parmigiano è servito con un brodo freddo perché l’ime è fondamentale: solo ora si è e raffinata, mai dea è nata in Giappone, quancapita l’importanza della grande do me lo proponevano in poristorazione in un hotel, all’estero banale, che sappia sti assurdi dopo il servizio o in funzionava così da venti-trenta interpretare la strada. Ho imparato un sacco anni. Soprattutto in una città devi essere pronto 24 ore su 24 per tradizione e proporla di cose quando mi invitavano a casa, dove si erano messi a fare 365 giorni, declinando la tipolocon il mio stile” il dashi alle quattro di mattina gia di servizio a seconda dell’oo preparavano piatti conviviali rario ma sempre al massimo: coseguendo regole precise che da manda il cliente, quindi se una noi non ritrovi in molti stellati. Le idee per i piatti persona mi chiede la Carbonara all’Imàgo, la faccio contaminati devono nascere in questo modo, trovancon piacere”. Parliamo di cucina: intanto elegando la collocazione per nuovi prodotti e abituando il tissima, mai banale, molto leggera ma totale. Cosa pubblico. In fondo, il coriandolo e il cerfoglio erano aggiungere? “Che ogni piatto racconta un viaggio. esotici sino a pochi anni fa e oggi sono utilizzati serenamente”. Apreda non è mai sazio di conoscenza, sfrutta intelligentemente la consulenza studiata dall’Hassler con il mitico Oberoi di Nuova Delhi: i suoi chef curano Travertino e Vetro, due ristoranti dell’hotel. “Serviamo piatti italiani, realizzati con materie prime in gran parte del territorio. Sono convinto che la nostra cucina nel mondo vada proposta per accontentare quella clientela che già la apprezza, non vogliono la caricatura ma la carne cruda con il tartufo bianco”. Lo chef va a controllare che tutto fili bene un paio di volte l’anno: si è abituato alla cucina indiana (“Ma come tutti inizialmente perdevo la sensibilità del gusto, troppo intenso. Forse è tra le meno adatte ai palati italiani” sottolinea), gira con un taccuino per gli appunti e trova sempre nuove spezie per i suoi blend che sono cult per i gourmet. E’ stato tornando dall’India che è nata la Mi piace trovare un ingrediente per il mondo, a volvoglia di un degustazione decisamente particolare. te lo scopro insieme ai ragazzi che viaggiano con “Mi sono detto perché non fare a meno del sale? me: non mi interessa la tecnica di preparazione in In fondo con le spezie e le alghe si può avere la saquel momento, ma pensare a cosa farne tornato pidità giusta per ogni piatto, togliendo un elemento all’Imàgo. Se mi dicono che non sono un integrache non fa bene ed è ancora troppo presente nella lista della cucina italiana, hanno ragione ma era cucina italiana. Così ho messo a punto con i ragazimpossibile che sette anni lontano da casa non mi zi un menu vegetariano dove figurano alghe di ogni condizionassero. Nel 2003, ero una spugna pronta

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In questa pagina: lo chef Francesco Apreda; nella pagina a fianco: Foie Gras e scones; la sala del ImĂ go.

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Protagonisti food tipo, ovviamente tanti vegetali e le mie amate spezie. Poi ho pensato che il pesce poteva integrarsi benissimo e quindi, senza toccare la versione originaria, ho aggiunto il Mediterraneo…”. Il risultato è una serie di piatti sorprendenti come la Tartare di scampi, mozzarella e salicornia; l’Astice Blu, insalata di alga hijiki e Parmigiano; Ravioli al vapore di alga nori, sgombro e peperoni; Spaghetti acqua e farina, frutti e lattuga di mare; Filetto di spigola al cartoccio di argilla, wakame e finocchi. I gusti personali sono sacri, in ogni caso è difficile togliere all’Imago il primato – nella Capitale - della cucina più originale e all around the world. Perché al di là di quanto raccontato prma, basta citare i piatti del degustazione celebrativo (i ‘classici in evoluzione’ come li definisce il maestro dell’Hassler) per capire e apprezzare: Foie gras e scones (anno di creazione 2015); Capesante impanate, shiitake e tartufo nero (2007); Polpo, alghe e radici (2016); i già citati (e pazzeschi) Cappellotti di Parmigiano “doppio uma-

In questa pagina: la vista mozzafiato dalla sala del Imàgo; sotto: Capellini Aglio olio Peperoncino e Anguilla Affumicata; Capesante Impanate e Tartufo nero; a fianco: Anatra in stile Tandoori.

mi” (2010); Risotto cacio pepi e sesami (2012); Capellini aglio olio peperoncino e Anguilla Affumicata (2008); Merluzzo nero & verdure viola (2009); Anatra in stile tandoori (2014); Samosa di sfogliatella napoletana (2011); Dolce mozzarella di bufala (2013). C’è l’Italia, c’è il mondo, c’è una visione di grandissima classe. Ecco perché ci rasserena la confessione di Apreda. “Ho la valigia sempre pronta, ci mancherebbe. Però sto talmente bene qui, in un ristorante al top e con un’ottima squadra, che non mi interessa il futuro ma il presente. Abbiamo ancora tanto lavoro da fare, quindi non posso che fermarmi ancora all’Imàgo”. Ottima notizia, per chi abita o passa per Roma.•

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Il tempo dà forma alla qualità Doppio Malto, Rossa, Puro Malto. Ogni Peroni Gran Riserva ha un gusto unico e un denominatore comune: l’altissima qualità. La qualità del Malto 100% Italiano, la qualità delle materie prime accuratamente selezionate, la qualità del processo produttivo di extra decozione. È così che nasce una birra speciale, fatta in Italia e premiata nel mondo.


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Ciro Oliva Napoli dentro di Emanuela Stìfano

Al quartiere Sanità, le pizze gourmet e il grande cuore del giovane ed esuberante piazzaiolo. Un fiume in piena, un’esuberanza travolgente, un entusiasmo contagioso, tipico partenopeo. È così Ciro Oliva, con i suoi ventiquattro anni e il peso di grandi responsabilità. Perché Ciro, non è soltanto colui che ha reinventato Concettina ai tre Santi, ossia la pizzeria che da tre generazioni è nelle mani della sua famiglia. Ciro ha anche una famiglia tutta sua – una moglie e due bimbi – e una famiglia allargata. E, forse, proprio quest’ultima, è quella emotivamente più impegnativa: Ciro è infatti impegnato in prima linea nella Casa dei Cristallini, la fondazione che, senza scopo di lucro, ha l’obiettivo di togliere dalla strada i bambini e i ragazzi di un quartiere voglio togliere i ragazzi dalla strada e farli lavorare complicato come è il quartiere Sanità, dove la Nacon me». E Ciro, venuto alla ribalta per le sue pizze poli verace e la Napoli difficile, convivono. «Per me e per la sua capacità di essere non soltanto un braè un onore – ha puntualizzato il giovane pizzaiolo -. vo pizzaiolo, ma anche un personaggio social, per Voglio aiutare gli altri, come ha fatto Cristo e come questi ragazzi è un esempio positivo: per strada lo ha fatto Totò». Parole che possono suonare eccessalutano tutti, come fosse una star. E Ciro, in fondo, sive, ma alle quali corrispondoun po’ star lo è: con il suo guizzo, no fatti concreti, però: Ciro qui fa Concettina ai tre Santi è rinata lezione, insegna ai bambini e ai a nuova vita, non è più la (buoragazzi a mettere le mani in paCiro è figlio e nipote na) pizzeria di quartiere, ma è la sta, a fare la pizza. E non solo: pizzeria che catalizza l’attenziod’arte: Concettina ai ne della Napoli bene, dei turisti andando ancora più nel concreto, Ciro ha donato i proventi delgourmet, dei media. Dunque un tre Santi nasce nel la collaborazione con Ferrarelle nuovo e benefico impulso non 1951 con le pizze e ha comprato, per il suo locasoltanto all’attività di famiglia, le, i piatti decorati dai bambini, fritte della bisnonna. ma anche a un quartiere che nell’ambito di un progetto denonecessita, forse più di altri, di minato “Magna”. Insieme ad altri sana vitalità. Ma torniamo al gioventi esercenti del quartiere Savane pizzaiolo: la nuova era di nità, aiuta, con piccoli e grandi Concettina ai tre Santi la si degesti, questi ragazzi bisognosi di un futuro migliore. ve alla voglia di fare sempre meglio di Ciro, alla sua Dunque Ciro Oliva è nato, è cresciuto e, soprattutto, capacità di ascoltare gli altri, di provare, di riprovare è rimasto nel quartiere Sanità, dove è seriamente imfino a ottenere l’impasto perfetto, le pizze più buopegnato a dare opportunità: «Ho avuto un sacco di ne, i prodotti e le materie prime di qualità. Alla Marproposte – ha raccontato - ma io voglio restare qua, gherita e alla Marinara si affiancano pizze inedite,

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frutto della sua fantasia, ma anche dalla voglia di confrontarsi. Dalla trattoria allo stellato, ogni luogo è buon per imparare, per confrontarsi. Con i grandi - Iaccarino, Iannotti, sono per Ciro fonte di ispirazione – ma anche con i testi – perché Ciro studia, si informa, si guarda in giro. Per Concettina ai tre Santi, dicevamo, è partita una nuova era. Perché accanto alle nuove pizze, Ciro e famiglia – il papà Antonio è sempre al suo fianco – hanno voluto anche rinnovare il locale, lasciandogli però quel giusto gusto retrò che riprende lo stile della nonna. Protagonisti del restyling del locale dell’estate scorsa sono dunque il tavolo in marmo, i tovaglioli a quadretti, i bicchieri firmati, ma al contempo semplici. Infine, veniamo alle pizze: sono buone, in tutte le versioni. La Margherita e la Marinara sono da provare e sono il simbolo di questa pizzeria. Hanno un quid in più, che non si può non notare. Ma sono originali e notevoli anche le altre, così come sono da provare anche le montanarine nelle diverse versioni, la frisellina lenticchie e olio extravergine, la frittatina pasta e fagioli. Insomma, Ciro è bravo e lo diventerà ancora di più con il tempo, c’è da scommetterci. Perché oltre all’istinto, oltre alle capacità ereditate, oltre alla voglia di ascoltare, fa un’altra cosa importante: ci mette il cuore. •


In questa pagina: il giovane pizzaiolo Ciro Oliva e alle sue spalle l’entrata del Concettina ai tre Santi.

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Un tocco di Giappone in cucina di Emanuela Stìfano

Danilo Angè e Hide Matsumoto hanno sperimentato alcuni prodotti provenienti dal Sol Levante nell’ambito di un progetto di promozione promosso da JETRO, ente governativo giapponese. Made in Japan e Made in Italy si intrecciano e si equilibrano con grande successo. Ne abbiamo già parlato sul numero scorso di Artù: in Italia sta crescendo l’interesse per la cultura gastronomica e per gli ingredienti giapponesi. Un’attenzione che, è bene sottolinearlo, non è focalizzata soltanto sul sushi. Non solo. Si è anche detto che Giappone e Italia, in qualche modo, sono Paesi complementari, entrambi caratterizzati da tradizioni antiche molto radicate, che si accostano, senza disturbarle, a idee innovative. Un altro elemento da sottolineare è che l’attenzione alla materia prima caratterizza tutte e due le culture: in entrambi i casi, l’alta cucina, passa prima di tutto dalla ricerca dei prodotti giusti. Con questa filosofia Jetro (Japan External Trade Organization), ente governativo che ha come obiettivo quello di promuovere la diffusione dei prodotti giapponesi sui mercati esteri, in collaborazione con Artù, ha proposto un esperimento: fornire alcuni prodotti made in Japan a due chef in vista nel panorama gastronomico italiano, chiedendo loro di inserirli in alcune ricette innovative. La scelta è ricaduta su Danilo Angè e Hide Matsumoto, perché entrambi non hanno mai nascosto la capacità di accostare tecniche innovative a prodotti di stagione, di mescolare le esperienze internazionali con le ricette della tradizione. Entrambi non avrebbero bisogno di presentazioni, i loro volti e le loro capacità sono conosciute e apprezzate, ma per dovere di cronaca è bene riassumere in poche righe la loro bibliografia. Danilo, milanese doc, la

cucina, i buffet, i grandi piatti li ha sempre avuti nel cuore: fin da bambino, sognava di fare lo chef. Dopo gli studi alberghieri, Angè è passato (anche) attraverso raffinate esperienze a livello internazionale, per poi diventare, oggi, un vero imprenditore del gusto: eventi e cene a domicilio, organizzazioni di corsi in cucina, consulenze per l’apertura di attività ristorative in Italia e all’estero, partecipazione ad alcuni programmi televisivi, sono il suo pane quotidiano. Da sempre, a Danilo è riconosciuta la capacità di porre grande attenzione alle materie prime, poiché convinto che la grande cucina nasca prima di tutto dagli ingredienti e dagli accordi tra essi attentamente studiati. Hide Matsumoto, invece, nasce in Giappone, ma presto inizia a girare il mondo per collezionare una serie di esperienze nei migliori ristoranti. Diciotto anni fa l’arrivo in Italia,

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sugellato dall’incontro con Davide Oldani e dal ruolo di sous chef al D’O di Cornaredo. Forte di queste grandi esperienze, Hide l’anno scorso ha deciso di aprire “Le Api Osteria”, 35 posti a sedere non lontano da Piazza Cinque Giornate, dove lo chef, con la sua affiatata brigata, propone una cucina innovativa, contemporanea e di qualità, tanto che Artù, in occasione dell’evento Follow Artù tenutosi lo scorso ottobre a Milano, ha voluto premiare il giovane cuoco e il suo ristorante tra “I ragionevoli”. E la menzione “Tecniche orientali, ingredienti italiani”, sta proprio a sottolineare la grande capacità di Matsumoto di mescolare e far convivere le sue esperienze, di saper scegliere con cura i prodotti che andrà a cucinare. Dunque entrambi gli chef, forti delle loro conoscenze, delle loro capacità, del loro raffinato gusto, hanno messo a punto sei ricette


In questa pagina: lo chef Danilo Angè; nella pagina a fianco: da sinistra in senso orario, hamachi ricciola giapponese (Narita Wholesale Market Export Hub Progress Committee); Pepe asakura sansho (Yabu Partners Inc.), umibudo (caviale marino - M&J Llc), fogli vegetali veghet (Isle Co., Ltd.), polvere di tè HoJi (Kanei Hitokoto Seicha Inc.); Spaghetti somen (Shimabara Tenobe Somen); infine, myoga (M&J Llc).

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Protagonisti food ricetta di Danilo Angè

Hamachi alla polvere di tè Hoji e pepe asakura sansho, spaghetti somen alla zucca e macaron con tartare di hamachi e umibudo

ricetta di Danilo Angè

Magic Noodle in brodo di ceci affumicati, myoga fresco e barbabietola

Ingredienti per 6 persone: 900 gr di filetto di hamachi (ricciola giapponese - distribuito dalla Narita Wholesale Market Export Hub Progress Committee); 3 gr di pepe asakura sansho (Yabu Partners Inc.); 300 gr di zucca; 1 mazzetto di origano fresco; 1 mazzetto di finocchietto; 1 limone; 6 gusci di macaron; 30 gr di umibudo (caviale marino - M&J Llc); 240 gr di spaghetti somen (Shimabara Tenobe Somen) 2 gr di tè hoji in polvere (Tè verde tostato - Kanei Hitokoto Seicha Inc.); olio extravergine di oliva; sale e pepe. Procedimento: Spinare il pesce, ricavare 6 filetti e tagliare quello rimasto a cubetti per la tartare. Condire i tranci con sale, pepe asakura sansho, inserirli in un sacchetto da cottura con poco olio e farli cuocere nel bagno termostatato a 54°C per 20 minuti. Privare la zucca della buccia e dei semi e tagliarla a cubetti, farli cuocere in padella con olio, origano, sale e pepe. Condire la tartare con il finocchietto tritato, la scorza del limone grattugiata, sale e pepe. Riempire i macaron con la tartare e completare con l’umibudo (caviale marino). Cuocere gli spaghetti somen in acqua salata per pochi minuti e insaporirli in padella con la zucca. Disporre i filetti di pesce sui piatti di portata, spolverizzarli con il tè Hoji e completare con i somen e con i macaron.

Ingredienti per 6 persone: 360 gr di magic noodle (pasta vegetale a base di konnyaku - Nakakifood co.,Ltd.) 400 gr di barbabietole 300 gr di sedano, carote e cipolle 1 foglia di alloro 1 chiodo di garofano 1 anice stellato 100 gr di ceci affumicati 2 myoga fresco (germoglio di zenzero M&J Llc.) 1 mazzetto di menta polvere di barbabietola olio extravergine di oliva sale e pepe

ricetta di Danilo Angè

Risotto al Grana Padano riserva, spuma al wasabi fresco e zafferano cialde di fogli alla carote e gel di melagrana Ingredienti per 6 persone: 480 gr di riso Carnaroli; 80 gr di scalogno; 2 fogli alla carote (vegheet - Isle Co., Ltd.); 1 arancia; brodo vegetale; 60 gr di burro; 120 gr di Grana Padano riserva; olio extravergine di oliva; 40 gr di chicchi di melagrana; sale e pepe Per la spuma di wasabi: 2 dl di latte di cocco; 50 gr radice fresca di wasabi (Shizuoka Concierge Co., Ltd.); 0,25 gr di zafferano ; sale e pepe Per il gel: 3 dl di succo di melagrana; 5 gr di colla di pesce; 2 gr di xantana Procedimento: Per la spuma: scaldare il latte di cocco, togliere dal fuoco, unire il wasabi fresco grattugiato e lasciare in infusione per un’ora, filtrare, unire lo zafferano, sistemare di sale e pepe. Versare in un sifone e caricare con il gas. Unire al succo di melagrana la colla di pesce sciolta e lasciare indurire in frigorifero, frullare con la xantana e conservare in frigorifero.Tagliare lo scalogno a julienne, disporlo in una piccola casseruola, coprire con l’olio, cuocere a fuoco basso per 15 minuti e lasciare raffreddare, filtrare e conservare l’olio. Tagliare i fogli alla carota a losanghe, friggerli e scolarli su carta assorbente. Tagliare le scorze dell’arancia a julienne e farle sbollentare in acqua leggermente zuccherata. Tostare il riso con l’olio aromatizzato allo scalogno, coprire con il brodo, portare a cottura, sistemare di sale e pepe e mantecare con burro e Grana Padano. Versare il risotto nei piatti di portata e completare con la spuma, il gel, le cialde e i chicchi di melagrana e le scorzette.

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Procedimento: Sbucciare le barbabietole, tagliarle a julienne e farle cuocere in padella con olio, sale e pepe. Preparare un brodo vegetale con sedano, carote, cipolle, alloro, chiodo di garofano e anice stellato. Aggiungere i ceci affumicati, cuocere per 2 ore a fuoco basso, sistemare di sale e pepe e filtrare. Tagliare il myoga a julienne e farli marinare per 20 minuti con olio e menta. Insaporire i noodles in padella con la barbabietola, unire il myoga fresco (germogli di zenzero) marinato, disporli nei piatti di portata, versare il brodo di ceci e spolverizzare con la polvere di barbabietola.


In questa pagina: sotto, pepe asakura sansho (Yabu Partners Inc.); polvere di tè Hoji (Kanei Hitokoto Seicha Inc.); a fianco, Magic Noodle (Nakakifood co.,Ltd.).

in cui alcuni ingredienti giapponesi sono stati protagonisti, ma con discrezione. Sì, perché entrambi hanno realizzato qualche cosa di nuovo, di inedito, di mai provato, dimostrando così che esiste la possibilità di far convivere Oriente con Occidente, la possibilità di valorizzare piatti della tradizione italiana – si pensi al Risotto Grana Padano riserva e zafferano di Angè, reinterpretato con spuma al wasabi cialde di fogli alla carote e gel di melagrana, ma anche ai Cappelletti di galletto in brodo di polvere di té hoji (Tè verde tostato) allo zenzero di Hide – con ingredienti che qui sarebbero introvabili, se non li si potesse importare dal Giappone. In questo scenario, dunque, ben vengano la voglia di sperimentare degli chef, di testare prodotti poco conosciuti, ma di innegabile qualità e valore, come l’hamachi (ricciola giapponese) o il (buonissimo) pepe asakura sansho o, ancora, la versatile polvere di tè hoji. Questi ingredienti, insieme a tutti gli altri

che qui non abbiamo menzionato, ma che si ritrovano nelle ricette realizzate da Danilo e Hide, uniti alle tecniche utilizzate da questi due grandi chef, hanno dato luogo a sei ricette da provare. Un’occasione per farlo, è senz’altro “We Taste. Profumi e sapori dal Giappone”, l’evento organizzato da Jetro per far conoscere agli addetti ai lavori questi e altri prodotti giapponesi. L’appuntamento è nel cuore di Milano a due passi dal Duomo, presso la Sala Esposizioni di Palazzo Giureconsulti, lunedì 27 novembre. Una giornata dedicata alla sperimentazione, alla conoscenza, alle nuove opportunità di business. Da non perdere. • Informazioni presso JETRO Milano Tel: 02-7211791, email: mil-event@jetro.go.jp

ricetta di Hide Matsumoto

Salmone “mi-cuit”con alga nori, pepe asakura sansho, foie gras di anatra, crema di pasta di wasabi, emulsione di pomodori pachino, composta di rabarbaro Ingredienti per 4 persone: Per il Salmone “mi-cuit” 4 pezzi di salmone tagliati a bastoncino (160 g); 10 grani di pepe asakura sansho (Yabu) tritato; 2 fogli di alga nori; Sale q.b.; 4 pezzi di foie gras (40 g); Per la crema di pasta di wasabi 100 g di pan carré; 200 g di panna 32%; 80 cc di latte intero; 80 g di scalogno tritato; 180 cc vino bianco; 80g di pasta di wasabi (Kinjirushi Sales Co., Ltd.) Emulsione di pomodori pachino 100 g di pomodori pachino secchi; 150 cc di olio extra-vergine di olive taggiasche; 20 cc di aceto di vino rosso; Sale q.b.; Composta di rabarbaro 500 cc di acqua; 150 g di zucchero; 20 cc di succo di limone; 2 gambi di tagliati a cubi di 2cm Procedimento: Per la crema a base di wasabi, tritare e cuocere lo scalogno nel vino fino a ottenere una riduzione, unire il latte e la panna e far bollire, aggiungere il pan carré. Frullare bene e aggiungere il wasabi. Frullare nuovamente. Per l’emulsione di pomodori, mettere i pomodori secchi ad ammorbidire in acqua calda bollente. Quando morbidi ritirarli e asciugarli con la carta. Aggiungere olio e aceto e frullare bene e infine setacciare. Per la composta di rabarbaro, portare a ebollizione l’acqua con lo zucchero e il succo di limone, unire il rabarbaro e far bollire 5 minuti circa. Lasciar raffreddare. Scottare il foie gras e tagliarlo in 3 parti. Nappare il salmone con il pepe asakura sansho e il sale poi arrotolare con l’alga nori (come maki sushi). Arrostire in padella mi-cuit. Tagliare ogni pezzo in 3 parti. Impiattare i rotoli di salmone adagiandoli sulla crema di wasabi. Versare sopra un angolo del salmone l’emulsione di pomodori pachino. Infine disporre nel piatto il foie gras e la composta di rabarbaro. Decorare con spaghetti di riso fritti.

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Protagonisti food ricetta di Hide Matsumoto

Cappelletti di galletto in brodo di “polvere di tè hoji (Tè verde tostato) allo zenzero”, cuore e durelli di pollo confit, porri e carote. Ingredienti per 4 persone: Per i Cappelletti aromatizzati alla polvere di tè hoji (Kanei Hitokoto Seicha Inc.) 200g di farina 00; 100g di semola grano duro macinato; 140cc di acqua tiepida (37°); Sale q.b.; 6g di polvere di tè houji; Per il ripieno di galletto 1 galletto Vallespluga disossato; Purée di verdure; 60g di cipolle tagliate sottili; 60g di carote tagliate sottili; 40g di sedano pelato e tagliato sottile; Poco olio di oliva; Per il brodo di polvere di tè hoji 700cc acqua calda; 10 g di polvere di tè hoji; 4 fette di zenzero (20g); Sale q.b.; Per il cuore e durelli confit 50 g di cuori di pollo; 50 g di durelli di pollo; Sale grosso; Pepe bianco schiacciato (poco); 30 g di sedano; 1 scalogno; 1g di 4 spezie; 1 rametto di timo; ½ spicchio di aglio; Per la decorazione 40g di porri; 40 g di carote Procedimento: Per i cappelletti, impastare tutti gli ingredienti e lasciare 12 h in frigo a riposare. Per il ripieno di galletto, cuocere il galletto in acqua fino a che diventa morbido. Cuocere il brodo residuo fino a ottenere una riduzione, controllando che gusto e densità siano giusti. Prendere le verdure e rosolarle in padella, aggiungere poca acqua e cuocere finché diventano morbide. Frullare per ottenere un puré. Frullare la carne di galletto, unire il puré di verdure e per finire aggiungere il brodo di galletto ridotto. Condire con sale. Con pasta e ripieno preparare i cappelletti utilizzando un cerchio piccolo del diametro di 2 cm. Per il brodo di polvere di tè hoji, portare 700 cc di acqua a 90°. Lasciarvi in infusione 10 g di tè hoji, setacciare e scolare. Il liquido deve essere limpido e trasparente. Rimetterlo in una pentola, aggiungendo sale e le fettine di zenzero da lasciare in infusione. Per il cuore di pollo e durelli, pulirli bene per eliminare nervi, pelle e sangue, quindi lasciarli marinare per 12 h con 10% di sale grosso e un pizzico di pepe bianco, il sedano, lo scalogno, il timo, l’aglio e le 4 spezie. Prendere solo cuore e durelli, lavarli leggermente e asciugarli. Cuocerli sott’olio a 80° confit, finché diventano morbidi. Tagliare finemente i porri e le carote a forma di fiore. Scottarli leggermente in acqua. Cuocere i cappelletti in acqua calda. Disporli in una tazza e poi aggiungere i porri, i fiori di carota, il cuore e i durelli di pollo. Versare sopra il brodo di polvere di tè hoji allo zenzero.

ricetta di Hide Matsumoto

Cubi di sashimi di hamachi, arancia salata, insalata di cubetti croccanti di verdure, gelatina di dashi, essenza di sake Ingredienti per 4 persone: Per i cubi di sashimi ricciola e arancia salata 600 g di hamachi (ricciola giapponese - Narita Wholesale Market Export Hub Progress Committee) (150 g x4), tagliata a cubetti di 1.5 cm Pesto di arancia salata 30g Olio di egoma 30cc Dashi rappreso Katsuobushi 40g Acqua 1l Sale q.b. Colla di pesce 26g Sake Yamahai Junmai Ginjo (Fuji Takasago Shuzou Co., Ltd.) 80cc Insalata di cubetti croccanti di verdura 4 rapanelli Teste di pioppini 40g Cetrioli sbucciati tagliati a cubetti di 2mm 60g 1 myoga (M&J Llc.) tagliato a julienne Procedimento: Per la gelatina di dashi, scaldare 1l di acqua a 80°, mettere 40g di katsuobushi in infusione, filtrare e aggiungere la colla di pesce e il sale. Prima di impiattare controllare bene la densità della gelatina, non deve essere troppo dura. Per la ricciola e arancia salata, prendere 2 arance (100 g ognuna) e coprire di sale la buccia, lavarle e tagliarle a fette. Metterle a marinare con 20 g di sale. Dopo una settimana, frullare e conservare. Tagliare la ricciola a cubetti di 1.5cm, mescolare con l’arancia e l’olio di egoma. Per l’insalata di cubetti di verdura, sbucciare i cetrioli, privarli dei semi e tagliarli in cubettini di 2mm. Lasciarli 5 minuti sotto sale in modo che perdano l’acqua. Scottarli in acqua bollente per 2 minuti, scolarli e immergerli immediatamente in una bacinella con acqua e ghiaccio. Una volta raffreddati, prenderli e asciugarli bene. Tagliare i rapanelli e lasciarli sotto sale per 5 minuti. Lavare e asciugare. Prendere le teste dei pioppini e bollirli in acqua e sale, lasciarli raffreddare nella loro acqua e asciugarli bene prima di impiattare. Lavare il myoga e tagliarlo a julienne. Per la finitura, utilizzare uno stampino di metallo a cerchio per la ricciola e poi metterla nella ciotola insieme con l’insalata. Condire con olio di egoma e sale. Disporre sopra il myoga e versare 2 cucchiai di sake sulla gelatina di dashi.

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Lo chef Hide Matsumoto.

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Dal mondo

Wynwood, due stelle nella piatta Olanda di Gualtiero Spotti

Eindhoven, città defilata ma vivace, propone una ristorazione non banale, degna di essere approfondita. “La trentanovenne cuoca asiatica ha dato un’impronta innovativa a una cucina La città di Eindhoven, nonostante l’anima industriale ed economica legata al mondo della multinazionale Philips e a una serie di eventi nella stagione autunnale che riguardano soprattutto il design, riserva alcune sorprese inaspettate per tutti coloro che vogliono togliersi qualche soddisfazione a tavola. Mancando l’Olanda di una solida tradizione gastronomica legata a una vasta scelta di materie prime del territorio, ed essendo invece viva da molti anni una presenza di cenni addietro una comunità di cinesi e di popocucine etniche ed esotiche, non c’è da stupirsi che lazioni di diverse etnie tra i loro abitanti. Eindhoil numero di ristoranti cinesi, indonesiani, indiani o ven, pur essendo defilata nella campagna che porpiù in generale di “altre cultuta verso la Germania e il Belgio re” qui abbiano trovato terreno e non certo affacciata sul mare, fertile diventando sempre più “Eveline Wu ha dato non è però da meno, anzi, cunumerosi e importanti. Non si riosamente proprio qui si sono vita a una linea di può dimenticare che l’Olanda raccolti alcuni dei migliori espoha sempre avuto un ruolo pricucina di ispirazione nenti della cucina dei Paesi Basmario come ultima destinazione si. Basti pensare che poco fuori asiatica, ricercata, europea del traffico delle spedal centro cittadino, a Nuenen, si zie e che alcune delle princiraffinata e dai sapori trova De Lindehof, il ristorante del pali città, come Rotterdam ad cuoco bistellato Soenil Bahadopotenti” esempio, abbiano visto nei deer, proveniente dal Suriname, che da queste parti chiamano semplicemente “spicy chef”. Ma per chi non vuole uscire da Eindhoven l’indirizzo più interessante rimane il Wynwood della trentanovenne cuoca asiatica Eveline Wu. La sua è una storia di ordinaria trasmigrazione, verrebbe da dire oggi, dalla Cina all’Olanda, avvenuta però con un decennio di anticipo rispetto al nuovo millennio. Alla fine degli anni Novanta apre con la sua famiglia un ristorante a Tilburg, nel Brabante settentrionale, ma è evidente che è la città di Eindhoven a catalizzare l’attenzione, per dimensioni e opportunità. E come spesso accade sono il sushi e il wok a diventare il campo d’azione prediletto della bella cuoca origi-

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In questa pagina: Eveline Wu che gestisce il Wynwood; nella pagina a fianco: l’interno del Wynwood.


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Dal mondo con paella e ravanelli, o i dolce di More con cioccolato fondente e mascarpone. Le influenze sono diverse e passano soprattutto attraverso la cucina del sud, del Mediterraneo, tra Spagna e Italia. Poi qui c’è il concept moderno che porta l’avventore a godersi un cocktail al banco (prima o dopo la cena, da provare l’Oyster cocktail con Hierbas de Las Dunas, il liquore realizzato da Syrco Bakker, cuoco stellato olandese a Cadzand) e a vivere l’esperienza

In questa pagina: scorcio della cucina con la brigata al lavoro; un cocktail servito al banco; la cucina a vista che affaccia nella sala.

naria di un paesino vicino a Shanghai. Prima con l’apertura di Soho (che oggi vanta un secondo indirizzo anche a Den Bosch), dove il grosso del lavoro è basato sul take away e le ordinazioni online. Ma a seguire sono arrivati anche il De Kreeftenbar (un locale dove mangiare sushi e aragoste che ha poi aperto diverse filiali in giro per l’Olanda), il Mood (dall’anima fusion ma con due carte ben distinte, una d’ispirazione francese e una asiatica) e infine Wynwood che è l’ammiraglia di casa, e il ristorante più prestigioso di una serie che fa di Eveline Wu una tra le più brillanti imprenditrice dell’asian food europeo. Wynwood non è in centro città ma nel cuore

dello Strijp-S, una delle aree industriali esterne al centro cittadino, e riqualificate dopo il trasferimento delle fabbriche della Philips. Oggi questi sono prestigiosi quartieri di residenze lussuose e di movida serale, tra locali hip, uffici, ristoranti e negozi e Il Wynwood è uno dei luoghi in grado di catalizzare l’attenzione, per l’ottima cucina creativa che parte certo da molte ispirazioni asiatiche, ma si concede numerose digressioni occidentali tra vari stili e influenze. A volte anche molto marcate, se si pensa a piatti che compaiono puntualmente in carta, come il Risotto con funghi Chantarelle (i nostri finferli), i Porcini con Parmigiano e mirtilli, la Passera di mare

totalizzante di una serata lunga, che spesso porta a un dopo cena con la musica di un deejay. Ciò non cambia la qualità del ristorante e piace molto alla clientela non solo locale di Wynwood. Eveline oltretutto è diventata in pochi anni una star della cucina cinese anche per i suoi colleghi asiatici dall’altra parte del Mondo. Lo scorso anno, a Rotterdam, si è tenuto il Campionato Mondiale di Cucina Cinese ed è stata proprio lei a aggiudicarsi il premio preparando un dessert. Il Wynwood mette in fila piatti concreti ma anche suggestioni estetiche e di puro contenuto che portano alla mente e al palato sensazioni tra occidente e oriente, richiamano sapori noti e ben conosciuti ma concedono aperture verso mondi nuovi. Un bel gioco che diventa piacevole se vissuto in un ambiente dinamico, vivace e divertente come quello che Eveline ha sempre saputo riprodurre in tutti i suoi locali. Al punto che spesso, anche in tarda sera, sia al Wynwood che nel più centrale Mood, non è semplice trovare un tavolo libero. •

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Focus food

Corvara, Posta Zirm Gusto e salute di Alberto P. Schieppati

Non solo proposte di cucina ladina e sudtirolese nello storico albergo di Corvara, della Famiglia Kostner. Da quando “l’affaire vegano” si è imposto sulla scena dell’alimentazione contemporanea, i media si sono divisi fra entusiastici cultori della new wave, da un lato, e strenui oppositori di quel tipo di cucina, ritenuta limitativa, monotona e pure un po’ noiosa, dall’altro. Personalmente, ho spesso pensato che i cosiddetti “vegani”, in particolare i più fanatici, rappresentassero un segmento di consumatori tore in Nepal e in Oriente, bisnonno ed omonimo che, in virtù di considerazioni salutistiche o di aldi Franz, è ora condotto con passione e professiotre tipologie di problemi psicologici, rinunciavano nalità dallo stesso Franz con la sorella Silvia Koststupidamente ai grandi piaceri offerti dalle infininer, la quarta generazione di famiglia. Una grande te possibilità della cucina (tradizionale o creativa, storia, un grande passato, le cui tracce sono ben poco importa) e dalla interpretazione delle materie visibili nell’hotel che un tempo, prima di venire riprime che gli chef più professiolevato dai Kostner, era stato una nali e geniali sapevano e sanno stazione di posta: molte le fotomettere in atto. Non sanno cosa grafie, i quadri, gli oggetti dal sa“Ristabilire si perdono, ‘sti vegani, verrebpore antico sistemati con gusto l’equilibrio be da dire. Ma, dopo l’inconnegli spazi comuni della struttutro con Franz Kostner, una sera ra. Notevole la Nepal Stube, un psicofisico non della scora estate a Corvara, il vero e proprio omaggio alla vita può prescindere mio pensiero è cambiato. Attenavventurosa di Kostner. La sala zione, nessuna conversione ma, del Nepal dispone di una piccoda una corretta piuttosto, un’attenzione più ogla biblioteca a disposizione degli alimentazione, in una ospiti ed è l’anello di congiunziogettiva, un’osservazione meno diffidente e sospettosa verso logica di integrazione ne fra la struttura alberghiera e la questo tipo di alimentazione: nuova Wellness Farm, una spa di uomo-natura” l’incoraggiamento a scrollarprim’ordine che spesso rappresi di dosso prevenzioni e presenta la prima motivazione per giudizi verso la cucina vegana un soggiorno di qualità. L’atmoè arrivato proprio da Franz, straordinario e appassfera che si respira al Posta Zirm, le cui camere sosionato hotelier, rampollo di una grande famiglia no state recentemente ripensate all’insegna di uno di albergatori che, dal 1908, conduce attraverso stile “alpino-raffinato”, molto spaziose e caratterizle generazioni questa struttura, peraltro fondata zate da presenza importante di legno, è quella delcent’anni prima, nel 1808. Il Posta Zirm Hotel (www. la cultura e delle tradizioni sudtirolesi più autentipostazirm.com) è l’albergo “storico” dell’ Alta Val Bache, che i turisti amano e ricercano e che i “locali”, dia: aperto 109 anni fa da Franz Kostner, pioniere ovvero la gente del posto, desiderano continuare del turismo, alpinista di fama ma anche esploraa vivere nella loro pienezza. La ristorazione di tut-

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In questa pagina: l’esterno del magnifico Posta Zirm Hotel; nella pagina a fianco: Franz Kostner e l’ingresso dell’hotel.

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In questa pagina: a fianco, la mise en place del ristorante all’interno dell’hotel; nella pagina a fianco: alcuni ambienti della struttura quali la Spa, una delle camere e una suite.

Grande pizza alla Taverna Non è una contraddizione in termini, anzi: da una parte la ristorazione del posta Zirm offre cucina vegana, accanto ai tradizionali piatti ladini e tirolesi. Dall’altro, però, alla Taverna, il vivace ristorante accanto all’hotel, guidato dallo chef bellunese Sergio Lise, aperto alla clientela esterna, propone una selezione di pizze straordinarie, nate dall’idea e dall’esperienza di un grande professionista della pizza (scelto da Franz Kostner), il veneto (è di Rovigo) Mauro Rossi, che ha messo il proprio know how al servizio del locale. Figlio d’arte, essendo il padre un ottimo pasticcere, Mauro, cinquantenne, è da oltre 35 anni con le “mani in pasta”: ha partecipato a concorsi importanti e manifestazioni di valore, ha fatto esperienze a Salerno e in molte città del Sud, dove fare la pizza è un vero rito. “Dalla fine degli anni Ottanta faccio ricerca sulla materia prima, sulle farine, sugli ingredienti, sull’acqua, con l’obiettivo di realizzare una pizza di estrema leggerezza, destinata a risultare il più possibile digeribile” afferma orgoglioso Mauro, a cui va ascritto il merito di avere creato nel tempo un “polo” di riferimento per tutti gli amanti della pizza di qualità, oggi definita da molti “pizza gourmet”: impasto fragrante, farine macinate a pietra (Petra e Molino Quaglia), 72 ore lievitazione, materie prime fresche, forno a legna. Poche ed essenziali le regole per una buona pizza, così come desidera Franz Kostner che, anche qui, privilegia l’aspetto salutistico dell’offerta e che oggi, nonostante altre scelte di Mauro Rossi (che si è avvicinato a casa), si avvale ancora dell’impronta lasciata dal grande pizzaiolo.

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to l’Alto Adige e in particolare quella dell’Alta Badia, zona di lingua e cultura ladine, è un importante motivo di richiamo di una clientela alla ricerca di sapori genuini e di ingredienti legati al territorio e alle tradizioni (un prodotto per tutti: lo speck, o i canederli, o gli schlutzkrapfen). Inoltre, la presenza di importanti chef stellati sul territorio, a cominciare dal bistellato Norbert Niederkofler, ne fanno una meta gourmet dal valore più che invidiabile. Ma Franz Kostner, nonostante l’amore profondo che lo lega alla sua terra d’origine, ha pensato che, anche in cucina, il valore del concetto di benessere dovesse avere sempre il sopravvento e che l’importanza di una corretta alimentazione dovesse avere il coraggio, se necessario, di evolvere e di adeguarsi alle nuove necessità del consumatore di oggi . “Senza trasformare la nostra ristorazione in una fucina di ricette esageratamente salutistiche, senza gusto né sostanza, destinate a svolgere una funzione punitiva verso l’ospite. Tutt’altro: l’integrazione uomo-natura e uomo-ambiente –sulla quale abbiamo costruito tutta la nostra filosofia di ospitalità- non poteva non mettere al centro della nostra mission l’equazione serenità, benessere, equilibrio interiore. Perciò, anche nella linea di cucina della nostra offerta di ristorazione, abbiamo voluto trasmettere questi valori”, ci dice Franz Kostner. “Perciò, al Posta Zirm di Corvara va in scena ogni giorno anche un Menù Vegano, piacevole alternativa alle proposte più rigidamente caratterizzate da tradizione locale. La maggiore sfida oggi, continua Franz, è proprio quella di proporre un menù che proponga pietanze capaci di mantenere e


incrementare il piacere di sedersi a tavola senza appesantirsi, rispettando il proprio equilibrio interiore e fisico, ma senza togliere spazio alla soddisfazione del gusto. Spesso la cucina vegana viene a torto associata a un’alimentazione noiosa, monotona e povera di sapori. Sperimentando le nostre proposte, invece, si scoprirà un universo culinario fatto di gusto e di grande varietà di ingredienti e materie prime, tali da offrire ogni giorno menù diversi, fantasiosi, appetitosi e salutari”. La decisione di introdurre un Menù vegano nel ristorante dell’hotel, condotto dallo chef Edgard Pescolderung, che guida una brigata di otto persone, arricchisce e completa l’offerta dei programmi Detox e Benessere, proposti nella Wellness Farm. “Le motivazioni per le quali la dieta vegana sta riscuotendo successo spaziano dai principi etici a quelli filosofici, ci dice Franz Kostner: recenti pubblicazioni scientifiche indicano infatti una sorprendente correlazione fra l’assunzione di proteine animali e lo sviluppo di malattie cardiovascolari, tu-

morali e degenerative del sistema nervoso. Modificando l’alimentazione, si può fare un passo significativo nel campo della prevenzione”. Partendo da questi principi, il posta Zirm Hotel (unico in Alta Badia e primo in Alto Adige fin dal 2012) ha deciso di avere in carta un ricco e fantasioso Menù vegano di 5 portate, diverso di giorno in giorno. Nel contesto di un pranzo o di una cena si partirà con un ricco buffet di verdure in entrata; poi, spazio alle saporite Vellutate (di patate con olive taggiasche e olio extravergine di oliva novello, ai pomodori di Pachino con pesto al basilico fresco, tiepida al melone con olio al lime) e ai primi piatti di impronta gourmet: Paella allo zafferano in pistilli con peperoni piselli e coriandolo, Risotto Carnaroli ai mirtilli con dadolata di porcini freschi, Spaghetti di grano duro con verdure novelle, Rotoli di quinoa con fiori

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di montagna. Fra i secondi: Tortino di melanzane trifolate con formaggio vegano, Vermicelli con germogli di verdura in salsa alla soia, Polpette di lenticchie con verdurine su spinaci all’olio di oliva e purea di patate al kren (rafano). Ovviamente, il ristorante del Posta Zirm offre anche una eccellente linea di cucina di impronta sia ladina che altoatesina, entrambe caratterizzate da una selezione di piatti molto inetressanti sotto l’aspetto gustativo. Ma la linea di sviluppo dell’offerta dell’hotel sarà sempre più orientata alla soddisfazione totale di una domanda di benessere –in grande crescita- da parte della clientela, sempre più sfaccettata ma alla ricerca di autenticità assoluta, oltre che di sicurezza totale sotto l’aspetto saluitistico.•


Una presenza ancora più forte e una penetrazione più capillare: Artù è nelle VIP Lounge degli aeroporti di Malpensa, Linate, Bologna, Napoli, Firenze, Verona, Venezia; nell’esclusiva location milanese Clubhouse Brera e nelle edicole Hudson News degli aeroporti di Malpensa, Linate e Stazione Centrale di Milano.

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Focus food

Royal Welsh Show, l’anima di una nazione di Sebastiano Graziani

L’export del Welsh Lamb in crescita nell’epoca della Brexit. Al Royal Welsh Show con l’Ente Hibu Cig Cymru, per discutere dei risultati ottenuti e delle prossime sfide. Anche nel 2017, come ogni anno, tra il 24 e il 27 luglio si è svolto il Royal Welsh Show, una delle più grandi fiere agricole in Europa, ma è limitativo definirlo in tal modo. Non è solo una fiera ma un appuntamento ben radicato nella società e nella cultura gallese. Si svolge a Builth Wells nel Powys, nel cuore geografico del Galles ed è in grado di riunire allevatori da tutta la Nazione. Il bestiame è certamente il centro dell’iniziativa, come è dimostrato dai concorsi nel quale si confrontano i diversi

Un primo piano di Jeff Martin, responsabile Italia dell’Ente HCC.

capi tirati a lucido, ma è ben più di una fiera di settore dalla sola valenza economica. È un evento nel quale si esprime il legame tra un’attività, quella dell’allevamento, e il suo territorio e le persone che vi vivono. Un’occasione per conoscere i protagonisti, spesso giovanissimi, di questo settore che ancora trasmette il meglio del Galles nel mondo. Hibu Cig Cymru (HCC), l’Ente responsabile per lo sviluppo e la promozione delle carni rosse provenienti dal Galles, non poteva mancare a questo appuntamento che ha riunito gli stessi allevatori con cui collabora. Al Royal Welsh Show si pone l’attenzione proprio su quella filiera che, da anni, è orgogliosamente legata alla tradizione e che è al centro dell’attività di HCC. Quest’ultimo opera allo scopo di far conoscere le carni gallesi e, insieme agli stessi allevatori, a lavorare per mantenere

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competitiva e presente nel mercato nazionale ed estero questa tradizione di eccellenza. L’Ente, come il Royal Welsh Show, ha un forte legame con l’attività e con le persone che quotidianamente portano avanti il settore agricolo del Galles. La sua forza si basa sull’esperienza di chi vive il comparto agricolo gallese giorno per giorno. Il Galles è uno dei più grandi produttori di carne di agnello d’Europa, un censimento del 2016 conta quasi 10 milioni di ovini. In tutto il Galles, un territorio di circa 20.000 km quadrati, ci sono circa 14.000 allevamenti, con una media di 700 capi ovini a fattoria. Per HCC il Royal Welsh Show ha inizio con una colazione a base di agnello – costine, salsiccia e spiedini – durante la quale ci si riunisce ad ascoltare il tradizionale discorso del Presidente. È sempre un momento molto sentito, ma in quest’e-


dizione ancor più importante. Rappresenta, infatti, il debutto di Kevin Roberts alla guida di Hibu Cig Cymru, il quale dovrà affrontare l’attuale situazione delicata per l’export britannico dovuta alla Brexit. Nelle sue parole si espongono chiaramente i risultati ottenuti dell’Ente nel corso del 2017, ma anche le sfide dei prossimi mesi. Prima fra tutte, l’uscita dal mercato comunitario che appare sempre più concreta. Il 2017 è stato positivo per l’esportazione di agnello gallese. È il risultato del duro lavoro che da anni Hibu Cig Cymru compie nella promozione di un prodotto di alto livello e di una filiera tanto radicata in Galles, ma anche la conseguenza della particolare congiuntura politica ed economica che stiamo vivendo. Secondo l’analisi dell’HMRC (Her Majesty Revenue and Customs), il dipartimento responsabile per la riscossione delle imposte, nella

prima metà del 2017 si è assistito a un incremento di consumi di agnello britannico. Lo studio ha evidenziato come, rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente, il volume di carne ovina importata nel Regno Unito, soprattutto dalla Nuova Zelanda, sia calato del 15%, privilegiando il consumo di agnello allevato in UK. Contemporaneamente l’esportazione di agnello britannico, nel quale il brand Welsh Lamb IGP rappresenta un terzo dell’intero volume, è cresciuto del 25% sino a raggiungere la quota di 177.3 milioni di sterline. “La grande notizia sono però i dati più che positivi

che arrivano dall’export: accanto a una crescita in paesi come Hong Kong, l’impennata arriva dall’Europa, dove i mercati-chiave come Francia, Belgio e Germania continuano a crescere” le parole di Kevin Roberts evidenziano l’importanza dei mercati europei. HCC è pronta per la sfida con nuovi mercati come gli Stati Uniti, ma al momento il 90% delle nostre esportazioni è verso l’Europa. Questi numeri rappresentano un successo per gli allevatori gallesi, che hanno bisogno di un equo accesso ai mercati europei per continuare su questa strada anche

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dopo la Brexit nel marzo 2019”. Un’affermazione del Presidente Roberts da cui emerge l’intenzione di sottoporre a Londra la necessità per il Galles di rimanere nel mercato comunitario. Comprensibilmente la situazione politica internazionale desta molta preoccupazione, ma è anche una situazione che nel breve termine favorisce la presenza di agnello gallese nei mercati internazionali. HCC Meat Promotion Wales, l’Ente per la promozione delle carni rosse gallesi, indica, infatti, che la crescita osservata è da attribuirsi alla sterlina debole che ha reso più facile l’accesso ai mercati stranieri interessati a prodotti ‘premium’, proprio come il Welsh Lamb. Il mercato italiano è per le carni ovine un mercato particolare; nel nostro Paese il consumo della carne d’agnello non è mai stato elevato e ha grandi margini di crescita, tuttavia nell’ultimo anno il consumo di Welsh Lamb è lievemente aumentato. “Nonostante questa situazione difficile, le carni ovine gallesi continuano a mantenere la quota di mercato, ciò significa che il Welsh Lamb IGP è definitivamente entrato nella spesa degli italiani”. Asserisce Jeff Martin, responsabile Italia dell’Ente HCC. Il consumatore italiano è un consumatore attento alla qualità e, nel caso della carne, alla provenienza; quello che a cui si sta assistendo nel mercato italiano è anche l’affermazione di un brand, quello dell’Agnello Gallese IGP. Un brand sinonimo di qualità che va incontro alle esigenze del ristoratore e del consumatore italiano, il quale preferisce consumare meno carne, ma selezionata per le sicure qualità organolettiche..•


Accueil In questa pagina: il vigneto immerso nella Baia di Ocoa nell’isola di Santo Domingo; nella pagina a fianco: il cuoco del ristorante Dos Mundos, Martin Omar Gonzales, una bottiglia di French Colombard, prodotto da Ocoa Wines.

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Ocoa Bay Visita in cantina di Gualtiero Spotti

La Repubblica Dominicana non è solo una grande meta turistica, caratterizzata da spiagge da favola. Siamo abituati a conoscere la Repubblica Dominicana per le spiagge e le aree turistiche più celebrate come Punta Cana, Bavaro e La Romana (nella regione sud-est dell’isola), oppure per la penisola di Samanà situata sul versante nord. Oltre ovviamente a quelle sempre a portata di gita dalla capitale Santo Domingo, ovvero Boca Chica e Juan Dolio, che si raggiungono in macchina nel giro di mezz’ora. In realtà chi cerca un po’ di avventura e vuole conoscere il lato più genuino dell’isola caraibica dovrebbe muovere la sua attenzione verso il territorio occidentale del Paese, quello che porta quasi ai confini con la Repubblica di Haiti. I motivi di interesse qui sono molteplici, a partire dalla bellezza dei luoghi e dalle spiagge, che non hanno nulla da invidiare a quelle più celebrate già citate. Anzi, proprio in quest’area, che è meno frequentata

e più selvaggia, si vive l’esperienza del vero Caribe, in una full immersion naturalistica e molto green. Prima però ci si può fermare a Ocoa Bay, che è di strada, per provare l’esperienza inusuale di visitare l’unica cantina di un certo rilievo a queste latitudini, con un progetto interessante che negli ultimi anni ha portato a piantare diversi vitigni e a condurre una sperimentazione tutt’ora in corso su quali siano le uve più adatte per il clima locale. I risultati hanno poi detto che poteva essere interessante partire dalla lavorazione su tre varietà, French Colombard, Tempranillo e Moscato Rosa (con vini dove l’elemento fruttato in bocca è molto persistente), ma il progetto è ben più articolato e non è solo legato alla produzione vinicola, così Ocoa Bay (www.ocoabay.com) è destinato a diventare un eco resort di lusso, capace di coniugare sostenibilità, wellness, e perfino la cucina con il supporto dell’italiano Franco Bianchimani in cucina, che da anni vive a Santo Domingo. Riprendendo la strada della costa e sutedrale, fino a Piazza di Spagna dove invece si troperando microvillaggi e punti di ristoro improvvisati va una fila ininterrotta di locali notturni e ristoranti. è facile lasciarsi tentare dalle spiagge di Saladilla, Ma il cuore pulsante della città rimane il dedalo di San Rafale o Los Patos, ma la sorpresa vera e proviuzze della cittadella, dove ci si può togliere anche pria giunge vicino al confine di Haiti e attraversando qualche sfizio gastronomico. Magari al ristorante il Parco Nazionale Jaragua. Qui, con accesso da una Dos Mundos, ospitato all’interno dell’Hotel Hodelstrada sterrata si giunge a un glam camping di tende pa Nicolas De Ovando (www.hodelpanicolasdeolussuose, da veri e propri Vip, allestito davanti al mavando.com), dove il cuoco Martin Omar Gonzales re, con ristorante e possibilità di escursioni in barca esplora nel suo menù la scoperta delle Americhe e alla vicina Baia de las Aguilas, le commistioni con il continente per un tuffo nell’acqua cristallieuropeo; dove la zuppa di cocco na (www.ecodelmar.com). Non incontra il branzino del Mediter“Qui si dopo aver messo i piedi nella raneo, oppure i Carciofi arrosto e possono anche sabbia e aver gustato un piatto l’aringa del mar Baltico si sposadel pescato locale. Se la Costa no con una marinatura del pepe scoprire attività Ovest offre scorci di grande efgiamaicano. La sua “cocina con imprenditoriali nel fetto e la semplicità e l’istintiva historia” è un bell’esempio delle simpatia della popolazione dosettore vitivinivicolo, infinite opportunità offerte da un minicana, è difficile pensare di Paese che, soprattutto quando destinate a stupire e si parla di frutta, mette in campo non trascorrere qualche giorno visitando la capitale. Santo Doprelibatezze come mango, paincuriosire” mingo offre infatti una cittadelpaya, guava e prodotti dai sapori la coloniale con molte attrattiesotici, ma dove ci si può diverve turistiche anche culturali, che tire anche con l’ottimo cacao, il vanno dall’Alcazar de Colòn (un palazzo storico che rum o la frutta secca, a partire dalle squisite noci di offre una vasta collezione di opere d’arte europea macadamia. Meno impegnativa e più abbordabile è tardo medievale e rinascimentale) alla grande Catla proposta del ristorante Buche Perico (in Calle El

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In questa pagina: sopra, la sala del ristorante Dos Mundos; a fianco: la suggestiva Plaza España; la birreria Cultura Cervecera; e il ristorante circondato dal verde Buche Perico.

Conde 53), magari per un ceviche, un tiradito, per i dolcissimi ravioli di platano (accompagnati da un ragù di capra cotto per quattro ore a bassa temperatura) o un arroz con leche. Tutti piatti che raccontano l’idea di una cucina dominicana contemporanea che possa attirare l’attenzione dei locali, ma anche dei turisti curiosi in giro per la città coloniale. Infine, anche da queste parti è giunta come un’onda inarrestabile l’esplosione delle birrerie artigianali, così a far da contraltare alla classica “bionda” El Presidente sono giunte nuove Porter, Oatmeal Stout e Lager. Il luogo giusto per una full immersion birrofila rimane la birreria con cucina Cultura Cervecera, nella Calle Arzobispo Merino, per degustare l’Indian Pale Ale Tina Bazooka. •

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Divina Creazione n.32

Bauletti con friarielli ®

e “Caciocavallo Silano DOP” di Alessandro Coresi e Michele Bartolucci

ii edizione

Divine Creazioni è un marchio Surgital - L’italiana preferita dallo chef. Surgital S.p.A. - Lavezzola (RA) - Emilia-Romagna - Italia - +39 0545 80328 www.surgital.it - surgital@surgital.it - n.v. 800-733525

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vincitori della seconda edizione del


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Turin Palace Hotel Dolce dormire a Torino di Emanuela Stìfano

Il celebre hotel propone un’esperienza tesa a favorire il miglior riposo. Non solo camere appositamente studiate, ma anche sedute SPA e cene gourmet al Les Petites Madeleines. Al Turin Palace Hotel, luogo simbolo di Torino nonché protagonista delle trasformazioni della città e dei suoi cambiamenti nel segno della cultura, della politica e dello spettacolo, si celebra il sonno. Sì, perché un riposo di qualità – lo dicono anche gli esperti - migliora il valore dei comportamenti cognitivi, dà scacco all’invecchiamento della pelle e dei capelli, favorisce la rigenerazione muscolare e diminuisce il rischio di gravi patologie. Così, al Turin Palace, la camera n.403 è stata appositamente allestita per favorire il riposo degli ospiti. A cominciare dal letto, dotato del materasso Elite Constellation di Simmons ad altezza maggiorata che, grazie a un topper realizzato con innovative imbottiture ad elevata elasticità, rappresenta la soluzione al riposo. Non solo: le lenzuola di puro lino bianco, un “onirico” copriletto ricamato a stelle e pianeti di Centrotavola Milano, un piu“Lenzuola di lino, mone in 100% Oca Siberiana, materassi particolari, un menù cuscini, una selezione di tisane rilassanti, una play menu cuscini, tisane, list musicale mirata a stimolamusica e libri. E il re la distensione e selezionadi calma profonda, benessere e ti libri di racconti della buona sonno è assicurato.” tranquillità psicofisica stimolannotte, completano il tutto. Ma do il sistema nervoso in manieprima di immergersi nel magira naturale. Agendo sui meridiani co mondo dei sogni, è d’obbligo collegati con il ritmo sonno/veun passaggio alla SPA dell’Hoglia, il massaggio assicura una tel, che propone Joyful sleeping di Dolomitic Water, buona ossigenazione dei tessuti attraverso esercizi ossia uno specifico trattamento olistico che coindi respirazione profonda funzionali alla produzione volge in profondità i sensi, inducendo uno stato di endorfine; stimola lo sblocco del sistema linfati-

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co e rilassa progressivamente tutti i gruppi muscolari del corpo regolarizzando i flussi energetici così da migliorare la qualità del riposo. Contemporaneamente l’utilizzo di una miscela di oli essenziali (Lavanda, Ginepro, Pino Mugo, Rosa, Camomilla, Melissa) consente di alleviare la sensazione di tensione generata dallo stress regalando una piacevole sensazione di calma. Ad assicurarla anche tisane a base di Passiflora, Melissa, Verbena, Tiglio, Malva e


Nella pagina a fianco: l’angolo relax ovvero la SPA messa a disposizione dall’hotel; in questa pagina: una delle camere del Turin Palace; Fusilli cotti in brodo di camomilla.

Finocchio da sorseggiare a temperatura ambiente. Ovviamente, non si dovrebbe mai sottovalutare il ruolo dell’alimentazione nelle dinamiche del sonno. Ecco perché, sulla base di indicazioni nutrizionali specifiche, la Carta de Les Petites Madeleines suggerisce alcune proposte gourmet nel segno della leggerezza ideali per la “buona notte”. Tra le altre, “Il Bianco e il Nero di seppia”, i “Fusilli cotti in brodo di camomilla, aglio nero, guancia di pescatrice al dragoncello” e il “Merluzzo, thè kombucha, bergamotto”. Il buon riposo è così servito. La regola del buon riposo proposta dal Turin Palace Hotel viene adottata anche dalla camera 63 dell’Hotel Spadari al Duomo di Milano (sempre di proprietà della famiglia Marzot) dove, ad accogliere l’ospite, sono un materasso relaxing, un menù cuscini articolato in diverse proposte per assicurare il massimo comfort, un set di tisane rilassanti e una serie di Sali di bagno per favorire la distensione. •

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Castel Monastero, resort con (molta) anima di Gualtiero Spotti

Tutto il fascino della Toscana più iconica, destinato a una clientela innamorata dei paesaggi, della tranquillità e del relax. Inaugurato sei anni fa circa, Castel Monastero (www.castelmonastero.com) rappresenta bene lo spirito del classico resort toscano. L’area è quella di grande fascino vicina alle Crete Senesi e l’ambiente è circondato dall’iconografia ben conosciuta di questo angolo d’Italia, tra cipressi slanciati, filari di uva e panorami mozzafiato, senza dimenticare la Storia con la esse maiuscola, visto che qui ci si trova immersi in un borgo medievale dell’XI Secolo. E che già dal nome racconta del suo glorioso passato, fatto di frequentazioni religiose ma anche nobiliari visto che negli antichi palazzi ha preso dimoculturale nella vicina Siena e un massaggio tonifira nei secoli anche la famiglia Chigi Saracini. Oggi cante. Certo, poi c’è l’aspetto gastronomico, e qui però tutta la cittadella è diventata un resort di preè facile sbizzarrirsi, visto che i ristoranti sono ben stigio affiliato ai Leading Hotels due, la Cantina e la Contrada. of The World, con una bella Spa, Ma una premessa è d’obbligo. piscine open air, campo da tenCastel Monastero sin dalla sua “Il richiamo nis, percorso remise en forme e apertura si è affidato alla cuenogastronomico, due ristoranti, oltre a 72 camecina di una star internazionale, re e suite cui si aggiungono alGordon Ramsay, che ha catainsieme a una cune ville che danno vita a un lizzato l’attenzione dei media e linea di cucina luogo perfetto per il relax in stidei curiosi, attirati dalla fama di le toscano, dove si mantiene un un personaggio noto per lea sua superlativa, divisa contatto stretto con la natura e spiccata personalità e per i suoi fra due ristoranti, è la vita un po’ rurale delle diverprogrammi televisivi presenti sui se aziende agricole non troppo un elemento di punta canali di mezzo mondo. Il cuoco distanti. Non c’è da stupirsi che di origini scozzesi in realtà si è nell’offerta della Castel Monastero per queste ramostrato poche volte tra le colgioni sia scelto regolarmente da line senesi, pur amando profonstruttura” una clientela di turisti, per lo più damente la Toscana, e se la sua d’oltreoceano, appassionati delfirma appare ben distinta all’inla Toscana, che sanno godere del gresso del ristorante Contrada bello che li circonda ma cui piace anche prendersi è anche vero che è difficile incontrarlo da queste del tempo per vivere il Dolce far niente, e la vacanza parti. La stessa cucina se volgiamo è più figlia deldisimpegnata tra lente passeggiate, qualche visita le scelte del cuoco executive che regge le sorti del

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ristorante, il giovane ventottenne di origini greche Stylianos Sakalis, che non del carismatico Ramsay. Ma andiamo per ordine. Il ristorante che si preoccupa di far mangiare gli ospiti del resort quotidianamente è la Cantina, ospitata in un grande stanza duecentesca che nel Sedicesimo Secolo fungeva, appunto, da cantina di produzione del Chianti per la famiglia nobiliare dei Chigi Saracini e che oggi è diventata la sala per degustare un mix di sapori tipicamente italiani e in buona parte anche toscani. Certo, ci sono i Pici fatti in casa, al cacio e pepe, la classica panzanella, la Pappa al pomodoro e le grandi carni toscane, ma anche qualche preparazione che può stuzzicare la clientela internazionale, dalle Ali di pollo marinate al Vitello tonnato, dal Filetto di tonno al sesamo ai dolci di buon senso, come il Tiramisù, i Cantucci con Vin Santo e la Millefoglie. E’ chiaramente un ristorante più informale e anche la chiave d’accesso più semplice verso la cucina del Buon Paese che l’ospite straniero vuole sempre avere a portata di mano: con piatti semplici, ben curati, porzioni abbondanti e quasi nessuna complicazione intellettuale da foodies in vacanza. Un po’ diverso è invece l’approccio al Contrada, la


Nella pagina a fianco: lo chef Stylianos Sakalis; in questa pagina: il resort Castel Monastero.

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Accueil In questa pagina: a fianco, le scale che portano all’ingresso del ristorante La Cantina; l’angolo Spa con la sua splendida piscina; sotto; la sala del ristorante Contrada e quella de La Cantina.

sala più gourmand dove Stylianos ci mette del suo, dall’alto di un talento (forse in parte inespresso) che si è mostrato negli anni passando dalle intuizioni gastronomiche legate alla propria terra d’origine ai dettagli sofisticati figli della frequentazione di cucine importanti, come quella londinese del Fat Duck di Heston Blumenthal. Seduti al tavoili (i coperti non sono molti, giusto una trentina), si può scegliere tra diversi percorsi, tra cui quello di degustazione dei classici della casa (ci sono i ravioli all’aglione, ma con all’interno un pecorino liquido…) e un menu Carta Bianca di sei portate, dove il cuoco ama raccontarsi a mano libera. E poi c’è la carta, con piatti non banali che passano dai Gamberi rossi di Mazara con avocado, agrumi e retsina (altra reminiscenza greca), ai Cannelloni di osso buco con finocchio, arance e ouzo (di nuovo il mondo ellenico), dal Granchio con bulgur, caviale e jus di mare agli Gnocchi di sedano con ragù di lenticchie, animelle e funghi. Tutti piatti piuttosto originali che rivelano anche la passione per le acidità, per le commistioni culturali che superano gli schemi e raccontano quasi sempre il Mediterraneo nelle sue diverse culture gastronomiche. Estremamente divertente anche la carta dei sei dolci, alcuni dei quali realizzati in chiave artistica dal bravo pastry chef Gabriele Vannucci e dove si passa dal Lucio Fontana (Mela verde di Valdichiana con yuzu, lycee, pasta fillo) al Mondrian (gianduia, limone e arancio), fino all’Andy Warhol con cioccolato bianco, mango e banana, che riporta alla mente la celebre coperta di un disco dei Velvet Underground. Infine, se il percorso di degustazione vi sembra impegnativo, concedetevi senza esitazioni del tempo approfittando degli ottimi trattamenti proposti dalla Spa. In carta ci sono in questo caso programmi detox, percorsi anti-age e l’ottimo Massaggio Marma che stimola i punti vitali del corpo regolarizzando il processo digestivo e portando al miglioramento dell’armonia energetica del corpo e della mente. •

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Equipment

Mixology, cocktail perfetto di Virginia Zacchetti

Calici, bicchieri e decanter che nascono da un mix perfetto: il know how della storica vetreria di Parma e le necessità professionali di un giovane barman. Luigi Bormioli e Yuri Gemini hanno dato vita a Mixology, la collezione di Barware e Cocktail making equipment che mette insieme, con profitto, due esperienze diverse. Da un lato, quella dell’Head Barman del Surfer’s Den di Milano, che in Mixology ha messo tutta la sua creatività; dall’altro quella della vetreria Bormioli, che da sempre è dedita all’innovazione tecnologica. Basti pensare alla consueta precisione tecnica che contraddistingue i prodotti Bormioli e alla scrupolosa attenzione nel ricercare dettagli e materiali. Come il vetro sonoro superiore SON.hyx, high tech e senza piombo, oppure quello SPARKX, caratterizzato da trasparenza e brillantezza sorprendenti. “La mixology richiede attenzione a diversi aspetti di cui il drink è solo

La collezione è

una parte – ha commentato Yueleganti calici e di un ricercato ri Gemini -. La preparazione del decanter, tutti caratterizzati da caratterizzata da cocktail avviene sotto gli occhi linee ricercate e piacevolmente linee ricercate e del cliente, quindi gli strumenrétro, che strizzano l’occhio al ti sono importanti quanto l’apiacevolmente rétro, primo Novecento. Da sottolinebilità del barman per creare un che gli ultimi nati riprendoche strizzano l’occhio are, momento di magia. Servire poi no in modo ancor più marcato il cocktail in un bel bicchiere, al primo Novecento. le suggestive forme e linee d’anche lo rende prezioso, completa tan che contraddistinguono dal’opera”. “Proprio qui Bormioli sh bottle, bitter bottle e mixing Luigi ed io ci incontriamo – ha glass. Si tratta, in particolare, di proseguito -. Tutte le volte che servo un drink in un un bicchiere Double Old Fashioned e un bicchiere bicchiere Luigi Bormioli, sia io, sia i miei clienti, goHi-Ball proposti in triplice versione, decorati da aldiamo di una brillantezza e di un design superiori. trettanti diversi motivi; tre originali calici da cocktail, Quello che mancava era una linea di attrezzature Martini e Spritz contraddistinti da un particolare che valorizzasse il lavoro del barman”. Da queste motivo intagliato sulla coppa; un calice dedicato premesse è nata dunque questa interessante colallo Spanish Gin Tonic; e, infine, uno scenografico lezione, in cui trovano ragion d’essere tre tipi di dadecanter dal prezioso motivo diamantato, con tapsh bottle, destinati al dosaggio di gocce di bitter e po in vetro. A suggellare la preziosa collaboraziosostanze aromatizzanti, tre bitter bottle di diverse ne tra Bormioli e Yuri Gemini, all’ultima edizione di capacità e un pratico mixing glass, perfettamente Host l’estroso barman ha celebrato i nuovi prodotti combinabili con un’ampia scelta di bicchieri (DouMixology preparando due cocktail inediti: Golden ble Old Fashioned, Hi-Ball, Shots) e calici (Martini Tie, con zafferano, servito nel bicchiere Hi-Ball Elixir, e Cocktail). E proprio in tema di bicchieri, va detto e Hakuna Matata, a base di Pimm’s, proposto nella che recentemente la linea si è arricchita anche di coppa Martini. •

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Yuri Gemini, Head Barman del Surfer’s Den di Milano

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Focus wine

Il vino secondo Iyo di Maurizio Bertera

avere i Tre Mappamondi del Gambero Rosso. Il definitivo salto di qualità per Iyo è stato l’ingaggio del Un professionista del calibro milanese Matteo Ghiringhelli come direttore di sala e chef sommelier. Un fuoriclasse, appena trentenne, di Matteo Ghiringhelli già miglior sommelier italiano nel 2010 e tante ha sviluppato una cantina esperienze fra l’Italia e la Francia. E’ lui, con l’aiuto di Danilo Tacconi, a gestire una cantina di 5mila “multietnica” di altissimo bottiglie circa con 630 referenze di cui 250 ‘bollilivello. cine’ che piacciono tantissimo a chi frequenta Iyo e Lo sviluppo della miglior cucina etnica in Italia ha in definitiva sono la soluzione più semplice – anche portato – lentamente ma inesorabilmente – a un se non sempre corretta – su piatti dai gusti spesso miglioramento delle cantine nei ristoranti di riferiinediti. Italia e Francia dominano logicamente la mento. Da una semplice proposta di birre tricolori scena, ma sono ben rappresentate anche le altre o d’importazione e qualche vino nazioni vinicole: Austria, Germatra i più diffusi si è passati a nia, Spagna, Stati Uniti, Austraun’offerta più articolata che nel lia, Nuova Zelanda, Sudafrica, “Il ristorante caso dei locali top ha preso le Argentina… Per un totale di 15 giapponese di vesti di carte ampie e intellibandierine: è un piacere scorregenti. La crescita maggiore si è re la carta dei vini, naturalmente Claudio Liu, deve registrata nei ristoranti orientali, perfetta per comprensione e sapersi distinguere con i giapponesi in prima fila lucidità. Ci sono ancora le birre potendo contare su una buona le chiede, niente di anche per un’offerta (qualcuno clientela e una cucina già raffistrano) e una bella selezione beverage di valenza nata in partenza. Ecco perché di saké. “Ne abbiamo 25, lo non potevamo che andare da trovo un mondo interessante, internazionale” Iyo per tracciare un quadro del molto curato, che sto studiando fenomeno: il ristorante milanese intensamente – spiega Ghirindi Claudio Liu – grande patron ghelli – ed è giusto che un locale e amante del buon bere– ha una cantina di livello come il nostro le tenga in dovuta considerazione, assoluto, cresciuta di pari passo con la fama dei almeno quanto i vini migliori. Abbiamo un pubblico piatti. Quella che ha portato il locale a essere il che pretende l’abbinamento giusto ma al tempo primo stellato Michelin con cucina etnica nonché ad stesso è curioso di novità”. Va sottolineato che Iyo,

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dal 2006 – anno di apertura – a oggi ha cambiato natura dei piatti: da una visione cino-giapponese si è passati prima a una creativa giapponese, poi a una fusion (con elementi italiani) e attualmente a una cucina all around the world come richiama il nome stesso del locale che significa ‘mondo fluttuante’. Ferma restando la tecnica del Sol Levante – sul sushi e la parte fredda, in primis – non ci sono barriere culinarie e si pesca il meglio da ogni Paese. “Questo ci rende la vita difficile ma al tempo ci esalta – racconta lo chef sommelier – perché si tratta di una cucina spesso composta da elementi in contrasto assoluto. Sbagliare il vino è più facile che colpire nel segno: non è un caso che i giapponesi puntino molto sul saké, bevanda nata per esaltare


In questa pagina: il direttore di sala nonché chef sommelier Matteo Ghiringhelli; nella pagina a fianco: l’esterno e l’elegante sala interna dell’Iyo.

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In questa pagina: la cantinetta dei vini; due scorci della sala del ristorante; il sommelier Danilo Tacconi con Matteo Ghiringhelli.

il gusto del cibo e non per accompagnarlo”. Detto questo, andiamo in ordine sparso. Cosa bere con il sushi? “Vini freschi, puri: una Ribolla, una Malvasia istriana, un Verdicchio ma anche una Falanghina di costa. Per provare emozioni nuove, un Pinot Nero e un Sangiovese giovane sono interessanti”. Il sashimi? “In questo caso, visto che si tratta di pesce crudo in purezza, niente di meglio che il saké”. E il ramen che va tanto di moda? “Ecco, questo è il caso tipico di un piatto che mette insieme tanti elementi. Io ragionerei su quello prevalente: se è un ramen ‘leggero’ abbinerei un bianco piacevole, se c’è l’uovo sempre un bianco ma di medio corpo e ancora se la carne è importante si può virare su un rosso, comunque non invecchiato”. La cucina cinese, a parte alcune specialità, è impostata su due grandi filoni, quella al vapore e quella fritta. Ghiringhelli

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ha le idee chiare sul tema. “Un Franciacorta o uno Champagne sono eccellenti per la sequenza dei dim sum, che contemplano le cotture più diverse. Per i piatti di pesce, vedo bene Riesling e Sauvignon mentre la carne trova un buon abbinamento con i Nebiolo e i Montepulciano”. Detto che la cucina argentina – amata dai carnivori - è la più facile da gestire (“Hanno dei rossi di valore assoluto, conviene scoprirli proprio in occasioni del genere” sottolinea Matteo), non bisogna per forza scegliere un vino quando si gustano piatti particolari. “Per esempio, trovo che la cucina indiana, spesso speziatissima, come quelle coreana e vietnamita siano più adatte alla birra a meno che non vengano interpretate in chiave europea. La tex-mex o quella messicana d’autore si prestano anche ai cocktail”. E l’emergente peruviana? “Il piatto principe, il ceviche, ha una forte acidità che non va aumentata – continua Ghiringhelli – quindi meglio una bollicina ‘rotonda’ o anche un bianco siciliano, ma non troppo strutturato. Non trovo sbagliato gustarlo con un cocktail a base di Pisco”. Chiudiamo con la cucina nordica? “Ideale un buon Riesling austriaco, con tanta mineralità per i piatti a forte acidità mentre se nella ricetta ci sono elementi dolci, ecco che un vino aromatico viene in soccorso”. Abbiamo preso nota di tutto, fermo restando che mai come in questo caso – sull’abbinamento tra cucina etnica e vino non esiste ancora una poderosa bibliografia – vale la pena ricordare l’ammonimento dell’immenso Luis Veronelli, ispirato al proverbio veneto la miglior regola è non andare dietro alla regola.•


Prestige R se Edition Freschezza e purezza. Classe e stile. La raffinatezza della nuova San Benedetto Prestige Rose Edition sboccia nel mondo della ristorazione.


Focus wine

Paratus, il nuovo Sauvignon di Ritterhof di Virginia Zacchetti

E’ il frutto di una lunga macerazione e di un altrettanto lungo affinamento in bottiglia. La Tenuta Ritterhof di Caldaro, proprietà della famiglia Roner di Termeno, ha presentato il nuovo Sauvignon Paratus, arricchendo così la sua cantina di un’importante etichetta. Il Sauvignon Paratus è inSauvignon Paratus è fatti parte della pregiata linea Collis, che racchiude parte della pregiata una serie di vini seleziolinea Collis, ottenuta nati, ottenuti dall’uva accuratamente lavorata dei dalle migliore uve di filari migliori. In particolare, Tenuta Ritterhof. Sauvignon Paratus è prodotto con uve ben mature provenienti dalle aree del comune di Montana in Bassa Atesina e da quello di Renon (BZ); dopo una lunga macerazione, segue un

La tenuta Circondata da vigneti e da pendici montane, Tenuta Ritterhof sorge a Caldaro, località famosa per dar vita a ottimi vini, e precisamente al n. 1 della Strada del Vino. Questa piccola cantina, proprietà della famiglia Roner di Termeno, è gestita con grande passione e attenzione alla qualità dall‘enologo Bernard Hannes e dall‘amministratore Kaneppele Ludwig. La produzione di fruttati vini bianchi e eleganti vini rossi, è il risultato del mix ben riuscito tra tradizioni tramandate da generazione in generazione, l’armonia con la natura e le tecnologie vinicole più moderne. Il microclima quasi mediterraneo e una notevole qualità e ricchezza dei terreni, fanno il resto. Nei 7,5 ettari di vigneti propri, ai quali si aggiungono altri 28 ettari di vigneti di produttori conferitori, sono infatti presenti molte tipologie di suolo diverse: terreni ciottolosi, argillosi, terreni ripidi, pendici e anche terreni sabbiosi sciolti e facilmente riscaldabili. Questa ricchezza permette la perfetta armonia tra vitigno e sistema di allevamento: sono infatti presenti sia la pergola tradizionale, sia il sistema a guyot.

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altrettanto lungo periodo di affinamento in bottiglia. Il risultato di questo processo, è un vino dal gusto pieno e aromatico, capace di esprimere, al meglio, l’interazione tra vitigno, tipologie di terreno e microclima: un intreccio che gli conferisce un carattere espressivo, tipico e complesso. Per via degli intensi profumi vegetali che si mescolano con quelli più dolci e fruttati, profumi in grado di richiamare alla memoria gustativa i fiori di sambuco e l’uva spina, il Sauvignon Paratus è un vino versatile, che si presta molto bene ad accompagnare sia i cibi delicati, come il pesce o le verdure, sia i cibi più saporiti, un esempio per tutti un gustoso risotto. Non solo: la sua delicata acidità lo rende ideale anche per gli aperitivi e per i brindisi.•


La qualità del gelato Sammontana da oggi in versione cremosa. Fresca, vellutata, sfiziosa: queste sono le caratteristiche di Nettare di Gelato. Un modo diverso per degustare un ottimo gelato che ha tutta la qualità Sammontana. Un’occasione in più per sollecitare i desideri dei vostri clienti. Disponibile in quattro gusti: Caffè Ecuador, Limone di Sicilia, Cacao e Yogurt. Semplice da preparare grazie all’esclusiva ed elegante sorbettiera.

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Focus wine

Caino e Monteverro storia di grandi affinità di Emanuela Stìfano

Tre piatti del bistellato toscano incontrano tre vini della cantina maremmana. Il risultato è un connubio perfetto. Era il 1971 quando Angela e Carisio, detto Caino, aprono qualcosa di simile a quella che oggi definiremmo senza troppi indugi una buona enoteca. Si tratta di una rivendita di vino, dove degustare vini spiluccando qualcosa, salumi, formaggi, piatti freddi. Negli Anni 80, con Maurizio Menichetti e sua moglie Valeria, ossia con la seconda generazione, il cambio di passo: da locale senza troppe pretese, Caino Montemerano entra a pieno titolo nel panorama dell’alta ristorazione, tanto che nel 1991 conquista la prima stella Michelin. Otto anni dopo, nel 1999, arriva la seconda. Merito anche di una carta di vini che conta 1879 etichette per un totale di 20mila bottiglie conservate nella preziosa cantina. Andrea Menichetti, direttore di sala e In questa pagina: Sopra, l’elegante sala del ristorante Caino Montemerano; a fianco, Piccione con Uva Fragola e Champagne in abbinamento con un Monteverro 2010; nella pagina a fianco: Pici essenza di amatriciana diversa servito con un Chardonnay di Monteverro 2014; infine, Cinghiale sulla griglia accompagnato da un Tinata di Monteverro 2009.

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Monteverro, la tenuta-gioiello dei Weber Siamo nei primi anni del 2000, quando Georg Weber, fresco di laurea alla Business e Management School di Losanna, decide di passare da appassionato collezionista di bottiglie pregiate a produttore di vini di eccellenza. L’amore incondizionato per la Toscana, per la Maremma in particolare, determinano la scelta di Monteverro: 50 ettari di vitigni pregiati situati sulla Costa d’Argento, a metà strada tra Capalbio e il mar Tirreno. Oggi Julia e Georg Weber guidano la Cantina coadiuvati da un team di esperti, tra cui l’enologo Matthieu Taunay e il direttore generale Michael Voegele. A rafforzare il legame con il territorio uno staff tutto locale, che si occupa dei terreni della tenuta e della cantina. Dei 50 ettari complessivi, 35 sono vitati e 30 oggi in produzione; 7600 circa le piante per ettaro, in modo da favorire un giusto sviluppo radicale e quindi un buon equilibrio della pianta con il suolo. Sommelier del ristorante, nonché figlio di Maurizio e Valeria – ed è proprio Valeria a dirigere ancora oggi la cucina – ha spiegato: «il 70 per cento dei vini sono italiani, tra cui molti toscani. Tra questi, anche quelli di Monteverro, scoperti tre o quattro anni fa, con le prime produzioni». E proprio per alcuni vini della noto cantina maremmana, da Caino sono stati pensati alcuni abbinamenti particolari. D’altro canto, secondo Andrea Menichetti, i vini di Monteverro sono vini degni di nota: «Li abbiamo sperimentati da subito – ha raccontato -. Per noi lo Chardonnay di Monteverro, è il miglior Chardonnay d’Italia». E Proprio lo Chardonnay 2014 è il primo vino ad essere stato abbinato a uno dei piatti del menu autunno-invernale: con i Pici all’essenza di

«La cura e la professionalità che a Monteverro attuano in vigna e in cantina, si ritrovano nella bottiglia e nel bicchiere». Andrea Menichetti, sommelier di Caino

amatriciana diversa, Menichetti propone questo vino al calice. Il secondo vino, servito sempre al bicchiere, è il Monteverro 2010, abbinato al Piccione con uva fragola e champagne. Infine il Tinata 2009, che trova l’accostamento perfetto con il cinghiale sulla griglia, ma non solo. «Per quanto riguarda il Tinata – ha specificato Menichetti – proponiamo la bottiglia, perché si tratta di un vino duttile, che può accompagnare tutto il menu». «Nel vendere l’eccellenza – ha concluso Andrea Menichetti – bisogna essere eccellenti». Il riferimento, naturalmente, è sì ai vini Monteverro, ma anche, naturalmente, all’esclusivo ristorante di famiglia. •

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Gerardo Cesari, un restyling che valorizza la tradizione di Virginia Zacchetti

Una ristrutturazione mirata ha dato una nuova veste alla cantina e al punto vendita di Cavaion Veronese. Ma senza tralasciare l’importanza della produzione. Gerardo Cesari, storica cantina di Cavaion Veronese, si appresta a concludere un 2017 segnato dal rinnovamento. Ma, va sottolineato, resta saldo il legame con il passato e con la tradizione, prova ne siano gli 80 anni di storia celebrati proprio un anno fa. La Gerardo Cesari quest’anno ha infatti voluto confermare e rimarcare la sua attenzione per il territorio con un occhio particolare all’accoglienza in cantina; ecco perché ha dato vita a un restyling mirato e curato nei minimi particolari, una ristrutturazione che ha interessato il punto vendita e la cantina, ora caratterizzati da un arredamento dalle linee moderne, da nuovi colori, da uno studio particolare delle luci e una rinnovata concezione degli spazi. Oggi, dunque, il wine shop di Cavaion Veronese è pensato per accogliere i visitatori in un percorso di conoscenza e degustazione approfittando anche dell’esclusiva saletta riservata all’assaggio; un luogo dove la produzione della cantina veronese può essere al meglio valorizzata e presentata agli ospiti tanto che, proprio per permettere agli appassionati di degustare le Riserve provenienti dalla cantina di famiglia, nell’area è stata creata una cella climatizzata dedicata a ospitare le preziose annate storiche. In particolare, è già disponibile una selezione delle migliori annate di Amarone Il Bosco e Amarone Bosan degli ultimi 20 anni. E sono proprio gli Amarone e la ricerca continua anche sugli altri prodotti di Gerardo Cesari a fare grande la storia di questa azienda; perché, va detto, si tratta di un’azienda impegnata, in primis, nel miglioramento continuo della produzione. Ne sono prova i numerosi consensi ottenuti negli ultimi mesi, basti pensare che il “Bosco Amarone della Valpolicella docg Classico 2011” è stato consacrato come miglior Amarone (Medaglia di Platino e 96 punti) dalla giuria del

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Un legame unico con il territorio Fondata nel 1936, la Gerardo Cesari è stata da sempre impegnata nel far conoscere i vini veronesi nel mondo. Già all’inizio degli Anni Settanta, infatti, l’Amarone Cesari è fra i primi ad arrivare nei cinque continenti grazie alla passione e allo spirito d’iniziativa di Franco Cesari, figlio del fondatore Gerardo, la cui visione originale è stata quella di voler produrre un grande Amarone che potesse competere con i migliori vini rossi italiani e internazionali. I vini Cesari iniziano così la loro storia (di successo) in giro per il mondo. Storia che continua ancora oggi, ma a cui si sono affiancati nuovi obiettivi: ascoltare il mercato per proporre vini unici, eleganti, armonici ed equilibrati, nel rispetto di una tradizione che si avvale delle nuove conoscenze in vigna, producendo in modo sostenibile per l’ambiente e garantendo il consumatore, grazie a un’attenta certificazione dei processi di vinificazione. Dunque un’azienda in continua evoluzione, ma che non sembra voler dimenticare lo stretto legame con la storia del proprio territorio e con le proprie origini.

“Scrivere per amore”. Il premio letterario che piace a Cesari Sembra quasi impossibile, a tratti surreale, eppure è così. Ancora oggi, nell’era 4.0, nell’era dei messaggi istantanei - si pensi ai messaggi vocali, alle email, ai WhatsApp, ai social con i post istantanei – c’è ancora che prende carta e penna e scrive a Giulietta. Il contenuto, inutile dirlo, è l’amore. Ecco perché, da parecchi anni, a Verona, città simbolo dell’amore, è operativo il “Club di Giulietta”, un team di volontarie che si occupa di rispondere, a una a una, alle lettere indirizzate alla celebre eroina shakespeariana lettere che, va precisato, provengono da tutto il mondo. E Gerardo Cesari, in questo rituale, in questa eleganza dei pensieri che prendono forma sulla carta e che si trasformano in parole, ha visto la stessa passione, la stessa storia d’amore, che in fondo lega un produttore alle proprie vigne. Per questo motivo, la cantina di Cavaion Veronese è felice di sponsorizzare il premio letterario “Scrivere per Amore”.

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Decanter Asia Wine Awards. Non solo: il Japan Wine Challenge ha attestato la qualità della produzione con 2 ori assegnati al Ripasso Bosan Valpolicella Superiore Ripasso doc 2014 ed al Jèma Corvina Veronese igt 2012. Ma non è ancora tutto: tornando in Europa, la sessione estiva di Mundus Vini, ha premiato la Gerardo Cesari con ben 2 medaglie d’oro, una per Mara Valpolicella Ripasso doc superiore 2015 e l’altra al Ripasso Bosan Valpolicella Ripasso doc superiore 2014. Per concludere, Vini buoni di Italia, la storica Guida del Touring, ha premiato con la preziosa Corona il Bosan l’Amarone della Valpolicella doc Classico Riserva 2008; la premiazione ufficiale avverrà durante il Merano Wine Festival. •


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C’è più gusto a mangiare sano


Focus wine

Cantina La-vis, quando la tradizione è crescita di Sebastiano Graziani

La cantina punta sul tradizionale legame con il territorio e con i soci conferitori. Uno sguardo alla propria storia suggellato dalla rinascita di Ritratto. Il 2017 è stato per Cantina di La-Vis e Valle di Cembra un anno di grandi novità, con le quali continuare a proiettare nel futuro una tradizione che, attraverso i suoi vini, ha reso grande questa realtà vitivinicola fin dalla sua fondazione nel 1948. È questa la rotta tracciata da Pietro Patton e Massimo Benetello, la nuova guida dell’azienda. Lo scopo è di fare tesoro quelle consolidate positività che hanno da sempre contraddistinto La-vis e su esse porre le basi per una strategia di costante crescita. Una crescita che si fa forte della storia, come indica il logo recentemente adottato, il quale riprende il bassorilievo commemorativo della fondazione con-

tenente al suo interno gli scudi dei comuni di Lavis, Giovo e Meano, il nucleo costituente della Cantina. Ad esso si aggiungerà anche il marchio sudtirolese Durer-Weg di Salorno, la Valle di Cembra Cantina di Montagna e, nel 2001, Cesarini Sforza. Vigneti che, in Trentino, vanno dalle colline di Lavis, Sorni e Meano ai caratteristici terrazzamenti della Valle di Cembra, sino ad Isera in Vallagarina. Un’estensione territoriale che, negli anni ottanta, ha creato i presupposti per la nascita del “progetto zonazione”: lo studio della morfologia del terreno, con la conseguente compilazione di una “carta dei suoli”, per poter scegliere “il vitigno giusto al posto giusto”. Lo scopo è di garantire la migliore interpretazione del territorio e in quest’ottica si è voluto dare i giusti strumenti a supporto degli agronomi della Cantina e ai soci conferitori. Ma la mission di Cantina La-Vis non si esaurisce nella sola valorizzazione delle località che ospitano il ciclo vitale dei vigneti, ma anche delle persone che vi lavorano e che contribuiscono a trasmetterne i valori nelle uve e nei vini. Spesso queste terre vocate per natura alla viticoltura sono anche capricciose e

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impervie da coltivare, Cembra Cantina di Montagna è un chiaro esempio degli eccellenti risultati che la fatica dell’uomo può realizzare e di quanto sia indispensabile il sostegno da parte della cooperativa. Tra le più alte cantine d’Europa, la zona di Cembra Cantina di Montagna richiede un lavoro manuale sulle scoscese e tipiche terrazze della valle, un’avventura iniziata da alcuni viticoltori nel 1952, ma che oggi conta più di quattrocento soci. È questa la storia ricca di positività sulla quale Cantina La-Vis vuole costruire il proprio futuro, un’identità che si riflette in ogni referenza, in un portafoglio, vero e proprio patrimonio dell’azienda. Di tale patrimonio fanno sempre parte i Classici, la linea che meglio rappresenta l’identità trentina di La-Vis, ma si accresce con l’inserimento di cinque monovitigni rappresentativi di altrettante zone ad alta vocazione vinicola: Arcadia, Clinga, Codros, Diaol e Vich. Ulteriore legame con la tradizione è il ritorno di Ritratto - annata 2013, vino iconico della Cantina fin dal suo concepimento nel 1991; fu la risposta al desiderio di raccogliere la migliore espressione del territorio e dell’esperienza dei viticoltori in un lungo cammino produttivo. E in questa cuvée si può trovare la selezione dei migliori vigneti e delle migliori uve di Lagrein, Teroldego e Merlot e il loro affinamento; un percorso di almeno trenta mesi seguito passo per passo dall’enologo, dai fusti in legno alla barriques per concludersi nelle vasche di cemento. Il risultato è un vino dagli intensi riflessi rubini e intense sfumature violacee. Al naso è quasi balsamico, con sfumature di mora, lampone e prugna che si combinano a delicate note di viola appassita. Sul palato una decisa nota tannica chiude e dà persistenza a un sapore dolce e fruttato, equilibrato e morbido. Nel 2017 Cantina La-Vis ha avuto la forza e l’intuito di far sì che sia la propria storia a dettare la formula del successo di domani. •


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Focus wine

Col Vetoraz Le etichette per brindare di Laura Reichlin

La Cantina di Valdobbiadene ha selezionato due delle sue DOCG per accompagnare i momenti conviviali. Due etichette per brindare durante le prossime feste. Due etichette che, sebbene si posizionino agli antipodi quanto a caratteristiche, ben si prestano, ognuna a suo modo, ai brindisi conviviali. Sono il Valdobbiadene DOCG Prosecco Superiore Brut ‘Dosaggio Zero’ e il Valdobbiadene DOCG Prosecco Superiore Millesimato Dry. Il primo è caratterizzato da un color paglierino splendente solcato da un perlage fine e persistente. Al naso è elegante, al palato emerge una bella linearità, con slancio nella freschezza e delicatamente sapido. In chiusura regala lunghi ritorni fruttati freschi e di agrumi. Il secondo invece si presenta complesso, con una

Col Vetoraz, dall’alto del Cartizze Situata nel cuore della Docg Valdobbiadene, la cantina Col Vetoraz è ubicata nel punto più elevato della collina del Cartizze, a quasi 400 metri di altitudine. È qui che la famiglia Miotto si è insediata nel 1838, sviluppando fin dall’inizio la coltivazione della vite (Prosecco Superiore e Cartizze Superiore). Nel 1993 Francesco Miotto, discendente di questa famiglia, assieme all’agronomo Paolo De Bortoli e all’enologo Loris Dall’Acqua hanno dato vita all’attuale Col Vetoraz, ossia una piccola azienda vitivinicola che ha saputo innovarsi, crescere e raggiungere, in 20 anni di vita, un invidiabile posizionamento nel panorama della produzione di Valdobbiadene Docg Prosecco Superiore sia in termini quantitativi che qualitativi: sono oltre 2 milioni i chilogrammi di uva Docg vinificata ogni anno, da cui viene selezionata la produzione di un milione e duecentomila bottiglie vendute. Grande rispetto per la tradizione, estrema cura dei vigneti e una scrupolosa attenzione alla filiera produttiva e alla produzione delle grandi cuvée, hanno consentito negli anni di ottenere vini e risultati lusinghieri ai più prestigiosi concorsi enologici nazionali e internazionali.

invitante vena agrumata che ben delinea l’olfatto, seguita poi da pesca bianca, pera, fiori bianchi ed erbe aromatiche a confermarne la tipicità. La carbonica cremosa e la spiccata freschezza sono in

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perfetto equilibrio con la dolcezza degli zuccheri e la persistenza è perfetta. In entrambi è ben espressa l’essenza profonda del territorio e del lavoro che quotidianamente viene fatto in azienda. Ad apprezzare queste bollicine, anche Enzo de Prà, del Ristorante Dolada (Belluno) una stella Michelin. Che ha deciso di proporre queste etichette, abbinandole a due ricette tipiche della tradizione dell’Alpago. Si tratta di piatti in cui il vino non solo accompagna, ma dove è anche utilizzato per realizzarli. Ed ecco gli abbinamenti: “Brodet de ‘Scios”, Brodetto di Lumache con polenta, abbinato al brut ‘Dosaggio Zero’ la Minestra di patate e formaggio Mussera (il cui nome deriva da una località del comune di Chies D’Alpago ed è fatto con latte vaccino a crudo con una breve stagionatura a crosta lavata,) abbinata al Millesimato dry.•


Focus beverage

Un’acqua per ogni gusto di Virginia Zacchetti

Impegno costante e rinnovamento continuo sono alla base della strategia del Gruppo Acque Minerali d’Italia, che salvaguarda l’identità di ciascuna etichetta. Marchi famosi come Norda, Sangemini e Gaudianello hanno fatto e continuano a fare la storia del settore delle acque minerali, anche e soprattutto nel canale ho.re.ca. Un prestigio che si è ulteriormente rafforzato con la loro appartenenza ad Acque Minerali d’Italia, holding di proprietà della famiglia Pessina. Un’evoluzione che non ha sacrificato le singole identità ma, anzi, le ha esaltate e ancora meglio posizionate: Norda oligominerale, è infatti sinonimo di “benessere quotidiano” perché idrata, reidrata e purifica grazie al potere filtrante delle rocce di alta montagna da cui scaturisce; Gaudianello, effervescente naturale di origine vulcanica, sorprende, piace, affascina, perché mette in primo piano il suo “Gusto Mediterraneo” legato più che mai alla buona tavola e alla cucina italiana esaltando i sapori della dieta mediterranea. Infine Sangemini che, sulla base delle caratteristiche uniche della sua composizione idrata, reintegra e nutre grazie al suo contenuto di

storicamente legata alla prima infanzia, i messaggi adottati in tanti anni di comunicazione sono parte integrante della cultura pubblicitaria italiana sin dal 1889. Norda al contrario è un brand nato nel 1968, che a breve compirà 50 anni, durante i quali ha sviluppato un forte impegno di comunicazione: tutti ricalcio altamente assimilabile (biodisponibile) ed è cordano nei primi anni ’70 il famoso slogan “Là dove a ragione definita “acqua alimento”. volano le aquile, nasce Norda” a testimonianza di Queste specifiche caratteristiche di ciascuna master una identità e di un’origine che associavano Norda brand favoriscono una scelta consapevole da parte alla montagna in forme pubblicitariamente moderne. del consumatore in ragione delle proprie necessità Un patrimonio di notorietà che viene oggi raccole dei propri bisogni. to e ulteriormente sostenuto da “Bevi Consapevolmente”, è inAcque Minerali d’Italia spa. Una Norda, Sangemini fatti il codice identificativo di Acproposta che ha un obiettivo que Minerali d’Italia: un progetambizioso: migliorare la qualità e Gaudianello: to che ha lo scopo di migliorare della vita attraverso un corretto e caratteristiche la qualità della vita favorendo consapevole consumo di un beun consumo quotidiano consaprezioso e vitale come l’acqua specifiche e distintive ne pevole dell’acqua minerale atminerale e portare valore in una diversificano queste categoria sin troppo banalizzata traverso un percorso informativo e didattico sulle caratteristie appiattita spesso da logiche di acque che e sui benefici di ciascuna consumo che ne hanno fatto una acqua, un invito rivolto a tutti i semplice commodity. Da qui ansoggetti della filiera, inclusa la ristorazione. Norda, che le nuove campagne di comunicazione, che abbiSangemini e Gaudianello non solo hanno carattenano carta stampata (quotidiani e periodici), outdoristiche specifiche e distintive, ma la loro presenza or (dinamica), sponsorizzazioni in ambito sportivo, TV sul mercato è stata da sempre caratterizzata da un nazionali e Radio. Una campagna di comunicazione impegno di comunicazione importante, che le ha renella quale ogni brand si rivolge ai consumatori e se note e riconoscibili al pubblico, sugli scaffali dei al mercato con il proprio linguaggio e con contenuti punti vendita come sulle tavole dei migliori ristoranti. specifici che ne esaltano i relativi benefit restando Sangemini e Gaudianello vantano entrambe una stoperò fedele ad una riconoscibilità che ne evidenzia ria di oltre 100 anni. Nel caso di Sangemini, acqua i rispettivi posizionamenti. •

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Libri

I nuovi menu di Sadler, il luogo di Aimo e Nadia, 40 anni d’amore per la Piedigrotta e l’autenticità del cioccolato

Titolo: I miei nuovi menu Autore: Claudio Sadler Editore: Giusti Pagine: 256 Prezzo: 28,00 €

Titolo: Il luogo di Aimo e Nadia Autore: Stefania Moroni, Alessandro Negrini, Fabio Pisani Editore: Italiangourmet Pagine: 240 Prezzo: 68,00 €

Titolo: Te Voglio Bene Assaje Autore: Antonello Cioffi Editore: La Piedigrotta Pagine: 240 Prezzo: 32,00 €

Titolo: E’ autentico cioccolato Autore: Rossana Bettini Editore: Linea Edizioni Pagine: 122 Prezzo: 20,00 €

Sadler, il ritorno in libreria “Sono molto soddisfatto quando i commensali capiscono la vera essenza della mia cucina”. Così si apre il nuovo libro di Claudio Sadler, che con una sola frase dice tutto. Dopo il grande successo di “Menu per quattro stagioni” – siamo nel 1999 – Sadler si rimette a scrivere e torna a lavorare sul tema dei menu. L’intento, ora come allora, è di proporre una visione di insieme, radicalmente aggiornata, della sua filosofia in cucina. Ottanta ricette si combinano armoniosamente in percorsi di gusto legati a ricorrenze e feste, oppure in insoliti menu a tema: il risultato è l’alta cucina di Claudio, in cui non mancano fantasia, creatività e rigore. Nuovi menu da scoprire.

La storia continua È il 1962 quando Aimo e Nadia decidono di aprire il loro ristorante: poche case, la metropolitana in costruzione, le strade ancora sterrate, la guerra lontana, il boom economico in piena esplosione. Prendeva così forma un luogo mitico, un locale che avrebbe segnato la storia della cucina italiana, tanto che oggi il luogo di Aimo e Nadia è un bistellato. Ma per Aimo e Nadia è arrivato anche il tempo del riposo. Ed ecco che la figlia Stefania, individua il nuovo corso e, soprattutto, individua i due giovani chef nelle cui mani lasciare la celebre cucina. Sono Fabio Pisani e Alessandro Negrini, arrivati nel luogo nel 2005. Per sei anni hanno lavorato a stretto contatto con Aimo e Nadia, in modo da non perdere nulla in questo delicato passaggio epocale. Dal 2012 sono loro alla guida della storica cucina. Un libro da leggere.

Una lunga storia d’amore Un libro che celebra la pizza e che celebra la Piedigrotta di Varese. Antonello Cioffi, figlio d’arte del celebre Gaetano, ossia colui che nel 1974 apriva il suo angolo di Costiera Amalfitana in un angolo del centro storico della città lombarda, ha voluto scrivere un libro per consacrare i 40 anni di pizze sfornate e degustate dai varesini in un luogo dove impera la tradizione campana. Oggi Antonello è un piazzaiolo appassionato, che tiene fede alla tradizione di famiglia, a cui va a sommare il suo estro e la sua fantasia. E che chiosa: “fare superbene le cose superfacili è superdifficile”.

Cioccolato, questo sconosciuto Come fare a riconoscere il cioccolato veramente buono? Con un libro interamente dedicato a questo goloso cibo, l’autrice trova la chiave per poter discernere, scegliere e discorrere di cioccolato, un alimento di cui si parla tanto, ma forse nono nel modo in cui si dovrebbe. Perché è vero che si legge di percentuali di cacao, di abbinamenti, di impieghi in cucina e di calorie, ma molto poco si sa e si può trovare circa gli strumenti necessari per poter riconoscere quello realmente buono e sano. Manca, secondo l’autrice, un punto di partenza. Con questo libro, Rosanna Bettini prova a raccontarne la storia, a parlare dei luoghi in cui nasce come spazia preziosa. A corollario, splendide immagini.

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La Ricetta di Artù

Un grande piatto di Stefano Cerveni a cura di Maurizio Bertera

Una proposta della tradizione, realizzata con sapienza da uno chef di straordinario valore. Il dubbio è amletico, soprattutto in un Paese come l’Italia a fortissima impronta regionale. Per alcuni piatti è giusto rispettare integralmente la tradizione o proporla attualizzando la ricetta? Un esempio è rappresentato dal Manzo all’olio: un piatto originario di Rovato (porta d’accesso alla Franciacorta) che viene servito anche nei dintorni e ha ottenuto la De.Co. nello scorso aprile. In questa zona ciascuno – dalla casalinga di Rovato al cuoco bresciano – pensa di cucinare il miglior Manzo all’olio, ma una delle pochissime certezze è la ricetta di Stefano Cerveni, stellato al Due Colombe di Borgonato ed executive chef anche dell’Osteria con Vista alla Triennale milanese. Che curiosamente non è elaborata in tempi moderni ma è quella di nonna

Elvira – citata sul menu – ed elaborata nel 1955.“ Sia mio padre sia il sottoscritto non sono intervenuti sull’originale – spiega Cerveni –ho solo alleggerito è il ‘peso’ delle acciughe, la nonna paterna ne metteva troppe. Lei fu la prima a capire che non aveva senso cuocere la carne in un litro d’olio per quattro ore. Decise quindi di bollirlo dopo una breve rosolatura con le acciughe e l’aglio aggiungendo l’olio solo negli ultimi cinque minuti. Poi capì che per legare la salsa era meglio la fecola di patate del pane. Io uso la maizena ma nonna Elvira anticipò davvero il concetto di rendere migliore un piatto della tradizione, senza cambiare gli ingredienti”. Esaminianoli. Il cappello da prete: “Una carne meno pregiata ma offre una grande re-

Il Manzo all’olio delle Due Colombe Ingredienti per dieci persone 1 cappello da prete di manzo del peso di 2 kg 5 litri di acqua calda 4 spicchi d’aglio 4 acciughe salate 1 cipolla piccola 2 dl di olio extravergine di oliva 50 gr di maizena 50 gr di burro 1 cucchiaio di miele d’acacia 20 gr di foglie di spinaci fresche 1 carota bollita 10 patate bollite

Procedimento In una pentola capiente preparare un soffritto con il burro, le acciughe, l’aglio e la cipolla tritata finemente. Aggiungere la carne,(tagliata in due parti per lungo), rosolare ogni parte fino a che non si sarà ottenuta una sottile crosta, aggiungere il miele e dopo pochi instanti l’acqua che dovrà essere bollente. Togliere le impurità che verranno a galla per i primi 5 minuti; cuocere a fuoco medio per 3 ore e mezza circa. Aggiungere l’olio, la maizena diluita in poca acqua;cuocere ancora per 5 minuti muovendo la carne con frequenza ed estrema delicatezza per non farla attaccare. Togliere la carne dal sugo di cottura, aggiustarne eventualmente la densità, aggiungere gli spinaci crudi e la carota tagliati in brunoise finissima. Servire il manzo a fette di 4-5 cm di spessore ricoperto dal sugo di cottura accompagnando con polenta e patata bollita, tagliata a pommes nature.

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sa: si dice che la prima ricetta fu opera di una governante bresciana che mise a bollire questo taglio nella salsa verde. Non mi convincono il guancialino, troppo grasso, e il magatello troppo asciutto”. L’olio extravergine? “Uso il gardesano, non solo per campanile, l’importante è che non sia invasivo”. Le acciughe? “Bisogna utilizzare quelle salate, perché il piatto non richiede sale e quindi la sapidità viene data dal pesce”. Il punto delicato? ” La partenza: bisogna rosolare la carne con grande attenzione, creando lo shock termico. Il cucchiaio di miele serve appunto per favorire la caramellizzazione oltre a bilanciare la sapidità dell’acciuga”. Nonna Elvira può andare orgoglioso del nipote Stefano (non solo per il Manzo all’olio, sia chiaro).•


Gusto e mercati

Colore, gusto e pregiudizi. Gli effetti del rosato di Vincenzo Russo*

I consumatori, lungi dall’essere esclu­sivamente razionali, si lasciano guidare dalle emozi­oni. Dagli anni Settanta in poi gli studi di economia comportamentale e le neuroscienze hanno dimostrato che i consumatori, lungi dall’essere esclusivamente razionali, si lasciano guidare dalle emozioni, razionalizzando e giustificando ciò che è stato in realtà scelto e preferito affettivamente. Insomma “non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano”. Ciò mette in seria discussione il modello razionalistico che ha caratterizzato lo studio dei consumatori. Si tratta di un vero e proprio ribaltamento paradigmatico del modo di intendere e studiare il consumatone che costringe il marketing a valutare l’impatto emotivo della comunicazione e del prodotto stesso. Tuttavia per valutare l’emozione occorre usare adeguati strumenti come gli indicatori del battito cardiaco, della sudorazione, della dilatazione pupillare e delle onde cerebrali analizzate con un elettroenfalogramma (EEG) capace di rilevare anche ciò che non viene dichiarato. Queste tecniche di neuromarketing sono molto utili per capire l’effetto di uno stimolo prima che la razionalizzazione incida sulla sua percezione. Per questo motivo, in colla orazione con l’Associazione Degusto Salento si è voluto misurare

la reazione dei consumatori alle degustazioni di vini rosati di Puglia. Poiché, come dicono gli studi di neuromarketing, “il gusto di una molecola o di un gruppo di molecole si costruisce nel cervello” (Morro et al., 2001), si è ritenuto necessario valutare l’effetto del rosato con tecniche neuroscientifiche. In effetti, le aspettative create dalla comunicazione possono modificare la percezione del gusto di un prodotto. Ovviamente, un vino non buono non potrà mai cambiare la sua essenza in maniera profonda, ma certamente l’emozione provocata dal contesto ambientale e sociale in cui il vino si assaggia, la comunicazione con cui viene presentato, la sua etichetta, il suo colore, il prezzo e così via, possono contribuire a modificare il vissuto dei consumatori. Da queste premesse nasce la ricerca con l’obiettivo di verificare l’effetto che ha il colore del vino sulla percezione del prodotto e sul suo gradimento. Molti studi dimostrano che nella percezione dei rosati entrano in gioco diversi elementi pregiudiziali in grado di incidere sulla percezione dei sapori e quindi sulle dinamiche commerciali: i vini rosati elicitano rappresentazioni figurative di frutta del medesimo colore (ribes rosso, lampone etc.) (Morrot et al., 2001), e lasciano prefigurare un maggior grado di dolcezza: a parità di condizioni di zucchero rispetto al bianco e al rosso, un gruppo di soggetti ha rilevato nel rosato differenze nella dolcezza non realmente esistenti (Pangborn et al., 1963). La ricerca nasce dalla consapevolezza che nella percezione dei rosati entrano in gioco diversi elementi pregiudiziali in grado di incidere sulla per-

cezione dei sapori e quindi sulle dinamiche commerciali. Diverse ricerche hanno dimostrato che esistono alcune proprietà attribuite ai rosati legate ai processi percettivi e alle aspettative di gusto tra queste segnaliamo: proprietà evocative: i vini rosati elicitano rappresentazioni figurative di frutta del medesimo colore (ribes rosso, lampone etc.) (Morrot et al., 2001); proprietà gustative: il rosa viene associato a un maggior grado di dolcezza, a parità di condizioni di zucchero rispetto al bianco e al rosso, si rileva nel rosato una netta differenza nella percezione della dolcezza (non realmente esistenti (Pangborn, Berg, and Hansen, 2003) Altre ricerche hanno dimostrato che se lo stesso

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vino, uno Chardonnay, colorato in maniera tale da imitare un vino rosso o rosato, quando prevale il rosato ottiene i punteggi più elevati per il gusto fruttato mentre i più bassi per la corposità/pienezza, complessità e maturazione/invecchiamento. Se prevale il colore rosso ottiene i punteggi più alti per la complessità, corposità e invecchiamento/maturazione (Delwiche, 2015). In una ricerca sull’influenza dell’intensità del colore sul gradimento (Maria-Pilar Saenz-Navajas et al., 2016) si è rilevato che se si pone il compito ad un gruppo di soggetti di valutare il colore e il gusto di alcuni vini rossi questi valutano i vini nel seguente modo: i vini con maggiori pigmenti rossi e meno pigmenti gialli ottengono un punteggio migliore. Più il vino è “pallido” e meno è attraente. Nella nostra indagine si è scelto di puntare sui Millennials poiché in un recente studio si rileva che i giovani rappresentano il 32% dei consumatori di rosé e che la quota dei vini rosati sul consumo totale di vini fermi nella fascia di età 18-24 è più alta in media del 10% (tranne che in Francia). La ricerca è stata condotta combinando questionari e tecnologie neuroscientifiche idonee a cogliere la reazione emotiva del partecipante: un EEG per la misura della valenza emotiva, ovvero la direzione dell’emozione e un misuratore di la conduttanza cutanea per la valutazione dell’intensità emotiva. Questo indicatore misura il grado di difficoltà e di impegno cognitivo nella valutazione del vino rosato: maggiore è l’attivazione, maggiore è il livello di diffi-

coltà di valutazione. I vini sono stati fatti assaggiare in blind (alla cieca senza vedere il colore e l’etichetta) e dopo vedendo il colore. In entrambe le fasi si è chiesto di esprimere un giudizio di gradevolezza. Nella condizione blind, rispetto alla baseline (stato di relax) l’indicatore di attivazione cutanea (indice di stress cognitivo) ha un andamento crescente, indice di maggiore difficoltà nel processo di valutazione del vino. Condizione non verificata invece nella condizione informata. Questo dato della sudorazione della pelle decrescente nelle due fasi, dimostra che l’assaggio in blind è ritenuto generalmente difficoltoso, ma appena viene rilevato il colore del vino (fase informata) il tasso di carico cognitivo si abbassa sensibilmente. Anche l’analisi dei dati elettroencefalografici ha confermato che il vino rosato in blind attiva positivamente e piace maggiormente rispetto al vino rosso. Nella condizione informata (vedendo il colore del vino) la situazione cambia e il vino rosato viene gradito meno. Situazione opposta per il vino rosso, che quando viene visto viene anche «valutato a livello cognitivo come più gradevole. Il dato Self Report evidenzia e conferma il dato EEG. La visione della colorazione del vino, nella seconda prova, influisce negativamente sul gradimento per il vino rosato. Effetto che non si verifica invece per il vino rosso, che nella prova «informata» ottiene un valore di gradimento maggiore. L’indagine ha previsto anche l’analisi delle etichette. Da questi dati si rileva l’esigenza di valutare attentamente la coerenza tra il colore delle etichette, il testo descrittivo (che spesso non coincide con ciò che attira l’attenzione e emoziona il consumatore) e la scelta delle capsule. Spesso le etichette sono ricche di testo illeggibile o poco coerente con le aspettative dei con-

* Vincenzo Russo è un professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing, Ph.D Coordinatore del Centro di Ricerca di Neuromarketing Behavior and Brain Lab presso lo IULM di Milano

sumatori. L’evidenza neuroscientifica di una maggiore attivazione cerebrale positiva in assaggio in blind conferma il ruolo dell’aspettativa sul gusto e segnala al contempo una grossa debolezza sul valore del prodotto, ancora poco conosciuto e consid-

erato di ripiego. Solo una più adeguata strategia di marketing efficace potrebbe valorizzare il risultato rilevato in blind e contribuire a sviluppare meglio un mercato che sembra in Italia ancora sopito, ma grande potenzialità. • Bibliografia • Delwiche J.S. (2015) Impact of color on perceived wine flavor. Foods Food Ingredients J. Jpn vol. 208 n. 5 • Morrot G, Brochet F, Dubourdieu D (2001) The color of odors. Brain Lang 79(0093-934; 2): 309–320 • María-Pilar Sáenz-Navajas, José Miguel Avizcuri, José Federico Echávarri, Vicente Ferreira, Purificación Fernández-Zurbano, Dominique Valentin (2016) “Understanding quality judgements of red wines by experts: Effect of evaluation condition” Food Quality and Preference 48 (2016) 216–227 • Pangborn R., Berg H., Hansen B. (1963). The influence of color on discrimination of sweetness in dry table-wine. Am. J. Psychol. 76 492– 495.

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Pillole Un premio per Calvisius Caviar

La leggerezza di Freschello Extra

Materia e Frammenti, le new entry di Royale

Veuve Clicquot celebra le donne

Il 12 novembre, il Presidente di “Merano Wine Festival” Helmuth Köcher e il Masterchef Bruno Cicolini hanno consegnato il premio d’eccellenza “The WineHunter Award Platinum” a Calvisius Caviar, per il caviale Siberian Royal. Durante la manifestazione, presso GourmetArena, lo spazio dedicato alle “Eccellenze della Culinaria”, i visitatori hanno avuto l’occasione di vivere una “caviar experience” grazie ai selezionati caviali prodotti in Italia Beluga, Tradition Prestige e Royal nonché Siberian Classic e Royal e apprezzarne l’inimitabile gusto.

Dopo Freschello Vivo e Freschello Frizzante di Cielo e Terra, nasce Freschello Spumante Extra Dry nelle sue varianti Bianco e Rosé. Si tratta di uno spumante dalla bassa gradazione alcolica, caratterizzato da note fruttate e delicate. Dalle vigne dei Colli Berici, l’uva autoctona veneta garganega conferisce a Freschello Spumante Extra Dry Bianco un colore giallo chiaro brillante dal perlage persistente, mentre le uve merlot e raboso vinificate in rosa, donano la caratteristica tonalità rosata a Freschello Spumante Extra Dry Rosé. Freschello Spumante Extra Dry, con il suo gusto fresco e fruttato, ben si presta in diverse occasioni di consumo: cene all’aperto, aperitivi, come e ingrediente nei cocktail, ma anche a tutto pasto e con qualsiasi tipo di ricetta finger food.

Durante l’ultima edizione di HOST, Royale, ha presentato due nuove collezioni: Materia e Frammenti. Per celebrare queste e quelle precedenti, nonché per suggellare l’importante progetto di cui Royale si sta rendendo protagonista, l’azienda ha organizzato una cena presso l’Hotel Magna Pars di Milano. Un’occasione perfetta per poter apprezzare al meglio la bellezza e lo stile inconfondibile di queste mise en place, accompagnate dalle creazioni di Giuseppe Postorino, sous chef del ristorante DA NOI IN. Quella di Royale è una storia di successo nata anni fa dall’idea controcorrente di puntare su porcellana di alta qualità e su un prodotto “Handmaded”, un’intuizione che si è evidentemente rivelata vincente.

Un omaggio alle donne. E’ questo l’esito finale della collaborazione tra la Maison Veuve Clicquot e la stilista Charlotte Olympia, che insieme hanno creato Veuve Clicquot La Grande Dame by Charlotte Olympia, un’edizione speciale della Cuvée La Grande Dame, racchiusa in un inedito coffret disegnato appositamente per la Maison. Prendendo ispirazione dalla clutch best-seller di Charlotte Olympia, Vanina, il coffret diventa uno scrigno prezioso: la forma slanciata e la fibbia dai caratteri dorati, unitamente al lussuoso interno dorato, valorizzano la bottiglia in edizione speciale di La Grande Dame 2006. La stampa animalier, appositamente studiata, si abbina alla gamma dei colori di Veuve Clicquot, per creare una perfetta affinità.

Nasce DDR 2009, il nuovo Lambrusco Sette anni sui lieviti e nasce DDR 2009, acronimo di “degorgiatura dosaggio recente”, ossia la nuova idea di Lambrusco di Cantina della Volta. Ideato da Christian Bellei, deus ex machina dell’azienda di Bomporto, che nel 2009, proprio all’inizio del suo nuovo percorso, ebbe l’intuizione, complice una grande e generosa annata, di pensare a un metodo classico che potesse rappresentare una nuova via per il Lambrusco di Sorbara. Il DDR Lambrusco di Modena Spumante DOC Metodo Classico Vendemmia 2009 è uno spumante rosso brut ottenuto dalla vinificazione di sole uve di Lambrusco di Sorbara coltivate nei terreni alluvionali del fiume Secchia. Dopo un affinamento del vino base di sei mesi e la seconda fermentazione in bottiglia come da metodo tradizionale, il DDR ha riposato sui lieviti per 84 mesi, sette anni. Ne è scaturito un vino originale e di grande impatto sotto ogni punto di vista, a partire dall’importante struttura complessiva. DDR 2009 è disponibile in un numero limitato di bottiglie.

Pujje, non solo olio Natale si avvicina e sono parecchie le proposte di Pujje che, oltre a garantire la qualità di un olio extra vergine d’oliva che affonda le radici nella tradizione pugliese, sorprendono per l’originalità e la ricercatezza. Basti pensare al design, essenziale ma sofisticato delle bottiglie, veri e propri gioielli da presentare sulla tavola: bianca per Anfitrione, la varietà multicultivar più delicata di Pujje e nera per Rea, il blend più deciso, entrambe custodite in un elegante cofanetto. Pujje ha pensato anche agli inguaribili golosi e ha realizzato una confezione per un dono speciale e pieno di gusto: la coppia dei due Blend è abbinata al Pandolivotto, un dolce da forno lievitato naturalmente con Pasta Madre Viva all’olio EVO Pujje, con le famose olive Celline creato dalla Pregiata Forneria Lenti di Grottaglie. Imperdibile la versione tempestata di Swarovski.

Factory party a Lallio L’azienda Pentole Baldassare Agnelli festeggia i 110 anni, un importante traguardo per una realtà che rappresenta pienamente l’immagine del Made in Italy e che da decenni accompagna i protagonisti della ristorazione di livello italiana internazionale. Ed è proprio in quest’ottica che l’azienda ha voluto celebrare i 110 anni con Factory Party. Una cena svoltasi sabato 21 ottobre tra forge, pentole e macchinari, nel cuore pulsante dell’azienda: la fabbrica di Lallio (BG). Una serata all’insegna dell’artigianalità e dell’eccellenza del comparto Food e Beverage in tutte le sue forme, valori ben rappresentatati dalla materia prima delle migliori aziende italiane e dalla competenza degli chef e dei barman coinvolti.

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La Maremma a Milano Ha debuttato a Milano Maremmachevini, l’evento in collaborazione con AIS Lombardia che ha visto la partecipazione di una delegazione di 31 produttori della DOC Maremma Toscana. 88 vini e un percorso di degustazione hanno permesso di scoprire le eccellenze della zona e della straordinaria eterogeneità del suo terroir. “Maremmachevini ha lo scopo di valorizzare e far apprezzare le diversità del nostro sorprendente territorio ampliando gli orizzonti del gusto toscano attraverso la varietà e la qualità dei nostri pregiati vini - ha raccontato il Presidente del Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana, Edoardo Donato -. “Questa prima edizione meneghina della kermesse è un’opportunità per andare a intercettare la vasta platea di esperti, addetti ai lavori e appassionati che anima una Milano capitale economica, della moda, del design e del settore enogastronomico” .



La foto di ArtĂš

Un piatto icona di Hide Matsumoto, chef dell’Osteria Le Api di Milano: il Maialino da latte croccante con patate viola e riduzione di vino rosso.

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Alberto’s choice

La pizza dell’Angolo leggera e memorabile NON SOLO LIEVITO. IL SEGRETO DI BEPPE RIZZO PIZZERIA RISTORANTE DELL’ANGOLO

Via Eugenio Villoresi, 71/73 20010 Vittuone (Mi) 02 9022577

Ho conosciuto Giuseppe Rizzo (nela foto sopra) grazie alla passione per il buono che contraddistingue Riccardo Uleri, patron di Longino & Cardenal. Un giorno, Riccardo decise di organizzare proprio qui, alla pizzeria dell’Angolo di Vittuone, non lontano da Rho, il nostro “business lunch”. Fu una vera sorpresa, soprattutto inaspettata: Rizzo dimostra la sua

competenza fin dal primo approccio ai tavoli, quando propone ai clienti la possibilità di scegliere fra un ventaglio di suggestioni gourmet che partono dai cocktail e dalla pizza e arrivano fino alla Calamarata di legumi ai frutti di mare o al maialino Pata Negra scaloppato con verdure ai colori dell’inverno. Gli ampi spazi del ristorante consentono distanze più che rispettabili fra un tavolo e l’altro e invogliano alla conversazione, non fosse che l’attenzione viene subito attirata (per non dire carpita) dalla bontà dei piatti, che toccano vertici impensabili per un locale di cui le guide gastronomiche sembrano non essersi mai accorte (fatta onorevole eccezione per la guida di Paolo Massobrio e Marco Gatti, capace di monitorare il territorio con rara, ossessiva competenza). Il menù proposto da Beppe Rizzo –origini e genialità partenopee, solida concretezza lombarda- è diviso in più sezioni, tutte ragguardevoli. Nella voce “Il Moderno”, Beppe si chiede: “Perché non rinnovarsi ogni tanto? Bisogna stare al passo con i tempi ed ecco perché vogliamo proporvi delle new entry nel nostro menù, la cui prima parte è dedicata ai Cocktail”: Gin Tonic, Mojito, Moscow Mule e Spritz possono realmente ben disporre all’esperienza gourmet e fungere da aperitivi speciali prima di un’esperienza gastronomica di tutto riguardo. La sezione “La Tradizione” vede poi un ricco arcobaleno di proposte, dalla pizza “verace” col cornicione alto e croccante, realizzata in tre versioni: la prima ha per ingredienti il pomodoro corbarino, il fiordilatte di Agerola, basilico fresco, origano e olio extravergine a crudo; la seconda, pomodoro corbarino, olive Nocellara appassite, capperi e acciughe del cantabrico; la terza verace, senza pomodoro, fiordilatte di Agerola, verdure invernali e olio a crudo. Il capitolo successivo, l’Impasto, vede in menù altre tre proposte di pizza: la Campana, con mozzarella di bufala dop, origano, basilico, olio, la Tradizione, conpassata di pomodori San Marzano, fiordilatte, prosciutto cotto naturale di Capitelli, funghi, carciofi, olive e olio a crudo, la Partenopea, con salsiccia e friarielli, oltre a fiordilatte, patate e cacioricotta. La premessa intellettuale alle pizze proposte da Beppe Rizzo è pure scritta in carta, con un messaggio molto preciso. Il titolo è: NON SOLO LIEVITO. “Ed eccoci qui a raccontare la nostra filosofia. Apparentemente può

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LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta

Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza

Due corone = Linea di cucina corretta

Una corona = Cucina dignitosa e affidabile

Corona nera = C’è ancora molto da fare

Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza

Due cervelli = Ragionevole

Un cervello = Abbastanza ragionevole

Cervello nero = Scarsamente ragionevole


Concerto di Natale 20 dicembre 2017 ore 20.30

s e l i M o t e t u b Tri

TEATRO DAL VERME Via San Giovanni sul Muro 2, Milano

Pino Jodice direzione e arrangiamenti Verdi Jazz Orchestra

Paolo Fresu special guest

La carriera di Miles Davis raccontata attraverso indimenticabili successi per una serata speciale a sostegno dei più bisognosi. Biglietti da 10 a 60 euro esclusa prevendita Informazioni e prevendite 02 465.467.467 (lunedì/venerdì, ore 10-13 e 14-17) www.ticketone.it www.vivaticket.it

con il patrocinio di

in collaborazione con

coordinamento generale


A

Artù Numero 86 novembre 2017

Alberto’s choice

Direttore editoriale Alberto P. Schieppati - alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile Andrea Aiello

In redazione Emanuela Stìfano - emanuela.stifano@edifis.it Contatti artu@edifis.it - www.artumagazine.it _______________________________________________________________

Collaboratori

Fiorenza Auriemma, Irene Bernabò Silorata, Guido Bernardi, Maurizio Bertera, Stefano Bonini, Oscar Cavallera, Luisa Contri, Maurizio Di Dio, Angelo Foresti, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Rocco Lettieri, Alessandro Luongo, Gianni Mercatali, Giovanna Moldenhauer, Aldo Nenzi, Gio Pirovano, Alessandra Piubello, Laura Reichlin, Mauro Remondino, Vincenzo Russo, Valentina Santambrogio, Theo Smith, Gualtiero Spotti, Virginia Zacchetti, Claudio Zeni, Stefania Zolotti. Iniziative speciali: Cristina Fagioli - cristina.fagioli@edifis.it Andrea Ragusa - andrea.ragusa@edifis.it _______________________________________________________________

Grafica e impaginazione Daniele Scozzari

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Foto

Archivio Artù; Claudia Calegari; Ferdinando Cioffi; Sara Magni; Renato Vettorato; Stefano Borghesi ______________________________________________________________

Pubblicità dircom@edifis.it

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Traffico pubblicitario Roberta Motta - roberta.motta@edifis.it

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Stampa Aziende Grafiche Printing S.r.l. - Peschiera Borromeo (MI) _______________________________________________________________

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sembrare un normale prodotto lievitato, ma il segreto sta proprio qui: il LIEVITOMADRE! I nostri lievitati vengono curati in ogni loro piccola fase, a partire dal “bagnetto” iniziale del lievito, al rinfresco, all’unione di farine macinate a pietra, fino ad arrivare alla fase finale di lievitazione a più di 24 ore, che dono loro croccantezza e al contempo alta digeribilità. Questo metodo ci permette di riprendere i grandi clasici della tradizione napoletana in una chiave del tutto moderna…” Beppe è soprendente nella sua capacità di valorizzare ogni singola materia prima, come ad esempio nel Panuozzo, ovvero un impasto con crema di patate, crauti viola, cotechino e olio extravergine di oliva. La genialità di Rizzo si manifesta poi nei piatti del Menù “classico”, ovvero: Piccola frittura di alici e moscardini, Baccalà e carciofi in

tempura con salsa yuzu, fra gli antipasti. Abbiamo memoria durevole dei Fusilloni alla carbonara con guanciale croccante, del Risotto ai carciofi con burrata, dei Tagliolini all’astice su crema di topinambur. Tra i secondi: Controfiletto di Angus con insalata di cannellini, la Cotoletta alla milanese con patate al forno, la Spadellata di calamari con patate, il Tonno con timballo di cime di rapa e patate. Piatti decisi e equilibrati, che bene si allineano alla ricerca che Beppe Rizzo fa in materia di pizze, focacce (cercatele nella sezione del menù denominata Tutto il grano. Insomma, un’esperienza di alto livello, quella del Ristorante Pizzeria dell’Angolo, a Vittuone, una manciata di chilometri ad ovest di Milano. Un posto, fra l’altro, ben frequentato. Fra gli altri, Davide Oldani ne è un assiduo cliente, il che la dice lunga.

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Tradizione, innovazione tecnologica e qualità unite alla massima attenzione e rispetto per l’ambiente: questa è la cultura italiana del vivere all’aperto di EMU.

1 Sedute della collezione Modern by Chiaramonte/Marin, fotografate a Villa dei Vescovi, Lugnano in Teverina presso Padova. Lo scatto è inserito nel nuovo concept del catalogo aziendale 2018, parte integrante della partnership triennale col FAI – Fondo Ambiente Italiano, che vede EMU in prima linea nel sostegno e nella promozione, anche a livello internazionale, delle attività di tutela e valorizzazione svolte dal Fondo.

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2 Design originale, estrema funzionalità e dimensioni contenute per la seduta Nova di Aldo Ciabatti. Coniugare l’esigenza di comfort con prodotti durevoli, dal punto di vista estetico e di resistenza: questo è il valore aggiunto degli arredi EMU, grazie al quale il brand ha sviluppato collezioni per esterno dedicate al settore Contract, versatili e di alta qualità,che hanno fatto di EMU il marchio outdoor più diffuso al mondo.

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3-4-5-6 I prodotti EMU rispondono alle diverse esigenze del mercato rivolto alla collettività, adattandosi naturalmente in ambienti con impostazioni stilistiche diverse e con diverse esigenze, come dimostra la fornitura completa realizzata per il Luxury Resort “Il Minareto” a Siracusa e il suo club esclusivo “Area Emme” ad Ortigia. Il resort ha scelto il sistema modulare di divani Dock per l’area relax, con i lettini Shine e gli ombrelloni Shade; le sedute Lyze e gli sgabelli Thor per il ristorante e il bar; lettini Holly e ancora Shade per il solarium


Da più di trent’anni Royale® è protagonista a fianco dei migliori chef del mondo, nel raggiungere giorno dopo giorno eccellenza e standard qualitativi senza precedenti. Un impegno che si traduce non solo in una continua ed appassionata ricerca di forme artistiche, ma anche nello sviluppo di un proprio concept.

Materia è forza, energia, determinazione. Piatti unici, modellati a mano, mai uguali tra di loro.

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