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In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi
Artù n°46 - Settembre - Ottobre 2011
Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati
Franciacorta, che imprenditori per bollicine al top Pietro Biscaldi, l’imprenditore sa fiutaredilerazza tendenze del beverage Vito Mollica, Four Seasons di Firenze: un menù per Fabio il Sauternes Export e bollicine nelle strategie Mezzacorona: parla Rizzoli Chef: Rochat, Alléno, Lecocq, Garzillo, Mauro Uliassi, entusiasmo e passione alla base di unaVissani, grande Gallina cucina professionali perchef il mercato Ikarus di Cucine Salisburgo, ai fornelliinnovative passano gli di tuttodiildomani mondo SaporiRaito Ticino, Dany Stauffacher valorizza l’Europa gourmet Ospitalità: di Amalfi, Royal di Courmayeur, Sofitel di Roma
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edi tori al Non basta dire VINO al bicchiere
Paese strano il nostro. Girano sempre meno soldi, per dirla con una battuta ormai logora e datata (ma vera), e qualcuno fa finta di non accorgersene. Come certi bar che propongono un calice di vino al prezzo della bottiglia intera, se non di più. In un locale dal nome “regale”, vicino al centro di Milano, un bicchiere di Valcalepio (zona vinicola in provincia di Bergamo, nota per produrre vini schietti e sinceri, ma non certo blasonati nel senso che normalmente si dà a questo termine) costa 4,50 euro. La bottiglia, etichetta alla mano, costa sensibilmente meno in enoteca, e in cantina a maggior ragione. Venderlo a quel prezzo non ha senso, anzi, rischia di fare un pessimo servizio al produttore, che viene così percepito come “inavvicinabile” dal cliente. Così non va, cari operatori del settore. Siamo i primi a sostenere il valore della qualità e a ribadire la necessità di fissare prezzi adeguati e coerenti, ma questo non può più avvenire secondo le vecchie regole, che puntavano al profitto a tutti i costi. Oggi la clientela si è evoluta, almeno quella del vino, ed è più preparata in fatto di qualità e di prezzi: è disposta ad accettare prezzi elevati in nome di una riconosciuta eccellenza, ma è anche molto attenta a dare un valore a ciò che consuma. Non sono più accettate confusioni e approssimazioni varie, in alcuni casi in odore di truffa. Qualche mese fa, al tavolo di un ristorante con un noto produttore vinicolo del sud (questo sì, un nome blasonato), ho percepito la sua tangibile insofferenza verso i ricarichi inappropriati messi in essere dal patron del locale. “Conosco perfettamente il prezzo a cui vendo i miei vini! Ci sforziamo in ogni modo di produrre e proporre le nostre etichette a prezzi competitivi e
poi vediamo vanificate le nostre fatiche a causa di mark up esagerati”. Il mio suggerimento, a quel punto, fu di non rifornire più quel cliente o, quantomeno, di proporgli un out-out: o il ricarico è corretto o i miei vini lì non entrano più. Ricordavo le parole di altri vignaioli di razza, coraggiosamente impegnati nella qualità delle proprie produzioni…Una sorta di adagio che suona così: “Va assolutamente evitato un danno all’azienda e alla sua percezione di immagine relativa a un determinato prodotto: se il posizionamento di prezzo nella ristorazione è sbagliato (troppo alto o troppo basso), rischiamo di perdere credibilità sui mercati”. Una frase che ho sentito dire molte, troppe volte. E che è assolutamente condivisibile. Ma le aziende fanno abbastanza nella direzione auspicata? Nel caso specifico, non so come andò a finire. So però che l’obiezione del produttore, esternata con discreta chiarezza, venne respinta con una serie di motivazioni (le solite), legate ai costi generali e specifici che il ristoratore deve sostenere (tasse, personale, sommelier, affitto eccetera eccetera). Seppi poi, in separata sede, che quel ristoratore (come in molti casi accade) non è un “pagatore” regolare ed affidabile, il che sembra accrescere il disagio del produttore… Ma attenzione, accanto a chi pensa di sovrapprezzare c’è anche chi svende o, almeno, ci prova. Uno “shop” milanese (di outlet del vino si parla dal 2005, quando aprì a Rovereto il primo) propone vini a prezzi scontati del 40% (ma su quale prezzo? Cantina? Enoteca? Cartone modello piccione viaggiatore?). Fin qui nulla di esecrabile, se questo è ciò che richiede il mercato. Ma, forse, avvalorare pubblicamente queste offerte indicando nella promozione cartacea una quin-
dicina di nomi di aziende produttrici di affermata notorietà, che diventano inevitabili garanti (o complici?) dell’operazione, pare un tantino scorretto. Oppure “si tratta di una opportunità interessante che consente prezzi appetibili, al netto dei costi distributivi e delle logiche di ricarico?”. Sembra di sentirli, certi soloni del vino, che parlano il politichese, ma che non sono stati neppure capaci di far modificare le leggi sulla minima quantità… E poi, le aziende citate nel volantino distribuito in città (in una città di un milione e mezzo di abitanti, non sulla piazza centrale di Roccacannuccia di sotto) sanno che il proprio nome viene utilizzato per promuovere un’attività di svendita? Hanno mai approfondito la questione? Oppure “va tutto bene madama la marchesa?”. La questione, come sempre, resta aperta. Alberto P. Schieppati
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Giuseppe D’Alessio, 36 anni, salernitano, è lo chef del ristorante del Sofitel di Roma. Il suo lavoro punta sull’esaltazione di materie prime semplici, capaci di restituire appieno il gusto e i sapori degli ingredienti. Nella foto, sardine, porcini, mandorle, indivia: una foto dal forte impatto estetico, rivelatrice della filosofia alla base della linea di cucina dello chef.
Opinioni E lo chef riabilitò la vituperata pizza di Beppe Francese Opinioni Addio alle eccedenze. Il vino può farcela di Angelo Gaja Info people&brand News, protagonisti, eventi del fuoricasa Prodotti, flash, novità, le aziende e il mercato Protagonisti beverage Brand nuovi e storici: il gran fiuto di Biscaldi di Luisa Contri Protagonisti vino Export e Talento: Mezzacorona cresce di Elisa Facchetti Protagonisti food Mauro Uliassi, un entusiasta pensante di Stefania Zolotti Un galantuomo rilancia il Gargano di Isa Grassano Format food Raito di Vietri, impronta mediterranea di Sara Alberti Ikarus Salzburg: stupire con stile di Luisa Contri Bistronomia prêt à porter di Luisa Contri Carne in trattoria. A 20 euro è possibile di Giovanni Cristiani La Sicilia gourmet nel cuore di Brera di Celeste Riccoboni Accueil Croissant e carbonara al Sofitel di Roma di Fiorenza Auriemma La quinta stella brilla a Courmayeur di Giulio Cesare Saviozzi Design Quando il packaging è strategia di marketing di Monica Zani Equipment Riciclo e biomasse. Scegli l’approccio green di Davide Deponti Secondo Artù Tivoli a Cortina, un must e poi Paraggi, Milano... Artù n°46
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E lo chef riabilitò la vituperata PIZZA I tempi che stiamo vivendo non sono certamente facili, e bene lo sanno gli addetti della ristorazione, specialmente quella cosiddetta di “alta gamma”: questi operatori si sono trovati nella necessità di “inventarsi delle nuove strategie”, attraverso cui fronteggiare l’attuale congiuntura negativa. La decisione di molti ristoratori di abbassare la loro proposta, specie a livello di prezzo, pare si possa valutare in linea di massima in modo positivo. Non mancano tuttavia alcune perplessità, soprattutto quando si coinvolge la complessità della pizza. Infatti pare opportuno chiedersi se la ”cultura della pizza”, con il suo background di tradizioni, sapori, versatilità ed eccellenza degli ingredienti, sia in maniera così semplicistica esportabile in contesti che fino a ieri non hanno considerato la pizzeria alla stregua dell’ordinaria ristorazione. Ma allora, la pizza diventa un elemento da prendere in considerazione solo quando l’offerta della ristorazione tradizionale incontra delle difficoltà a farsi accettare dalla clientela? Dopo avere guardato “dall’alto in basso” per molti anni la formula pizzeria, oggi sembra dunque ritornare di grande attualità presso la ristorazione top. Già nel 2009 il blasonatissimo chef Ferran Andrià provò ad “italianizzarsi”, cimentandosi nella pizza con un significativo riscontro. Sembra dunque che l’esperimento di
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allora sia destinato a trasformarsi nel trend di adesso… C’è da osservare che sarebbe (condizionale d’obbligo) opportuna una “rivoluzione culturale”, capace di eliminare quella “doppia velocità”, con la quale il settore ristorativo fino ad ora si è presentato ai mercati della clientela. Posso supportare questa affermazione con la mia esperienza maturata in quattro decenni di attività proprio nel settore pizza. In origine ritenevo valida la separazione rigida tra pizzeria e ristorante all’interno del medesimo locale. Ma non funzionò, perché i clienti avevano la netta sensazione di trovarsi su vagoni di prima e di seconda classe… Mi sento quindi in dovere di segnalare, fra gli altri, il noto ristorante il Cascinale Nuovo di Isola d’Asti per il coraggio di aver riproposto in chiave moderna la formula “Ristorante/Pizzeria” all’interno del medesimo spazio, con tutte le difficoltà del caso nel caratterizzarsi. Nell’ultimo numero di Artù, in cui si parla della necessità di riposizionare l’offerta, si indicano alcuni protagonisti del cambiamento: la famiglia Ferretto (del Cascinale Nuovo) non era citata: e mi sembra doveroso farlo. Validissime peraltro le osservazioni del direttore di questa pubblicazione, Alberto Schieppati, quando definisce il target di mezzo, numericamente maggioritario, come fondamentale per chi vuole “sopravvivere” nel settore della ristorazione, certamente un efficace antidoto alla crisi.
Ribadisco tuttavia un concetto del quale sono fermamente convinto. Il format pizzeria ha sicuramente svolto un ruolo importante nell’abbattimento di pregiudizi sociali, almeno a tavola: non vorrei che questa new wave di tanti ristoratori riportasse in auge quelle divisioni… di Beppe Francese Imprenditore, scrittore, titolare di pizzeria ad Asti. È autore della Guida alle pizzerie d’Italia, edita da Veronelli.
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Addio alle eccedenze il VINO può farcela La vendemmia 2011 verrà ricordata come la più scarsa che il nostro paese abbia mai prodotto (il servizio di Repressione Frodi nel corso del 2012 dovrà stare ancor più con le orecchie dritte). La previsione era facile da fare già a fine agosto, dopo venti giorni di caldo africano che aveva asciugato le uve, premonitore di un forte abbassamento delle rese sia nel vigneto, sia in cantina.
diverse tipologie il vino comincia a mancare e di conseguenza saliranno (finalmente!) sia i prezzi delle uve, sia quelli del vino all’ingrosso. Per anni il problema dell’Italia era che ogni anno si produceva eccedenze: parte venivano avviate al mercato abusato della distruzione attraverso il provvedimento della distillazione e parte contribuivano a comprimere ancor più i prezzi delle uve e del vino all’ingrosso. In presenza di un mercato perennemente Dopo appena due anni di applicazione, eccedentario l’imperativo era vendere, le misure OCM vino introdotte da Bru- a qualsiasi condizione di prezzo, e così xelles hanno fortemente contribuito ad siamo diventati il primo paese esportaequilibrare il mercato, congiuntamente tore. A soffrire furono sempre i viticoltori, ai crescenti volumi di vendita realizzati molti dei quali costretti a cedere le dal vino italiano sui mercato esteri: loro uve al di sotto del prezzo di costo, come miracolo, in molte cantine le e quei produttori che, in prossimità scorte di vino sono ritornate a livelli della vendemmia, si vedevano costretti normali se non anche di scarsità. a svuotare la cantina per fare spazio Prende così avvio per l’Italia uno scenario alla nuova annata in arrivo. Ora l’Italia nuovo, mai vissuto in precedenza, non del vino deve imparare ad accelerare ci esce più il vino dalle orecchie, per un ciclo già in atto. Ci sono dei produttori
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italiani che vendono all’estero il loro vino nella fascia più ghiotta, quella che va dai tre agli undici euro a bottiglia partenza cantina. Occorre però che il loro numero cresca rapidamente, che molte cantine italiane che già operano sui mercati esteri imparino a vendere meglio, con valore aggiunto più elevato, costruendo una domanda più qualificata, dotandosi di strategie e strumenti più adeguati ad aggredire le fasce di prezzo più remunerative. L’Italia del vino ha tutte le possibilità di farcela: per il fascino dei territori, le varietà autoctone, storia e tradizione, ma molto, molto di più, per avere un patrimonio umano straordinario, un numero così elevato di viticoltori e di produttori di vino che nessun altro paese al mondo ha, una ricchezza che merita di essere valorizzata e in grado di produrre rapidamente risultati migliori. di Angelo Gaja
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News, PROTAGONISTI, eventi del fuoricasa A Tavola sulla Spiaggia, vince il chilometro zero Alla Capannina di Forte dei Marmi è stato incoronato il vincitore della XIX edizione di 'A Tavola sulla Spiaggia': si aggiudica il trofeo la ventitreenne Gaia Bianchini, studentessa di ingegneria edile, che ha proposto un piatto tipico del territorio Toscano, il famoso Cacciucco. Per l'occasione il piatto è stato abbinato allo Champagne Perrier Jouet, servito nel tradizionale magnum decorato con gli anemoni di Emile Gallé. Il Premio Perrier Jouet alla composizione di maggior valore estetico, è stato invece assegnato al piatto di Mario Luca Giusti: 'pasta fredda alle verdure dell’orto' abbinato a un Arbiola Bianco
della Tenuta Arbiola Saiagricola. I must dell'evento, ovvero la qualità in cucina e la valorizzazione dei prodotti locali a 'chilometro zero', hanno ancora una volta incoronato ricette delle tradizioni preparate con gli ingredienti tipici del territorio. In giuria, presieduta anche quest’anno da Beppe Bigazzi, produttori di vino e ristoratori stellati: da New York Mauro Maccioni di Le Cirque, da Tokio Enrico Derflinger, chef del ristorante Armani. Dalla Lombardia Carlo Cracco, Aimo Moroni di “Aimo e Nadia” e Ilario Vinciguerra. E poi Lorenzo del Forte e Romano di Viareggio, Giuseppe Mancino del Piccolo Principe e Michele Marcucci dell'Enoteca di Pietrasanta. Nella foto Mario Luca Giusti e Carla Fracci.
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Je’s, il cocktail ‘consapevole’ di Cristiano Luciani Grandi soddisfazioni per il barman dell'Hotel Gritti Palace di Venezia, Cristiano Luciani. Vincitore del concorso 'Cocktail on the beach' – manifestazione promossa per la prima volta quest’anno dal Consorzio Veneto Chioschi in collaborazione con il Comune di Jesolo e quello di Cavallino Treporti, la cantina Mionetto e Roberto Castagner Acquaviti – ha raccolto numerosi consensi per la sua creazione 'Je's', cocktail preparato con la cuvée Sergio, fiore all’occhiello della storica cantina di Valdobbiadene Mionetto, Aqua 21, il primo distillato d’uva tutto italiano a soli 21 gradi e ultima creazione di Roberto Castagner, succo alla pesca Pago, Midori, Sambuca, cedrata, lime e menta. Ed è stato la vera tendenza proposta nei 30 chioschi del litorale jesolano aderenti all'iniziativa per promuovere la cultura del bere come sinonimo di piacere, di gusto e soprattutto di un cosnumo di alcool consapevole, sia in termini di prodotto, sia di riduzione di tasso alcolico, fornendo anche le corrette informazioni sui singoli ingredienti del famoso 'Je's'. Un'iniziativa volta anche a istruire il giovane pubblico sulla qualità dei prodotti consumati e a valorizzare la struttura del chiosco: da luogo identificato come punto di sosta veloce, a spazio di sosta piacevole per una pausa, guidati dall'esperienza dei barman per assaporare un cocktail d'autore. Nella foto (da sinistra): Francesco Calzavara - Sindaco Comune di Jesolo, Roberto Brunello - Titolare chiosco Zio Berto, Roberto Castagner - Roberto Castagner Acquaviti, Paolo Bogoni -
Mionetto Spumanti, Sante Vianello Consorzio Veneto Chioschi Promotion
La Triennale di MyChef
Sorpresa al Palazzo dell’Arte di Milano: Autogrill esce sconfitta nella gara per il rinnovo quadriennale della gestione del DesignCafè de La Triennale. All’apertura delle buste il colosso di Milanofiori, che si presentava all’appello confermando la sua partnership culinaria con Carlo Cracco, si è visto superare da MyChef, in lizza con un’offerta anche nella tornata precedente. La controllata della famiglia Benetton, presente in loco dal 2008, ha accusato il colpo (perlopiù d’immagine) ed è ricorsa al TAR, vedendosi riconoscere l’anomalia della procedura di valutazione delle offerte tecniche senza la presenza di rappresentanti aziendali. La Triennale ha quindi riaperto l’iter di valutazione delle offerte e nel mentre ha provvisoriamente affidato le chiavi dell’offerta ristorativa al team di Sergio Castelli. Il valore del lotto per l’offerta food & beverage per il quadriennio 2011-2015 era stimato a base d’asta in 400mila euro. Claudio Francesco Merlo
Lavezzini al Plaza e de Russie Al Plaza e de Russie di Viareggio, il più antico hotel della famosa cittadina balneare costruito nel 1871, c'è aria di novità. A dirigere i fornelli del ristorante dell'hotel, La Terrazza, il nuovo chef Paolo Lavezzini, toscano d'adozione, nato a Fidenza, ma cresciuto a Marina di Carrara. Con una formazione che lo vede prima all’Hotel Byron di Forte dei Marmi, poi a Parigi per due volte, da Paracucchi e al Plaza Athenée con Ducasse, infine all’enoteca Pinchiorri dove ha ricoperto il ruolo di secondo chef, Lavezzini si trasforma anche in impren-
Paolo Lavezzini ditore, diventando proprietario di ristorante per due volte: a Greenwich, nel Connecticut e, fra il 2008 e il 2010, a Marina di Carrara, con il ristorante in riva al mare Le Terrazze. Dal 2011 parte l'esperienza al Plaza e de Russie: la sua proposta è una cucina pulita ed essenziale, dove i sapori devono risultare netti, precisi, semplici anche nel piatto più particolare, come il risotto calamari, menta e lime. Gli ingredienti son quelli locali, grandi piatti di pesce e prodotti toscani, qualche piatto di carne, ma anche originali composizioni. Qualche esempio? Trofie con melanzane marinate, filetti di pomodoro e pecorino stagionato della Garfagnana, gamberoni fritti nella polenta con insalata di quinoa e salsa yogurt. Proposti anche piatti glutin-free e vegetariani.
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Sisifo-Fantozzi spera in un mondo migliore “Solo?” Il cameriere, all’ingresso del locale, “caldamente suggerito” dall’amico commercialista, vede benissimo che sei solo (dunque, non accompagnato), eppure ti chiede con discreta aggressività verbale se sei “solo”. Risposta positiva: “Sì, sono da solo”. Seconda domanda, come dentro a un film in cui l’ispettore di polizia interroga il sospettato, in un quarto grado incalzante: “Ma ha prenotato?”. Ti guardi in giro, vedi che il ristorante è semivuoto (sono già le 21.30 ed è mooolto raro che faccia il tutto esaurito a quell’ora) e rispondi: “No”. Replica seccato il cameriere (ma dalla faccia e dal tono potrebbe essere il patron): “Aspetti un attimo che vediamo”. E tu aspetti, perché sei gentile e ben educato e a scuola, quarant’anni fa, ti hanno insegnato che bisogna saper aspettare il proprio turno, con rispetto e discrezione. Lui ritorna: “Va bene, si sieda pure là”. E indica il tavolo peggiore, che per sederti devi fare gli equilibrismi, chiuso fra uno spigolo e una colonna: roba da contorsionisti, o da masochisti, fate voi. Raggiungo il posto, dal quale domino tutta la sala. Nel frattempo leggo il menù, sul quale evidenti e marchiane cancellature indicano che alcuni piatti sono “esauriti”. Così come i vini che, asteriscati con pennarello rosso, non sono presenti in cantina. Dunque, chiedo una bottiglia non asteriscata e – dopo un paio di minuti – arriva una signorina, mai vista prima (e per questo la saluto con un “buonasera!” a cui non segue risposta alcuna) che mi dice gentilmente “Purtroppo il vino da lei richiesto è terminato proprio oggi”. “Ma non c’è l’asterisco…” abbozzo io. “Non abbiamo fatto in tempo!” dice lei. “D’accordo”, replico, “berrò solo acqua, frizzante per favore”. Ovviamente l’acqua che arriva al tavolo è liscia (ovvero non gassata) e viene prontamente sostituita, con tanto di scuse. Sisifo ha gran desiderio di andarsene ma, or-
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mai, ci ha preso gusto: gli pare che, rimanendo seduto, possa godere (si fa per dire) di un osservatorio privilegiato su vizi, difetti, magagne e ingenuità di tanta ristorazione. Così, se il cestino nel pane è del giorno prima, le focaccine servite con olio extravergine di oliva sono buone e calde. Ma la pasta del primo piatto è scotta, e il sugo “all’amatriciana” sa soltanto di affumicato: immangiabile, anche per chi è “di bocca buona”. Con il secondo si riscattano, anche perché sbagliare con il “maialino da latte ormai uguale dappertutto” sarebbe proprio da fessi. Sisifo salta il dolce e il caffè, avanza solo una richiesta: “avete della frutta fresca, per caso”. Risposta eloquente: “Ma signore, questo è un ristorante, non un negozio di ortofrutta”. Fu così che Sisisfo battè la ritirata, pagando un conto adeguato al livello dell’offerta. Sperando in un mondo migliore… Sisifo
A Tavola con il Nobile: vince la contrada di Poggiolo La Contrada di Poggiolo, con “Cartoccio di pici all’aglione aromatico”, in abbinamento con Vino Nobile 2007 Dei e “Corone di Chianina con crema di Peconzola”, abbinate al Vino Nobile 2007 Ercolani, si è aggiudicata la nona edizione del premio enogastronomico “A
Tavola con il Nobile”, il concorso ideato dall’inviato del Tg2 Bruno Gambacorta con il Consorzio dei produttori del Vino Nobile di Montepulciano. «Il premio “A Tavola con il Nobile” – ha detto Bruno Gambacorta, presidente della giuria composta da 20 giornalisti – è un esempio di come l’Italia, attraverso il gusto, possa riuscire a far prevalere l’immenso patrimonio culturale legato alla tavola e che rimanda direttamente ai singoli territori, come in questo caso Montepulciano, patria di un grande vino quale il Nobile». In nove anni di concorso sono state recuperate oltre 150 ricette della tradizione del territorio, cucinate da oltre trenta massaie e giovani che proprio al fianco di queste “memorie viventi” della tavola potranno continuare la tradizione e la cultura enogastronomica che parte dal territorio. Tante le materie prime locali utilizzate in questi anni per proporre i piatti, a partire dalle farine, passando per gli ortaggi fino ad arrivare a le carni spesso ormai fuori dai “menu” casalinghi. Tra queste il coniglio, la faraona, il piccione. Senza dimenticare la pasta fatta in casa con le farine del territorio della Valdichiana. «Il Sistema Montepulciano si basa sull’interazione e il legame imprescindibile tra gli elementi di spicco del territorio – ha detto il presidente del Consorzio, Federico Carletti – e il vino e l’enogastronomia rappresentano proprio uno degli aspetti più tradizionali e particolarmente legati all’economia e alla conoscenza di Mon-
tepulciano. Per questo A Tavola con il Nobile può considerarsi un momento di promozione di uno degli aspetti che maggiormente muovono il turista». Madrina della nona edizione di A Tavola con il Nobile, la giornalista di Sereno Variabile Monica Rubele, giurata speciale tra le contrade di Montepulciano. «Per lavoro conosco l’Italia in lungo e in largo – ha detto la Madrina del premio – e mi rendo conto che uno degli aspetti più preziosi che si legano al territorio è proprio quello che riguarda l’enogastronomia che racchiude in sé la storia e le radici di ogni singola realtà». Si è chiusa così la nona edizione di “A Tavola con il Nobile”, manifestazione che anno dopo anno permette alla storia enogastronomica del territorio di ricomporsi intorno al prodotto per eccellenza, il Vino Nobile di Montepulciano, divenendo per le contrade del Bravìo delle Botti un entusiasmante “tavolo” di confronto prima della fatidica gara dell’ultima domenica di agosto. L’albo d’oro di A Tavola con il Nobile annovera le seguenti contrade: San Donato (due volte), Collazzi (due volte), Gracciano, Voltaia (due volte), Cagnano e per la prima volta Poggiolo. Claudio Zeni
Nuovo direttore marketing per Santa Margherita Si chaima Stefano Silenzi il nuovo Direttore Marketing di Santa Margherita Gruppo Vinicolo. Proveniente dal Gruppo Italiano Vini, dove ha ricoperto per sette anni analoga funzione, Stefano Silenzi ha iniziato il suo percorso professionale in Ferrero, con importanti responsabilità in Bongrain Italia (azienda leader in Europa e nel mondo per la trasformazione del latte), fino all’ingresso nel 2004 nel mondo del vino, e da oggi Direttore Marketing di Santa Margherita. Si occuperà di pianificare, gestire, realizzare e controllare tutte le attività worldwide di marketing e comunicazione, in collaborazione con il top management del Gruppo: "Sono felice di questo nuovo, stimolante incarico – sottolinea Stefano Silenzi - in
cui avrò l’opportunità di avvalermi delle mie esperienze nel marketing a livello internazionale, per portare avanti il percorso di crescita già intrapreso dall’Azienda in questi anni.”
alla professionalità del servizio”. Nella foto: Irina Freguia e Daniele Zennaro a Palazzo Grassi Cafè.
La Cave au Chocolat del Four Seasons
Stefano Silenzi
Vecio Fritolin sul Financial Times Deve essere stato amore a prima vista, anzi a primo assaggio, quello che è sbocciato tra il giornalista del Finalncial Times Nicholas Lander e lo storico ristorante Vecio Fritolin di Venezia, a dua passi da Rialto. Tanto che il famoso fritto misto ha conquistato le pagine 'finanziarie' del quotidiano inglese. “Il fritto misto rimane senza alcun dubbio il nostro piatto più richiesto - spiega Irina Freguia, cuore e anima del ristorante – anche se ora la cucina si sta evolvendo grazie alla creatività e professionalità dello chef Daniele Zennaro”. Il giornalista, in laguna per l’apertura della Biennale, ha colto l’occasione per vedere il nuovo Caffè Quadri ristrutturato, ha visitato il ristorante e ostello Venissa, e infine si è concesso una cena al Vecio Fritolin, replicata per altre tre sere. “Conosco Nick dal 2003, anno della prima recensione del Vecio Fritolin sul Financial Times – dice Irina –. Ho voluto fargli conoscere le ultime novità nel panorama della ristorazione veneziana che, assieme alle realtà già esistenti, segnano una maggiore attenzione alla tradizione enogastronomica veneziana, alla qualità dei prodotti e
Il nuovo segreto del Four Seasons Hotel Milano è racchiuso in un dolcissimo cavò: apre infatti la prima cantina di cioccolato. Lo Chef Sergio Mei e i pasticcieri dell'hotel hanno ricreato una scenografica cantina vinicola, dove tutto, in realtà, è di cioccolato, dalle pareti alle bottiglie pregiate, dal decanter ai calici, dalle barriques ai tappi di sughero. Entrando nella Cave au Chocolat si potrà degustare il ricco assortimento di ciccolato proposto in svariati gusti e forme: mousse, cioccolatini, creme, soufflè e tante sorprese. Un'esperienza avvolgente ideata sia per gli adulti, a cui vengono proposti abbinamenti con liquori, digestivi, sigari di cioccolato e bevande al cacao aromatizzato, sia per i più piccoli. La Cave au Chocolat prevede un costo fisso d'ingresso ed un consumo illimitato di cioccolato. Per informazioni e prenotazioni: Four Seasons Hotel Milano, telefono 02 77081435.
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PRODOTTI, flash, novità, le aziende e il mercato Formaggi Brazzale: la filiera è certificata Brazzale Spa, antica azienda familiare italiana del settore lattiero caseario, ha ottenuto importanti riconoscimenti sulle filiere di produzione. Il gruppo – dal 2002 in società con l'azienda Zaupa, realtà di eccellenza nelle paste filate e pressate – , è dal 1945 socio fondatore di Assolatte e dal 1954 parte del Consorzio di tutela del Formaggio Grana Padano, socia del Consorzio di tutela dell’Asiago e del Provolone Valpadana. Sei i marchi commercializzati: Alpilatte, Il Burro delle Alpi, Verena, Zogi, Gran Moravia e Silvopastoril. E sono proprio le filiere Gran Moravia e Verena che hanno ottenuto la certificazione di rintracciabilità della filiera agroalimentare secondo la norma UNI EN ISO 22005:2008 dall’ente indipendente di certificazione DNV Business Assurance. DNV ha riconosciuto ai due formaggi Gran Moravia e Verena e alle loro filiere, il rispetto dei requisiti della norma, in un’ottica di salvaguardia dell’ambiente, da tempo obiettivo di eccellenza del gruppo Brazzale nella gestione delle proprie filiere. “Con questo grande passo – afferma Roberto Brazzale, presidente della società capogruppo – vogliamo offrire alla nostra clientela una garanzia, tracciando ogni fase produttiva dal campo al prodotto finale. A tal fine l’incarico è stato affidato a DNV Business Assurance, perché abbiamo trovato in loro un partner attento e specializzato nelle tematiche della ecosostenibilità del settore food. Le qualità ambientali delle due filiere si traducono in modo diretto nella genuinità e qualità organolettica
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dei prodotti finiti, facendone formaggi unici sul mercato. Siamo felici di vedere realizzati, uno dopo l’altro, i progetti di filiere innovative agroalimentari, nei quali da tanti anni investiamo tutte le nostre energie". Dieci anni fa il gruppo Brazzale ha infatti deciso di orientare il proprio sviluppo verso la creazione di sistemi agro industriali fondati su una base agricola e zootecniche sostenibili, in grado di migliorare l’impatto ambientale dei sistemi tradizionali e la genuinità dei prodotti.
Carne d’agnello inglese: export in crescita
mento del 22%. “Sono i tagli più costosi quelli maggiormente richiesti dal mercato – spiega Jeff Martin –. L’aumento delle vendite è da attribuirsi a una generale riduzione del prezzo del prodotto che è tornato a essere molto più competitivo rispetto a qualche mese fa. Inoltre, la carne di agnello inglese è presente sul mercato italiano in modo sempre più uniforme e costante ”. Ed è sempre più apprezzata sia dal consumatore, che la può acquistare nelle principali catene della grande distribuzione, sia da chef e ristoratori.
Cantina Majolini: porte aperte per il Festival Sono 50 le aziende vinicole della Franciacorta che, in occasione del Festival della Franciacorta, hanno aperto le cantine a tutti gli appasionati. Un momento enogastronomico per scoprire non solo vini e spumanti,
“L’industria inglese delle carni dimostra ancora una volta di godere di ottima salute”. Lo afferma Jeff Martin, responsabile Eblex Italia (l’Ente che sostiene il comparto delle carni bovine e ovine inglesi in tutta la filiera), in occasione della diffusione dei nuovi dati relativi all’export di carne inglese. Da gennaio a maggio 2011 la Gran Bretagna ha esportato in tutto il mondo 34.270 tonnellate di carne d'agnello (lamb), registrando un +5,6% sull’anno precedente. Negli stessi mesi l’Italia ha importato agnello per 1.120 tonnellate, contro le 917 del 2010, con un au-
ma anche i prodotti enogastronomici del territorio, attraverso numerose degustazioni in cantina, eventi musicali e artistici, e itinerari alla ricerca degli angoli più belli della Franciacorta. A questo appuntamento non poteva mancare la Cantina Majolini che ha aperto le proprie cantine a visite guidate e degustazioni enogastronomiche. Per l’occasione, infatti, si è tenuta una degustazione di Franciacorta accompagnata da un ricco assortimento di formaggi Caprini, dal raro Salume di Capra, prodotto dall’Azienda Agricola Val Persane in provincia di Brescia, dal Culatello DOP di Zibello (stagionato dai 20 ai 24 mesi) fino allo Strolghino, il Salame di Culatello della Salumeria Sapori della Bassa, in provincia di Parma. E non sono mancate le degustazioni proposte da Majolini: Franciacorta Brut, Satèn, Pas Dosé, l’Electo – annoverato tra i grandi della Franciacorta –, Rosé Altèra, Demì Sec Rosé e il nuovo Blanc de Noir.
Il calice perfetto del Franciacorta 42 cl, 237 mm di altezza e 87,2 mm di diametro. Sono queste le misure dell'esclusivo calice per degustare al meglio il Franciacorta, eletto dal Consorzio per la tutela del Franciacorta e messo a punto da esperti del settore con l'obiettivo di realizzare un oggetto di design ricercato e di grande eleganza, capace di esaltare in ogni suo aspetto l’eccellenza del Franciacorta. Fornitore esclusivo del calice, l'azienda Rastal che ha realizzato il prezioso oggetto in vetro cristallino “super strong”, più robusto del 40% rispetto al normale e con una resistenza all’utilizzo e ai lavaggi di gran lunga superiore rispetto ai calici tradizionali. Al contrario, il gambo del calice si presenta molto sottile per ottenere un perfetto equilibrio delle forme. Il calice Franciacorta è inoltre privo di piombo per assicurare una trasparenza perfetta, consentendo un’eccellente analisi visiva
del Franciacorta e l’ampia apertura della coppa a forma di tulipano arrotondato esalta gli aromi e la facilità di mescita e di assaggio. Una effe merlata sul piattello, simbolo delle antiche torri medievali del territorio, identifica il marchio del Consorzio.
T’a, cioccolato alla stato puro Tancredi a Alberto Alemagna hanno concretizzato un piccolo sogno: pro-
durre e distribuire cioccolati di alta qualità in Italia e all'estero. Nel 2007 nasce T'a (il nome deriva delle iniziali dei fondatori), una perla nel panorama della produzione di cioccolato artigianale, che nel giro di pochi anni ha conquistato l'attenzione non solo di un pubblico attento ed
esigente, ma soprattutto della Compagnia del Cioccolato che ha consegnato a T'a il Premio 'Emergenti 2010' e il premio 'Miglior ciccolatino ripieno 2011'. Sempre nel 2011 anche il riconoscimento durante la manifestazione Vinitaly come 'Miglior azienda dolciaria'. La gamma dei
prodotti T'a soddisfa ogni gusto, proponendo inedite creazioni rivolte al privato e prodotti sfusi per la ristorazione, come gli ultimi nati: 'I Tostati', ciccolatini ripieni mono incartati. Tra le novità 2011 segnaliamo le Praline, la Spalmabile alla mandorla, e 100% Frutta, piccole gocce di polpa di frutta ricoperte di cioccolato. Anche il packaging merita particolare attenzione: i pack sono studiati da giovani designer e la carta utilizzata negli imballagi è ottenuta mescolando gli scarti ricavati della fermentazione della birra con la cellulosa. I prodotti T''a sono distribuiti in Italia in oltre 200 punti vendita, pasticcerie, enoteche, bar e gourmet store. Nella foto: 100% Frutta.
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Buffet no problem Con la nuova linea Big Buffet di Villeroy & Boch organizzare buffets diventa facile e divertimente. La collezione permette di creare infiniti abbinamenti, grazie alla vasta scelta di stoviglie proposte in diverse forme, realizzata in Premium Bone Porcelain che assicura alta qualità, durata nel tempo e la purezza del colore bianco. Articoli componibili e intercambiabili fra loro: Cera, Dune, Flow, New Wave, PiCarrè, Urban Nature, Marchesi, Nubo e Universal sono le proposte per ogni momento della giornata, dalla colazione, al brunch, dal pranzo alla cena, un'idea vincente dedicata soprattutto a ristoranti, bar e alberghi.
Rocca delle Macie: vendemmia anticipata L'azienda Rocca delle Macie, a Castellina in Chianti, ha dovuto fare i conti con il grande caldo che a metà agosto ha investito la nostra penisola: una corsa contro il tempo per salvare il bagaglio aromatico delle uve ed evitare così la perdita di un intero raccolto. I ritmi di lavoro hanno subito una brusca accelerazione, è stata reimpostata la vendemmia e in tempo reale sono state richiamate tutte le maestranze. Così è iniziata la raccolta del vermentino e del merlot, con un anticipo di una ventina di giorni rispetto allo scorso anno. “Dire che è successo tutto in modo molto veloce è poco -dice Luca Francioni, enologo dell’azienda Rocca delle Macie a Castellina in Chianti-. Fino al 12 agosto la maturazione delle uve rispetto al clima è proseguita in modo perfetto. A giornate calde e assolate sono seguite notti fresche: la pianta, grazie agli abbassamenti delle temperature, svolgeva il suo lavoro per immagazzinare aromi senza affanno. Uve sane che hanno raggiunto la matura-
zione con la giusta progressione. Poi le temperature molto alte sono diventate troppo costanti e abbiamo deciso di raccogliere in corsa”. La vendemmia in tempo reale ha dato i suoi frutti: in cantine le uve bianche erano già al massimo della maturazione e con la raccolta anticipata si è evitato il peggio, ovvero che gli acini si svuotassero del loro prezioso succo.
Escargot Riedel: 100% cristallo Trova ispirazione dal mondo animalier il nuovo decanter di Riedel. Si chiama Escargot, è realizzato a mano da maestri vetrai ed è rigorosamente in cristallo senza piombo, una scelta produttiva che non va a intaccare a funzionalità dell'oggetto, aggiungendo il vantaggio di una riduzione del peso di ciascun decanter di oltre il 18%. Ma al di là dell’estetica, come per tutti gli oggetti Riedel – calici in primis – la forma originale del decanter Escargot rivela anche una propria funzionalità: in questo caso l’obiettivo è ossigenare il vino in maniera corretta permettendo una sorta di doppia ventilazione. Quando il vino viene travasato dalla bottiglia, con il decanter tenuto in posizione verticale, si innesca una prima ossigenazione; poi, quando viene adagiato sul tavolo nella sua posizione orizzontale, ulteriore aria fresca viene convogliata al suo interno, così come mentre si versa il vino nei calici attraverso il lungo collo dell’Escargot. Capacità 1400 cl.
Zucchi, il nuovo formato per la ristorazione Oleificio Zucchi estende la propria offerta al canale Ho.Re.Ca., proponendo un nuovo formato in PET da 10 litri la gamma degli oli di oliva, che va ad affiancarsi a quella già esistente degli oli di semi. Il nuovo formato nasce per incontrare le esigenze di operatori professionali, ma anche alla à della confezione e al rapporto qualità/prezzo. Il nuovo formato è commercializzato in esclusiva sul mercato degli operatori professionali (attività di ristorazione, mense, ospe-
dali e collettività) e presenta una confezione pratica e maneggevole: grazie all’apposita maniglia, è facile da sollevare e trasportare. La bottiglia in PET, studiata nel colore verde scuro, favorisce una migliore conservazione del prodotto. Il nuovo formato da 10 litri è disponibile con i marchi Le (Olio extra vergine di oliva e Olio di oliva) per il mondo dell’Ho.Re.Ca. e per l’export, e Orfeo (Olio extra vergine di oliva, Olio vergine di oliva e Olio di oliva) per il segmento dei primi prezzi. Zucchi
suggerisce inoltre l’utilizzo della bottiglia vuota da 10 litri come contenitore per l’olio esausto, da portare all’isola ecologica del proprio Comune per lo smaltimento dell’olio.
KV Nordic, il salmone irlandese Eurofood pensa già al Natale con una novità adatta alle feste invernali: il salmone Irlandese KV Nordic, affumicato con legni di antiche botti di whisky, adatto anche come gradito regalo. Il salmone irlandese Eurofood è pescato nelle acque fredde della costa ovest irlandese, appartiene alla specie Salmo Salar, ed è caratterizzato dal colore
rosa intenso e carni particolarmente magre. KV Nordic garantisce una lavorazione attenta che ne conserva tutte le caratteristiche: in particolare la fase di affumicatura viene realizzata attraverso un sapiente e accurato impiego di legni provenienti dalla dismissione di vecchie botti di whisky, che conferiscono al salmone un gusto unico. Già preaffettato, è disponibile in due grammature: KV Nordic Irish al whisky astuccio da 100 g, Salmone KV Nordic Irish al whisky astuccio da 300 g.
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Alambicco d’Oro per Francoli L'Anag (Associazione Nazionale Assaggiatori Grappa e Acquaviti) ha premiato con l'Alambicco d'Oro le 35 migliori grappe per categoria in concorso: dalla grappa giovane a quella invecchiata e a quella affinata in legno, da quella aromatizzata al distillato d’uva. Tra le premiate segnaliamo la Grappa Luigi Francoli Sorsi di Erbaluce delle distillerie Francoli come migliore Grappa giovane, parte della linea Luigi Francoli Sorsi di Luce. Una grappa, quella premiata, dedicata esclusivamente alla ristorazione gastronomica e all’enoteca, che nasce da un raro vitigno a bacca bianca, aromatico al punto giusto e presente quasi esclusivamente nel Piemonte settentrionale. Dopo la distillazione beneficia di un affinamento di almeno 6 mesi in contenitori inerti per raggiungere l’equilibrio perfetto del proprio profilo organolettico. Grande attenzione anche nel packaging di presentazione.
Gerardo Cesari a Vino Vip Dal 3 e al 5 settembre Cortina d'Ampezzo ha ospitato l'ottava edizione di VinoVip, summit italiano del vino di pregio ideato e organizzato da Civiltà del Bere. Per la prima volta la manifestazione ha visto tra i protagonisti 'Classics' di VinoVip la cantina Gerardo
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Cesari, azienda fondata nel 1936 e sinonimo dei vini veronesi nel mondo, come il noto Bosan. L'azienda di Cavaion Veronese, grazie allo spirito imprenditoriale di Franco Cesari, è stata una delle prime aziende a esportare l'Amarone nei cinque continenti e la partecipazione all'evento rivela le nuove strategie comunicative dell'azienda. L'evento ha registrato più di 2000 partecipanti, fra cui professionisti del settore, giornalisti, sommelier, ristoratori, molti appassionati e fini conoscitori. Giuseppe Martelli, direttore generale di Assoenologi, ha inoltre presentato in anteprima le previsioni sulla vendemmia 2011.
La Triennale Bovisa festeggia con Cantina Ponte La Viticoltori Ponte, azienda fondata nel 1948, con 1500 soci e 2 mila ettari di vigneti, è oggi la prima cooperativa vinicola delle provincia di Treviso con una produzione di oltre 9 milioni di bottiglie distribuite in 60 province italiane e in 22 paesi esteri, nonchè 5 punti vendita a Ponte di Piave, Villorba, Vedelago, Eraclea e Caposile. Un prestigio che si rispecchia anche nel sostegno di importanti attività dedite alla promozione della cultura. La Viticoltori Ponte festeggia infatti la nuova stagione alla Triennale Bovisa di Milano con il Prosecco Millesimato Doc Treviso e il nuovissimo Prosecco Millesimato del Gran Teatro La Fenice, promuovendo con orgoglio le attività di uno degli spazi più interessanti di Milano. La Triennale Bovisa, con una superficie di 1400 metri quadrati, propone mostre ed esposizioni temporanee, ma anche eventi, concerti e manifestazioni all’aperto.
La nuova pausa caffè Da Tenacta Group, holding italiana a cui fanno capo i tre brand Collexia Professional, Imetec e Caffè del Caravaggio, si affaccia al mondo dell'Ho.re.ca con un importante novità dedicata alla pausa caffè. Con il sistema 'Caffè del Caravaggio' si possono scegliere quattro varietà di miscele: Intenso, Vellutato, Vigoroso e Decaffeinato, a cui si aggiunge l'innovativa tecnologia della macchina progettata esclusivamente per queste miscele. Un sistema di moduli indipendenti, che permette al ristoratore di allestire la macchina secondo le proprie necessità e di modificarla in un secondo momento, racchiude un microcomputer in grado di controllare temperatura, pressione e tutti i parametri di estrazione per assicurare un risultato ottimale. Dopo solo tre minuti dall'accensione la macchiana è pronta per il primo caffè. Completa la gamma del 'sistema' la linea di tazzine Thermo Cup, realizzata dal designer Giorgio Tedioli e i cucchiaini progettati per favorire la miscelazione
dello zucchero mantenendo la compattezza della crema. L'organizzazione commerciale è stata affidata alla rete vendita Pellegrini Spa.
Recco, la focaccia è IGP Non una crescenza da banco reperibile in qualsiasi supermercato, ma un formaggio creato ad hoc per la focaccia di Recco. Ed è sul noto formaggio ligure che si sono scatenate obiezioni circa l'inserimento del disciplinare dell'uso di latte ligure tracciato – molto più costoso secondo i firmatari dell'istanza che ne discutevano la tracciabilità – per la preparazione della tipica focaccia di Recco, prodotto di origini secolari da considerarsi sinonimo di una regione e di un paese ben preciso. Da qui la diatriba volta a sostegno dell'ottenimento della certificazione europea per la focaccia di Recco IGP, preparata esclusivamente con latte ligure trasformato in Formaggio Fresco L.L.T.. Il Consorzio Focaccia, grazie al supporto Regione Liguria e Camera di Commercio di Genova, ha finalmente decretato il verdetto: garantita la filiera di produzione focaccia di Recco IGP. Così, in sinergia con i caseifici accreditati e firmatari del protocollo d'intesa, ogni consegna di formaggio fresco L.L.T. sarà accompagnata da un documento di tracciabilità che testimonia la provenienza dalle varie stalle e relativi allevatori del lotto di latte trasformato,
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Vini Bianchi d’Alsazia e che garantisca la continuità della filiera fino al ristorante, panificio o asporto del Consorzio, utilizzatore finale del formaggio, per la produzione della focaccia. Gli associati al Consorzio, nell'ambito della zona di produzione inserita nel disciplinare IGP, Recco, Sori, Camogli e Avegno, segnaleranno all'interno dei propri locali il rispetto della filiera di produzione in atto.
Passepartout Menu, il software intelligente Da oltre vent'anni il marchio Passepartout è presente sul mercato italiano
con una rete consolidata di oltre 250 strutture su territorio e 65.000 utenti, offrendo pratiche soluzioni dedicate al settore ho.re.ca, grazie alla funzionalità dei propri software gestionali. Passaepartout Menu, il nuovo software gestionale, garantisce un servizio veloce e preciso, permettendo di tenere sotto controllo le scorte e il magazzino, fidelizzare i clienti con iniziative e promozioni, sorvegliare e analizzare l’andamento dell’attività e gestire con precisione le diverse comande: menu degustazione, varianti, piatti divisi, gestione delle uscite, invio delle comande ai centri
di produzione. Ottimizzato anche per le ordinazioni da asporto e per la vendita diretta dei prodotti, il programma supporta la gestione completa dei tavoli dalla prenotazione all’emissione del conto, anche con il supporto di palmari e pc touchscreen.
I Grandi d’Alsazia a Milano Grazie alla collaborazione con il portale Milanodabere.it, i grandi Vini Bianchi d’Alsazia diventano protagonisti di un percorso tutto milanese. Quattro le tappe meneghine che hanno fatto rivivere, durante il mese di settembre, i sapori del territorio alsaziano: l'Enoteca Bacco in via Pirano 4, Anadima in via Pavia 10, Ostriche&Vino in via Cirillo 14 e l’Enoteca Bosco Grosso in via Giacomo Watt 14. Ostriche&Vino, terza tappa del tour, ha inoltre organizzato degustazioni di Riesling Duttemberg 2008 Domaine Gresser, un Gewurztraminer Kritt 2009 Domaine Gresser e un Pinot Gris Grand Cru 2008 Kirchberg de Barr Alsace Willm. A disposizione delle quattro enoteche, un kit composto da materiale informativo messo a disposizione dal CIVA – Conseil Interprofessionnel des Vins d’Alsace -, organizzatore dell'evento, al fine di personalizzare il proprio locale: poster della strada dei vini d’Alsazia, cartine
in rilievo, brochure che descrivono la regione e i suoi vini, card plastificate che propongono diversi abbinamenti con le varietà di vini d’Alsazia.
Il nuovo logo Molini PIvetti A Renazzo, nel comune di Cento in Emilia Romagna, nella seconda metà del 1800 parte l'avventura della famiglia Pivetti e del suo molino. Oggi la quinta generazione porta avanti l'azienda grazie alle innovazioni tecnologiche che permettono di produrre farine di alta qualità. Nuovi prodotti, nuove idee, nuovi packaging per i prodotti della Molini Pivetti e anche un nuovo logo, rivisitato dallo studio grafico-pubblictario Young & Rubicam, con l’obiettivo di rendere ancora più forte e incisiva l’immagine del brand: la scritta 'Pivetti' – mantenuta in blu, colore istituzionale dell'azienda – richiama il logo originario, all’interno di un bottone ovoidale dai segni tridimensionali. Il risultato è un logo che si vuole distinguere con una grafica semplice, ma di forte impatto visivo.
Antico Pastificio Setaro
dal 1939 Locanda Sandi: un autunno di nuovi sapori All’interno della Tenuta Villa Sandi di Valdobbiadene, nella Marca Trevigiana, la Locanda Sandi propone le nuove ricette e i nuovi vini da abbinare, dedicate all'autunno. In un ambiente semplice e raffinato, ricavato da una tipica casa colonica ristrutturata seguendo i caratteri originari, sei camere accolgono gli ospiti per un iter dedicato ai sapori autunnali. Tra le proposte dello chef segnaliamo il risotto mantecato al formaggio 'forme' e mentuccia, il petto d’oca al Marinali Rosso e cipolline borettane, pere San Pietro al Raboso Passito e mousse alla cannella. Vino per eccelenza della cantina Villa Sandi, ideale per accompagnare i piatti proposti, è il 'Marinali Rosso', premiato a giugno con la Medaglia d’Oro alla “Sélections Mondiales des Vins” in Canada. Il 'Marinali Rosso', Marca Trevigiana I.G.T., è un vino che nasce da uve Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, provenienti dalla tenuta Villa Sandi di Crocetta del Montello, fatto affinare in barriques di rovere francese di Allier. Le botti per la maturazione delle grandi riserve come questa, vengono ospitate nelle cantine sotterranee di Villa Sandi che si estendono per oltre un chilometro.
Rocca ha presentato Damianissima.925, la prima collezione in argento firmata Damiani, il tutto accompagnato dal famoso Mintonic, il cocktail a basa di Brancamenta, Tonica, zucchero di canna e menta. Fratelli Branca Distillerie hanno inoltre presentato il proprio Spumante Bellarco.
Crick da winebar Artis, azienda specializzata nella produzione di accessori dedicati al mondo del vino, arricchisce la collezione di cavatappi con l'ultima creazione realizzata dal designer Giuseppe Todeschini. Crick, il nome del nuovo cavatappi, riprende il semplice principio dell'omonimo strumento: una base eccentrica consente al verme di inserirsi sempre al centro del tappo, una sola leva di comando e l'originale meccanismo 'a cricchetto' permettono una graduale estrazione del tappo anche con una sola mano. Il cavatappi Crick, prodotto con leghe speciali di alluminio ad alta resistenza e acciaio inox, è oggi in vendita, come tutta la gamma degli attrezzi proposti da Artis, anche in numerose enoteche e winebar, a completare l'offerta dedicata agli appassionati del vino.
Brancamenta is fashion Vogue Fashion's Nignt Out. La movida milanese si è concessa un inedito sodalizio che ha visto due protagoniste della serata modaiola: la Gioielleria Rocca 1794 di piazza Duomo e i Fratelli Branca Distillerie. Per l'occasione
Pastificio F.lli Setaro S.r.l. Via Mazzini, 47 - Torre Annunziata 80058 (Napoli) Tel. +39 081 861.14.64 - +39 081 862.69.13 Fax +39 081 861.91.59 - info@setaro.it - www.setaro.it
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MERANO Wine Festival compie 20 anni
Per il ventesimo anno il Merano Wine Festival propone agli enoappassionati e ai gourmet il meglio della produzione vinicola italiana e internazionale, proposta attraverso degustazioni, assaggi, approfondimenti, incontri con i produttori e gli enologi. Da sabato 5 a lunedì 7 novembre si susseguono infatti meeting
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e wine tasting, resi possibili grazie ai banchi d’assaggio allestiti dai produttori selezionati, rappresentativi della vitivinicoltura d’eccellenza italiana e di tutto il mondo. Fra le novità di questa edizione 2011, lo spazio dedicato al Sudafrica che, attraverso la presenza delle proprie aziende vinicole più importanti, offre
uno spaccato dell’offerta del proprio territorio vocato alla vitivinicoltura d’eccellenza. Inoltre, in questa edizione completamente rinnovata, vengono proposte in degustazione “vecchie annate”, ovvero millesimi che, ad oltre dieci ani dalla vendemmia, rivelano una particolare “tenuta” e confermano il valore e la serbevolezza di certe etichette, non a caso definite “storiche”. Accanto alle produzioni di Germania, Austria, Svizzera, Portogallo, Spagna, Cile, California, Argentina, Australia, Nuova Zelanda, Slovenia, Ungheria e Serbia, spicca anche la presenza dei viticoltori “emergenti”: new entry che si distinguono per la loro coraggiosa intraprendenza e versatilità imprenditoriale. Merano Wine Festival si riconferma così come un importante osservatorio privilegiato sulle tendenze in atto nel mondo del vino, sia a livello produttivo sia gustativo. Sotto il profilo gourmet, Wine Festival vede ancora la presenza di Culinaria, “l’evento nell’evento” che trova coinvolte prestigiose aziende del food di eccellenza, impegnate da anni nella produzione di vere e proprie “chicche”, molto ambite da chef e consumatori alla ricerca incessante di materie prime caratterizzate da alta qualità.
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Brand nuovi e storici il gran fiuto di BISCALDI
di Luisa Contri Si deve a Pietro Biscaldi gran parte della rivoluzione in atto nel mondo del beverage italiano, alcolico e non alcolico. Grazie alle sue intuizioni e alla sua passione, negli ultimi anni ha trasformato l’azienda di famiglia in una sorta di punto di riferimento per quei professional alla ricerca di prodotti di identità, nei quali qualità e origine si impongono sopra ogni altro valore. Nel mondo del beverage il gruppo Biscaldi è indiscutibilmente un riferimento, un’istituzione. Sotto la guida prima del fondatore, Luigi Biscaldi, fra il 1969 e il 1988, e oggi del figlio, Pietro Biscaldi, che ne è amministratore delegato dal 1989, quest’azienda genovese d’import-export calca le scene interpretando invariabilmente il ruolo di talent scout. E mietendo tali e tanti successi da dare l’erronea impressione che quello dell’importatore di bevande sia un mestiere tutto sommato semplice e alla portata dei più. Ci vuole invece un gran fiuto per selezionare quanto di più originale, nuovo, raffinato, suggestivo e qualitativamente valido esce dagli stabilimenti di grandi e piccoli
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produttori esteri di bevande alcoliche e non. Bevande, in altre parole, che abbiano i requisiti per diventare delle «dive», come le chiamano in Biscaldi. Ma non basta. Ci vuole anche passione, pazienza, impegno, creatività ed esperienza per fare di prodotti sconosciuti al vasto pubblico bevande di tendenza, capaci in diversi casi di andare ben oltre il consumo di nicchia. E non deve mancare una buona dose di fermezza, decisione e coraggio, per competere in un mondo del business in cui le fredde ragioni del profitto sempre più spesso prevalgono sul tener fede alla parola data. Il tutto in un periodo in cui la crisi non accenna a rallentare la sua morsa. Quali sono i segreti del successo del gruppo Biscaldi ieri e oggi? «Nei primi tempi», spiega ad Artù Pietro Biscali, «la scelta di mio padre di localizzare l’azienda a Genova, città ove s’era trasferito per lavoro, invece che nella nativa Novara, giocò un ruolo decisivo. Fin dagli anni Sessanta, proprio a Genova, la domanda di bevande alcoliche estere era fortissima. Parecchi bravi barmen formatisi sulle navi da crociera avevano scelto la città della Lanterna come location ove avviare un’attività in proprio, una volta sbarcati. E, per proporre agli italiani i cocktail tanto amati dalla clientela americana delle navi da crociera, necessitavano di bevande e di liquori d’importazione che venivano forniti loro da diversi imprenditori che, proprio in quegli anni, avevano avviato un’ attività d’import-export in città. Ciò spiega il fatto che se non fossimo stati a Genova e se non ci fossimo fatti presto un nome con successi come quelli della birra tedesca Holsten, di cui ai tempi arrivammo a importare 150 mila casse l’anno, o di quella alsaziana Fischer Gold, la prima a essere proposta in Italia con il tappo a macchinetta (quello di ceramica con la rondella in gomma e la gabbia in metallo, ndr), difficilmente saremmo entrati nel panel d’importatori che le grandi multinazionali del beverage invitavano agli incontri di presentazione in Italia dei loro nuovi prodotti». Oggi, a contribuire al successo del gruppo Biscaldi e delle sue «dive», più
che la localizzazione a Genova – che pur mantiene un senso anche in termini logistici, perché nei locali del CentroSud Italia le nuove mode del bere s’affermano 3-4 anni dopo che al Nord – è la sua capacità di selezionare le bevande di domani. E di portarle al successo impiegando le più appropriate strategie di marketing e investendo non poche risorse: mediamente la spesa promo-pubblicitaria del gruppo Biscaldi a sostegno dei brand gestiti ammonta la 10% dei ricavi annui. «In passato, come ancora oggi», sottolinea Biscaldi, «nel nostro portafoglio marchi convivono bevande di tendenza, che abbiamo scoperto durante uno dei nostri viaggi all’estero e che abbiamo chiesto ai produttori di poter importare in esclusiva in Italia, e bevande che ci sono state proposte dai produttori stessi». Il loro comun denominatore è l’origine, che deve essere sempre suggestiva, deve trasmettere sensazioni e valori che creino un legame con il consumatore. Alcune bevande possono vantare una lunga storia, essere frutto di una tradizione affermatasi nel tempo e radicata nella cultura del paese di provenienza. Altre, quelle più innovative, devono comunque potersi distinguere per l’origine sia essa da un paese che anticipa le mode o da uno che stimola l’immaginario. Altri elementi comuni delle «dive» Biscaldi sono la qualità intrinseca (non avrebbe senso, neppure economicamente, spostare da un continente all’altro bevande di bassa qualità) e la bontà. Una capacità dunque d’incontrare il gusto degli italiani,
che va valorizzata con confezioni originali, distintive, eleganti e curate nei minimi dettagli. Bevande che in alcuni casi approdano in Biscaldi avendo una loro personalità già ben definita. Ma in altri sono frutto di uno studio congiunto fra gli specialisti del gruppo genovese e i produttori. «Vivaloe, per esempio», racconta Biscaldi, «è una nuova bevanda isotonica contenente aloe vera che abbiamo messo a punto insieme a un produttore di bevande americano conosciuto casualmente negli uffici dell’agenzia che cura la distribuzione della nostra acqua Ty Nant negli Stati Uniti. Mentre conversavamo saltò fuori che importava da Taiwan una bibita contenente aloe vera e che aveva pensato di proporne su mercato una versione di fascia ultra premium, che non sapesse di sintetico, che fosse imbottigliata in asettico e che si presentasse in una confezione bella e globale. Finimmo per accettare la sua proposta di partecipare alla definizione del nuovo prodotto. Nella fase di definizione del suo gusto, per ben cinque volte, il produttore ci fece recapitare a Genova campioni da assaggiare. Altre due volte ci recammo noi a Taiwan e, a forza d’assaggi per definire qual era la sfumatura dolce più giusta, abbiamo rischiato il coma diabetico. Quest’estate me ne portavo in barca almeno cinque casse la setti-
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mana ed è stata una soddisfazione vedere com’era apprezzata da tutti coloro cui la offrivo». Un altro esempio di prodotto che i Biscaldi hanno contribuito a creare, questa volta nella componente del packaging, è l’acqua minerale Tau, che sgorga da una fonte dei monti cambrici gallesi ed è imbottigliata dallo stesso imbottigliatore dell’acqua Ty Nant, con il quale il gruppo è da tempo entrato in società. «È un’acqua contemporanea», sottolinea Biscaldi, «proposta in una bottiglia che abbiamo voluto dal design minimalista. Ha fatto subito breccia fra chi è alla ricerca dell’eleganza e del pregio in ogni dettaglio, tanto che è stata anche d’ispirazione per un grande stilista». Portare al successo bevande al-
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coliche e non buone, ma particolari, richiede tempo e lavoro. «I primi anni sono tutti in salita», avverte Biscaldi. «Se uno spera di guadagnare nei primi 12 mesi dal lancio, si sbaglia di grosso. Prima di un anno e mezzo è impensabile vedere i risultati della spinta e dello sviluppo. I guadagni, se tutto va bene, arrivano dopo 36 mesi». E la rapidità con cui una bevanda fa presa sul canale horeca piuttosto che su quello retail è più spesso determinata dal mercato che non frutto di strategie studiate a tavolino. «A volte le cose vanno come preventivato», racconta Biscaldi. «Era prevedibile, per esempio, che una birra dalla forte connotazione etnica come Asahi trovasse il suo sbocco prioritario nei ristoranti giapponesi. Oggi è venduta per l’80% nel canale horeca e per il 20% in gdo. Ci si sarebbe aspettati che anche la birra estone Viru, da poco entrata in distribuzione, avrebbe fatto breccia prima nel mondo horeca e solo in seguito in gdo. Invece, per il suo packaging distintivo, è piaciuta a un’importante catena della distribuzione moderna e in pochi mesi i volumi di vendita nei due canali si sono equilibrati». Con savoir-faire e lungimiranza, come accennato, in quarant’anni d’attività, i Biscaldi hanno mietuto non pochi successi. Al recente passato ne appartengono due di grossa portata. Quello di Red Bull, la bevanda energetica che ha creato questo mercato in Italia
e che il gruppo genovese ha portato alla leadership, affermandone il consumo fra i giovani (l’hanno distribuita fino al 1989). E quello della birra lager messicana Corona Extra, nel portafoglio marchi Biscaldi fino al 2007, che gli italiani hanno imparato a bere direttamente dalla bottiglia, con uno spicchio di limone o lime infilato nel collo della bottiglia stessa così da esaltarne la freschezza e il potere dissetante. Per la regola del contrappasso, proprio Corona Extra, uno dei brand che più aveva contribuito alla crescita del gruppo Biscaldi, giungendo a generarne quasi il 90% dei ricavi, 4 anni fa ha rischiato di determinarne la chiusura. «Quando nel 2007 la danese Carlsberg reclamò per sé la distribuzione di Corona Extra in Italia, nell’ambito di un più ampio accordo internazionale di partnership con il gruppo messicano
Modelo», ricorda Biscaldi «quest’ultimo disdettò il contratto con noi e interruppe le consegne al nostro magazzino nel giro di 30 giorni. Per noi fu un vero chock. Non nascondo che se quest’episodio fosse successo 2 anni fa, in piena crisi globale, invece che nel 2007, probabilmente non avrei avuto il coraggio di rimboccarmi le maniche e di dedicarmi anima e corpo alla ricostruzione del nostro portafoglio marchi e di un’azienda da consegnare alla nuova generazione Biscaldi nelle stesse floride condizioni in cui io, mia madre Maria Fregonara, mia sorella Paola e mio fratello Arturo l’abbiamo ereditata da nostro padre. Quattro anni fa prevalse il desiderio di continuare a fare un lavoro che m’appassiona e di non lasciare al suo destino una squadra di professionisti, circa una trentina di persone, che si era venuta via via formando in azienda. Squadra che al 90% ancora oggi lavora con noi». Dall’interruzione del mandato di distribuire cash cow come Red Bull e Corona Extra,
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Biscaldi e i suoi collaboratori hanno insomma lavorato strenuamente per riportare l’azienda al pareggio gestionale. «Dalla batosta di Corona Extra», racconta Biscaldi, «è stata una gara di resistenza a incontrarci con i fornitori per fare business plan, per spiegare loro come funziona il mercato italiano. Siamo così riusciti a costruire un portafoglio brand variegato, che ci consente di frazionare il rischio fra marchi altovendenti e brand più di nicchia, ma che comunque ci danno la possibilità di generare ricavi. Contiamo di chiudere il 2011 con un fatturato di 12 milioni di euro. Avremo così recuperato quasi del 40% i ricavi persi». Il lavoro degli ultimi quattro anni ha d’altronde portato nel portafoglio Biscaldi dei veri cavalli di razza. «Monster Energy della Hansen Natural Corporation», ci tiene a evidenziare Biscaldi, «è l’energy drink più venduto negli Stati Uniti. A due anni dal lancio in Italia, anche grazie alla scelta di un testimonial fuori dal comune come Valentino Rossi e al-
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l’innovazione vera che ha portato sul mercato, prima con la versione Ripper, con succo di frutti esotici, e da pochi mesi con X-Presso, l’energy drink al caffé che riteniamo ancor più in linea con i gusti degli italiani, è già vicina al 10% di quota di mercato e si prepara a diventare il second leader nel 2012, superando Burn di Coca-Cola. Arizona, la linea di tè pronti da bere della Dr. Pepper Snapple Group, la cui accoglienza da parte degli operatori italiani sta superando ogni nostra aspettativa nonostante un sovrapprezzo del 50%, è pure leader di vendite negli Usa e in Messico, dove fa il doppio dei volumi del second player. Oltre ad avere un pack particolarmente bello e curato, può contare su una qualità intrinseca ineguagliata sul mercato globale. La birra boema Budejovický Budvar, un’Igp, è la più importata in Germania, paese che certo di birra se ne intende. E non posso non citare i cava spagnoli Freixenet, gli spumanti più venduti al mondo. Con Gran Cordon Negro, Freixenet lavora già molto bene, con il Vintage si qualifica nei concorsi e con la gamma Elyssia, presentata quest’anno, se la gioca con i migliori Fran-
ciacorta sul piano della consistenza di sapore, del corpo, della stabilità e dell’eleganza della presentazione ». Brand di prima grandezza cui il gruppo affianca specialità di richiamo come le due lager beer messicane Sol e Dos Equis della Cuauhtemoch Moctezuma
Cerveceria, azienda che fa parte del gruppo Fesma, il più grande nel beverage in America Latina. «La birra Sol, oltretutto», sottolinea Biscaldi, «è stata la prima a essere proposta nella tipica bottiglia trasparente nel 1890, precedendo la Corona Extra, che adottò il pack neutro nel 1925». O la birra chiara cubana Mayabe, esclusiva perché sull’isola possono comprarla soltanto i residenti con la loro speciale valuta. O quella del futuro: l’indiana Cobra. Concludendo, il gruppo Biscaldi punta oggi a far sì che le birre continuino a generare il 50% dei ricavi, le bevande non alcoliche un altro 40% e i vini e i superalcolici il restante 10%. E proprio per mantenere questo equilibrio in presenza di una divisione bevande non alcoliche che cresce a tassi importanti, il gruppo è andato alla ricerca di un nuovo marchio di birra da distribuire. La firma dell’accordo con il produttore è imminente. Si tratterà di un brand tedesco, con una spiccata personalità, ma allo stesso tempo con tutte le carte in regola per sviluppare volumi di vendita importanti. Il suo lancio è imminente. E non ci meraviglierebbe che a portarla nei migliori locali sia un Maggiolino Volkswagen appositamente brandizzato.
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Export e Talento MEZZACORONA cresce Piana Rotaliana ospita da più di cento anni una realtà imprenditoriale rappresentata da ben 1500 viticoltori soci e 2800 ettari di vigneto in Trentino Alto Adige, e altri 1000 ettari coltivati in Sicilia, terra del noto marchio Feudo Arancio. Una realtà basata sull'imprescindibile legame tra terra e risorse umane, volto a produrre vini e spumanti con moderne ed efficienti cantine per la vinificazione e lo stoccaggio, senza perdere mai di vista il rispetto degli equilibri biologici della campagna, sia in Trentino, sia in Sicilia. Stiamo parlando del Gruppo Mezzacorona, un'azienda molto strutturata e ben organizzata proprio per la sua natura intrinseca di 'gruppo', a cui fanno capo diversi marchi: Mezzacorona (vini Trentino Doc), Rotari (Talento Trentodoc), Feudo Arancio Stemmari (vini di Sicilia), Tolloy (vini Alto Adige Doc) e Nota (grappa). Le varietà coltivate permettono al di Elisa Facchetti Gruppo di offrire una gamma completa Il Gruppo Mezzacorona è una realtà di vini dedicati al canale della ristorazione sempre più dinamica e composita, e della grande distribuzione, diversificati capace di resistere alle intemperie per fascia di prezzo e cura dell'immagine. ‘economiche’ in un mercato molto Un giro d'affari che ha fatto registrare complesso. Le nuove strategie adottate nel 2010 un lieve aumento rispetto al dal Gruppo trentino puntano ai mercati 2009, con un fatturato consolidato di esteri, confermando e sviluppando 145 milioni di euro e una produzione di al tempo stesso linee ad hoc per il 45 milioni di bottiglie: numeri che attecanale ho.re.ca e per la grande di- stano la 'bontà' delle nuove strategie stribuzione: ne parliamo con Claudio messe in atto per non subire i gravi Rizzoli, AD di Nosio spa, parte opera- danni dell'eclisse economica che sta mettendo a dura prova numerose aziende tiva del Gruppo. di settore. Claudio Rizzoli, AD della Nosio spa braccio operativo del Gruppo Mezzacorona, rivela le numerose difficoltà nell'affrontare una crisi macroeconomica che va a toccare diversi settori, sostenendo tuttavia dati sensibilmente incoraggianti: 'Forse siamo a un punto di svolta legato alla leggera risalita dei prezzi. La nostra azienda ha subito una lieve crescita, grazie anche ai numeri positivi derivati dal mercato tedesco. La Germania offre ottimi spunti in termini commerciali, motivo per cui abbiamo adottato nuove strategie rivolte a questo mercato'. Un'idea vincente che ha visto un forte alleato tedesco – la società CWD – come partner specializzato nel settore ristorazione in Germania, a cui il Gruppo ha affidato la commercializzazione
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La produzione del Gruppo Mezzacorona nel canale ho.re.ca di tre marchi: Castel Firmian, Feudo Arancio e Rotari. Il canale della grande distribuzione è invece gestito direttamente dal Gruppo Mezzacorona, grazie a una società con sede in Gemania, formata da personale italiano qualificato. Anche Nord Europa e Stati Uniti rappresentano i punti di forza del Gruppo: “L'80% del nostro fatturato proviene dall'estero e dalle esportazioni. L'Italia resta in ogni caso una realtà molto importante, ma i mercati esteri costituiscono senza dubbio il cuore pulsante del nostro fatturato”. Quali sono dunque le nuove linee guida adottate dal Gruppo per arginare, in parte, la crisi dei consumi? In primis, ci spiega Claudio Rizzoli, la capacità di essere flessibili e di seguire le tendenze del mercato. Motivo per cui il Gruppo ha deciso di dedicare e curare in ogni dettaglio una linea ad hoc per il canale 'ristorazione', proponendo un marchio – quello di Castel Firmian – ben distinto dai prodotti offerti per la grande distribuzione a marchio Stemmari. “La strategia vincente – continua l'AD Claudio Rizzoli – è stata quella di creare due linee ben diversificate, mantenendo gli stessi volumi di vendita attraverso i singoli
Vini del Trentino: Pinot Grigio (Trentino Doc), Chardonnay (Trentino Doc), Teroldego Rotaliano Doc, Muller Thurgau (Trentino Doc), Marzemino (Trentino Doc), Lagrein (Trentino Doc), Traminer Aromatico (Trentino Doc), Cabernet Sauvignon (Trentino Doc), Merlot (Trentino Doc), Sauvignon (Trentino Doc) Talento Trentodoc: Rotari Talento Trentodoc, Rotari Flavio, Rotari Riserva, Rotari Cuvée 28, Rotari Rosè Vini della Sicilia: Nero d’Avola (Sicilia Igt), Grillo (Sicilia Igt), Syrah (Sicilia Igt), Cabernet Sauvignon (Sicilia Igt), Chardonnay (Sicilia Igt), Inzolia (Sicilia Igt), Merlot (Sicilia Igt) Vini dell’Alto Adige: Pinot Nero (Alto Adige Doc), Pinot Bianco (Alto Adige Doc), Traminer Aromatico (Alto Adige Doc), Pinot Grigio (Alto Adige Doc)
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canali, evitando di introdurre sul mercato nuovi prodotti. Questo tipo di politica commerciale è ovviamente supportata e compensata dalle vendite all'estero, dove si trovano realtà in maggiore salute, come la Germania”. Mercati, strategie, prodotti diversificati: il Gruppo Mezzacorona risponde in modo positivo alle sollecitazioni di un mercato sempre più instabile offrendo non solo prodotti ad hoc, ma anche la possibilità di 'toccare con mano' l'impegno quotidiano nella produzione di vini e spumanti. Nella storica sede a Mezzocorona (Tn) sorge la famosa 'Cittadella del vino', una struttura architettonica imponente, ma ben integrata con il paesaggio circostante, dove vengono organizzate visite guidate 'in cantina': “Registriamo circa 25.000 visitatori all'anno – ci spiega Claudio Rizzoli –. Oggi lo spazio viene sempre più apprezzato e sfruttato per organizzare eventi e meeting, diventando quasi un piccolo polo fieristico in una location davvero molto bella. Una realtà di cui siamo molto orgogliosi e che rappresenta un punto di riferimento importante per molte aziende, visitatori, appasionati e 'addetti ai lavori'”.
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Mauro Uliassi Un entusiasta pensante
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di Stefania Zolotti In cucina da trentacinque anni, lo chef di Senigallia (An) è un punto di riferimento indiscusso per la qualità della cucina e per l’originalità delle proposte. Piatti strutturati su basi di tradizione, ma anche intelligenti reinterpretazioni che sanno fare la differenza fra una cucina classica e una cucina moderna. “Il monaco che vendette la sua Ferrari” è il libro che consiglia. Creare piatti felici è il suo scopo, convinto che ogni ingrediente abbia qualcosa di unico da comunicare all’insieme. La verticalità è il paradigma delle sue portate, perché ognuna è fatta di elementi da scomporre in bocca senza sottrarre nulla a nessuno. Ecco Mauro Uliassi, un entusiasta pensante. Le sue idee di oggi, sovrapposte agli aneddoti di vita, tracciano una chiara fisionomia: dietro allo Chef c’è un
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uomo in cammino. A chi gli chiede come descriverebbe la sua cucina, quasi sempre risponde: Zen! E in effetti lo è, non soltanto in chiave di meditazione (Uliassi, tra l’altro, sostiene di ispirarsi alla percezione dell’amore) bensì come significante di un “tutto”. Modernità, tecnica e allegria sono i cardini del suo solido ristorante sulla sabbia, alla Banchina di Levante sulla spiaggia di velluto di Senigallia (come suggeriscono i segnali stradali). Parte dagli elementi più semplici del mare per estrarne in purezza la sapidità e la freschezza di quel mondo: vongole per spaghetti affumicati, seppie arrostite “sporche”, trippe di baccalà, granita di ricci di mare. E ancora mare ad libitum nei diversi menù che arricchiscono la scelta alla carta: il “tutto crudo”, l’”Uliassi Lab” e “I classici”. Tutte espressioni dell’elemento acqua, in cui la salinità ripulisce la grassezza e l’Adriatico cerca l’oriente delle spezie e della leggerezza. La carta si sfoglia con la curiosità di chi apre un romanzo per sapere come va a finire. O come una sorta di ballo lento, dove ci si annusa per conoscersi e per capire chi dei due guiderà il passo: alla fine vince il padrone di casa, perché la sua bravura sta nello spostare l’asse del palato rinnovando i pensieri associati all’idea di. I suoi fornelli sono un laboratorio mai stanco, nel quale affumicare spaghetti e risotti, creare vapori saporiti e in cui grigliare con una carbonella preparata in casa. Anche questo, forse, è un po’ zen. E come sorvolare sul valore delle materie prime, pur essendo scontata la qualità in un ristorante stellato? Non si può, perché in cucina la retorica diventa fede e alcune sottolineature servono sempre allo scopo.
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Il rapporto di profondo scambio con la sua terra di origine lo porta a creare piatti che spesso partono proprio da lì: che siano ricordi o elaborazioni di un presente, la cucina “tradizionale” – per usare un aggettivo sempre troppo riduttivo a contenerne il senso – offre spesso la base dei suoi progetti in tavola. Anche le materie prime di molte creazioni godono così di una sostanza misurabile nel tempo e nello spazio e di una integrità che rassicura. In questa ricerca di valorizzazione del presente, si colloca senza dubbio l’impronta che Uliassi vuol lasciare indelebile sul piatto: il godimento dell’attimo che resterà sempre in quell’attimo.
Una rinuncia al tempo che cristallizza i successi, ma anche un modo per accettare che la cucina è viva e che domani, chissà, il cliente potrebbe non apprezzare ciò che oggi lo entusiasma. O, e questo è il miracolo del grande chef, che domani possa sperimentare una caratura del proprio palato, che ieri non conosceva. Uliassi non è cerebrale, non cucina per compiacere se stesso e non cerca (solo) il risultato perché ne conosce il valore effimero: ogni piatto può essere sempre migliorato e ogni critica – parole sue – è preziosissima per capire come il cliente risponda agli stimoli sensoriali che lui innesta. Non sta in posa, perché non sarebbe se stesso. In fondo non mette neanche troppo in posa i suoi piatti (a qualcuno può piacere, ad altri meno). Nella litote appena tracciata c’è molto di questo cuciniere gioioso, uno chef che “si diletta” da 35 anni e che domani sarà molto diverso da oggi senza scardinare nulla di sé.
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Ma in questa visione olistica del cibo e dell’uomo, al palato serve anche terra, carne di terra. Il patron offre in carta poca scelta, ma di stile: un menù di sola caccia, in 7 corse, oppure una scelta mirata su singole portate. Oca laccata al tè di ciliegie e fegato grasso d’oca con mirtilli, lamponi e ananas. O la beccaccia alla marchigiana. O, osando, il piccione alle alici del Cantabrico con cipollotti caramellati. E poi nocciole, che evidentemente ama parecchio: non soltanto perché le usa da sempre come praline ghiacciate nell’ormai storico loacker di benvenuto al foie gras (servito con una pinza per esser mangiato con le mani) ma perché le integra a corredo gustativo su piatti come il risotto al tartufo nero e bagna cauda o i ravioli di patate con finanziera di selvaggina. La cucina di Uliassi permette di assaggiare un’amabile modernità, intesa anche come tecnologia dei fornelli, per lui così convinto che il progresso serva in ogni campo. Quando si sperimenta un pasto creato dai “grandi”, spesso capita di vivere quella malcelata volontà di trovare il difetto che smonti il castello o quell’aspettativa di perfezione che non potrà mai essere tradita. Eppure la stonatura lieve a volte c’è, e meno male. Dovrebbe aiutare chi mangia a sperimentare un po’ di umiltà, pen-
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sando allo sforzo di energia fisica e di pensiero che si racchiudono in quei fugaci bocconi. Entrando nel suo ristorante di Senigallia, la totale assenza di colore è quasi disarmante per chi entra. Monocromatiche in tutto e interrotte solo da specchi, le sale fanno pensare al “rumore bianco”, quello che in musica viene paragonato ad una sorta di suono di fondo dell'esistenza. Così è per Mauro, fermamente convinto che il bianco crei una base neutra dove i punti di colore siano solo i piatti e le persone. E, in fondo, come non dare due stelle ad un ristorante incastonato tra il cielo e il mare?
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Un galantuomo
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di Isa Grassano Gegè Mangano ha portato ai massimi livelli il suo locale di Monte Sant’Angelo, in provincia di Foggia.. La sua è una cucina naturale, attenta in modo esasperato alle materie prime e alla loro freschezza. Il tutto con un imperativo: salvaguardare e valorizzare il patrimonio della cucina del suo territorio, straordinariamente ricco di opportunità. «Vado ogni giorno a fare la spesa con la mia vecchia 500, facile da parcheggiare e soprattutto produce poco inquinamento, perché, oltre al gusto, è importante pure salvaguardare l’ambiente», sostiene Gegè Mangano, 45 anni, lo chef che ha portato all’eccellenza il ristorante Li jalantuúmene, a Monte Sant’Angelo (su uno sperone calcareo, tra boschi secolari e un mare di cristallo), ed ha rilanciato la cucina tradizionale del Gargano. Un uomo del Sud, autodidatta, che dopo una lunga esperienza come maitre d’hotel e sommelier, non ha avuto paura di sfidare i gusti classici dei frequentatori del suo ristorante, proponendo accanto ai piatti fatti con prodotti freschi, locali ed ecosostenibili, anche quelli più ricercati e da lui ideati, come “il cappuccino di troccoli con ragout di fave secche, pepe nero e pistilli di
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zafferano”. Gegè può definirsi la “colonna della Daunia”, e non solo è uno dei cuochi che è cresciuto di più negli ultimi anni, ma sta diventando un punto di riferimento in tutta la Puglia. Il suo tempio del gusto (aperto da 13 anni), il cui nome evoca i galantuomini montanari, si trova a pochi passi dalla famosa Basilica di San Michele Arcangelo (meta di un continuo pellegrinaggio, è diventata di recente patrimonio dell’Unesco). Un romantico e accogliente locale, con un minuscolo dehors, che affaccia su una piazzetta caratteristica. Pochi tavoli all’ingresso, qualcuno in più al primo piano. «Per scelta - aggiunge Gegè - non abbiamo molti coperti, solo una trentina, per essere davvero sempre in grado di cucinare in prima persona per tutti. Perché quando fai il ristoratore,
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in cucina ci devi stare, per avere la fiducia del cliente. Poi però mi piace uscire dalla cucina, andare tra i tavoli, parlare con gli ospiti per cercare di migliorare sempre. Sono loro che “ti correggono”. Un bravo chef deve creare insieme a chi ti sceglie e la migliore guida diventa il cliente, nel momento in cui torna a trovarti, consiglia il tuo ristorante ad amici e parenti. Lo chef deve scottarsi le mani, non dirigere le brigate, esattamente come le mamme in cucina. Ho voluto, inoltre, inserire in questo nostro ambiente molto curato, dai bicchieri in cristallo alle porcellane, anche un po’ della mia storia, del mio stile e della mia filosofia della tavola che è quella di mangiare e bere bene, di stare rilassati in un ambiente caldo e accogliente». Insieme a sua moglie Ninni (un pilastro fondamentale) e a sua figlia Sofia, entrambe dietro le quinte in cucina (suo figlio Girolamo, invece, accoglie i clienti), Gegè dà vita ad assaggi di pura creatività che cambiano spesso, e possono provocare un piacere indimenticabile. Dalle “orecchiette con la zucca e le mandorle” e insaporite dal profumo intenso di pecorino, passando per i “troccoli alla Jalantuumene” (pasta fresca tagliata con uno speciale strumento di legno, il troccolo appunto, con porcini e noci). Dai “quadrotti di podolico su crema di cime di rape” ai “medaglioni di melanzana in salsa di pomodoro e profumo di basilico”, o ancora alle “lagane con cuori di carciofo”. I secondi rendono omaggio alle carni locali, “il filetto di mucca podolica con scaglie di fave di cacao” o i “torcinelli”, frattaglie d’agnello su cicoriella di campo, ma anche al pesce, come “i triangoli
di pesce spada su crema di fave di Carpino”. Le insalate sono di arance di Vico del Gargano, mentre tra i dolci spiccano le insuperabili ostie ripiene di mandorle e miele e la panacea di ricotta in salsa di aleatico. «Il futuro della ristorazione è il territorio, la ruralità, aggiunge Gegè. Occorre riacquistare l’italianità. Spesso ci vengono a mancare i nostri profumi, i sapori e invece occorre riappropriarci del nostro passato». Della tradizione mediterranea è un profondo conoscitore e dopo aver scritto “Terra, cultura e cucina del Gargano” (edizioni Veronelli, con oltre ottanta ricette), sta lavorando alla sua ultima fatica gastronomico-letteraria che si intitola “l’equilibrio tra l’innovazione e la tradizione di un territorio chiamato Gargano”. Così ha costruito la sua fama sui prodotti più comuni ma di qualità, sulla ricercatezza delle materie prime: formaggi, insaccati, pasta (fatta ancora a mano dalla suocera), funghi, carni bianche e carni rosse, selvaggina, crostacei. Tutti prodotti scelti personalmente e quotidianamente, dal macellaio, dal pescivendolo, dal fruttivendolo o raccolti nel piccolo orto che Gegè coltiva personalmente. Non mancano le verdure di campo e le erbe spontanee, tra cui “i marasciuoli” (selvatiche, dal retrogusto amaro). Il pane di Monte Sant’Angelo, poi, ha un ruolo da protagonista, essendo l’elemento base per tante ricette e tante specialità gastronomiche: il famoso “pancotto con le verdure garga-
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Gegè Mangano è un concentrato di passione: instancabile innovatore, organizza corsi di cucina e promuove senza sosta il gusto dei prodotti locali.
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niche” è una bontà. Anche l’olio prodotto dalla famiglia Mangano, si fa apprezzare per le sue qualità. Per venire incontro alle esigenze delle persone che vogliono assaggiare qualcosa delle sue specialità, senza spendere molto, ha deciso di lanciare "il panino amore mio". Un panino che coniuga semplicità senza rinunciare al gusto, con farciture speciali, tipo la scottata di baccalà, oppure le frattaglie di agnello o, ideale per i vegetariani, con la cicoriella saltata all'aglio arso (che un tempo si otteneva dalla macinazione del grano raccolto dopo la bruciatura delle stoppie. Ne deriva una carta in continua evoluzione). Perché amore mio? «Perché in questo lavoro ci vuole tanta passione e tanto amore». Il prezzo? 8 euro, incluso un bicchiere di vino del territorio o uno di birra di lavorazione artigianale. Insomma, Gegè per preparare un pasto veloce si applica con la stessa passione che ha per i suoi piatti più ricercati. E non è l’unica innovazione. Sempre per fronteggiare la crisi economica, che mette in fuga molti clienti, e nonostante una ricca carta di oltre cinquecento etichette (molte pugliesi, dal nero di Troia al Primitivo, al Negroamaro), lo chef e patron, così come molti suoi colleghi, soprattutto stranieri, dà la possibilità, di bere bottiglie di vino portate da casa, provenienti dalla propria personale cantina. Gegè Mangano è instancabile, un fiume in piena, un vulcano di idee per essere sempre sulla piazza. Ha appena inaugurato anche un piccolo albergo, di fianco al locale. Solo quattro junior suite, eleganti e curate negli arredi, tra pizzi e merletti che ricordano i corredi delle nonne. La sua energia è tale che accanto al faticoso e complesso lavoro riesce a ritagliarsi spazi per promuovere
corsi di cucina, anche specializzati sul biologico, o per andare in televisione: è spesso ospite di programmi importanti, per promuovere le sue ricette. Sta cercando di mettere in rete gli operatori che rappresentano le eccellenze della Puglia, San Giovanni Rotondo con Padre Pio, Troia e Trani con le loro cattedrali ed ha creato un segna libro chiamato “La montagna del sole”, il brand territoriale del Gargano. Da un lato ci sono gli alberghi “prigionieri di charme” e dall’altro i “prigionieri del gusto”, con i locali di ristorazione della zona. Ma di progetti, ne ha ancora tanti. «Il mio sogno? Andare in Oriente e gestire lì un locale, un modo per portare l’italianità all’estero, intraprendere un nuovo viaggio gastronomico».
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Raito di Vietri Impronta mediterranea 46
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di Sara Alberti All’imbocco della Costiera Amalfitana, un resort stupisce gli ospiti grazie a scelte strategiche precise che puntano, fra l’altro, su un’offerta di ristorazione orientata sulle tradizioni locali. Francesco Russo, chef appassionato e fedele interprete della cucina campana, impreziosita da una creatività ben calibrata. Discreto ed esclusivo, profondamente legato al territorio, ma al tempo stesso moderno e vicino alle esigenze del viaggiatore, sia quello d’affari che vacanziero. L’hotel Raito si trova a Vietri
sul Mare, esattamente all’imbocco della Costiera Amalfitana e rappresenta una delle ultime frontiere del lusso dell’ospitalità campana. Lontano dai clamori, immerso nei vigneti e nei giardini terrazzati ricchi di succosi limoni che caratterizzano il delizioso paese abbarbicato sul costone di una montagna, il Raito dopo un lungo restyling (l’albergo fa parte del gruppo Ragosta che, nella sua hotel collection, può vantare anche La Plage Resort a Taormina, il Paradiso Relais, sempre a Vietri, e prevede di inaugurare entro fine anno Palazzo Montemartini a Roma) si è trasformato in un cinque stelle dal gusto contemporaneo con Artù n°46
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molti oggetti di design che si possono incontrare negli spazi comuni dell’albergo, ma anche quella ospitalità rassicurante e “calda” che non è poi così difficile incontrare a queste latitudini. È una perfetta location, se vogliamo, per incontri business, per eventi da ospitare nelle capienti meeting room, così come per una vacanza in famiglia o una sosta romantica, visti gli scorci che si possono gustare dalle molte terrazze che caratterizzano il resort. Il corpo centrale del Raito conta cinquantuno camere, luminose, affacciate sul mare, dominate dai colori bianco e blu e decorate in stile tipicamente vietrese, con molti richiami alla famosa maiolica, patrimonio dell’artigianato locale. Ma chi vuole godere di una maggiore privacy può scegliere di soggiornare in una palazzina riservata, denominata Seiren, e caratterizzata da 26 camere e suite, tra raffinati salotti, Jacuzzi e balconi vista mare, con interni dal gusto più contemporaneo. La posizione dell’hotel, sicuramente accattivante, offre ai suoi clienti la praticità
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di accesso e la facilità di movimento verso le località più esclusive della costa, se si pensa che l’autostrada si raggiunge in pochi minuti, l’aeroporto napoletano di Capodichino dista meno di un’ora di macchina e davanti al turista si spalancano come per incanto le porte di accesso alle meraviglie di Amalfi, Positano, Sorrento e Ravello. E se anche questo non dovesse bastare, ci pensano alcuni must dell’albergo a consigliare una sosta. Come l’ottima ExPure Spa con programmi di aroma viso, massaggi (linfodrenanti, hot stone, antistress, sportivi), servizio di coiffeur, trattamenti aromatici e beauty day spa, per chi vuole farsi coccolare vivendo l’esperienza di una intera giornata dedicata al benessere del corpo. Oppure il vero punto di forza dell’intera struttura, la cucina dall’inconfondibile gusto “a chilometro zero” del giovane e intraprendente cuoco Francesco Russo, uno che, visti i natali nell’agro noverino-sarnese, non può che mettere in campo tutta l’ampia gamma di sapori della tradizione locale. Il background
del cuoco è di quelli importanti se si pensa che, giovanissimo, si districa con successo tra i fornelli dell’impegnativa cucina del bistellato San Domenico di Imola, prima di rientrare nel 2007 in costiera e accasarsi presso il Raito. Qui inizia un lento processo di rinnovamento del concept gastronomico dell’hotel, partendo proprio dalla sua vetrina principale, il ristorante Il Golfo, punta di un iceberg che comprende altri due ristoranti e cinque punti di ri-
storo nell’intera struttura. È però Il Golfo che meglio di ogni altro rappresenta la creatività e l’impronta mediterranea di Russo, quella legata al territorio, alla ricerca delle materie prime, alla stagionalità, alla valorizzazione di quei prodotti che raccontano la storia della cucina regionale. Dalle alici di Cetara (e la splendida colatura per confezionare paste indimenticabili) al classico San Marzano, dalla nocciola di Giffoni ai limoni sfusati, dai vini pregiati di Amalfi alla mozzarella. E’ un lungo viaggio che coinvolge i contadini e le piccole produzioni degli orti, gli artigiani per una filiera corta basata sulla riconoscibilità e sulla freschezza dei prodotti. Un impegno costante da parte di Francesco Russo, che ha perfino portato alla realizzazione di un pratico volume (il primo di una serie, in duplice lingua italiano/inglese) intitolato Ask The Chef (info sul sito
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internet www.ragostahotels.com), ricco di ricette tra innovazione e tradizione e con preziosi consigli su come realizzare molti classici della cucina campana, dalla Pezzogna all’Acqua Pazza alla Pastiera, dalla Parmigiana di Melanzane ai Babà. Alcune di queste preparazioni si ritrovano tra le pagine del menù de Il Golfo, dove fanno capolino anche un originale Cous-cous allo zafferano in guazzetto di frutti di mare con crostacei a calamaretti spillo, l’impegnativo (ma gustosissimo) Filetto di maialino campano in croccante di noci di Sorrento su flan di zucchine alla “scapece” e salsa di menta o il Dorso di branzino in carrozza con panura di olive di Gaeta e broccoli saltati al peperoncino. In definitiva, una cucina ricca di profumi, capace di stimolare i sensi, di proiettare il gourmet in una dimensione totalmente mediterranea; perfetta per raccontare a tavola lo stile di un albergo moderno e al passo con i tempi, ma capace di mantenere intatto i suoi legami con la storia e la tradizione della costiera.
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di Luisa Contri Roland Trettl, chef altoatesino (o meglio, sudtirolese) ha portato la sua professionalità oltreconfine, a Salisburgo. Qui, in questo locale di proprietà Red Bull, condotto dal grande Witzigmann (il primo chef austriaco ad ottenere la terza stella Michelin) si compie quotidianamente un rito di alta cucina che conta sull’apporto di chef ospiti, provenienti da ogni parte del mondo. L’Ikarus Restaurant Hangar-7, nel comprensorio dell’aeroporto di Salisburgo in Austria, è una vera miniera di piaceri, da scoprire mese dopo mese. A otto anni dalla sua inaugurazione, nell’autunno del 2003, infatti, questo ristorante che s’inserisce in una cornice particolare – un’impressionante costruzione in vetro e acciaio a forma d’ala, che ospita anche la collezione d’aeroplani storici dei Flying Bulls, mostre d’arte e d’architettura, sale per eventi e tre differenti ti-
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pologie di bar ed è di proprietà della multinazionale austriaca produttrice della bevanda energetica Red Bull – rimane l’unico al mondo a tradurre in realtà il concept del guest chef ovvero del cuoco ospite. Un’idea di Eckart Witzigmann, il primo chef di nazionalità austriaca ad essere stato insignito di 3 stelle Michelin, nonché attuale patron dell’Ikarus. E a condurre il gioco, fin dall’apertura del locale, c’è un cuoco altoatesino: il quarantenne Roland Trettl, che ha alle spalle una lunga collaborazione con Witzigmann e che oggi ricopre l’incarico d’executive chef dell’Ikarus. Ospitare ogni mese un guest chef di fama internazionale diverso e quindi proporre una cucina differente ogni 30 giorni è sicuramente molto costoso, ma soprattutto complesso. Richiede una buona dose di coraggio, tanta professionalità e apertura mentale da parte di Trettl, come del suo team, formato da Ondrej Kovar, il service chef, Martin Klein, head chef, Matthias Berger, restaurant manager e Jörg Bruch e Tommy Dananic, i due sous chef. «Siamo gli unici ad attuare il concept del guest chef», spiega ad Artù Trettl, «perché copiarlo, oltre che poco onorevole, sarebbe economicamente insostenibile per un ristorante convenzionale, almeno ai prezzi che pratichiamo noi. A mio parere, oggi non si può pensare di proporre un menu degustazione, pur di 8-10 portate, a più di 140-150 euro, vini esclusi. Finiremmo per non riempire
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più la sala (l’Ikarus ha 50 coperti e lavora normalmente su un turno unico sia a mezzogiorno, sia la sera, ndr)». Per fortuna questo locale è parte integrante di una più ampia strategia di marketing della Red Bull, un’azienda con la vocazione del mecenate in chiave moderna, cultore dell’arte in tutte le sue forme, anche quella gastronomica. E può quindi permettersi di portare avanti il progetto del cuoco ospite. Come funziona? A scegliere gli chef da invitare all’Ikarus è lo stesso Trettl, basandosi sia sulle sue conoscenze dirette di cuochi affermati o emergenti, sia sulle segnalazioni di chef amici. «In otto anni», racconta Trettl, «abbiamo ospitato una novantina di cuochi. E poiché l’obiettivo del concept è stupire il cliente e consentirgli di fare esperienze gastronomiche sempre diverse senza doversi allontanare troppo da casa, non ho in programma di invitare una seconda volta nessuno dei colleghi che già hanno cucinato da noi. Non lo ritengo necessario. Nel mondo non mancano certo altri bravi cuochi fra cui scegliere». Una volta individuati i potenziali guest chef, Trettl li invita formalmente e, in funzione delle disponibilità di ciascuno di loro, organizza con largo anticipo la scaletta delle presenze all’Ikarus. A primavera scorsa, per esempio, aveva già programmato il calendario dei guest chef di tutto il 2012. Se la bravura del cuoco ospite è il primo requisito per entrare nella rosa degli invitati, il secondo criterio
di selezione è la tipologia di cucina che propone. «Nell’arco di un anno», spiega Trettl, «faccio in modo che si alternino ai fornelli uno chef che fa cucina moderna e uno che fa cucina tradizionale. Uno stellato e un emergente. Una chef donna, un cuoco italiano, uno francese, uno spagnolo, uno del Nord Europa e uno proveniente da un altro continente». In questo modo neppure la clientela abituale (circa il 10% degli ospiti frequenta il locale mensilmente per godere d’esperienze gastronomiche differenti) rischia d’annoiarsi. Se la cucina di ciascuno dei guest chef si può gustare all’Ikarus per tutto il mese, in realtà il cuoco ospite (e gli assistenti che riterrà necessario lo accompagnino) si trattiene a Salisburgo soltanto per tre giorni e, una volta realizzato il menù condiviso con Trettl e verificato che tutto viene preparato da questi e dalla sua squadra come farebbe lui nel suo ristorante, riparte. «Per poter riprodurre all’Ikarus la cucina del singolo guest chef senza che si noti la differenza», prosegue Trettl, «è indispensabile che prima mi familiarizzi con lui e con il suo modo d’interpretare il cibo. Vado dunque a trovarlo e a lavorare per alcuni giorni presso il suo ristorante. Insieme concordiamo il menu che realizzeremo all’Ikarus e i vini che dovranno accompagnare ogni piatto. Prendo poi accordi con i fornitori locali del ristorante per farmi spedire tutte quelle materie prime fresche e particolari che serviranno
per realizzarlo in Austria e che so già che a casa non troverò». L’approvvigionamento può dunque risultare complesso e costoso, soprattutto quando il guest chef viene da lontano. Anche far in modo che tutto fili liscio in cucina con guest chef dalla cultura e dalle abitudini di lavoro diverse presenta le sue difficoltà. «Lavorare fianco a fianco con artisti che fanno una cucina meravigliosa», dichiara Trettl, «è stimolante, ma richiede anche una buona dose di diplomazia e capacità di superare intoppi d’ogni genere, per soddisfare cuochi sia super-organizzati e metodici, sia creativi». L’unico mese in cui non è prevista la presenza di un guest chef all’Ikarus è agosto. E non perché sia un periodo morto. Al contrario. Proprio durante questo mese il locale è frequentato dai tanti appassionati di musica, opera lirica e teatro che soggiornano in città in coincidenza con il Salzburger Festspiele, uno dei più importanti festival musicali, con una tradizione più che secolare. E Trettl desidera stupirli con iniziative speciali. «In coincidenza con il Festspiele, quando facciamo il pienone sia a mezzogiorno, sia a sera per cena e ancora per il dopo teatro», dichiara Trettl, «io e la mia squadra abbiamo piacere di mostrare alla clientela cosa siamo capaci di fare. Quest’anno, ad agosto, ai fornelli eravamo soltanto noi dell’Ikarus e abbiamo proposto le nostre nuove creazioni. In passato però ho avuto degli ospiti anche in questo periodo. Nel 2008, per esempio, invitammo Gérard Depardieu, un appassionato di cucina e lui stesso ristoratore a Parigi. E dalla nostra collaborazione abbiamo tratto un libro. Anche lo scorso anno ho avuto ospiti ad agosto. S’è trattato di due amici, i cuochi austriaci Heinz Reiter e Thomas Dorfer». Va da sé che la cucina di Trettl nel tempo si sia evoluta. Le sue esperienze internazionali prima, in particolare quelle in Spagna e in Giappone, e il lavorare fianco a fianco con i migliori chef del mondo, sono stati e sono tuttora per lui un costante stimolo alla ricerca, all’innovazione. «Nel nostro mestiere», afferma Artù n°46
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Trettl, «ritengo si debba costantemente cambiare, sperimentando sia nuove tecniche, sia nuovi ingredienti». In attesa di sapere chi sarà ospite di Trettl l’anno prossimo, vale la pena ricordare i guest chef del 2011: gli italiani Enrico e Roberto Cerea del ristorante Da Vittorio di Brusaporto a
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gennaio, l’austriaco Marcus Lidner del Mesa di Zurigo a febbraio, il tedesco Claus Peter Lumpp del Bareiss di Biaersbronn a marzo, lo svizzero Daniel Humm dell’Eleven Madison Park di New York ad aprile, il russo Anatoly Komm del Varvary di Mosca a maggio, il francese Emmanuel Renault del Flocons de Sel di Megève a giugno, il belga Peter Goossens del Restaurant Hof van Cleve di Kruishoutem a luglio, l’inglese d’origini asiatiche Alvin Leung del Bo Innovation di Hong Kong a settembre, il catalano Xavier Pellicer del Can Fabes di Sant Celoni a ottobre, gli svedesi Björn Frantzén e Daniel Lindeberg del Frantzén/Lindeberg di Stoccolma a novembre e infine il catalano Daniel Redondo e la brasiliana Helena Rizzo del Maní di Sao Paolo a dicembre.
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BISTRONOMIA prêt à porter
Il gruppo LaTaste: da sinistra Riccardo Migliavada, Stefania Siragusa, Carlin Petrini, il fondatore di Slow Food, Alberto Lorenzi, Gen Ohhashi e Pietro Curti dietro al bancone del bar.
Seregno
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dose di coraggio (l’investimento, fin qui, è stato nell’ordine degli 800 mila Nei mesi scorsi ha aperto in via Umberto euro), punta al successo, ossia al I a Seregno, nel cuore della Brianza, milione di euro di fatturato l’anno, conlaTaste bistronomia prêt à porter, un fidando sulle opportunità di rivalutazione locale di 600 mq, fruibile dall’ora della della Brianza legate all’Expo 2015 e colazione a quella di cena, passando sull’attrattiva del ricco patrimonio enoper l’aperitivo, il pranzo e la merenda. gastronomico della zona che, nell’ultimo E dove è possibile acquistare quanto decennio, ha riscoperto la sua vocazione s’è appena degustato e tante altre agroalimentare. prelibatezze della gastronomia locale, Tre i criteri alla base del concept laTaste. italiana e internazionale. Prima di tutto proporre prodotti selezionati per la loro bontà: oggi sono circa A concepirlo cinque amici, freschi di 1.300, ma altri se ne aggiungeranno laurea all’Università di Scienze gastro- col tempo. La ricerca, infatti, prosegue. nomiche di Pollenzo: il parmense Pietro In secondo luogo, dare la precedenza Curti, che cura la cucina, il vicentino Al- ai prodotti di artigiani e piccole aziende berto Lorenzi, che coordina il servizio locali: il pane di lievito madre di Davide in sala, il seregnese Riccardo Migliavada, Longoni e le birre artigianali del Birrificio che ha selezionato uno a uno i prodotti Menaresta di Carate Brianza, i salumi sugli scaffali, il giapponese Gen Ohhashi, del Prosciuttificio Marco d’Oggiono, i che tiene i conti, e la torinese Stefania vini Della Costa di Perego. Ma anche Siragusa, che si occupa della pasticceria particolari, come le bibite gassate Abe della comunicazione. bondio della Premiata Fabbrica Bibite Un gruppo affiatato, che con laTaste Gassate di Tortona, i succhi di frutta (www.lataste.eu) realizza il sogno di naturali dell’azienda agricola piacentina mettere in pratica quanto appreso a Pizzavacca o le marmellate Vallicelli, Pollenzo. E che, armato di una buona fatte a partire da frutta di cultivar del di Luisa Contri
passato. Se poi alla bontà e al localismo si somma anche l’impegno in campo sociale, meglio. Si spiega così la presenza sugli scaffali, per esempio, dei prodotti della Cascina Clarabella d’Iseo. Il localismo, in laTaste non è però esasperato. C’è del buono anche fuori dai confini lombardi e italiani: spazio quindi nell’area Store a spezie, tè e caffè d’importazione (torrefatto però dalla Milani di Lipomo), champagne e Scotch whisky. E non sono esclusi dall’offerta neppure prodotti industriali di qualità (per esempio la pasta De Cecco). Terzo criterio: applicare prezzi accessibili a un vasto pubblico, esattamente come quelli degli abiti prêt à porter, accorciando la filiera. laTaste acquista direttamente dai produttori l’80% delle merci. «Lo Store non è inteso come una mera vetrina di specialità locali e non», spiega d’altronde Migliavada. «Puntiamo a buone rotazioni. Oltre la metà dei ricavi dovrà derivare dalle vendite dello Store». Identica l’impostazione del Cafè e del Bistrot: bontà e freschezza delle materie prime, in prevalenza locali, prezzi modici
e rispetto delle tradizioni (a colazione o a merenda ci sono anche pane, burro e marmellata) e della stagionalità in cucina. Per pranzo la scelta di laTaste è offrire solo quattro piatti unici, che però cambiano tutti i giorni, per fidelizzare gli impiegati della zona con la freschezza e i prezzi a portata di ticket (7,5-9,5 euro), arrivando a fare 120-130 coperti. Per cena il menu è più ampio e ricercato: quattro-cinque antipasti e altrettanti
Qui sotto: il risotto agli agrumi con stracotto di manzo e altri prodotti gastronomici che si possono trovare a LaTaste.
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primi, secondi e dessert fatti con i prodotti di stagione. Il prezzo 30-40 euro, vini esclusi, per un pasto completo. «Saranno soltanto tre, però», puntualizza Migliavada, «le serate d’apertura al pubblico: giovedì, venerdì e sabato. Nelle altre tre organizzeremo eventi, come incontri con i produttori delle specialità in vendita nello Store, concerti, presentazioni di libri, ecc.». Sessanta, al momento, i coperti per cena, in attesa di ristrutturare e allestire
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una seconda saletta da 20 posti nella cantina del locale, fra bottiglie e salumi appesi alla volta. Un dettaglio: laTaste dedica un occhio di riguardo agli amici dell’uomo. A sinistra dell’ingresso, innalzando una parete di vetro a un metro e mezzo abbondante dalle arcate che danno sulla strada, è stato ricavato un porticato attrezzato con due ciotole, per l’acqua e i croccantini, e una rastrelliera cui agganciare il guinzaglio di Fido.
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Carne in trattoria A 20 euro è possibile
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di Giovanni Cristiani In Brianza una famiglia di macellai affianca al negozio un’attività di ristorazione, con menù a prezzo fisso. Così il Quinto Quarto di Bosisio Parini (Lc) va controcorrente e gioca sul binomia tra la vendita “in bottega” e la vendita “alla carta”. I prodotti sono gli stessi e provengono da macelli qualificati, soprtatutto piemontesi. Il successo non è tardato e oggi il locale, aperto solo a mezzogiorno, ha una clientela affezionata e fedele. Spesso si legge su un cartellone con caratteri vintage: Trattoria. Allora la mente torna indietro nel tempo, inviando al palato gusti e sapori genuini, poco elaborati, ma onesti e diretti. Un ballatoio, quattro tavoli, una caraffa con il vino e dei bei piatti, anche pesanti, ma gustosi. Ebbro della tua immaginazione apri la piccola porta verso la sala da pranzo, ti siedi su un tavolo magari con la classica tovaglia a quadrotti, in un ambiente trasandato e i piatti ti scorrono sotto il naso con l’insolente vezzo di essere solo e semplicemente il ricordo di un sapore perso tra la scarsa qualità delle materie prime e l’incapacità di chi “danza” dietro i fornelli. Poi entri un giorno da un bel portone in pieno centro a Bosisio Parini, nella Brianza lecchese, e ti trovi davanti ad una veranda, prosegui verso una porticina e, guardando gli ottimi vini appoggiati su scaffali dalle fogge più disparate, ti accomodi al tavolo. Niente tovaglia a quadrotti, ma le foto d’epoca come le attrezzature di macelleria ti fanno scattare nella mente quel collegamento: trattoria. Cosciente delle delusioni precedenti, affronti il piatto con discreto
Bosisio Parini
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preconcetto, ma dopo un antipasto di affettati, un primo e un secondo devi ricrederti: sei in una trattoria vera, una moderna trattoria, ma assolutamente autentica. Si tratta del Quinto Quarto di Bosisio Parini, in provincia di Lecco, sul confine con la provincia di Como. Un miracolo di equilibrio se si analizza il rapporto qualità prezzo. La trattoria (da vocabolario) è un locale popolare, destinato alla cucina di piatti locali, e sorge in città o in centro paese, dov’è sconveniente, dal punto di vista economico, aprire un ristorante. Queste caratteristiche corrispondono in pieno al locale di Arnaldo e Alessandra Corti. Il primo macellaio – cameriere – cerimoniere – suggeritori di vini – cassiere, la seconda cuoca e responsabile a trecentosessanta gradi di quanto accade in cucina. Un locale che, nell’era del pasto veloce, propone menù da trattoria vera e ruspante, a dodici euro il mezzogiorno. La sera invece l’apertura è prevista solo una o due volte a settimana, in alcuni casi con serate a tema come quella dedicata al bollito. Viene da chiedersi come si può offrire l’antipasto con affettati misti, un primo che passa dalle lasagne ai pizzoccheri, un secondo (la vera specialità della casa) che può essere il bollito, la tagliata, il rognone con contorno. Infine acqua, vino e caffè a dodici euro. Un’alchimia davvero difficile, considerando che il classico “menù da lavoro” è di buona qualità e composto da almeno una decina di piatti tra cui scegliere. Il segreto però è in cucina, ma anche oltre, dove si trova la
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“Bottega del fresco”, il negozio di macelleria aperto dal 1939. Un’accurata scelta delle materie prime, direttamente dal produttore, l’accuratezza del taglio, permettono di dare un ottimo menù con carne. “Da diversi anni mi reco in Piemonte ogni settimana per rifornire l'azienda di carne di Fassona certificata – spiega il macellaio – ristoratore Arnaldo Corti –. Da questa scelta delle materie prime parte tutto, sia l’attività di macelleria, sia quella di trattoria”. L'attività della Macelleria Corti ha inizio nel lontano 1939, quando Giuseppe Corti alleva e macella i suoi maiali sempre a Bosisio Parini. Nel 1958 il figlio di Giuseppe, Ignazio, comincia a lavorare anche la carne di toro, che vende nel negozio insieme agli insaccati da lui stesso prodotti. Arnaldo è quindi la terza generazione di una famiglia di macellai, figlio di Ignazio, prosegue il lavoro di papà, continuando la produzione di insaccati che vengono poi venduti in negozio. A questo affianca la trattoria dove vendere e far degustare parte della carne. “La capacità di tagliare la carne è importantissima per chi fa ristorazione è può essere un modo per dare un piatto gustoso magari limando sul costo – continua Arnaldo Corti –. A mezzogiorno diamo, per esempio, la tagliata nel menù lavoro, ma viene ricavata dalla parte del collo, tenerissimo. Queste piccole attenzioni aiutano. Come aiuta comprare la vacca intera e commercializzarla in parte in macelleria e in parte al tavolo. Bisogna avere idee e capacità di gestione”.
a “paciugare” in cucina da piccola – spiega –. Siamo partiti con la gastronomia in bottega, poi nel 2006 il salto nella ristorazione”. Nelle piccole cose si cerca di fare la differenza: “Io, se devo scegliere tra dieci chili di spinaci surgelati e dieci freschi, non ho dubbi. La mattina parto verso il negozio o i mercati, guardo cosa c’è di fresco, verifico la qualità e, sulle materie prime, faccio il menù. Anche perché da dieci chili di spinaci freschi ho più qualità, ma anche più quantità”. L’apertura serale è solo il venerdì e il sabato con prenotazione da farsi tre – quattro settimane prima, il costo dipende Ed in questo c’è anche il rischio e la ne- da prodotti, ma si può restare entro i cessità di differenziare: “Il negozietto di 40 euro per un’ottima cena. Una famiglia macelleria tradizionale non ha un grande nata insomma dietro l’affettatrice Berkel futuro. Per sopravvivere e crescere bisogna e ora passata anche tra i fornelli: una distinguersi, al banco e al tavolo. Svolgere tradizione che prosegue dal 1939, evolentrambi i ruoli ci aiuta a sopportare le vendosi in continuazione. difficoltà. C’è gente che passa a far la spesa e poi si ferma a mangiare o che prova la nostra carne in trattoria e poi passa in macelleria. Noi preferiamo offrire la qualità nel piatto, magari con pochi tavoli, ma con un’offerta curata”. Della trattoria vecchio stampo ci sono anche i tavoli da sei, dove ci si siede a pranzare fianco a fianco con degli sconosciuti e si inizia a parlare, scherzare, fino a socializzare. Mancano insomma solo le carte per la briscola dopo pranzo. “Noi non risparmiamo sulla qualità, anche nel pranzo di lavoro – spiega Arnaldo Corti -. Cerchiamo di mettere tutte le nostre conoscenze e capacità al servizio dei clienti”. Tra le caratteristiche del locale, una lavagna con il menù scritto con il gesso e la moka per il caffè: “Ecco, per esempio la moka, è una scelta apprezzata, dicono che così curiamo di più i clienti. In realtà abbiamo semplicemente chiesto il costo per una macchina da bar per l’espresso, due calcoli e l’acquisto di una moka da sei. Noi non abbiamo imparato da qualcuno, siamo qui con l’esperienza, comprendendo giorno dopo giorno come migliorare il servizio e la cucina”. Alessandra della cucina è la regina, ma aiuta anche al banco: “Cucinare è il mio sogno da bambina, io ero sempre lì Artù n°46
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La Sicilia gourmet nel cuore di BRERA
di Celeste Riccoboni Nel quartiere milanese più chic, una gastro-pasticceria di impronta siciliana affianca un famoso ristorante, il 13 Giugno di piazza Mirabello. L’idea è di Saverio Dolcimascolo, un ristoratore di razza, patron del locale che si è aggiunto allo storico, omonimo ristorante di via Goldoni: entrambi fanno parte dell’associazione del Buon Ricordo, diretta da Ovidio Mugnai. Saverio Dolcimascolo è ristoratore per vocazione: figlio d’arte (è l’ultimo di tredici figli), partito ragazzino da Mondello alla volta del mondo, ha toccato mete importanti, dove ha fatto esperienze professionali che hanno lasciato il segno: Firenze, Parigi, Londra, New York e, venticinque anni fa, Milano. Arrivato nel capoluogo lombardo, dopo “passaggi” in gestioni importanti, nel 1988 rileva il 13 Giugno (www.ristorante13giugno.it), il locale aperto dalla coppia Celentano-Santercole: si deve proprio a Dolcimascolo, alla sua professionalità e alla sua passione, la svolta decisiva del ristorante da locale modaiolo a vero e proprio tempio gastronomico della cucina siciliana, capace di esprimere il meglio della tradizione culinaria dell’isola. Locale fuori dagli schemi, il 13 Giugno di Piazza Mirabello (qui c’era il Caffè Milano) è uno spazio che abbina atmosfera e gusto: adatto a
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pranzi di lavoro ma anche a cene intime, il ristorante propone una linea di cucina che spazia da frutti di mare e crostacei a grandi primi piatti del repertorio siculo. Il pesce è protagonista assoluto della scena, ma è prevista qualche variante per chi gradisse alternative a base di carne: i piatti sono cucinati dal bravissimo Andrea, figlio di Saverio, che ha alle spalle -seppur giovane- un notevole bagaglio di esperienze, fra cui la scuola di Altopalato di Tony Sarcina: da provare la pasta con finocchio e sarde, i maccheroncini alla Norma, le linguine con tartare di gambero roso, le (mitiche) linguine col novellame, le reginelle al tonno fresco e la la mentuccia. Fra i secondi, il menù propone i tradizionali involtini di spada alla griglia (piatto del Buon Ricordo), la pescatrice al cartoccio con pomodori e zucchine, la ricciola al forno con patate e capperi, la spigola con i pomodori di Pachino, gamberoni imperiali con erbe aromatiche. Una cucina solidamente mediterranea, con le radici profondamente impiantate nella storia gastronomica dell’isola, ma anche una cucina che ha saputo adattarsi ai ritmi frenetici della clientela milanese, poco incline alla creatività esasperata, ma appassionata, a piatti che esprimano gusti e sapori distinti e riconoscibili. Da segnalare un menù speciale per pranzo, proposto a 16 euro, che consente di degustare le principali specialità della carta,
proposte in un grande piatto unico. E proprio per soddisfare questa richiesta di “gusto e sapori”, Saverio Dolcimascolo offre uno spaccato di Sicilia nella sua Fattoria di Brera, una gastro-pasticceria siciliana, aperta dalle 8 alle 23, in cui il cliente può facilmente cadere in tentazione, vista la quantità di proposte sfiziose che fanno bella mostra di sé. Un tempo conosciuta come il bar di “Oreste”, punto di ritrovo negli anni settanta di artisti e intellettuali, la Fattoria di Brera ha saputo conservare l’atmosfera di un tempo, ricreando un ambiente a suo modo magico, dal sapore bohemien, in cui è possibile pranzare o fare colazione o semplicemente bere un caffè accanto a personaggi della cultura e dello spettacolo. “La Fattoria è un viaggio alla riscoperta dei sapori tipici siciliani”, -dice Dolcimascolo- “un risveglio delle papille gustative che parte da un buon caffè con biscotti artigianali o tartellette alla crema di ricotta per passare poi alla nostra pasta con le sarde, ai cannoli e infine alla cassata”. Tutte specialità siciliane da gustare sui tavolini di questo “bistrot” siciliano, so-
gnando di essere a Mondello, di fronte al sole palermitano gustando i mitici arancini di riso dorati, dal cuore caldo di mozzarella, preparati e cucinati alla maniera di una volta.
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Croissant e carbonara al SOFITEL di Roma di Fiorenza Auriemma L’albergo della catena francese punta decisamente sulla ristorazione. E, grazie a uno chef coraggioso, propone una linea di cucina in grado di valorizzare i due grandi filoni della ristorazione tradizionale romana e di quella, più raffinata, d’oltralpe. In un mondo alberghiero sempre più “globalizzato”, e spesso per questo anche impersonale, non è impresa facile puntare ad avere un’identità che sia riconoscibile in modo tangibile in tutto il mondo. E che abbia ovviamente un suo perché. È perciò interessante la filosofia alla base delle strutture di lusso Sofitel, e che si può riassumere così: l’arte del ricevere alla francese incontra il meglio della cultura locale. Ne è un esempio il Sofitel Rome Villa Borghese, elegante e accogliente “luxury hotel” distribuito sui sette piani di un palazzo
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del diciannovesimo secolo, a pochi passi da Via Veneto e piazza di Spagna. E con una splendida terrazza a vetri con vista su San Pietro, Palazzo del Quirinale, Villa Medici ecc., la quale ospita il ristorante La Terrasse Cuisine & Lounge, a disposizione sia degli residenti nell’hotel, sia di chi desideri pranzare (anche per business lunch) e/o cenare dominando con lo sguardo tetti e cupole della Città Eterna. Qui si può capire meglio la “mission” di Sofitel, attraverso la cucina di Giuseppe D’Alessio, chef 36enne che, dopo aver lavorato per diversi anni in varie strutture alberghiere in Europa, ha ora preso in mano il timone delle cucine di questa location strategica e particolare. Di origini salernitane, D’Alessio ha dunque il delicato compito di coniugare le sue radici culinarie campane con i prodotti e le specialità romane e la grande tradizione gastronomica francese. “La mattina a colazione,
al buffet, i nostri ospiti trovano ad esempio burro freschissimo che arriva dalla Francia, croissant e pain au chocolat. Ma a pranzo e cena, accanto alle mini baguette serviamo in tavola olio extravergine d’oliva italiano”. Spiega così l’abbraccio gastronomico cosmopolita Marie-Bérengère Chapoton, giovane e dinamica direttore dell’hotel: con un bagaglio professionale di tutto rispetto, dal 2008 ha assunto la guida del Sofitel Rome Villa Borghese, in concomitanza con la fase di rinnovamento che ha permesso alla struttura di entrare a pieno titolo nel mondo dell’offerta di lusso della capitale. E aggiunge: “Questo è uno degli esempi di come vogliamo creare un legame tra le radici culinarie del Paese nel quale
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siamo, in questo caso l’Italia, e la Francia”. Così, il menu proposto da D’Alessio comprende tra gli altri piatti Bucatini all’amatriciana, Mezzi rigatoni alla carbonara e Risotto Bio Carnaroli, preparato in diversi modi; a fianco però della Terrina di foie gras d’anatra con composta di pesche e brioche tostata, oppure la classica Sogliola alla mugnaia con patate e salsa al burro aromatico. Per poi finire, a scelta, con una Parisienne – un vassoio di dolci tipici francesi, macarons compresi – o con il Tiramisù “secondo Giuseppe”, o la Fragola allo Champagne, babà & chaintilly; oppure, per chi preferisce il salato, con una selezione di formaggi francesi e italiani. In altre parole, quella che si può gustare sul tetto di questo confortevole scrigno – arredato in modo da conciliare antico e moderno - è una cucina devota alla ricca tradizione nostrana e alla vasta gamma di prodotti italiani; allo stesso tempo però è aperta alle sperimentazioni più creative e alle contaminazioni provenienti dalla celebre tradizione francese.
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E a quanto pare, questa combinazione piace ai turisti residenti, italiani e stranieri, e agli ospiti di passaggio che tra le diverse strutture ricettive della zona - scelgono proprio questo hotel. Magari anche solo per cenare, o per un happy hour in terrazza, in calendario ogni giovedì sera.
Qui sopra una specialità dello Chef Giuseppe D'Alessio, che propone una linea culinaria mediterranea, molto apprezzata dalla clientela.
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La quinta stella
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A Courmayeur tornano a brillare le stelle dell’ospitalità di lusso con la recente riapertura del Grand Hotel Royal, glorioso e storico albergo – il più antico della regione - inaugurato nel lontano 1854. Costruito dall'albergatore sanremese Lorenzo Bertolini, il Royal divenne ben presto meta per il turismo termale ed alpino ai piedi del Bianco ospitando teste coronate tra cui la regina Margherita, importanti scrittori e poeti come Giosuè Carducci e tanti ospiti illustri abituali frequentatori. Il grande Sir Charles Forte avrebbe detto: “la location è perfetta”. Ci troviamo infatti nella centrale via Roma, cuore pulsante di questa meravigliosa di Giulio Cesare Saviozzi cittadina perfettamente tenuta, ricca Con la nuova direzione di Patrizia di splendidi negozi con scintillanti veMeini, il Grand Hotel Royal di Cour- trine di raffinata eleganza. Siamo a mayeur è tornato agli antichi splendori due passi dalla bellissima piazza della aggiudicandosi la massima classifi- chiesa, un vero salotto con vista pacazione e diventando un punto di ri- noramica sui monti e dalla sede delle ferimento dell'hotellerie valdostana. guide alpine, famose in tutto il mondo Il tutto è stato reso possibile grazie per le loro straordinarie e coraggiose a un completo restyling che ha saputo imprese. ricreare l’atmosfera adatta a una È passato soltanto un anno dalla riapertura dell'albergo, ma è già arrivato clientela prestigiosa ed esigente. Artù n°46
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il conferimento della quinta stella della categoria a conferma dell’ottimo lavoro svolto. Il direttore Patrizia Meini si è assunta il gravoso compito di riportare il Royal agli antichi splendori. La nuova proprietà ha partecipato attivamente a questo piccolo miracolo italiano realizzato in così breve tempo dal validissimo staff di collaboratori che hanno seguito il direttore in questa avventura. Patrizia Meini, tosta maremmana con guanto di ferro in mano di velluto, li ha motivati e spronati ad unire i singoli sforzi per fare squadra in un’unica direzione ed arrivare così al risultato desiderato nel più breve tempo possibile. La ristrutturazione è stata radicale. Gli arredi dei grandi saloni e di tutte
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le camere sono stati oggetto di un completo restyling ed offrono oggi l’immagine di un grand hotel di prestigio internazionale. Gli ambienti di ampio respiro, impreziositi dagli splendidi arredi classici e sobri in cui prevale l'utilizzo di boiserie antiche e di tappeti pregiati, creano una calda atmosfera che invita alla sosta. Le camere e suite sono arredate con squisita, classica eleganza e sono seguite con particolare cura ed attenzione dalla governante Anna Maria D’Avena, impareggiabile con il suo team nel coccolare il cliente. Al ricevimento si avvicendano sorridenti e sempre disponibili i collaboratori fra cui ricordiamo Valentina, Enrico, Ines, facendo torto a chi non è citato perché sono tutti veramente bravi. Dalla reception si scende al Centre Beauté Comfort Zone diretto dall’esperta Anna Maria Tarnavasio. Concedetevi un po’ di tempo per seguire i suoi consigli e le sue cure: ne uscirete ritemprati; tanti i tipi di trattamenti e massaggi tra cui quello orientale ispirato all'antica medicina cinese. Il Centro Benessere, oltre all'area wellness con sauna, bagno turco, sala relax e frigidarium, offre una luminosa palestra perfettamente attrezzata che comunica con il giardino e la piscina esterna riscaldata. Ma il vero punto di forza del nuovo Royal è la cucina affidata al tocco francese di Patrick Sabato Pennino a capo di una validissima brigata. La cucina, dotata delle più moderne e sofisticate attrezzature, è stata impostata direttamente dallo chef secondo le sue esigenze. Egli sovrintende infatti sia il grandioso, classico ristorante dell’albergo, sia l’intimo Petit Royal, aperto agli esterni, che offre agli
Patrizia Meini, “maremmana tosta”, dirige con grande professionalità il Royal e Golf di Courmayeur: un esempio impeccabile di alta ospitalità.
amanti della cucina creativa un’alternativa già molto apprezzata. Il Petit Royal è una deliziosa bomboniera con pochi tavoli in una originale cornice di grande armonia. Qui il giovane chef si esprime al meglio della sua ormai lunga esperienza che lo ha fatto diventare il punto di riferimento nella Valle per i gourmet dal palato esigente. La sua è una cucina leggera che esalta la freschezza delle materie prime coniugando il carattere dei sapori all'estetica delle preparazioni dei piatti. Il ristorante per gli ospiti dell’albergo è seguito con grande professionalità dal maitre Giovanni Samonini coadiuvato dai suoi efficienti ed eleganti collaboratori. Nella scelta dei vini potete affidarvi alla competenza del sommelier Fabrizio Gatt che vi offrirà anche l’alternativa di ottimi vini del territorio al calice. La cantina è dotata di una infinita varietà di pregiate
etichette italiane e straniere. Troverete inoltre sul tavolo anche un’elegante carta delle acque minerali. La nuova filosofia del Grand Hotel Royal mira ad integrarsi perfettamente con la cittadina coinvolgendo i suoi abitanti ed i turisti. Lungi dall’essere un intimidente ed austero cinque stelle, il Royal si apre agli esterni con varie attività mondane e culturali tra cui un apprezzato aperitivo all’aperto servito due giorni alla settimana sul prato verde antistante attrezzato con eleganti divani. È un piacere concedersi una sosta in un ambiente raffinato e gradevole accolti con simpatia e cortesia non formale. Il Grand Hotel Royal è tornato così ad essere il punto di riferimento per una clientela di élite che qui ha ritrovato la sua casa e può contare su mille facilitazioni tra cui una fiammante Jaguar per i piccoli spostamenti, naturalmente in grande stile.
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Quando il PACKAGING è strategia di marketing di Monica Zani Il packaging è diventato sempre più una variabile strategica di marketing, che dà valore aggiunto al prodotto, ma che non implica nulla sulla sua qualità, essendo in grado, però di influenzare le scelte di acquisto, le modalità di conservazione e addirittura i modi, i momenti e i luoghi di consumo.
Olio Extra Vergine di Oliva Delfo 'Veneto Euganei e Berici DOP' della Cooperativa Olibea di Nanto (Vicenza).
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Nel corso degli anni il packaging, con l'evolversi delle strategie di vendita, oltre ad assolvere sempre la sua primaria funzione di confezione del prodotto, è diventato oggetto di comunicazione: la confezione di un prodotto, per certi versi scontata, opportunamente corredata, può diventare uno strumento d’informazione, un media pubblicitario portatile e quindi parte del prodotto stesso, ampliando notevolmente la funzione primaria del packaging, che rimane sempre quella di contenere e di proteggere. La confe-
zione risulta essere una sorta di unione tra i messaggi richiamati dal prodotto e i valori di riferimento del consumatore. Di conseguenza, svolge complesse funzioni semiotiche e simboliche, oltre a quella di informare circa il suo contenuto, funzioni che devono essere bilanciate tra loro, per ottenere un'efficace comunicazione. Le origini del moderno packaging Le origini del packaging si possono far risalire alla fine del Diciottesimo secolo, periodo in cui la Rivoluzione Industriale ha introdotto grandi cambiamenti nell’industria manifatturiera: la produzione, fino ad allora basata sul lavoro manuale, viene meccanizzata, consentendo di produrre un numero sempre maggiore di articoli. Ciò ha reso necessario la conservazione, la protezione e la differenziazione del prodotto e lo sviluppo dell'uso di scatole, soprattutto di metallo, perché il cartone meno adatto alla vendita di merce deteriorabile, come biscotti
o pasticceria, per la quale era necessario un elevato grado di protezione. Nel 20° secolo le tecniche di produzione si sono talmente sviluppate, tanto da consentire la realizzazione di contenitori in ogni forma e materiale, utili non solo a vendere il prodotto, ma in grado di rispondere a nuove esigenze, a modificare la propria immagine in relazione alle condizioni socioeconomiche contingenti e all’orientamento dei diversi movimenti estetici. Abbiamo chiesto ad alcuni produttori di olio, spezie, grappa, aceto balsamico...il loro 'approccio' col packaging, a cui, a nostro avviso hanno dato abbastanza enfasi. Olio Delfo della cooperativa OliBeA, formata da 21 produttori dei Colli Berici e Lessini vicentini che hanno una forte motivazione passionale per la coltura dell’olivo e la cultura dell’olio di oliva, con sede a Nanto, in provincia di Vicenza. “Il packaging del nostro olio extra vergine d'oliva DOP è semplice e, al tempo stesso, peculiare. Ciò che abbiamo voluto trasmettere è la semplicità di questo olio: pochi prodotti alimentari sono meno elaborati. Le olive vengono raccolte dagli alberi e spremute in un frantoio, l'olio imbottigliato e poi fruito. D'altro canto, le regole che rispettiamo per ottenere tanta immediatezza e freschezza sono di complessa realizzazione e non comuni. La raccolta delle olive viene realizzata interamente con metodi manuali, 'pettinando' i rami di olivo al fine di carpirne i frutti. Le olive vengono molite al massimo 2 giorni dopo la raccolta, in modo da non alterare minimamente il sapore dell'olio. Lo stoccaggio e l'imbottigliamento avvengono in locali adatti a questi fini. Il ciclo vitale dei
nostri olivi che l'intero processo di oleificazione sono tenuti sotto controllo grazie alle analisi effettuate presso l'istituto fitopatologico della provincia di Vicenza per ottenere solo il massimo della qualità. Ecco perché un ingrediente imprescindibile nella dieta mediterranea come l'olio extra vergine d'oliva - di per sé semplicissimo - può assumere caratteristiche particolari; esse sono volte a restituire a chi l'olio lo gusta ogni nota della freschezza, semplicità e qualità di questo prodotto.” - Francesca Barbieri, presidente della cooperativa Olibea.
Le Spezianelle si possono trovare nella confezione da 50 g nei gusti: Anice – Finocchio – Cardamomo – Italy Pan Masale (misto delle altre tre spezie più carvi) e nella confezione Elite in vaso di vetro da 160 g.
Spezianelle, brand di Elika, produce specie e prodotti speziati e ha sede a Torino. “L’attenzione che spendiamo per la ricerca di materie prime d’eccellenza, sicure da ogni punto di vista, con un’altissima qualità, alto livello di igiene e caratteristiche organolettiche spiccate, si accompagna all’impegno quotidiano per la realizzazione del migliore packaging, per creare prodotti di stile e lusso, ma allo stesso tempo pratici e funzionali. È da questa filosofia che nasce l’idea di creare la linea delle Spezianelle: prodotto semplice, artigianale, nel quale il primo ingrediente, quello maggiormente presente, sono le spezie. Accompagnato da una confezione accattivante e pratica nell’utilizzo: tascabile l’una e vaso in vetro con cucchiaino l’altra, creato per gustare il prodotto in famiglia, o per offrirlo ai nostri ospiti a fine cena. La filosofia aziendale è riassumibile in due parole Luxury Food: prodotto con assenza di coloranti, di conservanti, aromi, minimo numero di ingredienti. Un prodotto d’eccellenza per un semplice utilizzo”. Chiara Parmeggiani Artù n°46
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Balsamoro Diamond (condimento Balsamico Agrodolce), nata dalla collaborazione con una famosa maison di pietre preziose con lavorazione taglio diamante e si presenta come un’ ampolla di vetro (Calamaio) impreziosita da cristalli contenente un Condimento Balsamico Agrodolce ottenuto da Mosto cotto di propria produzione, acetificato ed invecchiato per oltre 30 anni in botti di legno, avvolta in uno scrigno elegantissimo in quanto interamente rivestito da 4225 cristalli tondi, dal taglio diamante. L’intera composizione, di manifattura artigianale italiana e quindi con tiratura limitata, è rivolta ad un mercato prettamente di nicchia ed è un colpo d’occhio unico per classe e minuzia dei particolari. Un vero incanto per l’occhio, nonché una prelibatezza per il palato. Anche il Balsama Vaniglia (condimento Bianco Agrodolce arricchito con stecche di vaniglia del Madagascar) apporta un'innovazione: l'unione di profumi e di sapori antichi ed autentici del mosto d’uva legato alla tradizione modenese con il tocco esotico della Vaniglia, il cui aroma rimanda a paesi Acetaia Leonardi è un’azienda agricola lontani e mira a creare una piacevole a conduzione famigliare alla quarta ge- sensazione di relax e benessere durante nerazione, situata a Magreta di Formi- la degustazione. Balsama Vaniglia è gine, in provincia di Modena e nei confezionato in una inconsueta bottiglia pressi del fiume Secchia. La produzione di vetro a forma di rombo. avviene a circolo chiuso, utilizzando le proprie uve di Trebbiano e Lambrusco Mazzetti d’Altavilla da 165 anni resta coltivate nel podere dei Campi Macri fedele al territorio compiendo una scelta di qualità e di tradizione, ovvero che abbracciano l’Acetaia. Il progetto di Balsamoro Diamond nasce continuando a distillare soltanto selein risposta ad una richiesta crescente, zionate vinacce provenienti dai più soprattutto dei mercati di nicchia italiani nobili vitigni piemontesi a bacca rossa ed esteri per prodotti tipici della gastro- (come Barbera, Grignolino, Brachetto, nomia italiana che, pur conservando Ruchè, Malvasia, Pinot Nero, Dolcetto la massima qualità delle materie prime e i Nebbioli da Barolo e da Barbaresco) utilizzate, sfruttino anche un design in- o bianca (Cortese, Moscato, Chardonnay, consueto ed originale, nonché prezioso Arneis, Erbaluce) Innovazione”. in termini di materiali e lavorazione, se- A proposito del packaging, Claudia guendo la tradizione del Made in Italy, Mazzetti, responsabile comunicazione per fare o farsi un regalo unico da con- dell'azienda nonché presidente dell’Associazione 'Donne della Grappa', affertemplare e da gustare. In occasione del Tuttofood di Milano ma: “La Grappa ha subito in questi 2011, l’Antica Acetaia Leonardi ha pre- ultimi tempi un’evoluzione importante sentato la sua ultima chicca, sempre passando dalla ‘trincea al salotto’. Una con lo scopo di abbinare Tradizione e trasformazione che ha portato a vedere Gusto con l’innovazione e l’eleganza: i distillati come prodotti eleganti, artistici.
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Di questo processo fa parte la cura del ‘bel vestito’ della Grappa. Il packaging si è fatto sempre più raffinato, a tratti prezioso e sicuramente ispirato all’arte (si pensi ai decantatori artistici di Mazzetti d’Altavilla). L’affinamento del packaging di Grappa e Distillati è andato di pari passo al miglioramento progressivo dell’attenzione verso la qualità e la creazione di veri e propri prodotti 'da meditazione'. Le Grappe Invecchiate e le “Riserve” costituiscono infatti a tutti gli effetti prodotti di pregio, e Mazzetti d’Altavilla, nelle Collezioni annuali, propone i prodotti con una cura della confezione stessa e la scelta di particolari artistici che vanno oltre il semplice consumo alimentare del prodotto 'Grappa'. Anche il packaging di 'Essentiae Vitae®', l’ultimo nato in cima alla collina di Altavilla Monferrato è particolare: arricchiti dai benefici della paziente stagionatura in pregiate essenze lignee, il che crea le condizioni per fare di queste confezioni eleganti occasioni di regalo. Non è un caso che Mazzetti d’Altavilla abbia riservato nelle Collezioni annuali presentate ala propria clientela, una nutrita sezione di “prestigiose ricorrenze”, particolarmente adatte a “stupire” i destinatari non solo per la rarità del prodotto (da un punto di vista sostanziale), ma prima ancora mediante la cura della confezione stessa e la scelta di particolari artistici che vanno oltre il semplice consumo alimentare del prodotto “Grappa”. Non solo: in Casa Mazzetti la nuova Collezione 2011 ha segnato un punto di svolta anche sul fronte del packaging con la nascita di un nuovo prodotto che fa registrare forse un nuovo traguardo in ambito di confezionamento dei prodotti della distillazione. “Essentiae Vitae®”, l’ultimo nato in cima alla collina di Altavilla Monferrato, è, in realtà un triplice prodotto in cui le uve Piemontesi di Moscato, Malvasia e Ruchè hanno ispirato la declinazione di altrettanti spiriti a bassa gradazione alcolica e dai profumi delicati e allo stesso tempo persistenti. Tre prodotti per numeri: 8, 4 e 6 (che ricordato
la data di fondazione dell’azienda) legati alle rispettive fragranze di gelsomino, rosa canina e viola. Gusto elegante, fresco e intenso… e soprattutto italiano. Ma tornando al packaging qual è la novità di “Essentiae Vitae®”? Il suo richiamo estetico teso a ricordare le confezioni di profumo attraverso la forma stessa della confezione, il tappo e le fascinose sfumature colorate serigrafate sulla stessa confezione e, non ultimo, i numeri impressi sulla confezione. Un packaging estremamente sensoriale che accresce l’eleganza ai livelli più alti ed effettua un’operazione concettuale sottile quanto attenta: quella di evocare immediatamente, grazie alla scelta legata alla confezione, il colore dei fiori a cui si ispira il prodotto e la stessa essenza profumata richiamata dal singolo prodotto.
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Riciclo e biomasse Scegli l’approccio GREEN di Davide Deponti Quando sostenibilità fa rima con ristorazione: sono diverse le cose da sapere per rendere più ecologica un'impresa che fa business con il cibo. Risparmiare migliorando il proprio approccio con il mondo che ci circonda. Detta così sembra una massima alla quale solo un pazzo potrebbe dichiararsi contrario, invece è un semplice principio al quale può aderire in pratica ogni azienda, anche quelle del settore ristorazione. La premessa è semplice: è evidente agli occhi di tutti che le emergenze ambientali che riguardano il nostro pianeta e le sue possibilità, sempre più improbabili, di garantire ai quasi sette miliardi di abitanti abbastanza risorse energetiche e, allo stesso tempo, un totale e corretto smaltimento dei rifiuti prodotti dagli stessi. Insomma, l’equilibro tra produzione e consumi si fa sempre più labile e instabile e diventa compito di ognuno cercare di ristabilirlo facendo qualche passo, anzi sempre più passi, nella direzione della sostenibilità. Seguendo un percorso virtuoso, che conduce a trovare delle soluzioni sempre più ecologiche e innovative per il proprio business – anche nel caso di quelli legati alla ristorazione -, soluzioni che hanno poi l’effetto “collaterale” di permettere degli interessanti risparmi dal punto di vista dei consumi energetici e non solo. Dal punto di vista imprenditoriale allora bisogna lavorare innanzitutto su quella che oggi viene definita dagli analisti come “responsabilità sociale d’impresa”
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e che è un’insieme di strumenti di intervento che ogni azienda può attivare al suo interno per migliorare il proprio impegno nei confronti del benessere comune. Si tratta infatti di una strategia che opera anche, e non solo, sul rispetto ambientale da parte dell’imprenditoria e che, in tempi di crisi come quello che stiamo vivendo, diventa non solo un modo per portare benefici all’ambiente circostante, ma anche un mezzo capace di dare valore all’impresa (ristorativa) che lo utilizza. Lo si capisce bene analizzando l’ultimo rapporto Eurispes Italia 2010, nel quale è evidenziato come le forme di business incentrate su criteri di ecosostenibilità siano diventate, da fenomeno
McDonald’s di Lainate, non sta tanto nei singoli interventi– spiega Mario Gamberale, AD di AzzeroCO2, società di consulenza energetico-ambientale-, ma nell’idea complessiva che c’è dietro. Ovvero aver preso quanto di più innovativo la tecnologia e il mercato mettono a disposizione nel settore del risparmio energetico e dell’utilizzo delle rinnovabili, ed averlo integrato in una struttura efficiente e sostenibile”. È evidente allora che se anche un gigante globale della ristorazione segue la strada della sostenibilità, non è (solo) per ammaliare la grande massa dei suoi clienti critici o per attirarne nuovi. Oltretutto l’esempio non è certo isolato, ma è seguito anche da un’altra multinazionale, attiva invece nella produzione di tecnologia per la ristorazione, come Electrolux Professional (www.greenspirit.it). Tra le prime promotrici della certificazione volontaria ambientale, l’azienda ha promosso e sotmarginale che erano solo pochi anni fa, toscritto, insieme ad alcune altre tra le sempre più protagoniste nello sviluppo aziende multinazionali più importanti del economico mondiale. Per fare un esempio, settore, nell’ambito di CECED Italia, l’Asil giro d’affari che solo in Italia riguarda i sociazione Nazionale dei Produttori di Apsettori dell’agricoltura biologica e del- parecchi Domestici e Professionali, il l’energia rinnovabile è valutabile in ben primo accordo volontario nella storia dieci miliardi di euro. delle apparecchiature professionali. L’obiettivo è la creazione di presupposti tecnici Riciclo e risparmio e finanziari che stimolino i produttori a Si fa sempre più strada perciò, tra i sviluppare le nuove tecnologie ecosostecittadini e quindi tra i consumatori, l’idea nibili e incoraggino gli imprenditori ad utidi rivolgere la loro attenzione soprattutto lizzare sistemi ad alta efficienza energetica ai prodotti, anche alimentari ovviamente, e ridotto impatto ambientale. Secondo che si dimostrano più sensibili alle tema- recenti studi infatti, incentivare la sostitutiche della sostenibilità. Tanto che anche zione delle vecchie apparecchiature nei un gigante della ristorazione mondiale ristoranti e nelle mense farebbe risparmiare come McDonald’s ha varato a Lainate, in nella sola Italia l’equivalente di 2.142.000 provincia di Milano, il primo ristorante a basso impatto ambientale ed energetico (www.persapernedipiu.info). Alimentato solo con la luce del sole, la forza del vento e il riutilizzo delle proprie biomasse - grazie a un avanzatissimo impianto di trigenerazione che utilizza l’olio alimentare esausto come carburante -, il ristorante è dotato anche di un sistema di supervisione e gestione intelligente delle risorse energetiche, chiamato “Einstein”, che comunica in tempo reale ai visitatori i dati di consumo e di risparmio del locale attraverso appositi monitor. “La peculiarità del progetto, da cui è nato il ristorante Artù n°46
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tonnellate di CO2 pari a 212 milioni di alberi, corrispondenti all’intera superficie boschiva della Puglia. Tutto ciò semplicemente utilizzando quelle attrezzature di nuova generazione già disponibili che riducono drasticamente i consumi di energia, acqua, detergenti e la produzione di rifiuti organici e CO2. Idee e certificazioni Senza contare che la voglia di green portata avanti da Electrolux coinvolge anche i progetti più innovativi per il futuro. Come quelli dell’Electrolux Design Lab, premio dedicato ai giovani creatori degli elettrodomestici del futuro. Tra i quali, nell’edizione 2011, si segnala il Sousvide Cell coke, strumento per la cottura sottovuoto a cellule che si ispira al trend professionale della cottura lenta. Come dire che il futuro ha già chiuso il cerchio tra l’innovazione sostenibile e la tecnologia ristorativa e casalinga. Facciamo a questo punto però un passo indietro e chiediamoci: ma può un semplice (e piccolo) imprenditore della ristorazione avere le risorse per giocare un gioco così avveni-
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ristico? La risposta è, fortunatamente, affermativa e dimostrabile con un esempio bello e nostrano. Si chiama Magazzino delle Scope (www.ristorantedonclaudio.it) ed è un nuovissimo indirizzo di Jesolo (Venezia) che rappresenta un’evoluzione della tradizione lagunare a tavola – attraverso il concetto della “chicheteria” – ma non solo. Siamo di fronte infatti a un’impresa familiare, nella quale però gli aspetti green sono preponderanti: dagli ingredienti per i piatti rigorosamente biologici al menu in carta di alghe, dagli arredi riciclati alla plastica ecologica delle tovagliette, tutto è inserito in un quadro di ecosotenibilità aziendale. Insomma predisporre, ed avere successo, con un locale nel quale ogni dettaglio è all’insegna del recupero e contro lo spreco, è possibile. Più difficile, indubbiamente, ottenere un ampio riconoscimento della propria sostenibilità d’impresa. È per questo però che Legambiente Turismo (www.legambienteturismo.it) ha quindi sviluppato il marchio Ecolabel destinato ai ristoranti, ma anche a hotel e strutture ricettive in genere, che si distinguono per la corretta gestione ambientale e per l’introduzione di soluzioni innovative nel business alimentare, dal risparmio energetico al menu biologico. Insomma, poiché dati alla mano, tra i maggiori consumatori di elettricità (un locale con cento coperti consuma 10mila kWh all’anno) e i grandi produttori di rifiuti è innegabile ci siano i ristoranti, ripensare o creare ex novo il proprio business all’insegna della sostenibilità vuol dire fare un favore agli altri, quelli che un domani potrebbero essere clienti, ma anche a se stessi.
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Tivoli a Cortina, un MUST E poi Paraggi, Milano… ALCUNE PRECISAZIONI
TIVOLI
Continua la pubblicazione delle schede sui ristoranti italiani che la redazione di Artù monitora grazie a un attento lavoro di verifica e di visite, in alcuni casi anonime e non programmate. L'obiettivo non è certo quello di allinearsi all'attività delle guide gastronomiche: ce ne sono già abbastanza e, nel bene e nel male, svolgono una funzione che ha sicuramente delle motivazioni rispettabili, sulle quali non intendiamo intervenire in questa sede. "Secondo Artù" vuole essere un momento di riscontro dell'evoluzione della scena ristorativa, in tutti i suoi segmenti, in grado di delineare sinteticamente le caratteristiche, positive o meno, che vengono riscontrate durante la visita. A questo fine abbiamo creato una simbologia - le corone e i cervelli - che intende evidenziare lo "stato dell'arte" dei locali italiani di ristorazione. Le corone hanno la funzione di indicare il livello complessivo della cucina, mentre i cervelli segnalano la coerenza dell'offerta, la rispondenza a un price for value intelligente, la sensibilità e la conoscenza dei propri mercati di clientela. In una parola, quella che noi di Artù chiamiamo la RAGIONEVOLEZZA, ovvero la capacità di sintonizzarsi con le esigenze di una clienela che cambia nel tempo. Ovviamente, sono proprio i cervelli che manifestano il buon senso e la correttezza, attraverso la quale la clientela della ristorazione può essere fidelizzata su basi nuove e contribuire, quindi, a un rilancio dell'economia. All’assegnazione dei simboli contribuiscono quindi, oltre all'eccellenza delle materie prime e alla qualità del servizio, anche elementi di attenzione per la clientela, come un ricarico corretto sui vini, la presenza di menù degustazione o menù del giorno particolarmente inetressanti sotto il profilo del rapporto qualità-prezzo, la volontà di ridurre al minimo i profitti e di allargare la base numerica della clientela. E, siccome non siamo buonisti ad oltranza, abbiamo anche introdotto, nella simbologia dei punteggi, anche corone e cervelli "neri": in questo caso, la valutazione negativa sta ad indicare che troppi errori vengono commessi e che, per sopravvivere, è necessario cambiare registro e migliorare la propria professionalità. APS
Via Lacedel 34 32043 Cortina d’Ampezzo (Bl) Tel. 0436 866400 www.tivoli.it
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Graziano Prest è uno chef coraggioso e geniale, semplice e diretto, uno che “non se la tira” per dirla con un’espressione oggi di moda. Al Tivoli, sulla strada che da Cortina porta verso il passo di Falzarego, Graziano propone una cucina superlativa in una piazza non certo semplice com’è quella di Cortina, la cui clientela (anche di fascia alta) è più incline all’offerta cosiddetta tipica (dietro la quale si nasconde spesso una falsa genuinità). I piatti di Prest, che arriva dal vicino altipiano dell’Alpago reso famoso da Dolada e San Lorenzo (Graziano ha fatto esperienze in entrambi) , sono semplicemente perfetti e rispecchiano una profonda cultura degli ingredienti. Da provare, fra l’altro, l’uovo in crosta di mais con fonduta leggera e porcini croccanti dell’Alpago (armonico, equilibrato, senza prevaricazioni gustative), ma anche –superlativo- l’astice sauté con riso venere al limone. A chi pretenderebbe materie prime più locali, ricordiamo che il menù stagionale è in gran parte aderente all’offerta del territorio ampezzano e cadorino, ma che altrettanta importanza è data al pesce di mare, i cui arrivi sono ovviamente giornalieri e consentono di gustarne appieno la freschezza. Una cucina senza “voli pindarici”, ma di estrema
tavoli è preciso e il menù corretto. Le 51 pizze in menù (da 6 a 10 euro), rivelano una grande esperienza, sia per la scelta delle farine (anche integrali), sia degli ingredienti che guarniscono calzoni, sfilatini (segnaliamo quello con spinaci, rucola, crescenza e mozzarella: una vera delizia) e pizze tradizionali, preparate da uno chef salernitano che è qui da 16 anni. Ma è opportuno venirci anche per la cucina, UNOPIÙ Via Marco Ulpio Traiano 62 curata da un cuoco molto attento alle 20149 Milano materie prime, pasta in primis (è quella 02 33001467 di grano duro di Cocco, una garanzia). Un’esperienza piacevole, al riparo da sorprese, in una città come Milano sempre meno attenta alla concretezza Sul sito di Tripadvisor un cliente ha de- e incline, viceversa, alle tendenze mofinito questo locale milanese, aperto daiole, in cui conta più l’ambiente nel 1978, “un sano compromesso fra della qualità delle proposte. Unopiù ristorante e pizzeria”. Il ristorante, alla rappresenta una risposta intelligente periferia nord della città, in zona Portello, a chi è alla ricerca di luoghi in cui l’auha una gestione familiare gentile e tenticità della cucina (e l’onestà dei professionale: Sonia e Manola Facchini prezzi, entro i quindici euro a pranzo, coccolano il cliente e lo rispettano con dessert offerto, e mai oltre i trenta nelle sue esigenze. Anche il servizio ai la sera) è al primo posto.
varietà e concretezza, confortata da una selezione di dolci davvero “speciale”, come lo è questo luogo dall’atmosfera intima e (nonostante il clima di Cortina) dal calore particolare. Michelin 2011 gli assegna una stella. Possibilità di menù degustazione a sei ricche portate: un’esperienza memorabile, da 85 euro che meritano il viaggio.
LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, mitico, ineccepibile per qualità, coerenza, serietà e ragionevolezza dell’offerta Tre corone = Ok! Due corone = Ottimo per qualità dell’offerta Una corona = Cucina corretta e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Molto ragionevole Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole
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Editore: Edifis S.p.A. Viale Coni Zugna, 71 - 20144 Milano tel 02 3451230, fax 023451231 info@edifis.it - www.edifis.it _______________________________________________________________________________________________________
co lo ph o Direttore editoriale: Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile: Andrea Aiello Redazione: Elisa Facchetti, Monica Zani artu@edifis.it
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Hanno collaborato a questo numero: Sara Alberti, Fiorenza Auriemma, Davide Bernieri, Luisa Contri, Giovanni Cristiani, Davide Deponti, Beppe Francese, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Isa Grassano, Marta Lai, Rocco Lettieri, Giuseppe Martelli, Gianni Mercatali, Claudio Francesco Merlo, Aldo Nenzi, Carlo Ravanello, Celeste Riccoboni, Giulio Cesare Saviozzi, Roger Sesto, Theo Smith, Piero Valdiserra, Gianni Ventura, Claudio Zeni, Stefania Zolotti
DECANTERMILANO
HOTEL ARGENTINA
Ramada Plaza Milano Via Stamira D’Ancona 27 20127 Milano O2 28854750 - www.decantermilano.it
Via Paraggi a Monte 56 16038 Santa Margherita Ligure (Ge) Tel 0185 286708 www.hotelargentina.com
Ritroviamo casualmente uno chef di esperienza del calibro di Marco Magri in questo nuovissimo ristorante, all’interno dell’innovativo hotel Ramada Plaza, dietro viale Monza, a Milano. Insieme a Flavio D’Ambrosio, suo collaboratore, è l’anima della brigata di cucina di Decanter Milano, un locale di freschissima impronta gourmet che privilegia le cucine regionali italiane ma, al tempo stesso, non disdegna piatti internazionali. La Brasserie è il ristorante alla carta, adatto a cene intime e d’atmosfera, con un’offerta intelligente di vino al calice, ricaricato il giusto. All’ora di pranzo assume un’altra connotazione e, lo spazio attiguo del “restaurant”, si trasforma in un fornitissimo buffet, ricco di verdure e formaggi, ma anche di primi piatti per un pasto più informale. La mano in cucina è sempre la stessa, quella di Magri, il che garantisce livelli di qualità indiscussi per quanto riguarda preparazioni e materie prime. La zona, pur periferica, è un polo terziario di notevole importanza e le camere dell’hotel sono molto confortevoli e vengono altresì proposte a quotazioni ragionevoli.
Il menù c’è, presente su ogni tavolo, dentro e fuori, a prova di turista e di gourmet. Ma su una lavagnetta affissa ad una parete del ristorante si legge “Oggi si mangia quello che c’è. Giorgio”. In barba alle fobìe di certa critica gastronomica (che vorrebbe sapere tutto e prima, spesso senza capire nulla), Giorgio Chiesa lancia il suo messaggio, forte e chiaro, ironico e provocatorio. Prendere o lasciare. E come si potrebbe “lasciare” questa atmosfera intima, ingentilita da un servizio corretto, spontaneo e cordiale? Siamo nella baia di Paraggi, un luogo magico, a un quarto d’ora a piedi da Portofino: qui c’è (ancora) un concentrato di ricchi (ma sono molti anche gli ex) che sottolineano la loro presenza con “ferri da stiro” ancorati in rada e auto over 100mila euro. Ma nonostante il lusso del luogo, Giorgio Chiesa –che la sa lunga- ha saputo creare un polo di estrema “ragionevolezza”, sia per l’ospitalità alberghiera, semplice ma raffinata, sia per l’offerta di ristorazione. La cucina di questo piccolo albergo di fascino, egregiamente curata dal quarantaduenne chef Porlaci, punta decisa sul pesce: fresco, crudo, locale quando è possibile. Ma anche le tradizioni piemontesi sono rispettate, con un’ottima proposta di fassona 18 mesi (“Madama piemonteisa”) e di vitello tonnato fatto a regola d’arte: proposte inedite nel Levante ma “complici” dell’altra struttura di Giorgio Chiesa, quel Palazzo Lovera di Cuneo (stellato Michelin) assurto grazie al patron a grandi fasti gastronomici: ne parleremo prossimamente. I prezzi dell’Argentina di Paraggi sono miti e onesti (specie se rapportati alla media della zona), così come i ricarichi dei vini presenti nella piccola, mirata, essenziale carta, con anche qualche chicca locale. Provare per credere.
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