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Gennaio/Febbraio 2018
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Editoriale
Vissani: cercate la materia!
E come dargli torto? Gianfranco Vissani, in una recente intervista a Quotidiano.net, i cui punti principali sono stati ribaditi nel corso di una nostra conversazione, il 6 febbraio scorso, ha (provocatoriamente) affermato che “stiamo distruggendo tutta la buona cucina, la qualità dei nostri grandi prodotti, i sapori veri che ormai quasi nessuno sa riconoscere”. Estremizzando, l’accusa del grande cuoco di Civitella del lago, frazione di Baschi, Umbria, due stelle Michelin, riguarda per la gran parte colleghi “stellati” (!) che, secondo lui, “ non sanno neppure cuocere la pasta….”. Gianfranco, che per me è uno dei più bravi cuochi italiani, non è nuovo a dichiarazioni shock, che confermano una volta di più il suo essere sempre controcorrente. Così, il “cuoco di D’Alema”, come venne definito una trentina di anni fa, continua sulla strada della strenua difesa del prodotto italiano, che deve essere alieno da ogni tipo di contaminazione
che abbia l’odore (o la puzza) del “modaiolo” a tutti i costi. Basta stupire, insomma. E sarebbe ora. Come si dice, il dibattito è aperto. Non se ne abbiano i cultori di “bisturi e pinzette”, schiumette e azoto . Il loro lavoro è spesso geniale, frutto di grande esperienza e di tecniche approfondite e collaudate. Spesso ne scriviamo e talvolta meritano attenzione. Ma –dice Vissani- non basta, o meglio non serve a nulla, se non ad allontanare il focus dalla qualità autentica dei nostri prodotti, spesso dimenticati o sconosciuti. Così Vissani rincara la dose: “ Certi cuochi fanno pietà: non sanno cos’è un broccolo fiolaro, le mammole, la castraure. Non distinguono le schie dai gamberi rosa, comprano tutto da quattro colossi commerciali che monopolizzano il mercato e che forniscono persino il fondo bruno in vaschette o le anatre porzionate e congelate. L’unica cosa che considerano importante è che tutto sia tenero,
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anche se non sa di niente. Tanti non sono capaci di cuocere la pasta: se usi acqua del rubinetto, il cloro intacca lo spaghetto, lo spacca perché il cloro non evapora, anzi, nell’ebollizione si concentra”. Il Vissani-pensiero, come spesso accade, rappresenta il punto di vista di molti, cuochi, gourmet, gourmand o semplici appassionati, ognuno con motivazioni differenti. Se ne parlava con lo chef Daniel Canzian, che stellato non è, durante lo scorso Follow Artù a Milano: “Grazie a una selezione acuminata della materia, ho visto un cambio di marcia nella realizzazione dei piatti. In Italia abbiamo straordinarie possibilità e credo che il cuoco debba continuare a cercare, conoscere, selezionare il meglio del mercato, dei nostri mercati”. Gli fa eco Vissani: “Bisogna cercare, confrontare, affidarsi a fornitori e artigiani di fiducia, diffidare degli ortaggi troppo lisci e belli e mai farsi consegnare la spesa a casa”. Beh, forse nella campagna umbra questa strada è più praticabile che in una grande città, ma il senso è chiaro. Fra i tanti chef che rispettano il territorio e l’autenticità dei prodotti, e che sanno trasmettere questa schiettezza tutta italiana nei propri piatti, fra tanti mi viene in mente Massimo Spigaroli, interprete di quella cucina “fluviale” tanto apprezzata dalla clientela che sceglie di fare un’esperienza all’Antica Corte Pallavicina, lungo gli argini del Po: solo prodotto italiano di alta qualità, in questo caso a metro zero, verdure e ortaggi freschi dei propri orti, animali allevati secondo criteri di libertà e trasparenza. Perché, come diceva Gualtiero Marchesi, “la materia è vincolante: va conosciuta, ricercata, controllata giorno dopo giorno con meticolosa diligenza, cercando il meglio e non accontentandosi mai”. • Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it
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A Sommario
6 News L’intervista 14 Raffaele Alajmo: “Odio le mezze misure” Luoghi comuni 18 Grandi Chef, amati o odiati. Se l’icona diventa bersaglio L’opinione 20 Dal tramezzino al panino-condominio? 21 Simbiosi cucina-sala. E la ristorazione diventa eccellente Format food 22 Emirates. Qualità in volo Follow Artù 24 Vino, new concept, tecniche, ristorazione in albergo e surgelati. Ricordo 34 Gualtiero Marchesi. Genio dell’essenziale Protagonisti food 42 Dodici Apostoli. Conferma di un mito 48 Ramon Freixa, Madrid: con la cucina non si scherza Focus food 52 Ethical Chef Days. Care’s lascia il segno 56 C’è un PreTesto per gli Umbria lover 58 Il viaggio di Zhou e l’approdo a Milano Accueil 62 Heure Bleue Palais. Il prestigio abita qui Visti al bar 64 Diageo Riserve, i migliori spirit del mondo Focus beverage 65 Acqua Daggio, bella e buona Libri 66 I vini lombardi, il magnar ben del Nord-Est e la storia di chef Citino La ricetta di Artù 67 Un piatto-mito di Andrea Berton La foto di Cioffi 68 Paul Bocuse 69 Pillole Alberto’s Choice 70 Il Monferrato che non ti aspetti
In copertina: Un piatto storico di Gualtiero Marchesi, denominato Carn’è pesce, una definizione quasi futurista per questo piatto geniale. Filetti di branzino e di manzo alternati e accompagnati a tre salse, la verde a base di prezzemolo olio e alici, la bianca, una maionese alla senape in grani e la rossa, solo succo di pomodoro. Come sempre, dalla parte dell’armonia e dell’eleganza.
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La ristorazione ragionevole
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News
Crescita record per DOP e IGP
Kisen, nuova apertura milanese Kisen, per il suo nuovo ristorante in centro a Milano, sceglie la centrale via Moscova. Il format è quello della “Feeling Excellence” ovvero un menù giapponese creativo realizzato con il miglior pesce che si trova sulla piazza meneghina. In questo come negli altri due Kisen, uno a Milano e uno a Busto Arsizio, il menu è studiato da uno chef giapponese di Osaka che ogni 6 mesi torna per formare i cuochi. Gli appassionati di cucina giapponese potranno scegliere tra i dim sum con pasta alla barbabietola, al the verde, al nero di seppia, allo zafferano e al gambero, le dieci tartare, i dodici gunkan, le cruditée, i carpacci, quattordici tipi di California maki, dodici tipologie di temaki, special rolls, dragon balls, sushi, sashimi e chirashi, nigiri, ramen, udon, teriyaki cucinati sull’apposita piastra, ma anche tempura, riso, insalate e zuppe. Il design del locale, studiato ad hoc da un architetto giapponese, vuole ricordare nei due livelli la natura orientale con maestose canne di bambu in entrata, l’utilizzo di pietra, legno, ferro, tra vetrate – cascate e pavimenti che ricordano i giardini nipponici. Le luci eseguono giochi di onde sulle pareti e mettono in risalto l’arredamento che gioca con il grigio, il marrone e il nero. Per esaltare il gusto dei piatti, Kisen propone, oltre a una vasta selezione di vini, spumanti e champagne, anche un menù di cocktail studiati da Franco Tucci Ponti, esperto mixologist, che ha combinato accanto a elementi e ingredienti nipponici alcuni classici italiani. (Giovanna Moldenhauer)
Si rafforza il primato mondiale dell’Italia per numero di prodotti DOP IGP. E’ quanto emerge dal Rapporto Ismea-Qualivita 2017 presentato dal Ministro Martina. Con 818 Indicazioni Geografiche registrate a livello europeo (4 nuove registrazioni nel corso del 2017), il comparto esprime i risultati più alti di sempre anche sui valori produttivi, con 14,8 miliardi di valore alla produzione e 8,4 miliardi di valore all’export. Dati che testimoniano una crescita del +6 per cento su base annua e un aumento dei consumi nella GDO del +5,6 per cento per le vendite food a peso fisso e del +1,8 per cento per il vino. Anche il trend degli ultimi 10 anni mostra una crescita continua del sistema DOP-IGP, che ha così affermato il proprio peso economico nel Paese fino a rappresentare l’11 per cento dell’industria alimentare e il 22% dell’export agroalimentare nazionale (nel 2015 era il 21%). Entrando nel dettaglio, il settore food, che nel 2016 conta 83.695 operatori (+5% sul 2015), vale 6,6 miliardi di euro alla produzione e 13,6 miliardi al consumo, con una crescita del +3% sul 2015, con l’export che continua a crescere (+4,4%) e un trend che nella Grande Distribuzione supera il +5,6% per il secondo anno consecutivo. Il comparto Wine – oltre 3 miliardi di bottiglie – vale 8,2 miliardi di euro alla produzione con una crescita del +7,8% e sfiora i 5 miliardi di valore all’export (su un totale di 5,6 miliardi del settore). Il Sistema delle DOP IGP in Italia garantisce qualità e sicurezza anche attraverso una rete che, alla fine del 2017, conta 264 Consorzi di tutela riconosciuti dal Mipaaf e oltre 10mila interventi annui effettuati dagli Organismi di controllo pubblici. Dal Report emerge un altro dato importante, che riguarda la diffusione delle produzioni certificate. Per quanto l’impatto del sistema risulti concentrato geograficamente – con le prime aree del Nord-Est in cui si trova la maggioranza dei distretti più rilevanti economicamente (58% valore Food, 56% valore Wine), dalla “Food Valley” emiliana al “sistema Prosecco” veneto-friulano – non sono pochi i territori che hanno beneficiato della forte crescita relativa delle proprie filiere di riferimento. Produzioni più piccole, che esprimendo al massimo il proprio potenziale, riescono a trainare il settore agroalimentare di qualità da nord a sud del Paese. In tale scenario, grazie alla collaborazione tra l’Istituto della Enciclopedia Italiana e la Fondazione Qualivita ha preso forma Treccani Gusto, un nuovo progetto editoriale che si pone l’obiettivo di lanciare una nuova immagine dell’Italia e delle sue eccellenze enogastronomiche nel contesto internazionale e di ridefinire l’apporto culturale dei suoi prodotti tipici, uno dei più importanti patrimoni di cui il nostro Paese dispone, al pari dei tesori della cultura, del paesaggio e dell’arte.
Perbellini apre a Milano e in Bahrain Nel corso del 2018 Giancarlo Perbellini aprirà due nuovi locali, che si vanno ad aggiungere agli otto già avviati: “Casa Perbellini”, “Locanda 4Cuochi”, “Tapasotto”, “Capitan della Cittadella”, “Du de Cope” e “La Dolce Locanda” a Verona, “Il Dopolavoro” a Venezia e “La Locanda” a Hong Kong. A fine marzo, a Milano, e precisamente in via Moscova (zona Brera), sarà la volta di “Locanda Perbellini”, a capo della quale Giancarlo ha indicato il giovane chef Michael Pozzi del “Tapasotto”, che per i primi cinque mesi verrà affiancato dai rodati Antonio Cacciapaglia e Rosalisa Guagnano de “La locanda - Giancarlo Perbellini” di Hong Kong. Il locale sarà caratterizzato da un servizio agile e da una cucina impreziosita dall’essere a vista, ricalcando in parte la formula del veronese “Casa Perbellini”. A fine luglio, invece, toccherà a “La Pergola - Giancarlo Perbellini”, a Manama, Bahrain. Il resort 5 stelle The Gulf Hotel ha infatti scelto di affidare il rilancio del suo storico ristorante italiano, il più antico del Bahrain, proprio a chef Perbellini.
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Artù gennaio/febbraio 2018
“Artista del panino”, la seconda edizione
Giorgio Borrelli, vincitore della prima edizione, con la giuria del concorso
La seconda edizione del concorso “Artista del panino” si chiuderà lunedì 22 gennaio 2018 al Sigep di Rimini, presso lo stand dell’azienda Agritech di Vandemoortele Italia (Pad B7, stand 080). Numerosissime le candidature spontanee, per un totale di più di 400 ricette inviate. La giuria vedrà protagonisti chef Rubio, riconfermato testimonial del concorso, e chef Kumalé (Vittorio Castellani), presenza coerente con la scelta di proporre ai concorrenti 3 categorie di ricette: tipico italiano (regionale), dal mondo e veg. Ci saranno anche chef Moreno Cedroni e Giorgio Borrelli, vincitore della prima edizione. I dieci finalisti dovranno riproporre le rispettive preparazioni in 20 minuti. Quanto ai premi, per i primi 3 classificati, un viaggio a Zanzibar di 1 settimana per 2 persone, 2.000 Euro in attrezzature Unox e 1.000 Euro in ticket compliments. I rimanenti 7 finalisti parteciperanno all’estrazione di una fornitura di prodotti Agritech.
Casa Marrazzo, il gusto della conserva Tre linee di produzione e un unico obiettivo: portare in latta o in vetro solo i migliori frutti della terra, a cominciare dal pomodoro. È il mondo di Casa Marrazzo, azienda artigianale della provincia di Salerno che da tre generazioni si occupa di conserve di alta qualità. Il prodotto principe è il pomodoro: il San Marzano Dop dell’agro nocerino sarnese, il pomodoro del Pendolo del Vesuvio, i pomodorini gialli di Ercolano ed ancora il Corbarino, altra rarità campana. Ma il catalogo dell’azienda presenta una vasta gamma di ortaggi – peperoni, zucchine, melanzane -, di legumi di qualità superiore e frutta: oltre cento etichette. I Raffinati sono la selezione in vetro pensata per le boutique del gusto e le gourmandise più ricercate: la gamma presenta diverse varietà di pomodori, tra cui il Corbarino proposto al naturale e in acqua di mare, e altre delizie come il Broccolo aprilatico Presidio Slow Food, i Peperoni grigliati e il raro Fagiolo bianco di Controne, altro Presidio Slow Food. I Tradizionali è la linea ispirata alla tradizione della cucina italiana, confezionata in latta in formati piccoli per le famiglie e grandi per la ristorazione; I Bio sono le conserve di prodotti provenienti da agricoltura biologica coltivati senza l’impiego di fertilizzanti e sostanze chimiche, confezionati sia in vetro che in latta. Fil rouge è l’attenta qualità del prodotto, selezionato con cura e lavorato ancora con tecniche artigianali nel pieno rispetto delle più rigide normative alimentari vigenti sia in Italia che all’estero. L’artigianalità è il valore dell’azienda che oggi è presente sull’intero territorio nazionale: nella Gdo (Conad – Esselunga) con i prodotti Tradizionali; nell’alta ristorazione e nelle migliori pizzerie con i prodotti Bio e Tradizionali; nelle gastronomie di alta qualità con I Raffinati. Il 2018 si apre all’insegna del consolidamento dei mercati esteri (Russia, UK, Danimarca) e dello sviluppo della piattaforma di e-commerce sul sito aziendale www.casamarrazzo.it Irene Bernabò Silorata
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Artù gennaio/febbraio 2018
News
Nagasaki Gourmet Duet, il Giappone a Milano
vi sono diversi punti comuni: il territorio che si estende longitudinalmente, la ricca cultura e la tradizione coltivate nel tempo, la splendida natura e la varietà culinaria che ne deriva. Proprio le tradizioni gastronomiche dei due Paesi sono protagoniste di una quattro giorni all’insegna dell’eccellenza e della contaminazione culinaria: Nagasaki Gourmet Duet, un evento organizzato e promosso dalla Prefettura di Nagasaki per presentare al grande pubblico e ai professionisti dell’ho.re.ca. i prodotti a marchio Yokamon! Market di Nagasaki. Da venerdì 12 a domenica 14, presso Eataly Smeraldo (Piazza XXV Aprile, 10, Milano), è stata presentata una selezione dei migliori prodotti della provincia di Nagasaki, lo splendido territorio situato all’estremità occidentale del Giappone noto per la sua ricca produzione agroalimentare e ittica: i suoi pendii toccati dal clima mite sono storicamente dediti all’agricoltura e alla frutticoltura, mentre le numerose isole e i mari pescosi l’hanno reso nei secoli il secondo centro di produzione ittica di tutto il Giappone. La scelta della location per Nagasaki Gourmet Duet non è stata casuale: il legame fra Milano, Nagasaki e il teatro è infatti storicamente forte e risale al 17 febbraio 1904, quando il Teatro alla Scala ospitò la prima di Madama Butterfly, l’opera in tre atti di Giacomo Puccini ambientata proprio a Nagasaki. Lunedì 15 gennaio la manifestazione cambia location, e si è trasferita al Feeling Food Milano, lo spazio polifunzionale dedicato alla realizzazione di eventi enogastronomici realizzato da MGM Alimentari, per un appuntamento dedicato esclusivamente agli chef e ai professionisti di settore.
Italia e Giappone hanno da poco più di un anno festeggiato un anniversario importante: i 150 anni del primo Trattato bilaterale di amicizia e commercio fra i due Paesi che, firmato il 25 agosto 1866, ha aperto la strada a una lunga storia di relazioni intense e amichevoli. Alla base degli ottimi rapporti instaurati, come ha sottolineato l’ex Ministro degli Esteri giapponese Fumio Kishida,
Marula Beach a Ombre Rosse Follonica a Milano: lo chef Giovanni Peggi, giovane promessa della cucina grossetana, ha portato i suoi piatti a Milano, alla famosa enoteca Ombre Rossedi via Plinio, guidata da José Carbonell e Raffaella Fossati. L’idea era quella di far degustare alcune specialità del Marula Beach, il ristorante di famiglia in cui opera lo chef, a un vasto pubblico di enoappassionati e gourmet. L’occasione è stata ghiotta e ha confermato una volta di più l’esistenza sul mercato della ristorazione di giovani talenti, spesso sconosciuti ai più. ma con le idee molto chiare. Il menù di Giovanni si è aperto con un Crudo, “ricco di materia”, ovvero: Gambero rosso di Mazara del Vallo, Mazzancolle del golfo di Trapani, Gambero rosa di Follonica, Alici di Follonica marinate e fatte a millefoglie con peperone rosso. A seguire Polpo lessato su carciofo fresco e crema di cipolla ramata, gli Gnudi (solo ripieno di erbette e formaggio) con gamberi rossi, il Calamaro ripieno su crema di piselli e salsa “caciuccata”. Una bella esperienza, rafforzata dagli abbinamenti scelti da Carbonell, detto Pepe.
José Carbonell e, a destra, lo chef Giovanni Peggi
Margareth Henriquez, la signora degli Champagne
Margareth Henriquez
Dal primo gennaio 2018 Margareth Henriquez, Presidente della prestigiosa Maison de Champagne Krug dal 2009 e artefice dei successi di questi ultimi anni, è stata nominata anche Presidente di The Moët Hennessy Wine Division, in sostituzione di Jean-Guillaume Prats che ha deciso di dedicarsi a nuovi interessi al di fuori del mondo Moët Hennessy. Margareth Henriquez rivestirà il nuovo ruolo accanto al suo attuale incarico di Presidente di Krug. Margareth Henriquez è entrata a far parte di Moët Hennessy nel 2001, in veste di CEO di Bodegas Chandon in Argentina, un ruolo che ha ricoperto per sette anni. È stata quindi nominata Presidente di Krug nel 2009 e ha trasformato con successo il marchio, facendolo diventare una delle più prestigiose Maison nel mondo dello Champagne.
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Valverde in tre parole Purezza, leggerezza e preziosità. Sono questi i key concept evocati dalla nuova campagna pubblicitaria di acqua Valverde. I colori tenui esprimono infatti la purezza dell’acqua, che cristallina sgorga dalle pendici del Monte Rosa; le farfalle che tengono in sospeso le bottiglie ricordano invece la leggerezza (il residuo fisso è di soli 38,8 mg/l), mentre il gioco di incastri dei vari elementi rappresenta il naturale equilibrio delle sue caratteristiche organolettiche. Il tocco dorato dei raffinati oggetti presenti nell’immagine conferma la preziosità unica della bottiglia in vetro dalle linee sinuose e dal carattere deciso.
Luca Brasi Re delle carni Dopo avere fondato, negli anni Novanta, la sua “Lucanda” a Osio Sotto, in provincia di Bergamo, e dopo l’esperienza stellata al ristorante dell’Hotel Devero a Cavenago Brianza, qualche anno fa Luca ha deciso di ritornare alle sue origini, sviluppando un suo antico amore, quello per le carni di eccellenza. Così, la vecchia Lucanda è diventata “Ristorante con Macelleria”, imponendosi in breve tempo come il miglior punto di riferimento per gli amanti della carne di alto livello in Lombardia. Grande è l’ attenzione verso le razze e le tipologie, con particolare sensibilità verso le provenienze e la giusta importanza data alle frollature. La professionalità di Luca, insieme alla sua grande passione per le cose buone, insieme alla sua grande capacità di empatia, è proverbiale. In una recente serata nel suo ristorante, Luca ha consentito alla stampa di conoscere meglio la sua attività e di prendere atto di quanti passi avanti siano stati fatti in tema di: qualità, origine, tracciabilità, ma anche conservazione e tecniche di cottura. Alla Braseria troviamo solo tagli di alta qualità e di razze pregiate: la Blonde d’Aquitaine, la mitica Fassona, l’Aberdeen Angus, la Wagyu 100%, la Scottona Bavarese. Tenerezza, marezzatura, dry aging e, importantissima, l’arte della cottura, che vede sempre il legno di faggio protagonista. Il luogo ideale per chi ama la carne e ne vuole cogliere ogni aspetto di gusto, sapore e succulenza. Anche vendita all’asporto: perché la Braseria è anche macelleria tradizionale.
Fiorenzano diventa punto vendita Peroni A tre mesi dalla riapertura dello storico locale a Montesanto (Na) – diventato, tra l’altro, punto vendita Peroni Gran Riserva – Fiorenzano presenta nuove proposte food che arricchiranno il menu. Tra queste, il Sigaro e il Panino fritto: il primo è un prodotto tipico del Cilento, che la proprietà ha voluto fortemente portare a Napoli per unire due tradizioni del sud Italia. Dunque, tra pizze fritte e “cuoppi”, i clienti potranno assaporare anche il sigaro: pasta per le pizze con lievitazione naturale farcita con salsiccia e friarielli, mozzarella e parmigiana, wrustel e patatine. Il Panino fritto e al forno, invece, è un’idea tutta napoletana che prevede una lavorazione composta in diverse fasi, il cui risultato è un panino fritto, ma leggero, friabile grazie alla cottura in forno a legna. Il ripieno del panino è a scelta tra sette proposte, ma tiene fede alla tradizione napoletana: un esempio per tutti, polpette e friarielli. Ad accompagnare il tutto, Peroni Gran Riserva, le birre speciali della famiglia Peroni che, grazie all’impego di Malto 100% Italiano e al lungo processo produttivo, sono state premiate nell’ultimo anno nell’ambito di prestigiosi premi internazionali quali Tastings.com World Beer Championship e The Beer Awards.
Al centro, Luca Brasi
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News
Laudemio, il premio 2017 e l’edizione 2018 Anche quest’anno Consorzio Laudemio darà vita alla seconda edizione del premio teso a incrementare la conoscenza e la diffusione del proprio olio. «Abbiamo deciso di istituire questo premio - ha spiegato Diana Frescobaldi Presidente del Consorzio Laudemio - per promuovere e valorizzare questo olio unico e pregiato. E per farlo abbiamo scelto quelli che sono senza dubbio i migliori ambasciatori della cultura agroalimentare di qualità: gli chef. Lo scopo del Premio è quindi duplice: da un lato veicolare l’olio Laudemio nell’alta ristorazione, dall’altro, proprio attraverso il contributo e la creatività degli chef, far sì che sempre più persone possano conoscerlo e apprezzarlo, diffondendo la cultura del consumo consapevole basato sulla qualità e non sulla quantità”. Durante la serata conclusiva della prima edizione, all’Hotel Excelsior Gallia di Milano, è stato decretato il vincitore del premio, lo chef Salvatore Bianco del Ristorante “Il Comandante” dell’Hotel Romeo di Napoli. Per lui un viaggio premio in Istria, alla scoperta delle bellezze e dei tesori enogastronomici di una regione che già gli antichi romani consideravano, insieme all’Etruria, terra d’elezione per il miglior olio extravergine d’oliva. Sul secondo gradino del podio Marco Stabile, del Ristorante “Ora d’Aria” di Firenze; al terzo posto Giuseppe Di Iorio del Ristorante “Aroma” sul rooftop di Palazzo Manfredi a Roma. I tre chef finalisti – selezionati dopo le otto tappe del Concorso svoltesi fra gennaio e giugno in altrettanti ristoranti italiani – si sono cimentati nell’esecuzione di due piatti: il piatto finalista e un nuovo piatto inedito. Protagonista della serata, naturalmente, il pregiato olio Laudemio, interpretato in sei superbi piatti d’Autore serviti rigorosamente alla cieca ai cinquanta “giudici”: ha aperto le danze “Amaro al cubo”, antipasto finalista dello Chef Marco Stabile, seguito dal “Baccalà in olio cottura su crema di ceci neri della Murgia Carsica e lamelle di bottarga di muggine” dello Chef Giuseppe Di Iorio. Quindi i primi piatti: “Raviolini ripieni di Laudemio in brodo di cappone profumati al tartufo nero pregiato” (piatto finalista dello Chef Di Iorio) e a seguire “Riso, Laudemio e olive” dello Chef Salvatore Bianco. Per chiudere, i due secondi piatti: “Assolo d’agnello” (finalista) dello Chef Bianco, e “Faraona pochè nel Laudemio, crema e chips di topinambur, alga gigartina e ice-lime” di Marco Stabile.
Assolo d’agnello Chef Salvatore Bainco. ©Fancesco Mion
Baccalà in olio cottura su crema di ceci neri della Murgia Carsica e lamelle di bottarga di muggine. Chef Giuseppe Di Iorio ©Fancesco Mion
Plose, un anno da incorniciare Il 2018 per Fonte Plose si apre con parecchie aspettative, soprattutto per il canale ho.re.ca. D’altro canto, il 2017 è stato un anno da incorniciare: la linea BioPlose (succhi, nettari, thè freddi) ha registrato una crescita a due cifre, +15 per cento. I principali acquirenti sono stati proprio bar e pasticcerie, che hanno visto nei prodotti Plose la possibilità di offrire ai propri clienti qualcosa di diverso dal solito, originale e garantito da una storica azienda familiare italiana. Ottimi risultati anche per i nuovi thè freddi “Tea Collection”: 5 gusti - Thè Bianco&Zenzero, Thè Bianco&Superfrutti, Thè Verde, Thè & Limone, Thè& Pesca - in un formato ideato espressamente per il canale ho.re.ca: 25cl in bottiglietta di vetro. Una svolta giunta sul mercato proprio in un momento storico favorevole al thè freddo, il cui consumo a livello mondiale, secondo un’analisi Zenith Global, dai 37 Miliardi di litri del 2016 passerà a 45 Miliardi entro il 2021. Non passano mai di moda le bibite Plose Vintage, ormai riconosciute per le loro originali etichette e i gusti che uniscono tradizione e ricette selezionate. Trainate dal Chinotto “succulento” e dalla Limonata “vivace”, nel 2017 è stato venduto il 30 per cento In più di bottiglie, di cui più della metà con la formula vuoto a rendere.
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Matteo Metullio, giovane e stellato chef di montagna Matteo Metullio è lo chef stellato più giovane d’Italia, sia nella stagione 201314 dove gli è stata conferita la prima stella Michelin, che dal 16 novembre 2017 con la seconda. Al conferimento della prima, a soli 24 anni, è riuscito a tenere alto il nome del ristorante La Siriola di San Cassiano, all’interno dell’Hotel Ciasa Salares in Alta Badia, precedentemente rimbalzato agli onori della cronaca enogastronomica grazie a Fabio Cucchelli. Lo abbiamo incontrato diversi mesi fa curiosi di conoscere questo giovane e talentuoso chef dalle origini triestine formatosi con il suo grande maestro Norbert Niederkofler. “Il mio percorso – ci racconta Matteo – è iniziato a 14 anni grazie alla passione per la cucina che mi hanno trasmesso sia mia madre che mia nonna. Essere nato in una città come Trieste dove si respira un’atmosfera di città di mare e dei suoi trascorsi mitteleuropei, ha fatto la differenza. Durante gli anni della formazione a Falcade, in provincia di Belluno, mi sono confrontato con le tradizioni gastronomiche di montagna, con il vissuto famigliare di ricette degli altri ragazzi, compagni del convitto dove vivevamo, che venivano da molte parti d’Italia. Durante le stagioni estive ho fatto diversi stage, tra cui quello Alle Codole, a Canale d’Agordo, con lo chef Oscar Tibolla, dove ho iniziato a maturare la mia personale idea di cucina”. Un altro passaggio significativo nella formazione di Matteo sono stati i 4 anni trascorsi nella squadra di Norbert Niederkofler che lo ha scelto a 19 anni. “Ho imparato tante tecniche – commenta poi – e modi per valorizzare, esaltandola, la materia prima. Ma quello che ha significato una vera scuola è stato l’apprendere a organizzare bene i passaggi delle lavorazioni, la gestione della cucina, in questo Norbert è stato un grande maestro, tutto funzionava con assoluta precisione nel suo team”. Un’esperienza quella al St. Hubertus nata grazie alle vacanze in Alto Adige Ristorante La Siriola con i genitori, alle letture sulla ristorazione stellata e all’invio, nel corso delle vacanze tra il 3 e 4 anno, di un suo curriculum proprio al ristorante di Niederkofler. Quando si rese disponibile l’occasione di affiancare Fabio Cucchelli, come sous chef a La Siriola, per altro poco distante, non esitò. La famiglia Wieser, proprietaria dell’albergo che ospita il ristorante, quando Cucchelli scelse una nuova avventura professionale, pensò di puntare proprio sul talentuoso Matteo, allora ragazzo di 24 anni, di cui aveva notato i pregi nel suo lavoro fatto come secondo. In breve tempo lo chef con la sua cucina che interpreta la stagionalità degli ingredienti scelti in base alla qualità non alla vicinanza, ottenne presto il favore del pubblico e della critica con, tra i vari riconoscimenti, l’ingresso nel firmamento Michelin dal 5 novembre 2013 con la prima stella. Una data così importante, che ha voluto farsela tatuare sul braccio sentendo di avere vinto un’importante sfida. Lo scorso 16 novembre, durante la presentazione della guida Michelin, Metullio ha ottenuto la seconda stella. Sergio Lovrinocich, direttore della Guida Michelin Italia, le ha motivate con il riconoscimento per lo stile e la qualità della sua cucina, per la capacità di accostare i sapori in modo fantasioso e fuori dal comune scegliendo ottimi ingredienti. La carta del ristorante La Siriola, diversa tra estate e inverno, è
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Matteo Metullio
Spaghetto freddo
suddivisa in 5 piccoli menu degustazione, dedicati a 5 tipologie di alberi della Valle, dal Cirmolo all’Abete, al Pino, al Larice e Betulla. Oltre alla carta è proposto agli ospiti un percorso Rosa Canina, ovvero “Andata e ritorno sulla via del gusto in 8 portate a sorpresa” in cui sono proposte alcune sedute in sala altre tra la cucina, la cheese room e la chocolate room. Abbiamo assaggiato il suo roastbeef di cervo, pistacchi, riso soffiato al wasabi e miele al limone, in occasione di Gusto al Quadrato nel mese di luglio 2015 in Via Montenapoleone a Milano, dove il wasabi e il miele al limone hanno reso il piatto un’esperienza sensoriale. Il suo piatto Spaghetto freddo a km 4.925, assaggiato nella scorsa edizione di Identità Golose, è una golosa provocazione il cui nome riassume la distanza tra il ristorante e le aziende che gli forniscono le materie prime, dagli spaghetti di Gragnano ai pomodori di San Marzano, fino agli scampi di Porto Santo Spirito e alla colatura di alici di Cetara. Assaggiato al termine dello show cooking era molto buono ed equilibrato! Matteo è indubbiamente un grande talento, un giovane capace di innovare che ha sbaragliato nel 2014 prima i concorrenti sia a Chef Emergente Nord per poi vincere, quell’anno, il titolo di Chef Emergente Italia, concorsi creati da Witaly e Luigi Cremona.
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News
Caffè Milani festeggia 80 anni e celebra le donne
L’occasione è stata propizia anche per dare la parola ad alcuni importanti protagonisti della filiera del caffè. Ha parlato del caffè nelle terre d’origine Fabio Frontani, amministratore delegato di Bero Italia, società della multinazionale tedesca Neumann Kaffee Gruppe, distributore di caffè crudo, che ha raccontato il lavoro in piantagione e il ruolo della donna in fazenda attraverso esperienze personali. «Si tratta di un prodotto nobile – ha puntualizzato Frontani -. Il caffè verde, dopo il petrolio, è la materia prima più trattata al mondo». Per darne la portata, basti pensare che, nel mondo, sono 65 i Paesi coinvolti nella produzione di caffè e sono 25 milioni le famiglie che lavorano in questo comparto. D’altro canto, nel mondo, ogni giorno vengono consumate 3 miliardi di tazze di caffè. Un altro aspetto importante, riguarda l’Italia: la maggior parte del caffè prodotto viene infatti qui lavorato e dunque ri-esportato. A tal proposito Salvatore Casartelli, da 30 anni responsabile di produzione di Caffè Milani, che ha raccontato
Eleonora Filipponi, cantante lirica
Pierluigi Milani
I relatori
«Dietro una tazzina di caffè, c’è il lavoro di tante donne, sempre più consapevoli e sempre più indipendenti». Così Pierluigi Milani, Torrefazione di Lipomo, ha aperto la serata di chiusura dei festeggiamenti per gli ottant’anni di Caffè Milani, festeggiamenti che avevano preso il via il 7 giugno 2017 con l’inaugurazione del nuovo stabilimento e dell’Esposizione Caffè Milani. Il rispetto per il lavoro delle donne, per Pierluigi Milani è quasi un “pensiero fisso”, tanto che all’interno dell’esposizione vi è una sezione dedicata proprio all’importante ruolo che hanno le donne nella produzione di caffè di qualità, tanto che, per celebrare questo importante anniversario durante la serata sono state proposte alcune romanze dell’opera Carmen di Georges Bizet, rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1875. In particolare, la voce della giovane contralto Eleonora Filipponi ha intonato la celebre “Seguidilla” in cui Carmen esalta i piaceri della danza, del vino e dell’amore. È seguita l’aria più celebre dell’opera: Habanera”, in cui emerge la personalità sensuale e passionale della protagonista.
i delicati passaggi che avvengono in torrefazione. Si è soffermato soprattutto sulla tostatura che, se realizzata correttamente, permette al chicco di caffè di sviluppare ed esprimere al meglio i propri aromi in tazza. Renato Bossi, market development manager ha invece presentato le novità messe a punto da Milani nel 2017, a cominciare da Espresso System Milani, la soluzione studiata per ristoranti, gelaterie, pasticcerie, bar e hotel; un pacchetto completo destinato a locali con volumi non elevati di servizio. Il suo “cuore” è la miscela Espresso System Milani in grani o in capsula da 1 o 2 tazze, dal gusto bilanciato e aromatico, al quale si uniscono caffè in singola origine 100% arabica: Brasile Santos Cereya Madura, Etiopia Sidamo, Papua Estate Plantation, Guatemala Genuine Antigua. In pratica, un caffè per ogni gusto ed esigenza, compreso Cuoril, per chi preferisce un decaffeinato. Un altro aspetto molto importante su cui Caffè Milani ha posto grande attenzione nel 2017 è stato la volontà di diffondere la cultura e la conoscenza del mondo del caffè, alla quale hanno concorso la realizzazione dell’Esposizione Caffè Milani, uno spazio esperienziale dedicato all’educazione e diffusione del sapere sul caffè, che può essere visitata ogni primo e terzo venerdì del mese. A essa si uniscono il ricco calendario di corsi dell’Altascuola Coffee Training presso la Torrefazione di Lipomo. Un’iniziativa unica e molto interessante è stata la realizzazione di una “Degustazione storica”, un percorso nella storia del caffè dal 1900 a oggi suddiviso in quattro tappe, ognuna caratterizzata dall’utilizzo delle miscele e delle apparecchiature dell’epoca. Il progetto “Degustazione storica” proseguirà anche nell’anno in corso con un percorso itinerante.
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Carni inglesi, tagli inediti per l’agnello Se ci domandiamo quali siano i tagli “classici” della carne d’agnello, anche grandi estimatori e conoscitori di queste carni risponderebbero: cosciotto, costolette o carré. Ma questa è una risposta solo parziale: ce ne sono in realtà molti altri, soprattutto se pensiamo agli agnelli inglesi disponibili oggi sul mercato italiano. Questi animali vengono allevati con tecniche moderne -e nella maggioranza dei casi su pascoli liberi- proprio per offrire una carne di qualità più elevata e con carcasse di dimensioni maggiori, che offrono la possibilità di ottenere tagli diversificati. Un primo esempio è rappresentato dal “Chump”. Collocato nella zona posteriore dell’agnello, fra la lombata e la coscia, è uno dei tagli più gustosi e saporiti. La carne è soda ma molto tenera, succosa e saporita. La leggera copertura di grasso, inoltre, garantisce morbidezza alla carne, soprattutto se viene arrostita o grigliata. Il taglio si presenta disossato, comodo da utilizzare e offre un buon rapporto qualità-prezzo. Un’alternativa più costosa è il “Cuore di chump” che, come indica il nome, si riferisce alla parte centrale del taglio e risulta totalmente sgrassata. Da non sottovalutare infine l’aspetto estetico di questo taglio, cotto e servito intero, in modo da risultare scenografico alla presentazione. Il secondo è il Filetto del collo, che comprende la fascia di muscolo disossato che va dal carré alla testa, e fa parte quindi del cosiddetto quarto anteriore. Come tutti i tagli anteriori, è particolarmente saporito, succoso, tenero ma soprattutto versatile. Può essere lavorato e cucinato in molti modi: anche in cubetti di medie dimensioni per l’utilizzo negli spiedini. Anche questo taglio offre un ottimo rapporto qualità/prezzo e, per dimensioni e forma, è il preferito
dagli chef i quali, grazie a questo taglio, riescono ad esprimere al meglio la loro creatività. Infine, il terzo taglio è la Pancia arrotolata. Questo è forse uno dei tagli meno noti ed è invece il migliore per rapporto qualità/prezzo, oltre che per il suo gusto distintivo. Questo taglio, in molti ristoranti inglesi, proprio per il suo sapore, viene spesso assimilato a tagli più costosi. La pancia si presenta come un rettangolo, disossato, sgrassato e quindi arrotolato e legato. Come cucinarlo? Deve essere inizialmente rosolato ad alta temperatura per ottenere un bel colore brunito, e in seguito cotto per un tempo abbastanza lungo e a bassa temperatura.”
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CIOCCOLATO
L’intervista
Raffaele Alajmo.
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“Odio le mezze misure” di Maurizio Bertera
Un piccolo grande impero, quello della famiglia Alajmo, le cui Calandre hanno tre stelle Michelin. Parla Raffaele. Erminio Alajmo, l’uomo che ha iniziato la bellissima favola di una delle grandi famiglie della cucina italiana e non solo, dice sempre che per il successo “è stata fondamentale l’unione dei miei figli, che si completano perfettamente. Raffaele è un vulcano, l’animo imprenditoriale. Massimiliano è il creativo, con una grande immaginazione, capace di comporre i piatti già in testa”. Detto che c’è anche la sorella Laura – che si occupa di pasticceria e packaging nel gruppo – il ritratto di papà Erminio è sintetico, perfetto. E noi questa volta, abbiamo deciso di mettere in un box il sommo chef e regalare lo spazio maggiore al CEO di una società, in sviluppo, che rappresenta al meglio quell’imprenditoria tradizionale e moderna, sempre più protagonista nella ristorazione. Un’imprenditoria che nel caso degli Alajmo – lo dice sempre Erminio – “non deve mai dimenticare le proprie radici e seguire il motto di famiglia: ciò che diventa, era”. La parola a Raffaele, quindi. Quasi dieci anni il vostro giro di boa: per la prima volta, un fondo private equity quale Venice spa – controllata di Palladio Finanziaria - entrava nel mondo del fine dining. Svolta epocale, te ne eri reso conto in quel momento? Oggi la possiamo vedere così. Nel 2009, in sincerità, ci siamo “Puntiamo sul trovati a un bivio: restare quelli che eravamo con Le Calandre e massimo della Montecchia – quindi non certo qualità possibile, messi male, ma mancava un equilibrio nei conti – o crescere in in ogni struttura to per creare una società “pulita” e modo lucido. Abbiamo fatto una del gruppo”, dice moderna che potesse interessare classica riunione di famiglia, ho un finanziatore. Tutto questo ha proposto il mio progetto e siamo Raffaele cambiato rapidamente il nostro partiti, creando la Alajmo spa e approccio economico. In più, abiniziando la razionalizzazione. biamo portato sul piatto le offerte Spieghiamola in sintesi per il Quadri e l’Amo che nel secondo caso è stato Abbiamo preparato un piano di espansione, basato realizzato solo un anno e mezzo fa. Quando Venice su una nuova articolazione della società che sino a SpA è entrata, quindi ha trovato un buon lavoro a quel momento aveva insieme la parte di ristorazione monte, e ci ha chiesto semplicemente di rendie quella immobiliare. Ho fatto il giro delle banche contare la situazione del gruppo mese per mese. per rivedere i singoli rapporti. Ho in definitiva lavora-
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In alto a sinistra: scorcio della sala del ristorante Amo (Venezia); a destra la mise el place de Le Calandre (Sarmeola di Rubano, PD) e infine la sala del Ristorante Quadri (Venezia).
L’acquisto del Quadri è considerato il vostro capolavoro. Sei d’accordo? Mi dicevano “Ma siete matti a pensare di gestire un locale del genere in Piazza San Marco?”. E io rispondevo “Semmai siamo stati matti a farne due
L’intervista a Rubano”. Ma non è stato facile, a partire da una lunghissima trattativa sindacale, che ha salvato in gran parte il vecchio staff. Ma ora siamo soddisfatti: quando era in mano a Ligabue arrivava a fatica a due milioni di euro come fatturato, ora siamo a cinque. E dopo il restyling curato da Philippe Starck puntiamo a migliorare. Molti dicono sia complicato avere rapporti con un fondo. Non lo so. Per quanto ci riguarda, la Palladio Finanziaria è gestita da due amici come Roberto Meneguzzo che l’ha fondata e Giorgio Drago che la guida: siamo probabilmente il più piccolo investimento della loro attività. E fermo restando che Meneguzzo dice sempre ‘100 euro o un milione di euro sono comunque da rispettare’, non è certo la famiglia Alajmo a creare eventuali mal di testa. A loro sono molto grato perché ci hanno dato il ‘la’ per la vera scalata. A parte il fondo, non avete soci salvo che un francese in Caffè Stern, a Parigi Dove tra l’altro lo avevamo coinvolto al 25% per avere facilitazioni operative ma vedendo come è andata, era meglio non averlo…A parte questo, noi siamo per la gestione e non per le consulenze che oggi vanno per la maggiore: certo, ne puoi fare quante ne vuoi e non hai rischi. Ma teniamo al nostro DNA e cercheremo di svilupparlo ulteriormente, anche e soprattutto in Italia. Per ora non siete presenti all’interno di hotel. Un caso? No, per esempio eravamo stati contattati da Bulgari ma abbiamo ritenuto bassa l’offerta economica. La mia sensazione è che i manager delle catene siano troppo attenti ai conti della ristorazione interna a svantaggio della qualità, che sebbene migliorata, non è ancora ai livelli corretti. Certo, è un momento
Massimiliano: “Executive chef per dieci insegne” Sul genio e sul talento di Max Alajmo non ci pare il caso di perdere tempo, ci limitiamo a ricordare un aspetto: è stato il cuoco più giovane al mondo – 28 anni all’epoca – a ricevere le Tre Stelle Michelin, mai più perse dal 2003 a oggi. Ci interessa di più capire come l’executive chef di dieci insegne, comunque diverse tra loro al di là del brand comune, riesca a trovare la quadra. “Personalmente è più stimolante che complicato – spiega – mi consente di non essere concentrato su un solo obiettivo. Per me è rilassante lavorare una volta su un lievitato per il Quadri, un’altra su un piatto destinato ai bistrot e un’altra ancora su un evento esterno. E c’è totale contaminazione tra cucina e pasticceria, i processi sono gli stessi e i ragionamenti viaggiano simmetrici”. Detto che la creatività nasce a Le Calandre – dove viene messa a punto ogni ricetta e ogni preparazione – si cerca di far corrispondere dappertutto lo stesso pensiero gastronomico, declinandolo per ciascun locale in un continuo confronto con i direttori e gli chef. “Un menu è l’affiancamento di più pietanze che devono raccontare una storia, ogni nuova carta nasce dall’analisi di quella precedente e ascolto sempre i suggerimenti di un nostro chef, fermo restando che i locali devono avere una coerenza e una timbricità che non varia da Parigi a Sarmeola di Rubano”. Per far funzionare una macchina del genere, ci vuole la gente ‘giusta’, elemento che gli Alajmo tengono in grande considerazione. “Molti collaboratori lavorano con noi da tempo, sono una ricchezza perchè parlano la nostra stessa lingua – chiude Max – in più, siamo arrivati alla sesta edizione del Master della Cucina Italiana a Creazzo, dove gli allievi sono seguiti da oltre 40 docenti: alcuni sono entrati nelle nostre cucine, altri hanno aperto le loro. L’importante è che il nostro lavoro in profondità trovi riscontro in chi si avvicina al nostro mestiere, ben più difficile di quanto si pensi”.
dove la richiesta di locali di cucina italiana è dieci volte più alta all’estero che in patria. Per voi, la qualità è un brand insostituibile. Esatto. Per noi, un piatto va realizzato con la stessa attenzione di un toast o di un cioccolatino. L’extravergine utilizzato a Le Calandre si trova in tutti gli altri locali e si punta sempre al massimo, senza sprecare ma anche senza il risparmio fine a se stesso. Al Caffè Quadri – anche sui tavoli all’aperto – si usano i bicchieri fatti a mano che vedi al ristorante. Dico spesso che sono il primo cliente dei miei posti, valuto tutto dal momento della prenotazione al conto, e son molto esigente. Quanti sono i manager di Alajmo spa? Una ventina: principalmente
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sono cresciuti all’interno, ma sono entrati con un filtro molto preciso. Li facciamo girare nelle varie unità del gruppo, tenendo ben presente la loro attitudine e senza che diventino delle trottole. La selezione e gestione dei manager è la parte più difficile? Ditemi cosa c’è di facile nel nostro lavoro… In definitiva, curare un gruppo come il vostro cosa significa? Che il sole non tramonta mai, bisogna seguirlo sette giorni su sette per 365 giorni all’anno: il concetto di staccare non esiste. Ma al tempo stesso, lo trovo entusiasmante e la tecnologia dà una grossa mano nella gestione. Venti anni fa sarebbe stato impossibile. In un’intervista, hai affermato che nella ristorazione italiana non c’è più posto per le ‘mezze misure’. Chiariamo il concetto? E’ un settore molto complicato quindi lo puoi affrontare solo con un’azienda leggera con pochi dipendenti oppure con una struttura importante, sia chiaro con una visione globale e non come somma di più locali. Non penso che si riesca a fare business
Nella pagina a fianco: Raffaele e Massimiliano Alajmo (a destra); in questa pagina: a sinistra, la sala del Ristorante La Montecchia (Selvazzano Dentro, PD); sopra, l’interno del Caffè Stern (Parigi); a destra, l’angolo caffetteria dell’Amo.
I numeri del Gruppo Lo scorso anno, la Alajmo spa ha fatturato circa 15 milioni di euro. Un signor risultato che ha una caratteristica: il 43% è stato realizzato dai ristoranti veri e propri, il 50% dai caffè e dagli altri locali e il 7% dagli eventi. Un colosso da 205 dipendenti, compresi quelli dell’unico posto all’estero, il Caffè Stern. Della prima linea fanno parte Le Calandre a Sarmeola di Rubano (Tre Stelle Michelin dal 2003 e 29° nella The Best Restaurant’s), La Montecchia a Selvazzano Dentro (Stella Michelin), il Ristorante Quadri a Venezia (Stella Michelin) e il già citato Caffè Stern a Parigi. La seconda linea è quella del Gran Caffè Quadri, dei bistrot ABC (uno a Montecchia e l’altro a completare l’offerta del Quadri), del suggestivo Amo (nel Fondaco dei Tedeschi, a Venezia), del Calandrino e di In.gredienti, il negozio di prelibatezze e oggetti cult, sempre a Sarmeola di Rubano. Un piccolo impero che tra poco conterà su un quartier generale, a 500 metri da Le Calandre: MammaRita in onore di Rita Chimetto – madre di Massimiliano, Raffaele e Laura . che conquistò la Stella Michelin a Le Calandre. Sono 1800 mq di superficie su due livelli: uno destinato alla parte gestionale e di formazione, l’altro al grande laboratorio per la produzione comune a tutti i locali, in particolare i lievitati che sono una delle passioni di Max. “Non escludiamo che sia il punto di partenza per essere presenti nell’hotellerie con una linea di prodotti ad hoc – spiega Raf – realizziamo già qualcosa per i mini-bar ma sicuramente è un settore in grande espansione. Ora abbiamo la possibilità e lo spazio per lavorarci”. Da sottolineare che il business non fa mai dimenticare agli Alajmo la responsabilità sociale: dal 2004, il Gusto per la Ricerca – che organizza esperienze di alto profilo dove il ricavato al 100% va a Enti impegnati in iniziative meritevoli – ha raccolto oltre 1 milione e 800mila euro.
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con la via di mezzo. Lavorare in famiglia è sempre un vantaggio? Per noi è un elemento fondamentale, Ma a volte, se si è in tanti, capisco che possano nascere problemi e diventi più facile gestire dei collaboratori. Nel mio caso, c’è la consapevolezza che sono responsabile delle scelte per tante famiglie, a partire dalle nostre e poi quelle dei collaboratori. Raffaele, durante l’intervista, hai controllato più volte la posta sul tablet e rinviato varie telefonate. Non ti annoi mai, sicuramente Quando inizi a percorrere una strada come la mia, cambia tutto anche a livello personale e devi trovare l’equilibrio. Se sei legato a una vita più tranquilla, ha senso fare una scelta diversa – penso alla gestione di un solo ristorante al top - che può regalarti grandi soddisfazioni, senza troppi problemi. Ma io sono felice così e poi è sempre stato un mio pallino… Cosa? Quando frequentavo da giovane le grandi associazioni della ristorazione, vedevo cuochi famosi che non avevano figli al seguito e si sono ritrovati locali ‘vecchi’ e invendibili come chef primedonne che non davano spazio ai figli con il risultato che loro se ne sono andati di casa o hanno scelto un lavoro diverso. Ecco, io ho sempre pensato di fare una cosa tutta mia, partendo senza quattrini, che alla fine piacesse a tutti e da vivere ogni giorno. Senza dimenticare che quando crei un sistema valido e certificato, hai la possibilità di venderlo bene. •
Luoghi comuni
Grandi Chef, amati o odiati Se l’icona diventa bersaglio di Maurizio Bertera
Cuochi superstar, certo, ma anche oggetto di diffidenza e scherno da parte di molti. Perché? Ma i cuochi (pardon, gli chef) hanno rotto? A quanto pare sembra proprio di sì: non a tutti, ma a un discreto strato di popolazione. Evidentemente fa parte di quel ‘rancore sociale’, così ben descritto dall’ultimo rapporto ISTAT. Passi che il pubblico di Masterchef si sia nettamente diviso tra chi ama la neofita Klugmann e chi la odia, ma come la mettiamo con il veleno sparso intorno a una multa – più burocratica che tecnica, chi s’intende di ristoranti l’ha capito subito – al mito del momento, Antonino Cannavacciuolo? Persino, un noto gior“Il successo nalista de ‘La Repubbliraggiunto da molti ca’ – Maurizio Crosetti - si è scagliato con un chef spesso è visto tweet contro la categoria: con sospetto e «Chef stellati, presenzialisti, osannati, mediatici, invidia da parte della logorroici e marchettari. società” Avete rotto i coglioni. Più Nas per tutti». Mah. Siamo in pieno riflusso, lo chef piace sempre meno e i più intelligenti se ne stanno accorgendo. Hanno le loro colpe sia chiaro: non pochi, sentendosi geni, hanno perso il filo del buonsenso in cucina pensando più ai tatuaggi che ai sapori. Altri si sono sentiti il dovere di alzare i conti in modo eccessivo (però li ha puniti più il mercato delle critiche vacue, credeteci) e altri ancora hanno azzardato troppo senza averne le capacità. Anche per questo sono diventati bersaglio dei comici: ‘colti’ come Antonio Albanese (vedi l’ultimo libro, passabile– Lenticchie alla Julienne – il cui protagonista è il creativo Alain Tonné) e nazional-popolari come Massimo Terzo da sinistra: Philippe Leveillé Boldi in Natale con lo chef, cine-panettone passato
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Herbert Hintner
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Valentino Marcattilii
inosservato dove la cucina è diventata macchietta totale tra pasticciere ‘gnocche’ che escono dalle torte, cuochi idioti e ricette e improbabili. Poco male, certo fa più ridere la parodia che il bravissimo Maurizio Crozza creò richiamandosi a Simone Salvini e la cucina naturale. In verità, fa molto più pensare il veleno sparso sui social – anche legati al cibo – verso Carlo Cracco: presuntuoso, mai in cucina, carissimo e via così di sciocchezze. E’ il Bel Paese, bellezza, ossia il posto dove ‘si perdona tutto salvo il successo’ come diceva Enzo Ferrari. E se i clienti (dei ristoranti) non avessero sempre ragione? O ancora meglio, non è che spesso hanno torto? Ci siamo imposti un dogma, credibile e creduto in tutto il mondo: l’Italia è il Paese dove si mangia meglio. Vero, ma solo per la fascia media e medio-bassa, particolarmente al Sud, in provincia e tra le mura di casa. Sull’alta cucina, abbiamo una concorrenza di livello assoluto nei Paesi ricchi e sullo street food ci sono nazioni povere o emergenti che reggono il confronto o ci superano: basta pensare al Sud-Est asiatico o al Centro America. Diverso è chiedersi se gli italiani sappiano mangiare. Su questo si può discutere a lungo, senza trovare una risposta precisa. Diciamo che mediamente so-
Davide Oldani
no più attenti (e fortunati) di buona parte degli europei a cui mancano tradizioni regionali, mamme e zie che spignattano con passione, prodotti incredibili sotto casa. Ma su una cosa, non ammettiamo dubbi: gli italiani non sanno mangiare al ristoran-
è pure inferiore. I media non hanno colpe? Una sola, per noi: aver cercato di democratizzare qualcosa che non può, non deve per certi versi essere di tutti. Per ragioni di censo innanzitutto, ma anche di vera impossibilità (attuale, magari tra dieci anni cambierà tutto) nel comprendere realmente il cibo, sentendosi maestri in epoca recente. E lamentandosi dei prezzi anche se ovviamente, basta aprire un sito per leggerli nel menu o almeno intuire il biglietto di entrata. Eppure tre quarti della popolazione sostiene che l’Alta Cucina è troppo cara e complicata. Basta evitarla, no? E sarebbe il caso di lasciare in pace chi prova ancora a fare creatività (sono sempre meno, tra l’altro) e non svolge il compitino di rivisitare la tradizione,
Enrico Derflingher
te. E in questo sono sicuramente peggiorati rispetto al tempo in cui il divin Cracco era conosciuto da quattro gatti e la «cucina televisiva» si vedeva solo su RaiSat Gambero Rosso (fatta bene, tra l’altro). I giudizi su Cracco sono sintomatici di un vero e proprio attacco all’Alta Cucina o meglio alla Cucina d’Autore visto che in Italia è mancata la Cucina Borghese, per la predominanza totale di quella Regionale/Tradizionale. La verità che se venti anni fa era l’uno per cento a potersi permettere e apprezzare i migliori ristoranti, oggi è ancora l’uno per cento ma con una profonda differenza: di cucina discetta un Paese, prima mangiava e basta. Il boom televisivo – più delle guide, che non a caso sono sempre di più patrimonio da gourmet – ha dato dignità ai cuochi, li ha resi popolari (ricchi in qualche caso) e persino sex symbol, li ha portati sul palco di Sanremo e nei salotti importanti. Li ha trasformati talvolta in maitre-à-penser nonostante una cultura di base spesso più scarsa di altri professionisti, vedi designer o stilisti. Va benissimo, per carità, ma il vero dramma è che la ‘gente’ ha pensato che i nuovi idoli fossero come l’oste sottocasa, i loro piatti comprensibili quanto la zuppa di nonna, i conti finali accettabili. Un’utopia dovuta proprio alla mancata conoscenza del tema: Marchesi, Vissani, Pierangelini guidavano posti costosissimi per l’epoca e – tanto per ribadire che il popolo è ‘nescio’ – un Tre Stelle francese, inglese, americano richiede un conto doppio se non triplo per un’esperienza simile a quelle vissute al Pescatore o alla Pergola. E spesso, il godimento
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Massimiliano Alajmo e la sua brigata
non di rado cambiando due ‘cosine’ in modo astuto per poi fermarsi lì. Se poi la presunta arte porta a schifezze, bisogna intervenire. Anche duramente. Ma non confondiamo le carte: conta sempre e comunque il piatto, al di là dell’interprete e di come sia stato preparato. Ergo, basta con l’esaltare il riflusso e chiedere all’avanguardia di adattarsi ai tempi: ognuno resti al suo posto, cercando di fare del proprio meglio e sfruttando i rari incroci tra pianeti lontani. E ciascuno scelga il locale adatto alla sua cultura, alle sue passioni e alle sue tasche. Il mitico Jimmy Choo ha creato collezioni di calzature anche per H&M ma erano un’altra cosa, ovviamente, rispetto alle sue ‘custom’. E comunque, per portare bene i tacchi alti, bisogna esserne capaci sia indossando modelli da 50 euro sia quelli da 1.000 euro. Proprio come quando ci si siede ai ristoranti. •
L’opinione
Dal tramezzino al panino-condominio? di Mauro Remondino
Dire di aver provato la cucina dello chef spesso equivale ad averne assaggiato un piattofotocopia. In principio era un tramezzino. Consumato in fretta nella pausa pranzo rubando tempo al lavoro, ma anche a se stessi. Il panino deglutito senza dimenticare l’impegno dell’ufficio costretti a un’alimentazione forzata. Poi superato e sostituito dal finger food, letteralmente “cibo da dita”, una ingannevole soluzione per arredare la pausa pranzo e la pre-cena, se non addirittura cena vera e propria. Comunque un modo che si antepone all’incontro con il sapore, alla qualità, considerati scelta e bassi costi, contrabbandato alla mancanza di una fisiologica e sana digestione e relativo riposo “post prandium”. Segno dei tempi, una pesante alternativa alla cultura della tavola. Anteposto ai piatti ricamati dagli chef. Piattini degni di un gourmand, soltanto in pochi e certificati casi, spesso il surrogato di una cucina veloce dove la qualità passa in secondo piano. L’interminabile e logorroico periodo del sushi preparato all’italiana, mai come la regola orientale richiederebbe. Questo ha generato confusione superando le ragioni alimentaLe “seconde linee” ri originarie. Scalzando anche quella sostanziale esigenza che azienda così da permettere un semplificate spesso è rappresentata da un momento recupero dell’efficienza lavorasono un surrogato di sosta dopo aver pranzato. Antiva. Con l’aperitivo serale si è nullando così il “riposino” come tentato invece di bypassare la di ricette molto buona norma oppure, in altercena classica, e hanno fatto la diverse… nativa, una lenta e breve camloro comparsa birra, draftbeers minata. Cosa che nelle culture e pizza. Un modo contrastato, occidentali non si pratica più da ma comodo, per arginare la anni, salvo rarissimi e fortunapreparazione di un vero menu, ti casi, per fretta e necessità di guadagnando tempo e arrivanrientrare in ufficio. Anche se oggi la tendenza nei do a teatro, cinema o stadio senza affanno. Così paesi asiatici da parte di numerose multinazional’happy hour, che ha generato una quantità di attività li, capita l’importanza della digestione per i propri commerciali improprie e facitori di presunti piattini dipendenti, è quella di fornire un angolo dedicato in di qualità, ha illuso una moltitudine d’improvvisati
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gourmet convinti di aver assaporato i piaceri della tavola. Nulla di più errato. Anche se poi pur di alzare i valori gustativi e un sistema in crisi si sono generati momenti più robusti e la comparsa, come detto, del club sandwich, il panino-condominio, a strati, infarcito di uova e salmone nella migliore delle ipotesi. Un ritorno al passato, che ancora una volta chiama in scena il panino, migliorato, veloce da sbrigare, ma sempre presentato in un contesto combattivo rispetto alla cultura della tavola e del sapore. Frequentato da una moltitudine di veloci mangiatori ignari o convinti di mettere in crisi le logiche della tavola stellata e di tanti chef gettonati costretti a trovare alternative ai piatti firmati. •
L’opinione
Simbiosi cucina-sala.
E la ristorazione diventa eccellente di Stefano Bonini
I ristoranti hanno bisogno di camerieri empatici, capaci di accogliere, intrattenere, suggerire. E distribuire cordialità. Tutti concordi, almeno a parole, con il compianto maestro Gualtiero Marchesi, che qualche anno fa ebbe arditamente a dire: “In un ristorante la cucina conta per il 60% e la sala per il 40”. Percentuale statistica a parte (per Bottura il 60 diventa infatti 52), è indubbio che la performance di un ristorante sia indelebilmente marcata dai camerieri che sono a diretto contatto con il cliente. Ma analizzando la situazione della ristorazione italiana, soprattutto quella più commerciale, ci ritroviamo nel mezzo di una “tragedia” nazionale con professionalità, stile e cordialità completamente delegati al talento e alla vocazione personale del singolo cameriere, senza un’adeguata formazione e la giusta valorizzazione di un mestiere da anni offuscato da quello più pubblicizzato e remunerato di cuoco. La professionalità richiesta ai cuochi, l’importanza e la strategicità riconosciute loro, “In un ristorante i ristoratori devono però pretendla cucina conta erla anche dal personale di sala. Che in più deve possedere per il 60 per cento anche una dote speciale: l’emgastronomica e il cibo preparae la sala per il 40”. patia, quella strana e meravito dallo chef. gliosa capacità che, secondo Il cameriere è la cinghia di trasGualtiero Marchesi Theodore Lipps, consente alle missione tra cucina e cliente. E’ persone di capire e interpretare lui ad esibirsi sulla scena del stati d’animo, bisogni e aspettateatro-ristorante per valorizzative dell’ospite. re il lavoro dei cuochi dietro le Ogni ristorante, stellato o trattoria che sia, ha biquinte, e consentire ai clienti di godere di uno spetsogno di camerieri empatici, capaci di accogliere, tacolo gastronomico (il pasto) non soltanto buono, intrattenere, suggerire cibi e pietanze, prendere coma anche bello, armonico e piacevole … tanto sodmande corrette e distribuire cordialità. Uscire da un disfacente da farli tornare. ristorante soddisfatti e sorridenti è il risultato della Perché se quello che richiama i clienti è la cucina, è giusta sinergia tra sala e cucina, dell’incontro ideil servizio di sala e i camerieri che li fanno tornare. ale con un cameriere preparato, cortese e comSedersi a tavola oggi in un ristorante del resto ha petente che rende ancor più godibile l’esperienza più a che fare con le relazioni che con la fame.
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Purtroppo però la dualità sala-cucina che riempie le cronache della ristorazione non aiuta, neanche i differenti livelli di retribuzione contribuiscono. Il fatto che i cuochi siano costantemente sul piedistallo mediatico rappresenta un “ostacolo” al necessario proselitismo di cui la professione del cameriere avrebbe bisogno. Senza contare il retaggio derivante dall’impostazione delle scuole alberghiere, con quelle distinzioni che dovrebbero fondersi e portare non solo i camerieri a sapere cosa succede in cucina, ma soprattutto i sempre più numerosi cuochi ad avere le nozioni di base del servizio di sala per poter avere la visione complessiva di un ristorante. È fondamentale se mettiamo al centro il risultato finale: l’appagamento del cliente.•
Format food
Emirates Qualità in volo di Maurizio Bertera
La cucina della compagnia aerea si concentra su piatti semplici e ingredienti freschi. Notevole la carta vini. Non solo le parole ma anche i numeri sono importanti. Nel caso del più grande ristorante in volo al mondo – quello di Emirates Airline – confermano il kolossal culinario che va in onda per 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno sugli aeromobili della compagnia: 100 milioni di pasti all’anno (in First, Business ed Economy) per 55 milioni di passeggeri, 1.200 cuochi con base a Dubai, che propongono 12.450 ricette. Un miliardo di dollari investiti nel 2016 sulla cucina. Sui 590 voli al giorno vengono servite ricette di cucine locali che danno ai clienti un assaggio della destinazioni verso le quale sono diretti. La compagnia aerea lavora inoltre a stretto contatto con 25 partner di catering in tutto il mondo per fornire la stessa qualità di cibo e rendere disponibile le tipicità di ogni regione verso cui si vola. Esempio classico: i voli per il Giappone offrono cucina Kaiseki in bento box, servita con stoviglie giapponesi, posate e set da tè per garantire un’esperienza ai massimi livelli. In generale, la cucina di Emirates si concentra su piatti semplici e leggeri che esaltano ingredienti freschi e di altissima qualità: non a Selezione dei caso, la compagnia cerca i migliori prodotti attraverso partnership Rosé e il Graham’s Colheita migliori prodotti a lungo termine in tutto il mondo, Port 1963. Questo perché in tutto il mondo. sostenendo così fornitori e artigiauna strategia a lungo terni locali. Un caso emblematico è mine ha incluso l’acquisto Sostenendo così i rappresentato dall’extravergine di di circa 3,8 milioni di botfornitori locali. oliva che da 15 anni arriva daltiglie conservate nella canla produzione sostenibile di Montina Emirates in Borgogna, te Vibiano. Come per tutti i ristoin gran parte destinate ad ranti ‘seri’, Emirates presta particolare attenzione essere servite nel prossimo decennio. Quanto alle alle carte dei vini, che vantano etichette di livello due bevande più diffuse, la compagnia serve il tè assoluto che su ogni itinerario sono accuratamenDilmah in tutte le sue classi da 25 anni: più di 9,6 te selezionate. Basta pensare che sono disponibimilioni di bustine vengono utilizzate ogni anno con li solo sulle rotte Emirates il Dom Pérignon 2005 un’offerta di dieci miscele, tra cui quella esclusiva
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creata per la First Class denominata Emirates Signature Tea. Quanto al caffè, Illy e Nespresso regnano nelle classi Premium. L’attenzione al passeggero si vede anche nella creazione di menu per bambini, per esigenze mediche e scelte religiose sino ad arrivare a speciali box per quanti digiunano durante il Ramadan. Abbiamo aperto con dei numeri e lo facciamo anche in chiusura, ricordando il consumo di alcuni prodotti a bordo nel 2016: tre milioni di uova, 58 milioni di panini, 70 tonnellate di fragole, 110 di hummus, 27 di broccoli freschi e 165 di filetto di salmone. E non ci sono dubbi che a fine anno, i record saranno battuti. •
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Vino, new concept, tecniche, ristorazione in albergo e surgelati. Un entusiasmante dibattito
Chiudiamo il nostro reportage con le ultime importantissime testimonianze che hanno fatto di Follow Artù un evento da replicare. L’appuntamento è a Novembre 2018, sempre a Milano.
Al ristorante o in albergo?
Ezio Indiani
General Manager Principe di Savoia, Milano
“Lo chef deve essere parte attiva della realizzazione della cucina”
In passato chi progettava un hotel e ne definiva le strategie di marketing, prima di tutto pensava a realizzare le cucine e, in un secondo momento, si diceva: “Ora andiamo alla ricerca di uno chef all’altezza delle nostre aspettative, che gestirà la cucina, farà il suo menu e così via”. Oggi non è più così: molti executive chef, soprattutto quelli bravi, non accettano assolutamente di andare a “dirigere” una cucina pensata, fatta e concepita da altri, soprattutto se poi è una cucina realizzata senza l’occhio clinico di uno chef, per il quale l’attenzione ai dettagli (tecniche di conservazione e cottura, tipologie evolute di attrezzatura, spazi e logistica ecc) è diventata parte integrante della propria mission professionale . Al giorno d’oggi lo chef è e deve essere parte attiva della realizzazione della cucina, sin dal primo momento della sua progettazione. In tal senso, è fondamentale il suo coinvolgimento totale nella definizione delle linee di ristorazione, collegate alla scelta dell’equipment più funzionale per raggiungere gli obiettivi prefissati.
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Vito Mollica
Andrea Aprea Chef, VUN - Park Hyatt, Milano
Chef, Four Seasons, Milano, Firenze
“Apportare qualcosa che sia ricercato e identitario, è lì la chiave”
“Bisogna essere bravi a far sì che l’hotel porti profitti”
C’è stato un cambiamento, si è passati da un periodo dove c’era proprio un buco, una voragine, a un periodo in cui c’è offerta. Negli ultimi dieci anni pian piano si è colmato il gap, grazie al lavoro di alcuni chef, come il sottoscritto. Nel mio background ho fatto diversi ristoranti in hotel: apportare qualcosa che sia ricercato e identitario, è lì la chiave. Oggi la gente vuole il contatto umano, vuole sentire da dove arriva la tua mozzarella e vuole sapere come la si lavora, il perché, il per come e il per quanto. Quando riesci a comunicare determinate cose, la gente si sente sicura, perché è aumentato il know how generale in materia di ristorazione. Ma le cose vanno anche comunicate in un certo modo: la linea tra sostanza ed estetica è sottile. Ed è un po’ il concetto di fondo della nostra ristorazione, quello che facciamo quotidianamente.
I colleghi devono muoversi sapendo che all’interno dell’hotel c’è un ristorante indipendente; ciò non toglie che lo chef deve anche impegnarsi a fare un buon club sandwich e se non lo fa lui deve essere bravo a trasmetterlo a chi utilizza il tagliere e il coltello. Questa è un po’ la situazione che si crea all’interno di una struttura: bisogna essere bravi a costruire un ristorante all’interno dell’hotel, ma bisogna essere altrettanto bravi a far sì che l’hotel porti profitti. L’hotel è anche un vantaggio, una grande opportunità per chi ci lavora e lo chef ha il dovere e il diritto di concretizzare questo vantaggio per chi lavora con lui.
I portieri d’albergo gestiscono la vita del cliente; mediamente il cliente d’albergo non vuole mangiare in albergo. Nella mia vita precedente, nei miei primi 20 anni, alcuni direttori insistevano affinché il portiere obbligasse il cliente a mangiare in albergo, c’era questa esigenza di far conciliare il rapporto economico tra le lenzuola e i tovaglioli. La cosa peggiore, io dicevo, perché obbligare un cliente poi ti porta un ritorno non adeguato a quello che potrebbe portare, invece, la capacità di interpretare le esigenze del singolo ospite. Tenendo sempre ben presente quelle che sono le esigenze di un’azienda, ma concentrandosi di più sull’ospite, perché se si manca questo scopo si obbliga a fare un percorso diverso da quello desiderato. Le esigenze della ristorazione di albergo sono ben differenti da quelle di un ristorante d’élite che vive di sua propria luce propria, con il vantaggio, però, che può attingere a un bacino rappresentato dalle camere della struttura alberghiera.
Giorgio Chiesa Imprenditore dell’ospitalità, Le chiavi d’oro, Cuneo
“Bisogna concentrarsi di più sull’ospite” 25
Charlotte Droulers
Restaurant Network Manager, Les Collectioneurs, Parigi
“Occorre attirare la clientela esterna” Grandi attori del turismo in Francia sono l’albergatore e lo chef, per creare un rapporto di collaborazione e ospitare al meglio i turisti, i quali vengono in Francia per la gastronomia e per scoprire il nostro patrimonio. Lo stesso vale per l’Italia. Per fare della ristorazione il fondamento della catena, Alain Ducasse ha prima fatto entrare ristoranti puri; lo ha fatto per completare la nostra offerta di alberghi, che già esisteva. Secondariamente ha imposto una politica di qualità abbastanza stretta dove prima non c’era nessun selezione. Una cosa molto importante per noi è che gli alberghi devono essere anche in grado di attirare la clientela esterna. Tutti gli alberghi e i ristoranti devono far vivere all’ospite una vera esperienza dell’accoglienza della Collection.
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Enrico Derflingher Chef, Casta Diva, Blevio, Presidente Eurotoques International
“La Francia è di sicuro un esempio” La ristorazione è molto cambiata negli ultimi vent’anni, dentro i grandi alberghi la tipologia di ristoranti che abbiamo portato ha un successo al di là di ogni aspettativa. Se ricordo bene, si parlava di ottantamila coperti all’anno. Sempre pieni, senza un posto. La ristorazione è cambiata in modo radicale ed è fondamentale capire come questo sia avvenuto. Come ricorderete, si identificava un grande albergo con una città, come accadeva con il Cipriani di Venezia. Ora la situazione è completamente mutata, basti pensare a Milano. Quello che noi facciamo in giro per il mondo con Euro-Toques, è cercare di tramandare, di far crescere tanti giovani. La Francia è di sicuro un esempio.
Andrea Camesasca
General Manager, Corazziere, Merone
“Lavorare in un ristorante è sacrificio, anche in albergo” Purtroppo siamo uno dei pochi paesi dove un patrimonio importantissimo quale la ristorazione, non solo d’alta gamma, ma anche la ristorazione fatta dalla “Signora Maria”, non è tutelata. Chi ha la proprietà di una struttura, in questi anni ha visto l’aumentare delle spese. Un grande patrimonio che vedo svilire al di fuori delle eccellenze di cui abbiamo discusso. Esiste un paese di gestioni familiari e se guardiamo la televisione ci dicono tante belle cose, ma lavorare in un ristorante è sacrificio, altresì in albergo. Quindi quello che mi piacerebbe capire è quali sono le istanze che dobbiamo presentare, affinché possa gemmare qualche cosa da questo Convegno. Io vedo una Milano che sta crescendo, una Milano raffinata nella cucina. Purtroppo non vedo più una Milano dell’osteria milanese della “Sciura Maria”, perché non sta in piedi. Allora diciamocelo: la ristorazione classica non sta in piedi. Il bollino dell’impresa storica non basta, bisogna riconoscere i sacrifici, non vessarli.
Ovidio Mugnai
Presidente Unione Buon Ricordo, Albergatore
“Fuori dalle grandi città, creare cucine del territorio” La ristorazione in albergo è una cosa po’ diversa in Italia, sono circa ventunomila le aziende alberghiere tre, quattro o cinque stelle, delle quali il settanta per cento al di fuori delle grandi città. In questi casi, quando non si ha forza finanziaria di una grande catena, quello che secondo me si dovrebbe fare, non solo per il miglioramento, ma per la loro sopravvivenza, è creare cucine del territorio. Il territorio è richiesto dal cliente: non dimentichiamoci che il sessanta-settanta per cento dei clienti viene in Italia per mangiare il cibo italiano. Questa cucina dev’essere supportata da una produzione locale vera. Ed è qui che iniziano i problemi.
Graziano Duca Chef, GH Bristol, Rapallo
“Il food cost è importante anche per un ristorante d’albergo” Dove lavoro io il cliente comincia a essere più esigente, noi quest’anno non possiamo che essere soddisfatti. Abbiamo fatto dei numeri, il ristorante da maggio sino a metà settembre è stato sempre pieno. Con una clientela che arriva al trenta-cinquanta per cento dall’estero, quello ligure è un contesto difficile. Il turista fa fatica ancora ad entrare nell’albergo per andare al ristorante. Noi abbiamo la fortuna di avere un ristorante fantastico, Le Cupole, che è proprio all’ultimo piano dell’albergo. Davanti a noi c’è tutto il golfo del Tigullio, Portofino e io ricordo con piacere cosa mi disse un cliente una delle prime settimane: “lei deve riuscire a mettere nel piatto la stessa emozione che io sto provando guardando questo panorama”. Questo episodio mi è rimasto dentro e io ho cercato in questi tre anni di riuscire a mettere nel piatto la stessa emozione, la stessa bellezza che circonda il ristorante. Ho la fortuna di essere seguito da una proprietà che ci tiene e da una direzione che mi supporta e che mi dà carta bianca. Al ristorante le Cupole cerco di fare una cucina molto territoriale, anche usando dei pesci magari non famosi o comunque non conosciuti. Vado al mercato tutti i giorni e riesco anche a stare in un budget, perché il food cost è importante anche per un ristorante d’albergo.
Gianluca Fabiani Imprenditore, Castello di Velona, Montalcino
“La nostra fortuna è avere una clientela internazionale” È difficile dire come fare ospitalità di lusso, ma si può dire che cosa facciamo noi per interpretare l’ospitalità di lusso. Con Castello Di Velona mi sono dato come obiettivo l’eccellenza dell’ospitalità di lusso. Ho scelto la Toscana, in quanto già destinazione riconosciuta a livello mondiale, ma nonostante ciò mi sono posto l’obiettivo di trovare l’eccellenza nell’unicità. La nostra fortuna è di avere una clientela internazionale, il bello di studiare questa clientela è il fatto di capire e percepire quelli che sono i loro bisogni. Nei vari interventi ho colto con piacere che non si debba ovviamente costringere l’ospite a soggiornare da noi, oppure offrirgli una sola formula degustativa. Noi ne offriamo tre, frutto dei valori che abbiamo appena citato.
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I new concept della ristorazione Stefano Cerveni
Chef, Due Colombe, Cortefranca, Triennale Milano
“Mi sono posto il miglioramento quotidiano” Mia nonna gestiva con grande energia questo posto di ristoro, dove i mercanti di bestiame venivano addirittura a portare le bestie nel cortile, in attesa del mercato del lunedì. Io, essendo “nato in cucina”, ho subito assorbito la passione - maledetta o benedetta che sia – e quindi ho proseguito con la scuola alberghiera. Ho cercato di portare avanti questa tradizione e nel 2000 ho deciso di cambiare per la prima volta, trasformando la Due Colombe in un ristorante che voleva raggiungere qualche risultato. Non mi sono mai posto grandi obiettivi, ma semplicemente un miglioramento quotidiano. Poi, con il tempo, dopo un po’ di problemi, un po’ di errori, è arrivata anche questa grande opportunità a Milano. Opportunità da cui è nato un vero e proprio gruppo, con l’acquisizione di un altro ristorante, di un bar e una pasticceria.
Giancarlo Perbellini Chef, Casa Perbellini, Verona
“Dalla pizzeria allo stellato: un prezzo per ogni fascia di clientela” Il gruppo Perbellini è un gruppo virtuale, nel senso che sono otto i locali, ognuno dei quali rappresenta una piccola società, non esiste una società unica. Abbiamo più format: la trattoria di pesce, il laboratorio di carne, la alla pizzeria, la pasticceria per arrivare al ristorante gourmet. Abbiamo inoltre altri 22 ristoranti in consulenza. Sono tante piccole idee che ci hanno fatto crescere in modo incredibile: ogni volta che abbiamo creato un nuovo concept c’è stato uno studio, c’è stata una grande voglia di arrivare a fare in ogni brand della qualità. Ciononostante, noi copriamo posizioni di prezzo per in ogni fascia di clientela: partiamo dal brand della pizzeria con uno scontrino medio di 17 euro, per arrivare fino ai 180-200 del ristorante stellato. Con Casa Perbellini è stata una tripla capriola: siamo passati da un ristorante classico a un ristorante molto informale, ma con il triplo delle difficoltà del ristorante classico.
Giancarlo Morelli Chef, VIU, Pomiroeu, Trombetta, Milano
“Parola d’ordine, diversificare”
Qui la holding non è una holding, ma lo sviluppo di pensieri che ho sempre avuto da quando ero ragazzo. Cioè, non ho mai pensato a una ristorazione legata solo esclusivamente a un concetto o a un ristorante. Anche quando ero ragazzo, nella mia prima attività, ho legato da subito a un ristorante, un servizio di catering. Perciò ho sempre avuto questa idea di diversificare quelle che erano le proposte, perché il mio grande sogno era quello di fare un circo della ristorazione. Una sorta di ristorante che andasse in giro per il mondo, per l’Italia, seguendo gli eventi e creando un evento nell’evento. Un sogno mai realizzato, quello del ristorante itinerante, perché sono sempre stato convinto che i ristoratori devono andare incontro al cliente e non il cliente incontro al ristoratore. Credo oggi non abbia motivo di esistere il ristorantino famoso; io oggi credo molto in quello da cui ho iniziato: il catering. Tutti i locali da me gestiti hanno una caratteristica, sono gestiti autonomamente perché devono vivere di quello che sanno produrre. Questo è il mio concetto.
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Enrico Buonocore
Imprenditore, Langosteria, Milano
“Un progetto di successo, nato per caso” Langosteria nasce dieci anni fa con un progetto nato per caso e, come tutte le cose che mi sono trovato a fare, mi piace dire che sia una società fondata sul riscatto sociale perché le persone che l’hanno animata, e che la animano ancora, sono tutti ragazzi che alle spalle non avevano una storia e una professione. Un’idea che piano piano abbiamo costruito, un’impresa che oggi continua verso orizzonti sempre più lontani, ma rimanendo sempre fedele a sé stessa perché stiamo sempre cercando di crescere in maniera sana e senza farci prendere dall’entusiasmo di chi vede in Langosteria esclusivamente uno strumento di business. I conti dell’attività li sento sulle mani tutti i giorni e in tutte le battaglie che quotidianamente i ristoranti fanno. Langosteria è un’attività fondata davvero sull’accoglienza e stiamo cercando di migliorarci sempre di più. La location all’inizio l’abbiamo scelta anche per i pochi denari che avevamo, perché via Savona 10 anni fa (era il 2017) non era il quartiere che è oggi. Nel 2012 abbiamo aperto Langosteria Bistrò, nata dall’esigenza di avere un posto a supporto un po’ più casual, che potesse soddisfare le richieste che erano diventate importanti.
Norman Cescut
Founder & CEO di DESITA
“In Italia è difficile la replicabilità, l’italiano fa fatica a fare rete” Oggi il mercato è cambiato e continuerà a cambiare, per fortuna. Il nostro cliente ci chiama perché ha bisogno di un leader del progetto; è il progetto che ci dà la possibilità di governare tutti i processi, tutte le procedure e creare, da ex novo o in fase avanzata, da qualcosa di già esistente, tutti quegli strumenti che servono per far funzionare il progetto. In Italia è difficile la replicabilità, che molte volte fa rima con franchising; nel nostro Paese c’è una legge del franchising che quasi nessuno conosce o rispetta. È un problema molto, molto importante e la risposta potrebbe essere che l’italiano fa fatica a fare rete: ecco perché poi la nostra figura di leader è molto importate. Noi gestiamo l’intero insieme degli elementi che costituiscono il business. Le procedure sono quello strumento che ti dà la possibilità di trovare la via della replicabilità. Ovviamente le procedure non devono essere vissute come regole, perché se non viene prima messa in relazione alla flessibilità, la procedura non viene accettata. Soprattutto in cucina.
Davide Oldani
Chef, D’O, Cornaredo
“Sfruttare il più possibile la risorsa umana del territorio” Ho creato un’idea che potesse essere assolutamente contemporanea, nella quale fosse possibile sfruttare il più possibile la risorsa umana del territorio. Noi - lo Chef e il Direttore del D’O - li seguiamo per alcuni mesi l’anno. Credo che la cosa fondamentale sia il benessere delle persone che lavorano, che siano cinesi, giapponesi, africani o europei o italiani. È bene che il cuoco abbia la propria dimensione di vita, perché non ci dimentichiamo che il nostro lavoro è uno dei lavori più duri in assoluto, e che per reggere questa cosa credo che sia bene dare un progetto per partire con criterio e con il passo giusto, coinvolgendo le persone che sono del posto. Perché hai meno possibilità che abbandonino prima del tempo e sappiamo tutti quanto sia difficile comporre una brigata e mantenerla, motivarli e far vedere che loro sono i numeri uno e che sono quelli che portano avanti tutto. Alle volte, almeno fino a qualche anno fa, agli esecutivi manca questa capacità di motivare queste perone, ora vedo che c’è più sprint su questo discorso.
Herbert Messinese
Imprenditore, Enoteca Regionale Lombarda, Milano
“Un luogo di incontro, di cultura, di formazione e divulgazione dei prodotti” Desidero che l’Enoteca Regionale sia chiamata concept. Lo sta per diventare, finalmente, dopo due anni di fatica. Perché l’Expo, naturalmente, non ha portato neanche uno dei 20 milioni di visitatori che erano attesi. Non posso garantire di mantenere la promessa, ma questo locale è stato pensato come il mio ultimo. È stato fatto con particolare impegno, ricerca di materiali, di arredi, di oggetti, di attrezzi contadini, affinché l’enoteca potesse diventare un luogo di incontro, di cultura, di formazione e divulgazione dei prodotti, delle terre e delle genti padane. Trentacinque anni fa io e mia moglie abbiamo cominciato a fare delle degustazioni, adesso sarebbero uno strumento un poco superato dal punto di vista dell’efficacia. Il produttore faceva formazione prima ancora ai collaboratori, al personale con cui lavorava, in modo tale da dar loro un minimo di informazioni necessarie sul prodotto e sull’azienda, da poter trasmettere al cliente finale.
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Vino e mercati come evolve l’offerta
Fabio Piccoli
Direttore, Wine Meridian, Verona
“Il mercato chiede trasparenza”
Fiorenzo Detti Presidente AIS Lombardia
“Beviamo meglio, ma non dobbiamo bere di meno” Continuiamo a dire che si beve meno, ma che si beve meglio; purtroppo è un concetto sul quale, forse, stiamo esagerando. È vero che stiamo bevendo meglio, ma non per questo dobbiamo continuare a bere di meno, basta poco per migliorare i consumi. I mercati si evolvono molto più velocemente di quanto noi stessi a volte ci rendiamo conto, quindi bisognerebbe creare degli osservatori e delle competenze sui mercati, capaci di indagare e percepire chiaramente questa evoluzione. È fondamentale tra l’altro un piccolo inciso: questa crisi che ha attanagliato quest’ultimo decennio in realtà non è stata solo una crisi economico-finanziaria. Come tutti ormai abbiamo capito, è stata una rivoluzione che ha comportato grandi cambiamenti, sui quali dobbiamo continuamente indagare, con competenza e spirito critico.
Noi abbiamo messo al centro della nostra attività informativa-formativa la risorsa umana. Non perché siamo dei geni, ma perché ci siamo resi conto che la figura centrale per poter determinare il successo o l’insuccesso dell’impresa al di là del prodotto, dell’identità aziendale, e della forza del brand, è l’intermediazione fatta dalle professionalità dalle competenze all’interno dell’azienda. La persona ha un ruolo chiave anche nel raccontare in maniera adeguata l’identità delle imprese, l’identità di prodotto. Oggi il mercato del vino, tra l’altro, ha fortunatamente quattro tra i più importanti elementi che potrebbero agevolare moltissimo lo sviluppo del nostro business. Il primo è la trasparenza: mai come oggi il mercato richiede trasparenza e questa è una buona notizia, perché noi abbiamo la più grande eterogeneità e biodiversità enologica al mondo, ma per comunicarla abbiamo bisogno di poterlo dire a un mercato che è disponibile ad ascoltarci.
Roberta De Sanctis,
Docente, SDA Bocconi School of Management, Milano
“Il sistema vitivinicolo italiano sa fare business” Il sistema vitivinicolo italiano sa fare business: noi studiamo le strategie manageriali delle aziende italiane. Nel 2016 abbiamo fatto una ricerca insieme all’ICE con 21 paesi esteri, 180 tra importatori e distributore. Lo scopo era di capire come erano percepite le aziende vitivinicole italiane. Sono tre i punti evidenziati dalla ricerca. Il primo: l’Italia è una grande produttrice di qualità. Il secondo: l’Italia ha un’ottima capacità di gestire il rapporto qualità prezzo rispetto agli altri Paesi, e questo è un risultato positivo, ma che potrebbe trasformarsi in un problema a lungo termine, se si arrivasse a un’eccessiva livellazione del prezzo. Infine, il terzo: l’Italia è verità e, giustamente, ricchezza.
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Nicola Bonera AIS, Miglior Sommelier d’Italia 2010, Consigliere AIS Lombardia
“Nel nostro racconto, il libero arbitrio diventa l’elemento fondamentale” Sul numero di persone che bevono vino, noi siamo una goccia veramente microscopica e possiamo lavorare quanto ci pare nella ristorazione o nella formazione per raccontare qualche cosa di significativo, ma la nostra influenza sarà limitata al giudizio delle persone che ci ascolterà. Nel nostro racconto, il libero arbitrio, la psicologia umana, il pensiero del singolo diventano l’elemento fondamentale. Noi non facciamo altro, oggi, che limitarci a dare delle chiavi di lettura. Forse abbiamo esagerato nel racconto di certe cose, la gente capiva lì per lì, però poi usciva con la difficoltà di poter reinterpretare quel bicchiere di vino: il racconto del vino di per sé inizia da chi comincia a parlare e finisce da chi lo ha bevuto.
Andrea Antinori
Cofondatore e marketing manager, Winelivery
“Il vino, terreno fertile per nuove idee” Il mercato del vino è un mercato fertile per nuove idee che creino occasioni di business. Possiamo differenziare i business nuovi del vino come business orientati alla comunicazione, perché il problema principale del produttore, ma anche dei rivenditori, è proprio comunicare il vino. Il vino è spettacolo, il vino ha una sua storia, il vino è quella cosa “che ti giri nel bicchiere” e ti degusti. È anche i valori del produttore, della terra. Quindi qual è il problema dell’ambiente internet? È che si tratta di un ambiente austero: tutti questi e-commerce di vino hanno cominciato semplicemente ponendo dei prodotti su una piattaforma, vendendoli. In questo modo, qualche vendita c’è, ma manca completamente lo storytelling.
Michele Rimpici MR Wine Consulting
“Il vino, questo sconosciuto” Mediamente, in tutti i settori in cui ho lavorato, la gente di vino italiano sa poco: questo è un dato certo. Non si riesce, ancora oggi, a far sì che questo sapere si diffonda. Non lo si conosce per svariati motivi. Il problema riguarda chi gestisce la produzione, e poi c’è sicuramente un limite nella comunicazione del vino: ad esempio, il fenomeno prosecco è un grande successo, però non esistono molti brand di prosecco che, nonostante gli indubbi livelli qualitativi, si sono imposti come leader nella percezione del consumatore. Probabilmente oggi tutti sanno cos’è un prosecco, ma in questa sala la gente conosce due-tre brand di questa tipologia di vino. Un buyer inglese mi disse che dai francesi lui comprava prima il vino e poi il produttore; dagli italiani prima il produttore e poi il vino. Il fatto che il prosecco non abbia brand forti, fa sì che il prosecco sia un prodotto di servizio. Non c’è un unico brand che fa due o trecento milioni di bottiglie con un unico brand.
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Cultura delle tecniche Ettore Bocchia Chef, Mistral, Bellagio
“Non possiamo dissociarci dalla conoscenza scientifica” Tutto nasce dall’esigenza di sapere e di conoscere. La maggiore fatica era riprodurre i piatti che facevo in hotel - esattamente come li facevo in hotel - in giro per il mondo, perché non c’era ancora la quantità/qualità di prodotti che ci sono oggi. L’unico mezzo che io ho avuto per riuscire a riprodurre quei piatti in una maniera impeccabile e allo stesso livello dell’hotel, è stata di studiare, quindi, la cucina molecolare, che nasce negli Anni Duemila. In qualsiasi esercizio di stile che uno chef possa fare, non può pensare di dissociarsi da quello che è la conoscenza scientifica. Oggi si è parlato di ragionevolezza e consapevolezza, si è parlato “dello spaghetto al pomodoro”, ma nessuno ha detto come si deve fare per farlo bene. Se noi partiamo dal presupposto che uno spaghetto quando è crudo è un cristallo, che quando è cotto è un gel, che l’estrazione di amido durante la mantecatura libera grassi, e che i grassi sono dei conduttori di aromi, riusciamo a mantecare la pasta senza utilizzare grassi aggiunti. Questo è un linguaggio che ti permette di trasferire competenze agli operatori che lavorano con te.
Tano Simonato Chef Tano passami l’olio, Milano
“Prima di prendere in mano un qualsiasi elemento, studiatelo” Prima di prendere in mano un qualsiasi elemento, studiatelo. Voi dite, giustamente: una zucchina, è una zucchina. No, no: la zucchina la devi conoscere, devi sapere come mantenerla al dente e come la puoi rendere croccante. Noi sappiamo che per fare una buona cucina tradizionale bisognerebbe usare quello che è stato usato 300 anni fa. Però qui bisogna cambiare registro, la tradizione va avanti, grazie all’ammodernamento e a tutto quello che esso comporta.
Daniel Facen Chef, Anteprima, Chiuduno
“Continuare a studiare, per conoscere perfettamente la materia prima” Ormai si chiede ai cuochi di essere dei mezzi scienziati o quantomeno di avere una conoscenza importante. Questo è un aspetto fondamentale. Se pensate che studiare non serva per fare il cuoco, dovete anche sapere che chi vuole fare carriera studia quando esce dalla scuola alberghiera. È necessario passare parte della giornata a studiare. Parlo per me, naturalmente: non posso mettere a repentaglio ciò che la natura mi mette a disposizione, in cinque minuti. Pertanto quello che io dico è che devo conoscere perfettamente la materia prima, devo lavorare nel modo migliore. Poi ognuno tratta la materia prima come preferisce; io la tratto in questo modo.
Fabio Tacchella Chef, Insegnante, già Nazionale Italiana Cuochi
“Dobbiamo tutelare il cliente” Il mondo della cucina lo vedo come una clessidra: da una parte, in quella più in alto, abbiamo una marea di prodotti, specialmente in Italia, di altissima qualità dove l’uomo e la natura ci mettono tantissima attenzione per darci questi prodotti il più perfetti possibili. Dall’altra parte della clessidra, invece, abbiamo una marea di utenti: bambini, uomini, donne, anziani, persone che hanno allergie o intolleranze. In mezzo ci sono due mondi. Il più grande è quello delle mamme che abituano il gusto dei bambini assaporando determinate cose: se le mamme non lo fanno, questi bambini, un domani, faranno più fatica ad assaggiare un pesce, una verdura non presenti nella loro memoria. L’altra parte importante è quella dei cuochi professionisti, la cui responsabilità in questo piccolo spazio è quella di avere la professionalità di sapere che il cliente in sala si sta affidando a loro. L’aspetto principale è quello igienico-sanitario, andiamo a prendere prodotti di alta qualità, ma poi dobbiamo trattarli: è qui che inizia la nostra professionalità, nel saper tutelare il cliente. Poi arriviamo in cucina, ma dobbiamo giustamente conoscere la materia prima, perché sono le tecniche che vanno su di essa, e non viceversa.
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Fresco, surgelato e asteriscato Romana Tamburini Consiglio direttivo UNAS, Roma
“L’asterisco ci penalizza nell’immaginario comune” Riteniamo che il surgelato sia un prodotto più fresco del fresco: l’importante è utilizzare materie prime di alta qualità per poi surgelarle, non congelarle. Il maggior problema delle aziende del surgelato è che il prodotto surgelato viene evidenziato da questo asterisco che ci penalizza nell’immaginario comune. Quindi se il surgelato è indispensabile per il pesce, non vedo perché per altri alimenti, vedi la pasta, sia una caratteristica dispregiativa. Oggi parlare di alimento surgelato potrebbe essere percepito come espressione di scarso livello tecnologico. Ma una scrupolosa attenzione al processo produttivo svela, senza ombra di dubbio, come, senza alcuna necessità di additivi e conservanti, i surgelati siano tra le eccellenze nella dispensa di ogni ristoratore e consumatore. La questione della presenza dell’asterisco imposta dalla legge alla ristorazione è un tema rilevante per tutti i produttori del surgelato. Purtroppo è difficile scardinare alcuni preconcetti, figli probabilmente di una certa ignoranza rispetto ai processi che si applicano in ambito alimentare. Un’impostazione legata agli anni in cui in Italia la surgelazione era sperimentale e spesso non c’era molta distinzione tra surgelato e congelato.
Alfredo Zini, Ristoratore, Al Tronco, Milano Matteo Scibilia Docente,
Chef Osteria Buona Condotta, Ornago
“Il prodotto surgelato bisogna saperlo utilizzare” Oggi in Italia il prodotto surgelato viene visto e utilizzato come una risorsa di secondo livello nella ristorazione. Voglio dire: spesso il prodotto surgelato non viene utilizzato nella sua eccellenza, come energia supplementare per il cuoco, ma come un prodotto di secondo livello, perché in qualche maniera aiuta il ristoratore. Evidentemente c’è un aspetto mentale che ci prende tutti quanti... C’è un preconcetto, sia dal punto di vista professionale, sia dal punto di vista culturale. Il vero problema del surgelato è il prezzo, è il costo. I grandi ristoranti di pesce utilizzano tutti pesce surgelato; dà sicurezza e garanzia e una giusta gestione della materia prima. Il prodotto surgelato bisogna saperlo utilizzare.
“Occorre trovare fornitori in grado di garantire per il prodotto” A prescindere che sia surgelato o fresco, un prodotto di qualità importante ha comunque un costo elevato. Io credo che sia fondamentale una cosa: chi utilizza quel prodotto deve avere una tracciabilità certa. La questione principale non è quella di prezzo, ma quello di poter trovare un fornitore che sia in grado di garantire per il prodotto. La serietà deve venir fuori quando tu imprenditore, in questo caso i ristoratori, hai la forza di buttare un prodotto che non va più bene.
Michelangelo Citino Chef, Ristorante Michelangelo, Milano-Linate
“Il vero problema è la provenienza del prodotto, non l’asterisco” L’abbattitore lo utilizziamo solo per abbattere in positivo e non in negativo, io non vedo il problema dell’asterisco per il semplice fatto che non reputo che un prodotto non surgelato sia indice di qualità e viceversa. Dirò di più: i piatti che vendo di più nel Michelangelo sono proprio quelli con l’asterisco. Un gambero rosso e un baccalà, sono i due piatti più venduti. Non reputo che il surgelato sia un problema. Tutti si focalizzano sulla parola surgelato, ma non sul vero problema, ossia la provenienza del prodotto. Nel caso della pasta fresca, la gente dovrebbe focalizzarsi sulla farcitura del raviolo e non sul fatto che sia surgelato. Quello su cui bisogna focalizzarsi è sulla qualità del prodotto e poi sulla sua tecnica di lavorazione.
Daniele Pisanello Avvocato, Lex Alimentaria, Bologna, Pisa
“Asterisco e normativa, si dovrebbe andare alla radice del problema” L’asterico è parte di un filone della giurisprudenza che riguarda le frodi in commercio. Il Giudice presuppone che al consumatore seduto al tavolo, venga somministrato cibo ottenuto da prodotti freschi. Questa è la presunzione. Un patto tacito: quando ci sediamo al tavolo di un ristorante, riteniamo che i piatti siano ottenuti da materia prima fresca. Questo è il concetto giuridico e su questo dovremmo lavorare. Se noi andiamo a vedere anche sul piano giuridico è difficile raccapezzarsi in questa materia che assolutamente è molto complicata; per cui si dovrebbe andare alla radice del problema e capire come si può effettivamente risolverlo.
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ollow La ristorazione ragionevole
La parola agli sponsor Perché partecipare a Follow Artù? Lo spiegano le aziende partner. Emiliano Fiorani, direttore Divisione Ristorazione Commerciale CIR food
“Un momento di confronto, per conoscere meglio le esigenze della ristorazione gourmet” “Abbiamo partecipato a Follow Artù con il nostro format Aromatica, nato sulla base della solida esperienza maturata nella ristorazione collettiva con l’obiettivo di ampliare la propria offerta e approcciare il mercato della ristorazione commerciale. Aromatica unisce una proposta di ristorante gourmet con piatti à la carte e menu degustazione, a un’offerta Lounge bar con prodotti di caffetteria classica e moderne rivisitazioni da abbinare a raffinati prodotti di pasticceria, una selezione di vini e cocktail, ideale per il momento dell’aperitivo e una selezione di piatti freddi, insalate e sandwich gourmet per una pausa pranzo sfiziosa o una cena informale. Con Follow Artù abbiamo avuto modo di confrontarci con il mondo della ristorazione gourmet, conoscere le esigenze e i gusti della clientela che frequenta questa fascia: il nostro obiettivo è di accreditarci come operatore affidabile in un mercato complesso e frammentato, ricco di sfide e opportunità”.
Massimo Benetello, direttore generale Cesarini Sforza
“La ragionevolezza, insieme a buon senso e concretezza, è nelle nostre corde” “Quello della ragionevolezza è un tratto che noi di Cesarini Sforza sentiamo nelle nostre corde. Abbiamo la fortuna di operare in un settore, quello delle bollicine, che sta vivendo una fase molto positiva su tutti i mercati, ma vogliamo crescere continuando a camminare nel solco del buon senso, dell’equilibrio, della concretezza e della misura. Per questo è stato per noi molto importante essere vicino alla ristorazione di qualità, come quella che si è radunata in occasione di Follow Artù, una ristorazione di altissimo livello che ha fatto proprio della ragionevolezza la sua bandiera”.
Davide Ferraresso,
Digita PR, Marketing&Communication di UNOX
“Un momento di confronto e di visibilità in uno dei settori attualmente più d’attualità” “Noi di Unox, riteniamo sia molto importante essere presenti ad un evento come Follow Artù, che rappresenta un momento di confronto e discussione nonché di visibilità in uno dei settori attualmente più d’attualità come la ristorazione contemporanea. Crediamo fortemente che questo tipo di eventi siano alla base per una comunicazione di qualità.”
Andreas Fellin, vice Presidente Fonte Plose
“Un’occasione per incontrare professionisti amici e fare nuove conoscenze” “È stato un piacere e una sincera soddisfazione essere coinvolti con Acqua Plose in Follow Artù. L’evento, realmente di contenuto, ha confermato le nostre aspettative. Un progetto che ha riunito un panel di ottimi relatori nelle diverse tavole rotonde, da chef e imprenditori più noti a professionisti meno “mediatici” ma portatori di esperienze di primo livello nel settore, tenendo sempre alta l’attenzione del pubblico, noi compresi! Ho apprezzato la scelta di approfondire tematiche meno dibattute pubblicamente ma fondamentali per la ristorazione: la cura del cliente e del servizio, la comunicazione, le materie prime, le competenze, la sala e il rapporto con la cucina…valori e capacità che condivido e che riportate nell’esperienza Fonte Plose risultano vincenti. A fine evento non posso quindi che confermare la validità del sostegno e della fiducia di Fonte Plose per la prima edizione di una manifestazione organizzata e partecipata con grande serietà, nonché un’occasione per incontrare professionisti amici e fare nuove conoscenze”.
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Š Fondazione Gualtiero Marchesi
Ricordo
Il Raviolo aperto, un piatto-icona di Gualtiero Marchesi, cui molti hanno cercato di ispirarsi; nella pagina a fianco, in basso: il Maestro a Parma con il direttore di ArtĂš, 2016.
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Di Alberto P. Schieppati
me alla esibizione di ricordi personali, di episodi intimi, di incontri indimenticabili, rischierebbe di apparire –pensavo- come l’ennesima attestazione Non soltanto un cuoco di protagonismo, del quale abbiamo avuto nei giorni scorsi esempio iperbolico sui social, ma anche rivoluzionario ma anche un sulle pagine di molti giornali. Talvolta in modo apgrande uomo che ha espresso propriato, altre volte in un coro di conformismo unaun rigore intellettuale senza nimista. Forse proprio per questo, alla fine, ho deciso di scriverne, seppur di getto, senza particolari precedenti. o strategiche riflessioni preventive. Come ha impietosamente scritto l’amico giornalista Stefano Tesi Che tristezza, Gualtiero se ne è andato per sempre. all’indomani della morte del Maestro, “la scomparLa notizia mi ha raggiunto lontano da Milano e mi sa di Gualtiero Marchesi dà l’inevitabile stura alle ha letteralmente tramortito. Le nostre chiacchierate, elegie, più o meno pelose. Di colpo si scoprono i percorsi comuni, Milano sì e Milano no, Bonvesin ammiratori sconosciuti e critici pentiti. Nulla di strade la Riva, il testamento di Nureyev, la Corale Verdi, no, c’est la vie (…). Sarebbe bello però se, dando Alma. E ancora: i rientri dal a Gualtiero ciò che era di GualGiappone, il raviolo aperto, il tiero, gli fosse riconosciuta quel“Fino all’ultimo ha dripping di pesce, l’Albereta, la che a me pareva la più grande l’intelligenza vitale, la lucidità delle sue virtù e al tempo stesso difeso il suo stile, di analisi, l’amore per l’arte, la un piccolo difetto: il coraggio la sua visione delle musica, la sua famiglia, i suoi delle proprie scelte. E ora si dia ragazzi, Daniel Canzian, Paolo il via ai coccodrilli”. Così Stefano, cose, il suo amore Lopriore, Fabrizio Molteni, i lucido e dissacrante come semesasperato per la suoi allievi, l’ottantesimo compre. E poi, in effetti, i “coccodrilpleanno, quel giorno da Massili” si sono sprecati: ad opera di cultura, l’arte, la mo Spigaroli, il Carretto di Gagamici veri, di effettivi e sinceri musica” giano, Cracco, Oldani, Knam, conoscitori della sua storia, ma Leemann, il ripudio delle stelle, anche da parte di alcuni che , l’acqua abbinamento ideale al cibo, gli incontri recenti alla Rampina, l’anatra al torchio, l’arrivo di Fumis, il dolore per Antonietta, i funerali a San Zenone Po. Momenti e ricordi che si affastellano, che mi dicono brutalmente: “questo non è più possibile”. Lui che rispondeva sempre alle telefonate, fin quasi all’ultimo giorno, lui che aveva “imparato prima a tuffarsi che a nuotare”. Lui che ha voluto essere presente con un’ultima testimonianza, riportata magistralmente da Enrico Dandolo, al nostro convegno dell’ottobre scorso. Lui, lui..... Ho esitato non poco prima di decidere se scrivere un pezzo sul mio amico Gualtiero o se soprassedere. Per un profondo rispetto, per amore del silenzio, per preservare un ricordo interiore. In me c’era il timore, anzi la certezza, di aggiungere parole alle parole, già spese da altri, sul Maestro. Insie-
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fino al giorno prima, si dichiaravano tronfiamente agli antipodi del “Marchesi-pensiero” e spesso ne schernivano le scelte e ne deridevano addirittura certi piatti. Ma, come ho già avuto modo di esprimere, tutto ciò è normale in un Paese che privilegia litigiosità e presunzione, affetto da piccole competizioni e scarsa statutarietà, da gossip e da autoreferenzialità, insomma, da “lei non sa chi sono io”. Così, se la morte di Paul Bocuse in Francia ha mobilitato le massime cariche dello Stato, che ne hanno riconosciuto la grandezza, evidenziando la gravità della perdita per la nazione, da noi è andata un po’ diversamente, se non con tardivi e imbarazzanti recuperi (come quello di dedicargli una via, a Milano, ma fra 15 anni). In Italia, forse, le istituzioni hanno sempre mostrato verso il mondo dell’ alta ristorazione un rapporto di sufficienza, quando non di ostilità e invidia (in particolare verso gli chef che hanno successo, vedi articolo a pag.18 e 19) se non di diffidenza. Il Signor Marchesi, uomo di profonda cultura e di ampie conoscenze, ha sempre saputo cogliere, con la sua lucidità, questi li-
© Fondazione Gualtiero Marchesi
Gualtiero Marchesi Genio dell’essenziale
Ricordo A sinistra, Gualtiero festeggia il suo ottantesimo compleanno con alcuni dei suoi allievi, a loro volta chef di successo, 2010. Sotto, Riso oro e zafferano, un piatto entrato nel mito, 1981. In basso, i Trucioli di Marchesi allo zafferano: un piatto realizzato per Expo 2015, in collaborazione con Carla Latini, artigiana della pasta a Osimo (An). Nella pagina a destra: Dripping di pesce, del 2004, un altro piatto straordinario partorito dalla genialità di Marchesi. L’idea si ispira a Jackson Pollock.
© Fondazione Gualtiero Marchesi
di critici e stampa. Anzi, sono stati tanti i suoi detrattori: a cominciare da quei “rozzi e incivili” a cui non poteva essere diretta la sua cucina, per manifesta incapacità di apprezzarla e comprenderla, fino a quanti –fin dai tempi di Bonvesin de la Riva, vedevano in lui l’artefice di una cucina incomprensibile e sontuosa, complessa e inaccessibile ai più, una roba per pochi, insomma. Un luogo comune, questo, figlio di approcci populisti e demagogici, che esaltavano la cucina di quantità senza interes-
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miti, andando oltre ogni opportunismo di necessità. “Tenersi buoni i politici? E per quale motivo? Possono tornare utili? Non è così importante”. “Siamo in Piazza della Scala, uno dei luoghi più belli della città, e qui –proprio davanti al Marchesinosono perennemente parcheggiati centinaia di motorini. Al di là dell’ impatto estetico, non si riesce nemmeno a camminare, in mezzo a questa giungla”. Ricordo le parole indignate di Gualtiero, dopo l’apertura del suo Marchesino, riferendosi alla sosta selvaggia di moto e biciclette davanti al ristorante, a fianco del Teatro Alla Scala. Paradosso: c’è voluto il timore di attentati da parte dell’Isis per sgomberare definitivamente la piazza e, seppur blindata,
restituirla ai milanesi nella sua ordinata bellezza. Gualtiero era fatto così: non aveva peli sulla lingua. Ed era il suo bello. Diceva quello che pensava. E ne subiva le conseguenze. “La cucina è di per sé scienza, sta al cuoco farla divenire arte”. Adesso è facile ricordarlo come l’uomo che ha rivoluzionato la cucina italiana, che l’ha sdoganata da vizi antichi,abuso di grassi, lunghe cotture e sapidità assurde. L’uomo che ha saputo adattare all’Italia gli insegnamenti di Paul Bocuse e dei fratelli Troisgros che, nella Francia degli anni Settanta, avevano definito i canoni della Nouvelle Cuisine. L’uomo che ha introdotto nelle cucine come nella vita valori fondamentali: rigore, tecnica, organizzazione, elaborazione. “Ancora oggi, scrisse Marchesi (in Trent’anni di cucina, 1000 esemplari fuori commercio, stampato e presentato in occasione di Alma Viva, Il Codice Marchesi, che ha avuto luogo nella Reggia di Colorno nel settembre 2005), tendo ad essere essenziale e minimalista ma in realtà è solo la novità che sciocca e crea reticenza, è solo l’incomprensione che crea giudizio, poi, un po’ alla volta, ci si avvicina incuriositi e si cambia, così si evolve il mondo, così si crea la storia”. E la Storia, quella con la S maiuscola, si è dunque creata: senza proclami altisonanti, senza riflettori puntati a smeriglio, senza la compiacenza
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© Fondazione Gualtiero Marchesi
© M. Borchi
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Ricordo © Fondazione Gualtiero Marchesi
Qui sopra, Rosso e Nero, 2006, ispirato ad Alberto Burri: una salsa leggermente piccante, fredda, che si oppone con colore e temperatura alla coda di rospo cotta nel nero di seppia, calda. In alto a destra, la Seppia al nero, 1983.
sarsi minimamente alla qualità. E se Eraclito, in una massima che Gualtiero amava al punto di citarla spesso, diceva che “Dal contrasto sgorga una bellissima armonia”, sicuramente Gualtiero Marchesi è stato l’esempio vivente di questa nuova armonia che ha portato la ristorazione italiana nella modernità. E che ha lasciato un segno indelebile, forse in anticipo rispetto ai tempi, sempre troppo lenti ad autorizzarsi di evolvere davvero. I piatti storici di Gualtiero sono un punto fermo della cultura italiana, non solo della nuova cucina contemporanea: opere d’arte, in tutti i sensi, testimonianze viventi di una rivoluzionaria visione delle cose, operata da un uomo di profonda cultura, prima ancora che un grande Cuoco, ci tengo a sottolinearlo. Non soltan-
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to piatti geniali e di inventiva totale, ma anche espressione di un rigore intellettuale che non ha precedenti in Italia. L’insalata di capesante allo zenzero e pepe rosa, del 1993, il Riso, oro e zafferano, del 1981, la Seppia al nero, del 1983, il Fritto di code di scampi e verdure, del 1990, il Sorbetto alla mela verde, il Filetto di vitello alla Rossini, del 1995, il Soufflé ai frutti della passione con la sua salsa, del 1993, sono –fra i piatti storici- quelli più intensamente legati al pensiero e alla visione di Gualtiero. Un grande, di cui sentiremo forte la mancanza nel corso degli anni a venire. Grande anche quando, nonostante l’importanza della guida in oggetto, decise di restituire le stelle alla Michelin, inaugurando una stagione di accesi dibattiti sul tema della critica e sul valore delle guide gastronomiche. Pur ritenendo personalmente la Michelin la più seria e accreditata delle guide presenti sul mercato, giornalisticamente seguii la cosa, nella certezza che avrebbe creato un argomento di discussione di estremo valore, che ancora oggi continua seppur sotto forme diverse. Nel 1986 Gualtiero ricevette, primo in Italia, le tre stelle della guida francese, passando a due dal 1997 in poi. Lasciata Milano nel 1993 per ritirarsi in Franciacorta, ad Erbusco, mantenne le due stelle anche all’Albereta fino a quando in una conferenza a Milano, al Circolo della Stampa, nel 2008, decise di restituirle, in contemporanea con l’apertura del suo nuovo ristorante, il Marchesino. Al suono della canzone milanese “La gagarella del Biffi Scala”, un classico del repertorio milanese, cantato prima da Nanni Svampa e poi da Elio e le Storie tese, il Maestro annunciò con orgoglio la sua non facile decisione. Il resto è storia dei nostri giorni, fino a quel 26 dicembre scorso, quando ci ha lasciato. Addio, Gualtiero… continueremo a pensarti.•
“Generoso, gioioso, un’artista”, lo ha definito Alain Ducasse. Spesso non compreso dai “rozzi e dagli incivili” ai quali certo non è destinata la buona cucina, Gualtiero Marchesi amava ripetere che “è solo l’incomprensione che crea giudizio. Poi, un po’ alla volta, ci si avvicina incuriositi. E si cambia. Così si evolve il mondo, così si crea la storia”. Parole su cui riflettere.
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Eventi
COMITATO PROMOTORE Enzo Andreis • Presidente AIGRIM Pietro Auletta • Presidente e A.D. Dussmann Service Stefano Biaggi • Presidente e A.D. Sodexo Italia Cristian Biasoni • A.D. Chef Express Sergio Castelli • A.D. Areas Fabrizio de Fabritiis • A.D. Milano Ristorazione Antonio Giovanetti • Dir. Generale Camst Franco Manna • Presidente Sebeto Chiara Nasi • Presidente CIR food Ernesto Pellegrini • Presidente Gruppo Pellegrini Mario Putin • Presidente Serenissima Ristorazione Antonio Savoia • Presidente Edifis Carlo Scarsciotti • Presidente Angem Portavoce Oricon Fabio Spaccasassi • A.D. Compass Group Italia Lino Stoppani • Presidente Fipe Lino Volpe • Presidente Elior Ristorazione
i Convegni di Ristorando in collaborazione con:
Media partners:
Ristorando 10° EDIZIONE MOSTRA CONVEGNO 4-5 OTTOBRE 2018 Centro Convegni “Le Stelline” Milano - Corso Magenta, 61
L’APPUNTAMENTO BIENNALE DEI PROFESSIONISTI DELLA RISTORAZIONE MODERNA Dal 2000 il convegno di Ristorando è il più importante meeting italiano dedicato ai manager della ristorazione moderna. In due giorni di incontri, convegni e dibattiti che coinvolgono più di 100 relatori, vengono affrontati tutti i principali temi del settore Al termine della prima giornata si terrà il tradizionale gala dinner con oltre 200 invitati. Gold sponsor:
Silver sponsor:
ASSOCIAZIONI PARTNER
AIGRIM Associazione Imprese Grande Ristorazione Multilocalizzate
per informazioni sul Convegno e sponsorizzazioni: convegni@edifis.it - pubblicita@edifis.it - Tel. 02 3451230
Protagonisti food
In questa pagina: lo chef Mauro Buffa; nella pagina a fianco: la sala del 12 Apostoli.
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Dodici Apostoli Conferma di un mito
Di Alessandra Piubello
Nel cuore di Verona, il ristorante della famiglia Gioco è un crocevia storico per la intellettualità italiana. “Tre menù: veronese, italiano e creativo, proposti da Giorgio e Antonio,sottolineano l’approccio diversificato della cucina.” Questa volta ci tocca contraddire Leo Longanesi che così vergava: “Tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola.” A volte invece le rivoluzioni iniziano anche a tavola, come vi racconteremo tra poco. Ma prendiamola alla lontana, così creiamo la giusta suspense… C’era una volta nel Settecento una locanda, soprannominata dai “veronesi tuti mati”, dodici apostoli. Nulla di sacro, per carità: è che dodici mercanti, amici e forse anche simpatici gozzovigliatori, al termine dei loro affari nell’adiacente Piazza Erbe si riunivano qui. Così, il nome fu coniato da bel principio dal popolo veronese. Fu un destino perché di fatto quella locanda (che non cambiò il suo corso) divenne nel Novecento il locale più rappresentativo della tipica veronesità, tra gli abitanti della città, in Italia e all’estero. E qui entrano in scena i Gioco, che ne hanno da raccontare di episodi, sempre intrecciati con la vita scaligera, da impilare libri su libri. Fu un personaggio assai noto, Arnoldo Mondadori, l’“incantabiss”, che fece di Verona la punta di diamante della sua produzione editoriale, ad aiutare Antonio Gioco (all’epoca portiere dell’albergo dove Mondadori soggiornava) con una firma di avallo nell’acquisizione dei “12 Apostoli”. Fu poi il figlio, Giorgio Gioco, all’inizio aiutando la madre Rosella, poi unico interprete della cucina apostolica (ma fu anche noto come poeta e scultore), successivamente coadiuvato dalla moglie Iole, a consacrare questo tempio alle pagine della storia gastronomica italiana, arrivando ad ottenere la prima e anche la seconda stella Michelin. Non usiamo il termine tempio per caso, anzi, dovremmo aggiungere imperiale, perché sotto il locale vicino alla cantina dalla volta settecentesca (accanto ai vini la
raccolta di penne appartenute a celebri nomi del giornalismo, della cultura e dell’arte transitati dal ristorante) vennero alla luce i resti di un tempio sacro dedicato forse ai culti imperiali, oltre ad un tratto di strada romana e alle fondamenta di una casa-torre medievale. Un vero sito archeologico, un tesoro da visitare, in compagnia di Antonio Gioco, figlio di Giorgio, capace di illustrare con dovizia di particolari l’importanza dei resti e inquadrarli nel contesto storico del tempo. E, poi, le penne. Fanno tornare in mente il Premio 12 Apostoli, che Giorgio Gioco istituì nel 1968 insieme a Enzo Biagi, Cesare Marchi, Indro Montanelli e Giulio Nascimbeni (tutti compagni di “camminate” a Cortina d’Ampezzo, dove scaturì l’idea). In quasi cinquant’anni di storia, ha portato in riva all’Adige giornalisti di fama internazionale e letterati del calibro, per citarne alcuni, di Nantas Salvalaggio, Piero Angela, Claudio Magris, Sergio Zavoli, Paolo Mieli, Ferruccio de Bortoli. In cosa consiste il premio? In una scultura in bronzo, opera dello stesso Gioco (oggi novantatreenne), raffigurante un melograno. Fu il primo frutto che negli anni Ottanta il travolgente cuoco, di una simpatia e umanità straordinaria, (ce lo ricordiamo tutti, noi veronesi, gli dobbiamo tanto e ci resterà sempre nel cuore: un concentrato di passione e ironia) decise
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di scolpire. Nell’antica Grecia era il “simbolo della fecondità, con il potere di far scendere le anime nella carne”, che è poi quello che si fa qui, oggi, ai 12 Apostoli. La rivoluzione è partita da un melograno e chissà dove arriverà. Sì, perché, inutile negarlo, dal ‘91, quando il locale perde la stella, si va verso un lento ma inesorabile declino. E’ l’anno che segna la fine dell’era di Giorgio Gioco in cucina, poi prese il sopravvento l’anarchia, senza più punti di riferimento. Finiti “i duelli” fra Marchesi e Gioco, uno a rappresentare la nouvelle cuisine, l’altro la cucina tradizionale. Il ristorante, insignito fra i locali storici d’Italia, che vide attovagliarsi fra gli altri, D’Annunzio, Ezra Pound, Maria Callas, i Reali di Svezia, Federico Fellini, Barbra Streisand, Giovannino Guareschi, Jean Gabin (dai un’occhiata alla teca che contiene le foto d’epoca, accanto al mobile con tutte le sculture di Gioco) stava prendendo una deriva turistica. I veronesi, che tanto amarono quel caldo abbraccio alle tradizioni, cominciarono, con tristezza, ad abbandonarlo. Ci voleva una rivoluzione, battersi per un nuovo progetto, senza dimenticare il passato. Filippo Gioco, quarta generazione alla guida del locale, trentenne, decide di mettersi in gioco fino in fondo, con coraggio, rinnovando il locale e ripartendo daccapo. Appende al chiodo il dottorato
Protagonisti food in archeologia (d’altronde, seppur avesse intrapreso con convinzione un’altra strada, fin da piccolo aveva vissuto e respirato l’ambiente, e comunque da anni si pagava gli studi lavorando al locale), e segue la forza del destino, che lo riconduce alle sue origini. A quel melograno, filo conduttore con l’opera del nonno che compare nei menu, nel sito, che diventa il simbolo della rinascita. Filippo, affiancato dalla mamma Simonetta e dal papà Antonio, sceglie lo chef che “farà scendere le anime nella carne”, perché cos’è mai la buona cucina se non il puro piacere dei sensi, la sublimazione della carnalità più intima? E’ così che Mauro Buffo, trentanove anni, nato all’ombra del castello di Soave, dopo lungo peregrinare, torna alla sua Verona. Da due anni è diventato apostolico, nella duplice veste di complice Giocoso e autore del nuovo miracolo. Il curriculum è di tutto rispetto (e non si parla di stage qui, ma di lavoro), programmato con acume. Dopo l’alberghiero a Verona, prima di partire per il servizio militare, lavora un anno con Fabio Tacchella dell’Antica Pesa (altro nome veronese di spicco, guarda guarda, che vedeva in Gioco un suo maestro… l’inizio del cerchio di Buffo è già al nome di Gioco e si chiuderà proprio dai Gioco, era destino), poi un anno e mezzo da Marchesi, dove si fa delle ottime basi tecniche. Poi vola da Massimiliano Alajmo per quattro anni, dove impara a personalizzare la sua cucina. Si sente forte per la rivoluzione, El Bulli di Ferran Adrià, ben tre anni, fra tecnica, sperimentazione e ricerca. Poi, cinque anni nella grande mela, tra David Bouley (uno dei pilastri della nouvelle cuisine americana, due stelle) e il Falai. Il rientro in Italia lo vede al Vigilius a Lana, quattro anni in strettissima connessione con la natura e i suoi prodotti. Dopo un breve periodo in Giappone, a Nara, comincia sentire voglia di casa e ritorna, con una ricchezza di esperienze metabolizzate nell’intimo. Buffo non è certo un professionista che si sente arrivato, è uomo figlio del dubbio e della ricerca, che non ha ancora trovato punti di arrivo. Come nelle ricette: “Non ho mai ripetuto lo stesso piatto, non esistono i miei classici. Ogni preparazione culinaria ha una sua storia che poi finisce, non può restare statica, fissa, ripetibile perché è sempre in evoluzione… altrimenti mi annoierei e così pure gli altri. Parto sempre dal presupposto di cucinare qualcosa che piace a me, che voglio essere felice di mangiare. Qualcosa di personale, di caratteriale, qualcosa che fa vibrare me. Poi vado verso gli altri, a portare loro ciò che mi ha reso contento, per appagarli. Anche un uomo che non ama il buon cibo e il buon vino ha un’anima e persino uno stomaco. Sono semplicemente convinto che abbia un’istintiva attrazione per l’infelicità”. Ci pensa l’opera Buffo a fargli cambiare
Sopra: la famiglia Gioco, da sinistra, Antonio, Filippo e Simonetta.
idea, puoi star certo. Tre i menu degustazione: Sostrati, che si basa sulla cucina locale a 60 euro; Divagazioni, per far riscoprire i classici italiani, a 70 euro; Bagliori, la creatività dello chef, a 80 euro. Si possono scegliere singoli piatti da ogni percorso per comporre il proprio menu à la carte. Buffo non vuole impressionare con fuochi d’artificio. Per chi vuole farsi stupire con mirabolanti affabulazioni, non è questo l’indirizzo. Le tecniche sono semplici, i prodotti sono primariamente del territorio (le verdure dall’orto botanico di Novezzina; i latticini, la pecora brogna, la gallina grisa e la carne in genere dalla Lessinia, selvaggina da piuma da Arcole), a parte il pesce e qualche altro prodotto artigianale italiano. “Penso sia importante accendere delle luci nelle persone attraverso il mio lavoro: far capire l’importanza della nostra grande materia prima, veronese e italiana. Far scoprire abbinamenti diversi ma chia-
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ri al gusto. Vorrei ridare il 12 Apostoli a Verona e desidererei che tornasse alla ribalta della società come esempio di rinnovata energia. Mi piacerebbe che questa rinascita portasse a scrivere un nuovo capitolo, guardando ad un futuro che è già qui”. Le sue ricette son figlie dell’istinto assurto a pensiero ragionato. Sublime il contrasto fra l’acidità del limone, il salmastro del caviale e la dolcezza della seppia nel “Seppia, limone del lago, caviale” (che te ne pare? Essenziale e rigoroso anche nel lessico); “spaghetto artigianale, sedano, ostrica e lardo” è pura poesia golosa, calibrata su sapori diversi in armonioso equilibrio; “sua maestà la Pearà” è un inno alla tipicità veronese. Le due sale, con gli affreschi degli anni Trenta, con motivi tipici scaligeri e circensi e la poesia di Berto Barbarani, son sempre lì, a ricordarci quanto solidi siano questi muri, quanto quest’accoglienza centenaria ora personificata da Filippo, da Antonio e da Simonetta sia un lungo retaggio. Ora i tavoli son dodici però, come i Cavalieri della tavola rotonda, per l’appunto circolari e non più quadrati, illuminati soffusamente al centro, per restituire un senso mistico al luogo. Son dodici anche i vini, come gli dei dell’Olimpo, seppur dodici per quattordici gruppi, che spaziano da veronesi e veneti, allo Stivale, ai “forestieri”. Dodici appunto come gli apostoli, che si vede già, benedicono sorridendo il nuovo corso degli eventi, preconizzando un fiorellino rosso a sei petali. •
Una presenza ancora più forte e una penetrazione più capillare: Artù è nelle VIP Lounge degli aeroporti di Malpensa, Linate, Bologna, Napoli, Firenze, Verona, Venezia; nell’esclusiva location milanese Clubhouse Brera e nelle edicole Hudson News degli aeroporti di Malpensa, Linate e Stazione Centrale di Milano.
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Protagonisti food
Ramon Freixa, Madrid: con la cucina non si scherza Di Gualtiero Spotti
Due stelle che premiano esperienza e passione di questo “figlio d’arte” che non disdegna la tradizione. Catalano di origine ma ormai madrileno di adozione, Ramon Freixa è uno dei pochi cuochi che, nella capitale iberica, può vantare la doppia stella Michelin e l’affiliazione ai Relais & Chateaux. Il suo percorso lavorativo, come spesso accade, è quello di chi ha seguito le orme dei genitori, entrambi ristoratori, girovagando per la cucina del locale di famiglia sin dalla tenera età. Poi, dopo aver terminato gli studi alla scuola di Hostellerie di Saint Pol, a pochi chilometri di Barcellona, ha ben pensato “Un percorso di uscire dal Paese e di andare gastronomico a fare esperienza all’estero. Iniziando proprio dalla grande cuche premia la cina francese, con la sosta da sperimentazione e Pierre Wynants al Comme Chez Soi di Bruxelles (ora da qualche comunica una grande traggono linfa vitale dal furore tempo nelle solide mani di Lioagonistico della cucina iberica passione per la nel Rigolet) e, a seguire (tra gli di quegli anni, mediati (ma non altri), da un certo Michel Bras troppo) dalle grandi esperienmateria prima” a Laguiole. Insomma, c’è nella ze fatte all’estero. Certo è che sua formazione la scoperta delper diverse stagioni il ristoranla classicità dell’alta cucina e il te El Raco D’En Freixa resta uno rigore lavorativo, per poter poi ritornare a Barceldegli indirizzi più brillanti in Catalogna, celebrato lona a seguire, e prendersi cura, del ristorante di dalle guide e dalla critica, e Ramon tra i cuochi famiglia nel naturale passaggio di consegne con più interessanti da incontrare. La voglia di metteri genitori avvenuto nella metà degli anni Novansi in discussione e di sperimentare nuove vie certa. Da quel momento la carriera di Ramon, classe to non tarda ad arrivare, così dopo la creazione di 1971, prende il volo in un mix di idee e progetti che una società di catering, la Frx, all’inizio del terzo millennio, il cuoco decide prima di recuperare la tradizione spagnola nel piatto inaugurando a Barcellona il Freixa Tradicio sulle ceneri del vecchio ristorante di famiglia, poi decide di fare il grande passo spostando le sue attività principali a Madrid, con l’apertura di un ristorante nell’allora Hotel Selenza,
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oggi Unico Hotel. Con una piccola sala di sette tavoli, cui si aggiungono quelli della più spaziosa terrazza aperta nella stagione estiva, per presentare una cucina più personale e innovativa e una serie di piatti decisamente provocatori, con una dozzina di piatti da scegliere alla carta ma, soprattutto, due menu che risultano essere la strada più percorribile per entrare in sintonia con il mondo culinario di Ramon. Che è fatto di una cucina globale e tecnica, dove si passa dagli omaggi al Sudamerica o al Messico (Freixa ha una consulenza e un ristorante anche in Colombia) alla scoperta di prodotti che arrivano da diversi angoli del Mediterraneo. Come nel caso della fregola presente nei Gamberi cotti alla fiamma con royale, tamarindo e bimi cotto in un te Pu Erh, anche se il cuoco ammette candidamente di non essere mai stato in Sardegna, ma di apprezzare molto la consistenza e la texture della fregola. D’altro canto la curiosità e le tecniche d’avanguardia unite a un’ottima selezione di materia prima spagnola, sono tra gli aspetti più evidenti dello stile del
Ramon Freixa; nella pagina a fianco: la sala del ristorante RamĂłn Freixa Madrid.
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Protagonisti food
In alta a destra: Branzino alla cocotte al sale; in alto Micro tomates a la carbonara; a fianco; Capriolo a dadi alla fiamma.
cuoco, che passa con estrema agilità dalla rappresentazione di piccoli mondi a se (vedi la sequenza di s dove si stimola il palato muovendosi tra le finte pietre di Manchego, noci e tartufo o il minuscolo churro con prosciutto iberico e caviale) a piatti di grande cucina internazionale storica, senza troppi stravolgimenti, con la Charolais Wellington o la Lepre a la Royale, con quest’ultima che sembra vivere una seconda giovinezza ed è presente ormai in diversi
menu del fine dining moderno, anche in Italia. Se la cucina di Ramon rivela appieno la sua storia e diverte al tavolo proprio per la sequenza piuttosto originale di momenti gustativi, va detto che la sala così come l’ambiente e l’accoglienza qui sono un plus non indifferente. Per pochissimi coperti sono sempre presenti e vigili almeno cinque camerieri e lo stesso cuoco si preoccupa di girare per i tavoli assicurandosi che i clienti siano soddisfatti, dan-
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do delucidazioni sulle scelte operate per i singoli piatti. Che, per chi sceglie il menu non sono certo pochi. Il percorso denominato Experience ne mette in fila una ventina, mentre l’Homage: Gran FRX ne ha addirittura 25, come vuole, per dirla tutta, la tradizione ormai consolidata della generazione di cuochi cresciuti all’ombra dell’ondata tecno-emozionale. Tra specchi (sul soffitto), stucchi e oggetti d’arte, si entra a far parte di un mondo ovattato e distante dal frenetico via vai del vicino Paseo de La Castellana, anche se il quartiere è tra quelli più eleganti e moderni di Madrid, con le vetrine di marchi prestigiosi per chi vuole godere di una passgiiata per fare shopping. Chi invece vuole approfondire la conoscenza di Ramon Freixa può, in città, spostarsi all’Atico, il ristorante ospitato al sesto piano dell’hotel Principal, sulla Gran Via. Qui lo stile è più informale e i piatti si muovono scegliendo tra la materia prima quotidiana del mercato, puntando l’attenzione con maggior forza sul mondo vegetale rappresentando con piccoli tocchi la tradizione di diverse regioni spagnole. •
Focus food
Ethical Chef Days Care’s lascia il segno di Maurizio Bertera
Trentanove chef da 14 nazioni si incontrano in Alta Badia e fanno il punto sullo “spreco alimentare”. A Care’s non ci si annoia. Anzi, il vero pericolo è la dispersione tra le tante ‘cose’ da ascoltare, vedere e gustare: non è facile seguire una manifestazione che dura quattro giorni e si svolge in un comprensorio ampio quale l’Alta Badia. Più che raccontare come è andata dall’inizio alla fine, vi lanciamo quelli che gli americani definiscono ‘talking points’: otto spunti che ci hanno colpito particolarmente in questi Ethical Chef Days. Che hanno allineato presenze di livello assoluto, a partire da 39 chef di 14 Nazioni e 4 Continenti. Pochine le donne: quattro, tra cui la colombiana Leonor Espinosa - chef del Leo Cocina y Cava e Best Female Chef per il Sud America - che ha emozionato parlando di Funleo, fondazione che si occupa di tutelare le più antiche tradizioni della cucina colombiana. “Bisogna farlo, soprattutto in un Paese come il nostro che ha avuto seri problemi: è una questione culturale e di rispetto per il passato”. Curiosità: sino a 36 anni, ‘Leo’ era un’economista. In 18 anni di lavoro, ha fatto un vero capolavoro.
Il TEMA DI CARE’S - Think Big, think sustainable: pensare in grande, pensare sostenibile. Vero che ognuno può portare il suo mattoncino, ma è evidente che se non si muovono le grandi realtà (pubbliche e private) resterà un’utopia. “Per non sprecare bisogna tornare all’origine: ‘No Waste!’ è un concetto molto impegnativo, ma anche molto interessante – provoca
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Norbert Niederkofler, lider maximo di Care’s - perché il futuro è non produrre rifiuti, oltre che vedere come smaltirli. Partire con l’idea di non farli, di non produrre spreco, è la grande differenza.” Da qui un talk show sul tema: La riduzione e la valorizzazione degli scarti alimentari per un riciclo sostenibile. Per noi, l’intervento più interessante – una volta tanto – non
è stato quello del mago Farinetti, impegnato troppo a promuovere FICO: “Bisogna tentare di dimezzare gli sprechi che sono un terzo della produzione di cibo o ridurre in modo massiccio la produzione di carne. Il nostro è un ‘planet in stress’: 60% di cibo in più sarà necessario nel 2050, impossibile farcela con uno spreco così enorme che secondo me proseguirà”. Parole di Cristian Fischer, direttore del corso di Scienze Agrarie della Libera Università di Bolzano. In mezzo a tanti sognatori e visionari (talvolta finti), una voce che fa rilflettere.
CONTADINI AL POTERE – Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così da tirolese DOC, Harald Gasser è diventato uno dei protagonisti di Care’s, intervistato come (e più) di uno chef. In Alto Adige coltiva 600 varietà di frutta e verdura in modo completamente naturale. La sua è un’agricoltura eretica, forse solo la giusta strada per la felicità umana e la stabilità economica. Ascoltatelo. “Ci sono tanti piccoli produttori che non sanno cosa fare per sopravvivere, e smettono. Una realtà come la mia è possibile solo a gestione familiare, ma è la soluzione per salvare la pic1500 della Valzurio (Berga“Il nostro è un Planet cola agricoltura, creando reddito. mo). Giacomo Perletti e Matin stress: il punto Il mio orto non è un campo di lateo Trapletti, i titolari, hanno voro, è un campo di gioco. Gli orti spiegato la loro fatica: “Allenon è come gestire i hanno la personalità del contaviamo quaranta bovini di razrifiuti, ma pensare di dino, come un vino del vignaiolo. za grigio-alpina e lavoriamo Se non mi piace una cosa, non lo quotidianamente due quinnon farli”, sottolinea coltivo, non ti viene. Devi seguire tali di latte. Inoltre il recuNorbert Niederkofler il tuo istinto e seguire ciò che ti pero architettonico in atto dice la natura: ti insegna semdarà vita all’attività agrituripre e non ti licenzIa mai”. Una stica così da offrire ai clienprece: portatelo a Identità Goti e a noi stessi il gusto del lose 2018: questa sì che sarebbe provocazione al prodotto che diviene tavola e condivisione” posto di un tema generico come ‘Il fattore umano’. LE DUE SICILIE – Hanno cucinato, in modo totalI TRE PREMI – Lo Young Ethical Chef – supmente diverso come sono loro: Filippo La Mantia portato dal re della pasta Riccardo Felicet(oste e cuoco a Milano) e Pino Cuttaia, chef pati – è andato a Lorenzo Vecchia, classe tron de La Madia a Licata. Ma hanno colpito cuore ’92, lombardo di Pozzuolo Martesana, e palato. Il primo ha avuto il coraggio di dire la vechef-patron di un locale nato come rità, in un ambiente dove sembra che tutti si alzino Volm e che ora prenderà il suo noalle cinque di mattina per andare a trovare chi ha me. Grandi maestri (Cracco, Klugraccolto i carciofi alle quattro. “L’etica in cucina si mann, Berasategui) e un talento scontra con i ritmi della ristorazione in città dove innato non gli hanno fatto pertutto scorre veloce e i clienti sono più esigenti. Dodere il piacere di lavorare con ve trovo il tempo di andare a trovare il contadino al fornitori seri, in una zona non mattino, raccogliere gli ingredienti naturali e portarli facile come l’hinterland milain cucina? Lavoro nel mio ristorante 18 ore al giornese. Lo Young Ethical Hospitano e il tempo manca. Bisogna che le realtà come la lity – creato dalle Cantine Ferramia siano aiutate e supportate in questo senso”. Il ri – è stato vinto da Francesco secondo ha creato un piatto da urlo: Terra, a base Chiarugi, altro 26enne, maitre di lumache e topinambur. “Ci ho messo dentro tutdella nuova Osteria Gucci di Fite le cose che vivono sotto la terra” ha detto Cuttarenze, gestita da Bottura. Infine, il ia. Lavorasse a Milano forse avrebbe i problemi del Social Responsibility Award - sponcorregionale ma prenderebbe le Tre Stelle Michelin. sorizzato da Marchesi 1824 – che ha scoperto la validità della Contrada BricTRADITION - In parte non se ne può più di sentirconi, giovane azienda agricola nata dal rene parlare. Però la Masterclass più interessante si cupero delle strutture di un nucleo rurale del è rivelata quella dove quattro cuochi – già afferma-
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Focus food
si porta a casa nel mio paese metà degli Stati Uniti e siamo tutti a posto per secoli”.
ti – hanno raccontato come interpretano il passato delle rispettive cucine. Se i fratelloni Ivan e Sergei Berezutskiy (i più amati dal pubblico femminile, a vedere la platea) hanno parlato del recupero di antichi cibi russi, il turco Maksut Azkar ha parlato della sua passione per ‘una cucina anatolica che abbracci tutti i Paesi confinanti al nostro, in una comunanza spirituale e di gusto”. Abbiamo il sospetto che il cuoco del NeoLokal di Istanbul (nome azzeccato) non sia un simpatizzante di Erdogan o peggio non sia simpatico a chi ha il potere laggiù. Una grande battuta ‘politica’ anche dallo sloveno Tomaz Kavcic, in perfetto italiano. “Io faccio il tifo perché un giorno, la nostra Melania si separi da Donald Trump, così lei
CULTURAL CHANGE – Molto atteso il nippo-peruviano Mitsuharu Tsumura, lo chef del Maido a Lima , appena insignito del premio come migliore ristorante dei Latin America’s 50 Best Restaurants. Ha esposto le sfide del suo paese in materia di produzione alimentare e mercato locale. “La pressione dell’industria è sempre più forte e la maggior parte della popolazione sta perdendo il legame con la propria cultura gastronomica” si è lamentato. Poi ha proposto un piatto a base di macambo, frutto che assomiglia al cacao e di solito proviene dall’albero piantato di fianco a quello del cacao per tenerlo all’ombra. Con lui nella masterclass sulla contaminazione, l’australiano Jock Zonfrillo che ha presentato il suo progetto di archeologia culinaria. “La mia fondazione sta riscoprendo e ricostruendo il modo di nutrirsi degli Aborigeni. Questo comporta l’utilizzo di alimenti, che possono essere frutti o bacche, e di metodi di cottura ignorati dalla cultura dominante. Voglio essere la voce di questo mondo dimenticato, che invece è parte della nostra storia”. Per Care’s ha cucinato il kohlrabi, una sorta di cavolo rapa. Con loro non ha demeritato Takashi Iwai con la sua cucina contaminata tra Giappone e Italia, che esprime a Gaggiano, pochi km a ovest di Milano: Ada e Augusto è un piccolo ristorante inserito nella Cascina Guzzafame, dove nei piatti si usano per almeno il 70% ingredienti prodotti all’interno dell’azienda. Un salto di qualità rispetto al classico agriturismo perché Iwai, passato per grandi scuole nella penisola, mette in tavola tanta classe e abbinamenti coraggiosi. I NOSTRI EROI – Rappresentanza composita tra
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vecchi campioni come Sergio Mei, i cuochi del momento come Antonia Klugmann (bravissima a duettare sulle fermentazioni con Valeria Margherita Mosca), Alfio Ghezzi e il già citato Cuttaia, i giovani leoni, in parte già noti. Bravi tutti, ma ne segnaliamo tre che hanno realizzato piatti eccellenti: Lorenzo Cogo (sorprendente pure nella masterclass sulla mixology) , Martina Caruso e Andrea Tortora, pastry-chef del St. Hubertus che come un folletto incontravi in funivia a trasportare padelle nei rifugi, un’ora dopo a ‘controllare’ una masterclass e quella seguente ancora nelle sale del ristorante dove lavora abitualmente. A parte l’aver deliziato più volte con il suo panettone – cult dell’ultima stagione – ci ha colpito la bravura nel preparare - ai 2000 metri del Rifugio Fanes - i lievitati per l‘esclusiva cena per gli ospiti Audi, curata da Niederkofler. Stessa qualità di San Cassiano: bravo Norbert a trovare i talenti italici e a migliorarli così tanto. E bravo pure a ‘raccontare’ il rapporto tra le ricette del St. Hubertus e i produttori nei raffinati video di Mièle, veri e propri ‘short film’ che esaltano anche la natura sudtirolese. IL FONDATORE GUARDA AVANTI – A proposito, se prima il guru dell’Alta Badia era conosciuto (e stimato) da pochi addetti ai lavori più qualche gourmet che si faceva anche centinaia di km per sedersi al St. Hubertus, ora è tirato per la giacca (da cuoco) da chiunque lo incontri. Potere delle Tre Stelle Michelin (v. Coperina di Artù n.87) che non lo cambieranno per il suo equilibrio di base e la fortuna di vivere a San Cassiano. Il giocattolo, creato con il ‘comunicatore’ Paolo Ferretti e l’aiuto di non pochi colleghi – in primis il vecchio amico Giancarlo Morelli - ha retto benino l’urto di chi voleva esserci a ogni costo. Ma alla terza edizione, Norbert ha capito che senza uscire dalla rotta, bisogna fare qualche bordo in altri mari: vuoi perché non si vive di sola cucina vuoi perché l’etica si addice a tutto. Guardacaso, uno degli interventi ‘esterni’ più centrati è stato quello di Fabrizio Longo, direttore Audi Italia, che ha parlato del futuro dell’auto e della completa ecosostenibilità del settore. “Coinvolgeremo altri mondi, per alzare il livello di un evento che continua a portare qui nuovi amici da ogni Paese” ci ha anticipato. Si definisce ‘cuoco, montanaro, altoatesino’ ma a noi pare sempre un passo avanti.•
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Focus food
C’è un PreTesto per gli Umbria lover di Maurizio Bertera
Nella ristorazione c’è un ritorno al concetto di “etnico a casa nostra”, che difende tradizione e territorio. Un aspetto positivo della Nuova Milano è che, parallelamente al continuo sviluppo della cucina etnica – declinata nei modi più diversi, non sempre all’altezza -, si assista al ritorno dell’etnico ‘di casa nostra’: i locali dove si preparano piatti e cibi delle singole regioni italiane. Quelle meridionali so“Norcineria no da tempo prevalenti (e hanno preso il posto della Toscana, umbra al dominatrice sino agli anni ’80) servizio di chi ma ormai si trovano ambasciate culinarie di ogni regione. Quella ricerca il gusto dell’Umbria si trova in via Frateldella cucina li Campi 2, all’incrocio con viale cita con il meglio della norcineMontenero: PreTesto, Un bistrot ria umbra: dall’ottima coppa di casereccia” e una bottega interamente detesta al capicollo, dal lombetto dicati agli “Umbria food lovers“: al salame di cinghiale. Indiscuil punto forte è la vera torta al tibile la qualità dei prodotti che testo, già contenuta nel nome stesso del locale. Si arrivano quasi tutti i giorni dalla regione, basta prentratta di una focaccia impastata e cotta sul piatto dere uno dei taglieri di salumi e formaggi per rendi ghisa (il testo appunto) e successivamente fardersene conto. Il più grande è perfetto per un ape-
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ritivo o come antipasto per quattro persone. Quanto al menu vero e proprio, è un mix di tradizione e reinterpretazione: le zuppe della Valle dell’Oasi, gli umbricelli al tartufo di Norcia, la maxi bistecca alla fiorentina, la porchetta… C’è anche un’evidente attenzione allo street food con i frittini, l’arvoltolo (“pizzetta “ fritta tipica dell’area del Lago Trasimeno, ottenuta da un impasto a base di acqua, sale e farina) e l’originale Torta Burger, hamburger da 180 grammi di Chianina o di pollo proposti in svariate versioni dettate dalla fantasia degli chef e racchiusi nella torta al testo, per la prima volta in versione panino. Da provare. Tozzetti e Vin Santo ci sembra la miglior conclusione dolce per un’esperienza diversa sotto la Madonnina, ‘bagnata’ da un vino o una birra artigianale ovviamente della regione. Il servizio vivace, corretto e l’ambiente ‘urbano’ –legno grezzo, ferro, luci a sospensione – contribuiscono a rendere piacevole l’esperienza. Cucina e sala si guardano direttamente, per il divertimento dei clienti curiosi e il controllo dei cuochi in diretta. Per chiudere una certezza: dopo aver mangiato ‘qualcosina’ o assaggiato più proposte, uscire da PreTesto senza aver acquistato alla Bottega una prelibatezza ‘made in Umbria’. •
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Focus food
Il viaggio di Zhou e l’approdo a Milano Di Fiorenza Auriemma
Xiaobo e Alessandra guidano il Nishiki, etnico ragionevole. La zona intorno a piazzale Lodi – a Sud-Est di Milano - sta lentamente cambiando pelle. Niente di tutto questo era però all’orizzonte quando, il 28 dicembre del 2005, Xiaobo Zhou e la moglie Alessandra inaugurano il loro locale Nishiki in Corso Lodi: quello che ora viene chiamato “quartiere Scalo-Romana” era ancora di là da venire, e Corso Lodi e paraggi erano frequentati solo da chi ci viveva o ci lavorava. Dunque, una scelta coraggiosa la loro, e che si è rivelata vincente. Tanto “Un ricco menù che la scorsa estate, a distanza di impronta di diciassette anni dall’apertura, il locale è stato completamente giapponese ma rinnovato introducendo tonalità anche l’opportunità verde/blu/turchese ispirate al lago delle Fate, ai piedi del Monte di piccoli assaggi Rosa, e un arredo elegante e acche consentono un cogliente. Non per cambiarne l’ase imprenditorialità fa rima con nima, bensì per renderlo in linea serietà, farsi strada e affermarpercorso del gusto” con il rinnovamento del quartiesi è possibile, a prescindere dal re. «Prima era un bel posto dove dove e dal quando. si mangiava benissimo; ora è un Xiaobo Zhou nasce nel 1978, bel posto trendy, dove si mangia nelle campagne cinesi dello benissimo», riassume così Xiaobo Zhou la filosofia Zhejiang, a sud di Shanghai. Come molti suoi conalla base del rinnovamento di Nishiki, che ora connazionali all’epoca, a soli 12 anni intraprende un ta su cinque sale e sei salette privè indipendenti. lungo viaggio con fratelli per raggiungere in Italia il Nel mondo della ristorazione, la storia professionapadre che lavora come cuoco a Milano. A 15 anni le e personale della coppia Zhou testimonia che, inizia un lungo percorso di formazione in diverse cu-
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cine del capoluogo lombardo: dal ristorante di pesce Mediterranea – vicino alla stazione Centrale - al Tomoyoshi Endo di via Vittor Pisani, tra i primi ristoranti giapponesi in Italia; dal Sogo in Brera, dove impara l’arte del tempura, alla Compagnia generale dei viaggiatori naviganti e sognatori – indirizzo di tendenza di fine anni ’90, all’interno dell’attuale Cascina Cuccagna -, dove perfeziona l’arte del taglio del pesce. Concluso un primo breve esperimento imprenditoriale insieme alla moglie Alessandra, conosciuta a Milano nel ’97, Xiaobo Zhou torna a lavorare al kaiten dello Zen, per diventare poi socio di un locale - sempre giapponese - in Franciacorta (Mori Jungle Sushi). Nel 2005 fa rientro a Milano e, al numero 70 di Corso Lodi, acquista i muri di quello che sarebbe diventato Nishiki, con l’idea di aprire un giapponese di quartiere. «Questo posto ha sempre ospitato ristoranti», racconta Zhou. «Quando lo abbiamo rilevato noi era una pizzeria, subentrata a un cinese che prima ancora aveva preso il posto di un ristorante tradizionale». Non è una scelta azzardata, quella della coppia Zhou: all’epoca, la popolarità della cucina
Nella pagina a fianco: Edi Beqja titolare del Pier52; due piatti opera dello chef Liborio Genovese; in questa pagina: l’ingresso e l’interno del Pier52.
In questa pagina: Xiaobo Zhou con la moglie Alessandra; nella pagina a fianco: Roll Angus e Foie Gras; la sala del ristorante.
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Focus food In questa pagina: la cucina a vista con la brigata al lavoro; una veduta della mise en place della sala; infine, Soba matcha e Bottarga.
a unire la filosofia giapponese ad alcuni ingredienti italiani, e a offrire piatti sfiziosi e presentati bene, che appagano prima la vita e poi il gusto, passando anche per il tatto». Il menu attuale è caratterizzato dai diversi Nishiki Spoons, assaggi presentati su cucchiai di ceramica per essere mangiati in un sol boccone: Salmone che avvolge uovo di quaglia e tartufo, Ostrica abbracciata da salmone e da una foglia sottile di zenzero e rapanello, Capasanta con salsa di mango e passion fruit. Un classico della casa è il tempura
giapponese è in crescita. «Fino al 2000 circa, mangiare giapponese era un lusso a Milano: la curiosità c’era, ma non tutti potevano permettersi di spendere 150 mila lire a persona. La svolta è arrivata grazie a Zen, dove potevi fare conoscenza con le specialità nipponiche spendendo la metà». Azzeccato il momento, dunque, Zhou fa centro anche con il luogo: Corso Lodi è sì periferia – all’epoca, appunto, senza nessuna particolare attrattiva – però rispetto ad altri locali più centrali ha il vantaggio di essere comodo per i non milanesi. «Siamo vicino alla tangenziale e all’autostrada, quindi facilmente raggiungibili da chi
viene dall’hinterland», spiega Zhou. «All’inizio infatti venivano molto amici bergamaschi e della zona della Franciacorta, che mi conoscevano dai tempi del Mori Jungle Sushi. Poi, piano piano, sono arrivati abitanti del quartiere e persone di passaggio». E così Nishiki, anno dopo anno, cresce. Oggi, i posti sono 150 circa, e nel fine settimana di arriva fino a 220/250 coperti. Alessandra è in sala ad accogliere i clienti e a verificare che tutto sia sempre in ordine, mentre Xiaobo passa tra i tavoli, saluta i tanti amici di vecchia data che tornano spesso a cenare da lui, e intanto pensa a nuove idee e progetti: «Puntiamo
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di fiori di zucca ripieni di tartare di gamberi. Ci sono poi i Nishiki Rolls, che variano nel gusto e nel colore: dal Soft Roll con branzino e granola di pistacchi all’Astice Roll, con astice all’esterno e gambero in tempura e avocado all’interno; dall’Angus Roll, con carne di Angus e foie gras all’esterno, asparago in tempura e avocado all’interno, al Fashion Roll avvolto da un misto di pesce scottato. Tra i caldi, il classico Black Cod in salsa Miso e gli Yakisoba al Tè Verde con Verdura e Bottarga. Il costo medio per una cena e di 60/70 euro, vino compreso. Per ora, i dolci sono forniti da una pasticceria esterna, ma l’intenzione è organizzarne in cucina. E da dove arriva il pesce? «Da quando abbiamo aperto mi rivolgo allo stesso fornitore per branzini, ricciola, astici e salmone. Ne ho un altro per i gamberi, mentre per il tonno cambio in base all’offerta del momento», precisa Zhou. Attualmente, in cucina lavorano dieci persone, quattro delle quali al banco sushi. In sala, il personale varia da sei a dieci il fine settimana, padrone di casa compreso: «In questi anni abbiamo sviluppato il servizio che prima era più semplice: man mano che lavori, ti guardi in giro, impari, migliori e acquisisci anche maggiore maturità, in cucina come in sala». Come dargli torto? •
Il nuovo libro di
Michelangelo Citino
Lo chef si racconta Michelangelo Citino, lo chef aeroportuale, come molti lo definiscono, essendo executive del ristorante gourmet all’interno dell’aerostazione di Linate, si racconta, in lungo e in largo. Dalla gavetta al successo, attraverso incontri con chef famosi, bravi e meno bravi, passando per momenti di gioia e di tensioni, vittorie e delusioni, esperienze memorabili o, spesso, da dimenticare: la storia di una carriera importante, culminata con la grande responsabilità di condurre il suo “Michelangelo”, è racchiusa in poco più di cento pagine, ricche di episodi toccanti ma anche di ricette degnamente illustrate. Un libro che non può mancare nella biblioteca di professionisti e gourmet, destinato a far riflettere e, ancora di più, discutere sul presente e futuro dell’alta ristorazione in Italia e nel mondo.
In vendita presso il Ristorante Michelangelo di Linate e presto disponibile nei maggiori bookshop, duty free e piattaforme e-commerce. Per info rivolgersi a: Mychef Ristorazione Commerciale SpA | Viale Caldera 21 Milano | info.it@areas.com
Accueil
Heure Bleue Palais Il prestigio abita qui di Gualtiero Spotti
A Essaouira, in Marocco, sito Unesco di incredibile fascino, questo Relais & Chateau offre 33 camere da favola. Se Marrakech rappresenta la città più turistica e conosciuta del Marocco, con la sua gigantesca Piazza Jemaa El Fna, il caotico e affascinante souk e la vita frenetica che anima i suoi quartieri ad ogni ora del giorno, la città di Essaouira, a tre ore di distanza e affacciata sull’Atlantico, è in qualche modo percepita come la sua estensione balneare. Certo, è più ridotta per dimensioni rispetto a Marrakech, ma è pur sempre frequentata da un cospicuo numero di visitatori stranieri e la spiaggia, così come la cittadella, offrono uno scenario più vacanziero e rilassato. Non solo, l’antica Mogador “La cucina dell’hotel (nome utilizzato a lungo dai conquisi fa notare per la statori portoghesi di un tempo) dimostra anche di possedere un suo notevole attenzione carattere e qualche peculiarità che ai prodotti del la rendono decisamente unica, come il numero impressionante e per territorio, in alcuni certi versi divertente dei gatti che casi a km zero” la animano e che sembrano essere i veri padroni della città, distribuiti, come sono, massicciamente, tra la Medina e il porto, e sempre alla ricerca di un po’ di cibo. Essaouira, sito Unesco di Saidi per poi diventare prima straordinaria bellezza, è una località capace di riun orfanotrofio e infine cadesplendere in un tripudio cromatico che vede come re nel preoccupante stato di protagonisti assoluti il bianco e il blu. Con il bianco totale abbandono. Solo l’acquasi abbagliante delle case destinato a mescolarsi quisizione negli anni più real blu scuro dell’Oceano e a quello più rassicurante centi da parte della famiglia del cielo. Il luogo che, invece, rappresenta al meglio Azoulay ha permesso, dopo l’ospitalità, il gusto e lo stile locale, con un tocco un una brillante ristrutturazione, di restituirlo alla città po’ coloniale e la netta sensazione di entrare a far nelle vesti di albergo di prestigio, con 33 camere parte di un mondo antico, è ormai da quindici anni dove si vive appieno l’emozione un po’ retrò dell’era circa il palazzo de L’Heure Bleue, un hotel affiliato coloniale, tra mobili e ambienti che ricordano l’Osin dalla sua apertura avvenuta nel 2004 ai Relais riente e l’Africa ma capaci di offrire comfort moder& Chateaux e che nel corso del secolo scorso ha visni. La struttura, come sempre accade per i palazzi suto un periodo glorioso come Riad du Caid Mbark storici marocchini, è quella di un Riad, ovvero di un
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palazzo che ha al suo interno una corte con una fonte d’acqua, una piscina o un giardino rigoglioso (e quest’ultimo è il caso de L’Heure Bleue) sulla quale si affacciano le stanze. In cima al palazzo invece si gode di una vista magnifica che abbraccia l’intera città così come l’oceano, ma c’è anche modo di rilassarsi ad un bar o di nuotare in una splendida
Nella pagina a fianco: vista esterna dell’Heure Bleue Palais; l’interno di una delle suite; in questa pagina: vista del patio interno; il cuoco Ahmed Handour; l’elegante sala del ristorante; la meravigliosa terrazza e infine, la sala relax con il tavolo da biliardo.
piscina di acqua riscaldata. Poi è davvero difficile rimanere indifferenti di fronte all’architettura ricca di charme del palazzo e ai molti dettagli o agli spazi che lo arricchiscono, come nel caso della piacevole sala del biliardo, dell’attiguo home cinema, o del Salone orientale che ospita il ristorante. Come è facile immaginare la cucina qui riveste un ruolo davvero importante e ad occuparsene è l’esperto e simpatico cuoco Ahmed Handour, originario della regione di Beni Mellal e impegnato a rappresentare al meglio i prodotti del territorio, con qualche inevitabile deriva francese. Il menu offre diverse possibilità per chi vuole muoversi tra verdure, frutti di mare e animali da cortile locali andando alla scoperta di qualche delizia a chilometro zero (pochi sanno, ad
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esempio, che a nord di Essaouira, nella località di Oudalia, una piccola laguna da diversi decenni è zona di produzione di prelibate ostriche e frutti di mare), così si passa con una certa agilità dalle delicate preparazioni di una tartare di astice o del pesce del giorno preparato in crosta di sale con l’olio extravergine di Abderrahim, al couscous più deciso con una granita di Harissa o alla spalla di agnello con spezie candite, e ancora al pollo cotto in tagine, con limone e zafferano Taliouine. Anche se poi vale la pena lasciare un piccolo spazio per i formaggi di capra che arrivano da Meskala o per i dolci, come la pastilla al latte di mandorle (che viene preparata al tavolo in una versione millefoglie) o l’originale mousse di cioccolato senza uova e zucchero. Per vivere appieno l’esperienza di un pasto marocchino, che solitamente viene accompagnato dalla musica live in sottofondo di un suonatore di Oud, si può perfino sorseggiare il vino L’Heure Bleue du Val d’Argan, realizzato in esclusiva per l’hotel e proveniente da vigne che si trovano a pochi chilometri da Essaouira. Infine, c’è anche tempo per il relax e il benessere, con il delizioso e piccolo hamman cui si accede dal interno dell’albergo. Trattamenti con il sapone nero, scrub, massaggi su prenotazione e tutta la magia e l’intensità dell’olio di Argan per esperienze da Mille e una notte. •
Visti al bar
Diageo Riserve, i migliori spirit del mondo di Virginia Zacchetti
Per il terzo anno consecutivo, i maggiori esperti del settore hanno assegnato il titolo di Best Performing al portfolio della nota azienda. È provato: la collezione di distillati ultra premium di Diageo (ossia la Reserve Diageo), domina il mercato degli spirit. A dirlo è l’Annual Brands Report 2018 di Drinks International, ossia la classifica del settore beverage (distillati, vini e birre), che ha riconfermato la collezione come Best Performing portfolio. Diageo è una nota azienda che opera a livello mondiale nel mercato delle bevande alcoliche: nel suo portfolio vanta marchi prestigiosi quali Johnnie Walker, Crown Royal, J&B, Buchanan’s e Windsor whisky, le vodke Smirnoff, Cîroc e Ketel One, Captain Morgan, Baileys, Don Julio, Tanqueray e Guinness. La top ten viene stilata attraverso la messa a punto di Report annuali dedicati alle singole categorie di prodotto, facendo riferimento a una doppia graduatoria: quella degli spirit Best Selling, tenendo come indicatori i volumi di vendita, e quella dei Top Trending, che premia invece i brand di maggior tendenza. Le top ten vengono redatte con il supporto di un’élite di esperti del settore di tutto il mondo (proprietari di locali, bar manager e bartender), che individuano le tre migliori etichette dei loro locali per ognuna delle due classifiche. Diageo Reserve domina nella sezione vodka e whiskey americani rispettivamente con Ketel One e Bulleit, brand che si aggiudicano il gradino più alto del podio sia tra i Best Selling sia tra i Top Trending. Va detto che da sei anni a questa parte nessun competitor è riuscito a scalzare la storica vodka olandese dalla prima posizione, mentre il brand americano di whiskey svetta in classifica per il terzo anno di fila, forte anche del lancio del nuovo Bulleit 10yo. Nella categoria dei gin Tanqueray si aggiudica l’oro tra i Best Selling e l’argento tra i Top Trending ma non accontentandosi di questi due riconoscimenti, il distillato dall’iconica bottiglia verde ha vinto anche il Bartenders’ Choice, categoria
extra del report, che premia i distillati preferiti dai bartender, al di là delle vendite e delle tendenze. Anche tra i tequila, Diageo Reserve registra un altro successo: il brand messicano Don Julio, infatti, si stabilisce in cima alla classifica dei Best Selling per il terzo anno consecutivo, ottenendo anche un ottimo secondo posto tra i Top Trending. Diageo però non è solo tradizione ma anche innovazione come testimonia il neonato Roe&Co., la new entry nelle classifiche degli Irish whiskey che, a un solo anno dal lancio, è riuscito a conquistare un ottavo posto in entrambe le graduatorie. Infine, il celebre rum guatemalteco Zacapa si riconferma tra i migliori
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distillati al mondo della sua categoria, aggiudicandosi il terzo posto per popolarità e il quarto per vendite. Cristina Diezhandino, Managing Director di Diageo Reserve, ha commentato: “Gli straordinari risultati del portfolio Diageo Reserve sono in parte dovuti anche all’importante contributo della nostra piattaforma World Class, istituita allo scopo di diffondere la cultura del bere bene. Ad oggi, World Class ha formato oltre 300.000 bartender a livello internazionale inoltre, quest’anno celebreremo il decimo anniversario della World Class Bartender of the Year, la maggiore competizione di bartending al mondo”.•
Focus beverage
Acqua Daggio, bella e buona di Virginia Zacchetti
Alla Baitella ci si sente a casa. Si degustano formaggi, pasta fresca e…acqua naturale. A Cinisello Balsamo, dal 1987, c’è La Baitella. Un luogo che, grazie al lavoro di un team appassionato e capace – con Stefano Franco e sua moglie Monica, titolari dell’esercizio, lavorano Gianni Passerini, chef, e i suoi aiuti, Matteo Di Cosmo e Gianni Buson, mentre la sala è affidata a Anna Colabufo - si è guadagnato il suo spazio. Prima come negozio di formaggi francesi – e i formaggi restano un caposaldo anche oggi, tanto che sono il primo alimento a comparire nel menu - poi come ristorante e gastronomia. Negli anni, infatti, il negozio si è ampliato e oggi è un punto di riferimento per chi vuole acquistare formaggi di tutte le fogge (a latte crudo, di
capra, di pecora, di bufala, vaccini), piatti pronti e pasta fresca. Il ristorante – pochi piatti di stagione, un numero limitato di posti a sedere, e aperto al mezzogiorno e solo due sere alla settimana – è un luogo accogliente, dove ci si sente a casa. Su una parete del locale fa bella mostra di sé una composizione realizzata da Stefano con i tappi di sughero. A proposito di tappi, e dunque di beverage, le 150 etichette di vino attentamente selezionate sono affiancate da Acqua Daggio di Norda.
Stefano Franco (titolare), con il suo staff
«Abbiamo scelto acqua Daggio di Norda fin da quando abbiamo aperto il locale – ha raccontato Stefano Franco, titolare della Baitella -. L’abbiamo scelta per una serie di motivi, non ultimo quello estetico: la bottiglia è molto bella esteticamente e c’è poi un forte legame tra la qualità di quest’acqua e l’esperienza consolidata del marchio. Naturalmente l’abbiaAcqua Daggio è mo scelta anche per le sue caratteristiche orstata scelta per le ganolettiche: il suo gusue caratteristiche sto leggero si sposa bene con i sapori - a volorganolettiche e te decisi - dei piatti del per l’estetica della nostro menu». Acqua Daggio di Norda bottiglia. nasce da una delle sorgenti più alte di Europa, a 1935 metri di altezza, in Valsassina. L’acqua defluente dalla riccia viva non subisce trattamenti artificiali, sgorgando naturalmente pura grazie all’elevato potere filtrante delle rocce. Una volta captata, viene convogliata allo stabilimento di Primaluna (lecco), tramite una tubazione di acciaio inox lunga circa 10 chilometri dove, imbottigliata, arriva pura sulle tavole di abitazioni private e ristoranti. Anche della Baitella. •
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Libri
I vini lombardi, il magnar ben del Nord-Est e la storia di chef Citino
Titolo: Venezie a tavola Autore: Luigi Costa Editore: Venezie post Pagine: 286 Prezzo: 14,00 €
Titolo: Prima di chiedere, DARE Autori: Michelangelo Citino Editore: Edifis Pagine: 112 Prezzo: 18,00 €
Titolo: Viniplus di Lombardia 2018 Autore: AA.VV Editore: Associazione Italiana Sommelier Lombardia Pagine: 560 Prezzo: 25,00 €
Titolo: Best Gourmet 2018 Autore: Maurizio Potocnik Editore: Club Magnar Ben Editore Pagine: 596 Prezzo: 23,00 €
Alla scoperta dell’Nord-Est 152 ristoranti, 31 pizzerie, 24 vini, 4 birrifici e 25 prodotti. È questa, in sintesi, Venezie a tavola, la guida per chi vuole scoprire le eccellenze enogastronomiche di quel territorio che trova spazio tra Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli, coinvolgendo in modo particolare le province di Verona, Vicenza, Padova, Venezia, Rovigo, Treviso, Belluno, Pordenone, Udine, Gorizia, Trieste, e che si estende fino a Slovenia e Istria-Croazia. La prima edizione risale al 2011 e si prefiggeva lo scopo di raccontare e rendere giustizia a tutti coloro che operano “golosamente bene” in questa terra. Anno dopo anno, edizione dopo edizione, sono state raccontate diverse eccellenze. E anche l’ottava edizione è un ideale viaggio tra i sapori - e le persone - tipici di questa terra.
Chef Citino si racconta Onesto, trasparente, ricco di testimonianze vissute in prima persona e raccontate con passione. Così, in sintesi, il libro scritto da Michelangelo Citino, lo chef che, nel suo ristorante sito all’interno dell’aerostazione di Linate, propone a clienti e gourmet il suo percorso di alta qualità, fatto di piatti che si fanno comprendere, per gusto, sapori, estetica, leggerezza e equilibrio. Impreziosito dalle ricette originali dell’autore, il volume è uno strumento di conoscenza e approfondimento dedicato a chef professionisti ma, soprattutto a chi, fra le mura domestiche, vuole mettersi alla prova con obiettivi ambiziosi.
Guida ai vini lombardi 233 aziende recensite, ognuna con la propria filosofia produttiva, che vanno a rappresentare il meglio della produzione lombarda. Tra le novità dell’edizione 2018, che ha coinvolto 108 degustatori (ogni bottiglia è stata valutata da tre diverse commissioni, al fine di garantire l’imparzialità del giudizio) la web app innovata e ottimizzata per essere visualizzata al meglio su pc, smartphone e tablet. A testimoniare la qualità della produzione lombarda, quest’anno sono state assegnate 50 “Rose Camune d’Oro”, ossia il riconoscimento dedicato a quei vini di grande qualità, in cui è riconosciuta anche la coerenza produttiva delle aziende, soprattutto se questa è orientata alla valorizzazione del vitigno.
Il Magnar ben dell’Alpe Adria Sono 400 i ristoranti di Italia, Austria, Slovenia e Croazia che appaiono sulla ventiduesima edizione della guida Magnar Ben Best Gourmet 2018. Le novità per l’edizione 2018 sono più d’una. La prima è il nuovo focus sul vino e sulla ricca produzione della macroregione: sono 80 le etichette che vanno a comporre la “carta vini dell’Alpe Adria da veri collezionisti”. Altra novità sono i 60 prodotti d’autore: per ciascun prodotto una scheda degustazione completa, con l’indicazione del prezzo. Infine, oltre alle rubriche dedicate alla ristorazione, ai vini e ai prodotti, anche una sezione dedicata a Relax&Gourmet, ossia una raccolta di 20 hotel dove l’ospitalità e i servizi wellness si uniscono all’evoluzione di una cucina gourmet basata sulla naturalità.
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La Ricetta di Artù
Un piatto-mito di Andrea Berton a cura di Maurizio Bertera Un pranzo o una cena al Ristorante Berton di Milano dà sicurezza quanto il Franco Baresi dei giorni migliori: non si sbaglia mai, dagli amuse-bouche al dessert è una sequenza di piatti ben eseguiti, netti, eleganti che rappresentano perfettamente Andrea Berton. Cuoco di alta scuola ma che si diverte anche a sorprendere: la Pizza meringa, lampone e fragoline di bosco, portata al tavolo in una confezione nera, è l’ultimo esempio che sta conquistando i clienti del locale di Porta Nuova. “Una provocazione divertente verso la fine del menu degustazione, ‘che viene servita al tavolo nascosta dal cartone, come arrivasse da una pizzeria esterna – racconta lo chef friuliano – dentro c’è questa pizzetta dolce, composta e coloratissima. La tradizione con il pomodoro e la mozzarella unita alla fantasia della meringa. E poi mi piaceva ironizzare sul fatto che sono un cuoco ma anche un pizzaiolo!”. Diciamo meglio: Berton è uno dei soci di Dry, brand con due pizzerie in città che hanno cambiato realmente il ‘modo’ di gustare uno dei cibi per eccellenza della cucina italiana. Con quel tocco di classe che ad Andrea viene naturale. •
Pizza meringa, lampone e fragoline di bosco Ingredienti per quattro persone Per la base metilgel 330 g acqua 8 g metilgel Per la meringa al lampone 80 g di sciroppo 1:1 10 g. di polvere di lampone 60 g di base metilgel 80 g di albume emulsionato con 4 gr. di albumina Per la meringa bianca 80 g di sciroppo 1:1 60 g di base metilgel 80 g di albume emulsionato con 4 gr. di albumina Per la gelatina di mozzarella 250 g di acqua di mozzarella di bufala 1.6 g di gelatina jota Per la composta di pomodoro 500 gr. di pomodori datterini mondati e tagliati a metà mezza stecca di vaniglia zeste di 1 limone grattato
Procedimento Per la base metilgel: emulsionare il tutto e lasciare riposare per 48 ore in frigorifero. Per la meringa al lampone: montare l’albume con l’albumina per 5 minuti. Aggiungere lo sciroppo e montare per 10 minuti. Aggiungere la polvere di lampone e montare per altri 3 minuti, aggiungere la base metilgel e montare per 4 minuti. Dressare la meringa con l’aiuto di uno stampino tondo di 8 cm. di diametro su placche foderate con carta da forno. Per la meringa bianca: montare la meringa seguendo lo stesso procedimento. Dressarla intorno ai cerchi di meringa al lampone, curando l’effetto ‘cornicione della pizza’. Mettere a seccare a 50° per 24 ore. Con un cannello colorare il bordo delle pizze. Per la gelatina di mozzarella: emulsionare l’acqua di mozzarella con la jota e portare il tutto a 85 C°. Raffreddare immediatamente e lasciare gelificare. Per la composta di pomodoro: cuocere il tutto fino ad ottenere una composta. Lasciare raffreddare. Eliminare la vaniglia e frullare fino ad ottenere una crema liscia ed omogenea. Impiattamento; dressare sulla pizza la composta di pomodoro, la gelatina di mozzarella e le fragoline. Terminare con una spolverata di origano in polvere e con le foglie di basilico.
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La foto di Ferdinando Cioffi
PAUL BOCUSE, il grande chef francese, tre stelle Michelin a Collonges su Mont d’Or, mancato il 20 gennaio scorso all’età di 91 anni, in una grande foto di Ferdinando Cioffi.
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Pillole Oldani e i Maestri all’Olmo
Bollicine Rosé per San Valentino
Due new entry per Buon Ricordo
Innamorarsi del rum, a Milano
Un’iniziativa ideata da Davide Oldani e realizzata in collaborazione con l’Istituto per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera di Cornaredo. Si tratta di “Maestri all’Olmo”, ossia una serie di incontri durante i quali gli studenti avranno la possibilità di confrontarsi con le eccellenze della cucina italiana. Importanti chef racconteranno infatti la loro esperienza personale, umana e professionale, nonché esporranno le loro considerazioni sulle prospettive future dell’enogastronomia. Tra gli altri, durante l’anno scolastico 2017/2018, interverranno Niko Romito, Massimo Bottura, Andrea Berton, Enrico Crippa e Carlo Cracco. Per il prossimo anno (2018/19) sono previsti nuovi incontri periodici con altre personalità di spicco dell’enogastronomia nazionale.
Nell’anno del 200esimo anniversario, è d’obbligo per San Valentino festeggiare con una bottiglia di Veuve Clicquot Rosé e i coffret ideati dalla Maison per rendere omaggio a una grande Cuvée. In particolare, Veuve Clicquot Anniversary Bucket Cake si presenta come uno squisito dessert, in realtà, è un cofanetto di metallo realizzato con “barattoli di vernice”: quando si apre si trasforma in un secchiello per il ghiaccio che contiene una bottiglia di Veuve Clicquot Rosé. Veuve Clicquot Ice Jacket Rosé, invece, realizzata un tessuto isotermico, permette di conservare per due ore lo Champagne Veuve Clicquot Rosé alla temperatura ideale di degustazione. Veuve Clicquot Rosé è caratterizzato da una predominanza di Pinot Noir, secondo lo stile della Maison, completato dalla raffinatezza dello Chardonnay e dalla rotondità del Pinot Meunier. Fruttato e luminoso, è assemblato con i vini rossi di riserva della Maison per ottenere il suo colore brillante.
Sono due le nuove insegne che entrano a far parte dell’Unione Ristoranti del Buon Ricordo nel 2018: Amerigo, dal 1934 Trattoria e Locanda di Savigno (Bologna) e Trattoria alla Luna di Gorizia. Queste le specialità: Ravioli di friggione con burro e Parmigiano Reggiano 36 mesi di Bianca Modenese per l’Amerigo e Gnocchi dolci per la Trattoria alla Luna. Due, nel 2018, i ristoranti del Buon Ricordo che hanno deciso di cambiare la loro specialità e quindi hanno un nuovo piatto a rappresentarli: il Mori Venice di Parigi proporrà Cicchetti della laguna e il Ristorante Salice Blu di Bellagio (CO) Trilogia di pesce pescato nel lago di Como.
Sulla scia del successo dello scorso anno, sabato 10 febbraio 2018 dalle 14,00 alle 24,00 si è tenuta la seconda edizione del Milano Rum Festival, presso l’Hotel Marriott. Appassionati ed operatori del settore hanno avuto la possibilità di degustare e acquistare rum scegliendo tra centinaia di etichette, e assaggiare i cocktail preparati da famosi bartender italiani. Il tutto con la possibilità di conoscere esperti in materia e lasciarsi trasportare ed affascinare dalle storie che si nascondono dietro i sapori di questo distillato. Non sono mancati seminari e masterclass.
Cecchi distribuisce Poggio Antico
Un nuovo accessorio per la degustazione del caffè, caffè corretto, miscele speciali, liquori. È Cafluttino, la nuova proposta Ancap pensata per i professionisti che ricercano strumenti dal design inusuale. La sua originale forma a calice ricorda le sembianze di una calla che si eleva verso l’alto, come per rendere esclusivo il momento della degustazione. Un oggetto di design, reso ancor più particolare dall’unione di due materiali pregiati: la porcellana ed il vetro. Cafluttino è disponibile nella versione Vivaldi, forma aggraziata e dai richiami barocchi, e nella versione Degustazione, dal design minimal e contemporaneo. Entrambe le forme sono studiate per esaltare l’aroma del caffè, la perfetta formazione della crema e garantire la persistenza del calore. Tutto unito alle prestazioni della porcellana dura feldspatica Ancap, che compone le due tazze: cotta circa a 1400 °C, garantisce robustezza, resistenza a urti e conformità alle più restrittive norme igieniche.
Il vino protagonista dei palazzi senesi La terza edizione di Wine&Siena, la manifestazione tesa a promuovere il meglio della produzione vitivinicola e culinaria italiana ideata da Gourmet’s International, è andata in scena il 27 e 28 gennaio. Si tratta di un evento diffuso in diverse location, quali Palazzo Salimbeni, il Grand Hotel Continental-Starhotel e il Palazzo Comunale di Siena. Una manifestazione rivolta ad addetti ai lavori e ad appassionati, che permette di degustare più di 500 vini e molti prodotti gourmet. All’edizione 2018 di Wine&Siena hanno partecipano oltre 150 case vitivinicole e numerosi artigiani del gusto con i loro prodotti tipici di eccellenza, selezionati tra i vincitori di The WineHunter Award 2017.
Nel 2018 Famiglia Cecchi, gruppo in cui il settore della distribuzione è ormai ben testato grazie alle partnership con la Maison di Champagne RM Collard Picard, Castiglion del Bosco, Castelfeder, Sorentberg e Julius Treis in Mosella festeggia i 125 anni di attività. Ed è proprio all’inizio di questo anno che ha firmato un contratto di distribuzione con Poggio Antico, realtà di spicco della zona di produzione del Brunello di Montalcino. La tenuta si trova nel versante sud ovest nell’omonima Località Poggio Antico, a 4 km da Montalcino in direzione Sant’Angelo in Colle, ed è costituita da un unico corpo di 200 ettari che comprende 33 ettari di vigneti e 3 ettari di uliveti e boschi. Poggio Antico ha deciso di puntare interamente sui vini della denominazione di Montalcino nel mercato domestico, potendo contare su 25,77 ettari a Brunello di Montalcino e 1,9 ettari a Rosso di Montalcino.
Cambio al timone del Pellicano L’hotel “Il Pellicano” di Porto Ercole e lo chef Sebastiano Lombardi, una stella Michelin conquistata nel 2011 e ininterrottamente confermata anche nell’attuale Guida 2018, hanno deciso di intraprendere strade diverse, interrompendo consensualmente la loro collaborazione. Al posto di Lombardi, sarà chef Michelino Gioia a guidare le cucine del hotel.
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Cafluttino, pensato per i professionisti
Alberto’s choice
Il Monferrato che non ti aspetti CASCINA FALETTA, VINI E OTTIMA CUCINA
LEGENDA
CASCINA FALETTA
Reg. Mandoletta, 81 Casale Monferrato (Al) www.faletta.it info@faletta.it Tel. 0142670068 Chiuso Lunedì e Martedì
Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta
Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza
Diciamolo chiaro: pochi si aspetterebbero in questo lembo di Monferrato alessandrino (per l’esattezza casalese) un vertice enogastronomico di questo livello. Perché mai, qualcuno si chiederà: semplicemente perché la grande concentrazione di destinazioni gourmet viene quasi sempre percepita in altre aree del Piemonte, che hanno probabilmente un maggiore appeal mediatico e turistico: Langhe, Roero, Astigiano, Cuneese. In realtà questa è una percezione corretta ma limitata: è pur vero che quei territori, forti di produzioni vinicole paludate e di una ristorazione stellata (in alcuni casi, stellare, come il Piazza Duomo, ad Alba,magistralmente guidato da Enrico Crippa, o come l’Enoteca di Canale,
Due corone = Linea di cucina corretta
Una corona = Cucina dignitosa e affidabile
con Davide Palluda, grandissimo chef), sono un eccellente riferimento, ma anche questo lembo orientale di Piemonte merita doverosa attenzione e rispetto. Un esempio per tutti è dato da questa Cascina Faletta, a Casale Monferrato, una struttura del 1881 restaurata con classe e diventata meta di ospitalità raffinata. Faletta è prima di tutto azienda agricola, guidata da una splendida famiglia di imprenditori, Giovanni Rosso con la moglie Elena Novarino e il figlio Lorenzo, impegnato con passione sul fronte vino. Posizione straordinaria, con vista sulle colline Cantina con camere, viene da dire, ma non basta; cantina con piscina, camere, appartamenti e un bel ristorante, guidato da uno chef appassionato, Paolo Viviani, alle spalle solide esperienze nella zona del lago d’Orta, del Novarese e all’estero. L’occasione per
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Corona nera = C’è ancora molto da fare
Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza
Due cervelli = Ragionevole
Un cervello = Abbastanza ragionevole
Cervello nero = Scarsamente ragionevole
A Artù Numero 88 gennaio/febbraio 2017
Alberto’s choice
Direttore editoriale Alberto P. Schieppati - alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile Andrea Aiello
Lo chef Paolo Viviani
conoscere questo luogo e queste persone arriva da un invito a degustare i vini dell’azienda agricola, fra i quali spicca un Pinot Nero di livello, che ben esprime le potenzialità del territorio, accanto a Barbera del Monferrato ed altre varietà, che ben evidenziano gli sforzi dell’enologo Luca Caramellino. Dunque, avrete capito che qui si possono fare esperienze diversificate: vacanza relax in collina, degustazioni di vini dalla forte identità, scoperte di un passato ricco di storia. Ma c’è un’altra esperienza che merita il viaggio (e qui sono confortato dall’amico Edoardo Raspelli, che ha da poco scritto un pezzo sul ristorante della Cascina. Aldilà della bellezza della sala, ampia e ricca di vetrate, spicca la cucina, bella e pulita, di Paolo Viviani, un cuoco aderente alla realtà, seppure incline a ricerca appassionata di materia e a coraggio personale nell’eseguire i piatti. Ma da qui a fare voli pindari-
ci (e di complessa comprensione) come fanno troppi chef, ce ne passa. Ed è in questo spazio di ragionevolezza (tanto cara ad Artù) che si situa il percorso di Viviani. Il piatto deve colpire, raggiungere il cuore, ma anche allietare la tavola, far godere il cliente, fargli sentire il gusto della materia, i sapori più veri.E, se possibile, deve saper trasmettere autenticità, oltre a rispetto delle tradizioni e dei sapori antichi, ma in chiave moderna. Lo chef Paolo, aiutato in sala dall’appasionato Federico, non sbaglia un piatto: E i patron lo seguono e assecondano con soddisfazione, visto oltretutto che la clientela, italiana e internazionale (molti olandesi, tedeschi e francesi passano di qui) gradisce assai la sua cucina. Due i menù degustazione proposti da Paolo (Tradizione a 40 euro e “A sorpresa”, ovvero 5 portate scelte dallo chef a 55) e una Carta di una ventina di voci fra cui svettano piatti succulenti ma ricercati, per non dire raffinati. Un menù che è un valido motivo per fermarsi al “1881” ( il nome del ristorante)per una pausa realmente gourmand. Fra gli antipasti: Uovo croccante, topinambur, gorgonzola e cacao; Crudo di ricciola, barbabietole e crema all’acciuga; Combinazione di lingua, cervella, olive e nocciola tonda gentile; Battuta di scottona e puntarelle e cheesecake di formaggio di capra. Fra i primi: Risotto ai carciofi, animella e curry; Pasta fagioli, lenticchie e calamari; Agnolotti al ripieno di ossobuco, parmigiano e zafferano; fra i secondi, oltre alla Costata di bue grasso di Carrù(stratosferica per tenerezza e frollatura della carne) raffigurata in queste pagine (ordinatela solo su prenotazione), spiccano: Baccalà mantecato, castagne e burrata, Ganascino di maiale, lattuga e radicchio rosso, Quaglia e foie gras di anatra; Cotechino arrostito , lime, patate e insalatina di porri, Cavolfiori con Raschera e pistacchi. Piatti belli e rotondi, espressione di un grande amore per materia e tecniche. Fra i dolci, ho ricordi memorabili da Zabaione al ratafià nocciole e cannella ma, dicono, il Tiramisù è un must. Non abbiamo alcun motivo per dubitarne.
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In redazione Emanuela Stìfano - emanuela.stifano@edifis.it Massimo Andreis - massimo.andreis@edifis.it Contatti artu@edifis.it - www.artumagazine.it _______________________________________________________________
Collaboratori
Fiorenza Auriemma, Irene Bernabò Silorata, Guido Bernardi, Maurizio Bertera, Stefano Bonini, Oscar Cavallera, Luisa Contri, Maurizio Di Dio, Angelo Foresti, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Rocco Lettieri, Gianni Mercatali, Giovanna Moldenhauer, Aldo Nenzi, Gio Pirovano, Alessandra Piubello, Laura Reichlin, Mauro Remondino, Vincenzo Russo, Valentina Santambrogio, Theo Smith, Gualtiero Spotti, Virginia Zacchetti, Claudio Zeni, Stefania Zolotti.
Iniziative speciali: Cristina Fagioli - cristina.fagioli@edifis.it Andrea Ragusa - andrea.ragusa@edifis.it _______________________________________________________________
Grafica e impaginazione Daniele Scozzari
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Foto
Archivio Artù; M. Borchi; Stefano Borghesi; Claudia Calegari; Ferdinando Cioffi; Fondazione Gualtiero Marchesi; Sara Magni; Andrea Mariani (A13 Studio); Renato Vettorato; Cris Thellung ______________________________________________________________
Pubblicità dircom@edifis.it
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Traffico pubblicitario Roberta Motta - roberta.motta@edifis.it
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