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Editoriale Carlo Cracco Audacia e stile L’intervista Wicky Priyan Sapienza d’Oriente Langhe Campamac, la creatura di Maurilio Garola Toscana Felix Baracchi, Di Pirro, Borraccino, Cassanelli Marzo/Aprile 2018

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Editoriale

Lo stile di Carlo Nel cuore di Milano lo scorso febbraio viene inaugurato un ristorante di standing elevato, con proposta di cucina di altissimo livello, guidata da uno chef di grande valore ed esperienza, frutto di un progetto culturale -e sottolineo: culturale- ambizioso, in una location (per chi non ama l’uso dell’inglese e preferisce il nazionalismo linguistico: una posizione. Contenti?) destinata a restituire alla Galleria il suo ruolo originario di vero “salotto di Milano”. Un lavoro di recupero e ristrutturazione durato anni, teso ad accogliere armoniosamente su più livelli caffetteria, bar, pasticceria, ristorante, cantina, un salone privato per eventi: pavimenti in mosaico, soffitti affrescati, boiserie, bassorilievi, pareti in stucco, un bancone fine Ottocento, lesene, trabeazioni. Un monumento alla storia e all’arte, seppur attualizzato e reso contemporaneo grazie a un’atmosfera informale, da vivere con leggerezza e senza atteggiamenti liturgici. Arte da godere, avrebbe detto Bonito Oliva. Un omaggio all’estetica, uno scenario che porta la firma di grandi professionisti dell’architettura e del design,

che hanno creato e valorizzato un luogo inedito per la città, espressione di una cultura architettonica che spazia dalla seconda metà dell’Ottocento a Giò Ponti. Eccezionale, verrebbe da dire. Un tesoro di cui vantarsi, con ambizione e orgoglio, nonché con quel senso di appartenenza che, evidentemente, a troppi italiani manca. Infatti, l’apertura del nuovo Ristorante Cracco, oltre a mobilitare attenzione e curiosità, plauso e attesa, certezze e ammirazione verso Carlo Cracco, ha fatto gridare allo scandalo la solita Italietta degli eterni indignati, irriducibilmente accaniti verso tutto ciò che non riescono a capire. Ma dove starebbe lo scandalo? Che lo Chef patron del ristorante in oggetto si chiami Carlo Cracco? Che il target di clientela di Carlo non sia quello dei “menù di lavoro”? Ma ça va sans dire! Che il suo menù risulti “caro e indisponente”, come qualcuno ha scritto sui social? Che Carlo Cracco proponga, accanto ad altre decine di opportunità, anche una sua idea di pizza che –secondo i puristi- non sarebbe affatto napoletana né dovrebbe chiamarsi Margherita? Ma chissenefrega: basta fare pochi metri per trovare pizze straordinarie, eseguite secondo lo stile e il talento di un altro grande imprenditore della ristorazione, Gino Sorbillo, napoletano doc (il quale, peraltro, non è affatto indignato dalle sperimentazioni pizzaiole del suo quasi dirimpettaio). Qual è dunque il vero motivo di certe intolleranze? Forse che uno dei più bravi chef al mondo quale Carlo è abbia “perso una delle due stelle Michelin e gliene rimanga soltanto una?”. Non penso, la maggioranza di quanti lo attaccano non sanno neppure il valore e il significato dei punteggi delle guide… E allora? Dov’è il problema? Molti rispondono che “in televisione Carlo Cracco è cattivo e antipatico”: ma, come dice Antonio Santini del Pescatore, non si rendono conto che in tv si recita un copione prestabilito?. Sarebbe come dire che John Wayne è antipatico…. Invidia e volgarità sono ormai l’ultimo anello di campagne approssimative

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e generiche contro l’alta cucina, frutto di ignoranza (trasversale ad ogni categoria sociale) e mancanza di approfondimento. Ogni forma di ristorazione ha i suoi perché, fatti di ragioni serie e avvalorati da scelte strategiche e da condizioni oggettive. Poi la passione, l’ubicazione, la geografia fanno il resto. Esiste Carlo Cracco, come esistono Marco Scandogliero, Cristina Cerbi, Mariuccia Bologna, Vittorio Mischi e tanti altri artefici di una cucina apparentemente più semplice e dominata da passione e autenticità. O Daniel Facen, Ettore Bocchia, Stefano Arrigoni, solo per fare qualche nome. Ognuno con il suo stile e i suoi valori. Tutti i segmenti di ristorazione vanno rispettati, purché vi si faccia qualità e diano piacere. Ogni ristorazione è diversa da un’altra, ma equilibrio, gusto e correttezza delle esecuzioni devono essere al primo posto. Punto. Da fine febbraio Milano ha un capolavoro in più, motivo di vanto e di orgoglio. Un monumento nazionale del buon gusto e dell’alta cucina, dell’eleganza e del talento. Un luogo che attira non solo per lo stile dei piatti di Carlo, peraltro all’insegna della continuità con il ristorante di Via Victor Hugo, ma per la bellezza armoniosa del tutto. Spetterà a lui mantenere questo impegno. E, di fronte a questa grande bellezza, trovo persino riduttivo puntare il dito sul fatto che “nella cantina di Cracco ci siano troppi vini francesi”, come ha scritto qualcuno. Accanto a grandi millesimi di Romanée Conti, spiccano prestigiose etichette italiane, duemila in tutto. Quando si fa (e si vende) eccellenza, non c’è competitività territoriale, né supremazia presunta dell’una sull’altro. Ogni paese ha la sua storia. Vega Sicilia sta a Sorì Tildin come Ornellaia a Petrus. Il bello e il buono appartengono al mondo e a quanti ne sanno apprezzare il valore.• Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it


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6 News L’opinione 15 Vino italiano in Usa. Finita la sbornia? L’intervista 16 Wicky Priyan, sapienza d’Oriente L’opinione 20 Sogno il ritorno della cucina conviviale Follow Artù 21 Si riparte con la seconda edizione Focus food 28 Giuseppe Postorino, un talento, senza retorica Protagonisti food 32 Max e Raf. E il Caffè Quadri 36 Castello del Nero. Luca Di Pirro, grandi piatti 42 Lux Lucis, altissimo livello al Forte Focus food 46 Italian Caviar, l’oro nero da tavola Made in Italy 50 Grandi chef del mondo al Festival di Soneva 52 Borgo San Felice, gourmet destination toscana 54 Olio DOP Riviera Ligure. Un grande menù stellato Accueil 60 Al via i lavori per un Borgo Brufa al topi 62 Lusso e comfort tra i colli bolognesi 66 Silvia Baracchi, l’ambasciatrice dei sapori d’Etruria Focus food 70 Loison. Il futuro è adesso 72 Osterie di livello: Campamac, dacci dentro! Focus wine 76 Zenato. Storia del successo di un vitigno versatile 78 San Michele Appiano, la collezione esclusiva 80 Prime Alture, l’ambiente in primo piano 82 Xala la Ribolla brut di Astoria 83 Sughero, chiusura perfetta 84 Col Vetoraz, la natura in un calice Focus beverage 85 Un toccasana per palato e salute 86 San Benedetto, le nuove referenze Equipment 87 Cottura a prova di chef Gusto e mercati 88 Che sapore ha la musica? Libri 90 Dal Buon Ricordo alle meraviglie d’Italia, passando per la cucina dei Luxury Hotels La ricetta di Artù 91 Al Marzapane di Roma, dall’allieva dei Roca La foto di Artù 92 Aubert De Villaine, Roberto Voerzio e Angelo Gaja 93 Pillole Alberto’s Choice 94 Una grande costoletta? Nel salotto di Milano

In copertina: Lo chef Patron Carlo Cracco, nel giorno dell’inaugurazione del suo nuovo ristorante in Galleria, a Milano. Un esempio concreto di valorizzazione di un luogo storico per la città, che rende ancora più appealing l’offerta di alta ristorazione nel capoluogo lombardo (foto #Patischie)

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direttore editoriale Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it

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Sommario

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News

Sontium, new entry di Feudi di Romans Dopo mesi di attesa, la cantina della famiglia Lorenzon ha presentato una nuova etichetta, prodotta in edizione limitata. L’azienda vinicola Feudi di Romans, 450.000 bottiglie prodotte a San Canzian d’Isonzo, un territorio fortemente vocato per la produzione di vini di qualità, ha presentato Sontium (nome latino del fiume Isonzo) alla Fondazione Feltrinelli di Milano, di fronte a un pubblico di un centinaio fra giornalisti, professionisti del mondo enologico, rappresentati dell’economia e della finanza. Un parterre di livello, che ha potuto apprezzare e degustare il nuovo nato (produzione limitatissima, meno di 4.000 bottiglie), accompagnato dagli interventi di illustri relatori: Roberta De Sanctis, docente in Bocconi al Wine Management Lab della SDA, Fiorenzo Detti, Presidente AIS Lombardia, Enzo Lorenzon, patron di Feudi, accompagnato dai figli Davide, enologo, e Nicola, che si occupa del marketing e della commercializzazione. Moderati dal Direttore di Artù, Alberto P. Schieppati, gli interventi hanno fatto il punto sulla situazione di mercato in Italia e nel mondo e sulla percezione del vino italiano in tutte le sue sfaccettature (di grande interesse la relazione di Roberta De Sanctis), sulle peculiarità del prodotto (precisa e coinvolgente la degustazione condotta coralmente da Fiorenzo Detti, sulle motivazioni che hanno portato alla scelta di produrre Sontium. “Con questa cuvée, ha spiegato Enzo Lorenzon, abbiamo voluto rendere omaggio alla

Ci ha lasciato il Signor Cucchi E’ mancato Cesare Cucchi, punto di riferimento della pasticceria milanese. Il prossimo 12 ottobre avrebbe compiuto 86 anni. Recentemente aveva festeggiato l’ottantunesimo anniversario dell’esercizio di Corso Genova, nato dalla passione della sua famiglia e da lui perpetuato. La preziosa eredità passa alle figlie Laura e Vittoria, da sempre al suo fianco.

Cake designer on demand Florinda Guffanti, (guffantiflorinda@gmail. com) appassionata di pasticceria e professionista di lungo corso, ha dato una svolta alla sua attività e ha “virato” verso forme di creatività destinate a attirare l’attenzione dei clienti. Florinda ha inviato alla redazione di Artù alcune immagini delle sue creazioni, che dimostrano la sua propensione verso l’inventiva e la scelta figurativa. Ovviamente, la gran parte delle sue opere è personalizzabile su richiesta.

Massari sceglie Valverde Da sinistra: Davide Lorenzon, Enzo Lorenzon e Nicola Lorenzon

nostra DOC, la Friuli Isonzo. La continua ricerca dell’eccellenza e di nuovi prodotti che rappresentino il carattere della nostra azienda ci ha spinto a realizzare un vino unico nel suo genere, destinato ai palati più raffinati”. Sontium è il risultato di una metodica selezione delle migliori uve di Pinot Bianco, Malvasia Istriana, Traminer aromatico: un vino che si fa notare per la sua eleganza ma anche per la sua accessibilità, visto che ha un rapporto prezzo-qualità decisamente notevole. La serata si è conclusa con una degustazione di Sontium e degli altri vini della cantina, abbinati a un grande prosciutto crudo di D’Osvaldo, di Cormons, a formaggio di Carnia a media stagionatura e –udite udite- un memorabile risotto alla Rosa di Gorizia (un radicchio dal gusto straordinario, direttamente preparato con la supervisione di Enzo Lorenzon, patron dell’azienda ma anche superchef!

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In occasione dell’apertura della sua prima pasticceria nel cuore di Milano, all’interno della filiale Intesa Sanpaolo di via Marconi (angolo Piazza Diaz), Iginio Massari sceglie acqua Valverde. Con la sua acqua equilibrata e rinfrescante, Valverde sarà inoltre partner ufficiale delle nuove puntate di Iginio Massari The Sweetman, in onda all’ora di pranzo su Sky Uno HD che coinvolge aspiranti pasticcieri non professionisti, desiderosi di mettere alla prova il loro talento in cucina preparando il loro dolce cavallo di battaglia, sotto lo sguardo attento del Maestro.


Holy, il drink salutare arriva nei bar Holy, il wellness drink confezionato in una lattina di alluminio senza vernice e sinora diffuso tra beauty farm e locali modaioli, è pronto ad uscire dalla nicchia di tendenza per aggredire il mercato di massa: da aprile inizia la distribuzione in 3000 punti vendita in 12 città italiane cui seguiranno, nel corso dell’anno, le altre principali. Inizialmente la distribuzione sarà nel circuito bar. I potenziali investitori ci hanno infatti creduto e il primo “round” si è concluso con l’ingresso di un pool di privati guidati dal ramo della famiglia Marzotto che fa capo al conte Paolo e che ha nei vini, nei vetri Zignago, negli abiti Hugo Boss e nei marmi Margraf le attività principali. Nell’operazione Holy, dopo la quale il capitale della piccola società di partenza è salito a 10 milioni di euro, i Marzotto hanno il ruolo di lead investor. La bevanda è stata creata un paio di anni fa da dei giovani molto intraprendenti: due fratelli figli di imprenditori di Carrara, Jacopo e Leonardo Signani, e un amico dei tempi milanesi dell’università, Leonardo Presti. Da allora a oggi i primi due hanno già conquistato la notorietà aprendo il primo ristorante in Italia di cucina peruviana gourmet, “Pacifico”, prima a Milano e poi a Roma. Proprio in questa iniziativa c’era già un collegamento tra i due fratelli Signani e la famiglia Marzotto. Terzo socio di “Pacifico” è infatti Guillaume Desforges, nipote di Paolo Marzotto. L’idea di Holy era nata da un articolo dell’Herald Tribune che parlava di Mercy, un drink “anti-sbronza” in ascesa sul mercato americano. “Da Milano – hanno raccontato i fratelli Signani - avevamo contattato il produttore, l’obiettivo era di lanciarlo anche in Italia. Ma gli americani rifiutarono qualsiasi proposta di modifica che adattasse il drink al mercato italiano, facendone un prodotto che fa bene a tutti e non solo a chi consuma alcol. Così decidemmo di creare ex novo una bevanda gassata ma non troppo, ricca di vitamine ed estratti minerali, senza zuccheri aggiunti, senza grassi, con solo 3 calorie, disintossicante e anti-stress”.

Winelivery apre le porte al B2B Da servizio di delivery a domicilio B2C. Winelivery, sfruttando la propria infrastruttura logistica e rivisitando il classico modello di distribuzione, si apre ai clienti business proponendo il servizio di consegna in un’ora. Winelivery nasce nel 2016, con l’avvio dell’attività nella città di Milano, per rispondere a una necessità del mercato: non c’era un servizio che si occupasse di consegna “last mile” di vino, ed altre bevande alcoliche. Il sevizio era rivolto al consumatore finale. Ora, nella centralissima cantina di winelivery Milano, alloggiano più di 1200 etichette da diversi produttori che, oltre ad essere “pretàboir” (per il servizio B2C) sono anche pronte per essere consegnate ai clienti del canale ho.re.ca.. Winelivery Ho.Re.Ca., offre dunque una vasta gamma di etichette provenienti da tutta Italia, con un modello di distribuzione classico affiancato dal servizio di consegna express - garantito in un’ora - per momenti di emergenza, ma anche per chi desidera tenere contenuti i costi di magazzino. Un’avventura possibile anche grazie all’unione di winelivery con AVMilano, distributore presente sul territorio di Milano da quasi 10 anni specializzato in piccolo produttori italiani.

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Cuoril, il decaffeinato di Milani La bevanda più amata dagli italiani a ogni ora della giornata. È Caffè Cuoril di Caffè Milani, soprannominato “l’amico della notte”, perché decaffeinato e realizzato con caffè già in origine con un minore contenuto di caffeina. Oltre che in latta da un chilo, al bar e al ristorante, il decaffeinato della Torrefazione di Lipomo (Como) è disponibile anche nella capsula Espresso System Milani, la linea studiata per ristoranti, gelaterie, pasticcerie, bar e hotel.

Acque Minerali d’Italia, bene il 2017 Norda, Sangemini e Gaudianello, ossia i brand che fanno capo al Gruppo Pessina, hanno fatto registrare ottimi risultati nel 2017: complessivamente è stato superato 1 miliardo e 200 milioni di litri con una crescita consolidata del +8,37% sull’anno precedente e un aumento del fatturato di circa il 7%. Fatturato che ha toccato quota 140 milioni di euro. Per quanto riguarda i canali distributivi, si evidenzia una crescita complessiva dell’8% nel Retail (GDO) e del 10% nell’ho.re.ca, all’interno del quale l’azienda consolida ulteriormente la seconda posizione. Inoltre, a dicembre 2017, si è concluso il processo per la fusione delle 3 società - Norda spa, Sangemini Acque Spa e Monticchio Gaudianello Spa - in “Acque Minerali d’Italia Spa”, il che pone le basi per un 2018 all’insegna della crescita.


News

Ornellaia, Vendemmia d’Artista

Il Bergamotto secondo Oldani

Il progetto Vendemmia d’Artista celebra il carattere esclusivo di ogni nuova annata di Ornellaia. Ogni anno, a partire dall’uscita di Ornellaia 2006, avvenuta a maggio 2009, un artista contemporaneo firma un’opera d’arte e una serie di etichette in edizione limitata, traendo ispirazione da una parola scelta dall’enologo che descrive il carattere della nuova annata. Il progetto Vendemmia d’Artista prevede che in ogni cassa di Ornellaia una delle 6 bottiglie (da 750 ml) avrà l’etichetta creata dall’artista. Anche quest’anno, esattamente come negli anni precedenti, il progetto prevede un’edizione limitata di 111 bottiglie grande formato (100 Doppio Magnum da 3 Litri, 10 Imperiali da 6 Litri e 1 Salmanazar da 9 Litri) numerate e firmate personalmente dall’artista. Il 23 maggio 2018, Ornellaia sarà protagonista di un’asta benefica con 9 lotti che includeranno le speciali bottiglie create da William Kentridge per Ornellaia 2015 Il Carisma - Vendemmia d’Artista in una cena di gala durante la quale Stephen Mould, Sotheby’s Senior Director Head of European Wine Department, raccoglierà fondi che verranno interamente devoluti all’istituzione che ospiterà l’evento: V&A, Victoria & Albert Museum di Londra, diretto da Tristram Hunt.

Due frutti di bergamotto, foglie di alloro ed una ricetta dello chef stellato. Così, in sintesi, la nuova proposta di “Citrus – L’orto italiano”. La confezione racconta le origini e le proprietà benefiche del bergamotto e riporta una ricetta di chef Oldani per realizzare un infuso che mantenga gli oli essenziali e le sostanze del Bergamotto: acqua, miele, buccia di Bergamotto e foglia di alloro. Citrus e Davide Oldani hanno deciso di collaborare allo sviluppo di questa nuova linea premium condividendo l’amore per il mondo degli agrumi e i principi di una sana alimentazione, entrambi impegnati nel sostegno alla ricerca scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, del cui marchio può fregiarsi la nuova confezione.

Ruinart Rosé sceglie pizza Un matrimonio celebrato in una chiesa sconsacrata, diventata uno dei punti di riferimento della movida milanese. È quello gustoso e coinvolgente tra Ruinart Rosé e la pizza, che presso il Gattopardo Milano hanno dato vita all’evento di lancio di questo nuovo, inaspettato e gustoso abbinamento, che i consumatori di tutta Italia potranno ritrovare nei locali che aderiscono al prestigioso Ruinart Network. “DARE TO BE DIFFERENT” è infatti un format che decontestualizza la pizza portandola nel magico mondo dell’esotico, in abbinamento all’avvolgente e sorprendente mondo di Ruinart Rosé. D’altro canto, lo Champagne Ruinart Rosé racchiude in sé due anime principali della Champagne - Chardonnay e Pinot Noir - che ne fanno uno Champagne dalla freschezza invidiabile, autentico, limpido, ammaliante, ma al contempo definito, deciso, strutturato. Dunque perfetto per essere abbinato con la pizza, interpretata durante la serata milanese nelle sue varianti Gourmet da tre tra i più famosi pizzaioli d’Italia – Renato Bosco, Ciro Oliva e Simone Lombardi - che hanno proposto due pizze a testa abbinandole a Ruinart Rosé: la prima “Dare to be Exotic”, la seconda “Dare to be Yourself”. Il risultato è stata un’’esperienza di gusto e di senso inedita, che ha dato la possibilità agli ospiti di conoscere meglio la versatilità del prestigioso Champagne e l’estro artistico dei tre pizzaioli.

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News

Chef Cedroni Ambasciatore dello Stoccafisso di Norvegia

Moreno Credoni

Moreno Cedroni è stato premiato dal Norwegian Seafood Council con la nomina ad Ambasciatore dello Stoccafisso di Norvegia 2018, un riconoscimento della sua capacità di maneggiare le materie prime come il merluzzo e per la sua creatività nell’unire tradizione e innovazione. Anconetano, Cedroni è conosciuto per la sua reinterpretazione innovativa dell’uso del pesce in cucina, in particolare quello crudo. Suo il concetto di susci, nato dall’idea tradizionale del sushi giapponese per arrivare a una visione unica e diversa nella realizzazione pratica. Moreno Cedroni ha aperto appena ventenne il ristorante La Madonnina del Pescatore a Senigallia. Il regno del susci dello chef diverrà nel 2000 il Clandestino Susci Bar, a Portonovo. Nel 2003 ha cominciato a produrre nel suo laboratorio Officina le rinomate conserve gourmet e nello stesso anno ha aperto la prima salumeria di pesce al mondo, Anikò, nella città di Senigallia.

S.Pellegrino Sapori Ticino, al via la 12esima edizione Al via la dodicesima edizione di S.Pellegrino Sapori Ticino: un parterre di oltre 20 stelle Michelin per 20 eventi in prestigiose location del Canton Ticino e della Svizzera. Si parte il 9 aprile a Zurigo presso The Dolder Grand, per proseguire l’11 a Berna presso l’Hotel Schweizerhof e il 16 aprile a Ginevra presso l’Hôtel Beau-Rivage. Il 29 aprile il Festival sbarca in Ticino con la serata dedicata agli Swiss Deluxe Hotels presso l’Hotel Splendide Royal di Lugano: Domenico Ruberto ospiterà Mattias Roock (Locanda Barbarossa, Castello del Sole di Ascona), Dietmar Sawyere (The Japanese Restaurant – The Chedi, Andermatt) e Gregor Zimmermann (Restaurant Vue – Bellevue Palace Bern). Il primo appuntamento con gli Chef internazionali sarà con Anand Gaggan (Ristorante Gaggan di Bangkok), accolto il 5 e 6 maggio al Seven Lugano The Restaurant, da Claudio Bollini. Il 13 maggio tocca al Ristorante Galleria Arté del Grand Hotel Villa Castagnola di Lugano: Frank Oerthle ospiterà Paolo Casagrande, 3 stelle Michelin al Ristorante Lasarte di Barcellona. Il 16 maggio si prosegue presso Arvi Secret Spot a Melano: i vini francesi di Baron Philippe de Rothschild verranno abbinati alle creazioni gastronomiche di Andrea Migliaccio, bistellato del Ristorante L’Olivo al Capri Palace Hotel. Il 20 maggio a Villa Principe Leopoldo a Lugano, protagonista la cucina tedesca: Dario Ranza ospiterà Michael Kempf, direttamente dal Ristorante Facil di Berlino. Nella serata dedicata alle donne, protagonista Aurora Mazzucchelli Chef del Ristorante Marconi, Sasso Marconi (Bologna), che il 21 maggio sarà ospite del Ristorante Metamorphosis di Lugano. Il 22 maggio si torna al Seven Lugano The Restaurant, dove Claudio Bollini aprirà le porte della cucina a 3 giovani talenti della cucina: David Wälti (vincitore della finale svizzera di S.Pellegrino Young Chef), Diego della Schiava (finalista in Svizzera) ed Edoardo Fumagalli (vincitore della finale italiana di S.Pellegrino Young Chef). Il 27 maggio ad Ascona, alla Locanda Barbarossa del Castello del Sole, l’executive Mattias Roock darà man forte a Rico Zandonella, che lascerà per una sera i fornelli del suo Rico’s a Küsnacht per raccontarci a suo modo la cucina svizzera. Il 28 maggio si prosegue con Domenico Ruberto, Chef del Ristorante I due Sud dell’Hotel Splendide Royal di Lugano, che ospiterà Tomaž Kavcic e il 29 maggio sarà la volta di Giacomo Gaspari, chef della catena PlanHotel in diversi atolli delle Maldive, ospite dello chef Mauro Grandi. Parentesi più “pop” per la lounge night al Seven Lugano – The Lounge, dove il 31 maggio Claudio Bollini renderà omaggio gli ospiti con creazioni Finger Food. La grande cucina italiana sarà invece la protagonista della serata del 2 giugno, quando il neo tristellato Norbert Niederkofler del Ristorante St. Hubertus dell’Hotel Rosa Alpina di San Cassiano racconterà i suoi “sapori di montagna” agli ospiti del Fiore di Pietra, in cima al Monte Generoso con l’aiuto del padrone di casa Luca Bassan. Egidio Iadonisi ospiterà, invece, la sera del 3 giugno la serata di cucina giapponese allo Swiss Diamond Hotel di Morcote, dove Pryan Wicky dell’omonimo ristorante Wicky’s Wicuisine di Milano farà vivere grandi emozioni al pubblico coi sapori del Sol Levante. Il 7 giugno, con le Lounge night al Blu Restaurant & Lounge di Locarno con Davide Asietti e Takuro Amano e l’11 giugno sarà la volta della cucina nordica di Søren Selin, lo Chef danese due stelle Michelin del Ristorante AOC di Copenhagen, ospitato nella cucina del Ristorante di Villa Orselina. Al Ciani Lugano lo Chef Nicola Costantini farà gli onori di casa il 12 giugno, quando Emmanuel Renaut del Ristorante 3 stelle Michelin Flocons de Sel a Megève proporrà l’autentica cucina francese, una delle più conosciute e apprezzate al mondo. Si chiude il 17 giugno al Casinò di Campione d’Italia.

Dal gelo al Sol … d’oro Distrutto dalla terribile gelata del 1985, l’oliveto di piante secolari “Villa Magra”, che dalla collina di Montenero si affaccia sulla Val d’Orcia toscana, viene reimpiantato con cultivar di Frantoio, Moraiolo e Leccino. Da qui il primo olio del pluripremiato Frantoio Franci, il tributo alla rinascita dell’omonimo oliveto, l’inizio della produzione dell’azienda. Un olio che si caratterizza per il profumo dal fruttato intenso, fresco, con decisi sentori di carciofo e cardo. Oggi, a distanza di trent’anni, il Sol d’Oro, concorso internazionale dedicato agli extravergini, premia Villa Magra con il primo posto nella categoria “Fruttato Intenso”. La cerimonia di premiazione si terrà nel corso di Sol & Agrifood, il salone internazionale dell’olio extravergine di oliva e dell’agroalimentare italiano di qualità, nato nel 1987 all’interno di Vinitaly.

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News

Cantina Tramin, cresce il prodotto di fascia alta

Cantina Tramin chiude il 2017 con un balzo in avanti del 10%, portando il fatturato a 14.800.000 euro. Netta la crescita dell’export (+26%), ma bene anche l’Italia, che guadagna un +6% tra vendite al canale ho.re.ca e vendite dirette al punto vendita di Termeno. Tale incremento è dovuto soprattutto alla crescita delle linee di prodotto di fascia media e alta: l’anno del debutto di Epokale, il Gewürztraminer affinato in miniera lanciato con 1200 bottiglie ed esaurito in pochi giorni, ha infatti mostrato un netto spostamento delle preferenze del pubblico dai vini della linea “classici monovitigno ”ai vini delle “selezioni “ e “riserve”. “I nostri clienti – ha commentato Wolgang Klotz, direttore commerciale della cantina – ci riconoscono sempre di più come un produttore di eccellenza. Da alcuni anni la nostra crescita avviene più in valore che in quantità e lo spostamento sulle bottiglie di fascia alta conferma la qualità del lavoro compiuto”.

Limited edition per Maison Deutz Per celebrare i suoi 150 anni, Deutz presenta anche in Italia il suo omaggio a William Deutz, fondatore della Maison. Si tratta Hommage à William Deutz, un Millesimato 2010, prodotto con 100% Pinot Nero, in edizione limitata di 6.000 bottiglie. Tale etichetta segna così una nuova epoca nella lunga storia della prestigiosa Maison francese, nata nel 1838 e distribuita in Italia in esclusiva da D&C. Hommage è un Blanc de Noirs 100% Pinot Nero, con una peculiarità: è il primo Champagne Deutz “Pure Ay”, poiché le uve provengono esclusivamente dai due storici vigneti del fondatore. Dunque un vino raro, ideato e fortemente voluto dal Presidente di Deutz, Fabrice Rosset e dallo Chef de cave Michel Davesne.

Riedel punta sull’effetto ottico

Riedel presenta Performance, la linea di calici varietali il cui bevante è caratterizzato da un leggero effetto ottico in grado di provocare un vero e proprio ‘impatto’ degustativo e sensoriale. Una ricerca approfondita condotta dalla famiglia Riedel ha infatti dimostrato come aumentando la superficie interna del calice si ottenga un impatto ancora migliore sulla percezione del bouquet del vino. Questi bicchieri permettono dunque al vino di aprirsi pienamente e sprigionare ogni singolo aroma. Con sette forme realizzate a macchina per Chardonnay, Champagne, Pinot Noir, Cabernet Sauvignon, Syrah e Spirits (distillati) – leggere, resistenti e a prova di lavastoviglie, posizionate su raffinati steli e ampie basi – Performance è numerata da RP-1 a RP-7 in modo da abbinare facilmente ogni calice alla rispettiva varietà d’uva, assicurando sempre il miglior godimento possibile del vino.

Cantina La-Vis presenta Diaol Cantina La-Vis presenta Diaol, lo Chardonnay igt Vigneti delle Dolomiti 2016. Sulla collina di Pressano, dove venne piantato il primo Chardonnay d’Italia, sorgeva nel recente passato una casa disabitata che i locali abitanti chiamavano la casa del Diaol (Diavolo). Oggi su queste colline, dove terreni siltitici si alternano a pietra dolomitica, vengono coltivate le uve Chardonnay per questo vino. Le uve raccolte verso la prima decade di settembre vengono vinificate separatamente esaltando le diverse caratteristiche del terreno. Le selezioni di Chardonnay così ottenute svolgono un lungo affinamento in cantina e circa il 30% in tonneaux di rovere francese. Durante l’estate si realizza la cuvée che matura altri 3 mesi in serbatoio di acciaio inox. Durante questo periodo il vino raggiunge il proprio equilibrio e un naturale illimpidimento che lo porta all’imbottigliamento senza alcuna filtrazione. Il vino riposa in bottiglia per minimo 6 mesi. Lo Chardonnay Diaol si presenta di colore dorato con decise sfumature verdi. I profumi di susina gialla e pesca nettarina si alternano a sentori minerali e salmastri creando un profilo olfattivo intenso. In bocca le sensazioni sono molteplici. Sapore teso e grintoso nel quale spicca la salinità. Il finale è ricco e persistente.

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News

Triennale, la pizza è servita

Cristian Marasco

La pizza approda alla Triennale di Milano, e non in mostra, bensì sui tavoli del Caffè a piano terra. Il gruppo Vista – Ugo Fava, Stefano Cerveni e Marco Giorgi, che ne gestiscono l’offerta ristorativa - ha chiamato il pluripremiato giovane pizzaiolo Cristian Moresco a firmare la Triennale Social Pizza, così battezzata perché vuole essere un invito alla socializzazione e allo stare insieme intorno a un tavolo, senza troppi formalismi. ‘Bella, buona e anche leggera’, recita il biglietto da visita di questa pizza, e l’assaggio conferma: sia la pasta - farine italiane biologiche, lievitazione di minimo 48 ore, cottura in forno elettrico di ultima generazione - sia le materie prime ‘a km sensato’ sono all’altezza delle aspettative. Tra le proposte, spiccano la Marinara ai 4 pomodori (San Marzano, pachino siciliano, antico pomodoro napoletano, e Piendolo delle pendici del Vesuvio), la Siciliana ( mozzarella di bufala campana, olive, capperi di Salina, alici di Cetara), la 4 formaggi Italia-Francia (fiordilatte del casaro, crème fraiche d’Isigny, camembert e un erborinato naturale di Guffanti, con un filo di miele di melata), la Ricotta ’nduja. Lo chef Stefano Cerveni ha poi voluto dare il suo tocco alla lista con Gambero Rosso: gamberi rossi di Mazara del Vallo, stracciatella pugliese, erba cipollina e chip di patata viola. Per ora solo a pranzo, la Triennale Social Pizza ha le carte in regola per piacere sia agli italiani, sia ai numerosi visitatori stranieri. Anche grazie alla partnership con il Consorzio Prosecco DOC e alla sua carta vini con diverse etichette da abbinare alle varie tipologie di pizza. (Fiorenza Auriemma)

Al Grand Hotel Gardone, il profumo di D’Annunzio Il Grand Hotel Gardone di Gardone Riviera perpetua il legame con il Vate scegliendo un’essenza dannunziana per la linea cortesia della stagione 2018: un accordo con l’azienda Mavive segna la fornitura de Il Piacere, una delle quattro fragranze della linea esclusiva ispirata al Poeta, denominata “i Profumi di d’Annunzio, Odorarius Mirabilis” e prodotta in collaborazione con la Fondazione il Vittoriale degli Italiana. D’Annunzio ha lasciato una traccia indelebile nella struttura, simboleggiata anche dalla Junior Suite D’Annunzio, con la quale la famiglia Mizzaro, proprietaria dello storico albergo gardesano, ha voluto celebrare il 150° anniversario della nascita del Vate, progettandola appositamente sul modello della Prioria del Vittoriale.

Jaime Pesaque rinnova la carta dei ristoranti Pacifico

Jaime Pesaque

Jaime Pesaque, corporate-chef di Pacifico e ambasciatore della cucina peruviana nel mondo, rinnova la carta dei due ristoranti, quello milanese e quello romano: i ceviche, simbolo della cucina peruviana, sono a fianco delle raffinate espressioni nikkei – cucina che incrocia le tradizioni locali e la tecnica giapponese – quali i tiradito e i dim sum, ideali anche per un aperitivo. Non mancano gli stuzzicanti anticuchos – gli spiedini tipici – e gli especiales come il lomo (filetto di vitello) o la causa, piatto a base di patate e pesce che Pesaque ha sapientemente rivisitato. Una notevole cantina di vini italiani e una lista di cocktail, spesso a base di Pisco – l’acquavite peruviana – esaltano i piatti nel pairing.

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È l’anno dell’agnello inglese Un momento importante per l’English Lamb, la carne ovina che viene rappresentata da AHDB beef&Lamb, l’Ente che si occupa della promozione delle carni rosse inglesi. Basti pensare che nel 2017 le esportazioni di agnello britannico verso l’Italia sono state di 2,7 tonnellate, il che significa un valore pari a 16 milioni di sterline: “Abbiamo importanti progetti per sostenere la commercializzazione dell’Agnello Inglese in Italia e punteremo sulle sue caratteristiche peculiari: qualità, naturalezza e, soprattutto, grande gusto”, ha commentato Peter Hardwick, Export Manager di Ahdb. Il primo gennaio del 2018 è partito un progetto di promozione della carne ovina, co-finanziato dall’Unione Europea e dedicato allo sviluppo del mercato degli agnelli nel Regno Unito, Irlanda, Germania e Francia, mentre altri progetti minori si svolgeranno in Spagna e Ungheria, Romania e Bulgaria. “L’Italia – ha fatto notare Hardwick – è l’unico gande paese dell’UE non coinvolto in questa importante sfida. Tuttavia, i nostri clienti italiani continueranno a beneficiare del sostegno e della promozione da parte di AHDB a favore fello sviluppo del consumo della carne di agnello”. In Italia l’agnello inglese arriva in confezioni sottovuoto, i tagli più richiesti sono il carré, la spalla, la coscia e il lombo.

Villa Parens presenta la nuova Ribolla Gialla La Maison Villa Parens della famiglia Puiatti sta per presentare la Ribolla Gialla Extra Brut Metodo Classico Corto. Si tratta di un’interpretazione per l’autoctono del Collio del winemaker Giovanni Puiatti che, per dal 2005, dona alla Ribolla Gialla l’effervescenza e la raffinatezza del Metodo Classico. Una varietà decisa per natura e moderna per schiettezza, capace di esprimere tutti i valori del Collio e di rappresentare la filosofia della Maison per il futuro. La Ribolla si potrà degustare in occasione di Vinitaly. L’appuntamento, dunque, è a Verona dal 15 al 18 aprile 2018 presso il padiglione 6, stand C9.


L’opinione

Vino italiano in Usa Finita la sbornia? di Mauro Remondino

Notizie non incoraggianti sull’export dei nostri vini negli States: ma la fascia alta tiene comunque. Vino negli Usa: è giunto il momento di scrivere la parola fine alla sbornia colossale che ha caratterizzato gli ultimi vent’anni. Non mancano i buontemponi che hanno gridato all’ennesimo colpo di scena pescato tra le fake news tanto di moda. Il California Wine Institute che ha diffuso il dato allarmante, tuttavia ci crede, perché al tempo stesso

l’economia cresce come non mai. Per correre ai ripari i produttori si stanno organizzando e preparano un’offensiva imperniata sulle etichette e i vitigni di alta gamma. Secondo loro con margini più alti il vino potrebbe riprendersi il posto a cui ambisce nel paese a stelle e strisce. Negli ultimi quattro anni il consumo è andato a rilento passando da 2500 milioni di litri nel 2008 ai 3100 nel 2016. Le notizie sono negative anche per le aziende straniere, che pesano per il 33 per cento del totale. Soltanto i francesi sembrerebbero immuni da questo stato di crisi. Qualità sempre alta, etichette mirabolanti e prezzi alla bottiglia che continuano a salire. Chi ama i vini californiani ha gridaMa c’è

to allo scandalo accusando i wine lovers di vivere di ricchi sogni e soprattutto di condividere a tavola soltanto Bordeaux o i Pinot Noir della Borgogna. Pur restando al vertice i transalpini fanno registrare una variazione in valore del 15,2 per cento e del 13,4 per cento in volume. Precedono la Nuova Zelanda che con lo Zinfandel resiste rispettivamente a 10,7 e 9,7 per cento e il vino italiano, nettamenanche chi te più indietro, con il 2,4 e 1,4 cento. Una magra consolaziova controcorrente per ne anche se in alcuni casi sembrerebbe il contrario. Come nel e punta tutto dell’azienda Ca’ di Rajo con sulle politiche di caso cantine a Rai di San Polo di Piaattenzione verso i ve (Tv). Condotta dai fratelli Cecchetto, con una storia di vignaioli mercati emergenti ormai da tre generazioni, fattura 17 milioni di euro per un totale di 2 milioni di bottiglie. Una realtà in crescita che ha fatto dell’export il proprio cavallo di battaglia. Le vendite oltre confine interessano il 60 per cento della produzione e coinvolgono 50 Paesi. La maggior concentrazione proprio negli Stati Uniti, con a seguire Europa e Asia in continua crescita in realtà come Corea del sud, Taiwan, Malesia e Singapore. A tutto Prosecco, naturalmente, il Millesimato Docg Valdobbiadene e alcune piccole, intriganti, realtà come il Raboso Piave Doc e il Manzoni rosa ottenuto da impollinazione tra Traminer e Trebbiano, autoctono raro spumantizzato in esclusiva dall’azienda. “Puntiamo forte sulle fiere internazionali come ProWein o da attività di incoming realizzate con i buyer direttamente in azienda”, sostiene Simone Cecchetto, enologo di Ca’ di Rajo. Un’arma vincente a quanto pare anche sui vini di Australia, Spagna, Argentina, Cile, messi in coda nella graduatoria stilata dal California Wine Institute. Produttori questi ultimi che vent’anni fa sembravano destinati a cambiare pesantemente le sorti del vino mondiale.•

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L’intervista

Wicky Priyan, sapienza d’Oriente di Maurizio Bertera

Rispetto, disciplina, cultura: grazie a questi valori, lo chef ha portato alle luci della ribalta una ristorazione straordinaria Per molti versi la cucina etnica, per quanto ormai diffusa e amata – in particolare nelle grandi città, Milano in testa – è ancora meno ‘classificabile’ di quella italiana. Per quanto le guide e la critica in genere abbiano fatto passi da gigante, stabilendo gerarchie e valutando seriamente, dire quale sia il miglior ristorante etnico in Italia resta impresa ardua. Ma su una cosa siamo tutti d’accordo: Wicky Priyan, 48 anni, srilankese di origine e giapponese di formazione, è il miglior cuoco. Tanto da aver creato una ‘sua’ cucina che qualcuno si ostina a chiamare ‘fusion’ ma che da anni segue una linea personalissima (e buonissima). Il personaggio meriterebbe un libro (e difatti lo scriverà): poteva se“Una gavetta guire le orme di una famiglia che micidiale in si occupa di medicina ayurvedica da 800 anni oppure insegnare Giappone, dove arti marziali. Invece si è laureato ha imparato da in criminologia, tra le strade di ho visto il menu ho chiesto di Madras, in India, dove ha vissuto cambiarlo in base ai miei concetti un maestro le arti alla stregua di un homeless per e alla mia esperienza. Inizialmendella cucina per sette mesi in preparazione della te, erano tutti perplessi ma poi tesi. E’ stato persino responsacapito che bisognava aprire portarle in Europa hanno bile della security per Vip sino a una nuova strada. Oggi gli italiani e a Milano” quando ha deciso di seguire la girano il mondo e apprezzano vocazione: una gavetta micidiale sempre di più le cucine straniere, in Giappone, iniziata a 22 anni e a quel tempo no. otto anni dopo era executive chef al Four Seasons Ma tu conoscevi già il nostro Paese? di Bali. Dopo aver girato il mondo intero – non è una Nel 1989 ero venuto per la prima volta ed ero febattuta – per lavoro, diletto e cultura, è bello averlo lice perché non avevo mai mangiato tanti cibi così qui a Milano – in Corso Italia, 6 – per gustare i suoi buoni e particolari. Per esempio, impazzivo per i capolavori, tanto più seguendone la preparazione pomodori. E poi l’olio extravergine che è diventato quasi religiosa al bancone. Ma è ancora più interesfondamentale nella mia cucina: utilizzo quello casante e parlare con lui di cucina, di vita, del mondo. labrese e siciliano. Wicky, dodici anni fa, iniziavi a lavorare allo ZeNel 2011 quando hai aperto il primo locale, in ro di Milano. via San Calocero, ti aspettavi un successo di queRicordo benissimo che sono arrivato e non appena ste dimensioni?

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Ho pensato che nei piatti dovesse entrare il mondo intero. E mi sono impegnato al massimo per riuscirci, senza dare ascolto a chi mi diceva ‘Wicky, ma tu fai una cucina troppo diversa da quella giapponese o fusion’. Era vero, ma lo facevo apposta: hai presente quando uno decide di spaccare un muro? Ecco, io ero così. Sono diverso comunque da quel tempo, perché i clienti e i giornalisti mi hanno aiutato a capire, a migliorare. E’ un tuo mantra: studiare, provare, diventare bravi. L’importanza del Maestro che tu ripeti in ogni momento. Il padre non basta? Il padre insegna a vivere, il maestro serve nella vita. Se io son qui, lo devo a chi mi ha portato a essere cuoco e continuo ad ascoltare ogni volta che vado in Giappone, scoprendo che a oltre 70 anni si alza ancora alle sei del mattino per andare al mercato del pesce. Cerco di essere un buon maestro per i miei ragazzi in cucina, ma sono ancora allievo.


Lo chef Wicky Priyan

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L’intervista A proposito, nessun italiano tra i fornelli di Wicky. Ne ho avuti tre, ma avevano perennemente problemi personali. Mi sembra che in generale, i ragazzi italiani non mancano in niente di particolare ma difettano di un obiettivo da inseguire a lungo, di una visione. E per farlo ci vogliono rispetto, disciplina, cultura. Passi per uno straniero spesso critico con l’Italia. In realtà, penso davvero che questo sia un posto bellissimo, ma fatico sempre a considerare il ‘giorno per giorno’ come una filosofia vincente. Detto questo, non dimentico che noi stranieri siamo ospiti a cui viene data una grande opportunità: quindi dobbiamo essere sempre umili e lavorare. Chi non segue questa regola, non merita di stare qui. E sei molto severo con la cucina giapponese che si serve nel nostro Paese. Quanti sanno che il 95% non è composto da crudi? O peggio ancora, l’80% viene preparata da cinesi: sono mai andati a Tokyo? Conoscono i coltelli che utilizzano? Attenzione, non che tutti i cuochi giapponesi presenti a Milano siano maestri però trovo negativo questa mancanza di cultura che finisce a non offrire il meglio al cliente. Cosa ti piace della cucina italiana? Per prima cosa gli ingredienti meravigliosi: ho dedicato sei mesi della mia vita, prima di aprire il locale, per trovare prodotti e produttori al top della qualità. Andavo a caccia del numero uno in ogni cosa: il numero due non mi è mai interessato. Pure oggi cerco di trovare il tempo per scoprire materie prime di altissimo livello. Poi mi piacciono i grandi chef. Gente come Carlo Cracco che quando viene qui parla di cibo, di sapori, di tecniche e cambia il mio cervello. Per alcuni, i cuochi italiani mettono troppe cose esotiche nei loro piatti Credo che l’importante sia studiare il senso di quelle cose. Se proprio devo trovare un piccolo difetto nei

La cucina che si abbina a… Se c’è un aspetto che colpisce nella visione generale di Wicky è che i suoi piatti sono studiati sostanzialmente per essere abbinati al vino: ci sono una decina di grandi sakè, ma sono poca cosa rispetto alle 150 etichette, spesso di grandi cantine. “L’Italia è il Paese del vino, no?” dice chef Priyan, come fosse normalità per un ristorante comunque ispirato al Giappone. Ma come è noto, qui si fa Wicuisine: la ricciola – rigorosamente nipponica - incontra gli agrumi del Sud, i gamberi siciliani si esaltano con il pomodoro, l’angus si abbina al tartufo. Le ‘onde’ – come le chiama lo chef cingalese – si susseguono con vette di gusto, già amate (vedi il Carpaccio ai cinque continenti, summa della sua arte sull’utilizzo delle spezie) e più recenti come il Maki òs buss, in omaggio a Milano. Scegliete uno dei menu Omakase e sarete felici, se poi troverete posto al bancone ancora di più. Ma in ogni caso, scoprirete una volta di più che le regole della cucina esistono per essere infrante, ma solo da chi le conosce molto bene. Come Wicky.

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ristoranti che frequento, è la ripetitività dei piatti: vero che il cliente italiano va un po’ rassicurato ma rischierei di più. Forse la nuova generazione lo farà. A volte, sembra che il ruolo di cuoco ti stia stretto. Sbagliamo? Se rinascessi, vorrei fare il professore di sociologia

Le Katane di Wicki Non è per scenografia che molte fotografie ritraggono Wicky al bancone con la coppia di katane – le spade del samurai - alle sue spalle o ancora meglio con una in mano. Ovvio che non le utilizza per il lavoro ma rispecchiano una filosofia culinaria e di vita. “Se la mia base è la tradizione Kaiseki, lo strumento per seguirla è rappresentato dai coltelli – spiega Wicky – ne ho imparato le tecniche in Giappone ma ho studiato da solo per anni. Devo continuare a ringraziare il maestro di sushi Kikuchi Kan e a Ryo-tei Kaneki, grazie al quale, da unico allievo non nipponico, sono diventato maestro Kaiseki, il pasto tradizionale fatto di tante piccole pietanze”. Torniamo ai coltelli? “Il più vecchio ha 22 anni, il migliore ne ha 18, si tratta di un Kamakura (ndr, il nome della Prefettura), fatto da una famiglia che li forgia da dodici generazioni con lo stesso acciaio della katana. In totale ne utilizzo sette, cambiando la lama. Ci sono tecniche raffinate: per esempio, il pesce lo devi tagliare con un coltello grande e arrivare all’osso, ma non devi rompere la fibra e l’osso stesso. Non uso la mente, solo la sensibilità della mano e ascolto il rumore del taglio: dice praticamente tutto al cuoco”. Non bastasse, il maestro dello Sri Lanka ha vera e propria collezione storica di circa 200 esemplari. Bellissimi, ovviamente.

ma è bello preparare buoni piatti per i miei affezionati clienti, il 99 per cento italiani. Comunque, ho intenzione di scrivere un libro in tre lingue – italiano, giapponese e inglese – dove racconterò la mia visione del cibo e della vita. Con tanti richiami storici, sull’origine di questo o quel prodotto. In attesa del libro e di cosa farai da grande, possiamo sempre sederci nel ristorante del più bravo cuoco straniero in Italia. Non voglio essere il migliore, voglio essere diverso dagli altri. •

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L’opinione

Sogno il ritorno della cucina conviviale di Stefano Bonini

Sempre più rare e sparute, le trattorie, quelle autentiche e non dozzinali, sono diventate luoghi da tutelare. Anche dall’UNESCO. All’alba della “Terza Repubblica”, con un’Italia che cerca con fatica di delineare il proprio futuro, mi coglie forte la nostalgia di un passato gastronomico sempre più evanescente disperso per una Penisola aggredita da format, concept, ristoranti etnici e bistrot, che mi fanno venire una spiegabilissima voglia della cara vecchia trattoria. Sempre più rare e sparute, le trattorie, quelle autentiche e non dozzinali, sono diventate luoghi da tutelare, anche dall’UNESCO. Semplicità e convivialità, piatti di sostanza e non di forma che facciano ritrovare i sapori di una volta, elaborati da cuochi giovani e determinati, con i piedi per terra e il pensiero proteso a ridare valore e lustro in sala e in cucina a un

triciana che valga non dico modo di accogliere, ospitare e un viaggio, ma almeno una ristorare vieppiù dimenticato. “Dovremmo reagire deviazione. Questa è la nuova cucina poLa grande cucina regionale polare che deve andare oltre all’avanzata di cucine italiana codificata dall’Artusi le banalità, qualche dettaglio etniche, leggere, veg e raccontata da Mario Soldafurbo nell’arredo, i piatti colmi ti, quando ancora la cultura e i conti sottili. E che soprattute glamour. Che fanno del buon vino e del buon cito deve reagire all’avanzata di bo era lontana a venire, oggi cucine etniche e internazionali, rimpiangere (a me tanto) è custodita da alcune cassedi pause pranzo rigorosamente la cucina che fu.” forti della tipicità italiana reveloci leggere, veg e glamour, gionale: le “nuove” trattorie gastro-bistrot, hamburgherie rimangono strettamente legourmet e concept restaurant gate al proprio territorio di origine o di adozione, che fanno rimpiangere (a me tanto) il tempo e la offrono piatti della tradizione locale, leggermente cucina che fu. rivisitati, soprattutto alleggeriti, che seguono la staSiamo di fronte a un’Italia in trasformazione, che a gionalità. Dispensano sapori non eccessivamente tavola sta perdendo la propria genuinità e le procomplessi, familiari, riconoscibili e facilmente apprie peculiarità inseguendo mode e tendenze che prezzabili anche dai palati meno avvezzi. Non fannon ci fanno onore. Le poche centinaia di ristono uso di sifoni o addensanti, sottovuoti e cotture a ranti, trattorie e osterie individuati dalle principali bassa temperatura. Propongono vini veri, fatti più in guide di settore sono l’eccezione e non la regola e vigna che in cantina da persone che amano il vino oggi mangiare una buona lasagna alla bolognese ma soprattutto il territorio e lo raccontano con paso un’eccellente cotoletta alla milanese è sempre sione. Le nostre città e le nostre province potrebbepiù difficile. Non c’è più una carbonara o un’ama-

ro riempirsi di “nuove” trattorie. E non perché siamo un popolo reazionario o conservatore, ma perché la cucina di trattoria, oltre ad essere la cosa che sappiamo fare meglio, è anche quella che abbiamo più voglia di mangiare. Le trattorie sono il successo della ragionevolezza, uno squarcio sul passato che talvolta ritorna, anche migliorato.•

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La ristorazione ragionevole

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SECONDA EDIZIONE

LA PASSIONE

20-21 NOVEMBRE 2018

HOTEL

MELIÁ

via Masaccio, 19 – Milano Save the Date


ollow La ristorazione ragionevole

Un grazie ai moderatori Con grande professionalità, hanno supportato il Direttore Alberto Schieppati nella gestione delle tavole rotonde. Stefano Bonini, Trade Mark Italia, “Al ristorante o in albergo?” “La sala, gestione e attenzione al cliente”

Maurizio Bertera, giornalista, “I new concept nella ristorazione”

Maurizio Di Dio, giornalista, “Cultura delle tecniche”

Alberto P. Schieppati, Direttore editoriale di Artù

Antonello Maietta, Presidente Nazionale AIS, “Vino e mercati: come evolve l’offerta”

Elio Ghisalberti, Food Hunter, “La materia sopra tutto” Corrado Giannone, Tecnologo alimentare, “Fresco, surgelato, asteriscato

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I Premi alla Ragionevolezza Sono stati premiati ciascuno con una menzione ad hoc. Ecco “I Ragionevoli” secondo Artù. FAMIGLIA SCANDOGLIERO, Locanda Quattro Ciacole ANNA BERTOLA, Locanda Altavilla

Premiata con la menzione: “Vino e materie prime frutto di passione e ricerca” Consegna la targa Alfonso Iaccarino

Premiata con la menzione: “Quando la tipicità punto in alto” Consegna la targa Annie Feolde

MAURO ELLI, EXECUTIVE CHEF, Ristorante Cantuccio

FAMIGLIA BOLOGNA, I Bologna Premiata con la menzione: “Tradizione e impegno danno risultati superlativi” Consegna la targa Ettore Bocchia Premiata con la menzione: “Talento e passione al servizio del gusto” Consegna la targa Enzo Indiani 23

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CRISTINA E LUCA CERBI, Osteria di Fornio Premiata con la menzione: “Cultore del concetto autentico del territorio” Consegna la targa Carlo Pierato

LUCA GAGLIARDI, La Rampina Premiata con la menzione: “Genialità e entusiasmo di un figlio arte” Consegna la targa Antonio Santini

HIDE MATSUMOTO, Le Api Premiata con la menzione: “Tecnica orientale, ingredienti italiani” Consegna la targa Marco Sacco

ORESTE CORRADI E ANNAMARIA LEONE, Locanda Vecchia Pavia

Premiata con la menzione: “Ricerca, stile e talento al servizio del gusto” Consegna la targa Luigi Taglienti 24

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JUAN E CRISTINA LEMA, Mirta Premiata con la menzione: “Il format Trattoria portato ai massimi livelli” Consegna la targa Lino Stoppani

FAMIGLIA MISCHI, La Passeggiata Premiata con la menzione: “I maestri del Nodo d’amore di Valeggio” Consegna la targa Enrico Derflingher

GIANCARLO MORELLI, The Bulk

FAMIGLIA SPERANDEO, Da Palmiro

Premiata con la menzione: “Un format innovativo a cura di un grande chef” Consegna la targa Vittorio Fusari

Premiata con la menzione: “Sapiente ricerca della migliore materia” Consegna la targa Costantino Cipolla 25

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ollow La ristorazione ragionevole

MARCO PARILLO, Casale del Mare Premiata con la menzione: “Coerenza ed entusiasmo nella creatività” Consegna la targa Ilario Vinciguerra

PAOLA E PIERO BERTINOTTI, Pinocchio Premiata con la menzione: “Sapienza e costanza alla base del successo” Consegna la targa Aimo Moroni

MATTEO SCIBILIA, Osteria della Buona Condotta Premiata con la menzione: “La ragionevolezza protagonista dell’offerta” Consegna la targa Tano Simonato

PAOLO E GIORDANA TEVERINI, Tosco Romagnolo

Premiata con la menzione: “I primi ispiratori del concetto della ragionevolezza” Consegna la targa Davide Scabin 26

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Focus food

Giuseppe Postorino, un talento, senza retorica Di Giorgio Ascorti

Da Noi In, il ristorante gourmet della famiglia Martone, propone una linea di cucina fortemente caratterizzata. Non è più una sorpresa della città, molti lo conoscono e lo apprezzano. Ma il Da Noi In - “custodito” all’interno dell’Hotel Magna Pars Suites – resta uno degli angoli più tranquilli di Milano, a nostro parere ancora sottovalutato. Siamo in via Forcella, zona Tortona, sempre più vivace e di tendenza: perfetta per un hotel di ricercatissimo design, aperto cinque anni fa e ricavato su una storica fabbrica di profumi. Leit motiv sono infatti fragranze ed essenze, dall’ingresso sino alle 39 eleganti suites: non poteva essere diversamente, visto che la proprietà è della famiglia Martone, in prima fila nel settore. C’è pure un corner unico quale Lab Solue, piccolo laboratorio dove ci si inebria letteralmente di profumi e si può seguirne la preparazione. Il ristorante Da Noi In è affiancato dal Liquidambar, un ambiente caratterizzato dal bancone in onice bianco e dalla grande cantina a vista che serve ovviamente il ristorante, articolato su un paio di sale interne, molto suggestive e ‘calde’. Esternamente c’è un giardino con fiori e piante rare, con 40 coperti: difficile trovare un luogo

Giuseppe Postorino sous-chef del ristorante; “Tiramisù di un altro pianeta”, che ricrea immagini dell’allunaggio dell’Apollo.

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Tre viste del ristorante Da Noi In sito all’interno dell’Hotel Magna Pars Suites; Capasanta con funghi Enoky, buttata e caviale.

più godibile a Milano, anche con e poi onestamente queste strutil caldo di luglio, per un pranzo ture danno un senso di solidità rapido o una cena lunga. Si sta e affidabilità che spesso man“L’insegnamento di veramente bene, come nel saca ai ristoranti classici – spieFulvio Siccardi, lo lotto di casa, lo diciamo senza ga Postorino – magari non puoi retorica. Ma la vera sorpresa vieesagerare nella creatività ma chef precedente, ha ne dalla cucina: Fulvio Siccardi, comunque ti diverti inserendo i saputo far emergere vecchio leone di Piemonte, nel nostri piatti nel filone internasuo periodo al Da Noi In ha fatzionale”. Nel curriculum c’è anle capacità to un buonissimo lavoro, con un che un anno in Albereta quando di un vero creativo” Marchesi si affidava a Fabrizio merito in più ossia aver allevato in casa un sous-chef di livello. Molteni, ma l’attuale executive Si chiama Giuseppe Postorino, chef del Magna Pars Suites è classe ’85, monzese di nascita diventato abile nei cinque anni ma con forte impronta calabreal fianco di Siccardi. Meno Piese: nella sua giovane carriera, ha anche gestito un monte e più Mediterraneo potrebbe essere il claim, ristorante a Sesto San Giovanni ma alla fine ha cadovuto al fatto che sin da bambino passava quatpito che la sua strada era quella dei grandi alberghi, tro mesi in Calabria. L’evidente passione per le note conosciuti sin dalla maggiore età. “Mi piace gestire agrumate, le erbe e i sapori intensi arriva da quella terra al pari del piacere per la grande materia pritutto il meccanismo, dalle colazioni al room service

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ma “che onestamente lavorando nel centro di Milano è di alto livello se crei un rapporto di fiducia con i fornitori. Cerco di trovare il tempo per curare direttamente l’aspetto ma è difficile, inutile fingere di andare al mercato ogni giorno e in campagna ogni sabato quando non è vero” dice. Postorino ha trovato il suo braccio armato in Matteo Marra, f&b manager: stessa età, stesse origini brianzole, stesso istituto alberghiero (a Seregno). Si sono ritrovati al Nhow Hotel a pochi metri dal Magna Pars e si sono trasferiti dai Martone poco prima dell’apertura. Una bella coppia, amici nella vita e compagni nel lavoro: il servizio (siamo testimoni) ne risente positivamente. “Ci capiamo al volo, senza parlare – spiega Marra – in sala puntiamo a un servizio orizzontale, molto attento e non freddo, senza che si perda nulla in precisione. Poi c’è l’obiettivo di avere un personale capace di fare ogni ruol, come è giusto in un hotel importante”. La sala del Da Noi In è giovane ma tra le migliori della città e segue il ritmo di una cucina


Focus food

In alto: la brigata al completo; Carpaccio di cernia, agrumi, stracciatella affumicata e mandorle tostate; un’altra vista dal giardino; sotto: il Mottarello.

che sorprende pensando a una (possibile) routine dopo la partenza di Siccardi. Postorino ha coraggio, ‘spinge’ dove possibile ma sa tirare bene il freno al momento giusto. Osa con coscienza e palato, ben sapendo che al Magna Pars non si fa (e per ora non si deve fare) avanguardia ma buona cucina, con logiche concessioni alla clientela internazionale, Ma è decisamente bravo a giocare sulla carne come sul pesce (la sua passione), interpretando sempre con leggerezza, freschezza e la giusta dose di acidità. Da qui piatti come la Capasanta Vichyssoise; i Tagliolini in fondo al mare, gli Agnolotti di seppia, con fave, piselli e zafferano; la Cernia e la Triglia (di grande personalità;) il Tiramisù di un altro pianeta; l’originale Mottarello. Pescando una buona bottiglia dalla cantina (400 etichette) curata da Tommaso Nitti, l’esperienza va a buon fine. Per il Magna Pars Suites, il Da Noi In ora è davvero la ciliegina di una torta mai così profumata e sorprendente. •

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CIBUS - Parma 7-10 maggio 2018 HALL 3 STAND G002 ®

Divina Creazione n.32

Bauletti con friarielli e “Caciocavallo Silano DOP” ®

di Alessandro Coresi e Michele Bartolucci

ii edizione

Divine Creazioni è un marchio Surgital - L’italiana preferita dallo chef. Surgital S.p.A. - Lavezzola (RA) - Emilia-Romagna - Italia - +39 0545 80328 - www.surgital.it - surgital@surgital.it - n.v. 800-733525

www.smeraldiniemenazzi.it

vincitori della seconda edizione del


Protagonisti food

Max e Raf E il Caffè Quadri Di Maurizio Bertera

La bellezza del salotto dei veneziani si arricchisce di ulteriori tasselli, grazie al lavoro di Philippe Starck. Noblesse oblige, per raccontare il restauro del Quadri – il gran caffè e ristorante del XVIII secolo in Piazza San Marco e dal 2010 di proprietà della famiglia Alajmo – partiamo dalle parole di Philippe Starck, il genio che l’ha curato. “Il concetto del Quadri è semplicemente il Quadri. Il Quadri era straordinario, ma dormiente. In segno di rispetto, amore e intelligenza, non volevamo cambiare una tale concentrazione di mistero, bellezza, stranezza e poesia. Cercavamo semplicemente le sue meraviglie e ab“La famiglia biamo trovato il paese delle meraviglie. Ogni cosa qui è un gioAlajmo, al comando co mentale con la propria picdella struttura, è cola magica sinfonia. Dettagli sorprendenti appaiono in ogni alle grandi trasformazioni ottocenl’artefice di questo angolo; sulle pareti con i tessuti, tesche e novecentesche”. Ma perrinnovamento, nelle luci con i lampadari surreché un restauro così imponente? alistici e nella chimerica colleMassimiliano e Raffaele Alajmo che è innanzitutto zione di tassidermie che abita volevano preservare lo straordiculturale” questo luogo; agli animali giunnario patrimonio del Quadri e per ti qui crescono le ali sul dorso, creare un legame che lasciasse diventando creature fantastiche il segno sia nella storia contemcome il mitico leone alato di Veporanea sia in quella della cucinezia. Questo sogno deriva in parte dalla mia menna italiana.“Il restauro nasce sia dalla necessità di te, dal mio cuore e dalla mia follia ma avevamo biun recupero degli stucchi, molto compromessi negli sogno di mani per renderlo reale e il segreto della anni, sia dal desiderio di ritrovare quello splendore straordinaria qualità del Quadri risiede negli artigiani che attraverso una rilettura in chiave contemporanea veneziani”. Non è retorica, basti pensare che per la lo porti a rappresentare la cucina italiana nel monrealizzzazione del progetto, gli Alajmo e Starck hando - afferma Raffaele Alajmo. - per questo ci siamo no chiamato l’architetto ed ex rettore dell’ Universirivolti a Philippe Starck, amico da dieci anni e autotà IUAV, Marino Folin, che ha coordinato le migliori re di altri due nostri locali: Caffè Stern nel cuore di maestranze veneziane chiamate ad intervenire, sotParigi e il café-bistrot AMO all’interno del T Fondaco to la supervisione della Soprintendenza. “La grande dei Tedeschi a Venezia”. Detto che la chiave di letoperazione culturale che è stata fatta nel restaurotura alla base dell’operazione è data dal fenomespiega Folin - è stata quella di recuperare il sostrato no dell’acqua alta al quale i fratelli Alajmo hanno della produzione artigianale veneziana sopravvissuta voluto dedicare un ruolo fondamentale nelle scelte

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Da sinistra: Massimiliano e Raffaele Alajmo; Battuta di vacchetta piemontese arrotolata con salsa di semi di canapa e mango piccante; nella pagina a fianco: la splendida sala del Quadri.

progettuali e artistiche, lasciamo alle foto il compito di dare un’idea del capolavoro. Per capirlo in pieno, occorre andarci e visitare sia il piano terra, (destinato al Quadrino e al Grancaffè Quadri) sia Al primo piano, dove si trova il Ristorante Quadri. Qui l’influenza di Starck è evidente nei decori e nel recupero dei dettagli architettonici originari, a partire dal tessuto che riveste le pareti, opera della Tessitura Bevilacqua che il designer francese ha reinterpretato in chiave contemporanea, aggiungendo humor all’idea di tradizione e qualità. I volti dell’epoca sono stati sostituiti da quelli dei fratelli Alajmo in un motivo che si ripete, perdendosi e mimetizzandosi nella grandezza delle pareti. Astronavi e satelliti si confondono e rappresentano i moderni mezzi di trasporto al posto di carrozze e gondole. Ma ripetiamo, questo è il 10% di


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Protagonisti food A lato: gli eleganti ambienti ricercati del Quadri; in basso: da sinistra, Philippe Starck, Max Alajmo, Raf Alajmo, Marino Folin; Gran gelato alla nocciola.

quanto si ammira del restauro. Ora il cibo, partendo dal Quadri – stella Michelin dal 2012 - che vuole rappresentare l’espressione contemporanea della tradizione gastronomica italiana e veneziana. Curiosità: il pesce, la frutta e la verdura arrivano freschi ogni giorno dal mercato di Rialto in base alla disponibilità stagionale. “La cucina del Quadri- spiega Massimiliano Alajmo -non può prescindere dall’ambiente ma da esso ne viene influenzata, in un processo di contaminazione reciproca che porta con sé anche le sedimentazioni del tempo. Come nel futuro fluiscono il passato e il presente così la cucina vive della contaminazione passata non solo negli ingredienti

ma anche nel servizio. Una proposta gastronomica legata dunque al territorio, alla laguna e ai suoi prodotti, alla tradizione veneziana, ricontestualizzata storicamente ai giorni nostri attraverso una nuova luminosità che le conferisce maggiore profondità” Al Ristorante Quadri, oltre alla scelta à la carte, la proposta si divide in tre menù degustazione: Max, Raf e Quattro Atti. Il terzo rappresenta una nuova visione della tavola e della scansione temporale del pasto a favore della condivisione e della conversazione. Ogni atto comprende più pietanze che vengono disposte al centro della tavola e condivise dai commensali. La mescolanza e la vivacità delle

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stoviglie diventano la rappresentazione estetica di un gusto calato nella venezianità. Anche il servizio entra in questo gioco attraverso le nuove divise che escono dai canoni classici e dal rigore per adottare un look che si avvicina di più al “padrone di casa”, al nobile veneziano che accoglie i propri ospiti a casa. A testimonianza dell’importante restauro e in omaggio a Venezia, città destinata all’apparenza a scomparire che però in realtà nasconde una profonda ricchezza fatta di persone, mestieri e antiche conoscenze, i fratelli Alajmo hanno realizzato un documentario. Il film verrà terminato a metà marzo e sarà disponibile sul sito www.alajmo.it: sicuramente da vedere. •



Protagonisti food

Lo chef Giovanni Luca di Pirro; nella pagina a fianco: vista panoramica del Castello del Nero.

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Castello del Nero Luca Di Pirro, grandi piatti Di Alberto P. Schieppati

La cucina dell’Executive Chef è caratterizzata da estremo amore per materie prime di alto livello e da un approccio “moderno e contemporaneo” E’ innanzitutto merito di Robert T. Trotta, l’immobiliarista americano (ma l’origine è italiana), se Castello del Nero ha raggiunto gli attuali livelli di ospitalità superlativa. Innamoratosi a prima vista, nell’ormai lontano 2000, di questa proprietà toscana e del territorio circostante, decise con grande lungimiranza di riportarla alla luce, trasformandola in una dimora di lusso di fama internazionale. Ma è merito di chi oggi lo conduce e ci lavora con impegno quotidiano, professionalità e passione se l’immagine di questa struttura affascinante, a Tavarnelle Val di Pesa, fra Siena e Firenze, gode di una fama supermeritata, frutto di una cultura dell’ospitalità fatta di attenzione per i dettagli, dotazioni di altissimo livel-

“Sulle colline del Chianti, spicca questa location formidabile, che nel corso degli ultimi dieci anni è letteralmente rifiorita”

lo, personalizzazione dell’accoglienza. L’ubicazione, nel cuore della campagna toscana, alle porte del Chianti, ne fa la destinazione ideale per chi voglia fuggire dal caos cittadino alla ricerca di relax totale. In concreto, questo privilegio è avvalorato dalla presenza di una spa di prim’ordine: i massaggi sono resi proverbiali dall’esperienza e dalla capacità del personale, ricco di esperienza e savoir faire, oltre che dall’utilizzo di tecniche moderne ed avanzate, supportate da una visione innovativa dell’offerta spa. La ristorazione di Castel del nero è l’altro aspetto su cui è importante soffermarsi. Luca di Pirro, l’Executive, ha più, di un’anima, come ama sottolineare durante la nostra conversazione: Romagnolo di nascita, Abruzzese di origine, Toscano di adozione. Figlio di un cuoco, ha respirato fin da piccolo l’atmosfera delle cucine di un ristorante

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e proprio qui, nel locale di famiglia, ha sviluppato quella passione che lo avrebbe poi portato ai livelli attuali. Ne ha fatta di strada, Luca (il cui nome completo è Giovanni Luca, per essere precisi), nella sua evoluzione verso la prima stella Michelin, ottenuta più che meritatamente nel 2014: dalla scuola alberghiera di Rimini, Luca ha fatto esperienze importanti nel mondo, due anni nella brigata di Paul Bocuse, stage a New York in diversi stellati (ma anche, un anno, al Vicoletto di Alba, allora una stella Michelin) e poi Montalcino, dove ha incontrato la sua futura compagna Paola e ha condotto un ristorante, diventato punto di riferimento del territorio fino al 2012. Quest’anno, la grande svolta: da marzo 2012, infatti, Di Pirro diventa Executive Chef presso Castello Del Nero, dove conduce il ristorante gourmet La Torre e il tipico La Taverna. La


Protagonisti food sua filosofia di cucina è frutto di passione e rigore, oltre che di selezione della migliore materia prima che gli consente di realizzare creazioni che mi sentirei di definire Tuscan Contemporary, parafrasando l’espressione felicemente coniata da quella scuola di grandi chef britannici, discepoli di Marco pierre White. Materia, ingredienti, sapori, gusto, tecniche: valori che concorrono alla definizioen di una linea di cucina innovativa, chiara e precisa, senza sbava-

ture né imitazioni. Lo stile di Luca Di Pirro è personalissimo, e ben lo si intende da piatti che hanno un loro stile proprio, come i Cappelletti al ragù di selvaggina, germano reale: un piatto senza uguali per consistenza e succulenza ma anche per equilibrio far i gusti. La cucina dello chef denota un impegno assiduo, unito a una grande concentrazione da parte di tutta la brigata, attentissima alle indicazione dello Chef ma anche partecipe di un grande

progetto, che si relaizza ogni giorno con passione e competenza. Il Bianco e nero, cappuccino di seppia, gli Spaghetti di grano duro del Pastificio dei campi, la ricerca meticolosa di materie prime di livello altissimo (il piccione è dell’azienda agricola di Laura Peri, il benchmark di alta qualità del Valdarno, con sede a Montevarchi). Ma qui alla Torre non è solo questione di materia o di ingredienti, ma di talento, di passione e di gioco di squadra. Alla bravura del

Sopra: la terrazza con la sua splendida vista; lo chef impegnato in un impiattamento; a fianco: la suggestiva cantina dove è possibile anche cenare.

fuoriclasse Luca fanno da contraltare l’impegno di tutta la cucina e della sala, egregiamente condotta e presidiata da giovani professionisti di valore: Pasquale Iaccarino, l’attento maitre, Jessica Michelutti, cortese e proattiva Roberto Santi, sommelier di razza e poi Bryan, e Francesca, nomi che ricordo e che corrispondo a elementi validissimi di una squadra senza la quale il successo della Torre e della Taverna non raggiungerebbe l’attuale perfezione. Ora, con la riapertura dopo la stagione invernale, Castello del Nero si prepara ad allietare i gourmet internazionali (molti gli americani innamorati di questo magico lembo di terra) ma anche quanti, italiani, sanno di poter contare su un’offerta di ristorazione “moderna, contemporanea e autenticamente legata al territorio”, come ama definire la sua cucina l’Executive Chef, il sapiente ed equilibrato Luca Di Pirro. •

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Eventi

COMITATO PROMOTORE Enzo Andreis • Presidente AIGRIM Pietro Auletta • Presidente e A.D. Dussmann Service Stefano Biaggi • Presidente e A.D. Sodexo Italia Cristian Biasoni • A.D. Chef Express Sergio Castelli • A.D. Areas Fabrizio de Fabritiis • A.D. Milano Ristorazione Antonio Giovanetti • Dir. Generale Camst Franco Manna • Presidente Sebeto Chiara Nasi • Presidente CIR food Ernesto Pellegrini • Presidente Gruppo Pellegrini Mario Putin • Presidente Serenissima Ristorazione Massimiliano Santoro • Group Public Affairs and Europe Business Development director Autogrill Antonio Savoia • Presidente Edifis Carlo Scarsciotti • Presidente Angem Portavoce Oricon Fabio Spaccasassi • A.D. Compass Group Italia Lino Stoppani • Presidente Fipe Lino Volpe • Presidente Elior Ristorazione


i Convegni di Ristorando in collaborazione con:

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Ristorando 10° EDIZIONE MOSTRA CONVEGNO 4-5 OTTOBRE 2018 Centro Convegni “Le Stelline” Milano - Corso Magenta, 61

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Lux Lucis, altissimo livello al Forte A due passi dalla Capannina, il ristorante dell’hotel Principe è un indirizzo da appuntare sul taccuino. Valentino Cassanelli è un talento.

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di Gualtiero Spotti Veduta dalla terrazza dell’hotel Principe; sotto: l’ingresso del ristorante Lux Lucis all’interno dell’hotel.

Per tante ragioni, l’Hotel Principe a Forte dei Marmi è uno dei gioielli della Versilia. Il primo aspetto che lo differenzia da buona parte delle altre strutture alberghiere non troppo distanti e disseminate lungo le spiagge, è sicuramente il look, che non è quello dei grandi palazzi di un tempo, dal gusto un po’ fané e dagli ambienti pomposi e ridondanti. In realtà il Principe è più vicino alla tipologia del boutique hotel, dal gusto contemporaneo, con linee squadrate, opere d’ar“Cucina italiana, te disseminate tra il giardino e gli spazi comuni, e una decisa ma con un tocco verso la funzionalimolto personale che attenzione tà e le esigenze del viaggiatore moderno. Con personalizzasfiora l’anarchia. zioni del servizio, su misura del Alcuni piatti sono cliente, la massima discrezione e uno stile elegante e sobrio alimperdibili.” lo stesso tempo. Eppure siamo a due passi dalla mitica Capannina e dal corso che raccoglie il via vai vacanziero per almeno due terzi dell’anno. Il Principe, come ormai accade da tempo in Italia per gli alberghi con molte stelle, è frequentato da ospiti in buona parte internazionali, che ne apprezzano lo standard elevato capace di mostrarsi nella piccola e raffinata Spa sotterranea (con piscina, trattamenti e una sala fitness), nei divanetti del piccolo giardino nel quale rilassarsi, nella varietà degli ottimi cocktail del 67 Sky Lounge Bar, con vista sulle Alpi Apuane o sul mare dall’ultimo piano dell’albergo. E sempre qui una delle cucine più emozionanti e innovative di quest’angolo d’Italia, quella di Valentino Cassanelli al ristorante Lux Lucis. Sul quale è ben soffermarsi con attenzione.

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Protagonisti food Nativo di Modena e dalla riconoscibile capigliatura vagamente branduardesca, quasi unica nel panorama degli chef italici, Valentino Cassanelli è un talento che l’hotel Principe ha saputo far crescere in casa propria (pur non dimenticando, tra gli altri, i trascorsi cracchiani), visto che ormai da sei anni ha preso in mano le redini del Lux Lucis modellandolo a sua immagine e somiglianza. La cucina è chiaramente italiana e in parte vicina al sentire squisitamente regionale, ma con un tocco molto personale che sfiora l’anarchia e che sorprende in molte preparazioni. Contemporanea senza cadere in eccessivi tecnicismi, gustosa con equilibri notevoli anche quando ci si muove verso acidità e contrasti non semplici. Curiosa quando si nutre degli sprazzi di novità acquisite nei lunghi viaggi, sempre finalizzati alla scoperta gastronomica, che Valentino

all’ultimo piano dell’albergo, e con l’intervento strutturale di un open space aperto sulla sala, che da quest’anno dovrebbe vedere anche una Chef’s Table a pochi centimetri dai fornelli. Per una esperienza ancor più a stretto contatto con il cuoco. Le idee maturate in questi ultimi mesi hanno portato alla realizzazione di tre diversi percorsi e menu: la ConLo chef Valentino Cassanelli; lo Sky Lounge Bar con la sua splendida vista.

si concede nei mesi di chiusura del ristorante. Come quello affrontato lo scorso novembre per vivere il Sudamerica e i nuovi trend della cucina peruviana e amazzonica. “La voglia è sempre quella di creare legami di gusto” dice il cuoco, “a volte con acidità anche eccessive, ma all’interno di piatti più rotondi, dai contenuti perfino burrosi. E con l’idea di lavorare su menu degustazioni di viaggio, dove un piatto è collegato all’altro”. Una ambizione che forse sarà ancora più facile rappresentare con la nuova cucina

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temporaneità della Cucina in quindici portate, con un’ampia contaminazione di prodotti che arrivano da tutto il mondo, la Sintesi in sette portate per chi vuole conoscere in un percorso più conciso la filosofia di Cassanelli e infine il Tuffo nel territorio, dove la Versilia diventa la principale protagonista nel piatto. Già a partire dal mese di marzo, che ha visto la riapertura, anticipata rispetto allo scorso anno, del ristorante. Qui tra i piatti che risultano imperdibili vale la pena segnalare il Maccheroncino al karkadé con anguilla al timo, il Pic-

cione glassato al polpo, con litchi e zenzero, o il sorprendente Aglio, Olio e peperoncino, con cremoso al peperoncino, crumble all’olio e gelato all’aglio. E tra i dolci si va ancora controcorrente con le Erbe di campo, fave e liquerizia. Non bastasse l’esperienza di rottura di una cucina capace di muoversi a piene mani nella modernità senza risultare omologabile, a rendere ancor più unica la sosta al tavolo c’è l’eleganza e la professionalità dell’impeccabile sommelier Sokol Ndreko. A dir poco una certezza, visto anche il recente curriculum che

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Un altro scorcio del Lounge Bar; la sala ristorante con i vini e la cucina a vista.

lo vede miglior sommelier BIWA nel 2015 e maitre dell’anno per l’Espresso nel 2017. La carta dei vini si è ampliata ulteriormente tra riferimenti nazionali e non, pescando anche in scelte di bottiglie naturali e l’ormai consolidata affinità tra cuoco e sommelier ha portato a incroci vino/cibo davvero stuzzicanti. Quando ci si guarda intorno per capire dove va la cucina italiana e quali sono gli indirizzi da appuntare sul taccuino, il Lux Lucis, va detto, non può mancare. Per molti versi è ancora un ristorante i fase di grande crescita e che non ha visto certo esaurirsi la spinta propulsiva di una cucina capace di volare a livelli altissimi.•


Focus food

Italian Caviar, l’oro nero da tavola Made in Italy Nel Parco del Ticino, dagli Anni Sessanta, si allevano storioni. Una produzione importante e di qualità.

di Gualtiero Spotti

“Non solo caviale. Lo storione manifesta la sua versatilità anche quando lo si degusta in altre vesti”

La storia dell’acquacoltura in Italia, soprattutto se si parla di storioni e della produzione di caviale, si può ben dire che pone le sue basi all’inizio del nuovo secolo, con le prime sperimentazioni, partendo da chi già in passato aveva sviluppato competenze nell’allevamento di altre specie come le trote. Pur essendo un prodotto, il caviale, che già a partire dal 1500 finiva sulle tavole più nobili, in realtà è solo negli anni Sessanta che vengono poste in essere le condizioni per arrivare poi, oggi, a una produzione importante e di qualità.

Tutto nasce con l’intuizione della famiglia Mandelli, di origine trentina, che acquisisce, all’interno dell’allora non ancora costituito Parco del Ticino, 300 ettari da dedicare all’allevamento di trote, bovini e per l’agricoltura convenzionale. Con il passare degli anni prende forma l’idea di cambiare tipologia di allevamento e di passare all’acquacoltura dedicata agli storioni, complice la famiglia Giovannini, con la quale nel 2001 prende forma una prima società che impiega i primi anni di vita nel lungo processo di crescita e di perfezionamento della produzione partendo dalla selezione dei pesci. I Giovannini

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(nella figura di Giacinto, pioniere nella riproduzione degli storioni, anche di diverse specie, e oggi con il figlio Sergio, impegnato anima e corpo nello sviluppo della storionicoltura) mettono a disposizione il loro know how, e con i Mandelli, nelle vasche già presenti sui terreni nel Parco del Ticino, inaugurano in provincia di Pavia a Cassolnovo la stagione dello storione italiano di qualità e, ovviamente, del caviale. Nel 2001 nasce una prima azienda denominata Società Agricola, e nel 2007 con i primi 200 chili prende il via l’avventura del caviale italiano. Il 2007 è anche l’anno in cui i due soci accolgono un terzo partner, Agroittica Lombarda, e si arriva alla nascita dello storione Ticino, cresciuto e allevato all’interno del parco, con la nuova società Italian Caviar

e il marchio Ars Italica che produce in buona parte tre diversi tipi di Oscietra (Classic, Royal e Imperial, dal cosiddetto storione russo) e una quantità più ridotta di Sevruga (dallo storione stellato) e di raro caviale albino (dallo storione sterleto) che entrerà in produzione da questa primavera. Il recupero e la salvaguardia di questo pesce è avvenuto negli ultimi anni anche se gli storioni in tempi lontani esistevano già in Italia. Poi diverse cause, non naturali, dagli sbarramenti fluviali costruiti per l’energia elettrica alla pesca indiscriminata, fino all’inquinamento dei fiumi, ne hanno compromesso la riproduzione. “Gli storioni si può dire che sono come i salmoni” dice Sergio Giovannini, “e devono quindi risalire il fiume per deporre le uova. Negli anni pas-

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Nella pagina a fianco: Sergio Giovannini; una vasca che accoglie gli storioni; in questa pagina: la Trattoria dei pescatori a Cerano (No) dove si possono degustare il caviale e lo storione.

sati però è stata costruita una grande diga a Isola Serafini, tra Piacenza e Cremona, non pensando alle esigenze riproduttive dei pesci, che così si fermavano agli sbarramenti e venivano poi pescati in grande quantità. Si è davvero arrivati molto vicini alla loro estinzione”. Nel Parco del Ticino invece non si corrono certo questi rischi, oltretutto l’acqua è di pozzo o sorgiva e quindi di grande purezza. Classificati in ventisette specie, e tutte presenti nell’emisfero nord, gli storioni in natura sono pesci


Focus food

ormai a rischio estinzione e per questa ragione da circa venti anni sono preservati e inseriti nelle liste CITES, l’organo internazionale che tutela fauna e flora mondiali. Al punto che in diverse regioni della Russia, una delle patrie del caviale, ormai non esiste più lo storione selvaggio, e, paradossalmente, un prodotto che nell’immaginario collettivo arriva in buona parte dall’ex Unione Sovietica, in realtà è presente grazie alll’acquacoltura in diverse parti di Europa. Nel giro di un paio di lustri Italian Caviar,

che si occupa della commercializzazione, mentre la lavorazione avviene tutta a Calvisano, da Agroittica, è diventata leader mondiale del settore ed è presente nei menu di molte tavole internazionali di grande prestigio che hanno scelto una azienda tutta

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italiana capace di lanciarsi nel recupero di specie endemiche, di investire (anche in termini di tempo visto che per arrivare a una buona produzione di caviale bisogna mettere in conto una decina di anni) e di valorizzare un prodotto come lo storione anche come alimento per la ristorazione, non solo per il pregiato caviale. Perché se è vero che l’oro nero da tavola rimane un’eccellenza cui è difficile resistere, lo storione manifesta la sua versatilità anche quando lo si degusta in altre vesti, cioè come semplice pesce. Basti pensare che Agroittica lo commercializza perfino sott’olio e in vasetto, con i filetti cotti a vapore. Avendo questo pesce un buon contenuto proteico, una bassa percentuale di grassi e grandi quantità di Omega 3, risulta essere un alimento perfetto per una dieta salutista. Se ne sono accorti anche cuochi di fama come Carlo Cracco e Marco Sacco che ne hanno in qualche modo promosso l’utilizzo negli ultimi anni. •


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Grandi chef del mondo al Festival di Soneva di Alberto P. Schieppati

Per tutto il 2018 gli esclusivi luxury resort alle Maldive accoglieranno 28 Chef stellati Michelin, fra cui Max Mascia del San Domenico di Imola, due stelle. Per un anno, tra febbraio 2018 e febbraio 2019, i resort della catena Soneva (www.soneva.com) daranno un grande spazio a esperienze culinarie estremamente raffinate: Soneva ha confermato finora 28 fra i migliori Chef del mondo (molti dei quali con almeno due stelle Michelin, oltre ad essere inclusi nella lista dei 50 migliori ristoranti del mondo) per “Anche celebri cene-eventi esclusivi. Tra gli Chef confermati citiaproduttori vinicoli, mo: Tom Aikens, il più gioartisti, astronomi, vane Chef britannico, due stelle Michelin, Andre Van professionisti del Alten, del ristorante una benessere saranno stella La Provence a Driebergen- Rijsenburg, Paefra i protagonisti del si Bassi, Jean-Christophe Festival del Colore” Ansanay-Alex, due stelle Michelin, Chef dell’Auberge de l’Ile Barbe, Francia, Wilco Berends, del ristorante due stelle Michelin De Nederlanden, Paesi Bassi, Tim Butler di Eat Me, Bangkok, Benoit Dewitte, Chef e proprietario del ristorante stellato Michelin Benoit Dewitte in Belgio, Andre Van Doorn, del ristorante con una stella Kasteel Heemstede, Paesi Bassi, Jarno Eggen, del ristorante stellato Micheline De Groene Lantaarn, a Zuidwolde, Paesi Bassi, Jos Grootscholten, del Vecchio Municipio di Capelle aan den Ijssel, Paesi Bassi, con una stella, Kenji Gyoten, il più giovane Chef giapponese con tre stelle Michelin. Michael Husken, che dirige il team di cucina del ristorante Sophia di Rocco Forte “The Charles Hotel”, Monaco, Mark Lundgaard, chef con una stella Michelin del ristorante Kong Hans Kaelder in Danimarca, Gert De Mangeleer, chef con tre

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Nella pagina a fianco: lo chef del ristorante San Domenico (Imola) Massimiliano Mascia; Scampo e goletta di maiale.

stelle Michelin che co-gestisce il ristorante Hertog Jan in Belgio, Max Mascia, del due stelle Michelin San Domenico Imola, l’unico Chef italiano, Claus Meyer, cofondatore di Noma a Copenaghen, del miglior ristorante Gustu in Bolivia e dell’Aneern e Great Northern Food Hall con una stella Michelin a New York City, Kiko Moya, chef due stelle de L’Escaletta, Spagna, Jean Baptiste Natali, Chef una stella de Al the General, Colombey-les-Deux-Églises, Francia, Bruno Oger, rinomato Chef con due stelle Michelin di Le Cannet, Francia, Pere Planaguma, due stelle Michelin, che è il capo cuoco di Les Cols of Olot di Girona, in Spagna, Tim Raue, del ristorante con due stelle Michelin Tim Raue, a Berlino, Germania, Prate-

ek Sadhu di Masque, uno dei ristoranti più acclamati di Mumbai, Dimitry Shurashov, famoso Chef russo, Christian Le Squer, Chef con tre stelle Michelin dalla Francia, Ton Tassanakajohn di Le Du a Bangkok; uno dei 50 migliori ristoranti asiatici, Edwin Vinke dei due stelle Michelin De Kromme Watergang a Hoofdplaat, Paesi Bassi, Michael Wignall, ex Gidleigh Park, Regno Unito, con due stelle Michelin e cinque rosette AA, Lu Yao, capo Chef del Relais & Chateaux Yihe Mansions in Cina. Eric Yu, Chef del Relais & Chateaux Seven Villas Hangzhou, Cina. Un grande parterre, che vede riuniti per la prima volta al mondo grandi Chef, vere e proprie celebrity del firmamento gourmet internazionale. “Siamo davvero

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concentrati - dice Sonu Shivdasani, fondatore, CEO e direttore creativo di Soneva - sulla creazione di queste meravigliose esperienze su misura, dove la scoperta è uno stile di vita. Con i nostri esperti, in veste di guide personali, invitiamo i nostri ospiti ad esplorare e ad apprezzare esperienze che dureranno una vita.” “Soneva non è mai stato così pieno di LIFE – dove VITA sta per Apprendimento, Ispirazione, Divertimento, Esperienze” – continua Sonu. Oltre agli chef, tra gli altri esperti ci sono il famoso storico britannico Andrew Roberts, il campione mondiale apneista Umberto Pelizzari, l’astronomo Massimo Terenghi, oltre ad artisti del vetro James Devereux e Louis Thompson.•


Focus food

Borgo San Felice, gourmet destination toscana Di Emanuela Stìfano

All’interno del Relais due ristoranti, Poggio Rosso e l’Osteria del Grigio. Alla guida Fabrizio Borraccino, chef neostellato e grande professionista. A pochi chilometri da Siena, tra le colline del Chianti Classico Senese, precisamente nel comune di Castelnuovo Berardenga, sorge Borgo San Felice. È sufficiente un colpo d’occhio per capire che è lì da sempre, o quasi. L’antico villaggio in pietra di epoca medievale è tornato agli antichi splendori negli anni ‘70, in seguito all’acquisizione da parte del Gruppo Allianz, che ha provveduto a un lungo restauro conservativo. Dalla sua apertura nel 1991, Borgo San Felice è un albergo diffuso e, dal 1992, è l’unico Relais & Châteaux della regione del Chianti Classico. Oggi Borgo San Felice è un albergo 5 stelle e, al contempo, un Wine Resort: negli anni, importanti riconoscimenti internazionali ne hanno suggellato la produzione enologica. Il direttore Danilo Guerrini, toscano, coordina uno staff di 60 persone con l’esperienza consolidata

nell’ospitalità a 5 stelle e con il giardini fioriti e cortili protetti, La cucina di garbo e l’eleganza tipica del “pafino all’antica Pieve che si colBorraccino è drone di casa”. loca all’ingresso del villaggio, Appena fuori dal borgo, in posiziolungo la strada principale che rispettosa, colta, ne dominante rispetto alle vigne, fa parte di una tappa della Via ma votata alla si affaccia Villa Casanova, con 3 Francigena. appartamenti completamente acL’antico Forno del villaggio è semplicità. cessoriati per un totale di 9 caoggi l’attuale reception con camere, con grande giardino estermere ai piani superiori, mentre no e piscina: una proposta alterun secondo forno è inserito nel nativa riservata a piccoli gruppi di tessuto urbano del borgo ed il Frantoio originale è oggi diveospiti che desiderano soggiornare nuto la sede dell’area benessere. Le 25 camere e a Borgo San Felice in modo più indipendente, 24 suite, distribuite fra le varie strutture, danno all’oma pur con i servizi dell’hotel a disposizione. spite la sensazione di abitare una casa del borgo, Quanto al Relais si sviluppa intorno alla piaznon di alloggiare in una camera d’albergo, e così di za medievale, dove fa bella mostra di sé vivere con i ritmi e le abitudini di un piccolo centro l’elegante Palazzo patrizio del 18° secodove incontrarsi con gli altri “abitanti” per un caffè, lo, fronteggiato dalla Cappella in pietra passeggiare nei vicoli, avventurarsi fra i sentieri delle calcarea e affiancato dall’antico blocco colline, o andare a cena. E a proposito della cena, della Foresteria. Dalla piazza si snola proposta gastronomica di Borgo San Felice è l’edano le vie che conducono agli altri spressione più eloquente di una visione del territoedifici, dove si trovano i due ristoranrio che l’ha portata ad essere una gourmet destinati, il bar con la terrazza esterna che si tion nel cuore della Toscana. Poggio Rosso - intimo affaccia sulla piscina, alternati a vari

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Nella pagina a fianco: vista del Borgo San Felice; la famosa Panzanella, proposta dell’executive chef Fabrizio Borraccino (qui in basso); a fianco: l’Osteria del Grigio.

e ricercato - è il ristorante gourmet del Borgo, e ha da poco conquistato la sua prima stella Michelin. Completa l’offerta l’Osteria del Grigio, che propone una formula di cucina più semplice, nello spirito familiare della tradizione toscana attualizzata nella presentazione. Entrambi i ristoranti sono sotto la guida dell’Executive Chef Fabrizio Borraccino, talento di origini abruzzesi con formazione arricchita da esperienze importanti a livello nazionale ed internazionale, tra cui spiccano gli anni passati al fianco di chef pluristellati quali Antonio Guida, il francese Pierre Gagnaire e l’inglese Gordon Ramsay. Borraccino guida la sua brigata con carattere e passione, apportando nei piatti quello che è il suo tratto essenziale - l’equilibrio - ovvero la capacità di bilanciare tecnica, creatività, concretezza, facendo risaltare i sapori con grande naturalezza, senza eccedere in virtuosismi o abbandonarsi all’autoreferenzialità. Una cucina rispettosa, colta, ma votata alla ricerca della semplicità. Tutto ciò realizzato utilizzando solo ingredienti di prima qualità, privilegiando prodotti locali e stagionali, attingendo il più possibile dall’Orto Felice della tenuta, un progetto di orto “sociale” che vede coinvolti anziani residenti della zona e alcuni giovani diversamente abili. La leggerezza dei suoi piatti e l’apparente semplicità gratificano e sorprendono i palati più esigenti. La carta dei vini è centrata sulla produzione diretta, con le varie etichette nate dalla ricerca e sperimentazione di Agricola San Felice, dal “Vigorello” al “Poggio Rosso” al “Campogiovanni Brunello di Montalcino DOCG” ma si completa con un’interessante proposta di etichette nazionali e internazionali che ampliano ed approfondiscono l’esperienza enogastronomica di Borgo San Felice.•

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Focus food

Olio DOP Riviera Ligure Un grande menù stellato

Tre eventi in tre città diverse hanno permesso alle aziende del Consorzio di Tutela dell’Olio extravergine di oliva DOP Riviera Ligure di incontrare il settore ho.re.ca. Unanimi l’interesse e il consenso.

Al fine di favorire un rapporto più proficuo tra aziende di produzione, chef dell’alta ristorazione e distribuzione gourmet, il Consorzio di Tutela dell’Olio extravergine di oliva DOP Riviera Ligure e la Fondazione Qualivita - realtà che opera a livello nazionale e internazionale da L’Olio DOP oltre 15 anni per la protezione e la valorizzazione dei prodotti Ligure agroalimentari di qualità a Deprotagonista nominazione di Origine Protetta - hanno programmato, nel del menù mese di marzo, tre eventi. Prostellato di Tano tagonista degli incontri l’Olio evo DOP Riviera Ligure. Per le Simonato.

LA CARTA DI IDENTITÀ DELL’OLIO DOP RIVIERA LIGURE L’Olio Extra Vergine di Oliva DOP Riviera Ligure è un olio delicato, leggermente fruttato, decisamente dolce con leggere sensazioni di amaro e piccante. I sentori possono essere di mandorla, carciofo, mela, erbe selvatiche. All’assaggio si distingue per l’armonia e la finezza delle note fruttate e l’impatto dolce iniziale al palato. Il gusto leggero e delicato rende il Riviera Ligure DOP un olio ampiamente utilizzabile in cucina poiché non copre il sapore delle pietanze. È infatti ideale sui piatti a base di verdure e di pesce tipici della gastronomia ligure e mediterranea. La sua naturale versatilità lo rende interessante nella sperimentazione della cucina fusion, mentre la nota dolce lo rende protagonista nelle preparazioni di pasticceria.

Tano Simonato e il menù da lui ideato in cui l’ingrediente centrale, dall’antipasto al dolce, è l’Olio DOP Riviera Ligure

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La denominazione deve essere accompagnata da una delle tre menzioni ufficiali che si differenziano per l’area di produzione e per la diversa percentuale negli oliveti delle specifiche varietà di olivo. Nella menzione geografica “Riviera dei Fiori” l’olio è una monocultivar Taggiasca. Nella “Riviera del Ponente Savonese” deve provenire almeno per il 50% da olive di varietà Taggiasca mentre, nella “Riviera di Levante”, per almeno il 65%, da olive di varietà Lavagnina, Razzola, Pignola e cultivar locali autoctone.


Il Consorzio di Tutela e le aziende socie Costituitosi nel 2001 il Consorzio per la Tutela dell’Olio Extra Vergine di Oliva DOP Riviera Ligure, forte della partecipazione dei soci olivicoltori, frantoiani ed imbottigliatori e grazie al riconoscimento ottenuto dal Ministero delle Politiche Agricole, ha nei suoi obiettivi la tutela e la promozione della DOP Riviera Ligure nelle sue tre menzioni geografiche: Riviera dei Fiori, Riviera del Ponente Savonese, Riviera di Levante per offrire ai consumatori una qualità d’olio tra le più ricercate dagli intenditori. Questa eccellenza è il frutto del lavoro di tante aziende. Molte di esse hanno preso parte ai tre eventi, con i propri titolari e responsabili, riportando un’ottima impressione e raccogliendo adesioni e interesse. Ecco nel dettaglio le aziende che hanno preso parte al programma. FRANTOIO DI SANT’AGATA DI ONEGLIA Per descrivere Frantoio San’Agata è sufficiente il claim dell’azienda: piccoli produttori di grande qualità dal 1827. La sede e lo stabilimento con il moderno frantoio si trovano nell’immediato entroterra di Imperia, a Oneglia, nella piccola frazione di Sant’Agata. È una classica storia italiana: in origine un frantoio mosso da energia animale e umana nel cuore di un piccolo centro storico, immerso in un mare di olivi. In seguito, il sapere oleario dell’azienda si è consolidato in varie generazioni ed è stato premiato a più riprese per la qualità del prodotto e della sua presentazione. Nel tempo si è materializzata una particolare attenzione internazionale per la gamma dei prodotti proposti, che restano improntati a una dimensione mediterranea, spiccatamente ligure, attentamente proposti, ma che interpretano le aspirazioni di cucine internazionali e si pongono in relazione con luoghi di ospitalità e ristorazione.

AZIENDA OLIVICOLA CANAIELLA Canaiella è una voce agricola salda nel panorama savonese. Il suo olio proviene soprattutto da un podere prossimo al mare, nei dintorni di Savona. Un’oasi di pace, incontaminata e dunque convertita alla gestione biologica. La varietà allevata è taggiasca per 96% e poi frantoio, leccino, moraiolo e pendolino per il 4 %, tenuti quali impollinatori. L’attenzione assoluta a tutte le fasi produttive è stata premiata più volte in sedi prestigiose. Nel contesto commerciale attuale si apprezza in particolare modo la scelta del biologico, sempre più richiesto. In più, il disciplinare dell’olio extravergine di oliva DOP Riviera Ligure-Riviera del Ponente Savonese, gioca anche su di una sempre più spiccato equilibrio con un amaro-piccante più pronunciati. La ricchezza di fenoli si applica così su preparazioni più robuste anche a livello mediterraneo.

presentazioni - guidate da Alberto Schieppati, direttore editoriale di Artù, affiancato da Luigi Caricato, oleologo di fama internazionale, che si è occupato dell’analisi sensoriale del prodotti - sono state scelte tre capitali italiane del food di qualità, ognuna con le proprie specifiche peculiarità: Milano perché innovativa e dinamica, Torino perché creativa e nobile e Parma in quanto accogliente capitale della food valley. A interpretare l’olio DOP Riviera Ligure, non poteva che esserci Gaetano Simonato,

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Focus food ossia colui che ha fatto dell’olio extravergine di oliva il cardine del proprio percorso gastronomico, proponendolo a partire dal suo ristorante di Milano e giungendo a fare scuola anche con le sue pubblicazioni di successo. E proprio nel ristorante milanese di Simonato - Tano passami l’olio – si sono aperti i lavori. Lo chef ha proposto, per la prima volta, il suo menù in cui l’ingrediente centrale, dall’antipasto al dolce, è stato l’olio DOP Riviera Ligure: un successo. Che poi si è ripetuto nella “tappa” successiva,

Un momento dell’evento organizzato a Milano

RANISE AGROALIMENTARE Il punto fermo della famiglia Ranise è l’innovazione nel solco della tradizione. Si tratta di un’azienda giovane, nata nel 1995, ma con radici storiche: l’attività agricola e olearia degli antenati risale ai primi anni del XX secolo, con base in val Prino, nell’entroterra di Imperia Porto Maurizio. L’ultima generazione ha ripreso l’antico percorso nel moderno stabilimento di Chiusanico in valle Impero, è tornata all’entroterra ligure profondo, aprendosi però ad una dimensione commerciale internazionale. Quello che spicca è proprio la visione a largo raggio del concetto di narrazione dei prodotti del territorio e nella proposta degli stessi a un pubblico sempre più ampio e vasto, con volontà di una diffusione del modo di vivere l’alimentazione slow in una dimensione autenticamente mediterranea.

LUCCHI E GUASTALLI È un’azienda giovane, fondata nel 1995 da Marco Lucchi, agronomo specializzato nella coltura olearia. Da subito si è votata alla produzione dell’olio extravergine di oliva DOP Riviera Ligure. Nel 2002 acquisisce un antico frantoio posto nella regione del Magra, sulla via Francigena, rimodernato nel 2006. Si applica tecnologia innovativa legata alla Green Economy, anche se le radici sono nel passato dell’azienda, contraddistinto nella coltivazione della storica varietà locale di olive Razzola. Appare chiaro che si valorizza la realtà di una Liguria come regione ampia, lunga sull’arco del Tirreno, con diverse anime ed in grado di soddisfare una scelta alimentare variegata, tipica del contesto ligure tradizionale e non priva di preparazioni che richiedono un maggior nerbo in rapporto al condimento utilizzato. PODERE DONZELLA La famiglia Donzella produce olio da decine di anni con grande attenzione alla qualità e alla tradizione. I fondi agricoli sono collocati nel territorio comunale di Castellaro, all’imbocco della valle Argentina, di fronte a Taggia. Qui si coltivano secolari piante di cultivar Taggiasca. Da Paolo Donzella si è passati alla conduzione della figlia Elena, la quale si sta impegnando nel rinnovamento aziendale, con particolare attenzione al processo produttivo e alla prossima sfida legata alla svolta biologica. Il panorama è completato da una particolare attenzione anche ad altre produzioni, come la vigna di Moscatello. Elena Donzella ha il polso costante delle necessità specifiche del mondo dell’ospitalità e delle tendenze della ristorazione, perché viaggia molto e vive la realtà milanese e padana in modo approfondito.

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OLIO ANFOSSO Anfosso nasce nel 1945 e ha vissuto l’evoluzione della produzione olearia in valle Impero, nell’entroterra ligure occidentale. Sulle macerie del dopoguerra si è costruito un percorso virtuoso basato sulla qualità, in ragione di un costante miglioramento delle tecniche di lavorazione delle olive e degli spazi operativi. Oggi Anfosso vuol dire modernità nella tradizione, nonché apertura al mercato internazionale. L’azienda presenta una gamma produttiva che va oltre l’olio extravergine di oliva DOP Riviera Ligure-Riviera dei Fiori e, come tale, si pone all’attenzione del mercato dell’accoglienza e della ristorazione.

SOMMARIVA TRADIZIONE AGRICOLA Un’impresa a conduzione familiare, di tradizione secolare. L’impegno attuale svaria su più attività produttive, ma l’olivo è sempre stato un cardine assoluto di attenzione. Sommariva vuol dire amore per il territorio, concretizzato anche nel didattico museo aziendale collocato entro le mura del centro storico di Albenga. L’esperienza aziendale è stata recentemente oggetto di studio in un documentato saggio di Giorgio Boatti, dal titolo significativo: Un paese ben coltivato: Viaggio nell’Italia che torna alla terra e, forse, a sé stessa. L’olio extravergine di oliva DOP Riviera Ligure-Riviera del Ponente Savonese si affianca anche ad una vicenda agricola mediterranea completa, con eccellenze legate al mondo del vino ed all’invenzione del “Caviale del Centa”. Il Centa è il torrente che bagna Albenga e il caviale non è certo di storione, ma è figlio del territorio, quale crema al naturale composta da olive taggiasche, capperi e acciughe. Mediterraneo e versatile. AZIENDA AGRICOLA SANTA BARBARA Alle pendici del Monte di Portofino, a Nozarego, una collina che si affaccia sul Golfo del Tigullio, Umberto Costa ha ripreso la tradizionale attività della sua famiglia bonificando terreni abbandonati. Il lavoro di Umberto è un tributo alla tradizione di famiglia. Già nel 1871 Giuseppe Costa spediva al proprio figlio Giovanni Battista, nonno dell’attuale produttore, 14 barili di olio di Nozarego a Santiago del Cile. Le cultivar impegnate sono la Lavagnina, cugina della Taggiasca nel Levante ligure, e la Pignola. E ogni passaggio agricolo e produttivo è compiuto con estrema attenzione, dal terrazzamento collinare fino al frantoio moderno a ciclo continuo. La famiglia Costa, peraltro, si occupa anche di ospitalità e lo fa in uno scenario di grande suggestione. Carla Clivio Costa, del resto, dichiara: “Ritengo prezioso questo ritorno alla terra, alle coltivazioni originarie del territorio, recuperare le tradizioni alimentari in chiave contemporanea”.

svoltasi al Les Petites Madeleines, il ristorante guidato dallo chef Stefano Sforza all’interno del Turin Palace della famiglia Marzot, a Torino: Tano ha qui incontrato il bravo Stefano Sforza e la sua brigata, e con loro ha realizzato nuovamente il suo menù. Infine, l’ultima e significativa tappa di Fidenza (Parma), presso l’Osteria di Fornio, guidata dagli eccellenti Cristina Cerbi e Luca Caraffini: anche in questo caso, il consenso è stato unanime. Un tempio, quello di Cristina e Luca, della cucina di territorio, che ha visto, come a Torino e Milano, una folta e interessata rappresentanza di professionisti della ristorazione. Il che insegna che la valorizzazione di

Da sinistra: Alberto Schieppati, Tano Simonato e il proprietario del Turin Palace Hotel, Piero Marzot

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un prodotto passa anche dalla condivisione, dalla diffusione e dalla conoscenza delle sue qualità e delle infinite possibilità di espressione. A ciascun appuntamento gourmet sono intervenuti una trentina di operatori del settore ho.re.ca fra chi opera nel contesto della gastronomia di qualità, ristorazione e distribuzione di alto livello: entusiasmo, curiosità, approfondimenti sono stati all’ordine del giorno, a conferma del fatto che il Consorzio di tutela dell’Olio extravergine di oliva DOP Riviera Ligure ha fatto un ottimo lavoro di semina nel tempo. Grazie al Consorzio di tutela e al Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020 della Regione Liguria,


Focus food

Tano Simonato e Cristina Cerbi

infatti, alcune delle aziende consorziate hanno potuto presentare il proprio olio DOP ai professionisti intervenuti. E se il prodotto è piaciuto, si può star certi che quei professionisti non dimenticheranno

LE ALTRE AZIENDE CONSORZIATE

Antico Frantoio Ramoino Franco, Azienda Agricola Blengini Adriano, Azienda Agricola Armato Cristina, Azienda Agricola Calzia Emanuele, Azienda Agricola Carlo Siffredi, Azienda Agricola Damiano SS, Azienda Agricola Daprelà Michel, Azienda Agricola Emanuela Rebaudengo, Azienda Agricola Il Cascin, Azienda Agricola Il Frantoio, Azienda Agricola Malafronte Nicola, Azienda Agricola Muaje di Marvaldi Enrica, Azienda Agricola Sole e sassi, Azienda Agricola Terra Leggiadra SSA, Azienda Agricola Torre dei Paponi, Azienda Agricola Viani, Azienda Agrituristica Lo Scoiattolo, Benza Frantoiano, Casa Olearia Taggiasca, Frantoio Boeri Giuseppe, Frantoio Ghiglione, Frantoio Oleario Marvaldi Giuseppe, Frantoio Oleario Saguato Stefano, Frantoio Pellegrino Paolo, Frantoio Ulivi di Liguria, Frantoio Venturino Bartolomeo, Fratelli Carli, Fratelli Merano, Gandolfo sas, Giuseppe Calvi &C, Goccia Cooperativa Sociale, Olio Roi, Pietro Insardi srl, Podere Secondo, Ranieri SpA, San Lorenzo – Give SpA, Visamoris Olio, Azienda Agricola Frantoio Gagliolo Sandro, Azienda Agricola Morro Fabio, Oleificio Polla Nicolò, Agri.Tur Società Agricola Turistica, Aleppo srl, Azienda Agricola Adriano Casazza, Azienda Agricola Francesco Currarino, Azienda Agricola La Bilaia, Azienda Agricola La Favola della Mignola, Azienda Agricola L’Olio del Busanco, Azienda Agricola Orseggi, Azienda Agricola Solari Massimo, Cooperativa Agricola Rurale Isola di Borgonovo, Cooperativa Agricoltori Vallata di Levanto, Frantoio Oleario Solari Mauro, Niasca Portofino Distribuzione srl, Olivicoltori Sestresi.

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né l’olio, né l’azienda che lo produce. Il che innesca un circolo virtuoso, un impulso verso il nuovo posizionamento di questo olio, a cui va riconosciuto un alto valore e non solo per le sue caratteristiche organolettiche. Si tratta infatti di un prodotto che va giustamente valorizzato, perché insieme alla tradizionale oliva Taggiasca è simbolo del territorio e dunque è linfa per lo sviluppo economico, sociale e ambientale della Riviera. •

Visita la pagina ufficiale del progetto: www.oliorivieraligure.it/psr-2014-2020


“Sontium”, il vino nato dai grappoli dei più vecchi vigneti che racconta la storia di un territorio attraversato dallo smeraldo Sontium, nome in latino del fiume Isonzo.

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Al via i lavori per un Borgo Brufa al top di Alberto P. Schieppati

Andrea Sfascia e Annamaria Palomba, patron e general manager, raccontano a Artù l’evoluzione della splendida struttura umbra. Non bastava l’arrivo del nuovo Chef, Alessandro Lestini, 35 anni, esperienze in strutture di charme come executive di grande valore. Non bastava avere alla guida della sala un professionista del calibro di Mimmo Scuotto D’Antuono, Restaurant manager sempre attento alle diversificate esigenze del cliente. Non bastava avere la SPA più organizzata ed ospitale della regione, meta dei sogni salutistici e di remise en forme di centinaia di turisti. Non bastava essere ubicati su una delle colline più belle dell’Umbria, da cui si gode una vista unica su Assisi, San Francesco e paesi limitrofi. No, non bastava, considerato che nel prossimo mese di maggio Borgo Brufa SPA & Resort si concederà una pausa di qualche mese, con relativa temporanea chiusura, per rifarsi completamente il look, migliorando ulteriormente la propria offerta. “Abbiamo una spa di prim’ordine” sottolinea Andrea Sfascia, l’impenditore che ha creduto a questo territorio al punto di creare una struttura superlativa. “Abbiamo una direzione straordinaria, legata alla figura di Annamaria Palomba, la nostra General manager, preparatissima tecnicamente e appassionata ai grandi temi dell’ospitalità. Abbiamo una ristorazione che richiama clientela gourmet da ogni dove e che valorizza grazie al nostro Chef le migliori tradizioni gastronomiche umbre, pur avendo un occhio sempre rivolto alle necessità salutistiche degli ospiti. Che cosa ci mancava, allora? Innanzitutto un collegamento logistico fra gli appartamenti e le camere di Borgo Brufa e la SPA, oggi raggiungibile soltanto attraverso i vialetti che conducono dalle camere alla piscina e al ristorante. Con i nuovi camminamenti coperti, daremo agli ospiti la possibilità di raggiungere il Centro benessere anche dalle singole camere/suite, senza dover uscire allo scoperto”. Dunque una maggiore fun-

“Una SPA di prim’ordine, che verrà ulteriormente migliorata, e una ristorazione gourmet guidata da grandi professionisti” zionalità delle strutture? “Certamente questo è l’obiettivo del nostro investimento: inoltre, allargheremo lo spazio attualmente occupato dalla reception e aumenteremo le camere di 9 unità, portando a sessanta il numero di unità abitative per gli ospiti dell’hotel”. Una storia di espansione, quella di Borgo Brufa Spa & Resort: partito poco più di vent’anni fa, Andrea Sfascia, imprenditore lungimirante, aveva già portato a 14 camere la ricettività della prima location, che era soprattutto un agriturismo; poi, nel 2006, il grande salto da piccola struttura a resort, con la prima creazione della SPA e 50 camere. Dopodiché, ogni anno una miglioria, finalizzata a portare la struttura di ospitalità nel novero delle realtà

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alberghiere di charme, al fine di farla conoscere ed apprezzare da una più vasta clientela internazionale. “Oltre alla SPA, sottolinea la General manager Annamaria Palomba, che richiama clientela esclusiva da ogni parte del mondo, il nostro fiore all’occhiello è rappresentato dalla ristorazione di livello: il nostro Chef Alessandro Lestini, già docente universitario a Perugia, con esperienze a Borgo Pretale, alle Tre Vaselle, al Tre Corone di Verona, sa come coccolare gli ospiti”. Con la nuova SPA, alla riapertura autunnale, Borgo Brufa avrà ancora di più le carte in regola per ospitare ai massimi livelli la propria clientela. •


Nella pagina a fianco in senso orario: Annamaria Palomba, General manager della struttura di Torgiano; Andrea Sfascia, imprenditore, patron del Resort; lo chef Alessandro Lestini e il restaurant manager Mimmo Scuotto D’Antuono; in questa pagina: vista del Resort Borgo Brufa.

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Lusso e comfort tra i colli bolognesi di Gualtiero Spotti

Palazzo di Varignana è una residenza multifunzione a due passi da Bologna. Per chi cerca relax, esperienze sensoriali e buona cucina. Alla porte di Bologna c’è un resort che permette di vivere in assoluto relax e con stile la natura e la quiete delle colline che fanno da propaggini settentrionali all’Appenino e dove, a pochi passi dalla città, ci si sente in pace con il mondo, coccolati e piacevolmente accolti in uno scrigno di ospitalità capace di racchiudere in se molte qualità. Dagli eventi culturali che animano le diverse stagioni alla piccola ma significativa Spa, dagli spazi business funzionali e ben separati fino all’area svago e sport. Stiamo parlando di Palazzo di Varignana, che è un albergo a un tiro di schioppo dalla via Emilia, a Castel San Pietro Terme, ma pur permettendo una agile gita a Bologna, davvero vicina, gode di una splendida vista sulla pianura emiliana, da un lato, e della natura un po’ rurale delle vicine fattorie collinari, dove magari

è bello perdersi tra lunghe passeggiate nei boschi. Affiliato alla guida Les Collectionneurs, Palazzo di Varignana ha come fulcro la Villa Amangioia, residenza storica di grande fascino e fulcro dell’intero resort, che al suo interno accoglie il ristorante principale Il Palazzo e che domiAi fornelli del na dall’alto della collina l’intero Ristorante Palazzo, perimetro dell’hotel. L’ospitalità è invece distribuita tra classiche gli chef Francesco villette e appartamenti che si afManograsso e fiancano alle più moderne stanze presenti in due edifici integrarale e artistico di qualità da viRoberto Cortesi. ti nel verde della collina e covere open air in alcuni degli anVivaci, decisi e struiti negli ultimi anni. Pur avengoli più suggestivi dell’albergo; do un’anima business piuttosto capaci di incuriosire. oppure la squisita e intima Spa spiccata con eventi, matrimoni e VarSana, che si divide in due zomeeting, l’hotel mantiene la sua ne totalmente distinte e per cercaratteristica di residenza multiti versi uniche. Sono 3700 metri funzione capace di attirare una clientela piuttosto quadrati dove, oltre alle piscine, si possono trovare variegata, grazie alle molteplici opportunità offerte. i ricercati trattamenti Skinesis di Sarah Chapman, Basti solo pensare a un momento importante come ma soprattutto l’esperienza della Spa Fusion, vero il Varignana Music Festival, la kermesse di musica incrocio tra oriente e occidente, con i diversi percorsi classica giunta alla sua quinta edizione quest’anno Hammam e Suntory. Da una parte la full immersion (dal 6 al 14 luglio), che consente uno svago cultuin un bagno che sembra essere stato catapultato

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Nella pagina a fianco: la sala del ristorante Il Palazzo; lo chef Francesco Manograsso; in questa pagina: vista esterna del Palazzo di Varignana.

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in Emilia dal souk di Marrakech, con i trattamenti di scrub e il sapone nero; dall’altra invece il misticismo del bagno giapponese Ofuro, il rituale del te e la magia delle vasche di legno hinoki nelle quali immergersi, con la suggestione di trovarsi in Giappone. Se tutto questo non fosse sufficiente, Palazzo di Varignana sorprende anche quando ci si siede a tavola. A curare il menù e a guidare la brigata è soprattutto il trentunenne Francesco Manograsso, originario di Rossano Calabro, che è affiancato da Roberto Cortesi, per una coppia ai fornelli decisamente vivace e decisa a offrire un taglio più personale alla cucina del Palazzo. Tra le pieghe del menu si scorgono interessanti tentativi per incuriosire il cliente che vuole scoprire sapori regionali magari rivisti in chiave più moderna, con il Tortello “imboscato” con tartufo, formaggio caprino e crumble di salsiccia di nera romagnola, la Sfera con liquido di broccoletti e taleggio, nocciola tostata e mosto cotto, il Daino marinato, che vive della spuma dell’olio di casa, prodotto con la materia prima raccolta nel grande orto interno al resort. Le possibilità per chi vuole evadere verso altri sapori meno locali comunque non mancano, pescando nella carta o scegliendo i percorsi denominati “Acqua Azzurra” e “In Viaggio tra i mari”, due degustazioni forse meno nordiche come impronta, con sarde, seppia, san pietro e baccalà in bella evidenza. Anche l’orto di casa però diventa un punto di forza in molti piatti, così come la scelta di materia prima eccellente (vedi il Culatello di Spigaroli), qualche concessione furba verso preparazioni, prodotti e tecniche vincenti che strizzano l’occhio alla contemporaneità (con l’aglio fermentato, le foglie d’ostrica o il gelato al parmigiano) e piatti decisi che vanno a rendere più concreta l’esperienza al palato. Come quando

Roberto Savio

Roberto Di Fresco

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Sopra: l’area della Spa e una delle camere del palazzo.

si assaggiano gli Gnocchetti di ricotta di capra con animelle arrostite, cardi e tartufo nero di Norcia o nel Piccione con purè di pere, topinambur e prugne agro-piccanti. La curiosità e la voglia di far bene non mancano certo come dimostrano anche le numerose trasferte dei cuochi alla ricerca di ispirazioni e curiosità in giro per l’Italia. Un buon segnale

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di crescita, dunque, che lascia ben sperare anche nella previsione di voler offrire a una clientela non sempre gourmand un’esperienza fuori dal comune e più personale. Se nella vicina Bologna si parla della mastodontica operazione Fico e, più recentemente, dei Portici, un ristorante stellato che ha da poco cambiato guida con il romano Emanuele Petrosino che ha sostituito il cuoco Agostino Iacobucci, in uscita dopo sei anni, vale la pena gettare uno sguardo anche in provincia. Dove di tanto in tanto le sorprese positive non mancano. •



Accueil

Silvia Baracchi,

l’ambasciatrice dei sapori d’Etruria Il Falconiere è un incontro galante. Gli ospiti si invaghiscono perdutamente dei luoghi e delle persone. di Claudio Zeni Una stella Michelin splende nel cielo di Cortona dall’anno 2002. È quella assegnata dalla prestigiosa ‘Guida Rossa’ a ‘Il Falconiere’, l’accogliente ristorante alla cui guida vi è da sempre la gentile e dinamica lady chef e patron Silvia Regi Baracchi. Nata a Perugia, ma cresciuta nel cuore della città Toscana, Silvia si dichiara orgogliosamente ‘Etrusca’. Dalla famiglia di ristoratori ha ereditato la passione per la buona tavola, la sensibilità per le tradizioni e l’arte dell’accoglienza, mentre l’energia positiva de ‘Il Falconiere’ ha ispirato, giorno per giorno, il suo stile culinario e dell’ospitalità. “Elementary, my dear Watson!” avrebbe forse pronunciato Sherlock Holmes nel motivare l’assegnazione della ‘Stella Michelin’ a ‘Il Falconiere’, simbiosi perfetta di location da sogno e una signora, Silvia, che insieme alla sua famiglia, ha costruito con umiltà

Ai tavoli del

e passione un ‘sancta sanctorum’ Baracchi, che ha restituito il faristorante “La dell’ospitalità in terra d’Etruria. scino dell’originaria residenza di Di proprietà della famiglia Baraccampagna in cui dettagli archiLimonaia” viene chi fin dal 1860, ‘Il Falconiere’ tettonici, arredi, affreschi e deservita una prelibata corazioni impreziosiscono tutti avvolge subito i suoi clienti facendoli invaghire perdutamencucina del territorio. gli ambienti. te dei luoghi e delle persone fin Solo ventidue camere (tra cui dal primo incontro. E come un nove suite), connubio ideale tra incontro galante, destinato all’inservizi hi-tech e romanticissimi namoramento, va intesa l’ospitarichiami che dalle cortine dei lità che Silvia, suo marito Riccardo Baracchi e il figlio tendaggi viaggiano sugli intonaci pastello, accarezBenedetto riservano ai propri ospiti, ai quali dedizano mobili e suppellettili e si posano lievi sulle tecano il meglio dell’arte dell’accoglienza, del calore stiere dei letti antichi. Sobrietà ed eleganza, dunque, umano e del piacere della tavola. ma anche ampia piscina, centro benessere (Thesan Etruscan Spa) e sale dedicate a riunioni conviviali. Ai piedi della città etrusca, non lontano dal Lago E a proposito di delizie del convivio basta sedersi ai Trasimeno, nel cuore delle colline da cui derivano tavoli del ristorante “La Limonaia”, dove viene serdeliziosi vini e il pregiatissimo olio extravergine d’ovita una prelibata cucina del territorio, unita a graliva, “Il Falconiere” è un albergo ricavato all’interno di devoli pietanze extra moenia, il tutto all’insegna di un’antica villa padronale (un tempo casa del poeta tradizione ed innovazione. Antonio Guadagnoli) e di altri piccoli edifici, frutto Alla grande sala del ristorante ‘La Limonaia’, si afdi un’accurata ristrutturazione voluta dalla famiglia

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La chef nonchĂŠ patron de Il Falconiere Silvia Regi Baracchi; nella pagina a fianco: vista esterna del ristorante; Gambero rosso con cetrioli e frutto della passione.

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Accueil fiancano altri due piccoli spazi dedicati alla buona tavola: la suggestiva Sala degli Orologi che ospita un solo intimo e riservato tavolo ed un’altra piccola sala con soli cinque tavoli per cene esclusive, mentre durante l’estate la terrazza panoramica diventa il luogo ideale per cene all’aperto. La cucina, curata personalmente da Silvia con l’aiuto dell’executive chef Richard Titi, è riuscita a tradurre nel linguaggio di questo splendido paesaggio toscano nuove tentazioni, nuovi accostamenti alla riscoperta di sapori autentici, come sottolinea Silvia, appena rientrata in Italia da ‘Taste of Dubai’, dove ha presentato il territorio dell’Etruria: “Nella nostra carta primaverile delle vivande abbiamo inserito due nuovi menu ‘Dalle stalle alle stelle’, un omaggio alla celebre carne Chianina visto che la Val di Chiana è la sua terra d’origine (Carpaccio di Chianina con sedano e levistico, parmigiano mantecato all’olio Evo; Animelle e asparagi fritti con farina di mais, gelatina di aceto di mele e la sua salsa piccante; Ravioli di fegato di bue con brodo affumicato e verdure scottate; Lingua di bue al tè con spinaci e salsa al passion fruit; Rosatenero con salsa di ceci di baccalà; Zuppa inglese 2018) e ‘Vegetariano’, un piacevole caleidoscopio di tuberi, legumi ed erbe (Roots: combinazione di radici e tuberi con tartufo primaverile e uovo marinato; Orzotto mantecato all’arancia bio con burrata dop e melanzana; Gnudi di ricotta e marzolino con fave, pepe e tartufo; Carciofo ripieno di aglietto fresco e menta con sfoglia croccante). Tra le altre interessanti proposte immerse nella cultura gastronomica toscana abbiamo mantenuto in

carta le ‘Mezzemaniche con farcia di melanzane su crema di peperoni rossi’ e il ‘Coniglio con cuore di pomodoro confit e fagioli dall’occhio’, mentre per la cucina marinara i ‘Gamberi rossi con cetrioli e frutto della passione”. Una cucina quella di Silvia, che partendo dalla tradizione trova sempre un giusto equilibrio tra gusto

La Cantina Baracchi Unitamente a “Il Falconiere”, la famiglia Baracchi, ma soprattutto Riccardo, ha fortemente voluto continuare le tradizioni della famiglia che sin dal 1860 coltiva la vite e produce vino. Trenta ettari di vigneto e sei di oliveto si estendono nei dintorni della campagna de ‘Il Falconiere’, dalla cui coltivazione, caratterizzata da una gestione moderna, escono prodotti di grande qualità a firma ‘Baracchi’. “I vigneti sono posizionati a circa 300 metri di altitudine e rivolti a mezzogiorno, fattore che consente una perfetta maturazione delle uve, mentre lo spazio è concesso in parti uguali a Sangiovese, Syrah, Merlot, Cabernet Sauvignon, Pinot Nero e in una piccola vecchia vigna a Trebbiano – sottolinea Riccardo - le operazioni nei vigneti, tutte effettuate a mano, vengono curate con attenzione affinché ogni pianta produca solo pochissimi grappoli”. Una particolarità che permette all’azienda Baracchi di fondere la ricchezza delle uve con i caratteri territoriali e produrre ‘vini unici’, dei quali lo stesso Riccardo è un profondo assertore. Astore, Ardito, Smeriglio sono nomi (naturalmente di falchi) dati ai vini, ai quali si sono aggiunti di recente il Brut Rosé, un millesimato prodotto con metodo classico con uve sangiovese in purezza e il ‘Trebbiano Brut’. Vini questi ultimi di grande freschezza, equilibrati, eleganti e discreta sapidità. Vini che durante la vostra sosta a ‘Il Falconiere’ potrete scoprire iniziando dal rito della sciabolatura della bottiglia. Un esperimento interessante, da provare, come buon viatico alla cena.

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Nella pagina a fianco: la sala del ristorante; a fianco: Coniglio con cuore di pomodoro confit e fagioli dall’occhio; Mezzemaniche con farcia di melanzane su crema di peperoni rossi; sotto l’executive chef Richard Titi; la terrazza panoramica per le cene all’aperto.

pretare al meglio piatti di grande respiro che danno piacere e gioia al palato di tutti”. Grande attenzione viene riservata, oltre che ad una dettagliata carta delle acque minerali, a vini di grandi e pregiate aziende, uniti ad una selezione della Cantina di famiglia, Baracchi. ’Il Falconiere’, già inserito nelle prestigiosissime guide dei ‘Relais & Chateaux’ e ‘Michelin’ vede quest’anno materializzarsi il terzo obiettivo di Silvia, l’inserimento ne ‘Le Soste’. “Qualche lustro fa, oltre a soddisfare in pieno le esigenze della clientela, ci ponemmo tre obiettivi: vedere gratificato il nostro lavoro da

e leggerezza grazie al tipo di cottura e alla genuinità dei prodotti usati. “È la scelta dell’ingrediente di stagione che di per sé è migliore e fragrante. Scelta alla quale uniamo anche altri accorgimenti, come l’uso di strumenti di cottura adeguati, tecniche di cucina come il sottovuoto, la bassa temperatura e la cottura a vapore – prosegue Silvia – inoltre, nella nostra cucina non manca mai un filo di olio extravergine di oliva della nostra azienda Baracchi, un condimento di grandi qualità e basilare proprietà organolettiche. Tutto questo deve essere legato ad una grande passione, oltre che da una snella e vivace manualità per inter-

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parte di Relais & Chateaux’, ‘Michelin’ e ‘Le Soste’ - conclude Silvia – l’’inserimento quest’anno ne ‘Le Soste’ completa il ‘trittico’ dei nostri obiettivi. Ciò ci riempie di gioia, ma nel contempo ci stimola a mantenere alto il livello della nostra struttura per rispondere sempre alle richieste della clientela del terzo millennio”. Senza alcun dubbio Silvia e tutto il suo staff sapranno mantenere alto il livello di ospitalità de ‘Il Falconiere’, un relais al cui interno sopravvive ancora la cortesia dei gentiluomini toscani, nobili sia per antiche progenie che per le buone azioni compiute in difesa del prossimo. •


Focus food

Loison Il futuro è adesso Di Valentina Santambrogio

Da piccolo forno a realtà artigiana conosciuta a livello mondiale. Storia di un’azienda lungimirante e innovativa, che non dimentica le proprie origini.

Dario Loison e Sonia Pilla

È questa, in sintesi, la storia di Loison: grazie al lavoro di tre generazioni, il piccolo laboratorio di Costabissara, alle porte di Vicenza, si è trasformato in poco tempo in un’affermata realtà i cui prodotti sono cono50 per cento realizzato sul mercato estero, sciuti e richiesti ovunque. Un cammino scandito dalla tra cui Gran Bretagna, Francia, Germania, lungimiranza imprenditoriale di chi l’ha condotta e di Spagna, Corea, Brasile, Giappone, Canada, chi la conduce: il futuro è sempre stato chiaro, noRussia, Belgio, Svizzera, Usa, Sud Africa e nostante il forte radicamento alAustralia. Nonostante le origini. Il tutto nasce nel 1938, la forte internazionaquando Tranquillo Loison aprì il lizzazione, nonostante suo piccolo forno: a quell’epoca l’azienda possa vantail pane era un alimento fondare struttura produttiva La gamma dei mentale, il cui consumo era ree commerciale agile e prodotti conta oggi golamentato con il tesseramend’avanguardia, Loison to, che ne limitava la distribuzioresta un’azienda artipiù di 80 proposte, ne. Nel dopoguerra, con la ripresa giana, che vuole restacon numerose economica, iniziarono a essere rire fedele alle sue orichiesti prodotti dolci, più gustosi, gini: “tradizione e invarianti e così Tranquillo cominciò a pronovazione”, “sostanza durre focacce con fichi e uvetta. e creatività”, “radici L’offerta fu ben presto ampliata ed evoluzione”, sono dal figlio Alessandro, che integrò i principi che guidacreme da spalmare, torte nuziali no il lavoro quotidiae pasticceria fresca e che iniziò a specializzarsi nel no. Quanto al futuro, Dario ha le idee ben produrre e vendere panettoni e pandori, arrivando a chiare: non è un’incognita da affrontare, produrne circa 20-30 chili al giorno. Questa nuova ma un cammino da percorrere con trasverattività, insieme alla linea pasticceria, risultò subisalità e lungimiranza: “Il nostro cammino to ben più redditizia rispetto alla vendita del pane si contraddistingue per essere sempre alternativo che dal 1960 venne quindi sospesa. Il 1992 see proiettato al futuro. La Loison è talmente radicagna un’altra svolta, quella internazionale: a volerta nella realtà in cui opera da poterne anticipare i la è Dario, figlio di Alessandro, oggi ancora a capo cambiamenti seguendo le strade più innovative. Anzi dell’azienda. La produzione di dolci odierna raggiuntracciando essa stessa nuovi sentieri”. D’altro canto, ge anche i 5.000 - 6.000 chilogrammi al giorno, sono numerosissimi i progetti in essere: il Museo e per un fatturato di quasi 6 milioni di euro, di cui il la Biblioteca, gli Ambasciatori Loison, l’Insolito Pa-

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nettone, la collaborazione con Istituti superiori ed Atenei, dove Dario Loison veste i panni di docente universitario e tiene lezioni di imprenditorialità con la sua preziosa testimonianza. Ma c’è anche il progetto più ambizioso, ossia i Corner Loison: piccoli paradisi del gusto nelle pasticcerie di tutto il mondo. E chissà che cosa riserva il futuro.•


villafranciacor ta.it

Segno.

Nato per lasciare il


Focus food

Osterie di livello: Campamac, dacci dentro!

di Alberto P. Schieppati

L’intuizione di Maurilio Garola, lo stellato chef patron della Ciau del Tornavento, si sta rivelando un successo Arrivati a Barbaresco, richiamati dal grande nume della viticoltura e dal magico paesaggio di Langa, non abbiate dubbi: fate una sosta al Campamac e non ve ne pentirete… Potrebbe essere questo il claim del Campamac, l’ultima creatura di Maurilio Garola che, con Paolo Dalla Mora, imprenditore milanese, si è inventato questa nuova formula di “osteria gourmet con bottega” (di cui già parlammo nel numero 87 di Artù, appena venne aperta). L’idea è quella di proporre piatti di tradizione, realizzati con estrema cura e rispetto della materia, da parte dello Chef Alessandro Capalbo e dalla sua brigata: piatti dai quali si evincono le incredibili possibilità gustative espresse dalla cultura gastronomica langarola, accompagnate con i vini giusti, anch’essi espressione di un territorio unico al mondo. Così Maurilio, con la moglie Cecilia Monte, responsabile dell’organizzazione della ristorazione, lancia un messaggio chiaro: non ci sono soltanto le cucine stellate, dove impegno, dedizione e attenzione estrema ai dettagli sono il motivo di richiamo per un’esperienza memorabile;

L’ampia sala dell’osteria Campamac e la bottega dove si possono acquistare vari prodotti tra cui: vini, paste fresche, conserve e marmellate.

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L’ Executive Chef: Maurilio Garola; il bancone che affaccia sulla cucina a vista; in basso: il taglio della carne; Raviolo di porro e patate; la brigata al completo.

“Nel solco della tradizione piemontese, una carta ricca di proposte, dominata dall’esaltazione totale del territorio langarolo”

vi sono altre possibilità, più semplici ed accessibili, ma ugualmente capaci di offrire esperienze memorabili ai gourmet e agli enoappassionati. Alta qualità della materia prima, esecuzioni perfette, selezione degli ingredienti, ambiente conviviale, atmosfera contemporanea e easy. Campamac, “osteria di livello” va proprio in questa direzione: una carta ricca (forse anche troppo) di suggestioni langarole, tutte mirabilmente realizzate, con l’obiettivo dichiarato di far godere il cliente, riportandolo ai “sapori della memoria”, consentendo ragionevolmente di mantenere accessibile il suo investimento. La carta, dicevo, parte con gli Antipasti della tradizione, dove campeggiano, fra gli

altri: la Carne cruda di Fassona battuta a coltello, vitello tonnato, insalata russa (i grandi classici piemontesi); il Cardo gobbo di Nizza Monferrato che “incontra” il topinambur; Due fette di salame (“Quando chiedi portami due fettine di salame di Neive intanto che aspetto, con la giardiniera del nostro orto”). E qui apro una parentesi per dire che la Giardiniera del Campamac è fra le migliori mai mangiate. Fra i primi: gli Agnolotti vecchio Piemonte, i Plin di oca, i Tajarin al sugo di carne, il Raviolo di porro e patate, la più semplice Pasta al pomodoro (pasta di semola di Mancini con pomodoro fresco, cipollotto e parmigiano 40 mesi. Fra i secondi, ricordiamo: la Bistecca con l’osso, da mucche allevate al pascolo e frollate in media 50 giorni; il Doppiotaglio, ovvero circa 2 kg di carne una con e una senza frollatura per capire la differenza;

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il Capretto nostrano al forno, con la ricetta di Maurilio (stra-or-di-na-rio). I contorni, mai banali: Erbette saltate, Fagioli di Pigna, il vero Puré di patate, la Misticanza con melograno. Fra i dolci (dopo un assaggio di grandi formaggi), segnaliamo la Crostata di arance e il Dolce del Campamac, un gianduiotto fatto a mano con nocciola, cioccolato e riduzione di Barbaresco. Garola e Campaldo propongono anche un Menù degustazione a 50 euro, con Langhet (la battuta di Fassona), Tajarin, Tagliata di Fassona, Dolce a scelta dalla carta. La sala è presidiata da un vecchio (si fa per dire) personaggio del settore, quel Pierre Bergadano che tanto cultura enologica ha espresso nella sua attività di ristoratore, alla Pergola, di Vezza d’Alba. I vini, le paste fresche, le conserve, le marmellate sono in vendita nella bottega, all’ingresso della grande sala del Campamac. Non dimenticate la giardiniera: vi sarà utile per stupire, a casa, i vostri ospiti della prossima cena…•


Una presenza ancora più forte e una penetrazione più capillare: Artù è nelle VIP Lounge degli aeroporti di Malpensa, Linate, Bologna, Napoli, Firenze, Verona, Venezia; nell’esclusiva location milanese Clubhouse Brera e nelle edicole Hudson News degli aeroporti di Malpensa, Linate e Stazione Centrale di Milano.

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Focus wine

Zenato. Storia del successo di un vitigno versatile di Emanuela Stìfano

Da sinistra: Nadia, Carla e Alberto Zenato

L’azienda ha sempre creduto nella valorizzazione del Trebbiano di Lugana, tanto da essere diventata l’ambasciatrice nel mondo del Lugana Ci hanno creduto e hanno avuto ragione. Zenato, azienda pioniera della valorizzazione del vitigno autoctono Trebbiano di Lugana, oggi deve il suo successo proprio al suo Lugana che, insieme all’Amarone e al Ripasso, è sempre più ricercato e apprezzato in oltre 60 paesi nel mondo. “Una storia che dai primissimi anni ’60 – ha raccontato Nadia Zenato, figlia del fondatore Sergio - ci ha visti protagonisti nella valorizzazione delle straordinarie potenzialità di un vitigno autoctono, il Trebbiano di Lugana, contribuendo alla creazione della DOC nel 1967 – si tratta di una tra le prime DOC in Italia - e rendendolo il grande bianco che oggi è conosciuto in tutto il mondo”. “Ho ancora vivissimi i ricordi dei racconti di mio padre del primo Vinitaly – ha proseguito Nadia -. Un piccolo gruppo di produttori che si ritrovano insieme per promuovere ognuno i propri vini. E lui, fiero, con il suo Lugana. Quanta strada è stata fatta da allora”. I ricordi non si fermano e Nadia porta alla memoria i primi tentativi (ben riusciti) di esportare il Lugana: “Erano i primi anni ’80 quando mio padre e mia madre intrapresero

Anima in Lugana, cuore in Valpolicella.

il primo viaggio negli Stati Uniti; insieme al nostro importatore cominciarono a costruire la notorietà di un vino che oggi ci regala grandi soddisfazioni, in tutte le sue espressioni”. Ed il nostro impegno è sempre stato quello di promuovere, accanto alle nostre etichette, la cultura del vino e del territorio con le sue bellezze paesaggistiche e il suo patrimonio storico”. Al Lugana S.Cristina, che nasce dalle uve provenienti dal vigneto più vecchio e storico dell’azienda, il Podere Masso­ni, in occasione di Prowein 2018, è stata dedicata una verticale intitolata “Al­la scoperta dell’anima del Lugana: una verticale che racconta 50 anni di storia”. Tra le versioni spumantizzate, il Lugana Metodo Classico Brut e il Lugana Pas Dosè, che riposa 120 mesi sui lieviti. Un vino di struttura, spessore e persistenza e dalla forte mineralità, espressione proprio della sua territorialità. “Consapevole delle potenzialità del Trebbiano di Lugana e della sua versatilità – ha puntualizzato Nadia - già negli anni ’80

Un libro e una mostra fotografica per celebrare la terra di Lugana “Nell’oasi della Lugana l’anima di Zenato” è un progetto nato per valorizzare e promuovere il patrimonio culturale, storico e paesaggistico della terra di Lugana: un racconto per immagini di questo territorio, una ricostruzione scrupolosa e avvincente di fatti e personaggi che si sono succeduti in questa terra fin dai tempi dei Romani, la storia del successo del Trebbiano di Lugana. Il volume è a cura di Bruno Avesani, Cesare Pillon con le fotografie di Francesco Radino. La mostra è una scelta antologica delle fotografie contenute nel volume in esposizione presso la Biblioteca Capitolare di Verona dal 13 al 25 aprile 2018.

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mio padre fece le prime prove con l’allora metodo “champenois”, oggi Lugana Metodo Classico Brut. Sulla base dei risultati più che positivi, con la vendemmia 2007 abbiamo deciso di conservare delle bottiglie e attenderne l’evoluzione. A distanza di 6 anni ci siamo resi conto che avevamo un vino già perfetto, senza bisogno di aggiungere zuccheri. Nasce così la nostra prima etichetta di Lugana Pas Dosè, con sboccatura 2013 e l’ultima con sboccatura 2017”. Il Lugana Riserva Sergio Zenato nasce dal desiderio di dare il giusto risalto all’identità di un territorio e far apprezzare annate particolari con cui il Trebbiano di Lugana ha dimostrato di sapersi evolvere ed esprimere al massimo nella sfida con il tempo. Basse rese, un passaggio in botte grande, sei mesi in serbatoio e 12 in bottiglia. “La nostra prima etichetta di Lugana Riserva Sergio Zenato è del 1993. Solo pochi anni fa è stata inserita nel disciplinare della Doc la denominazione “Riserva” a partire dall’annata 2011. Con orgoglio possiamo dire di aver contribuito a costruire e valorizzare questa denominazione e a promuoverla nel mondo”. Al Lugana Riserva Sergio Zenato, l’azienda dedicherà una speciale verticale, martedì 17 aprile, in occasione di Vinitaly. In degustazione ci saranno le annate 1993, 2004, 2006, 2010, 2012 e 2015. Anima della Lugana e cuore della Valpolicella, dove la Zenato, nei 35 ettari della Tenuta Costalunga vitati a Corvina, Rondinella e Oseleta produce il Ripassa, il Cresasso (un Corvina in purezza), l’Amarone e l’Amarone Riserva Sergio Zenato, vini espressione del territorio e dell’impegno nell’esaltarne le peculiarità, in una ricerca di equilibrio tra tradizione e territorialità da una parte e innovazione dall’altra.•



Focus wine

San Michele Appiano, la collezione esclusiva di Valentina Santambrogio

La Cantina presenta “The Wine Collection” e un nuovo limitatissimo Sauvignon, millesimato 2015. Disponibili solo tremila bottiglie. Hans Terzer, winemaker della Cantina San Michele-Appiano e pioniere della produzione di vino bianco, apre le porte dell’esclusiva cella situata nel cuore della Cantina e preHans Terzer senta “The Wine Collection”, una limitatissima produzione di piccole selezioni in purezè stato l’anno del Sauvignon, “Produzioni in purezza za. Dopo APPIUS, la Cuvée a cui ho voluto dedicare una ed eccezionali prodotta con le migliori uve bottiglia speciale e un’etichetta provenienti da vecchi vigneti, esclusiva, perché ciò che rende annate storiche. ora è possibile assaporare la particolare questo vino è un È questo “The Wine massima espressione di un nuovo significato del concetmonovitigno: è il Sauvignon a to di qualità che inizia dalla Collection”.” dare il via alla serie speciale conoscenza del Terroir e delle di sole 3.000 bottiglie. sue peculiarità, proseguendo «Della linea The Wine Colcon la selezione delle uve in lection faranno parte limivigna fino ad un affinamento tatissime produzioni in purezza, oltre a eccezionali speciale. Dopo 40 anni in Cantina ho voluto speriannate storiche Sanct Valentin che ho personalmenmentare un metodo diverso, 3 giorni di skin contact, te selezionato» - ha spiegato Hans Terzer -. «Il 2015 pressatura soffice, 12 mesi in tonneaux, poi altri 12

mesi in acciaio a cui ha fatto seguito un periodo di affinamento in bottiglia per altri 10 mesi». La storia di The Wine Collection nasce vendemmia dopo vendemmia, quando un’esclusiva selezione del raccolto veniva destinata alle premure di Hans Terzer per scoprirne talento e longevità di ciascun monovitigno. Anno dopo anno queste piccole produzioni venivano imbottigliate e consumate esclusivamente in particolari eventi e degustazioni. Fino ad oggi, perché ora Hans Terzer e The Wine Collection danno la possibilità di assaporare prospettive uniche

di monovitigni al loro massimo. Il Sauvignon è uno dei vitigni preferiti dell’enologo Hans Terzer, colui che alla fine degli anni 80 ha rivoluzionato il mondo vitivinicolo in Alto Adige passando dall’ampia produzione di uve rosse a una limitata di uve bianche come il Pinot bianco, lo Chardonnay e in particolare il Sauvignon Sanct Valentin, tra i vini bianchi più premiati di sempre: dal 1994 ha ottenuto ben 18 volte i Tre Bicchieri. Dopo il riconoscimento internazionale alla carriera “Der Feinschmecker”, Hans Terzer e la Cantina San Michele-Appiano continuano a far crescere la fama e la passione per il vino dell’Alto Adige.•

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Focus wine

Prime Alture, l’ambiente in primo piano d Valentina Santambrogio

Attesa, ascolto, adattamento e pazienza. Per l’azienda di Roberto Lechiancole il vino è un percorso scandito dal rispetto delle viti e del terreno Oramai è noto: un buon vino nasce dalla cura della vigna e dal profondo rispetto verso la natura e i suoi ritmi. Lo sanno bene a Prime Alture, dove un team di professionisti - Alessandro Rovati enologo e Fausto Comotti in vigna, coordinati dall’enologo francese Jean François Coquard - si impegna tutto l’anno al fine di garantire un livello qualitativo crescente ai vini dell’azienda pavese. E così, a ogni stagione, corrisponde un intervento in vigna: l’inverno, quan-

do la vite ancora riposa, è il tempo della potatura: “La potatura è una vera e propria arte – ha spiegato Jean François Coquard – e pertanto necessita di tanta esperienza, di tecnica, ma anche di un profondo rispetto per la pianta e di un grande senso di umiltà. Si tratta di un lavoro lunghissimo, che può impegnare anche fino a cinque mesi e necessita di anni prima che si possano vedere i risultati”. Le vigne di Prime Alture sono potate con il metodo dei preparatori d’uva Simonit&Sirch, il che significa che il lavoro viene eseguito nel pieno Da sinistra: Alessandro Rovati, Jean François Coquard e Fausto Comotti rispetto della pianta, permettendole di crescere con l’età, di occupare il giusto spazio con il fusto e con i rami, garantendo la continuità del flusso linfatico, eseguendo tagli di piccole dimensioni poco invasivi sul legno giovane, e infine utilizzando la tecnica del legno di rispetto per allontanare il disseccamento dal flusso principale della linfa. Anche il terreno merita particolare attenzione e pertanto viene seguito tutto l’anno e mantenuto sempre inerbito: si tratta solo il sottofila. Costantemente si sfalcia, in modo che il Due i fiori all’occhiello: cotico erboso non limiti la il Pinot Noir crescita della pianta, ma sia una risorsa da conservare nel Pinot è il primo vino prodotto CentoperCento vigneto come habitat naturain azienda ed è un IGP da uve e il Metodo Classico le di insetti e microrganismi. Pinot Nero in purezza vinifiL’inerbimento, che aiuta a cate in rosso, invecchiato per “Io per Te”. combattere l’erosione e l’acirca un anno in piccole botti sfissia del suolo, è un ritorno di rovere al fine di esaltarne a una certa forma di rispetto l’armonia. Il Metodo Classico per la terra, all’accettazione invece è un blanc de noir in che non tutto sia perfetto. Così, con tutti questi purezza ottenuto da uve Pinot Nero sottoposte a accorgimenti, nascono i vini di Prime Alture. Tra un lungo affinamento in bottiglia, al fine di regalare questi, sono due i fiori all’occhiello, il Pinot Noir armoniosità ed eleganza e un equilibrio degli aromi CentoperCento e il Metodo Classico ‘Io per Te’. Il ben bilanciato.•

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Antica Fonte della Salute Acqua Minerale Naturale Oligominerale

Mille anni di lento scorrere tra le rocce per una purezza straordinaria. Meno dello 0,00001% di Nitrati. Antica Fonte della Salute, già apprezzata nei ristoranti più prestigiosi grazie all’esclusivo formato in vetro da 65 cl è disponibile anche nella nuova linea in Pet da 25 e 40cl.

L’International Taste & Quality Institute ha conferito ad Antica Fonte della Salute, sia nella versione Naturale che Frizzante, il massimo riconoscimento possibile, le “3 stelle” del Superior Taste Award. Scopri di più su www.sanbenedetto.it


Focus wine

Xala la Ribolla brut di Astoria di Laura Reichlin

Un vitigno autoctono dalle grandi potenzialità e le capacità spumantistiche dell’azienda. Così nasce la “Gialla”. Veduta della tenuta e dei 40 ettari di vigneto nelle colline di Refrontolo (Tv); sopra: lo showroom di Astoria nella sede di Crevada (Tv); sotto, la famiglia Polegato: seduti da sinistra, i fratelli Paolo e Giorgio alle loro spalle i figli: Filippo e Giorgia.

Astoria Vini continua la sua esplorazione nel mondo della spumantizzazione e lo fa con un vitigno autoctono friulano. Da marzo è infatti disponibile sul mercato la prima Ribolla Gialla Spumante della cantina trevigiana. Si chiama Xala, ossia “gialla”. «Non abbiamo la tradizione della Ribolla, ma abbiamo certamente quella dello spumante – hanno spiegato i titolari di Astoria, Paolo e Giorgio Polegato. - Da un lato cerchiamo di offrire al nostro consumatore - italiano e internazionale - delle occasioni per sperimentare sapori sempre nuovi; dall’altro avevamo la curiosità di mettere alla prova le nostre capacità spumantistiche con un vitigno diverso, particolare». È noto infatti che le uve di ribolla sono utilizzate soprattutto nei vini classici fermi. Eppure si tratta di un vitigno fresco, aromatico, che secondo gli esperti enologi di Astoria si avvan-

mo trovato dopo una lunga selezione una piccola azienda agricola in zona Colli Orientali del Friuli. Con questa realtà abbiamo lavorato per garantire un prodotto di qualità adatto alla spumantizzazione, intervenendo anche sulla cura delle viti e del terreno, così come facciamo da sempre con i conferitori trevigiani». Infine, come per tutti i vini Astoria, anche gli aspetti Xala è più strutturata comunicativi sono stati curati nel rispetto dettaglio. Proprio al Prosecco. perché la Ribolla taggia nella spumantizzazione Gialla non è un a metodo charmat: in questo L’aroma è intenso e vino che fa parte modo, infatti, non perde le agrumato. della tradizionale sue caratteristiche principali produzione vinicoma riesce, al contrario, a la di Astoria, nella valorizzarle. La Ribolla Gialgrafica si è prefela di Astoria è dunque uno rito puntare su un spumante brut, dal regime elemento di rottura e modernità. E si è scelto il zuccherino di 10-11gr e una gradacolore giallo - che fa riferimento ovviamente al vitizione alcolica di 12. Uno spumante gno – e si è enfatizzato il nero opaco per la bottiglia: che ha una bevibilità più strutturata rispetto al Prosecco, con un profilo tagli molto netti sulle figure e un semplice gioco di aromatico intenso e agrumato. forme, evocano la vivacità e le bollicine del vino. «Per ottenere le uve adatte da vinifiXala è disponibile a partire dal mese di marzo nei care nella cantina di Crevada – hanno migliori wine shop, ristoranti ed enoteche, e su www. raccontato i fratelli Polegato, - abbiaastoriawineshop.com.•

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Focus wine

Sughero, chiusura perfetta di Virginia Zacchetti

Il bilancio 2017 di Amorim Cork Italia non lascia dubbi: il tappo di sughero è oggi ritenuto la migliore soluzione per tappare i vini. Che il sughero sia la chiusura più amata lo dicono i numeri di Amorim Cork Italia: 57,8 milioni di euro di fatturato, oltre 561milioni di tappi venduti e un aumento del volume d’affari che sfiora i 13 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Sul territorio nazionale sono aumentati i clienti: le cantine che scelgono le chiusure dell’azienda per la tutela e valorizzazione nei loro vini oggi sono più di 2700. Tanto che Amorim Cork Italia si è confermata nel 2017

come la prima filiale al mondo per il sughero Amorim, seguita da quella francese e dalle due aziende statunitensi. Risultati che hanno portato Amorim Cork Italia a scalare nettamente la classifica delle aziende “top 500” in provincia di Treviso, arrivando nel 2016 a posizionarsi al 141esimo posto. Dunque si tratta di un’azienda che ha una significativa rilevanza per il territorio italiano: oggi Amorim Cork Italia conta 77 persone tra 42 professionisti in azienda e 35 agenti della forza vendita e fa dell’uguaglianza della forza

lavoro (non esiste preferenza di genere, i dipendenti sono il 50% donne e il 50% uomini) un suo fiore all’occhiello. Inoltre, progetti come ETICO (finalizzato al recupero e al riciclo dei tappi) o iniziative come Eticork (tesa a valorizzare le aziende vitivinicole che tutelano l’ambiente con la loro attività) permettono risvolti positivi non soltanto in termini economici, ma anche sociali e ambientali. Tra l’altro, in azienda, si continua a scommettere sulla formazione dei dipendenti: dopo il corso di inglese, Amorim ha messo a disposizione di tutti i collaboratori il corso di primo livello Sommelier FISAR. In questo scenario, l’indiscusso protagonista del successo Amorim Cork Italia è stato NDtech, il nuovo tappo frutto di un’innovativa tecnologia e selezionato pezzo per pezzo con un esclusivo sistema di gascromatografia individuale. Grande crescita anche per la richiesta del tappo da spumante – in primis per il Prosecco - e il consolidamento della posizione nel

Carlos Veloso dos Santos

Questa crescita è stata, in parte, influenzata dall’integrazione di una grande realtà francese acquisita nel 2017, nello specifico il Gruppo Bourrassé, la cui attività ha iniziato a consolidarsi a partire dal primo luglio 2017. Una quota pari, nel settore dei tappi in sughero, al 40% e del 26% se si considera l’intero mercato delle chiusure, comprese pertanto quelle a vite e quelle in plastica: il sughero, dunque, continua a rafforzare la sua posizione. A commentare le performance di Amorim Cork Italia l’a.d. Carlos Veloso dos Santos, che ha fatto notare quanto sia importante, oggi, la consapevoL’indiscusso lezza nei consumatori: “I tappi in sughero di nuova generazioprotagonista è stato ne hanno virtù tecniche provaNDtech, il nuovo te da una scienza all’avanguardia, mantengono la piacevolezza tappo in sughero dell’esperienza e della ritualità tecnologico. mondo delle bollicine classiche del servizio del vino, ma soprat(Metodo Classico). tutto sono l’emblema della soDunque un anno che si può destenibilità ambientale. Oggigiorfinire, senza mezzi termini, spettacolare e che riflette no molti abusano del termine “green” e “bio”, ma i l’andamento positivo di Amorim Group Portogallo, le nostri clienti sono sempre più attenti e sensibili, non cui vendite hanno superato, per la prima volta, i 700 guardano più e solo al riciclo “a valle”, vogliono comilioni di euro, con una crescita del 9,4% rispetto noscere tutto il percorso che porta alla realizzazione allo stesso periodo del 2016. Sono infatti stati vendi un tappo per non rovinare l’ambiente nemmeno duti oltre 5,1 miliardi di tappi in tutto il mondo, su “a monte”. In entrambi i casi, quindi, la chiusura in una produzione totale di bottiglie pari a 19,1 miliardi. sughero è imbattibile”.•

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Focus wine

Col Vetoraz, la natura in un calice di Valentina Santambrogio

Valdobbiadene DOCG dry e Valdobbiadene DOCG brut sono l’essenza di un territorio, al contempo, straordinario e difficile. Un territorio, quello delle colline del Valdobbiadene Docg, dicotomico: da un lato si tratta di una “Una terra terra eletta, dallo straordinario e indubbio fascino capace di eletta, capace di regalare, se si ascolta la natura regalare vini di e ci si adatta ai suoi cicli, senza togliere né aggiungere, vini di gran gran carattere e carattere e pregio; dall’altro si pregio. tratta di un territorio faticoso, impegnativo, per via delle pendenze estreme difficili da trattare, che obbligano a vendemmie eroiche, eseguite rigorosamente a mano. Dalla caparbietà di chi lavora queste terre e dal loro intrinseco valore, risultano gli spumanti ben noti, complici di momenti di condivisione, veri signori del benvenuto, che interpretano a pieno quella che è la natura intrinseca del Prosecco Superiore. Tra queste colline, ci sono anche le vigne di Col Vetoraz, azienda che si avvicina alla natura con profondo rispetto. A evidenziarlo, due etichette della gamma di produzione aziendale: il Valdobbiadene DOCG dry Millesimato e il Valdobbiadene DOCG brut. Il primo è un vino che coinvolge con la sua aromaticità e rotondità e per l’intensa espressione di aromi garantita anche dalla favorevole disposizione dei vigneti da cui ha origine, adagiati in un anfiteatro naturale compreso tra le montagne alle spalle, strategico riparo dai venti freddi del nord, e I soci di Col Vetoraz: da sinistra, Paolo De Bortoli, le dolci colline di Valdobbiadene. Francesco Miotto e Loris Dall’Acqua Il Valdobbiadene DOCG brut è

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invece un vino oggi di grande tendenza, proveniente dai vigneti di collina esposti a ponente, dove la maturazione delle uve raggiunge livelli ideali alla produzione di questo spumante. Adatto ai palati che prediligono il secco, è un vino asciutto, sapido e intenso, dal perlage fine e persistente, una spuma cremosa e dal gusto privo di spigolosità ma delicatamente profumato, grazie ai floreali di rosa, agrumi, acacia e ai fruttati di pesca bianca, pera e mela. Perfetto per un aperitivo, può essere anche sapientemente abbinato a crostacei e piatti di pesce.•


Focus beverage

Un toccasana per palato e salute di Virginia Zacchetti

Grazie alle specifiche caratteristiche organolettiche, Acqua Plose è ritenuta un’acqua salutare. E ben si presta anche ad abbinamenti gourmet. Acqua Plose è È sempre più frequente trovare la apprezzata dagli bottiglia di vetro di Acqua Plose sui tavoli dei ristoranti, anche gourmet. chef, che la Tanto che, va detto, Acqua Plose è scelgono partner de Le Soste. D’altro canto, chef e ristoratori la scelgono – prinnelle versioni cipalmente nelle versioni Gourmet e Gourmet e Luxury. Luxury, ossia nelle etichette pensate per la ristorazione – perché Acqua Plose sta diventando un riferimento per tutti coloro che sono attenti alla salute e alla sana alimentazione. E la consapevolezza dell’importanza dell’acqua per il benessere fisico-psichico, ha modificato l’approccio con

il quale oggi la ristorazione sceglie l’acqua: il prodotto di qualità e i criteri di scelta con cui è stato selezionato, permettono infatti un servizio in più per il cliente e, al contempo, qualificano il locale. A ritenere Acqua Plose un’acqua salutare, sono gli omeopati e gli esperti di nutrizione: le particolari caratteristiche chimiche e organolettiche,

Fonte Plose, 65 anni di storia Fonte Plose è una storica azienda familiare nata negli anni 50 dall’intuizione di Giuseppe Fellin che, dopo aver testato di persona l’azione benefica dell’acqua delle sorgenti del Monte Plose, decide di farla analizzare. Pertanto, preleva personalmente una damigiana del prezioso liquido e a piedi, con la gerla in spalla, porta a valle l’acqua. I risultati di quelle analisi sono eccellenti e questo dà il via all’ambizioso progetto di imbottigliare l’acqua del Monte Plose. Per la precisione, l’acqua sgorga a 1.870 metri sul livello del mare nel Monte Plose, in Alto Adige, presso l’area incontaminata del parco naturale Puez. La temperatura della sorgente è costante tutto l’anno (5,5°C) e anche la portata è pressoché costante, segno che la sorgente è formata da una rete di lunghi canali a notevole profondità, che la alimentano e nello stesso tempo la proteggono naturalmente, garantendone purezza e qualità. Sin dalle origini l’azienda ha sede a Bressanone (BZ); negli anni l’attività è cresciuta sensibilmente tanto che, oltre ad Acqua Plose e alle bevande Plose Vintage, dal 2009 l’offerta si è arricchita ulteriormente con i succhi e nettari biologici BioPlose.

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infatti, la rendono compatibile con le cure omeopatiche e l’omeopatia in generale, sia nella diluzione dei farmaci che come acqua di regime. Ecco perché FIAMO (Federazione Italiana Associazioni e Medici Omeopatici) ha scelto l’acqua minerale minimamente mineralizzata Plose come proprio partner ufficiale. Detto questo, Acqua Plose è un vero e proprio sorso di benessere, che ben si sposa con i piatti della cucina tradizionale e internazionale, esaltandone i sapori. Inoltre ben si abbina agli aromi dei grandi vini. Quanto alle peculiarità che la caratterizzano, vanno citati il residuo fisso di soli 22,0 mg/l e la durezza bassissima (1,2 F): è dunque tra le acque più pure e leggere oggi in commercio. A queste si sommino il pH di 6,6 - il che la rende ideale per essere assimilata dal corpo umano - il contenuto di ossigeno molto alto (circa 10 mg/l) e il valore minimo di sodio (1,2 mg/l). Inoltre è quasi priva di nitrati e non vi è traccia di nitriti. Dunque un concentrato di salute, gusto e benessere. •


Focus Beverage

San Benedetto, le nuove referenze di Virginia Zacchetti

Il 2018 è un anno denso di novità per il canale ho.re.ca. Le proposte di Acqua Minerale San Benedetto. Sono parecchie le novità che San Benedetto introdurrà nel corso del 2018, a cominciare dalle acque per l’alta ristorazione. In questo segmento, la protagonista dell’anno in corso è Antica Fonte della Salute Millennium Water, proposta nel nuovo formato da 33 cl in vetro, che va ad affiancare la bottiglia da 65 cl. Antica Fonte della Salute ha origine da una falda acquifera millenaria situata a 236 metri di profondità nel comune di Scorzè (Venezia). Il suo lento cammino tra le rocce dona un’acqua pura, con un valore di nitrati inferiore allo 0,00001%. Ecco perché San Benedetto la dedica ai clienti più esigenti; oltre alle referenze in vetro sono disponibili quelle in Pet, nei formati da 0,25 litri e 0,4 litri. Per la categoria bibite gassate è invece stata presentata Amor BIO, la nuova linea pensata per il canale ho.re.ca/Bar. Realizzata con ingredienti da agricoltura biologica, zucchero di canna, senza coloranti né conservanti, Amor BIO è disponibile nei gusti Aranciata e Limone. Il formato da 18 cl e il design elegante, fanno sì che Amor BIO sia rivolta al consumatore attento. Importanti novità anche nella categoria Thè: nel 2018 nasce infatti una referenza dedicata al canale ho.re.ca. Si tratta di un thè di alta qualità in purissima ac-

Un’acqua per l’alta ristorazione, una bevanda bio e novità nella categoria thè. qua San Benedetto, confezionato in vetro, dal sapore intenso, dissetante e contraddistinto dal delicato profumo delle foglie di thè e della frutta. Il nuovo thè è disponibile nel formato in vetro da 25 cl, nei gusti Limone e Pesca. Sempre restando sulla linea Thè, San Benedetto presenterà, inoltre, la nuova edizione delle lattine “sleek” Special Edition, disegnate dagli studenti della NABA, la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. Tre nuove grafiche dal design affascinante, raffiguranti un abbraccio che vuole tra-

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smettere emozione, tradizione e semplicità. Rimangono, invece, inalterati i tre gusti dal sapore rinfrescante ed autentico di Thè San Benedetto, dai colori identificativi: rosa per la Pesca, giallo pastello per il Limone e verde per il Thè Verde con Aloe Vera.•


Equipment

Cottura a prova di chef di Emanuela Stìfano

Rational amplia la sua offerta con VarioCookingCenter. Brasiera, bollitore e friggitrice diventano un lontano ricordo. “Grazie alla tecnologia VarioBoost, il VarioCookingCenter è in grado di raggiungere la temperatura desiderata quattro volte più velocemente garantendo, allo stesso tempo, un risparmio energetico pari circa al 40 per cento rispetto alle attrezzature di cucina tradizionali”. Così Enrico Fer“A guidarne la ri, Amministratore Delegato Rational Italia, ha evidenziato uno progettazione dei vantaggi del VarioCookinsono state le gCenter. Ma c’è di più: il sistema di riscaldamento posizionato esigenze degli nel fondo del tegame, promette chef. L’apparecchio in modo da evitare che gli aliuna distribuzione uniforme della temperatura, una regolazione menti si brucino o scuociano. E promette quindi del calore molto precisa e temconsentono l’utilizzo di VarioCoefficienza dei costi, okingCenter anche da operatori pi di riscaldamento e raffreddamento ridotti. uniformità e qualità inesperti. Il VarioCookingCenter è intelli“A guidarne la progettazione sodella cottura.” gente e si adatta alle esigenze no state le esigenze degli chef”, del cuoco: nella modalità opeha puntualizzato Ferri. Gli apparativa manuale, comoda sopratrecchi di dimensioni maggiori, il tutto per lasciare spazio alla creatività dei cuochi 211 e il 311, con una capacità utile di 100/150 esperti, vengono rispettate le preferenze individuali litri, sono stati ideati principalmente per la ristorazionella preparazione delle pietanze, tanto che l’apne collettiva. Questi modelli consentono di preparaparecchio consente anche di salvare programmi di re carne, pesce, minestroni e verdure in grandi quancottura personali. Le modalità operative “intelligenti” tità in un batter d’occhio. I modelli 112T e 112L soper arrostire, friggere e bollire, invece, controllano no invece pensati per gli hotel, poiché permettono tutto in modo automatico: avvisano quando è nela preparazione veloce di porzioni più piccole. Le cessario girare la carne e regolano la temperatura dimensioni ridotte permettono inoltre di posizionarli

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ovunque, su tavoli, piani di lavoro, nell’area centrale della cucina, in prossimità di punti di passaggio. I due tegami separati degli apparecchi consentono di portare avanti due fasi di una ricetta contemporaneamente: per esempio bollire il riso in un tegame e preparare una carne o un pesce nell’altro. Quanto ai servizi offerti, viene assicurata un’assistenza qualificata anche dopo l’acquisto. Si tenga conto che finché l’apparecchio viene utilizzato in cucina è possibile usufruire gratuitamente della consulenza sulle applicazioni, ricevere aggiornamenti software senza costi aggiuntivi e approfittare degli specialisti dell’assistenza su tutto il territorio nazionale. Infine, Rational suggerisce, per le cucine professionali, la combinazione del VarioCookingCenter con il Combi-Vapore. Questi apparecchi, infatti, sono sintonizzati tra loro per costituire una soluzione di sistema unica. Questa ottimizzazione del processo viene ulteriormente favorita dal collegamento di apparecchi singoli o di tutti gli apparecchi con ConnectedCooking, la piattaforma digitale più grande per chef professionisti. Ricettario, documentazione HACCP automatica e notifiche in tempo reale sulle prestazioni dell’apparecchio sono soltanto alcuni esempi della gamma per la cucina digitale. “Con il VarioCookingCenter siamo ora in grado di offrire ai nostri clienti un’ampia gamma di soluzioni a 360° per la cottura degli alimenti”, ha concluso Ferri. •


Gusto e mercati

Che sapore ha la musica?

di Vincenzo Russo*

La percezione del sapore cambia in base al brano di sottofondo, perché il cervello cerca coerenze. Lo dice la Gastrofisica. Il sapore di un prodotto può essere modificato da aspetti che nulla hanno a che fare con il prodotto stesso? Certamente sì. Se, come dicono alcuni noti neurobiologi Morrot, Brochet e Dubourdieu (2001), “il gusto di una molecola o di una miscela di più mo-

La musica ad alta frequenza è generalmente percepita come “più dolce” rispetto a quella a bassa frequenza.

lecole si costruisce nel cervello di un assaggiatore”, si può comprendere come elementi esterni al sistema gustativo possano modificare la percezione dei sapori. In questo ambito sono state condotte numerose ricerche: dall’effetto dei colori dei prodotti alle luci di un locale, dalla musica di un luogo di assaggio al modo di presentare un piatto. Si tratta di elementi solo apparentemente secondari. In realtà possono modificare o rinforzare certe sensazioni gustative (Russo, 2017). Per esempio sappiamo che una bottiglia di birra al sapore di limone con etichetta con colori tendenti al gialloverde rende il suo contenuto più “limonoso” dello stesso

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contenuto posto in una bottiglia con etichetta rossa (Barnett, and Spence, 2016). Allo stesso modo una mousse al cioccolato presentata su un piatto bianco viene percepita più dolce della stessa mousse presentata su un piatto nero (Tu et al, 2016), uno yogurt mangiato con un cucchino bianco viene percepito più dolce dello stesso yogurt servito su cucchiaino nero (Spence, 2017). Lo studio di questi processi rientra all’interno di un nuovo ambito di ricerca denominato Gastrofisica. Si tratta di un ambito che da una parte raccoglie i risultati di numerose ricerche di grande interesse per la ristorazione e dall’altro apre nuovi campi di


* Vincenzo Russo è un professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing, Ph.D Coordinatore del Centro di Ricerca di Neuromarketing Behavior and Brain Lab presso lo IULM di Milano

Charles Spence

studio, connessi al neuromarketing che contribuisce a misurare l’effetto emozionale di questi elementi, apparentemente secondari, attraverso tecnologie molto avanzate. In questo campo uno dei maggiori esperti è Charles Spence, che, tra i numerosi studi svolti, molti li ha dedicati all’effetto della musica sulla percezione dei sapori. È sua per esempio la ricerca con cui si è dimostrato che il sapore di alcuni prodotti può essere percepito diversamente in base alla musica di sottofondo durante una degustazione. L’esperimento coinvolse un gruppo di consumatori che ebbe il compito di valutare il grado di amarezza di un vino e di un cioccolato in due diverse condizioni, nella prima ascoltando una musica ad alta frequenza, generalmente percepita come “più dolce”, e nella seconda con una musica a bassa frequenza. Nella prima fase i soggetti valutarono il vino più dolce. Benché i prodotti fossero gli stessi, la musica ad alta frequenza li ha fatto percepire più dolci rispetto alla condizione di assaggio con musica a bassa frequenza. Il cervello cerca coerenze. L’avere sentito una musica dolce crea una aspettativa tanto forte da fare sentire il sapore di certi prodotti altrettanto dolce. Per lo stesso meccanismo di influenzamento delle aspettative, Spence (2017) ha dimostrato come un pacchetto di patatine particolarmente rumoroso possa fare percepire il suo contenuto più croccante delle stesse patatine poste all’interno di un packaging meno rumoroso. Ecco perché le patatine SunChips hanno un packaging tanto rumoroso da risultare quasi fastidioso. I suoni anticipano sapori e fanno percepire il prodotto diversamente. Alcune aziende stanno implementando l’effetto del suono dell’apertura per fare percepire il

prodotto di migliore qualità o più fresco, come per esempio ha fatto la Dr Pepper Snapples Group che si è preoccupata di rendere più rumoroso il suono dell’apertura della bottiglia di succo di frutta per fare percepire più fresco il prodotto. Per questo ha studiato come rendere più efficace la chiusura con un tappo metallico che all’apertura fa “pop”. Ciò vale anche per il suono di tappo di sughero di una bottiglia di vino. In alcuni contesti culturali come per esempio l’Italia, il rumore dell’apertura di una bottiglia di vino con un tappo di sughero spinge i consumatori a percepire di migliore qualità il vino rispetto all’effetto prodotto dall’apertura di un vino con tappo a vite. Nel campo dei vini numerosi studi hanno dimostrato che esiste una sorta di coerenza tra il suono e il sapore. Clark Smith, studioso del MIT di Boston e fondatore di una nota cantina in USA, ha dimostrato come alcuni specifici brani sono in grado di migliorare la percezione del gusto di un vino, grazie alla coerenza tra musica e sentori. Cosi, per esempio, ha dimostrato che l’assaggio di vini rossi sarebbe preferibile proporla con una musica di sottofondo a bassa frequenza o una musica in grado di provocare emozioni negative. Un Cabernet Sauvignon si sposa meravigliosamente con una musica cupa. Per questo Smith suggerisce “People Are Strange” dei Doors o i Carmina Burana di Carl Orff. Certamente non una musica dei Beach Boys o un dolce pezzo di Mozart. Il prof. Adrian North (2012) della Heriot Watt University di Edinburgh ha dimostrato che quando si ascolta un pezzo forte e pesante come i Carmina Burana, un vino come il Cabernet Sauvignon viene percepito fino al 60% più intenso, ricco e corposo rispetto

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all’assaggio senza musica e che un vino bianco assaggiato con una musica più frizzante e rinfrescante come “Just Can’t Get Enough” di Nouvelle Vague, viene percepito fino al 41% più fresco ed acido dello stesso vino bevuto senza musica. Per lo stesso principio Smith sostiene che il Pinot nero si sposa meglio con una musica sensuale o meglio ancora con “Eine Kleine Nachtmusik” di Mozart e un Nouveau Beaujolais con un jazz celtico come “Nightnoise”. Avrebbe quindi un suo fondamento l’usanza di abbinare la musica al sorseggiare una bevanda. È tipico, per esempio, di certi locali avere un sottofondo musicale o tenere concerti. Forse, i gestori offrono questi servizi senza rendersi conto che, in questo modo, possono modificare la percezione dell’aroma e del gusto delle bevande che servono. Ciò avviene in maniera inconsapevole e determinato dalle emozioni o dalle aspettative provocate anche dalla comunicazione o da altri fattori. Da qui la necessità di utilizzare strumenti innovativi, come quelli offerti dal neuromarketing, per comprendere e misurare il rapporto tra la comunicazione e la percezione dei prodotti. Si tratta di un processo che se ben valorizzato potrebbe portare significativi vantaggi sia ai consumatori che ai gestori dei locali. • • Barnett, and Spence (2016) Assessing the Effect of Changing a Bottled Beer Label on Taste Ratings Nutrition and Food Technology: Open Access • Morrot G, Brochet F, Dubourdieu D (2001) The color of odors. Brain Lang 79(0093-934; 2): 309– 320. • North C.A. (2012). “The effect of background music on the taste of wine” British Journal of Psychology. Volume 103, Issue 3 293–301 • Russo V. (2017). Psicologia della Comunicazione e Neuromarketing. Pearson Editore • Spence C. (2017). Gastrophysics: the new science of eating. Viking Editore • Tu et al, (2016) “The Taste of Plate: How the Spiciness of Food is Affected by the Color of the Plate Used to Serve It”. Journal of Sensory Studies.


Libri

Dal Buon Ricordo alle meraviglie d’Italia, passando per la cucina dei Luxury Hotels

Titolo: Il grande libro della grappa Autore: Cesare Pillon, Giuseppe Vaccarini Editore: Hoepli Pagine: 240 Prezzo: 39,90 €

Titolo: “La buona cucina italiana I ristoranti del territorio” Autori: Francesco Soletti Editore: Touring Club Italiano Pagine: 192 Prezzo: 19,90 €

Titolo: Vale un viaggio Autore: Beba Marsano Editore: Cinquesensi Editore Pagine: 416 Prezzo: 28,00 €

Titolo: The small luxury cookbook Autore: Beba Marsano Editore: Spirthill Business Development Pagine: 464 Prezzo: 40,00 £

Dall’alambicco al bicchiere Dalla vigna all’alambicco, dall’alambicco alla bottiglia, dalla bottiglia al calice. Sono questi i passaggi che deve fare un’acquavite di vinaccia. Il libro è un affascinante viaggio alla scoperta dei segreti dell’acquavite italiana, nata da una materia povera – per anni è stata la “Cenerentola degli spirit” - e diventata uno dei distillati più preziosi al mondo. Un accurato lavoro storico e di ricerca sul campo, ricco di dettagli, inedite curiosità e un nutrito apparato fotografico narrano tutte le sfumature del prodotto, partendo dalle origini, quando il distillato era destinato a una produzione pressoché casalinga, impiegando alambicchi primitivi che davano origine a una grappa dal gusto rude e selvatico.

I ristoranti del Buon Ricordo Una nuova guida che racconta i ristoranti del Buon Ricordo, da sempre portabandiera della migliore tradizione gastronomica regionale italiana. Inserita nella collana “Guide Touring”, narra, con la piacevolezza di un racconto, di decine di luoghi, da Nord a Sud della Penisola. Luoghi notevoli non solo per il patrimonio storico artistico, ma anche per la precisa identità rappresentata da prodotti e tradizioni gastronomiche pregevoli. In ciascuno di questi luoghi, viene segnalato e raccontato il ristorante dell’Unione Ristoranti Buon Ricordo che vi si trova e che, facendo parte dell’associazione, ha scelto di caratterizzare la sua linea di cucina con le tradizioni del territorio in cui opera, spesso da generazioni.

101 meraviglie d’Italia da scoprire Cento e uno luoghi d’arte e di cultura, fuori dalle rotte del turismo massificato. Il risultato è una sintesi perfetta di una bellezza tutta italiana: numerose immagini raccontano luoghi straordinari, suggestivi. Leggendo si scoprono grandi e piccoli capolavori: siti archeologici, musei d’arte, affreschi, basiliche, collezioni provate, piazze e scorci, angoli e prospettive. A conclusione del racconto di ogni tema, l’autrice suggerisce un albergo o un ristorante siti nell’immediato dintorno territoriale. Un libro che descrive e valorizza il Bel Paese, rappresentato in tutta la sua identitaria natura, in tutta la sua meraviglia. Vale la pena leggerlo.

Un’esperienza di lusso Un viaggio culinario che offre un vero assaggio dell’esperienza Small Luxury Hotels attraverso una selezione di oltre duecento ricette. Il cibo è infatti un ingrediente essenziale di questi hotel, che aggiunge all’unicità di questi luoghi qualche cosa in più: gli ospiti possono così vivere una vera e propria esperienza locale. Per alcuni è un menu di degustazione stellato, per altri è l’opportunità di assaggiare piatti locali in un ambiente bello e appropriato. Queste pagine, infine, vogliono stimolare anche la cucina casalinga, con una vasta gamma di idee, metodi e ingredienti provenienti da ogni continente e regione. Dunque un’ispirazione per cucinare e per viaggiare.

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La Ricetta di Artù

Al Marzapane di Roma, dall’allieva dei Roca a cura di Giorgio Ascorti

Marzapane è uno dei locali più amati dai romani e da chi frequenta la Capitale, al di là della elevata considerazione delle guide. Prova ne è il premio ricevuto da Bmw I-Foodies, la app supportata dalla Casa automobilistica: il locale di Mario Sansone e Angelo Parello è stato fra i tre più cliccati in assoluto. Anche la cuoca è notissima nella città del Colosseo: Alba Esteve Ruiz, 29enne di Alicante e allieva dei Roca, che ha trovato in Italia la sua seconda patria. Ai lettori di Artù regala la ricetta del Risotto burro e alici del Cantabrico che si inserisce perfettamente nella sua filosofia di cucina. “C’è un equilibrato mix di dolcezza e acidità – spiega Alba - le alici del Cantabrico sono un prodotto che amo molto e volevo accostarlo a qualcosa di diverso dalla classicità iberica. Ho pensato quindi a un riso italiano, il Car-

Risotto burro e alici del Cantabrico Ingredienti per due persone

Il locale Marzapane

160 gr riso 340 gr brodo di pesce 30 gr crema di riso 80 gr burro dolce 40 gr burro salato 8 gr Pasta di acciughe Colatura di alici qb Zenzero candito 10 ml Vino bianco naroli: la caratteristica del piatto è nell’equilibrio tra dolcezza e sapidità”. Nella ricetta troviamo sia burro dolce che salato, quest’ultimo in proporzione minore. “L’importante è che sia un burro con una buona quantità di siero all’interno. Poi è importante sce-

gliere una colatura di alici di Cetara che non deluda e infine, optare per delle alici del Mar Cantabrico di qualità”. Il punto più difficile della preparazione? ”La mantecatura: essendoci una quantità del burro elevata, è importante eseguirla con attenzione. Se non si controlla bene la temperatura, si rischia la divisione del riso dal burro, il che ne farebbe un piatto troppo grasso” sottolinea la Ruiz. Infine, un abbinamento enoico corretto. Michel Magoni, restaurant manager e chef sommelier di Marzapane Roma serve il piatto con lo Zibibbo Secco di Barraco, vino macerato siciliano, con aroma ampio e deciso e quel finale secco e sapido che si presta bene a un piatto apparentemente semplice, efficace e di gran classe. In stile Marzapane. •

Procedimento

Alba Esteve Ruiz

Tostare il riso senza grassi e sale. Sfumare con il vino bianco e bagnare con il brodo di pesce caldo. Aggiungere la pasta di acciughe, e a due minuti dalla fine cottura, aggiungere la crema di riso. Una volta cotto, spegnere il fuoco e mantecare con burro e colatura di alici. Impiattare e aggiungere lo zenzero candito.

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Giulio Ziletti

La foto di Artù

Questo numero Artù ha scelto di pubblicare questa foto. icona dell’eccellenza imprenditoriale nel mondo del vino. Lo scatto è di Giulio Ziletti: da sinistra, AUBERT DE VILLAINE, proprietario di Romanée Conti, ROBERTO VOERZIO, viticoltore a La Morra, ANGELO GAJA, l’uomo del Barbaresco che ha portato nel mondo l’eccellenza del vino piemontese. Tre personaggi, tre simboli concreti di cosa significhi essere al top.

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Pillole A Milano apre Kanpai Un angolo del Giappone contemporaneo compare in uno dei quartieri storici di Milano, in Porta Venezia. Si chiama Kanpai e propone in modo inedito i riti e le atmosfere degli Izakaya - l’equivalente delle osterie, dove in maniera informale si beve sakè accompagnato da piatti della cucina popolare giapponese. Dunque niente sushi: Kanpai porta a Milano un mix di cibo, sakè e cultura giapponese, nonché una carta di cocktail dal sapore orientale, per mangiare e bere fino a tarda notte. Il progetto di interior design è di Vudafieri-Saverino Partners, che con Kanpai affrontano il tema delle memorie popolari che animano le serate del dopo lavoro a Tokio.

Riso Gallo lancia “Chicchi di Natura” Chicchi di Natura è una linea di prodotti composta da risi integrali (fonte di fibre) e cereali (ricchi di vitamine e sali minerali), adatti a chi presenta intolleranze o desidera limitare il consumo di glutine, pensata anche per coloro che amano sperimentare nuovi sapori. Mix di Cereali e Legumi, Riso Venere Integrale e Riso Rosso Integrale vanno ad aggiungersi a Orzo, Farro, 3 Cereali, 3 Cereali integrale, Riso Blond Integrale, Mix Cereali e Quinoa, creando così ad una gamma di prodotti con specifici plus nutrizionali realmente completa. La novità assoluta è rappresentata dal Mix Cereali e legumi con riso integrale, grano saraceno, lenticchie e piselli con un apporto bilanciato di carboidrati e proteine ideali anche per chi segue una dieta vegetariana o vegana.

Per Pommery 18% in più in Italia

Locanda Margon si rinnova

Diageo acquisisce Belsazar

Il Gruppo Vranken-Pommery Monopole, secondo gruppo nel mondo dello Champagne e leader nel mercato dei vini rosé, ha diffuso i dati dell’esercizio 2017: l’esercizio si chiude con un incremento, lieve, ma significativo: 300,2 milioni di euro, contro i 300,1 dell’anno precedente. Quanto alla filiale italiana, guidata dall’AD Mimma Posca,i risultati sono eccellenti +18%. D’altro canto, Vranken-Pommery Italia ha visto crescere in maniera determinante il brand Pommery nel 2017 con una penetrazione di rilievo nell’hotellerie di lusso e nella ristorazione d’eccellenza.

È stato presentato il restyling del ristorante di Casa Ferrari guidato dallo chef Alfio Ghezzi, due stella Michelin che ora accoglie gli ospiti in un “Salotto Gourmet”. Arredi vintage sono sapientemente abbinati a elementi del miglior design italiano. Il secondo spa­zio della Locanda, la “Veranda”, ricorda i classici giardini d’in­verno, e propone un’offerta gastrono­mica dedicata a chi non vuole rinunciare alla qualità anche in una cucina più semplice e veloce.

Diageo annuncia l’acquisizione di Belsazar GmbH, azienda tedesca che produce l’omonimo vermouth. La tendenza dei consumatori verso occasioni meno formali nonché l’aumento della domanda di cocktail a basso tenore alcolico e long drink rappresentano il contesto perfetto per Belsazar; Belsazar nasce da uvaggi selezionati che comprendono il Pinot Nero coltivato nella regione meridionale del Baden-Württemberg, ai margini della Foresta Nera: viene quindi sottoposto ad aromatizzazione con erbe, che gli conferiscono il suo esclusivo carattere naturale, e fortificato con brandy alla frutta. Il prodotto viene quindi lasciato invecchiare per un massimo di tre mesi, affinché sviluppi la propria gamma di aromi complessi. Le varietà di Belsazar sono quattro: bianco, rosso, dry e rosé. Belsazar è nato per essere gustato come aperitivo, servito con acqua tonica oppure miscelato per creare cocktail.

I vini altoatesini a Vinitaly

Accordo tra Haier e Tenuta San Guido

Con i suoi 5.400 ettari vitati, l’Alto Adige ospita venti diversi vitigni, distribuiti ad altitudini estremamente variabili, da 200 a oltre 1000 metri. Per tale motivo, a Vinitaly, l’Alto Adige punta a fornire una visione d’insieme di questo quadro: nello stand centrale (C2/D2 – Padiglione 6), ogni giorno si potrà accedere a una diversa degustazione tematica. Si parte domenica 15 con i Pinot Bianco dell’Alto Adige, per proseguire lunedì 16 con i Pinot Nero. Il 17 e il 18 il tema sarà l’altitudine: si parlerà, rispettivamente, dei vini altoatesini delle medie altitudini e dei vini d’alta quota.

Haier ha stretto un accordo di collaborazione con la Tenuta San Guido, storica azienda vinicola toscana che produce il Bolgheri Sassicaia, tra i vini italiani più rinomati ed apprezzati al mondo. In qualità di partner tecnico, Haier fornirà le proprie cantine vino alle sale della Tenuta e all’Osteria San Guido. Il marchio accompagnerà quindi l’azienda toscana in occasione di alcune importanti manifestazioni di settore, tra cui l’edizione 2018 di Vinitaly.

Il dissipatore che aiuta l’ambiente InSinkErator presenta il nuovo dissipatore Evolution 150 che si posiziona sotto il lavello e che permette di eliminare ogni tipo di avanzo organico direttamente nel lavandino. Non ci sono delle lame, ma innumerevoli martelletti che svolgono movimenti rotatori ad alta velocità sminuzzando in parti finissime questi alimenti fino al raggiungimento di uno stadio semi liquido che ne permette l’eliminazione fra le acque chiare.

A maggio, Gocce di Stilla Il 5 e 6 maggio, al Palazzo delle Stelline, si celebrerà la grappa con Gocce di Stilla, Le distillerie provenienti da tutta Italia faranno assaporare agli operatori del settore e agli amanti della grappa, il meglio della produzione nazionale di grappe e acquaviti.

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Le proposte numerate di Jacquesson Jacquesson, noto produttore di Champagne importato da Pellegrini, propone per il 2018 la nuova Cuvée n.741 Extra Brut, che si basa sulla vendemmia 2013, il Dégorgement Tardif della Cuvée n.737, che ha riposato 90 mesi sui lieviti in bottiglia prima della sboccatura, e due Champagnes che non sono più stati prodotti in seguito: Rosé di Jacquesson, Dizy 1er Cru Terres Rouges 2011 e il Millésime 2002 Dégorgement Tardif; i millesimati successivi saranno esclusivamente di “Lieux Dits”, cioè di singola parcella.


Alberto’s choice

Una grande Costoletta? Nel salotto di Milano SANT’AMBROEUS OLTRE LE ATTESE

LEGENDA

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Corso Matteotti, 7 20121 Milano Tel 02 76000540 www.santambroeusmilano.com

Qualcuno si chiederà: ma come, con tutte le costolette (e cotolette) che avrà assaggiato lo Schieppati, proprio questa doveva scegliere? E perché mai? Che ci sia sotto qualcosa? Cercherò dunque di spiegarvelo, così vi tranquilizzate. Innanzitutto vi dico che, ovviamente, non le ho assaggiate tutte, le costolette. E ci mancherebbe: a Milano ci sono almeno 1.200 ristoranti che hanno in menù questo piatto della tradizione (e in Lombardia almeno altrettanti). Ho già avuto modo di scrivere, però, che c’è una categoria di cotolette, a partire dalla cosiddetta “primavera”, che mal sopporto a priori, in quanto generalmente rozze e modaiole imitazioni della vera costoletta.

Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta

Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza

Due corone = Linea di cucina corretta

Battuta all’inverosimile, fino a diventare sottilissima, biscottata, per non dire secca, pomodorata o rucolata, questa cotoletta –eseguita da qualche decina di ristoratori nella città di Milano, e in qualche pizzeria, ben poco ha a che fare con la vera “Costoletta alla

Una corona = Cucina dignitosa e affidabile

Corona nera = C’è ancora molto da fare

Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza

Due cervelli = Ragionevole

Un cervello = Abbastanza ragionevole

Cervello nero = Scarsamente ragionevole

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Artù marzo/aprile 2018



A Artù Numero 89 marzo/aprile 2018

Alberto’s choice

Direttore editoriale Alberto P. Schieppati - alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile Andrea Aiello

milanese”, che solo pochi correttamente eseguono. “Ai mei clienti piace così”, dicono molti gestori: può darsi, ma se il cliente si trovasse di fronte a una costoletta migliore di quella a cui è abituato, il risultato sarebbe altrettanto positivo. Per fortuna, dicevo, i bravi esistono, al netto di quanti si vantano di proporre una “cotoletta sbagliata”, in onore alla deregulation dilagante. Fra i bravi e i seri, uno per tutti, ma non è a Milano, è il Derby Grill di Monza, il

Raffaele Longo, il lungimirante direttore del Sant’Ambroeus. Si deve anche a lui l’evoluzione in chiave gourmet dello storico locale milanese

gioiello dei fratelli Nardi, hotelier di razza e di livello (altissimo). La costoletta preparata dall’Executive Chef Fabio Silva (e quando mai gliela daranno la prima stella? Se la merita da anni…) è mitica: per panatura, qualità delle carni, succulenza, succo, sapore. Così come quella dell’Osteria Magenes, a Gaggiano, o quella di Luca Gagliardi, lo Chef della mitica Rampina, a San Giuliano Milanese, locale storico tanto amato da Marchesi, o quella di Alfonso Catania, della Fontanella di Magreglio: eccellenti, cotte al giusto rosa, succulente, da sognarsele le notte. E ce ne sono molte altre nell’hinterland eseguite con sapienza e stile. Era eccezionale quella di Via del Borgo, a Concorezzo: ma purtroppo ha chiuso da tempo. E’ ottima quella del buon Matteo Scibilia, Osteria della Buona Condotta. Ma la cintura di Milano non è Milano: e che in una città di un milione e mezzo di abitanti (che, certo, raddoppiano con i comuni della cintura e che triplicano con il turismo internazionale) si faccia fatica a trovare una costoletta eseguita correttamente, rispettosa della tradizione e intelligentemente NON rivisitata né “sbagliata”, ci pare molto grave, gravissimo. Certo, nulla di fronte all’inquinamento del pianeta,

ma comunque un fatto grave, una mancanza da prendere in considerazione. Dopo essere stato, a suo tempo, fan della Costoletta del 2000, a cubi, di marchesiana memoria (straordinaria) e di quella del Nuovo Macello, chef Giovanni Traversone, proposta in due versioni (notevole), o di quella di Max Masuelli, della trattoria di Viale Umbria, o di quella di Cesare Battisti al Ratanà, vi assicuro che dopo la scoperta della “Tradizionale costoletta di vitello alla milanese, con patate sauté” cucinata dal Sant’Ambroeus, in Corso Matteotti, ho fatto la mia scelta, che non esito a condividere: una delle migliori mai assaggiate. Giusto lo spessore, intorno al centimetro di altezza, cotta al punto giusto, con una panatura leggermente croccante che evidenzia la frittura intelligente con burro chiarificato. Non bruciata (senza rischio acrilammide) ma neppure smorta, la Costoletta della “Pasticceria Sant’Ambroeus” è perfetta: carrè di vitello italiana (piemontese in primis) di provenienza certificata e tracciabile, da allevamenti selezionati, il cui valore si legge peraltro nel prezzo finale del piatto in menù: 30 €. Non un prezzo da bar, certo: ma il Sant’Ambroeus non è “solo” un bar. E’ la pasticceria più à la page di Milano, ricca di storia e tradizioni, e frequentata dalla migliore milanesità. Si deve anche a Raffaele Longo, General Manager del Sant’Ambroeus, professionista di lunga esperienza, questa “svolta gourmand” del locale che, non pago di preparare i migliori aperitivi di Milano, oltre che grandi e ricercati cocktail, ha rafforzato la proposta di ristorazione introducendo un menù di mezzogiorno che (pur non essendo un Business lunch a prezzo contenuto), consente un’esperienza gastronomica difficilmente replicabile, a pranzo, nel centro cittadino. La Costoletta è richiestissima nel locale della famiglia Festorazzi, che ha saputo rilanciare il locale (acquisito nel 1986) con coraggio e determinazione, puntando anche su un “cavallo di razza” come Raffaele Longo. La continuità col passato, invece, si rifà a Luciano Vismara, il pasticcere storico del locale, che tiene le redini del laboratorio dagli anni Sessanta e le cui torte sono un vanto per la città. “La nostra ristorazione”, sottolinea Longo, che ha anni di esperienza in un hotel icona della città, quel Principe di Savoia diretto da Ezio Indiani,”attira una clientela milanese gourmet, attenta alla qualità delle materie prime ma anche affascinata dal frequentare un locale che è sempre più percepito come il salotto-bene della città, elegante, dolce e discreto”. Parole, queste, usate anche da Simonetta Langé Festorazzi nella presentazione del volume Sant’Ambroeus, il dolce salotto di Milano. Un racconto avvincente e unico di un locale che, nato nel 1936, tiene sempre alto il valore e il brand di Milano nel mondo.

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In redazione Emanuela Stìfano - emanuela.stifano@edifis.it Massimo Andreis - massimo.andreis@edifis.it Contatti artu@edifis.it - www.artumagazine.it _______________________________________________________________

Collaboratori

Giorgio Ascorti, Fiorenza Auriemma, Irene Bernabò Silorata, Guido Bernardi, Maurizio Bertera, Stefano Bonini, Oscar Cavallera, Luisa Contri, Maurizio Di Dio, Angelo Foresti, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Rocco Lettieri, Gianni Mercatali, Giovanna Moldenhauer, Aldo Nenzi, Gio Pirovano, Alessandra Piubello, Laura Reichlin, Mauro Remondino, Vincenzo Russo, Valentina Santambrogio, Theo Smith, Gualtiero Spotti, Virginia Zacchetti, Claudio Zeni, Stefania Zolotti Iniziative speciali: Andrea Ragusa - andrea.ragusa@edifis.it _______________________________________________________________

Grafica e impaginazione Daniele Scozzari

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Foto

Archivio Artù; M. Borchi; Stefano Borghesi; Claudia Calegari; Ferdinando Cioffi; Fabrice Gallina; Sara Magni; Martina Mambriani; Patischie; Roberto Savio; Renato Vettorato; Modestino Tozzi; Giulio Ziletti ______________________________________________________________

Pubblicità dircom@edifis.it

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