BARtù 02 2019

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COVER STORY Boer detto Bu:r Così trasmetto piacere BAR CONTEMPORANEI Apre BOB, cocktail bar dai drink avvolgenti NEUROMARKETING Vino e sughero, il sapore del suono ALBERGHI Nuove acquisizioni per Pellicano Hotels

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CINDY CRAWFORD

“In Italia ho scoperto che la bellezza è eleganza. Amo Indian Black Tea di San Benedetto. Un’esperienza di gusto superiore che coinvolge tutti i sensi.”


Editoriale

Stop al televoto “Com’è simpatico quello chef!”. “Io lo trovo insopportabile…”. “E quell’altro… ha un modo di fare che non mi piace proprio”. E ancora: “Ma come si fa a far pubblicità a prodotti che non fanno parte della nostra cultura alimentare!”. “Che vergogna! Pur di far soldi va bene tutto…”. “Business is business!”. Sono solo alcune delle reazioni emotive più diffuse fra “la gente”, i cosiddetti comuni mortali…Io credo che sia ora di smetterla con i luoghi comuni. In quanto danneggiano le persone ma anche l’intelligenza, propria e altrui. Finiamola una buona volta di giudicare gli chef (o meglio, gli chef più celebri e famosi) sulla base delle apparenze o, peggio ancora, delle loro performance televisive, anche se –dobbiamo ammetterlol’esposizione mediatica ha ormai assunto toni esagerati. E poi ricordiamoci sempre che nel mondo dello spettacolo si recita seguendo un copione, spesso dettato da esigenze specifiche, legate a necessità di share od altro. Che senso ha dire: “quello chef mi sta antipatico”!?! Valutiamo gli chef dalla loro bravura nel cucinare, prima ancora che nell’apparire. Valutiamoli sulla base di esperienze dirette e non di luoghi comuni… Andiamo a trovarli, visitiamo questi santuari dell’eccellenza, mettiamoci il naso dentro prima di sputare sentenze inappellabili, dettate da invidia, ignoranza o idee preconcette. Lancio questo appello dalle pagine del nostro magazine perché ritengo che sia decisamente fuori luogo o, peggio, ridicolo, esprimere opinioni personali su questo o quel cuoco, su questa o quella linea di cucina, unicamente sulla base di risposte emotive alle performance televisive di questi chef durante le loro esibizioni mediatiche. E non sulla base

di esperienza diretta. La pizza di Cracco? Assaggiatela prima di demonizzarla sui social o di ritenerla un’operazione di puro marketing! Dopo averla provata vi renderete conto che si tratta di una preparazione oggettivamente eccellente, per ingredienti, farine, cottura, estetica. E per il valore aggiunto di poterla consumare in un luogo cult della Milano storica più bella. Un’esperienza memorabile, che ben vale i 20 euro investiti in quella pizza… Perché, allora, scegliere la strada bieca della omologazione sottoculturale che, senza esperienza diretta, è solo prova di stupido conformismo al ribasso? Minimalismo disinvolto e saccente, lo definirei… Succedeva così anche con Gualtiero, il Maestro, quando qualche demente ripeteva in continuazione che “una volta usciti dal suo ristorante (il prestigioso Gualtiero Marchesi, in via Bonvesin de la Riva, a Milano), bisognava andare in pizzeria per sfamarsi”. Che ignoranza! Così come, allo stesso tempo, non sopporto quei giornalisti (si fa per dire) che sentenziano: “Ho mangiato da... Sarà anche bravo, ma la sua cucina non mi è piaciuta”, sulla base di una sola esperienza, magari in occasione di un evento, in cui era presente un solo menù prestabilito, magari scelto dall’azienda ospitante. E allora dico: se

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volete conoscere un ristorante e la sua linea di cucina, se desiderate conoscere di persona lo chef e la sua brigata, capirne i piatti e lo stile, coglierne la vera essenza, in quel luogo ci dovete andare, dovete ordinare i piatti dal menù, sceglierli, guardarli, assaggiarli. Abbinandoli a dei

vini, se occorre. Altrimenti si continua a parlare per “sentito dire”, criticando piatti e prezzi senza averli mai attribuiti a un valore, a un’esperienza vissuta. Non mi stanco mai di dirlo: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza…”• Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it


Sommario

Editoriale 1 Stop al televoto 4 B.A.R News Focus Bar 18 BOB a Milano Oriental mixology 20 Al Malò, sintesi fra food e drink 22 Così Brita aiuta il buon caffè 24 Le novità Rancilio a Sigep 2019 26 San Benedetto: un 2019 nel segno dell’innovazione L’opinione 28 Io e l’architetto: punti di vista Cover Story 30 Boer detto Bu:r “La maison che avevo in mente” L’opinione 34 E se la Gourmandise porta all’esasperazione? L’intervista 36 Giovanni Fiorin, far divertire il cliente Protagonisti Food 40 Il “Sistema Cannavacciuolo” funziona alla grande 42 Convegno BARtù 2018 (seconda parte) Protagonisti Food 46 Torino non sta a guardare All’Edit arriva Monti Focus Food 50 Oltre 200mila presenze al 40° Sigep di Rimini 52 La Macedonia del Nord si apre al futuro 56 Matera, meta gourmand e vera capitale del gusto Focus Alberghi 58 Belmond La Residence Phou Vao 60 Nuova gestione a Ischia per Pellicano Hotels 62 La Grande Milano Palazzo Matteotti 66 Sina Centurion Palace. I tre motivi per sceglierlo Gusto e mercati 70 Il sapore del suono: sughero è meglio! La foto di BARtù 72 Negli orti del Soneva Fushi La ricetta di BARtù 74 Lo chef Luca Gragnano e i “suoi” spaghettoni 76 Pillole Alberto’s choice 78 Brera, al 13 Giugno adesso tocca a Edoardo

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In copertina: La Cover Story di questo numero è dedicata a Eugenio Boer e al suo ristorante milanese Bu:r (che è la corretta pronuncia del suo cognome). Eclettico, versatile e dotato di grande cultura e talento, Eugenio ama l’innovazione e da sempre porta i suoi piatti verso un concept estremo, che vogliamo definire contemporaneo. Dopo il Bu:r di via Mercalli, a Milano, ha appena aperto un altro locale, l’Altrimenti, sempre nel capoluogo lombardo

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direttore editoriale Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it

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Ri st o r a n ti


B.A.R. News Una pasticceria dentro una serra: nasce Caffè Lietta Un giardino sotto il loggiato di piazza della Libertà, dove gustare una fetta di torta appena sfornata, un tè, un pranzo cucinato espresso o un calice di vino, per mettere in pausa la frenesia della città: nasce Caffè Lietta, unica attività di ristorazione sull’asse Fortezza-Beccaria in direzione Firenze sud, aperta dal lunedì al sabato dalle 7 alle 21. Centocinquanta metri quadri di superficie al pubblico, 45 posti a sedere e uno scenografico laboratorio a vista nel soppalco che sovrasta gli ambienti. Il locale è dominato da un bancone di 12 metri, studiato per rispondere ai diversi momenti della giornata: dalla colazione, con un reparto dolce rifornito costantemente dalla pasticceria al piano superiore, al pranzo, con uno spazio destinato alla gastronomia e alle preparazioni espresse, fino al reparto caffetteria e bar, per la pausa caffè e l’aperitivo. Caffè Lietta nasce dall’esperienza di Francesca e Lucilla Tacconi, figlie di Lietta Cavalli, da cui la caffetteria trae nome e ispirazione. Artista, visionaria, sperimentatrice che negli anni Settanta e Ottanta ha avuto un grande successo personale, creando una particolare moda senza tempo, ancora oggi celebrata nei musei del costume nel mondo.

Stefano Cattaneo conquista il titolo di Campari Barman Of The Year Dopo un’avvincente sfida sul palco del Cinema di Teatro Oden a Firenze, Stefano Cattaneo si è aggiudicato il titolo di miglior barman dell’anno al termine della sesta edizione della Campari Barman Competition. La competition – organizzata dalla Campari Academy – si è giocata a colpi di shaker incentrata sulle più creative variazioni e twist del Negroni: un omaggio al Centenario dell’iconico cocktail a base di Campari, ideato a Firenze dall’eclettico Conte Camillo Negroni e dal bartender Fosco Scarselli. Stefano Cattaneo Stefano Cattaneo, bartender di Como che già prima della finale ha ricevuto una chiamata importante per andare a lavorare in una prossima apertura a Londra, ha conquistato la Giuria prima con il suo Negroni Classico e poi con un twist fruttato dell’iconico cocktail ormai centenario. Il segreto del successo è stato aver dosato al meglio ingredienti con una quantità da 2,5 cl di Campari. Nella prova di improvvisazione Stefano ha presentato un “Non più di 20”, miscelando con armonia e precisione 4 cl di Campari, 1 cl di Cordial Campari, 2 cl di liquore al Persichetto, 2 cl di Old Tom Gin e immancabile coin di arancia. Metodo di miscelazione stir & strain, servito in coppetta. Il risultato è stato un drink fruttato con forti richiami alla pesca e al lampone.

Stock Italia lancia il Brandy Stock 84 Gran Riserva 20Y La poesia di uno dei liquori più amati rivive in un’emozionante bottiglia da collezione. A 70 anni dalla nascita del famosissimo Stock 84 Gran Riserva, Stock Italia – produttore storico nel settore del beverage e leader a livello mondiale – festeggia la magia delle origini con un nuovissimo Brandy Ultra Premium, invecchiato 20 anni e a tiratura molto limitata, con solo 5.000 bottiglie realizzate in tutto il mondo: nasce l’esclusivo Brandy Stock 84 Gran Riserva 20Y 100% italiano, un liquore di alta gamma che celebra la storia dell’azienda con un gusto raffinato e inconfondibile. Stock Italia versa in un bicchiere l’emozione di un’epoca: chiudere gli occhi e sorseggiare il Brandy Stock 84 Gran Riserva 20Y significa proprio fare un viaggio nel passato, assaporando lentamente la maturità e la saggezza di questo distillato che per 20 anni ha riposato pazientemente in botte prima di vedere la luce. Stock 84 Gran Riserva 20Y si presenta, infine, con una preziosa bottiglia in decanter style.

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Arrivano le api sulle bottiglie del Prosecco DOCG Un’ape sulle bottiglie di Prosecco DOCG, a conferma della qualità sostenibile. È il simbolo che campeggerà sul Prosecco Superiore di Astoria Wines dalla vendemmia 2018. Astoria è la prima azienda del Conegliano-Valdobbiadene a dotarsi della certificazione SQNPI, Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata. Si tratta di una certificazione attiva dal 2014 e promossa dal Ministero delle Politiche Agricole, che coinvolge tutti gli operatori della filiera produttiva. Il punto di partenza non è tanto il vino quanto il benessere dell’ambiente, con una visione di lungo periodo riassunta nelle tre S di Sostenibilità, Salvaguardia del territorio e Salubrità. Questo si traduce, in concreto, in una serie di regolamentazioni nell’uso dei prodotti e nelle pratiche di coltivazione. Soprattutto la quantità dei prodotti è strettamente regolamentata, non solo gli antiparassitari, ma anche i fertilizzanti e persino l’acqua di irrigazione. Spiegano Giorgio e Paolo Polegato: “Se vogliamo che il fenomeno Prosecco duri ancora a lungo, dobbiamo avere rispetto dell’ambiente e di chi ci vive e salvaguardare le ricadute economiche positive che le aziende hanno portato e continuano a portare”.

La filiera dell’alimentare italiano a Cibus il 10 e 11 aprile Nel solco dei grandi appuntamenti di eccellenza, espressione del Made in Italy, anche Cibus avrà una cadenza annuale. Forte del successo di Cibus Connect 2017, la seconda edizione della manifestazione vedrà infatti triplicare numero di espositori e i metri quadri espositivi, con l’apertura di un nuovo padiglione. E’ il successo di una formula smart, proposta per la prima volta nel 2017 perfettamente integrata all’offerta fieristica internazionale degli anni dispari: due giornate di fiera rigorosamente professionali, stand e cooking stations chiavi in mano per esporre e degustare al meglio i prodotti, azzeramento dei problemi logistici tipici dei grandi eventi in Italia, supporto al sourcing e opportunità di business su misura dei buyer. Cibus Connect si terrà mercoledì 10 e giovedì 11 aprile 2019, organizzato da Fiere di Parma con Federalimentare e in collaborazione con ICE Agenzia. Esporranno le maggiori aziende alimentari di tutte le categorie campioni del nostro export. Sono attesi migliaia di operatori dall’Italia e l’Europa e top buyer dai Paesi d’oltremare. La coincidenza di date con Vinitaly (Cibus Connect apre nella giornata di chiusura di Vinitaly) consentirà flussi sinergici di buyer tra le due fiere leader del settore Food & Beverage del Made in Italy il 9 e 10 aprile.

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“Gragnano Città della Pasta” è ufficialmente Consorzio di Tutela Come se non bastasse il milione di quintali prodotti ogni anno dalle trafile al bronzo locali, adesso Gragnano è davvero la “città della pasta” anche per la legge dello Stato. Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 18 gennaio 2019, il Consorzio che riunisce 14 produttori diventa formalmente un Consorzio di Tutela e ottiene un nuovo strumento per far crescere ancora di più una realtà produttiva unica nel suo genere: in un territorio di meno di 15 kmq vengono realizzati ogni giorno 3.500 quintali di pasta IGP, pari a 3 milioni di piatti, di cui più del 75% destinati all’estero. Un successo che poggia anche sulla singolare struttura imprenditoriale del luogo: i 300 milioni di fatturato totale dei soci del Consorzio Gragnano Città della Pasta si ripartiscono tra piccole realtà artigianali e top player del mercato. Uniti nel difendere i valori dell’artigianalità e della tradizione, oggi codificati nel severo disciplinare IGP che protegge una produzione legata a questo luogo fin dal XVI secolo. Solo qui l’impasto della semola di grano duro e l’acqua della falda acquifera locale diventano la Pasta di Gragnano IGP. E da qui sono partite tutte le principali innovazioni dell’industria nazionale a cominciare proprio dalle celebri trafile al bronzo.


B.A.R. News

Tornano i Partesa Lab Il 2018 di Partesa si è chiuso con un fitto calendario di appuntamenti destinati alla formazione, 32 appuntamenti dedicati ai Partesa Lab, la piattaforma formativa rivolta ai clienti per approfondire numerose tematiche legate alle principali categorie di prodotto: birra, vino, spirits e food. Con il nuovo anno, Partesa punta a replicare il successo della scorsa edizione. Si parte, nel primo semestre, con 16 appuntamenti dedicati alla pizza e al vino. I primi Pizza Lab sono previsti a Imola, Roma e Collesalvetti (LI). I corsi prevedono sessioni teoriche e pratiche relative alla cultura del prodotto pizza, con approfondimenti sulla storia e caratteristiche delle materie prime, degli ingredienti e ricerca nella preparazione. Gli appuntamenti dedicati al vino, i Wine Lab, organizzati nelle unità territoriali Lombardia, Adriatico e Centro, e Nordest offrono la possibilità di approfondire le proprie conoscenze sulla cultura e le eccellenze vinicole del territorio, attraverso degustazioni delle più interessanti cantine distribuite in esclusiva da Partesa, con focus sul servizio e sulla perfetta carta dei vini. La formazione si conferma così, anche per il 2019, uno degli asset fondamentali di Partesa e uno strumento fondamentale per distinguersi nel mondo della distribuzione in Italia.

La sfida 2019 per la Coppa del Mondo della Pasticceria: un dessert vegano Il 27 e il 28 gennaio 2019, le 21 squadre partecipanti alla Coppa del Mondo della Pasticceria hanno affrontato una sfida molto tecnica e senza precedenti: preparare un dessert, vegano al 100%, su piatto. Per il suo 30° compleanno, la competizione ha voluto mettere alla prova la creatività dei candidati attorno a un dessert su piatto in sintonia con i nuovi trend e cambiamenti di questi tempi. Jean-Philippe Gay, membro del Comitato Organizzatore Internazionale, ha fatto luce su questo tema difficile e senza precedenti: “Una delle missioni del comitato è mantenere la natura visionaria della competizione nei confronti della professione, incoraggiare i professionisti a mettere in discussione le nuove modalità di consumo. Il veganesimo, che oggi va oltre il semplice trend di moda alimentare ed esclude qualsiasi prodotto di origine animale, ci è sembrato il tema più nuovo e meno sfruttato nel settore della pasticceria”. Da parte dei candidati, la novità di questo dolce vegano su piatto è stata accolta come una vera sfida: “È assolutamente stimolante lavorare su una pasticceria non tradizionale che segue la tendenza del mondo. Questo ci porta a cercare un numero infinito di nuove tecniche e nuovi prodotti per ottenere i sapori e le trame più vicine al tradizionale, con il miglior risultato possibile” hanno spiegato i partecipanti del Cile. “Il dessert vegano è il test più interessante ed è una grande sfida! Il veganesimo è una vera tendenza in Australia e ci siamo abituati” ha aggiunto la squadra australiana.

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La famiglia Iaccarino replica in Lucania Un progetto di ospitalità che come obbiettivo si è posto quello di riunire le grandi eccellenze del mondo food, wine e benessere non ha potuto fare a meno di coinvolgere la famiglia Iaccarino, legata alla proprietà da un’amicizia trentennale, per tracciare, fin dalle prime fasi, il disegno di quello che si è appena concretizzato come uno dei più importanti esempi di eccellenza nel mondo dell’hôtellerie lusso in Italia. Ha infatti da pochi giorni inaugurato a Lavello - in prossimità delle più belle e apprezzate località turistiche della Basilicata, quali Matera e Melfi, e la zona dei Laghi di Monticchio - il San Barbato Resort Spa & Golf immerso in un parco di sei ettari nello scenario naturalistico del Monte Vulture; una proprietà unica caratterizzata da un design inedito e spazi inimitabili, dove l’ospite potrà vivere una vera e propria esperienza sensoriale. E l’unicità è proprio il carattere che contraddistingue tutte le realtà del San Barbato Resort Spa & Golf tra le quali il Don Alfonso 1890 San Barbato che replica in Basilicata una storia di ospitalità e di inconfondibile identità che si tramanda da oltre un secolo, di generazione in generazione. Un mondo, quello del Don Alfonso 1890, legato al territorio e alle tradizioni alimentari millenarie innovate con rispetto, che offre all’ospite la possibilità di vivere un’esperienza di cibo ma anche di cultura e storia.


GOfredo: sul mercato il dispositivo di monitoraggio IoT

La lampada Thermologika

Sensor Chain for Business, con Federico Sestan e Fulvio de Grassi, ideatori di GOfredo, insieme a Rossana Bettini e Francesco Razzetti di White Sheep, che ne curano lo sviluppo strategico e commerciale, hanno annunciato il lancio sul mercato italiano dell’unico dispositivo autoinstallante per monitorare temperatura e umidità nei frigoriferi e Da sinistra: Carlos Lambarri, nelle celle frigorifere, in grado di compilare automa- Rossana Bettini, Francesco Razzetti ticamente i registri HACCP per la catena del freddo. e Federico Sestan GOfredo è un dispositivo semplice, composto da sensori autoinstallanti, indipendente da collegamenti elettrici, telefonici, centralini e altri ausili, che misura e trasmette in tempo reale – attraverso il sito e sull’app dedicata – i dati delle aree refrigerate monitorate, conservando il registro giornaliero delle temperature, con marca temporale conforme alla normativa vigente HACCP. In caso di anomalie o guasti GOfredo invia subito un allarme sotto forma di mail o sms al contatto fornito. Pensato in prima istanza per il mercato dell’Horeca a garantire trasparenza e limitare i rischi legati alla catena del freddo e al deperimento degli alimenti, le future possibilità di applicazione di GOfredo sono molteplici, dal settore farmaceutico e ospedaliero ai privati al settore dell’archivistica, conservazione dei beni culturali e collezionismo.

La lampada a raggi infrarossi da installazione Thermologika, rinnovata nel design e nella struttura, è inclinabile fino a 30° offrendo la possibilità di orientare meglio i raggi verso il punto da riscaldare. È una lampada adatta per applicazioni domestiche e commerciali, soprattutto quando è necessario un caldo istantaneo in ambienti con basse temperature o a contatto diretto e continuo con l’esterno tipo verande, terrazzi coperti ecc. Riscalda per irraggiamento: il calore è diffuso alla velocità della luce direttamente ai corpi solidi con lo stesso principio della radiazione solare. È adatta all’installazione in ambienti umidi e in zona 2 del bagno (grado di protezione IPX4). È dotata di 3 lampade a raggi infrarossi di potenza unitaria pari a 600 W comandabili separatamente per adeguare il calore irradiato alle necessità. Le potenze disponibili sono 3: 600, 1200 o 1800 W.

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B.A.R. News Martini lancia Fiero e Tonic Martini Fiero è un aperitivo moderno realizzato con una miscela di selezionati vini bianchi, dal colore rosso brillante e dalle intense note fruttate e agrumate di mandarini e arance. Il suo gusto al palato è rotondo e vellutato con profumate e rinfrescanti leggere note amare. Le bucce di arance dolci contribuiscono a creare le note agrumate e tutte le scorze vengono tagliate a mano in lunghe strisce, seguendo il metodo tradizionale della Murcia. Esse vengono poi stese su canovacci di lino e lasciate a essiccare per ben due settimane naturalmente al calore del sole. È proprio grazie a questo metodo artigianale, lungo e laborioso, che produce solo piccole quantità di prodotto per volta, che Fiero riesce a salvaguardare la maggior parte degli oli essenziali contenuti nelle scorze. La caratteristica firma Martini è garantita dall’Artemisia, coltivata e raccolta nel piccolo paese piemontese di Pancalieri, che dona a Martini Fiero il suo forte carattere aromatico e il leggero sentore amaro che si abbinano perfettamente con gli assaggi dell’aperitivo. La composizione di Martini Fiero è particolarmente adatta ad accompagnarsi con l’acqua tonica. La sua struttura amara bilanciata e il suo complesso carattere agrumato si sposano perfettamente con l’acqua tonica per dare vita, così, a un aperitivo leggero ma dal profumo unico e deciso: Fiero e Tonic.

Gli Annual Reports di Drinks International confermano la crescita di Compagnia dei Caraibi Drinks International, magazine britannico di riferimento per l’industria del beverage e della mixology, ha recentemente pubblicato i suoi attesissimi Annual Reports, le classifiche dei distillati più apprezzati da bartender e addetti ai lavori di tutto il mondo. Per i brand importati dall’azienda piemontese, la prima grande conferma arriva da Plantation, che per il secondo anno consecutivo ottiene il primo posto nella Bartender’s Choice, importantissima categoria nella quale appaiono indistintamente tutte le tipologie di spirits e che rappresenta di fatto le preferenze assolute dei bartender di tutto il mondo. Il Rum nato da una geniale intuizione di Alexandre Gabriel, viene nominato spirit preferito in assoluto da quasi il 10% di tutti i bartender interpellati. Altissima qualità e versatilità della line-up sono i punti di forza dei distillati Maison-Ferrand, che gli consentono di conquistare anche le categorie Top Selling Rum Brand, e Best Selling Rum Brand, occupandone rispettivamente primo e terzo posto.

Evoca Group presenta il nuovo portale e-commerce Il Gruppo Evoca, azienda leader nella produzione di macchine professionali per il caffè, annuncia l’apertura di un nuovo portale unificato per la vendita di ricambi e accessori Genuine relativi ai brand Necta, Saeco, Gaggia Milano, Wittenborg, Ducale e SGL. Il nuovo e-commerce (ecommerce.evocagroup.com) è online da venerdì 1 febbraio 2019. Di proprietà di Evoca Group, il nuovo sito ricambi offre, tramite un’interfaccia semplice e intuitiva, una documentazione tecnica dettagliata di tutta la gamma, in costante aggiornamento e allineata agli sviluppi di prodotto, così da permettere al cliente di avere sempre visione dell’ultima versione presente sul mercato. Tra le funzionalità presenti trova spazio una tavola interattiva, una modalità unica sul mercato che permette di selezionare e visionare facilmente il componente d’interesse. Per ogni tavola è possibile, tramite il semplice passaggio del mouse, visualizzare direttamente la schermata contenente tutte le informazioni relative al prodotto quali: fotografia, descrizione, disponibilità, prezzo ed eventuali note aggiuntive. Inoltre, il cliente è informato in diretta sulla disponibilità dei prodotti.

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CantinaTramin.it | Termeno | Alto Adige


B.A.R. News Nuova Kikkoman Ponzu: la Salsa di Soia sposa il limone L'arte culinaria giapponese è talmente unica che l'UNESCO ha deciso di dichiararla Patrimonio Mondiale dell'Umanità. Uno degli ingredienti che contribuisce ogni giorno a caratterizzare i classici e rinomati piatti della cucina orientale è la salsa di soia, che Kikkoman propone in diverse, gustose varianti. Kikkoman è la salsa di soia a fermentazione naturale a base di ingredienti semplici e selezionati: soia, grano, acqua e sale. Niente di più. L’inconfondibile colore bruno trasparente e il suo sapore unico sono il marchio di fabbrica di un prodotto che può accompagnare non solo le specialità asiatiche ma anche i piatti della cucina tradizionale. Si chiama Ponzu la nuovissima Salsa di Soia con succo di limone, il condimento più popolare in Giappone grazie alla sua versatilità. Kikkoman Ponzu è ideale per le marinature soprattutto di pesce, è un ottimo dressing per le insalate e accompagna molto bene diversi piatti come le grigliate di carne o di pesce. Ponzu completa così la gamma di salse di soia Kikkoman già presenti sul mercato – classica, con meno sale, Tamari, Bio e dolce – tutte senza conservanti, coloranti o alcol. L’intera gamma Kikkoman è importata e distribuita da Eurofood.

Fabrizio Borraccino è il nuovo Executive Chef del Four Seasons di Milano Four Seasons Hotel Milano annuncia la nomina di Fabrizio Borraccino a Executive Chef dell’hotel, per ridefinire l’offerta gastronomica del ristorante La Veranda, del lounge bar Foyer e del Giardino, oltre a supervisionare il catering per gli eventi interni ed esterni. Originario dell’Abruzzo, Borraccino vanta una proficua esperienza in-ternazionale nel settore dell’hotellerie di alto livello. Il suo è un percorso ricco di successi. Tra le sue esperienze più importanti: Sous Chef del Four Seasons Hotel di Ginevra, Sous Chef al Pellicano di Porto Ercole. Amante della “nobile arte di mangiare bene” sin dalla tenera età, Borraccino concepisce la cucina non solo come momento di convivialità e socializzazione, ma di emozione e bellezza con lo scopo di creare un’esperienza “sinestetica”. Fabrizio Borraccino Alla base di questa visione si pongono la sua profonda conoscenza delle tecniche e degli ingredienti, cui fanno da contraltare fonti di contaminazione straniere nella scelta dei prodotti e nell’estetica. Il risultato sono piatti che incarnano perfettamente lo spirito di una città come Milano: radicata nella storia di un’antica cultura, ma proiettata costantemente al bello, al nuovo e al diverso.

Geographical Indications Kick-Off Meeting a Siena Nel mese di febbraio, a Siena, si è tenuto il Geographical Indications Kick-Off Meeting, un incontro tecnico, organizzato dalla Fondazione Qualivita in collaborazione con Aicig, Federdoc, Prima, Inao, Origen España, OriGIn e con il patrocinio del Comune di Siena, che mette a confronto le esperienze dei Consorzi di tutela delle Indicazioni Geografiche per definire una nuova proposta strategica a supporto dello sviluppo del settore nel contesto nazionale ed europeo. L’iniziativa era riservata solo agli operatori del settore (consorzi di tutela, organizzazioni di produttori, regioni, ministero ed enti strettamente collegati al mondo delle DOP IGP) che sono intervenuti su cinque temi centrali per lo sviluppo del comparto. La location è Santa Maria della Scala, a Siena, il più grande spazio museale e culturale d’Italia, uno dei più grandi d’Europa. 370 mila metri cubi, 40 mila metri quadri. Cinque le sessioni di lavoro in plenaria per dar voce alle esperienze dirette degli operatori del settore e in particolare direttori e rappresentanti dei consorzi di tutela. Il format prevedeva interventi di tre minuti, declinati su un tema specifico, per dare spazio al maggior numero di contributi e permettere la raccolta di un ampio coro di suggerimenti, esperienze e proposte.

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Autori Vari. Gli insaziabili. Sedici racconti tra Italia e Cina Questo progetto nasce dall’incontro tra due case editrici: nottetempo e la cinese People’s Literature Publishing House. Due editori, due paesi, due culture. Sedici narratori per una raccolta di racconti su cibo ed eros, elementi che rendono gli esseri umani, di luogo in luogo, di epoca in epoca, tanto uguali quanto diversi. Milena Agus, Alessandro Bertante, Paolo Colagrande, Gabriele Di Fronzo, Giorgio Ghiotti, Ginevra Lamberti, Laura Pugno e Mirko Sabatino gli autori italiani. A Yi, Ge Liang, Feng Tang, Lu Min, Shu Qiao, Wen Zhen, Zhang Chu e Zhang Yueran gli autori cinesi. L’edizione italiana e quella cinese sono pubblicati in contemporanea nei due paesi. L’edizione italiana è a cura di Patrizia Liberati e Silvia Pozzi. 208 pagine, 16 euro.

Fabio Barbaglini

Dante Sambuchi

Le Pietraie e i suoi cultivar

Il nuovo menu di Florence Out Of Ordinary dello chef Fabio Barbaglini

Freschezza, contrasti e richiami fusion: sono gli elementi che guidano il nuovo menu di Florence Out Of Ordinary - FOOO, il ristorante ospitato all’interno del complesso di The Student Hotel di Firenze (ingresso da viale Lavagnini 70). A un mese dal riconoscimento internazionale per l’interpretazione della cucina naturale, ricevuto a Parigi nell’ambito de “La Liste”, la classifica dei mille migliori ristoranti al mondo, lo chef Fabio Barbaglini rinnova la carta introducendo nuovi piatti in linea con una proposta contemporanea e molto personale. Il menu fa spazio a piatti “storici” come l’insalatina in foglie, ortaggi crudi e radici con trippette di baccalà allo spumante in salsa di ostriche e rafano fresco (2010) e creazioni sviluppate nelle ultime settimane, come la zucca appassita in brodo di zucca, lenticchie croccanti, olio all’alloro, crema leggera ai porri grigliati, mandorle e parmigiano (2019). La carta di FOOO, infatti, rappresenta un percorso gastronomico che attraversa l’evoluzione della cucina e del gusto degli ultimi 15 anni. Ciascuna portata è contraddistinta dall’anno in cui è nata e rappresenta una evoluzione nella proposta dello chef Barbaglini. Il ristorante è aperto tutte le sere dal martedì alla domenica. Dalle 7 di mattina alle 2 di notte, invece, è sempre possibile gustare una proposta più easy nel vicino bistrot, sempre all’interno di The Student Hotel, con ingresso da viale Strozzi.

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L’azienda agricola “Le Pietraie” si trova a Città di Castello, nel cuore dell’Italia, sulle colline settentrionali dell’Umbria, quasi al confine con la Toscana. Dante Sambuchi, dopo un’esperienza trentennale di studio e lavoro a Milano nel settore artistico, dove ha conseguito successo e importanti riconoscimenti, ha deciso di occuparsi del rilancio dell’azienda familiare, indirizzandola verso la produzione di olio extravergine di oliva di alta qualità, per ottenere un olio di categoria superiore, destinato al consumatore evoluto e alla ristorazione di alta qualità. La superficie aziendale attualmente è di oltre 30 ettari tutti biologici di cui 18 ettari destinati alla coltivazione dell’olivo. Le olive vengono raccolte esclusivamente a mano, tra fine ottobre e i primi di novembre, in fase di invaiatura, per consentire di trovare nell’olio il profumo e la freschezza dell’oliva con un pronunciato amaro piccante finale, tipica caratteristica del Moraiolo. Da provare l’olio a base di monocultivar Borgiona, oltre all’Apicale: prodotti dal gusto intenso, che riesce a fare la differenza anche in preparazioni di alta cucina.Il patron Dante Sambuchi, caparbio sostenitore dell’eccellenza olivicola, ha creato un network esclusivo di ristoratori di livello, i quali offrono in degustazione ai propri clienti l’olio evo delle pietraie, uno dei migliori oli italiani presenti sul mercato


B.A.R. News

Il nuovo short movie di Campari Campari, l’aperitivo italiano per eccellenza, svela l’enigmatico e appassionante Entering Red, il nuovo cortometraggio del progetto Red Diaries. Seguendo la filosofia di Campari per cui “ogni cocktail racconta una storia”, il film segna l’inizio dei festeggiamenti per il 100° anniversario del Negroni, l’iconico cocktail celebre in tutto il mondo che ha come ingrediente chiave Campari. Interpretato dall’attrice di fama internazionale Ana de Armas, star del film di successo “Blade Runner 2049”, e dall’attore italiano Lorenzo Richelmy, Entering Red è diretto dal pluripremiato regista italiano Matteo Garrone. Milano, città d’origine di Campari, riveste un ruolo importante nel film che ne fa rivivere i luoghi più rappresentativi come la straordinaria Galleria Vittorio Emanuele II, sede dell’iconico Camparino in Galleria, e il Duomo, trasformati per l’occasione da un tocco “rosso Campari”. Il film ospita i camei di sei dei migliori bartender al mondo, i “Red Hands”, ma anche di sette influencer noti a livello internazionale, tra cui l’esordiente attore italiano Cristiano Caccamo. Per celebrare il centenario del Negroni, ogni bartender ha creato un “twist” della ricetta classica che rimanda a una storia particolare.

Pommery & Bocuse d’Or una partnership storica e iconica Fin dalla prima edizione che risale a 30 anni fa, la Maison Pommery è stata anche quest’anno partner ufficiale con le sue grandi cuvées per tutti i momenti di degustazione durante la finale del Bocuse d’Or a Lione. Il Bocuse d’Or è una grande sfida culinaria in cui ciascun candidato deve assolutamente sorprendere per la scelta e per la preparazione dei prodotti, ma ancor più per l’espressività e la forza gustativa della sua ricetta. L’edizione 2019 ha visto al primo posto la Danimarca, affiancata sul podio da Svezia e Norvegia. In un contesto così raffinato e dedicato ai maestri del gusto, gli Champagne Pommery hanno avuto, ancora una volta, l’onore di arricchire questo famoso evento e di poter proporre al “Dinner of the Grand Chefs” (180 chef da 26 Paesi del mondo, 320 stelle Michelin) le sue cuvées de prestige dedicate all’alta ristorazione. Pommery Brut Apanage, dal fascino ricercato, è un assemblaggio che privilegia lo Chardonnay. E’ elegante e fresco, accompagnato da un ampio bouquet di aromi che si apre con note finemente burrose di piccola pasticceria cui si aggiungono sentori di fiori di campo e piccoli frutti rossi. Pommery Brut Apanage Blanc de Blancs, da una selezione di 17 Grands Crus di Chardonnay nelle zone più vocate della Côtes des Blancs (70%) e della Montagne de Reims (30%), presenta note fruttate di agrumi e nocciola tostata con delicati sentori di limone, cedro e fiori bianchi.

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Gallo lancia Riso Rustico da Agricoltura Sostenibile Riso Gallo, azienda risiera della Lomellina da più di 160 anni attenta a cogliere i cambiamenti e le rinnovate esigenze di consumo, amplia la sua offerta con la linea Riso Sostenibile, pensata per offrire al consumatore moderno e attento alle tematiche di sostenibilità sociale e ambientale due prodotti adatti per ogni occasione di consumo. Riso Rustico da Agricoltura Sostenibile per Risotti e Riso Rustico da Agricoltura Sostenibile per Contorni e Insalate sono le referenze che compongono la gamma garantita da Friend Of The Earth, lo Standard internazionale di Certificazione dell’Agricoltura e dell’Allevamento Sostenibili. Un prodotto 100% italiano e tracciato in tutta la sua filiera, dalla coltivazione all’inscatolamento, per offrire un riso buono e sostenibile per tutti, prodotto in maniera efficiente, tutelando l’ambiente naturale. Il Riso Rustico viene coltivato a pochi km dalla sede Riso Gallo, nella zona del pavese, in maniera sostenibile nel rispetto dei tempi della natura e del territorio, dove la sapiente lavorazione dell’uomo combinata alle migliori tecnologie costruiscono un moderno modello di agricoltura. Le confezioni di Riso Sostenibile sono disponibili per ora in quantità limitata solo in alcune catene della GDO e sull’e-store. Inoltre, Il nuovo Riso Rustico Gallo presenta anche un pack distintivo e sostenibile, realizzato con cartoncino certificato FSC.


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B.A.R. News Francesco Sanapo primo al campionato di Cup Tasting Si è chiuso il 13° Campionato Italiano Cup Tasting del circuito Sca Italy, che si è svolto a Riminifiera in occasione della 40esima edizione di Sigep. La finale, sponsorizzata per il sesto anno consecutivo da CSC – Caffè Speciali Certificati –, ha visto competere 17 concorrenti provenienti da tutta Italia. Ha vinto Francesco Sanapo con 8 tazze individuate su 8, in 3’35”02c. Pugliese di nascita, fiorentino di adozione, Sanapo è stato più volte campione italiano baristi e oggi è titolare di Ditta Artigianale, di cui fanno parte due caffetterie specialty e l’omonima microroastery. “Ho gareggiato per mostrare ai ragazzi con cui lavoro, alcuni dei quali hanno partecipato ad altre competizioni legate al caffè, che non sono solo il coach, ma che so mettermi in gioco: un esercizio importante per crescere “ ha affermato. Il suo allenamento principale si svolge ogni settimana, quando, in laboratorio, realizza gli assaggi per verificare la qualità delle tostature. “Il cup tasting è un esercizio importante: la ricerca delle differenze tra i caffè affina la capacità di cogliere le diverse sfumature di gusto e aroma”. L’Associazione Caffè Speciali Certificati finanzierà la partecipazione del campione italiano al World Cup Taster Championship in programma a Berlino, in Germania, in giugno nell’ambito del World of Coffee 2019.

Sant’Anna continua a investire su Bio Bottle Sant’Anna Bio Bottle inaugura l’anno con il nuovo formato da 0,5 lt, che va ad arricchire la gamma Bio Bottle, la prima e unica linea di bottiglie compostabili presente in Italia, protagonista nel 2018 di un’importante opera di restyling di pack ed etichetta con cui l’azienda leader del settore acque minerali ha voluto celebrare nel 2018 il decimo compleanno dall’introduzione nel mercato. Oggi Sant’Anna punta sul formato mezzo litro per consolidare i consumi fuoricasa, e il canale vending in particolare, che sta registrando importanti percentuali di crescita e sta diventando sempre più strategico per le vendite. La crescente sensibilità del consumatore verso la tutela dell’ambiente lo porta sempre più a scegliere prodotti eco-friendly in ogni occasione di consumo. Con Sant’Anna Bio Bottle nel nuovo formato da 0,5 lt, disponibile dai primi giorni di febbraio, anche il vending trova una risposta concreta a questa tendenza, proponendo ai consumatori un prodotto 100% naturale e sostenibile. Oltre al primo classico formato da 1,5 litri, perfetto per il consumo domestico, la gamma include oggi formati diversi, 1 lt e 0,75 lt, capaci di soddisfare ovunque fuoricasa la richiesta d’acqua.

Mascia: il San Domenico di Imola racconta la sua storia straordinaria Dai fornelli del primo e più premiato ristorante della tradizione gastronomica emiliano-romagnola alle pagine di un libro, “Il San Domenico di Imola. Piatti e sogni di un cuoco tra le stelle" (20 euro, Edizioni Minerva). Studente dell’alberghiero in “tempi non sospetti”, prima cioè che il successo degli chef in tv rendesse questa professione ogni giorno più appetibile, l’autore di questo volume, lo chef Massimiliano Mascia, si è avvicinato al timone di comando del locale aperto nel 1970 con umiltà, raccogliendo la non facile eredità dello zio Valentino Marcattilii, storico chef del ristorante, con il piglio di chi ha già celebrato vent'anni dietro ai fornelli, nonostante ne abbia a malapena dieci in più. Ha quindi aperto al nuovo: tecniche e tecnologie migliorative, differenti orizzonti di ricerca, piccoli sogni e grandi sfide da racchiudere nel cerchio ristretto di un piatto. Il risultato è una cucina blasonata, rinnovata sì, ma non stravolta, e confermata fra le stelle della più alta eccellenza mondiale. In questo volume, il giovane ma già pluristellato cuoco presenta quattro menu per quattro stagioni, con tanti consigli e semplificazioni per rendere la cucina anzitutto divertente e utile.

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Bollicine del mondo, un evento a Novara dedicato all'universo sparkling d'eccellenza L’obiettivo è ambizioso, e non certo semplicissimo: unire in un solo spazio Champagne e Metodo Classico, italiano ma non solo, per dimostrare inconfutabilmente che la qualità elevata non ha confini. A maggior ragione se ad avvalorare il tutto c’è una Maison del calibro di Pommery, che per prima ha creduto nel progetto e aderito all’invito, facendosene autorevole portavoce e ospitando presso la sede di Milano la conferenza di presentazione. Di Bolla in Bolla, presentato a Milano lo scorso 14 febbraio, si preannuncia come un grande evento per consentire agli enoappassionati e si curiosi un approccio qualificato all’universo dello sparkling di eccellenza. L’evento, ideato da BBS, si svolgerà a Novara dal 4 al 5 maggio e vedrà la partecipazione di illustri esponenti del mondo del vino: sommelier, produttori, degustatori, personaggi del calibro di Guido Invernizzi, Luisito Perazzo, Federico Graziani, Livia Riva, Nicola Bonera, Ivano Antonini e molti altri. Patrocinato da AIS, vedrà anche Masterclass specificamente dedicate a millesimi, terroir, pas dosage ecc. Un evento da mettere in agenda.

Mimma Posca, ceo di Pommery Italia

Amundsen Expedition, la vodka con la doppia medaglia d’oro Dalla conquista dell’Antartide a quella di una vodka eccezionale: Stock Italia, produttore storico nel settore del beverage e leader a livello mondiale, rivive il mito nella sua esclusiva vodka di alta qualità. Amundsen Expedition prende il nome e le emozioni dal grande esploratore che realizzò la leggendaria spedizione al Polo Sud del 1911, la prima nella storia a conquistare l'Antartide. La celebre missione era guidata infatti dall’“eroe”norvegese Roald Amundsen, che arrivò per la prima volta all’estremo capo del mondo con 35 giorni di anticipo rispetto ai rivali inglesi. Amundsen Expedition si posiziona nella fascia delle vodke Premium capaci di coniugare alta qualità al giusto prezzo grazie a ingredienti scelti e un processo di produzione unico, tipico delle vodke polacche. Amundsen Expedition è unica grazie alla sua bottiglia di design: a forma di blocco di ghiaccio è trasparente ma nei toni dell’azzurro proprio tipici dei riflessi del ghiaccio, rappresenta l’essenza della purezza e delle lande ghiacciate del Polo Sud. A suggellare l’alta qualità e il design unico della bottiglia c’è la doppia medaglia d’oro vinta ai World Vodka Awards 2018 che consacrano Amundsen Expedition come una vodka vincente a livello mondiale.

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Stock punta sull’Italia con l’acquisizione di Distillerie Franciacorta Stock s.r.l, storico produttore di liquori conosciuto a livello internazionale, annuncia l’acquisizione di Distillerie Franciacorta S.p.A., azienda fondata nel 1901 a Gussago in Franciacorta e con una lunga tradizione in particolare nel segmento delle grappe. Obiettivo dell’operazione è la valorizzazione della storia e del knowhow dell’azienda, i cui marchi saranno mantenuti e potenziati, in un’ottica di continuità con la proprietà storica. La grande tradizione di Distillerie Franciacorta e le importanti competenze del suo personale, in particolare nel segmento delle grappe, ma anche nei vini e nei liquori, costituiscono elementi strategici che, uniti alla struttura organizzativa e commerciale di Stock, permetteranno alla nuova realtà di consolidare il posizionamento sul mercato. Le molteplici sinergie e la complementarietà delle reti commerciali delle due aziende consentiranno di dare una spinta maggiore alla crescita di tutti i brand, attraverso una graduale integrazione, con il contributo della proprietà storica, che affiancherà il nuovo management per 4 anni. La forte presenza del gruppo Stock sui mercati esteri, inoltre, permetterà di incrementare la diffusione dei brand di Gussago fuori dai confini nazionali. L’operazione diventerà effettiva a partire dal 6 maggio 2019.


B.A.R. News Donatella Cinelli Colombini confermata presidente Le Donne del Vino Donatella Cinelli Colombini guiderà per altri tre anni l’Associazione Nazionale Le Donne del Vino. È stata rieletta dal nuovo Consiglio direttivo. Imprenditrice del vino della Toscana, è presidente nazionale delle Donne del Vino dal 2016. «L’esperienza di guidare le Donne del Vino – commenta Cinelli Colombini – è stata più faticosa di quanto immaginassi, ma anche più entusiasmante perché ho scoperto Donatella Cinelli un patrimonio di talenti, di voglia di fare e di altruismo che poche associazioni possiedono, specialmente dopo trent’anni di vita. Le Donne del Vino sono oltre 800 meravigliose persone. Negli scorsi tre anni, io ho chiesto loro un impegno e uno sforzo supplementari e i risultati sono stati straordinari. Siamo la più grande organizzazione femminile mondiale del settore enologico, la più organizzata e la più attiva». Nel prossimo futuro le Donne del Vino hanno nuove importanti sfide: «La prima e la più importante – continua la presidente – quella di internazionalizzarsi creando una rete mondiale basata sullo sharing; subito dopo quella di accrescere le opportunità per le socie, puntando sul networking cioè trasformando i rapporti in trasferimento di conoscenze, business, opportunità di stage o di lavoro».

Silvano Brescianini nuovo Presidente del Consorzio Franciacorta Eletto lo scorso 18 dicembre all’assemblea annuale dei soci, Silvano Brescianini – Vice Presidente Esecutivo di Barone Pizzini e già Vicepresidente del Consorzio dal 2009 con delega alle attività tecniche e di ricerca – ha raccolto il testimone di Vittorio Moretti, patron di Bellavista e Contadi Castaldi. Nato nel 1967 a Erbusco, nel cuore della Franciacorta, Silvano Brescianini è cresciuto in cantina. Il tris-nonno era un vignaiolo e produceva vino a Erbusco molto Silvano Brescianini tempo prima che la Franciacorta venisse riconosciuta come una delle denominazioni più importanti al mondo. Dopo un’infanzia trascorsa tra le vigne arriva il corso sommelier e l’esperienza nel settore della ristorazione che l’ha condotto in Barone Pizzini, prima come socio e poi come direttore generale. “Le linee guida del mio mandato – ha affermato Silvano Brescianini – saranno ispirate dal lavoro condotto dai soci insieme al professore Domenico De Masi. Dalla ricerca sono emerse importanti indicazioni sulle prospettive della Franciacorta e soprattutto l’importanza del lavoro di squadra e della coesione che dovrà essere il punto di forza nella promozione del nostro vino e del nostro territorio”.

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Biscaldi festeggia i 50 anni di attività Quest’anno la partecipazione del Gruppo Biscaldi a Beer Attraction 2019 ha rappresentato per l’azienda un’importante opportunità. Vengono celebrati, infatti, i 50 anni di un’attività lavorativa interamente dedicata alla sempre nuova ricerca e sviluppo di marchi innovativi. Celebrare i 50 anni è per la società un momento di orgoglio che è stato condiviso con la clientela e insieme ai collaboratori del Gruppo. La Fiera, quindi, è stata l’occasione per festeggiare non solo con gli addetti ai lavori ma anche con tutti gli appassionati di birra. Tra le novità più interessanti presentate, Sober Up, “shot detox” interamente naturale, un integratore che migliora l’equilibrio psicofisico e la concentrazione mentale, oltre a essere un toccasana per il benessere del nostro organismo. Poi, c’era una nuova bevanda energetica, Carabao, uno dei marchi più noti in Tailandia, pronto a conquistare i vari mercati. Caratteristica principale di questo marchio è la presenza di una minore quantità di zucchero rispetto ai diversi competitor. Il portfolio delle birre, infine, si arricchisce di nuove specialità, come Omission, birra artigianale e Gluten Free dal gusto eccezionale, prodotta con ingredienti tradizionali e con un particola¬re processo di produzione. Mentre le birre Blue Horn, invece, nascono dall’incontro tra l’artigianalità italiana, una rigorosa selezione delle materie prime e la ricca tradizione brassicola internazionale.



Focus Bar

BOB a Milano Oriental mixology di Gualtiero Spotti

All’Isola, un locale di forte appeal con food e drink. Un concept destinato al successo BOB. Un nome diretto, corto e facile da ricordare, che non a caso si è insinuato ben presto nelle menti degli amanti dei cocktail così come in quelle di chi invece si sta appassionando al trend crescente sulla piazza milanese di mescolare la mixology con il food. Una pratica che in realtà su diverse piazze all’estero funziona già da tempo, e che da noi fa capolino solo oggi incuriosendo non poco pur essendo una via non facile

da seguire, soprattutto quando si passa a incroci pericolosi con la cucina d’autore e con quei piatti con i quali il pairing è piuttosto azzardato. Ma non è certo il caso di BOB (www.bobmilano.it), che tra le pieghe della movida nel quartiere Isola, sa muoversi bene, con la proposta avvincente (e vincente) dei bao al vapore di asiatica provenienza cui si aggiungono classici ravioli e stuzzicherie orientali che nell’idea della proprietà vanno ad accompagnare senza troppe pretese la stuzzicante carta dei cocktail, che è davvero il pezzo forte del locale. Se ne occupa il talentuoso Lucian Bucur, che dietro al banco sciorina una certa classe su un pacchetto ben solido di incroci liquidi che passano dai classici

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senza tempo, spesso personalizzati, fino a qualche divertente eccesso stilistico. Ma vale la pena fare alcuni esempi. Il peruviano Pisco Sour, che diventa avvolgente nella versione del BOB, preparata con Pisco Quebranta, lime, zucchero liquido, albume e tre gocce di Amargo Chunco; e poi la versione più secca del poco conosciuto ma pur sempre storico Bijou (le origini risalgono alla fine dell’Ottocento), con Dry gin, Chartreuse verde, Vermouth rosso e orange bitters,e il vezzo dell’oliva verde a sostituire la ciliegia al maraschino. Oppure, passando ai cocktail creati in casa ex novo, si può puntare l’attenzione sul Pianta Carnivora, che a dispetto del nome aggressivo offre al palato un drink molto dissetante e vegetale, con lo sciroppo al cardamomo, la rosa, il basilico e il lime che si insinuano nelle pieghe del gin Hendricks, oppure il più deciso e curioso Los Cuatrocientos Conejos, presentato in una mug di terracotta che, essendo stata prodotta con un forno a legna, rilascia sentori legnosi e di affumicatura. Ma si tratta solo un passaggio interlocutorio, che conduce verso i toni pungenti e inequivocabili del mezcal unito al miele d’agave piccante e al jalapeno verde. Il cocktail viene poi finito in superficie con riso glutinoso verde e peperoncini a fili. Piuttosto eclettica e divertente la carta dei cocktail, quindi, che lascia margini di scelta anche alla clientela più esigente. Basta osservare la perizia con la quale vengono preparati e, alle spalle del barman, l’ampia scelta di bottiglie sulle quali certo non si discute. L’ambiente è vivace e decisamente informale, con una fauna sempre piuttosto variegata, che però sa apprezzare i toni soffusi e l’atmosfera calda, così come il gusto dell’accoglienza dello staff. Tra i molti nomi di locali che si accavallano nelle movimentate notti milanesi BOB, inaugurato nel maggio dell’anno scorso, ha tutte le carte in regola per durare a lungo e crearsi una nutrita schiera di aficionados. •

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Focus Bar

Al Malò, sintesi fra food e drink di Giorgio Ascorti

Un nuovo locale in Franciacorta conferma la tendenza in atto: ottimo cibo ma anche superlativa offerta di mixology Più chiaro di così: Cucina e Miscelazione si legge sotto l’insegna di Al Malò, il nuovissimo locale aperto in piazza Cavour a Robato, nello storico Palazzo Vantiniano. Ristorante e cocktail bar, un locale dal concept moderno e internazionale che ha l’obiettivo di ‘svecchiare’ un po’ la Franciacorta dove Rovato è la porta di accesso. Il progetto è di tre ‘enfant du pays’: Mauro Zacchetti (chef con importanti esperienze professionali), Lodovico Calabria, (barman di lungo

corso) e Alberto Bergomi, imprenditore edile e nel campo della ristorazione. Un concept che conquista subito per la sua eleganza ed è articolato su due piani con il ristorante a quello superiore e il cocktail bar a livello della piazza. Carta snella, quella di Zacchetti – passato per Berton, Marchesi, Leveillè e Niederkofler - con tre degustazione e quindici piatti, guardando al locale ma anche al mondo. Obiettivo, la golosa raffinatezza che va a braccetto con la mixology di Lodovico Calabria, fatta di grandi classici come di proposte stagionali, destinate a diventare signature. Una bella sfida, in Franciacorta, proporre il pairing con un cocktail e non con una bollicina: i due ci provano, ecco in anteprima un abbinamento che ci ha convinto. •

Da sinistra: Lodovico Calabria (barman), Alberto Bergomi (impreditore edile) e Mauro Zacchetti (chef)

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Poke di salmone Riso basmati Salmone crudo Edamame Fettine di avocado Fettine di mango Salsa di zenzero e lime


Maiale in due cotture, zucca, caffè e whisky torbato 2 kg pancia di maialino orvietano 100 g Whisky torbato 20 g sale 40 g zucchero 1 kg filetto di maialino orvietano 200 g pancetta senza cotenna, affumicata in casa con legno di melo e ginepro 1 kg zucca pulita 20 g zucchero 10 g sale 500 g jus di vitello tradizionale ridotto a glace (salsa fatta con ossa, ritragli di carne e aromi, rosolati e poi lasciati sobbollire a lungo fino ad ottenere un liquido concentrato) 80 g whisky torbato 10 g caffè liofilizzato in polvere

Procedimento Condire la pancia di maiale con sali bilanciati (miscela di zucchero e sale in proporzione di 2:1) ed il whisky, inserire nel sacchetto sottovuoto e cuocere 36 ore a 65°. Una volta cotta, scolare dal liquido, porzionare dei cubi da 90 gr l’uno, incidere la cotenna ed arrostire in olio di semi fino ad ottenere uno strato croccante. Avvolgere i filetti con la pancetta, legarli con spago e cuocerli dapprima con olio, terminare quindi la cottura con burro, aglio e rosmarino, fino ad ottenere un colore rosato. Lasciar riposare al caldo coperto con stagnola. Tagliare la zucca a pezzi, condire con sali bilanciati e cuocere a vapore per 45 minuti. Frullare senza aggiungere ulteriori liquidi per ottenere una pure densa. Portare ad ebollizione il jus di vitello, spegnere il fuoco ed unire il whisky, regolare di sapore e conservare al caldo. Una volta pronti tutti gli ingredienti, impiattare e salsare all’ultimo momento prima di servire, con l’accortezza di spolverare la purea di zucca con un leggero tocco di caffè in polvere.

Benvenuto al Malò 4 cl vodka al chinotto 4,5 cl tisana di arancia amara 2,25 cl succo limone fresco mezza scorza di limone 1,5 cl sciroppo di zucchero

Procedimento

Inserire nello shaker la tisana calda, lasciarla riposare con l’arancia amara tra i 5 e i 10 minuti. Mettere il succo di limone, la scorza, lo sciroppo e successivamente la vodka. Shakerare per pochi secondi, stando attenti che il ghiaccio non si rompa. Filtrare con il double strainer in un bicchiere con ghiaccio e decorare il cocktail con una fetta di arancia, una zest al limone e una mini-tavoletta di cioccolato.

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Così Brita aiuta il buon caffè Un calendario ricco di appuntamenti nello stand dell’azienda al Sigep di Rimini

Un ottimo caffè nasce dall’incontro di due ingredienti di qualità: caffè e acqua. Filtrando l’acqua in modo professionale si può raggiungere la composizione che esalta le caratteristiche dei prodotti in estrazione. Per questa ragione presso lo stand BRITA è stata allestita un’area dimostrativa per presentazioni e degustazioni di caffè specialty preparati per l’occasione dal Campione Italiano Brewing 2017 Gian Za-

BRITA e FABBRI 1905, l’azienda bolognese leader nel settore degli sciroppi e degli ingredienti per la mixology, hanno proposto ogni giorno un aperitivo speciale: il trattamento dell’acqua potabile influisce anche sulla qualità di un ottimo cocktail. Inoltre, alcune tra le principali eccellenze del mondo del caffè sono stati presenti sullo stand BRITA per workshop, degustazioni e presentazioni. Dan Baicatan, campione italiano 2018 di Coffee In Good Spirits ha riproposto la ricetta che ha portato alla finale dei campionati baristi mondiali in Brasile, ai quali si è classificato tra i primi 6. Rubens Gardelli, invece, ha presentato

niol. Ricca l’agenda degli appuntamenti: tra i diversi protagonisti di questa edizione, il workshop con la giovane promessa della Latte Art (20 anni quest’anno) Irvine Quek, vincitore del titolo di campione mondiale al World Latte Art Championship 2018 in Brasile.

una nuova varietà del suo caffè specialty; un’eccellenza quella della sua roastery che ha assunto ormai rilevanza internazionale. Simone Cattani, campione italiano in carica di Ibrik, ha proposto al pubblico delle degustazioni di caffè specialty Ga-

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rage Coffee Bros, illustrando nel dettaglio le particolarità del metodo di estrazione Ibrik (o Cezve). Raimondo Morreale è trainer autorizzato SCA e ha offerto al pubblico una serie di caffè filtro utilizzando le qualità messe a disposizione dalla torrefazione Nero Scuro. Non solo caffè: Gabriella Lombardi e Salvatore Nicchi di Protea Academy hanno preparato con l’acqua filtrata BRITA una serie di tè pregiati sottolineando quanto sia influente l’acqua in una bevanda che ne è composta per oltre il 98%. BRITA, inoltre, è stata sponsor ufficiale delle finali dei campionati italiani BREWERS CUP, CUP TASTERS, IBRIK, COFFEE ROASTING che si sono svolte durante la manifestazione fieristica. Per ciascuna competizione, infatti, BRITA ha messo a disposizione dei concorrenti acqua trattata nel rispetto degli specifici parametri previsti dai regolamenti di gara. Anche gli espositori presenti a Sigep hanno avuto l’opportunità di rifornirsi della tipologia di acqua ottimizzata più appropriata per le preparazioni che sono state realizzate durante lo svolgimento della fiera, al fine di garantire la miglior resa in estrazione in base ai metodi adottati e alle qualità di caffè proposte. •



Focus Bar

Le novità Rancilio a Sigep 2019 Le novità di Sigep 2019: Rancilio Specialty RS1 black&wood e le breakfast solutions per hotel delle superautomatiche Egro

Andrea Mascetti

Andrea Mascetti, Direttore Commerciale Rancilio Group ha dichiarato a proposito delle novità presentate a Sigep di Rimini: “La RS1 è il nostro prodotto di punta per il mondo specialty. Una macchina pensata per ispirare i baristi nel loro lavoro quotidiano, per offrire un caffè eccellente ai consumatori. D’altronde, il nostro motto è ‘Be inspired. Brew different’. I finalisti dei Campionati italiani Baristi hanno potuto prendere confidenza con Rancilio Specialty RS1 sia nel backstage di gara, sia presso il nostro stand, dove abbiamo ospitato anche numerosi torrefattori. A Rimini abbiamo anche presentato la RS1 black&wood, un pezzo unico creato in esclusiva per il Sigep”. “Quest’anno – ha proseguito Andrea Ma-

scetti – abbiamo dato spazio anche alle superautomatiche Egro. In Italia, gli hotel sono interessati a questo tipo di prodotto e cercano soluzioni self-service di elevata qualità e praticità per la colazione. I prodotti Egro offrono un caffè ottimo, come quello estratto con una macchina da caffè tradizionale, rispondono a ogni esigenza – colazione, pranzo o convention – e permettono di ridurre il costo del personale.” In qualità di sponsor ufficiale dei Campionati italiani Baristi, Rancilio Specialty RS1 ha gareggiato sul palco di Sigep al fianco di tutti gli aspiranti campioni, CILA e CIGS, mostrandosi pronta per le competizioni Sca ed elegantissima sotto i riflettori, vestita di acciaio. Manuela Fensore ha vinto il Campionato italiano Latte Art 2019, conquistando il titolo per il secondo anno consecutivo. Al termine di una finale di altissimo livello, la barista ha superato Matteo Beluffi e Pietro Vannelli, secondo e terzo classificato.

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Manuela Fensore

Fuori dal podio: Carmen Clemente, Eva Palma e Alessandro Zengiaro. Le prove di Manuela hanno conquistato i giudici e il pubblico sugli spalti. Tecnica, creatività, mano ferma, precisione, una serie di figure indimenticabili e Rancilio Specialty RS1 sono stati gli ingredienti di questo trionfo che l’ha riconfermata campionessa sul podio di Sigep. I migliori cocktail a base caffè sono quelli di Marco Poidomani che si è aggiudicato il primo premio superando in finale Andrea Villa, Gianmarco Grassini e Rossella Musarra. “Ho avuto la fortuna di allenarmi con RS1 e il feeling con la macchina è stato immediato” ha commentato Marco Poidomani al termine della premiazione. “E la qualità dell’estrazione è stata determinante anche in finale”. Entrambi i vincitori sono stati premiati da Andrea Mascetti, Direttore Commerciale di Rancilio Group, con una targa commemorativa e una Rancilio Silvia, icona della linea Home di Rancilio Group. www.ranciliogroup.com •


VOCE DEL VERBO AMORIM

A m o l a p r e c i s i o n e i n t e s a c o m e i n s i e m e d i t a n t e p i c c o l e o p e r e d ’a r t e . Immerso in una poesia di numeri, il mio lavoro col sughero è ispirato dalla volontà di donare armonia a tutti i processi, per assicurare la migliore esperienza ai clienti.

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Focus Bar

San Benedetto: un 2019 nel segno dell’innovazione L’azienda veneta presenta nuovi prodotti e formati per i consumatori, anche all’estero Il 2019 è ricco di novità per San Benedetto. Il brand, da sempre attento all’innovazione, è in grado di soddisfare ogni esigenza garantendo un’offerta trasversale grazie alla profonda attenzione dedicata ai bisogni dei consumatori. La storia dell’azienda veneta si arricchisce di nuovi prodotti e nuovi formati che certamente godranno di grande apprezzamento. Nata per rispondere all’alta richiesta da parte del mercato estero, in cui l’azienda si sta affermando sempre più, il brand propone per la prima volta il nuovo formato dell’Acqua Minerale San Benedetto in lattina sleek “Single serve” 33 cl nei gusti naturale e frizzante. Spicca grazie a un look elegante e prezioso, dal design essenziale e raffinato che esalta gli elementi iconici del marchio: in primo piano gli scintillanti ghiacciai delle montagne dolomitiche che richiamano la purezza e la leggerezza dell’Acqua San Benedetto. Realizzata completamente in alluminio, la lattina è sicura, pratica, funzionale e 100% riciclabile. Ulteriore importante novità riguarda Antica Fonte della Salute – Millennium Water, la più prestigiosa creazione di San Benedetto, che si presenta in una nuova veste: un elegante formato in vetro da 33 cl. La bottiglia, dalla grande versatilità e riservata ai locali, club e bar più esclusivi, è pensata per i clienti più attenti, abituati a scenari internazionali e sempre alla ricerca di prodotti qualitativamente unici. Disponibile nei gusti naturale e frizzante,

la nuova Antica Fonte della Salute – Millennium Water da 33 cl, va ad affiancare il formato in vetro da 65 cl. Completano la linea le preziose novità prêt-à-porter in PET da 40 cl e 25 cl. Non solo vetro e PET: altra novità assoluta riguarda il nuovo formato in lattina da 25 cl. La sostenibilità, tematica a cui l’azienda è molto legata, qui gioca il suo importante ruolo poiché l’alluminio è riciclabile al 100%. Entrambi i formati, PET e lattina, si uniformeranno all’immagine della linea, riprendendo l’eleganza e la raffinatezza che la contraddistingue. Nel 2019 grande spazio verrà dedicato alle Bibite Zero, con la nuova bottiglia da 40 cl che si presenta più pratica e

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funzionale, mantenendo però un carattere moderno e originale. Disponibile nei gusti Allegra e Limone, è dedicata al fuori casa e al consumo on the go. Infine, nel corso di quest’anno, particolare attenzione verrà dedicata anche al Thè grazie alla linea San Benedetto Indian Black Tea: un prodotto di grande qualità e capace di coinvolgere tutti i sensi del consumatore grazie alla preziosa confezione in vetro, al sapore intenso e al delicato profumo delle foglie di thè nero 100% indiano e della frutta. Il nuovo Thè, proposto nei gusti Limone e Pesca, si presenta in un prezioso scrigno rivestito di decori floreali e raffinati giochi di trasparenze. •


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L’opinione

Io e l’architetto: punti di vista di Oscar Cavallera

Il nuovo bar ristorante Voce di Milano. Pregi e criticità secondo due esperti del settore

all’importanza del luogo e sia in sala sia vicino alla parete della libreria danno un senso di precarietà tipo fiera del libro, visto il loro utilizzo come espositori. La vetrina con serpentina di luce fredda del banco disturba l’occhio del cliente seduto nei tavoli di fronte. La zona di lavoro e sbarazzo, divisa con un paravento, risulta molto rumorosa a causa anche della poca attenzione del personale addetto allo sbarazzo. Arrivano gli snack, preparati con cura e di ottima qualità: qui il segno di una ristorazione attenta è preciso

Un’occasione sprecata? Siamo in piazza della Scala a Milano, nel nuovo bar ristorante Voce, aperto da Aimo e Nadia, una firma importante della ristorazione meneghina. L’idea che ci ha spinto qui è quella di bere un aperitivo in uno dei salotti ritrovati della città… in uno splendido palazzo d’epoca. Sono le 19.30, entriamo, sulla destra delle scale un carrello con tovaglia e mise en place di olio, aceto sale e pepe ci dà il benvenuto. L’impressione è di trovarsi in uno dei tanti bar milanesi dove il pranzo la fa da padrone, peccato sia il momento dell’aperitivo. Saliamo le scale, ci sono due tavoli occupati da tre persone e una coppia al banco. Nessun benvenuto, nessun saluto. Ci accomodiamo a uno dei tavoli e aspettiamo quattro minuti. Finalmente una giovane fanciulla si avvicina e subito si L’area caffetteria del Voce con il corner bookshop preoccupa di avvisarci che alle 20,00 il bar chiude. Mancano 15 e ben definito. Subito dopo ci vengono minuti: noi ringraziamo e ordiniamo due serviti i due americani. americani. L’architetto con sguardo atI cocktail sono di buona fattura, armonitento osserva il locale e inizia a racconci ed equilibrati: buoni. I camerieri contarmi che – secondo lui – tutto lo scatotinuano a fare le pulizie e a smontare la lamento delle pareti ha profili con spesmise en place del banco. Entrano otto sori troppo grandi, con una colorazioclienti che vengono subito rimbalzati e ne non adeguata e che ceramiche, libri invitati a uscire perché il bar sta chiue suppellettili vari sembrano posizionati dendo. L’architetto mi dice che la luce senza il filo logico di un racconto. I tastrutturale è perfetta per gli stucchi ma voli in laminato non sembrano adeguati

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non capisce l’utilizzo dei led e aggiunge che la luce non arriva sul banco ma si ferma sulla bottigliera. Io, seduto sulla sedia in propilene, noto il personale sempre più agitato per la chiusura. Fermo la cameriera e le chiedo come funziona quando un cliente entra dopo le 20,00 per andare al ristorante. Lei con un dito mi indica una ragazza vicino alla porta del ristorante e mi dice: “Quella ragazza è la hostess, ci pensa lei“. Noi chiediamo il conto, anche perché ci sentiamo un po’ come due disturbatori intrusi. Mentre aspettiamo, entra una coppia, sale le scale, si guarda in giro, nessuno proferisce parola alcuna, arrivano davanti alla cassa, finalmente la presunta hostess si muove dal suo comodo rifugio e chiede: ”Ristorante?“ La coppia conferma e si apre la porta della sala. Noi paghiamo, ci ripromettiamo di ritornare per provare il menù del ristorante, e abbiamo la sensazione che la nostra uscita sia vissuta dallo staff come una liberazione, anche se nessuno ci saluta. Conclusioni, l’architetto: “Locale generico. Un semplice arredo come se fosse all’interno di un centro commerciale o di una stazione ferroviaria e non un progetto con una idea di fondo, manca la cultura del progetto, legata a un tema di fondo, manca la scenografia suggestiva al pari con il contenitore”. Io: “Un servizio non adeguato all’importanza del luogo, eccellente il food di accompagnamento a un aperitivo eseguito in modo corretto“. Punti di vista.•


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Cover Story

Lo chef Eugenio Jacques Christiaan Boer

Boer detto Bu:r “La maison che avevo in mente” 30

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di Maurizio Bertera

L’interno del ristorante Bu:r

Conversazione in esclusiva con un talento della ristorazione contemporanea. Sempre presente ai fornelli, inventa e propone una cucina di altissimo livello, in continua evoluzione Per noi Eugenio Jacques Christiaan Boer è un cuoco. Anzi, un grande cuoco. Bella scoperta, viene facile dire. Invece, in questi tempi vivaci per la nostra cucina ma anche un po’ confusi, è evidente che questo 40 enne – olandese da parte di padre e ligure-siciliano da parte di madre – ha tutte quelle peculiarità che a volte sono considerate quasi secondarie per chi guida una cucina. In ordine sparso, EJCB è praticamente sempre al ristorante, nei due servizi (non è obbligatorio, ma non è neppure un regalo ai clienti); non è ripetitivo nella proposta (forse perché ama cucinare? Pure questo, oggi, non ci sembra così scontato); costringe a usare le posate, coltello in primis, in quanto i piatti sono ‘da ristorante’ e non da tapas bar. Bu:r è un posto dove si mangia mol-

to bene, si sta molto bene e che ha – a nostro avviso – il pregio della diversità, in quanto si va oltre la golosa routine imperante. Piacevole sia chiaro, ma pur sempre routine. Ed Eugenio Jacques Christiaan Boer non è certo un ‘routinier’ nella cucina e nella vita. Cominciamo da Bu:r. Un posto molto bello, in una zona poco conosciuta persino a molti milanesi. Non è un caso, ovviamente. Ho visto tanti locali, senza trovare la soluzione giusta. In realtà questo è stato il primo che ho visitato, ma sembrava che la proprietà non volesse cederlo. Poi li ho risentiti, stimolato dalla mia compagna, e in pochissimo tempo abbiamo chiuso. Mi piaceva fosse un po’ nascosto, centrale, ma in una strada tranquilla come via Mercalli. Amo essere un po’ nascosto e forse anche la gente preferisce trovare una zona defilata, un ambiente caldo e sereno. Bu:r è come sono io, l’ho spiegato all’architetto Abruzzese e ha capito: avevo in mente un posto così da sempre. E ormai sono 30 anni che sono cuoco professionista.

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Questo comunque è un ristorante, non un bistrot come va adesso di moda, in particolare a Milano. Vero. Io volevo fare alta cucina. Non so se considerarmi in controtendenza né sono contrario all’idea di una corretta ristorazione alla portata di tutti, anzi. Però chi apre oggi un bistrot, prima ha fatto o sta facendo il mio lavoro al Bu:r. La casa madre di un ipotetico gruppo di locali deve essere un posto come questo, e sottolineo il concetto di casa, di maison. Spieghiamo meglio il richiamo al termine francese. Maison, oltralpe, è la sede dove si fa un lavoro curato, d’autore. Che siano atelier di moda o ristoranti. E nasce per indicare un posto dove si fa di tutto per mettere a proprio agio le persone, non appena entrano. Un concetto che io trovo perfetto In questo senso, tu sei messo bene. Passi per un cuoco molto stimato dai colleghi e amatissimo dal ‘tuo’ pubblico. Particolarmente fedele. Se vere, entrambe le cose mi rendono felice. La seconda ancora di più: un cuoco mette talmente tanto di lui in questo la-


Cover Story un cuisinier, forte di un’impostazione classica, e francamente non mi pesa stare tra i fuochi. Quanto ai piatti… conosco l’opinione. Sorrido perché uno dei più amati è il cervo crudo, semplicissimo da preparare mentre l’idea era provocatoria. A me piace trasmettere il piacere del cibo di un tempo, con una visione contemporanea, fatta di piatti non eterei dove carne e burro hanno un ruolo importante. Inseguo sempre di più una cucina concreta, di gusto, diretta. Ma una delle Suggestioni sempre in carta è la Think Green, dedicata al vegetale. Quindi alla fine, è il cliente che sceglie.

Suggestioni in carta Per il suo nuovo ristorante, Boer ha abolito la carta sostituita da Suggestioni: concetti di degustazione, senza che vengano indicati i piatti che la esprimono. Tre sono fisse: Think Green, I Miei Classici, e Il Viaggio che lo chef definisce ‘piatti relativi al mondo vegetale (ma non vegetariani o vegani)’, ‘piatti iconici’ e ‘contaminazioni della cucina date dai viaggi (di lavoro e di piacere) dello Chef’. Le altre sono a rotazione stagionale o magari entrano per poi sparire per sempre: nel periodo della nostra intervista, erano Gualtiero Marchesi (‘omaggio al padre della Nuova Cucina Italiana), Cromie (‘tonalità di colori nel cibo’), Mare e Monti (‘dove tutto si abbraccia’). Ma abbiamo avuto la fortuna anche di assaggare in passato piatti della geniale Taverna SantoPalato – quindi in chiave futurista – e della golosa La Cuisine du Marché, Ogni Suggestione ha un pensiero e uno svolgimento diverso: il cliente ne può indicare tre o cinque per vedersi servire rispettivamente sette e dieci portate con prezzi di 100 e 130 euro a cui va aggiunto il pairing da 50 o 70 euro. E’ la selezione più ampia a misurare la splendida forma di Boer, che negli anni ha trovato la chiave per abbinare una tecnica notevole – figlia di grandi maison come Arnolfo e St. Hubertus - a un gusto particolare, tutto suo, che tiene conto di un’impostazione classica. Citiamo a mò di esempio qualche proposta: Filetto alla Wellington con ribes rosso; Risotto alla cenere, salmerino di montagna e le sue uova; Carciofo: tortello ripieno di carciofi stufati e fritti, polvere di carciofo bruciato, salsa di foglie di carciofo e liquore ai carciofi; Lievre à la Royale: tagliatella di civet, ragù di lepre, tartufo e riduzione di vino di visciole (a nostro avviso, è uno dei migliori piatti del momento in Italia). Bavarese agli agrumi. Grande cucina, senza alcun dubbio. Seria ma non seriosa: il tocco a sorpresa è l’arrivo in tavola, dopo le prime portate, di un bellissimo mastello – lo vedete nella pagina precedente – che contiene burro salato di Insigny. La quenelle servita con la pagnotta di grano tumminia fa letteralmente godere.

Risotto all’ortica, polline e lavanda

voro – io lo definisco ‘non normale’ – che quando si rende conto della comprensione da parte dei clienti, dell’affetto anche, sta veramente bene. Molti sottovalutano questo aspetto della nostra professione, avere la conferma che il pubblico capisce il cuoco e la persona vale tantissimo. Quindi il ‘tuo’ pubblico si è messo facilmente in sintonia con il concetto di Suggestioni, dove sostanzialmente bisogna affidarsi totalmente allo chef? Esatto. Ma non va intesa come una forzatura nostra sui gusti della clientela né come uno sfogo del mio ego. E’ un concetto che avevo da tempo e su cui si è lavorato tanto in brigata prima di aprire il locale. Poi, in concreto, ho messo un attimo a creare il sistema attuale: in definitiva si tratta di spiegare in sala, capire l’umore e l’appetito di chi è seduto, trovare i piatti giusti fra i 30 che abbiamo in quel periodo nella testa e nelle mani. Imporre secondo me è altro e poi credo da sempre che un cuoco ha sbagliato mestiere se fa solo ‘quello che vuole’ A proposito di cuochi, Boer passa anche per uno perennemente ai fornelli. Che si impegna su piatti importanti, impegnativi molto classici. Lo so, lo so. Mi sono sempre considerato

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Anguria, pomodori e burrata

Può essere che il cuoco di oggi torni in cucina o la rotta è tracciata? Girare fa ormai parte del nostro lavoro e culturalmente ha un senso. Semmai è importante concepirlo per parlare con il maggior numero di persone più che per pubblicità personale. Non vorrei passare per rivoluzionario o utopista, ma penso che noi cuochi dobbiamo lavorare perché la gente, il popolo mangi meglio valorizzando la grande materia prima che abbiamo. Faccio un esempio: un ‘quattro


Architettura d’autore Quello di Boer è un locale ‘importante’, molto curato nell’architettura: opera di Mario Abruzzese, che ha creato uno spazio di grande personalità, incrociando vari stili. Importante è anche il servizio, perfetto nella sua informalità che troppo spesso in altri posti diventa scarsa attenzione ai gesti. A gestirlo è il bravo Simone Dimitri, grande esperienza e calore pugliese, già manager del Bistrot del Mandarin Oriental e in precedenza ‘regista di sala’ al Trussardi alla Scala. E pure la cantina è importante, affidata a Yoel Abarbanel, passato per ristoranti di grande prestigio come Taillevent, Ledbury, Le Gavroche, nonchè di un grande sommelier come Giuseppe Vaccarini. La carta è improntata sulla forte filosofia di riscoperta di vitigni locali, produzioni artigiane, netta espressione del territorio di provenienza. Quindi tanti vini categorizzabili come “naturali” con l’obiettivo sul lungo periodo di mostrare l’assoluta coerenza di questa tipologia enoica in un contesto gastronomico di alto profilo. Nella prima versione della cantina si è cercato di dare dei focus agli Champagne dei vignerons, a delle orizzontali-verticali di grandi interpreti come Lino Maga e Josko Gravner, oltre che a vini comunque abbinabili alla cucina cosmopolita ma di forte impatto gustativo dello chef. Predilezione quindi verso Piemonte, Borgogna e Mosella, che esprimono vini di egual tensione e finezza rispetto alle creazioni di Boer. C’è un percorso di abbinamento mirato sul singolo piatto, con vini non presenti in carta, e che quindi possono beneficiare di forte turnazione a seconda del cambio di ricetta. Circa 300 le etichette in cantina mentre al calice sono disponibili dai 15 ai 20 vini giornalmente.

mani’ per esibizione non mi convince, un ‘quattro mani’ per spiegare quanto sia buono e faccia bene il pesce azzurro è una gran cosa. Ha colpito il fatto che a 40 anni e con un cursus honorum non secondario, nello scorso marzo hai fatto lo stagista da Alain Ducasse al Plaza Athenée. E a settembre, ho già la valigia pronta per rifare un’altra decina di giorni al Louis XV o al The Dorchester. Bellissima esperienza stando al pass come pulendo le rape: si impara sempre nelle cucine francesi. Anche qui in controtendenza. Ma non siamo ormai più bravi di loro? Ho una convinzione: nella formazione di un ventenne italiano per me ci vuole ancora un passaggio in Francia, per una serie di ragioni compreso il rispetto per la loro storia culinaria. Poi, è chiaro che l’Italia debba essere conosciuta in modo totale: un aspirante chef non può trascurare le basi di tutte le cucine regionali. Quanto ai più o meno bravi, noto che il

La brigata al completo durante l’allestimento

mondo è cambiato: tanti giovani francesi vengono a imparare da noi, tanti italiani lavorano, e benissimo, da loro. Ma li abbiamo messi dietro o no? Senza dubbio sono meno comunicativi di noi ma stiamo ignorando il loro lavoro per tornare ai vertici. Al di là di aver visto da vicino cosa fa monsieur Ducasse (ndr, dice proprio così), cuochi come Gautier, Alleno e Troisgros sono tutt’altro che monumenti fermi. Poi, non dimentichiamoci della forza della loro cucina nel mondo: ovunque, salvo che in pochissime nazioni, il concetto dell’alta cucina, della

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grande esperienza è ancora francese. E hanno la storia dalla loro parte: perché si è sempre andati da Boucuse? Perché si deve. Il Boer, gran viaggiatore che non rinnega il passato, cosa pensa dei giovani che girano per le cucine italiche? Tanti sono bravi, coraggiosi, a 25 anni gestiscono locali. E’ la prima generazione di cuochi messa in condizione ideale per crescere bene: rispetto a noi hanno avuto internet, centinaia di libri, la possibilità di girare il mondo. Sanno più cose ma forse hanno meno fame intellettuale. ripeto ai miei che devono studiare di più la tradizione, andare nei ristoranti che hanno fatto la nostra storia come il Pescatore e non solo al Noma, cercare la semplicità applicata all’eccellenza dei prodotti. Poi si può provare a fare tendenza, prima no. Progetti a breve e lunga gittata? Ho appena aperto con l’ex-maitre di Essenza - Damian Piotr Janczara - il bistrot Altrimenti in via Monte Bianco e magari ci sarà un bis… Qui lavoro per creare qualcosa di più grande, è un passaggio fondamentale nella carriera. Tornando al concetto di maison, questa è una casa e una casa si evolve continuamente. Anche saltasse fuori un’occasione all’estero, non vorrei perdere questa. Sei proprio contento di questo locale. E’ un posto fatto da me e da chi ha accettato la sfida. Abbiamo passato sei mesi a lavorare tutti insieme per metterlo a punto, sei mesi che sono serviti a tanto. Poi è bellissimo essere a casa propria. Curiosità finale, per chi non l’avesse ancora capito. Il nome del ristorante ricorda il tuo ma è scritto in maniera diversa. Perché? E’ sempre stato un problema ricorrente in questi anni indovinare la pronuncia del mio cognome. Ora non ci sono più scusanti… Nell’insegna ho messo anche i due punti fonetici per indicare che la “u” deve essere pronunciata più lunga del normale. Detto questo, c’è ancora qualcuno che dice Boer, Bor, Boèr…Amen. •


L’opinione

E se la Gourmandise porta all’esasperazione? di Stefano Bonini

Siamo ormai in piena sovraesposizione mediatica di chef, food, ricette ecc. Una bolla iperbolica che presto potrebbe scoppiare È l’epoca della massima esposizione mediatica della cucina e dei suoi principali protagonisti, gli chef. Programmi televisivi, radiofonici, blog, ecc., se non parlano di cibo, vino e ristoranti corrono il rischio di non “esistere” nell’etere. Dalle semplici ricette a vere e proprie sfide a colpi di coltello e mattarello, gli show culinari imperversano creando pletore di spettatori, lettori e radioascoltatori più o meno gourmet, ma certamente sempre più attenti al cibo e alla sua qualità. Che se da un lato rimane un elemento positivo per il mondo della ristorazione e per la sua stessa sopravvivenza, dall’altro tutta questa sovraesposizione sta tuttavia creando “cellule” oltranziste che esasperano il lato goloso e godurioso della cucina. Un’ossessione dilagante per il cibo e per il suo lato estetico in particolare, sottolineato da milioni di foto scattate su Instagram a piatti belli e scenici ma non necessariamente buoni. E’ il cosiddetto “food porn”, la nuova pornografia gastronomica che sta contagiando milioni di persone. Ecco la sana passione che si è trasformata in pedante ridondanza, in esasperazione estetica e linguistica, a tal punto che oggi non esiste pizzeria o paninoteca che non proponga la pizza, l’hamburger o il panino gourmet. Se così non fosse d’altronde non “esisterebbero” perché nes-

suno le instagrammerebbe. Siamo al paradosso culinario per cui anche il junk food e lo street food possono diventare gourmet. Manca solo che diventi gourmet la “rustichella” poi abbiamo fatto bingo, con stuoli di automobilisti e camionisti in fila per immortalare i panini dell’autogrill. Qualcuno sostiene che l’apice sia già stato raggiunto e che lentamente (e impercettibilmente) la cucina gourmet abbia intrapreso la propria parabola discendente. Tra ambiguità bloggeristiche, collusioni da influencer e bibbie gastronomiche sempre più oggetto di critiche, un certo tipo di cucina e di mondo è forse arrivato a livello. Il circo della ristorazione pare in sostanza aver stancato … almeno su certi argomenti. Siamo dell’idea che il sistema dovrebbe riappropriarsi dei suoi fondamentali, ridimensionare l’iconica figura dello chef,

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moderna rockstar, e fare in modo di riaprire le sue porte e le sue tavole anche alle persone normali, aggredite negli ultimi tempi da una comunicazione che, per certi versi e interessi, ha allontanato dalla realtà per proiettarli nell’immaginario collettivo anche chef e cuochi talvolta poco più che mediocri. Ma magari abili assemblatori di ingredienti per panini e hamburger gourmet, che grazie a questo semplice, all’apparenza, aggettivo qualificativo vedono schizzare alle stelle il loro prezzo, abbandonando per sempre l’etichetta di piatto semplice da fast food o addirittura peggio junk food. E relativamente alla pizza non dimenticate che a Napoli gira da tempo una voce secondo cui “è pizza quando si finisce con gusto fino all’ultimo boccone cornicione compreso; è invece pizza gourmet quando dopo il primo spicchio non riesci più ad andare avanti con il secondo”.•


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L’intervista

Giovanni Fiorin, far divertire il cliente di Maurizio Bertera

Le opinioni e le idee di uno degli attori del food & drink in Italia. Manager e imprenditore, ha cambiato gli scenari dell’offerta Non è facile inquadrare Giovanni Fiorin, anche se da una quindicina di anni è protagonista nel food & drink italiano, milanese in particolare. Uomo di idee, sicuramente. Un bravo manager e imprenditore. Soprattutto, un appassionato di ‘cose belle’ che si è fatto tanta gavetta prima del successo. Classe 1969, veneziano di Portogruaro, ha iniziato giovanissimo a lavorare in giro per il mondo: navi da crociera ai Caraibi e Bermuda, un periodo in Germania, due stagioni negli States a lavorare per la Disney. Rientra-

Lo sharing table di Dry Milano

to in Italia nel 2005, entra al Trussardi alla Scala (“Grazie a Savio Bina e Carlo Cracco, due persone che stimo molto” ricorda) dove diventa il braccio destro di Andrea Berton. Con lo chef friulano – uscito dal ristorante stellato – e due soci lancia nel 2013 Pisacco e Dry, due format innovativi, che restano attualissimi e ha diretto sino a poco tempo fa. “La società resta salda e ne faccio ancora parte, ma è venuto il momento di prendere un manager esterno al mio posto. Ma non ho certo smesso di lavorare, anzi…”. Lo incontriamo al Montefiore, a place for gin: l’elegante spazio privato all’interno di Terrazza Gallia, il concept più recente che porta la sua firma, dedicato esclusivamente alla mixology con il gin protagonista. “Una consulenza interessante, per dare ulteriore personalità a un luogo già importante e suggestivo quale il bar di Terrazza Gallia. Insieme al

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general manager della struttura, Marco Olivieri, abbiamo creato un luogo per bere miscelato al top che sta benissimo qui ma potrebbe essere a New York o Londra ma anche vivere come un locale a parte. Perché ha identità, il valore imprescindibile oggi per un qualsiasi posto” Fiorin, formidabili gli ultimi 15 anni a Milano: anche Terrazza Gallia e l’Excelsior Hotel che la contiene sono un esempio del Rinascimento In effetti, prima dell’Expo c’erano buoni segnali. Ma eravamo ancora costretti a prendere l’aereo per vedere locali spettacolari e d’avanguardia: oggi a Milano, ci sono un sacco di realtà che non sfigurerebbero affatto nelle capitali del buon cibo e del buon bere. L’importante è non adagiarsi, il mondo non si ferma mai: bisogna sempre inventare,cambiare, girare. Uscendo dai Navigli, quali città vede in crescita?


Giovanni Fiorin

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Roma è sempre Roma, si muove con i suoi ritmi ma la vedo in ripresa. Torino piace a tutti ma nella sostanza, i nuovi concept faticano. Poi ci sono Venezia e Firenze che hanno similitudini: in laguna hanno una cultura notevole sul cibo ma si ritrovano sul mercato una marea di posti terribili, ‘di plastica’ -come li chiamo io - che fanno da tappo. Quanto a Firenze, ritengo abbia solo bisogno di qualcosa che faccia da starter, come è stata l’Expo per Milano. Ha debuttato occupandosi di cucina d’autore declinandola poi nel Café Trussardi, al piano inferiore di quello che sarebbe diventato un bistellato Michelin. Altri tempi? A meno di essere appassionati veri, ci si sedeva al ristorante gourmet per fare l’Esperienza. Oggi fa status frequentare i locali, soprattutto se c’è uno chef mediatico: aprono un posto e bisogna andarci assolutamente. Sono cambiati anche i ‘fissati’ che ora si prendono un low-cost per raggiungere la Spagna o il Nord Europa per provare ‘quel’ locale. All’epoca, quando mi mettevo in ferie per assaggiare i piatti di Can Roca venivo preso per matto… Detto questo, è un momento delicato per la cucina d’autore, anche se molti non l’hanno capito. Troppi locali? Troppo cari? Sono pochi i talenti a fare la differenza, a garantire la qualità costante del lavoro e quindi la resa economica: Andrea Berton è uno di questi, lo affermo non perché siamo amici e soci ma per quanto sta facendo. Oggi, aprire un ristorante con ambizioni stellate costa tanto e ancora di più costa gestirlo. Forse da noi maggiormente che in altri Paesi. Non è il mio mood, peraltro. Provocazione: non ama i cuochi, a parte il già citato Berton… Diciamo così: non sopporto più i rituali della cucina stellata, il racconto dei piatti. Per me, i cuochi – sto parlando in generale – dovrebbero occuparsi maggiormente della materia prima perché spesso utilizzano sempre gli stessi fornitori e dovrebbero far divertire di più il


L’intervista

Montefiore, spazio dedicato alla mixology in terrazza Gallia (a sinistra) e Pisacco (a destra)

cliente. La componente del divertimento per me è importante, lo stupore quando arrivano i piatti non è secondaria. Cosa faceva Adrià? Divertiva e stupiva, oltre che ovviamente cucinare bene ma questo lo considero scontato. Ecco, a mio avviso, in tantissimi stellati ci si annoia. Scendendo di un gradino, parliamo di bistrot. Ne nasce uno al giorno. Anche qui, mi pare che soprattutto a Milano ci si guardi uno con l’altro. Forse si sta chetando l’onda dell’innovazione: vitello tonnato, risotto alla milanese, tiramisù…I menu mi sembrano molto simili o magari la gente vuole mangiare solo quelle cose. Ma quelli ‘griffati’ non riescono a togliersi la ‘patina da stellato’: per esempio Exit mi piace molto, però trovo un approccio non leggero come dovrebbe avvenire in un chiosco, per quanto particolare. Però nel 2012, è stato proprio Pisacco ad aprire l’era dei bistrot. Per noi il concept era quello di una trattoria contemporanea, abbastanza in divenire dove c’erano le scatolette di sardine, piatti della tradizione e qualche creazione di Berton. Ho capito dopo i motivi del successo: i vari elementi – la cucina, la cantina, l’ambiente, la musica – si mixavano bene tra loro e rendevano divertente l’esperienza. E poi c’era un servizio che avevo già sperimentato al Café Trussardi: attenzione da cinque stelle ma informale, sorridente. Dry: praticamente un nuovo modo, poi

copiatissimo, di vivere la pizzeria. Qualcosa che non è stato ancora detto in mille articoli? Forse il fatto che nel progetto quasi non si nominava la pizza: volevamo che fosse buona, stop. Il focus era un altro, il ribaltamento di una concezione vecchia e noiosa: a Milano, sino al 2013 la pizzeria era tradizionale - non cattiva sia chiaro - servita in locali dove fermarsi poco, il meno possibile in qualche caso. Molti hanno pensato fosse un azzardo, invece non ricordo un momento in cui dubitavamo del successo di questa formula, tanto più con la ‘carica’ data da Pisacco. La mia paura è che se aspettavamo ancora qualche mese per aprire, l’idea del cocktail & pizza sarebbe stata concretizzata da altri. Come si spiega l’esplosione del fenomeno pizza gourmet? Solo per un più facile ritorno economico e una maggiore facilità di gestione rispetto a un ristorante? No, anche perché ci sono pizzerie che guadagnano e altre no, come succede per ogni tipologia di locale. Molto si deve al progresso enorme sul fronte tecnologico e allo studio degli impasti, che sino a dieci anni fa non esistevano. Le lievitazioni sono magia e consentono di creare cose impensabili in passato: il pubblico si siede nei locali, curioso e si aspetta di essere sorpreso da quello che arriverà a tavola per il tipo di impasto, il topping, persino la forma. Questo conta. Capitolo cocktail: al Dry sono passati tanti specialisti, a partire da Guglielmo

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Miriello, che hanno dato un’impronta al locale. Oggi si parla solo di mixology: era prevedibile? Intanto non è che in Italia non si sia mai bevuto bene: basti pensare negli anni ‘70 ai bar dei grandi alberghi romani o al Basso di Milano, specializzati nei classici. L’esplosione della nuova era a Londra e New York, in definitiva, non ci ha colto impreparati tanto più che il mondo è pieno di nostri barman. Certo, restiamo il Paese del vino ma ora c’è un attenzione importante al tema. E’ obbligatorio avere un bar quando oggi si apre un concept di ristorazione? Sicuramente serve all’immagine. Poi se è una tendenza generale, chi non la segue deve avere un’idea altrettanto interessante per non essere considerato strano. Quello che sfugge a molti è la difficoltà dell’impresa: la mixology sembra un gioco da ragazzi rispetto alla cucina ma in realtà richiede un ‘software’ sofisticato e un controllo costante di quanto avviene. Quindi occorre tanta organizzazione e una buona esperienza nel settore. In attesa di nuove e grandi avventure, il pensiero finale legato ai temi di cui ci siamo occupati? Vorrei citare una frase di Ian Schrager, uno dei fondatori del mitico Studio 54 e praticamente l’inventore del concetto di boutique hotel. ‘Fai cose semplici, molto buone e la gente ti seguirà ovunque’ ripete ai suoi amici e collaboratori. E’ difficilissimo, ma il segreto è questo. •



Protagonisti Food

Il “Sistema Cannavacciuolo” funziona alla grande di Maurizio Bertera

Vincenzo Manicone e Nicola Somma, gli chef dei neostellati bistrot di Novara e Torino, si confrontano assiduamente con il grande Antonino, che detta linea e visione vincenti Da quando la presentazione della Rossa Michelin è diventata l‘evento dell’anno, la copertina è sempre riservata alle Tre Stelle conquistate, perse o mancate. Quindi nessuna sorpresa se a Parma, nello scorso novembre, è stato Mauro Uliassi a guadagnarsi l’attenzione generale e in particolare di chi non segue la ristorazione. In realtà, la vera notizia è stata la Stella assegnata ai due bistrot di Antonino Cannavacciuolo. Nelle ultime edizioni della guida, sia Enrico Bartolini che Giancarlo Perbellini si erano tolti la soddisfazione di vedere premiati più locali in contemporanea, ma si trattava di una situazione diversa. Perché in questo

caso, la Michelin ha compiuto – a nostro avviso - tre scelte significative: 1) valutare positivamente un sistema – e vedremo quale - e non un singolo locale ‘firmato’ da uno chef; 2) non cedere alla vulgata che condanna la mancanza della suddetta ‘firma’ all’interno dei locali, tanto più nel caso I neo-stellati Nicola Somma e Vincenzo Manicone di un grande cuoco co- insieme ad Antonino Cannavacciuolo me Cannavacciuolo che attualmente non ha rivali gente. Ci vuole impegno e un pizzico di per l’impegno in televisione e quindi intuizione: ho scelto di ricostruire lo stoè talvolta assente dalle cucine, di Villa rico bar del Teatro Coccia dopo aver visto Crespi in primis; 3) assegnare lo stesso posti apparentemente più belli e meno riconoscimento in posti, praticamente conciati. Ho fatto bene, probabilmente gemelli e nella stessa regione: i bistrot a era destino: il locale aveva conquistato Torino e Novara distano 100 km. “Per me la Stella Michelin nel 1959 e l’ha ripresa è stato un grandissimo successo, signifi60 anni dopo, ripartendo dalle macerie. ca che la famiglia sta crescendo – spiega Incredibile.” Il locale di Novara – piazza Antonino Cannavacciuolo – già prima che non facile – è stato aperto nell’ottobre mi cimentassi nelle trasmissioni televisi2015: un Café e Bistrot - articolato su ve, avevo ben chiara l’idea di creare più due piani e varie sale - dove elementi realtà con la stessa visione: fare stare la

Il cafè e bistrot a Novara

Il bistrot a Torino

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di vintage Anni ’60 si mixano a una base contemporanea. Il Bistrot di Torino è nato nel luglio 2017: alle spalle della Gran Madre e nel salotto buono della città, un locale anche’esso su due piani, in stile minimalista ed elegante, seguendo dichiaratamente la filosofia feng shui. In entrambi ci sono apparecchiature curate, servizio professionale e preciso, informalità, ma di lusso non ostentato. Del resto, la casa madre – Villa Crespi – è uno dei migliori esempi di sala moderna, che sa interpretare il rito senza sbagliare nulla ma anche senza dare pesantezza all’insieme “Nei bistrot faccio il cliente e ragiono come tale perché non mi trovo a Villa Crespi dove bene o male ci sono fisicamente, mi siedo perché voglio

sentire l’aria che tira, vedere le persone che entrano, osservare il servizio che è sempre più l’arma vincente di un qualsiasi locale” sottolinea il bistellato di Vico Equense. I piatti sono differenti ma alla base c’è l’identica contaminazione tra classici della tradizione piemontese e ricordi della gastronomia campana, quel giochino Nord-Sud – con tocchi origi-

nali e le migliori materie prime – che ha fatto grande Cannavacciuolo. A Torino, il degustazione Questione di Attimi si apre con la Battuta di fassona piemontese, nocciola, caviale di lumaca e salsa di ostrica e si chiude con Pomodoro, passion fruit e gelato di bufala. A Novara – dove esiste anche un menu a sorpresa di sette portate – il degustazione Sipario spazia dal Risotto ricci di mare, capperi, limone e acciuga al Capocollo di maialino da latte, cime di rapa e carote. Non c’è bisogno di troppe verifiche da parte del comandante: i due chef Vincenzo Manicone e Nicola Somma – entrambi under 30 e di origini meridionali – si sono formati per quattro-cinque anni ai fornelli di Villa Crespi, dopo varie esperienze di livello. Non sono esecutori marchesiani – lo chef in primis sottolinea il loro talento – ma interpretano in maniera esemplare la visione di Don Antonino. “Ci si confronta telefonicamente sui nuovi piatti e in seguito vado ad assaggiarli, ma li trovo già messi a punto da loro insieme al resto della brigata di cucina e pure con il contributo di chi è in sala, esattamente come avviene a Villa Crespi – racconta – in questo modo, trovo nel piatto il mio pensiero, rivisto da un cuoco che ragiona come me e discusso internamente. Non si perde tempo a spiegare e le rifiniture sono immediate: devo dare fiducia a chi

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lavora con me, anche perché ormai siamo arrivati a 170-180 dipendenti tra le varie realtà del gruppo”. Un’azienda seria, vera che non perde il valore umano. “I bistrot nascono dal basso, come ho detto più volte – prosegue Cannavacciuolo - dal bisogno di aiutare i ragazzi a trovare una loro strada, senza allontanarli o perderli, perché a forza di stare insieme a loro giorno e notte diventano fratelli o figli. E’ stato bello non tarpare le ali, riuscendo a tenerli in famiglia per un progetto che coinvolge tutti”. Entusiamo, ma anche una logica precisa. A Villa Crespi, ci sono 25 cuochi quando durante un servizio normale ne bastano 15, ma ogni giorno c’è bisogno di rinforzi a Torino, una sostituzione a Novara o un’emergenza nel locale bistellato. E poi, come in una cantera del calcio, ci si allena a diventare più bravi. Domanda d’obbligo: sono in arrivo altri bistrot? “E’ una formula di successo, come sempre è il mercato che la richiedeva per ragioni economiche e siccome i primi hanno funzionato ci siamo buttati tutti quanti, in ritardo sulla Francia ma per qualità siamo altrettanto bravi – risponde Cannavacciuolo – quanto ai progetti, sto lavorando su una grande struttura a Vico Equense che sarà pronta nel 2021 e ammetto che Milano invita a ragionare su un bistrot. Si vedrà”. Pensaci, don Antonino. •


BR

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B ar | Al ber ghi | R is to r anti

MATERIE PRIME, PASSIONE, COSTI, FATTIBILITÀ Giovanni Guadagno, FEDERAZIONE ITALIANA CUOCHI, “COME TRASMETTERE PASSIONE E MOTIVAZIONI A TUTTO IL COMPARTO DEI CUOCHI”

Massimo Giubilesi, ESPERTO DI SICUREZZA ALIMENTARE GIUBILESI & ASSOCIATI SRL, “NON SOLO PASSIONE, MA ANCHE CONOSCENZA E ATTENZIONE AI DETTAGLI”

Graziano Duca, CHEF GH BRISTOL, “LA PASSIONE PER IL NOSTRO MESTIERE PARTE DALL’AMORE VERSO LA MATERIA PRIMA”

Daniel Facen, CHEF ANTEPRIMA, “SPERIMENTAZIONE E RICERCA DANNO I MASSIMI RISULTATI”

Vito Mollica, CHEF FOUR SEASONS, “ALTA CUCINA FA RIMA CON PASSIONE E TALENTO”

Elio Palombi, STORICO DELL’ALIMENTAZIONE, “COMUNICARE CON PASSIONE LE DIVERSITÀ PRODUTTIVE

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BR

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B ar | A lbe rgh i | R i storan ti

VINO, QUALE FUTURO NEI BAR, ALBERGHI, RISTORANTI Giovanni Longo, TITOLARE ENOTECA LONGO, UN MONDO DI SPECIALITÀ, “ESPERIENZA E PASSIONE NEL SAPER DIVERSIFICARE L’OFFERTA”

Antonello Maietta, PRESIDENTE NAZIONALE AIS, “IL RUOLO DEL SOMMELIER E L’EVOLUZIONE DELLE TENDENZE DI CONSUMO”

Nicola Bonera, AIS, MIGLIOR SOMMELIER D’ITALIA 2010, “IL SERVIZIO DEL VINO E LA CAPACITÀ DI COMUNICARNE IL VERO VALORE”

Francesca Negri, WINE&FOOD JOURNALIST, “LA “GEISHA GOURMET” RACCONTA IL POSIZIONAMENTO

Lorenza Vitali, GIORNALISTA WITALY, “SENZA CONOSCENZA DELLE TECNICHE, LA PASSIONE RIMANE UN PURO FATTO EMOTIVO”

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BR

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B ar | Al ber ghi | R is to r anti

CONFERENZA SUL NEUROMARKETING, RICONOSCERE IL CLIENTE DALLA PASSIONE Vincenzo Russo, docente di Psicologia dei consumi e Neuromarketing presso lo IULM di Milano

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B ar | A lbe rgh i | R i storan ti

I MODERATORI

Stefano Bonini, PARTNER, TRADE MARK ITALIA

Oscar Cavallera, FO.BE.CO.,

Maurizio Bertera,

Rocco Lettieri, GIORNALISTA,

GIORNALISTA

SCRITTORE DI ENOGASTRONOMIA

Alberto Schieppatti, DIRETTORE EDITORIALE DI BARTÙ

Elio Ghisalberti, FOOD HUNTER, GIORNALISTA

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Protagonisti Food

Torino non sta a guardare All’Edit arriva Monti di Nadia Afragola

Nuovo passo per il polo foodie della città, con l’approdo di uno chef piacentino, con molteplici esperienze top. Genialità, passione e talento emergono dall’intervista in esclusiva Edit, acronimo di Eat, Drink, Innovate Togheter, è il polo gastronomico di Torino che ha aperto le porte meno di un anno fa negli spazi degli stabilimenti dell’ex Incet nel quartiere Barriera di Milano. Una grande struttura dal sapore mitteleuropeo, una sorta di cattedrale del cibo condiviso. Varchi la soglia e potresti essere a Londra, come a Rotterdam o a Parigi: trovi la Bakery cafè, il birrificio artigianale con pub annesso e una proposta di ristorazione semplice e veloce, oltre ai lievitati firmati da “Re” Renato Bosco. Al primo piano una doppia proposta: il cocktail bar e il ristorante gourmet. Fin qui tutto noto da tempo. La novità di questo 2019 è però il cambio al timone del Ristorante che passa dai fratelli Costardi all’emiliano, classe ’79, Matteo Monti arrivato dal Rebelot di Milano. Nessuna consulenza per lui ma una nomina a resident chef. Il primo della storia di Edit. Ma chi è Matteo Monti? Un ragazzo di 39 anni nato a Piacenza, residente a Cadeo, perito elettrotecnico, capo tecnico, uscito da scuola con 70/100: ci tengo tantissimo al voto finale, all’inizio avevo la media del 3. Un ragazzo con la passione per il buon cibo e la cucina, entrambe tramandate da mamma Franca e papà Artemio. Nessuna scuola

Lo chef Matteo Monti

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alberghiera mi voleva, avevo 20 anni, ero troppo “vecchio”, poi ho trovato un corso, un distaccamento di Serramazzoni, e ho iniziato il biennio. Ti permetteva di fare lo stage dove volevi e io chiesi di andare all’Antica Osteria del Teatro di Piacenza, ci passavo davanti tutti i giorni. Il primo anno lo chef Filippo Chiappini Dattilo era al completo ma mi tenne un posto per l’anno successivo. Nel frattempo andai da Carla Radaelli a Riva, Ponte dell’Olio. Dopo gli anni da Filippo mi spostai a Siena da Lopriore, mi fece vedere un modo di cucinare che mi entrò dentro e non uscì più. Furono anni duri, di formazione, anni in cui arrivò anche la Stella Michelin. Poi andai in Norvegia, passai due anni al Ristorante Bagatelle alla corte di Eyvind Hellstrøm. Con lui vidi la Francia, le basi erano quelle, abbinate a prodotti norvegesi, che non ho trovato mai più in tutta la mia vita. È chiamato a prendere il posto dei fratelli Costardi. Ci sarà un cambio di marcia? Cambia l’offerta sì, per il cambio di marcia non saprei, non c’ero prima. Conosco Christian, ho fatto con lui una bellissima 4 mani e rispetto il lavoro dei due fratelli Costardi. Faccio la mia cucina, quello che mi piace: cotture espresse, ricerca

Lo chef Monti insieme alla brigata dell’Edit

del prodotto anche locale, che non vuol dire km0 e qui per essere chiaro prendo in prestito una frase dell’amico Matteo Metullio, preferisco il km vero. Vado a prendere la roba che è buona e se sì trova a 1000 km poco importa. Ho pochi piatti in carta, ho corso un rischio, perché è una scelta che può spaventare: la gente oggi vuole vedere menù con 1200 proposte. Da Edit, al mio ristorante troverai quattro scelte di tutto: antipasti, primi, secondi e dolci. Cambieranno ogni due mesi in base alla stagione e al mercato di Porta Palazzo. Lì do ascolto ai contadini, sono gli unici a potermi dare il vero, al momento. Tanti i suoi maestri, spiccano su tutti Lopriore, Scabin e Chiappini. Cosa resta di loro? Se Lopriore mi ha girato l’anima, zio Da-

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vide (Scabin, nd) ci ha giocato. Il primo andava al gusto, all’essenza, senza fronzoli o paura, Scabin prendeva il gusto e ci giocava. È un manipolatore del gusto con una eleganza estrema: questo ho imparato da lui. Filippo (Chiappini, ndr) mi ha dato lo scheletro sul quale costruire il resto della mia vita, mi ha dato l’anima, il cuore, la dolcezza, l’amore per questo lavoro, il gusto, la capacità di scegliere le materie prime: 20 anni fa era tra i migliori ristoranti d’Italia non per caso! Dicono che sia un cuoco di sostanza. In che senso? Io dò semplicemente da mangiare, amo la materia e amo mangiare… anche se sono a dieta. Ciò che però mi piace più di tutto è fare da mangiare. Quando leggevo il nome Bob (Noto, ndr) sulla prenotazione al mio ristorante mi veniva la pelle d’oca. Impazziva per un piatto che ho smesso di fare dopo la sua scomparsa, le alici al verde. È una proposta facile, non stupida: sono le alici di Bob. Lui avrebbe potuto dire tutto, eppure non si permetteva mai di dire ad un cuoco “devi”. La sera che venne a mangiare per la prima volta al Rebelòt non la dimenticherò mai, piansi per due giorni ma non cambiai la linea per quello e non si permise di dire che c’era poca acidità nei miei piatti. Poi tornò una seconda volta e prima di andare mi disse: “Bravo, Yul Brynner, sei sulla strada giusta” così mi chiamò una volta Davide (Scabin, ndr) e così rimase. Deve ancora nascere un altro Bob Noto. Lorenzo (Sandano, ndr) potrebbe essere sulla strada giusta. Cosa è l’istinto per lei? È tutto: la scintilla, il battito del cuore che fa pompare il sangue e venir fuori un’idea, un gusto, un abbinamento. Ciò che ti permette di capire una persona, al punto da servirgli del fegato crudo. Cucina d’avanguardia: una parolona o c’è anche un senso dietro? C’è sostanza prima ancora che senso. La cucina d’avanguardia ha cambiato il mondo ma è una definizione che appartiene solo a determinate persone. Molti la usano senza rispetto. Un nome su tutti?


Protagonisti Food Paul Bocuse. Com’è la sua carta? Ci consiglia un paio di piatti? Abbiamo due carte, la proposta al bancone e la carta del ristorante. La prima è selettiva, intima, sono io; la seconda è vera, popolare, democratica e sono sempre io. Oggi la gente non esce per mangiare, per sfamarsi, vuole passare una bella serata, investe il suo tempo e tu devi essere all’altezza. Cosa vi consiglio? Se vi sedete al ristorante un piatto che capiscono in pochi: lo gnocco di patate, fonduta di toma e salsiccia di Bra, che però se mi dai ascolto lo mangi con i 10 grammi di caviale che ti servo vicino, perché voglio darti la possibilità di osare sia nel prezzo che nel gusto. E così un piatto popolare diventa selettivo e mio. Se siedi al banco invece ti consiglio di ordinare “calamari e carciofi”, un piatto che racchiude i miei due maestri: cuocio tutto il calamaro fin quasi a farlo diventare lardo, trasformo il gusto e il sapore come mi ha insegnato a fare Davide (Scabin, ndr); il carciofo è figlio di Lopriore, lui lo serviva con l’ombrina. E poi.. se posso ti consiglio un dolce: Bianco Campari, semifreddo al cioccolato bianco, burro di arachidi, polvere di cappero salato, olio extravergine Natali e Campari. Un piatto che fui costretto a togliere dalla carta del Rebelòt perché nessuno ci credeva. Qui torna in carta e ci resta e ogni 15 del mese aggiungo un ingrediente, fino ad arrivare a 27, il numero totale di combinazioni messe a punto fino ad oggi. Ve lo avevo detto che mi piace giocare? Aspira alla stella… vero? Non mi interessa, nel senso che prima di tutto aspiro a fare il percorso che è necessario intraprendere per arrivare a un simile traguardo. La vorrei come riconoscimento per il lavoro di tutti, anche se poi la stella è cucita solo sulla giacca del cuoco. Avremo i cocktail abbinati al cibo non perché è una moda o per strategia ma perché funziona e mi piace. Gruppo di lavoro. Di quante persone è composto? Ha portato qualcuno con sé da Milano?

In cucina siamo in sei. Ho trovato dei ragazzi bravissimi: Vittorio, la figura più importante perché capace di prendere in mano la cucina quando Christian (Costardi, ndr) era via per lavoro e poi Daniele e Mattia. Da Milano mi hanno seguito Virginia e Riccardo. In sala sono in quattro più Andrea il responsabile di sala, al quale mi legano due anni al Rebelot. Ingredienti… quanto la sua cucina si lega al territorio? Si lega alla mia storia, al mio presente più che al territorio. Vado due volte la settimana al mercato di Porta Palazzo, compro il pesce da Beppe Gallina, non sarà del Po ma è una garanzia. La fassona piemontese è quella di Franco Cazzamali, arriva da Cremona ma è la migliore. Il primo piatto che vi farei mangiare al bancone è l’anolino al tovagliolo, quello che faceva mia mamma, è la stessa identica ricetta solo che lei li faceva meglio. Mamma oggi ha 73 anni, papà 85 e appena la cucina sarà al top li inveterò a Torino. Quanto sono imprenditori oggi i cuochi? Tanto. Troppo, in alcuni casi si tralascia la cucina per l’imprenditoria mentre bisognerebbe essere bravi a fare entrambe le cose. Quando cerco un prodotto deve essere sano e giusto come fascia di prezzo oltre che come qualità. Parto dal buono per arrivare all’ottimo. Chi è un critico per lei? Una persona che ha rispetto… del mio lavoro, della mia persona. Uno che sa cosa è il lavoro, che sa quanto studio c’è dietro il nostro lavoro, che sa come si fa ad arrivare ad un determinato sapore e che sa come ricreare quello stesso gusto. Ci sono degli ingredienti che non entreranno mai nella sua cucina? I cani. La loro carne la stanno liberalizzando in Norvegia. Per il resto non ho limiti. La melanzana ad esempio non riesco a mangiarla, non sono allergico ma non mi piace, eppure adoro metterla nei piatti. Mi piace fondamentalmente tutto ciò che è natura, giusto e buono. La felicità che sapore ha? Quello della pelle di un bambino, sa di borotalco.

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Il suo comfort food? Sono tre sere che mangio il kebab ordinato su Just Eat alle 4 del mattino, quando la giornata di lavoro è conclusa. Tutto può essere comfort food. Parliamo di ciò che ti rende felice. Penso a quel piatto che nel film di animazione Ratatouille servono in una delle ultime scelte al critico gastronomico tanto temuto. Una zuppa fatta da un topo conquista il critico ma non è il piatto in se a fare la differenza, bensì il sapore che gli riporta la madre alla mente. Ecco cosa è comfort food, non un cibo ma un sapore che arriva da lontano. Il mio spaghetto affumicato con salvia e parmigiano è in carta perché le mie ossa sono venute su con il parmigiano che la nonna metteva in quegli spaghetti e per la pancia è merito del burro. L’effetto Ratatouille di un piatto ti porta dovunque perché lo mangeresti tutte le sere, perché è come ricevere una carezza o un abbraccio. •


DARK

SOLO LE STELLE AL BUIO BRILLANO DI PIÙ

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FOTOGRAFIE DI MARCO GAROFALO A CURA DI PIPPO RANCI E MATTEO LEONARDI

BARtù con Amani per garantire casa, scuola e salute ai bambini e alle bambine di strada di Nairobi, Kenya e Lusaka, Zambia. I proventi saranno destinati all’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti del Kivuli Centre, casa di accoglienza per bambini di strada di Nairobi

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Focus Food

Oltre 200mila presenze al 40° Sigep di Rimini Crescono gli stranieri: +2% da 185 Paesi. Al Salone del food service dolce di IEG

Un osservatorio costante sul business dolce, filiere lunghe e complete, tutte le destinazioni dell’export, contatti commerciali concreti da un pubblico qualificato, un matching assiduo fra professionisti che parlano un linguaggio globale, un luogo d’informazione e formazione per il settore, un terreno per mercati contigui e nuovi. Questa la dimensione complessiva del 40° SIGEP di Italian Exhibition Group (IEG) che si è concluso oggi alla Fiera di Rimini. Nelle cinque giornate SIGEP ha ospitato anche quest’anno oltre 200.000 presenze complessive, di cui 32.848 buyers esteri provenienti da 185 Paesi. Germania e Spagna, i paesi di primaria affluenza, seguiti da Francia, Polonia e Inghilterra. Rilevante la partecipazione anche dai grandi mercati quali Stati Uniti, Federazione Russa e Cina. “Il Ministro Centinaio – ha sottolineato l’Amministratore Delegato di IEG, Ugo Ravanelli – nel dare il via al SIGEP lo scorso 19 gennaio ha riassunto con efficacia il valore del Salone, dicendo che quanto vedeva in fiera era un esempio straordinario di alleanza virtuosa tra l’eccellenza delle aziende e la capacità di rappresentare il Made in Italy nel mondo. Ecco il dato strutturale che emerge dal 40° SIGEP, la sua capacità di attrarre operatori esteri, in crescita rispetto allo scorso anno del 2% e provenienti da tutti i continenti grazie alle forti azioni di promozione che hanno visto anche la partnership strategica di ICE: con dele-

Da sinistra: l’amministratore delegato di Italian Exhibition Group, Ugo Ravanelli con il Ministro Centinaio, all’inaugurazione di SIGEP

gazioni da 10 Paesi stranieri”. Il Salone mondiale del dolciario artigianale, in cui protagoniste sono state le filiere della gelateria, pasticceria, panificazione, caffè e cioccolato si è concluso con ulteriori numeri da leader: 1.250 espositori hanno occupato interamente il quartiere fieristico di 129.000 metri quadrati, 1.294 gli eventi organizzati nel palinsesto ufficiale e a cura delle imprese, 925 giornalisti accreditati dei quali 138 esteri per uno sviluppo, ad oggi, di oltre 200 milioni di contatti media. SIGEP si conferma, quindi, quale piattaforma di business mondiale, sulla quale si connettono le cinque filiere protagoniste, sempre più rappresentate – a partire anche dai paesi di origine dei prodotti – e

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integrate fra loro. Tra l’infinita panoramica di eventi, ricordiamo il Campionato Mondiale di Pasticceria Juniores con la vittoria dell’Italia su Francia e Singapore, il World Coffee Roasting Championship che ha voluto essere a SIGEP nel suo 40° del salone dopo la tappa cinese, SIGEP Gelato d’Oro che ha individuato la squadra italiana per la Coppa del Mondo della Gelateria che a SIGEP 2020 (18-22 gennaio) sfiderà altre 12 nazioni, il progetto internazionale Coffee & cocoa growing regions che SIGEP ha presentato insieme a IILA (Organizzazione Internazionale Italo Latino-Americano) con ospiti istituzionali e imprese da Ecuador, El Salvador, Venezuela e Honduras. •


Visti in Fiera… Tantissime, naturalmente, le occasioni di incontro e scambio di opinioni sulle novità presentate in Fiera a Rimini. Qui di seguito ne proponiamo alcune. Luigi Morello del Gruppo Cimbali, ci ha illustrato le noGruppo Cimbali vità aziendali: La Cimbali M26TE e una nuova versione di Faema Teorema. La Cimbali M26TE presenta una migliore Lavazza ergonomia e innovative soluzioni tecnologiche oltre a garantire un forte risparmio energetico, mentre la Faema Julius Meinl Teorema, in vendita da marzo 2019, oltre alle pregiate finiture (anche in legno) offre la novità di accedere facilmente alla regolazione della temperatura di ogni singolo gruppo grazie alla presenza di manopole esterne. Michele Cannone, Head of Food Service Marketing Global Lavazza, e Manuel Diaz, Coffee Specialist e Q Instructor, con Elena Calegari, Green Coffee Lab & Sensory Manager Lavazza, e Alessandro Cocco, Italy Training Center Manager Lavazza, hanno dato vita, invece, nello stand Lavazza all’incontro dal tema “Valorizzare l’espresso tradizionale italiano: un approccio contemporaneo by Lavazza”, un’alchimia da sempre riconosciuta all’azienda torinese. Ernst Knam ha chiuso la conferenza con un esclusivo food and Rancilio Group Olitalia coffee pairing dedicato alla Classic Collection. Fulcro principale dell’edizione 2019, infatti, è stata la presentazione in anteprima assoluta della rinnovata Classic Collection, pilastro dell’offerta Lavazza destinata agli estimatori dell’espresso tradizionale italiano in chiave contemporanea, creata per una perfetta estrazione in ambito professionale. Sempre in tema di macchine da caffè, Andrea Mascetti, Direttore Commerciale Rancilio Group, ha presentato le due novità del 2019: Rancilio Specialty RS1 black&wood, pezzo unico creato per il SIGEP e le breakfast solutions per hotel delle superautomatiche Egro, macchine self-service di elevata qualità e praticità per la colazione in albergo. Julius Meinl, la nota torrefazione viennese, ha portato sul palco del SIGEP il fiore all’occhiello della sua produzione: il 1862 PREMIUM, miscela 100% Arabica proveniente dalle migliori coltivazioni di Brasile e Africa Orientale dall’aroma corposo e con una delicata nota di cioccolata. Lo chef stellato e volto TV Cristiano Tomei ha poi giocato con il suo tocco di genio e creatività creando tre buonissime ricette gourmet con Julius Meinl The Originals – 2 miscele permanenti (Vienna XVI e Red Door) e una selezione di monorigini che raccontano una filiera artigianale, sostenibile e di eccellenza dalla pianta alla tazzina. Per chiudere con il comparto caffè, ma non solo, l’azienda BRITA specializzata in acqua filtrata ha allestito un’area dimostrativa per presentazioni e degustazioni di caffè specialty preparati per l’occasione dal Campione Italiano Brewing 2017 Gian Zaniol. Inoltre, Gabriella Lombardi e Salvatore Nicchi di Protea Academy hanno preparato con l’acqua filtrata BRITA una serie di tè pregiati. Infine, per concludere questa rapida carrellata, passiamo all’olio extra vergine di oliva. Olitalia ha presentato al SIGEP, Evoloso, il primo olio extra vergine di oliva dedicato alla pasticceria. Olitalia, azienda italiana specializzata da oltre 30 anni nella produzione di oli e aceti e presente oggi in oltre 120 Paesi nel mondo, infatti ha lanciato, in occasione dell’edizione 2019, un’innovativa referenza specifica per la pasticceria: Evoloso. Si tratta del primo olio extra vergine di oliva dedicato ai professionisti del settore, le cui caratteristiche consentono performance eccellenti e la realizzazione di dolci dall’identità inimitabile. W.G.

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Focus Food

La Macedonia del Nord si apre al futuro

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di Gualtiero Spotti

Percorso gourmet alla scoperta di questo Paese dalle grandi potenzialità e dalla cucina unica Racchiusa da Nord a Sud tra gli Stati dell’ex Jugoslavia, di cui lei stessa fa parte, e la Grecia, con la quale c’è un contenzioso ormai agli sgoccioli a causa dell’utilizzo del nome, la Macedonia vive negli ultimi anni il lento e progressivo tentativo di avvicinarsi a quegli standard europei di vita davvero difficili da raggiungere per un territorio dove la situazione geopolitica ed economica, tra guerre e diatribe interne capaci di mettere anche in tempi recenti le popolazioni di fronte a dure contrapposizioni, è sempre un po’ precaria. Il territorio macedone (lo Stato dovrebbe chiamarsi secondo le recenti ratifiche con la Grecia, Macedonia del Nord), offre però diverse opportunità per un viaggio tutt’altro che banale alla scoperta di culture, usi e tradizioni davvero affascinanti fuori dalle rotte del turismo di massa e, vista l’estensione geografica non incredibile, anche per una sosta di pochi giorni che abbraccia l’originalissima capitale Skopje e i suoi dintorni. Magari focalizzando l’attenzione sui monasteri e le moschee che qui rappresentano magnificamente le diversità culturali macedoni, con, ad esempio, la sosta alla Moschea dipinta Šarena Džamija di Tetovo (la città è quasi una enclave albanese) o al Monastero ortodosso di Saint Jovan Bigorski, sperduto tra le montagne del Parco Nazionale di Mavrovo. Per arrivare poi a Ohrid, una vivace e turistica località lacustre che vanta una lunga storia nei secoli (non a caso viene chiamata la Gerusalemme dei Balcani ed è Patrimonio dell’Unesco) e che è stata capace di conservare sino ai giorni nostri numerose testimonianze delle diverse dominazioni, tra cui quelle bizantine e slave. Il resto poi lo fa un panorama racchiuso tra monti e

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vallate, forse frequentate di tanto in tanto da qualche cicloturista avventuroso, dove è bello recarsi per abbracciare un mondo che sembra essersi fermato a qualche decennio fa e dove si respirano scampoli di vita rurale e lentezze contadine delle quali si è persa la memoria. Viste le premesse è abbastanza chiaro che, chi decide di mettersi in viaggio, deve sapere sin da ora che la Macedonia non è uno Stato nel quale si viene per vivere esperienze gastronomiche particolarmente raffinate o ricercate. Perfino la mitica nouvelle cuisine predicata negli anni Settanta da Gualt e Millau, che nel mondo occidentale è da tempo stata soppiantata da altre mode e stili, qui è una definizione totalmente sconosciuta. L’approccio alimentare del macedone è inequivocabilmente legato alla terra, ai prodotti rurali, alla tradizione della vita nei campi, a quanto offrono le stagioni senza badare troppo a sofisticate e moderne reinterpretazioni. Come d’altro canto si evince dalla proposta di alcuni ristoranti o trattorie alle quali affidarsi, come nel caso della solida Taverna Momir, nel centro di Ohrid, che promette una sana full immersion di


Focus Food tipicità locali, tra deliziose creme all’aglio, trote che arrivano dal vicino lago, gustosi filetti di carne e una serie di piatti sempre facilmente comprensibili, senza complicazioni intellettuali. Se vogliamo perfetti per il turista di passaggio, così come per chi vuole capire meglio il meltin pot alimentare macedone che abbraccia volentieri i piatti mediterranei (e la cucina italiana è ampiamente rappresentata ovunque), i sapori turchi e mediorientali (come il burek, il kebab o il falafel, giusto per fare qualche esempio) e i classici

dei Balcani come i cevapcici o le ricche grigliate di carne che insieme alle verdure, anch’esse grigliate, qui la fanno da padrone. Un altro indirizzo che può essere utile conoscere se ci si ferma nella capitale Skopje è la Gostilnica Dukat, per le zuppe, l’ottima carne, il riso con zucca, e per l’ambiente frizzante che prevede anche musica dal vivo, ma dove è forse bene celare la propria italica identità se non si vuole finire all’interno di un karaoke collettivo che mette in fila Toto Cutugno o Albano e Romina. La città più

ottomana, è divertente vagare tra i diversi negozi che mescolano bigiotteria, gioielleria, abiti e attività commerciali di vario genere, prima di inoltrarsi nella zona del mercato alimentare e infine sostare in una delle piazze per un piatto di kebapi (è il nome macedone dei cevapcici) o per una tavče, il fumante stufato di fagioli da assaggiare nella scodella di terracotta, magari osservando il notevole andirivieni di varia umanità comodamente seduti a un tavolo. Un quartiere certamente piacevole quello del bazar, e molto diverso

grande di Macedonia però presenta anche altre attrattive e forse la più rilevante è lo storico vecchio bazar risalente al quindicesimo secolo che si trova nell’unica parte vecchia della capitale rimasta intatta dopo il terremoto del 1963. Qui, nel bazar più imponente dopo quello di Istanbul, dove si possono osservare costruzioni risalenti alla dominazione

dagli eccessi di brutalismo urbanistico concepito dall’architetto nipponico Kenzo Tange nel post-terremoto e nella confusione stilistica che giunge sino agli anni più recenti a caratterizzare il centro cittadino. Con, in più, le singolari rievocazioni delle storie elleniche, romane e bizantine rappresentate in un tripudio di statue che gonfiano il cuore di Skopje fino all’inverosimile, e a cui si aggiungono il trash di tre galeoni ancorati sul fondo del fiume che attraversa il cuore della città (e che ospitano bar, hotel e ristoranti) e il kitsch architettonico neoclassico dei palazzi di recente costruzione. Un mix talmente improbabile da risultare perfino affascinante nella sua follia, e che narra perfettamente nello spazio di poche centinaia di metri le contraddizioni e le difficoltà di questi territori. •

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Lunedì 6 maggio 2019 ore 20

HändelSemele ©Bruno Moussier

Oratorio profano in 3 atti in forma semiscenica

Serata benefica a sostegno di Opera San Francesco per i Poveri, da 60 anni a fianco dei più bisognosi.

Monteverdi Choir English Baroque Soloists John Eliot Gardiner direttore Semele Louise Alder | Jupiter Hugo Hymas | Juno-Ino Lucile Richardot Gadmus-Somnus Gianluca Buratto | Athamas Carlo Vistoli REGIA Thomas Guthrie | LUCI Rick Fisher Con il patrocinio di

Media partner

Coordinamento generale

Con il sostegno di

Con il contributo di

Un ringraziamento speciale a

Prevendita telefonica Aragorn 02 465 467 467 (lunedì – venerdì, ore 10-13 e 14-17) Biglietti da 15 a 170 euro (esclusa prevendita) | Altre prevendite www.ticketone.it - www.vivaticket.it

A quasi 40 anni dall’ultima esecuzione diretta da Gardiner, torna in scena una rara versione completa dell’oratorio profano in forma semiscenica.


Focus Food

Matera, meta gourmand e vera capitale del gusto di Arianna Augustoni

Matera di notte, veduta

Il capoluogo lucano, patrimonio Unesco, è anche un riferimento per l’artigianalità culinaria e l’ospitalità diffusa Matera non è solo la città dal cuore di pietra, è anche un divertente percorso enogastronomico articolato tra i viottoli e i palazzi storici, i vicoli poco illuminati se non dal sole e i suoi Sassi. È una città slow, ma anche complessa: la si conosce e la si apprezza solamente calpestando ogni gradino e ogni marciapiede della parte antica. Matera è davvero tutta da scoprire e da assaporare lentamente per poi lasciarsi andare ad ammirare tutto ciò che ci sta intorno. La sua immagine è un infinito sogno, una città fantastica, un gioiello scavato nelle montagne, intriso di storia e di cultura, uno spazio senza tempo con un’anima granitica toccante al punto tale che, chiunque la visiti ne rimane folgorato per la sua bellezza incontaminata. Qui il tempo sembra proprio essersi fermato, così come la descrisse Carlo Levi nel suo libro “Cristo si è fermato a Eboli”, un percorso di emozioni tanto da descrivere questo territorio come un luogo dove: “Chiunque veda Matera non può non restarne colpito tanto è espressiva e toccante la sua dolente bellezza“. Matera ormai è la sintesi di tutto ciò, un luogo glamour, amato dai registi internazionali e immortalata dai grandi fotografi, una parte d’Italia apprezzata dagli stilisti e dai designer, un luogo passato dalla definizione di “Vergogna per l’Italia” a patrimonio Unesco e ora Capitale della

Chiesa di San Pietro Caveoso

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Ciallédd: pane duro condito con patate, cipolla, erbette, uova e rape. Non manca mai sulle tavole o nelle liste dei ristoranti la Crapiata: legumi come grano, farro, lenticchie, ceci, fagioli, fave, patate, piselli, un piatto servito il 1° agosto per festeggiare l’ultima giornata di raccolto, un’usanza da condividere con i vicini di casa, un segno di gioia e di prosperità. Tra i vini il simbolo delle cantine la Malvasia bianca di Basilicata. Da annotare nel taccuino qualche idea. Per dormire la scelta è tra il magnifico Palazzo della famiglia Gattini, a fianco del

Un particolare del ristorante Le Bubbole, le decorazioni sono i fischietti artigianali benauguranti.

cultura 2019. Sono passati più di 70 anni, ma oggi niente e nessuno fa e farà più paura a questo scrigno. Per tutto l’anno questo museo a cielo aperto sarà animato e preso d’assalto dai turisti che potranno provare emozioni vere e sublimarsi tra i piccoli locali della città storica e le botteghe artigianali che propongono gli oggetti più stravaganti, portatori di buona fortuna, per chi ci crede, ma anche colore nelle case. Unico accorgimento: meglio dotarsi di scarpe comode e di bottiglietta d’acqua perché il sali scendi può essere anche impegnativo, soprattutto se ci si fa prendere dalla mano e si inizia a fotografare e a girare all’impazzata qua e là. Ecco allora che il nostro viaggio a Matera inizia dai suoi Sassi: cuore antico e Patrimonio Unesco, insieme al Parco delle chiese rupestri. I due quartieri, il Sasso Barisano e il Caveoso, dominati dall’alto dalla Civita, è il nucleo più antico, un labirinto dove è facile perdersi e entrare in qualche abitazione per strappare un sorriso ai materani tanto cordiali e disponibili per una tazzina di caffè. Da non perdere in questo itinerario le grotte e chiese rupestri. Tra queste, il complesso monastico della Madonna delle Virtù e di San Nicola dei Greci, strut-

ture che si innalzano sopra la Gravina. C’è poi la Chiesa di San Pietro Barisano, la Chiesa di Santa Maria de Idris, con gli affreschi bizantini e la duecentesca San Pietro Caveoso. Il Duomo, con il campanile alto più di 50 metri, domina la Civita e il magico panorama dei Sassi. A pochi passi un bene FAI, Casa Noha. Da visitare poco fuori da Matera la Cripta del peccato originale, a sud della Gravina di Picciano che ospitò nell’epoca dell’alto Medioevo un insediamento rurale con una piccola comunità monastica. La chiesa è il cuore del luogo con gli splendidi affreschi, chiamata “Grotta dei Cento Santi”. Matera oggi vive anche una seconda rivincita legata alle tradizioni più antiche fatta di cibo e di sapori decisi e di piatti poveri reinterpretati dagli chef. Ancora oggi fa parte della storia lucana il suo pane. Una testimonianza ne sono i sigilli, ora souvenir preziosi, nel ‘900 utilizzati dalle donne che portavano l’impasto in cottura nei forni pubblici e, per riconoscerlo, lo marchiavano con timbri di legno. Ancora oggi l’Amaro Lucano è un simbolo, nato nel retrobottega del biscottificio di Pisticci. Piatti tipici della cucina regionale sono i sapori genuini e veri, antichi, fatti di pochi ingredienti poveri. Un esempio la

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I vicoli di Matera

Duomo, ora trasformato in un elegante resort che domina il paesaggio della collina di Matera, oppure tra i viottoli l’albergo diffuso Sextantio. Per uno spuntino le salumerie di tutto il centro storico, per assaggiare sfiziosi piatti. A pranzo, la Latteria vicina a Palazzo Lanfranchi, con una prelibata cucina lucana, in alternativa il ristorante La Gatta Buia (fino al 1870 carcere della città) da ordinare i paccheri con il baccalà. Per una cena romantica e di livello il ristorante Le Bubbole, un ristorante ricavato nella roccia con raffinati piatti legati al territorio come ravioli di salsiccia pezzente di antico suino nero lucano. •


Focus Alberghi

Belmond La Residence Phou Vao

di Gualtiero Spotti

A Luang Prabang, la località più famosa del Laos, si trova questo lussuoso resort destinato a una clientela top Chi si trova a viaggiare nel sud-est asiatico di solito sceglie destinazioni molto conosciute, sia che si tratti di grandi metropoli come Bangkok, Singapore o Hong Kong, oppure di quelle mete turistiche dove sono la spiaggia e il mare a farla da padrone, vedi Phuket o Koh Samui. Solo i più avventurosi, che cercano i misteri d’Oriente, e vogliono penetrare più in profondità nella cultura e nello stile di vita locali, affrontano percorsi alternativi. Uno degli Stati più affascinanti, e tra i pochi a essere colpiti da un turismo

“diverso”, è sicuramente il Laos, un po’ per lo splendido isolamento che lo vede racchiuso tra le montagne e le colline dell’Indocina, senza sbocchi sul mare e con il grande fiume Mekong come corso d’acqua principale, e poi per la quiete e il relax che predomina un po’ ovunque. Uno Stato, non a caso, frequentato da amanti della natura, da escursionisti e da chi, zaino in spalla, percorre chilometri visitando villaggi, cascate e luoghi sperduti. Uniche eccezioni sono la capitale Vientiane, vicina al confine con la Thailandia e la più isolata Luang Prabang, con quest’ultima che rappresenta la località più famosa del Laos. Per tante ragioni. Come i numerosi e magnifici templi che animano il centro cittadino, l’andirivieni dei monaci vestiti di arancione, il monte Phou Si (tanto amato da Tiziano Terzani), che domina l’ansa dove il Mekong incontra il Nahm Khan e,

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più in generale, la sensazione di visitare un mondo che ancora per poco riuscirà a mantenersi autentico e lontano dagli eccessi della modernità. In questo senso, e con l’arrivo, negli ultimi tempi, di alcune catene alberghiere che iniziano a puntare l’attenzione proprio su Luang Prabang, se si arriva in città l’hotel da visitare, e nel quale soggiornare, non può che essere La Residence Phou Vao, abbarbicata su una collina poco fuori dal centro, ma che permette di vivere un lusso in stile coloniale un po’ francese e di approfittare dell’ospitalità e dei confort targati Belmond. Un resort che vede le sue camere distribuite in piccole casette nascoste nella natura lussureggiante, ma che mantiene come corpo principale, dove gli ospiti regolarmente si riuniscono, la sala che funge da breakfast mattutino e da ristorante, con annesso il fornitissimo Champa Bar e di


fronte una piscina in stile Infinity, con il bordo a scomparsa sull’orizzonte laotiano. Uno dei punti di forza della Residence Phau Vao è però anche la cucina, che qui si muove in un ibrido euroasiatico capace di incuriosire soprattutto per le sue regolari incursioni nella gastronomia locale. Che forse non è per i palati più delicati (qui i piatti sono più muscolari e decisi

che nella vicina Thailandia, e le verdure, come le erbe, hanno carattere), ma sa offrire sempre motivi di grande interesse. Così il ristorante Phou Savanh, con la sua terrazza open air, passa agilmente dall’Agnello al curry con purè di broccoli, menta e yogurt al cetriolo, al Guanciale con polenta e funghi sautée (per piatti dal gusto occidentale, ma con un twist) fino a scelte più radicali e locali con il

musica tradizionale laotiana dal vivo e, come dice il nome, la luce di 500 candele a illuminare la serata romantica seguendo i ritmi di un menù speciale. Più avventurosa è invece l’altra opzione, quella della Mystery Dine che conduce l’ospite in un tour tra le vie di Luang Prabang in quattro diversi ristoranti e dove, in ognuno di questi, viene servito un piatto tipico. Si tratta di una vera e propria cena itine-

Tomgatipa (la zuppa di pesce del Mekong con cocco, galangal, funghi e uova di quaglia) e il OuahSikkhai, ovvero il Pollo al lemongrass con salsa chili. E per chiudere non può che esserci l’immancabile sticky rice, forse il piatto nazionale laotiano più popolare, qui preparato però in versione dolce, con mango e cocco. Sono sapori ed esotismi piacevoli e in parte mediati nelle spigolature per venire incontro alle esigenze di una clientela internazionale. Chi invece cerca qualcosa di ancor più singolare, l’hotel ha l’opportunità di prenotare due esperienze gourmand davvero originali. Una è la cena delle 500 candele, servita in esclusiva a un unico tavolo per sole due persone nel cuore del giardino dell’hotel, chiaramente su prenotazione, e lontano dagli altri clienti del ristorante. Con un barbecue, un personal waiter, la

rante dall’antipasto al dolce, con l’autista che accompagna i partecipanti e attende pazientemente di svelare di volta in volta la nuova destinazione. Il consiglio, se ci si ferma per qualche giorno, è quello di approfittare di una delle biciclette messe a disposizione dall’albergo. Luang Prabang è una città a misura d’uomo, non troppo grande e certamente meno caotica di buona parte delle città del sudest asiatico. Visitarla con calma girando per il mercato notturno, oziando lungo le rive del Mekong e vagando distrattamente tra le bancarelle del centro gettando un occhio alle vetrine dei negozi che vendono artigianato (non sempre locale) diventa il modo migliore per entrare in sintonia con il mood quasi mistico che aleggia non solo nei templi abitati dai monaci, bensì su buona parte della popolazione locale. •

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Focus Alberghi

Nuova gestione a Ischia per Pellicano Hotels di Claudio Zeni

Il gruppo si arricchisce con il 5 stelle Mezzatorre Hotel & Thermal Spa, presente sull’isola campana Il Mezzatorre Hotel & Thermal Spa, albergo 5 stelle sull’isola di Ischia, si aggiunge alla collezione del gruppo Pellicano Hotels. A partire dal primo febbraio 2019, la Pellicano Hotels subentra nella gestione dell’albergo: sarà il punto di partenza di un ampio processo di rinnovamento, che mira a portare il Mezzatorre nell’olimpo dei più grandi hotel della penisola. L’hotel sorge all’interno di un’antica torre aragonese del XVII secolo e con le sue 57

camere e suite, domina il golfo di Napoli. Le preziose acque termali dell’isola, confluiscono in 3 piscine idroterapiche all’interno del centro benessere, che offrirà trattamenti all’avanguardia e programmi personalizzati. Insieme all’Hotel Il Pellicano di Porto Ercole e a La Posta Vecchia Hotel di Palo Laziale, il Mezzatorre diventerà una nuova icona del gruppo che fa capo alla famiglia Sciò, il cui obiettivo è far crescere quello che Roberto Sciò ha costruito e promuovere lo stile Pellicano nel mondo come icona dell’ospitalità italiana: senza tempo, elegante colta ed eclettica. “Erano anni che lavoravamo alla crescita del gruppo e quando mio fratello

Harry, responsabile dello sviluppo Pellicano Hotels, ha trovato il Mezzatorre, sapeva che sarebbe stato perfetto – racconta Marie Louise Sciò – non è una scelta ovvia, ma a noi le scelte ovvie non piacciono! È un onore per me continuare quello che mio padre ha iniziato e riesco a realizzare i suoi obiettivi anche grazie al team Pellicano Hotels: ognuno ha contribuito alla crescita e allo sviluppo dell’azienda. Siamo italiani con un tocco di savoir-faire internazionale. Incarniamo l’ideale della Dolce Vita tenendolo al

passo con i tempi. La ristrutturazione che abbiamo in mente stupirà, dando luce a un luogo che c’è sempre stato, ma troppo nascosto. Lo stile dell’hotel sarà rielaborato in modo che, attraverso un equilibrio di contrasti, evochi l’eleganza dell’ospitalità italiana, senza pretese, ma con un forte senso di appartenenza. Il Mezzatorre Hotel & Thermal Spa inaugurerà così un nuovo capitolo della sua storia il 18 aprile 2019, quando riaprirà per la stagione estiva nell’anno del suo trentesimo anniversario. •

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La Grande Milano Palazzo Matteotti di Gualtiero Spotti

Nuova veste per un 5 stelle della metropoli lombarda. L’hotel è in pieno centro città Lo chef Maurizio Lai

Il nome dell’albergo, Palazzo Matteotti, dice sicuramente qualcosa a chi ha sempre tenuto sott’occhio il mondo dell’hotellerie milanese degli ultimi decenni. Infatti si tratta della nuova veste dell’ex Boscolo, un marchio scomparso oggi dalla circolazio ne, ma che si ripresenta come The Dedica Anthology in una operazione di riposizionamento con una diversa proprietà (il fondo americano Varde), rinnovati e ambiziosi progetti per il futuro e la garanzia di un hotelier di successo come Stephen Alden la cui volontà è quella di espandere il nome puntando molto sul connubio tra leisure e business, per una clientela dinamica e moderna. Il portafogli degli alberghi è attualmente composto da sette indirizzi tra Italia ed estero con Palazzo Naiadi a Roma, il Grand Hotel dei Dogi a Venezia, il New York Palace a Budapest, il Carlo IV a Praga, Palazzo Gaddi a Firenze e l’Hotel Plaza a Nizza. E chiaramente anche l’albergo milanese, che si trova a metà strada tra Piazza San Babila e La Scala e si affaccia con le sue finestre su Piazza Meda. Tra i cinque stelle in città, questo è uno dei pochi hotel che ha sempre mantenuto un suo appeal distaccato e meno chiassoso, forse, pur nascondendo nel suo animo un look decisamente audace, per non dire originale. Scordatevi l’hotel dai toni classici, dagli ambienti rassicuranti, con il servizio ingessato e i colori tenui. Le differenze con le altre strutture milanesi pari livello qui

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nelle mani del giovane e serio Maurizio Lai, il quale, con la saggezza di chi sa benissimo che il luogo è frequentato da una variegata tipologia di clienti, ha saputo imbastire una carta dinamica, non troppo complessa e allo stesso tempo capace di esaudire le richieste di tutti. Piatti e prodotti rigorosamente italiani, chiaramente, con qualche intrusione pregiata (vedi le ostriche Fine de Claire e il sashimi di tonno rosso con zenzero marinato, perfetto quest’ultimo per i modaioli più accaniti), cui fanno da contraltare il solido e sempre vincente Spaghetto aglio e olio con tartare di gamberi al finocchietto, le delizie

sono piuttosto evidenti e si avvertono già a partire dalla hall d’ingresso, ricca di oggetti che richiamano il design contemporaneo e con un arredamento che spinge molto verso l’avanguardia e verso i brand italiani di successo, oltre a un servizio friendly e meno formale pur rimanendo nei canoni della massima professionalità. D’altro canto siamo a due passi dal quadrilatero della moda e qui la clientela è meno tradizionalista, così mescolati ai professionisti capita di incrociare designer o stilisti. Chiuso in un palazzo austero, The Dedica Anthology presenta

una serie di stanze (154 in totale, comprese le suite) davvero sorprendenti e capaci di raccogliere oggetti e nomi del Made in Italy che passano dai mosaici Bisazza alle luci di Artemide arrivando fino ai mobili Driade, in una esplosione di stili variegati in tutti gli ambienti, sempre colorati e vivaci. Al punto che, forse, le aree più vicine alla classica ospitalità in albergo risultano essere la zona breakfast e la lounge, oltre al piacevolissimo ristorante Latitude 45, posizionato all’ultimo piano di Palazzo Matteotti, e uno dei fiori all’occhiello dell’intera struttura. La cucina, qui, è

del mare tra una Ricciola in olio cottura con panzanella aromatica e il Branzino al lemon grass con finocchio baby e spinacini e una serie di preparazioni che parlano soprattutto la lingua del mare. Al punto che giusto un Carpaccio di manzo e un tataki di manzo al gomasio e cavolo viola riescono a dare qualche soddisfazione ai carnivori, in un menù che gioca le sue carte migliori pensando a una clientela forse più salutista e misurata nelle scelte

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Focus Alberghi

alimentari. Non è un caso che la maggior parte dei piatti venga, oltretutto, proposto in duplice versione, cioè normale e nella mezza porzione. Piacevole per una sosta agile durante la pausa pranzo o per una cena romantica lontana da occhi

indiscreti. Dalla terrazza del Latitudine 45 si gode di una spettacolare vista che ha davvero pochi eguali e permette di osservare a distanza ravvicinata il Duomo e le sue guglie. E in più si può ingannare il tempo davanti a un aperitivo o a un cocktail visto che l’ambiente è una unica lunga sala che abbraccia in un sol colpo la zona bar e i tavoli del ristorante. Poi è chiaro che, avendo inaugurato da pochi mesi il nuovo corso, e dovendo quindi passare attraverso aggiustamenti e migliorie varie (lo stesso riposizionamento con un nuovo brand cha faccia dimenticare l’ex Boscolo), per voler trovare un difetto c’è un po’ la sensazione che manchi ancora la forza della personalità e di una linea di cucina un po’ più intraprendente e stuzzicante nelle scelte. Ma è probabile che questa sia destinata ad arrivare nel tempo, con la chiara volontà di volersi distinguere in un panorama dinamico e sempre in movimento come quello milanese. Soprattutto se pensiamo all’hotellerie e alla ristorazione, visto che nelle ultime stagioni sono molte le catene e gli alberghi che si sono dotati di cucine

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di pregio, capaci di attirare una clientela non solo interna e già fidelizzata con le camere. Sarà questa, con tutta probabilità, una delle scommesse da vincere da parte dei nuovi proprietari del marchio The Dedica Anthology. •



Focus Alberghi

Sina Centurion Palace. I tre motivi per sceglierlo di Claudio Zeni

Lo charme classico e contemporaneo sul Canal Grande, nella magica Venezia, in un albergo eccellente “I tre motivi per i quali un ospite deve soggiornare al Centurion Palace di Venezia?” è la domanda che formuliamo a Paolo Morra, general manager dell’hotel veneziano. La risposta è immediata: “Location, bellezza e servizio”. Parafrasando una delle celebri frasi di Mike Bongiorno durante i suoi seguitissimi programmi televisivi non ci resta che affermare: ”Risposta esatta signor Morra”. Partiamo dalla location. Il Centurion Palace è una boutique hotel cinque stelle lusso della catena Sina Hotels, gruppo italiano dell’accoglienza di alto livello di

Paolo Morra

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proprietà della famiglia Bocca, che ha da poco festeggiato sessant’anni di attività. L’albergo si trova a Dorsoduro, nella zona ritenuta più antica della città, affacciato sul Canal Grande, a pochi passi dalla Basilica della Salute e dalla sede della Peggy Guggenheim Collection. L’hotel sorge all’interno di Palazzo Genovese, la cui costruzione risale al 1892 per opera dell’architetto Edoardo Trigomi Mattei, come residenza veneziana della famiglia Genovese. Il palazzo si dispone su tre piani, ognuno dei quali presenta quattro monofore gotiche per lato, in cornice lapidea. Al piano terra, al centro, tre portali ogivali aprono la visuale sull’acqua del Canal Grande, mentre i due piani nobili sono impreziositi da due esafore con parapetto. Se la facciata principale colpisce per la sua perfetta simmetria, la facciata posteriore permette di scoprire un luogo nascosto: una corte con pozzo circondato da mura che s’ispira alla tradizione degli spazi simili che sorgono nei palazzi storici di Venezia, dove si può ammirare una pavimentazione in trachite e pietra d’Istria. “Nel 2009 il palazzo subì un profondo restauro per ospitare l’hotel di lusso del gruppo Sina Hotels – racconta Morra –

durante i lavori di restauro fu rinvenuta una moneta romana raffigurante il volto di Antinoo, personaggio divenuto famoso per la profonda amicizia che lo legava all’imperatore romano Adriano, cultore dell’arte classica. Proprio in onore di questo ritrovamento la proprietà decise di dedicare il ristorante e il bar al giovane bitinese, a dimostrazione del forte legame tra Roma e Venezia. La moneta è ora custodita dalla Soprintendenza dei Beni Archeologici”. L’intervento di restyling degli interni del palazzo, voluto dalla famiglia Bocca per realizzare un boutique hotel, è opera di Guido Ciompi, architetto fiorentino che ha collaborato con il gruppo anche per la nascita del The Gray di Milano, mentre la trasformazione del palazzo veneziano in hotel è merito dell’architetto Luciano Parenti. La bellezza. Il Centurion Palace è un involucro antico in stile gotico veneziano, con una raccolta corte interna, che custodisce un’anima sorprendentemente moderna ed eclettica, scandita dalla scelta negli arredi di colori forti come il cioccolato, l’arancio, il rosso e il bianco. L’architetto Guido Ciampi, che ne ha curato il design, ha voluto mescolare antico

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e moderno, richiami alla venezianità, come il camino del XVI secolo che troneggia in una delle suite, o i soffitti a cassettoni di alcune camere, e dettagli d’impronta contemporanea. Suddiviso in sei piani, l’hotel dispone di 50 camere esposte in modo semplicemente impeccabile alla luce naturale del sole che si fonde insieme agli arredi e ai colori scelti per arredare ogni ambiente. Le otto Junior Suites e le Suites, camere tutte diverse l’una dall’altra, che da anni sono diventate il buen retiro in laguna di personaggi come Al Pacino, Shakira, Naomi Watts, Michael Caine o Gabriele Salvatores, sono realizzate con uno stile contemporaneo, senza dimenticare il classico stile veneziano. Perfetto il lavoro di restyling con lampadari in vetro di Murano e orchidee che ingentiliscono gli spazi comuni a opere materiche poggiate su mobili e tavoli, velluti opulenti e comode sedie di colore bianco per richiamare lo stretto rapporto

di connessione ancora esistente tra la città, la sua laguna, e l’Oriente. Svegliarsi al mattino e aprire la finestra della camera 402 dell’hotel è un’emozione unica, indescrivibile. Il servizio. Professionalità e cortesia si


Focus Alberghi Non cullandosi sui successi raggiunti in questi due lustri di vita (nel 2017 la percentuale di occupazione annuale raggiunse l’80%) il Sina Centurion Palace guarda giustamente al futuro cercando di proporre alla sua clientela la scoperta di nuove emozioni. “Abbiamo creato il pacchetto ‘Venice: it’s running time!’, dove un nostro personal runner professionista guida gli ospiti nella corsa e alla scoperta di Venezia, al fine di intercettare la crescente richiesta da parte della nostra clientela di unire l’attività fisica a quella turistica – ricorda Morra – ; altra proposta la pesca all’amo

evidenziano subito superando una delle due porte d’ingresso dell’hotel, sia quella che si affaccia sul Canal Grande sia quella via terra. Personale sorridente, sempre pronto a rispondere a ogni esigenza del cliente è il frutto di una seria capacità organizzativa della direzione, dove ognuno ha un ruolo ben preciso, svolto con grande entusiasmo. “Cerchiamo sempre di rispondere alle richieste della nostra clientela – sottolinea Paolo Morra – anche quelle più stravaganti. A tal proposito mi piace ricordare la richiesta di un facoltoso cliente che nell’arco di pochissime ore ci chiese di raggiungere Verona per un pranzo. In tutta fretta gli organizzammo il viaggio: prenotammo un elicottero con partenza dal Lido e arrivo all’aeroporto di Verona. Da lì in taxi per fare arrivare in tempo utile il nostro cliente al piacevole appuntamento culinario”. Professionale e gustosa anche la proposta culinaria dell’Antinoo’s Lounge Restaurant con l’Executive chef Giancarlo Bellino, che ha preso di recente il posto di Massimo Livan. “Un avvicendamento avvenuto di comune accordo con Livan – evidenzia Morra – la proprietà e il sottoscritto hanno piena fi-

ducia in Bellino, che ha rivestito il ruolo di sous chef all’interno della nostra struttura prima dell’attuale suo passaggio a responsabile principale della nostra cucina”. Bellino, partendo da una solida base di ricette del territorio, dà vita non solo a piatti della tradizione veneta ma anche extra moenia, inebriandoli di sapori grazie a un’attenta ricerca negli abbinamenti tra materie prime eccellenti e tocchi inediti capaci di esaltarle con garbo. Il tutto proposto in sala con grande professionalità dal giovane maitre Matteo Molinari. Al classico menu degustazione della tradizione veneta si uniscono piacevoli piatti creativi e mai banali, come gli spaghettoni di Gragnano con acciughe del Cantabrico, polvere di lampone e crumble di pane fritto, il filetto di branzino all’amo con crema di patate e salicornia.

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in laguna, un’iniziativa che permette di vivere la tradizione del nostro territorio”. Congedandoci dal general manager Paolo Morra non potevamo non chiedergli la sua opinione in merito all’argomento del giorno: il ticket d’ingresso a Venezia proposto dall’amministrazione comunale guidata dal Sindaco, Luigi Brugnaro. “La città è antica e fragile e non può sostenere grandi flussi – conclude Morra – essi vanno gestiti e la proposta può essere considerata buona, a patto che i soldi siano reinvestiti nel turismo al fine di dare maggiori e migliori risposte ai nostri ospiti”. Frutto di un’innegata capacità imprenditoriale, sostenuta da una ferrea volontà e da tanto ardore dell’intero staff, il Sina Centurion Palace volge il suo sguardo verso le nuove frontiere dell’ospitalità, considerata l’elemento trainante per la ripresa economica della nostra splendida Italia. •


Focus Food

Le Terme Sensoriali, Chianciano riparte Rappresentano un mix di gusto e benessere le Terme Sensoriali di Chianciano: un incontro perfetto per la cura di corpo e spirito “Non c’è amore più sincero che l’amore per il cibo” è la frase di George Bernard Shaw scrittore irlandese e premio Nobel (1925) scritta nella parete della sala del ‘Percorso del Gusto’ delle Terme Sensoriali di Chianciano. Ideato da Nicola Sorrentino, Direttore Scientifico delle Terme Sensoriali e noto specialista in scienza dell’alimentazione, l’accogliente struttura chiancianese ha voluto aggiungere alla magica esperienza del benessere termale quella del gusto, affrontando un percorso attraverso i sapori classici della tradizione toscana, rivisti in modo più sano e cucinati con acqua termale, nonché accompagnati da acqua Sant’Elena e da Acqua Santa. In un’essenziale e moderna sala arredata in legno naturale è proposto il ‘Percorso del Gusto’, un buffet a ‘km vero’ a base di selezionati prodotti alimentari cucinati con grande maestria nel pieno rispetto della stagionalità. Ogni dettaglio è curato, persino nei colori degli alimenti proposti, poiché secondo gli esperti di cromoterapia le funzioni dell’organismo sono influenzate oltre che dalla composizione degli alimenti, anche dal loro colore, potendosi curare, disintossicarsi e addirittura dimagrire, seguendo una dieta che tenga in considerazione le tinte degli alimenti. Il menù si apre con gustosi crostini di verdure, pomodoro e mandorle, pro-

sciutto crudo, insalate a scelta, di farro con zucca o curcuma e zucchine, polenta con finocchi gratinati, per poi proseguire con ben quattro squisite zuppe: pappa al pomodoro, ceci e zucca, cavolo e ribollita, con la possibilità di accompagnarle con il locale olio extravergine di oliva e vino biologico rosso o bianco. Completano l’offerta del ‘Percorso del Gusto’ (tutto secondo la stagionalità dei prodotti, la fantasia della ‘lady chef’ e le indicazioni del Professor Sorrentino) gli spiedini di verdure, una selezione di formaggi a latte crudo accompagnati da due tipi di miele, ananas e melone tagliati a julienne e agrumi. Un ‘Percorso del Gusto’ che si unisce alla perfezione alla consolidata esperienza del benessere termale dove l’ospite ha la possibilità di scegliere tra quattro diversi percorsi: depurativo, energizzante, riequilibrante, rilassante. Decidendo così uno specifico ordine da seguire per vivere la propria esperienza nelle venti stanze e attività che si incontrano: vasche con idromassaggi, una di acqua salina, la piramide energetica, il melmarium, l’ice crash, due saune, il bagno turco, le docce emozionali, la fonte dell’Acqua Santa (una suggestiva scultura evocativa della sorgente che si trova nel Parco circostante), l’aromaterapia, la cromoterapia, la musicoterapia, il percorso Kneipp e la stanza del silenzio interiore, un bel

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giardino esterno e una sala relax. Sulla base della scelta del percorso – che potrà anche essere personalizzata dal colloquio con il Naturopata – si otterrà uno specifico risultato. Al piano superiore delle Terme sensoriali, il Centro Benessere è stato studiato per coniugare le moderne tecnologie per la remise en forme e il rilassamento psico-fisico con l’estetica classica e le tecniche derivate dalla saggezza orientale, dalla naturopatia e medicina olistica. www.termesensoriali.it C.Z.


Gusto e mercati

Il sapore del suono: sughero è meglio! di Vincenzo Russo*

Ecco come il tappo tradizionale migliora la percezione del gusto, soprattutto l’ascolto della sua apertura

* Vincenzo Russo è un professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing, Ph.D Coordinatore del Centro di Ricerca di Neuromarketing Behavior and Brain Lab presso lo IULM di Milano

Gli studi di neurogastrofisica hanno ormai confermato che “Il gusto di una molecola o di una miscela di più molecole si costruisce nel cervello di un assaggiatore” (Morrot, Brochet e Dubourdieu, 2001) Charles Spence (2017), noto studioso di gastrofisica, ha dimostrato quanto il grado di amarezza di un vino e di un cioccolato potesse essere influenzato dalla musica di sottofondo. Quando l’assaggio veniva preceduto ascoltando una musica ad alta frequenza, generalmente percepita come “più dolce”, i prodotti venivano percepiti più gradevoli e “dolci”, quando, invece gli stessi prodotti venivano degustati con una musica a bassa frequenza, la percezione gustativa risultava molto diversa, meno gradevole e sicuramente meno dolce. Diversi sono gli studi che hanno dimostrato come la percezione del vino possa essere modificata dalla musica di sottofondo. Il cervello cerca coerenze. Si provi, pertanto, a pensare che effetto possa avere assaggiare un amarone con un sottofondo dei Beach Boys, rispetto per esempio “People are Strange” dei Doors. In effetti i vini rossi sarebbero bisogno di una chiave minore o di una musica grave. Una musica troppo “dolce” non si sposerebbe bene. L’avere sentito una musica dolce crea una aspettativa tanto forte da fare sentire il sapore di certi prodotti altrettanto dolce. Il prof. Adrian North della Heriot Watt

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University di Edinburgh ha dimostrato che quando si ascolta un pezzo forte e pesante come i Carmina Burana, un vino come il Cabernet Sauvignon viene percepito fino molto più intenso, ricco e corposo rispetto all’assaggio senza musica, cosi come un vino bianco assaggiato con una musica più frizzante e rinfrescante come “Just Can’t Get Enough” di Nouvelle Vague, viene percepito fino al 41% più fresco ed acido dello stesso vino bevuto senza musica. Clark Smith, studioso del MIT e fondatore di una nota cantina in USA nel suo testo “Postmodern Wine Maker” dimostra come un Pinot si sposi meglio con una musica sensuale mentre un cabernet con una musica un po’ più aggressiva. Di fronte a questi dati sorge spontanea la domanda: ma come è possibile che lo stesso stimolo gustativo venga percepito cosi diversamente? Recenti ricerche neuroscientifiche spiegano perché. Per esempio,un gruppo di ricercatori (Nitschke et al.) nel 2006 hanno dimostrato come sapere che un liquido sia “molto amaro” attiva, durante l’assaggio la parte posteriore dell’insula mediale e posteriore e dell’opeculum. Si tratta di aree del cervello deputate al disgusto. Se però, prima dell’assaggio, si dice agli assaggiatori che il liquido che stanno per assaggiare è “meno amaro del precedente” si rileva una minore attivazione di quelle (Fig. 1). Il suono ha pertanto un forte potere evocativo. Tra queste vi è anche l’aspettativa determinata dal suono della chiusura della bottiglia. In questo caso l’uso del tappo di sughero o di altre tipologie, come quello a vite, di plastica o di vetro, è stato oggetto di una nostra recente ricerca Grazie alla collaborazione con Apcor, “Associazione


portoghese che riunisce i produttori di sughero”, il Centro di Ricerca di Neuromarketing della IULM ha realizzato uno studio con l’obiettivo di valutare l’impatto percettivo determinato dall’apertura di una bottiglia con tappo di sughero naturale o con tappo a vite. Scopo dello studio è quello di analizzare come cambia la percezione del vino partendo dalle due diverse tipologie di chiusura, come il loro differente suono influisca

apre una bottiglia chiusa con le due diverse chiusure, sono state sottoposte all’attenzione del campione in maniera randomica, per esaminarne reazioni fisiologiche ed emotive senza mai ricorrere all’assaggio. Complessivamente la reazione verso i quattro differenti stimoli ha portato in tutti i casi a una preferenza verso quelli che rimandavano all’apertura della bottiglia con tappo di sughero, dato confermato sia nei parametri neuro

Fig. 1

sulla predisposizione alla degustazione e quale impatto emotivo l’ascolto o la vista di uno dei due diversi tappi produce nei soggetti coinvolti. Il risultato? Il tappo di sughero genera sempre performance percettive positive superiori rispetto al tappo a vite. Attraverso un encefalogramma (EEG) è stata stimata l’attivazione cognitiva di un gruppo di 32 soggetti, con un eye tracking l’attenzione visiva e con degli anelli l’indice di attivazione fisiologica ed emotiva attraverso la misurazione della micro-sudorazione della pelle. Ogni fase è stata infine accompagnata da un momento di valutazione cognitiva in cui il campione è stato intervistato sulle sensazioni percepite durante i differenti test. Durante una prima fase di orientamento il campione è stato sottoposto a diversi stimoli. Due tracce audio che riproducono l’apertura di una bottiglia con tappo di sughero e a vite e due video che mostrano una persona mentre

fisiologici che in quelli derivanti dalla valutazione cognitiva razionale successiva alla somministrazione dello stimolo. In qualche modo il tappo di sughero rimanda a un rituale e viene associato a un maggior prestigio del vino, anche senza averlo assaggiato. In una seconda fase il campione è stato suddiviso in due gruppi, nuovamente sottoposti ad ascolto e visione dell’apertura di una bottiglia chiusa con tappo di sughero e a vite, seguiti in questo caso dall’assaggio del vino contenuto nelle due bottiglie che, nonostante avessero due tipi di chiusura differenti, contenevano al loro interno lo stesso vino, identico per vitigno, data di imbottigliamento ma con una differente maturazione data dal tipo di chiusura che inevitabilmente influisce sull’evoluzione del contenuto della bottiglia. La divisione in due gruppi ha permesso di mettere alla prova il campione ed analizzarne le reazioni. Al gruppo A è stata data una miscela composta per metà da vino prove-

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niente dalla bottiglia chiusa con tappo di sughero e per metà con vino tappato con chiusura a vite, a ogni assaggio è stato loro somministrato sempre lo stesso vino. Il gruppo B ha invece sempre bevuto il vino proveniente dalla bottiglia corrispondente allo stimolo (vino proveniente dalla bottiglia chiusa con il sughero dopo l’ascolto/visione dell’apertura del tappo di sughero e vino contenuto nella bottiglia chiusa con il tappo a vite dopo lo stimolo corrispondente). Anche questa seconda fase ha permesso ai ricercatori di riscontrare una netta preferenza verso il vino chiuso con il sughero o, per il gruppo A che ha assaggiato il vino mischiato, verso il vino dichiarato come tale. Il gruppo B che ha bevuto vino coerente con ciò che ascoltava/visualizzava, ha mostrato una netta preferenza verso il vino con tappo di sughero. La stessa preferenza è stata riscontrata nel gruppo A (vino mischiato) che ha espresso la sua preferenza verso il vino chiuso con il sughero, anche se in maniera meno marcata, data probabilmente dalla minore differenza nella percezione degustativa. Se le analisi neurofisiologiche effettuate in questa fase portano a una netta preferenza verso il sughero, il dichiarato dopo l’assaggio ha fatto riscontrare una preferenza del gruppo A (vino mischiato) verso la chiusura a vite, dimostrando ulteriormente una minor capacità discriminativa del gruppo che lungo tutti gli assaggi di questa fase ha sempre assaggiato lo stesso vino (mischiato sughero/vite) Entrambe le fasi dello studio hanno evidenziato come le indagini neuroscientifiche basate sulla misurazione delle attività cerebrali, cardiache e dei livelli di sudorazione della pelle provocati da un determinato stimolo, riescano a far emergere reazioni che sarebbe impossibile esplicitare attraverso interviste verbali. Tali impulsi neurofisiologici sono fondamentali, in quanto i principali responsabili dei comportamenti di consumo e dei processi di scelta di tutti noi. •


La foto di BARtù

NEGLI ORTI DEL SONEVA FUSHI.

Patischie

Jennifer è l’executive Chef di Colours of the Garden, il ristorante vegetariano all’interno del Soneva Fushi alle Maldive. Il ristorante guidato dalla Chef filippina propone una cucina di altissimo livello, totalmente a base di erbe e di verdure, coltivate nell’incredibile, suggestivo orto, ubicato sull’isola di Kunfunadhoo, nel meraviglioso Atollo di Baa (Patrimonio Biosfera dell’Unesco).

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La ricetta di BARtù

Lo chef Luca Gragnano e i “suoi” spaghettoni di Giorgio Ascorti

Un locale di pesce, a Milano, dove un giovane chef propone piatti di qualità e buon gusto A Milano ci sono più locali di pesce che stazioni della metropolitana (per la cronaca 113, mentre scriviamo) e non è mai facile uscire dall’ambito del quartiere di riferimento. Glauco, in via Maiocchi, zona Città Studi, ci è riuscito abbastanza rapidamente per una serie di meriti: pochi coperti in un ambiente sobrio e tranquillo, un servizio preciso – ora completo in tutti gli elementi – e un patron attentissimo ed entusiasta quale Antonio ‘Tommy’ Tomaino. Ma soprattutto, è in crescita la cucina perché il giovane Luca Gragnano sa sfruttare una spesa di alto livello, basata su pesci anche di grossa pezzatura e crostacei da tutti i mari italiani, a partire dagli autentici gamberi ‘Rosso di Mazara’ di Paolo Giacalone che

Spaghettoni di Gragnano in delicata fonduta di taleggio DOP, gamberi “Rosso di Mazara” e vongole 280/300 g spaghettoni di Gragnano 100 g code di gambero Rosso di Mazara 1 kg di vongole veraci 180 g taleggio DOP 60 g panna 100 g latte 3 cucchiai olio extravergine d’oliva 1 spicchio d’aglio 20 g polvere di gambero essiccato sale e pepe q.b.

Glauco – chapeau – utilizza sin dal primo giorno di attività. È una carta ricca di preparazioni ‘nette’, non troppo elaborate e con il tocco giusto. E nella classicità c’è qualche buona idea come quella che Luca presenta ai lettori di Bartù. •

Procedimento In un pentolino, utilizzando la tecnica a bagnomaria unire la panna, il latte, il taleggio tagliato a cubetti. Portare il tutto a una temperatura non superiore agli 80°C (55°C è l’ideale per una perfetta cremosità). Prima di aprire le vongole le andremo a spurgare in acqua e sale, per essere certi di non trovare della sabbia al loro interno. Con le code di gambero crudo andremo a creare una tartare. In una padella scaldare dell’olio ed indorare uno spicchio d’aglio, eliminandolo in seguito; una volta scaldato l’olio aggiungere la tartare e le vongole, mescolare per alcuni secondi sfumando con vino bianco e terminare la cottura, se necessario utilizzando dell’acqua. Unire la fonduta di taleggio al condimento formatosi precedentemente (più fonduta verrà utilizzata, maggiore sarà l’intensità del sapore stesso). Per comodità, sgusciare le vongole, tranne una (per ogni piatto) da utilizzare come elemento decorativo. Iniziare la cottura degli spaghettoni, il tempo varia in base alla scelta della pasta, se artigianale occorrono 14/16 minuti. A cottura ultimata scolare gli spaghettoni in padella, mettere sul fuoco e legare il condimento. Impiattare creando un nido, versando sopra il condimento rimasto in padella, una spolverata di gambero essiccato “Paolo Giacalone” e la vongola chiusa.

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Lo chef Luca Gragnano e il patron Antonio Tomaino



Pillole Giuliana Mantovano a Coca-Cola Italia

Ferrari Trentodoc e Tenute Lunelli

Giuliana Mantovano, laureata in Economia, è stata nominata Direttore Marketing Coca-Cola Italia e Albania, per coordinare il team che gestisce le strategie di marketing e comunicazione dei brand di The Coca-Cola Company nei due Paesi. Giuliana arriva in Coca-Cola dopo aver maturato più di 16 anni di esperienza nel marketing di diverse aziende del Food&Beverage, in Italia e all’estero, e dopo aver ricoperto per due anni il ruolo di Direttore Mar-

Giuliana Mantovano keting di Kraft Heinz Italia, con l’incarico di gestire i sette brand del portfolio aziendale tra cui Plasmon e Heinz. “Sono entusiasta di intraprendere questa nuova avventura, e di entrare a far parte di The Coca-Cola Company” afferma Giuliana. “La sfida che mi attende è quella di contribuire a rafforzare il valore dei brand iconici dell’azienda attraverso la comunicazione e la brand experience, continuando a puntare sull’innovazione e sull’ampliamento del portfolio prodotti, con l’obiettivo di rendere l’azienda sempre più in grado di soddisfare le esigenze in costante evoluzione dei consumatori”.

Cantine Ferrari e Tenute Lunelli sono entrate quest’anno nella dispensa di MasterChef Italia, il talent show culinario più amato della televisione, giunto alla sua ottava edizione e in onda da giovedì 17 gennaio in prima serata su Sky Uno HD. Le bollicine Ferrari Trentodoc, da sempre protagoniste nella ristorazione di qualità, e i vini umbri delle Tenute Lunelli, saranno a fianco dei 20 concorrenti che si sfideranno davanti a quattro giudici d’eccezione. Oltre a Joe Bastianich, Antonino Cannavacciuolo e Bruno Barbieri, si aggiungerà Giorgio Locatelli, una stella Michelin e proprietario della Locanda Locatelli di Londra, nonché da sedici anni lo chef italiano più conosciuto d’Inghilterra con una lunga carriera internazionale al suo attivo.

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Partesa Trentino a Expo Riva Hotel

Convention 2019 Longino&Cardenal

Dal 3 al 6 febbraio 2019, Partesa Trentino è stata nuovamente protagonista a Expo Riva Hotel, un appuntamento divenuto negli anni un punto di riferimento nel mondo dell’ospitalità e della ristorazione professionale e che rappresenta un’importante occasione di confronto con e per i clienti sul territorio. Partesa Trentino ha accolto il pubblico nel proprio stand di oltre 200 mq (Padiglione C3 Stand A17, nel quartiere fieristico di Riva del Garda - TN) dove ha dato ampio spazio a un vasto assortimento di birre, sia in fusto sia in bottiglia, capaci di soddisfare al meglio i gusti e le esigenze del consumatore finale. A disposizione, attraverso un importante banco spina a ventitre vie, un’ampia selezione di birre del gruppo: 13 spine dedicate alle birre del Gruppo Heineken e 10 spine dedicate al portfolio Dibevit. Oltre allo spazio birra era previsto un corner dedicato al vino, con una quarantina di etichette del territorio. Dato il successo dello scorso anno, infine, è tornato anche il corner dedicato al caffè, in collaborazione con Lavazza.

Longino&Cardenal, società di importazione e distribuzione di alimentari destinati alla ristorazione di alta qualità, ha presentato a Milano i protagonisti della sua offerta per l’anno in corso. La convention ha dato modo a una selezione di fornitori del brand provenienti da diversi angoli del mondo di raccontare la propria storia e i propri prodotti, all’insegna dell’instancabile ricerca dell’eccellenza che rappresenta per Longino & Cardenal una vera e propria mission. Oltre a presentare le novità di fornitori “storici”, la convention è stata soprattutto occasione per presentare quattro nuovi partner di Longino & Cardenal, che con le loro esperienze vanno ad arricchire il catalogo del brand nei settori dei prodotti ittici, della carne e dei dolci: Cloudy Bay Clams è leader nella raccolta di vongole; Zaferis Trikalinos, che ha reinventato i metodi di produzione della bottarga di muggine; il francese Miéral che è tra i fornitori di pollame più rinomati nel panorama mondiale; infine, dall’Ecuador, l’ Hacienda San José che segue il ciclo produttivo del suo cioccolato dall’origine al prodotto finito.

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Oleificio Zucchi porta l’eccellenza La scelta dell’olio giusto è il segreto per la preparazione di dolci, biscotti, snack, pane, gelati e tante altre delizie dell’industria alimentare e dei migliori “artigiani” del gusto italiani. Per valorizzare impasti e ricette con l’ingrediente perfetto, Oleificio Zucchi, storica azienda cremonese Ambassador da oltre 200 anni della cultura di fare olio, presenta le sue linee di prodotti destinate al canale Ho.Re.Ca., alle aziende agroalimentari, ai professionisti della ristorazione e ai produttori artigianali della pasticceria, panificazione e

gelateria internazionale. Nata dall’esperienza e dalla passione per l’olio, l’intera gamma degli oli da olive, oli da semi e aceti dell’azienda vanta infatti un’ampia scelta di marchi, referenze e formati con posizionamenti e prezzi differenti adatti a lavorati e semilavorati dell’industria e dei piccoli produttori. Dal marchio Zucchi, che porta con orgoglio il nome di famiglia e si caratterizza per firmare prodotti oliva premium, ai brand Le Pleiadi, con un posizionamento medio/ alto, Pallade e Orfeo, con un buon rapporto qualità/prezzo, fino alla storica marca Zeta per gli oli di semi.

Apre il primo TBSP Restaurant di Roma

A fine gennaio in Via Gallia 83 ha aperto le porte il primo Ristorante del progetto TBSP (The Bbq & Smoke Project) firmato Gruppo Galli. Il Gruppo, che dal 1951 garantisce la qualità nel settore della carni, già forte dei successi ottenuti con il celebre food truck e l’American bar di Piazzale di Ponte Milvio e del Mercato Testaccio, lancia la nuova sfida nel settore della ristorazione. Il menù del ristorante, oltre alla celebre burger line, tra cui ne ricordiamo il fiore all’occhiello lo Smoked Cheese Burger, si arricchisce di nuove proposte: il Pastrami di Manzo, la New York Strip dry aged, l’American BBQ Pulled Pork. Una selezione messa a punto dal Pitmaster Chef Claudio Nani con la prestigiosa collaborazione di Romeo Chef & Baker per la selezione dei pani e dei dessert. Già noto ai più assidui frequentatori del quartiere San Giovanni il locale si fa notare: grandi vetrate in ferro battuto, un arredo contemporaneo e industriale con elementi in ferro ossidato e legno per un’atmosfera calda ed elegante che caratterizza i locali TBSP firmati Studio di Architettura e Design Gentili & Parteners.

Un imperativo, tutelare il riso italiano

Moët & Chandon al Golden Globe

Il riso italiano è una risorsa preziosa e noi italiani lo sappiamo bene. Da sempre siamo il primo produttore europeo, con oltre cento varietà coltivate e un milione di tonnellate prodotte nell’ultima campagna. Ogni varietà si declina in una tradizione culinaria che racconta un pezzo del nostro territorio. Le Soste insieme a L’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, CHIC, la Federazione Italiana Cuochi (FIC), Jeunes Restaurateurs Italia (JRE) e l’Associazione Professionale Cuochi Italiani (APCI) vogliono contribuire a sostenere le produzioni nazionali con l’uso delle varietà di riso italiano e la diffusione della conoscenza delle nostre specialità. Lo sforzo quotidiano è volto alla valorizzazione delle nostre produzioni, proponendole costantemente nelle ricette che contraddistinguono l’Italia.

Moët & Chandon, lo champagne del glamour e del successo, ha celebrato le star e i registi più importanti di Hollywood come champagne ufficiale dei Golden Globes Awards per il 28° anno consecutivo, a Los Angeles. Le più grandi celebrities del mondo hanno brindato sul red carpet con oltre 1500 Mini Moët, perorando la causa “Toast for a Cause”, iniziativa filantropica della Maison ormai al suo decimo anniversario. Sul red carpet la Golden Globes Ambassador Moët & Chandon Gemma Chan, e celebrities come Camilla Belle, Amy Adams, Glenn Close, Idris Elba, Luke Evans, Dakota Fanning, Willem Dafoe e molte altre hanno festeggiato con Mini Moët dedicate alle iniziative charity selezionate dalle grandi star, alle quali la Maison ha donato 1.000 dollari a loro nome. Moët & Chandon ha supportato numerose Charity care alle celebrities, tra queste UK Refugee Project (Gemma Chan), Hispanic Scholarship Fund (Gina Rodriguez), Save the Children (Dakota Fanning and Luke Evans, Sacha Baron Cohen and Isla Fisher), California Black Women’s Health Project (Laura Harrier) and Theodore Atlas Foundation of New York (Willem Dafoe).

In Etiopia con CSC, terra d’origine del caffè Il legame stretto tra produttore e torrefattore caratterizza CSC – Caffè Speciali Certificati, che ha da poco realizzato un viaggio nella terra d’origine del caffè, l’Etiopia. È un Paese che affascina per il suo stretto legame con la Coffea Arabica, la bellezza dei paesaggi, la natura incontaminata. Hanno realizzato il tour Graziano Carrara titolare di Carrara Coffee Agencies, Serena Nobili, titolare di Dinicaffè e Nicola Mizzi che in Musetti si occupa dell’acquisto del caffè e del controllo qualità. Il viaggio ha preso il via dalla capitale Addis Abeba per proseguire verso sud, nella regione del Sidamo, da cui proviene il Sidamo Grado 2 Corona CMI certificato CSC. Il referente locale è Abdullah Beagersh, figura di rilievo nel settore del caffè.

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Alberto’s choice

Brera, al 13 Giugno adesso tocca a Edoardo CLASSICITÀ SICILIANA CHE GUARDA AVANTI

LEGENDA

RISTORANTE 13 GIUGNO BRERA,

Via San Fermo 1 (Piazza Mirabello) Tel. 02 29003300 www.13giugnobrera.it

Edoardo Dolcimascolo, 27 anni, succede al fratello Andrea alla guida della cucina del ristorante di famiglia, in un avvicendamento che ha visto sempre protagonisti assoluti i due giovani, sotto la regia attenta del padre, Saverio. E’ a Saverio Dolcimascolo che si deve il successo del 13 Giugno di via Goldoni, zona Vittoria, sempre a Milano: in questo tempio della cucina siciliana classica (“di tradizione,

Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e stile dell’offerta

il meno possibile creativa, nel senso della sperimentazione, che tanti chef oggi vantano come un plus assoluto. No, qui vince la tradizione siciliana…”, mi disse Saverio in una appassionata conversazione di un paio di anni fa), rivive una linea di cucina basata sui sapori tipici dell’isola, intelligentemente proposti all’insegna del binomio “alta qualità-corretta quantità”. E, non a caso, il ristorante si è affermato e consolidato come una delle mete tradizionali della ristorazione sicula a Milano, soprattutto di pesce. Le diversificazioni messe in atto dai Dolcimascolo, peraltro, si sono sempre rivelate altrettanti successi: il 13 Giugno Brera, in piazza Mirabello, a pochi metri dal Fioraio Bianchi e dal Yazawa, uno dei migliori ristoranti giapponesi della città (uno dei miei preferiti) e di fronte al Cittamani, indiano di recente apertura, è oggi guidato dal giovane Edoardo, appassionato conduttore della struttura oltre che attento artefice della linea di cucina, a sua volta presidiata dallo Chef Vittorio Cogoni e dalla sua brigata. Una lunga e intensa esperienza londinese, presso ristoranti ubicati all’interno di luxury hotel, ma anche una solida esperienza in ristoranti italiani, Edo-

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Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza

Due corone = Linea di cucina corretta

Una corona = Dignitoso e affidabile

Corona nera = C’è ancora molto da fare

Tre cervelli = Un vertice nel suo genere

Due cervelli = Qualità e attenzione al cliente

Un cervello = Bravi, ma non basta

Cervello nero = Scarsamente ragionevole


villafranciacor ta.it

Segno.

Nato per lasciare il


Colophon

Alberto’s choice

BARtù N° 97 febbraio - marzo 2019

ardo Dolcimascolo ha deciso di seguire una “doppia linea” per il suo 13 Giugno di Brera. Come? Innanzitutto puntando su un target più giovane rispetto a quello consolidatosi negli anni, alleggerendo le preparazioni e enfatizzando all’inverosimile la qualità, l’origine e la provenienza delle materie prime utilizzate, perfezionando così la comunicazione al cliente. Inoltre, rafforzare l’area dell’aperitivo, già ben connotata oggi, mediante la proposta di stuzzichini sempre più importanti e di amouse bouche abbinati a grandi vini italiani, non solo siciliani. “La nostra clientela, dice Edoardo, vuole sicurezza ed emozioni, prima ancora che proposte classiche od ampollose, adatte a una clientela che forse predilige aspetti più formali. Per questo, se il 13 Giugno di Via Goldoni resta sempre la nostra ammiraglia, per storia, classe e stile, guidata da un capitano di lungo corso, il locale di Brera gioca su un altro terreno, quello della convivialità, dell’informalità e della socializzazione”. Quindi, meno Sicilia nel piatto? Tutt’altro, replica Edoardo. La Sicilia è la base, la partenza, da cui spaziare verso proposte più ampie, che privilegino i sapori mediterranei ma diano spazio anche alle paste fresche, pesce crudo in diverse varianti, carpacci di ricciola e tonno, sarde a beccafico in versione più moderna: “Più attenzione alla leggerezza e ai sapori, insomma, bene evidenziati da primi piatti come gli spaghetti Gerardo Di Nola con melanzane fresche o dai Tagliolini con crudo di mare e bottarga, un piatto che è al top delle preferenze, insieme alle ostriche e al nostro Plateau Royal, sempre richiesto. E un servizio di sala cortese, professionale, ma non impiallacciato… “La possibilità di “giostrare” il servizio su due spazi, un elegante bistrot per business lunch e aperitivi e una sala più raffinata per l’offerta di ristorazione più tradizionale, confermano la segmentazione in atto. Su tutto, domina (insieme all’entusiasmo di Edoardo) la qualità delle materie prime che, abbinate a tecniche di cottura anche innovative, costituiscono il solido impianto dell’offerta. Fra le idee innovative di Edoardo, quella di dare il via alla “bottega”, a fianco del locale, per consentire anche ai “non” clienti del ristorante di condividere a casa propria le emozioni gustative che nascono dalla particolarità e dalla freschezza delle materie prime utilizzate ogni giorno. Insomma, un format alieno da certe esasperazioni creative, che punta decisamente sul solido, con disinvoltura e classe, e che non disdegna aperture al pubblico giovane e non convenzionale. Che non sempre è alla ricerca dello stellato…

Direttore editoriale Alberto P. Schieppati - alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile Andrea Aiello Contatti bartu@edifis.it - www.bartumagazine.it Redazione Walter Govoni - walter.govoni@edifis.it Collaboratori Giorgio Ascorti, Fiorenza Auriemma, Guido Bernardi, Maurizio Bertera, Stefano Bonini, Oscar Cavallera, Beatrice Coppola, Maurizio Di Dio, Angelo Foresti, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Rocco Lettieri, Aldo Nenzi, Gigi Pavesi, Viviana Persiani, Michele Maria Pizzillo, Giovanna Moldenhauer, Giovanni Ponzoni, Vincenzo Russo, Theo Smith, Gualtiero Spotti, Claudio Zeni, Stefania Zolotti Grafica e impaginazione Daniele Scozzari Pubblicità Piera Pisati, Project Leader - piera.pisati@edifis.it Traffico pubblicitario Roberta Motta - roberta.motta@edifis.it Iniziative speciali Andrea Ragusa - andrea.ragusa@edifis.it Amministrazione amministrazione@edifis.it Foto Archivio BARtù; Alvise Barsanti; Marcello Bocchieri; M. Borchi; Stefano Borghesi; A. Carra; Armin Huber; Claudia Calegari; Gaetano Del Mauro; Pieter D’Hoop; Paco Lloret; Villagra Lopez; Martina Mambriani; Mauro Montana; Patischie; Barbara Santoro; Roberto Savio; Marco Varoli; Renato Vettorato Stampa Aziende Grafiche Printing S.r.l. - Peschiera Borromeo (Mi) Prezzo per una copia E 5,00 - Arretrati E 10,00 Abbonamento Italia: E 45,00 - Europa: E 80,00 - Resto del mondo: E 100,00 abbonamenti@edifis.it

Registrazione del Tribunale di Milano n. 222 del 24/03/2000 Iscrizione Registro Operatori della Comunicazione n. 06090 Tutti i diritti di riproduzione degli articoli e/o foto sono riservati. Manoscritti, disegni, fotografie e supporti audio e video anche se non pubblicati non saranno restituiti. Per le fotografie e le immagini per cui, nonowstante le ricerche eseguite, non sia stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara disponibile ad adempiere ai propri doveri. Ai sensi del Reg.EU 679/2016 l’Editore garantisce la massima riservatezza nell’utilizzo della propria banca dati con finalità redazionali e/o di invio del presente periodico. Ai sensi dell’art. 15 il ricevente ha facoltà di esercitare i suoi diritti fra cui la cancellazione mediante comunicazione scritta a EDIFIS Spa - Viale Coni Zugna 71 - 20144 Milano (o ai riferimenti sotto trascritti), luogo della custodia della banca dati medesima.

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Dolomiti, Alto Adige. Tra queste montagne incontaminate nasce Acqua Plose. Pura e leggera per natura si abbina perfettamente ai migliori piatti della cucina tradizionale e internazionale esaltandone i sapori con la sua delicata discrezione. Residuo fisso 22 mg/l Ossigeno 10,2 mg/l

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