BARtù 07 2019

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Bar | Alberghi | Ristoranti

COVER STORY Terry Giacomello Follia e sapienza VENEZIA Fabio Trabocchi al JW Marriott GASTROBAR Lisbona, la mixology rilancia i consumi PASSIONE La storia di Callegari: pizza e innovazione TORINO Marco Sacco riapre Piano 35

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Editoriale BARtù

Non c’è nessuno da stupire Da più parti sentiamo levarsi forti, accorati (e spesso generici) richiami a un “realismo culinario”, che vorrebbero esprimere l’esigenza diffusa (fra i clienti, ma anche fra molti giornalisti del settore o opinion leader) di un ritorno alla semplicità. Grosso modo, il messaggio sembra essere: “Dobbiamo ritornare a una ristorazione che sappia proporre piatti pieni, comprensibili alla vista e al gusto, capaci di soddisfare le necessità di piacere e godimento che chi fa un’esperienza gastronomica fuori casa si aspetta. Piatti perfettamente eseguiti, con materie prime di qualità elevata, che si rifacciano o meno alla tradizione, ma che esprimano un proprio valore oggettivo”. Insomma, piatti che come dice Paolo Lopriore diano eccitazione al cuoco e al cliente”. Sento spesso in giro espressioni del tipo “voglio una cucina golosa, con piatti ricchi e gusti chiari”, ma altrettanto spesso queste levate di scudo, approssimative e istintive, non mi convincono né mi coinvolgono. In politica, anni fa, si definiva con il termine “riflusso” il voler ritornare al passato, come se il passato dovesse necessariamente essere migliore del presente, in grado di abbinarsi a valori come schiettezza o autenticità o, peggio, genuinità. Non è vero. Bisognerebbe, invece, avere il coraggio di dire che per decenni (a parte le solite eccezioni dei “segmenti” più professionali dell’offerta) ha dominato la banalità, l’eccesso di sapidità, l’abuso del fritto, l’utilizzo di grassi di cottura scadenti, di attrezzature vecchie e inadeguate, più

che la qualità autentica dei piatti. Dobbiamo innanzitutto a Gualtiero Marchesi, a Angelo Paracucchi e a pochi altri il merito di avere elevato (e sdoganato da vecchi luoghi comuni), il livello generale della cucina italiana. Dalla più ricercata alla più semplice, dalla più talentuosa alla più tradizionale, dalla più creativa alla più strutturata, il comune denominatore della ristorazione contemporanea, divenne la qualità dei prodotti, delle materie, degli ingredienti utilizza-

Ritorno al passato? Fascino e nostalgia, ma meglio di no....

ti in quella cucina, abbinate alla cultura, al talento e all’esperienza del cuoco. La attuale esigenza, sempre più diffusa, di “solidità della ristorazione” , dipende da diversi fattori: ma è soprattutto un fatto culturale, non dimentichiamolo. Noi per primi proviamo un discreto fastidio verso piatti dalle definizioni ermetiche o finto-spiritose che vorrebbero épater le bourgeois. Qui non c’è più nessuno da

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stupire, c’è semmai qualcuno da soddisfare, sia chiaro. Su questo concetto bisognerebbe aprire una profonda discussione, come si suol dire. Al primo posto, da parte dello chef, o del cuoco, o del ristoratore, ci dovrebbe proprio essere la capacità (che deriva dalla sapienza e dalla sensibilità) di saper regalare (vendere) al cliente un’esperienza unica, indimenticabile: e questo piacere lo può dare solo un piatto perfettamente eseguito, realizzato con la migliore materia prima possibile, pensando alla bontà finale del piatto e alla sua bellezza, senza però esagerare in modo estremo sull’estetica del piatto stesso. Questa è una direzione (verso il buono, corretto e bello) che vediamo rafforzarsi nella clientela di livello della ristorazione, soprattutto internazionale, che viene in Italia per apprezzarne tipicità e carattere. In questo senso vanno letti i servizi e gli articoli di questo n. 101 di BARtù, dalla Cover Story dedicata a Terry Giacomello fino ai pezzi sul Gastrobar di Lisbona, sul veneziano Fiola di Fabio Trabocchi, sul Piano 35 di Marco Sacco. E, ancora, sulle trattorie veraci di Roma o sulle contaminazioni in atto nella grande cucina. Denominatore comune: la qualità., come dice Diego Crosara, il pasticcere vicentino. E, soprattutto, la capacità di saperla declinare in tutti i principali segmenti dell’offerta. Solo così si vince la sfida.•

Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it


Sommario

Editoriale 1 Non c’è nessuno da stupire 4-11 News L’opinione 14 Ristoranti e gastronomie, cresce la corrispondenza Bar 16 Tenda Bar di Lignano: 25 anni di successi 18 Lisbona, la mixology rilancia i consumi 20 Quando il drink è Spiritual Cover Story 22 Inkiostro, la cucina di Terry. Sapienza e follia Ristoranti e protagonisti 26 Fiola at Dopolavoro. Trabocchi Revolution 30 Costa Smeralda, nasce Pacifico Rosemary 34 Arriva Sober Up, il “detox” intelligente 36 Tendenze in cucina: contaminazione docet! 38 Obiettivo Chianina: uniti per valorizzarla 40 Rivoluzione a Lugano, arriva Badalucci 42 Jole, anima spontanea: in cucina con amore 44 Cittamani a Milano. Alchimia delle spezie 48 Etica professionale? Si parte dagli ingredienti... 52 AtelieReale, il regno di sua maestà Il Panettone 54 Piano 35 riapre. Il ritorno di Marco Sacco 56 Cucina vitale incentrata sulla stagionalità 58 Storie di passione. Esempio di autodidatta 62 Corazziere e Silvio. 100 anni di storia Alberghi 64 Excelsior Hotel Gallia, il talento dei Lebano 68 Epoque Hotel a Bucarest. Stile classico e alta cucina 72 Labelon Experience Beach Club. Quando il Sud investe... Wine 75 Concours di Bruxelles. La volta della Svizzera Eventi 78 Ticino, i mille volti di un territorio gourme La ricetta di BARtù 80 Tortello e lavanda. L’eleganza di Aurora La foto di BARtù 81 Eros Buratti, il piacere dei formaggi 82 Pillole 84 B.A.R. Tech Alberto’s choice 86 Anna Stuben di Ortisei. Alta cucina e sana ospitalità

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In copertina: abbiamo deciso di dedicare la cover del n. 101 a Terry Giacomello, chef dell’Inkiostro di Parma. Terry è un talento unico nel panorama della ristorazione italiana, i cui piatti fanno discutere sul presente e sul futuro del cosiddetto fine dining, sempre più orientato verso piatti ad “alta riconoscibilità”, anche estrosi ma coerenti con le aspettative di piacere e gusto della clientela.

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direttore editoriale Alberto P. Schieppati

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News

Cocktail Jet-Set a Montecarlo

Gli Chef di les Collectionneurs riuniti a Parigi Grande affluenza all’incontro annuale degli chef che fanno parte di les Collectionneurs – la community di ristoratori, albergatori e viaggiatori – che si è svolto a Parigi nel suggestivo ristorante ‘Ducasse sur Seine’ alla presenza del Presidente Alain Ducasse e di Xavier Alberti, Presidente e Direttore Generale. Cento gli chef presenti, arrivati per l’occasione da tutta la Francia, dal Belgio, dalla Spagna e anche dall’Italia che è stata rappresentata da nord a sud grazie a: Chris Oberhammer del Ristorante Tilia; Fabio Silva dell’Hotel de La Ville; Massimo Spigaroli dell’Antica Corte Pallavicina; Graziano Duca del Grand Hotel Bristol&Spa di Rapallo; Riccardo Camanini del Lido 84; Davide Maci di The Market Place Restaurant; Gianluca D’Agostino di Veritas Restaurant e Stefano Di Gennaro di Quintessenza Ristorante. Gli chef hanno condiviso un esclusivo pranzo realizzato da Francis Fauvel, executive chef del ristorante Ducasse sur Seine.

Gli ingredienti per farlo amare ci sono tutti, lo Champagne non manca, le delicate note di fiori di sambuco danno dolcezza e sensualità a questo cocktail, il gelsomino e la violetta completano l’opera. Come un profumo di Chanel, basta questo cocktail a inebriare i sensi. I colori che passano dall’oro al violetto, lo rendono estremamente chic, da “indossare” in una serata di gala o a un vernissage, a una prima all’Operà Garnier o al casinò per tentare la fortuna o farsi tentare dalla situazione. Il cocktail è una creazione di Luca Coslovich, barman del Casino di Montecarlo, ma che abbiamo già trovato in azione in diverse parti del mondo, in luoghi in cui il Luca Coslovich, barman del Casino di Montecarlo lusso e il glamour erano sempre presenti. Il savoir-faire italiano ha sempre contraddistinto il lavoro di questo bartender, che ha recentemente ricevuto la prestigiosa “Horder of Merit” proprio per la sua capacità di esportare il made in Italy e la creatività italiana. Quest’estate vedremo sicuramente il principe Alberto, o qualche membro della sua famiglia, con questo cocktail in mano. Inoltre, lo troveremo, certamente, sulle terrazze più prestigiose del principato.

Planhotel Hospitality Group inaugura Sandies Bathala alle Maldive La struttura 4 stelle, raggiungibile con uno spettacolare volo di 15 minuti con l’idrovolante dall’Aeroporto Internazionale di Male, si trova all’estremità nordorientale dell’Atollo di Ari. Circondato da una spiaggia incontaminata di sabbia bianca, Bathala vanta uno dei più spettacolari house reef dell’intero arcipelago, conosciuto e amato dai divers di tutto il mondo. “Siamo orgogliosi di aprire questo nuovo resort, con cui continua lo sviluppo dei nostri brand alle Maldive” ha dichiarato Sara Rosso, Presidente di Planhotel Hospitality Group. “Bathala rappresenta perfettamente lo stile Sandies per l’atmosfera amichevole e rilassata e l’attenzione alla qualità e al servizio. Le nostre proposte di vacanze all inclusive fanno sentire gli ospiti a casa propria e sono caratterizzate da un ottimo rapporto qualità prezzo”. Sandies Bathala è stato completamente rinnovato e ora offre 70 camere, 24 Water Villas e 46 Beach Bungalows. Due moli conducono alle Water Villas, dal design contemporaneo, che sorgono su palafitte sospese sull’acqua e sono caratterizzate da ampie terrazze private dalle quali si accede direttamente al mare cristallino e alla barriera corallina. Gli incantevoli Beach Bungalows, con verande private, si affacciano sulla spiaggia e sulle acque della laguna e sono dotati di grandi vetrate che rendono il magnifico paesaggio parte integrante delle strutture.

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Birra Moretti reinventa il boccale di birra Birra Moretti, dal 2007 promotrice della cultura della birra in Italia, presenta la sua ultima creazione per offrire la miglior esperienza gustativa di sempre: il boccale progettato da esperti italiani e internazionali e curato nei minimi dettagli in ogni millimetro per una degustazione perfetta in ogni suo aspetto. Frutto di un lungo lavoro di studio e progettazione curato da esperti di design e di cultura birraia, il nuovo boccale firmato Birra Moretti e realizzato in Italia è curato e capace di conquistare ognuno dei cinque sensi. Anche per questo, gode della certificazione ASPI (Associazione della Sommellerie Professionale Italiana). La schiuma della birra si mantiene perfetta grazie alla sua forma, l’esatto arrotondamento indirizza gli aromi del luppolo e ne esalta il profumo. La temperatura rimane ideale perché lo spessore del vetro è calcolato al millimetro mentre l’impugnatura ergonomica lascia la birra fredda dal primo sorso all’ultimo. L’esperienza tattile del suo profilo è un omaggio allo storico bicchiere con il logo intarsiato e le sue iconiche sfere concave. E non solo: il boccale, nei formati da 20 cl e 40 cl, sarà presente in oltre 30.000 fra i migliori locali italiani.

AriZona: successo in Italia del brand n.1 negli Usa Da anni iconico e trendy negli Stati Uniti, oggi un successo inarrestabile anche in Europa. AriZona nasce nel cuore di Brooklyn con una gamma di soft drink di grandissimo impatto e di altissima qualità. Drink alla frutta, Tè freddi e Acque aromatizzate sono i prodotti che caratterizzano il catalogo di AriZona, nati dalla passione e dalla creatività di due imprenditori italo-americani, John Ferolito e Don Vultaggio. AriZona è la bevanda a base di Tè più venduta negli Stati Uniti che ha trovato anche in Italia appassionati estimatori grazie alla sua formula semplice e deliziosa. I Tè AriZona sono completamente naturali, sono privi di aromi e coloranti artificiali per un consumo ideale da parte di chi è attento al proprio benessere. Tutta la gamma AriZona è importata e distribuita da Eurofood Spa.

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News

Tre chef toscani firmano le proposte dining di Lungarno Collection Lungarno Collection, da sempre fortemente legata alla città di Firenze e ambasciatrice del ‘made in Florence’, rafforza il suo rapporto con il territorio affidando a tre giovani chef toscani la guida dei suoi ristoranti: Claudio Mengoni, Alessio Mori e Andrea Magnelli rispettivamente al Ristorante Borgo San Jacopo, Caffè Dell’Oro e The Fusion Bar & Restaurant. I tre chef, che vantano importanti collaborazioni in Italia e all’estero, avranno il compito di donare nuova enfasi alle singole realtà dining mantenendo sempre un occhio di riguardo alla tradizione della cucina italiana, alle materie prime e costante ricerca per garantire una food experience indimenticabile. “Siamo lieti di dare il benvenuto a Claudio, Alessio, Andrea: tre chef che presentano caratteri e peculiarità differenti proprio come sono le proposte dei nostri ristoranti” afferma Valeriano Antonioli – CEO Lungarno Collection. “Ognuno ha un concept ben definito, un’identità forte e una proposta che si caratterizza per la sua unicità, affinché l’ospite possa vivere esperienze diverse ma sempre di grande qualità”. C.Z.

Faema sbarca a New York con il primo pop up store “Art & Caffeine” Faema sbarca a New York, Lower East Side, con il primo pop up store Art & Caffeine. Dopo l’inaugurazione del flagship store di Milano, avvenuta lo scorso ottobre, il brand di Gruppo Cimbali porta nella Grande Mela un’esperienza unica promuovendo la cultura del caffè, dalle tradizioni artigianali alle nuove tendenze. Fino al 29 giugno coffe specialist e semplici amanti del caffè si sono incontrati in un suggestivo spazio di formazione e creazione per condividere la loro passione e scoprire tutti i segreti del più piacevole e gustoso dei riti quotidiani. Ricco il calendario di appuntamenti, aperti anche al pubblico, ai media e agli influencer del settore: da momenti formativi e creativi tenuti da alcuni dei più importanti guru del caffè, ai dibattiti e presentazioni curate dai professionisti del settore, fino alle competizioni di brewing, latte art e molto altro ancora. Il tutto con un’attenzione particolare al sociale: il ricavato, infatti, viene devoluto a Coffee Kids, un’organizzazione no-profit che aiuta i giovani coltivatori di caffè a creare un'attività di successo e una fonte di reddito sostenibile. L’allestimento del pop up store “Art & Caffeine” di New York è a cura della designer e artista americana Mika Cali. L’arredo è firmato Magis, con l’Officina Collection, secondo uno stile spiccatamente industriale, semplice e minimalista.

Guida Fuoricasello 2019 Le valigie sono pronte, basta caricarle in macchina e via per le vacanze estive! Viaggio lungo o breve che sia, a un certo punto, arriva la fame e piuttosto che mangiare il solito panino, meglio fermarsi e gustare qualcosa di buono. Ma… dove? Ecco la Guida Fuoricasello 2019, giunta alla 13a edizione, l’ideale da tenere in auto perché pronta a suggerire i migliori locali e ristoranti dove sostare a pochi km dai maggiori caselli autostradali d’Italia. Nata da un’idea dei fratelli Longo (Paola, Giovanni e Osvaldo) nel 2005, oggi la Guida Fuoricasello è un volume al quale nessuno deve rinunciare. Facile da consultare, chiara, intuitiva e ricca d’informazioni, rappresenta la soluzione ideale non solamente per i vacanzieri ma per tutti coloro che viaggiano spesso in autostrada, magari per lavoro o per necessità di altro tipo. La nuova edizione è stata aggiornata graficamente ed è cresciuta anche in numero di ristoranti: 828 locali dislocati a pochi minuti dalle uscite di autostrade e superstrade.

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Il Gutturnio Superiore Borgofulvia premiato al Wine Trophy Il Gutturnio Superiore Borgofulvia Impero 2018 ha ottenuto la medaglia Gold al Portugal Wine Trophy 2019, il più importante concorso enologico internazionale in Portogallo che riunisce ogni anno i migliori professionisti provenienti da tutto il mondo. Durante le 4 giornate di degustazione, una giuria indipendente, formata da enologi, sommelier, “Master of Wine”, commercianti specializzati, produttori di vino e giornalisti, classifica i prodotti secondo le regole e le linee guida dell’OIV e dell’UIOE, utilizzando il sistema di 100 punti, sotto forma di degustazione cieca. Il color rosso rubino intenso, il sapore consistente e ricco di frutta, la potenza alcolica che si fonde nel finale di spezie e liquirizia, sono gli elementi che hanno permesso al Gutturnio Superiore Borgofulvia Impero 2018 di essere apprezzato nella sua categoria e di ottenere la medaglia Gold. F&P Wine Group nasce nel 2018, quando le famiglie Ferrari e Perini decidono di unire sotto un unico nome 5 marchi: Il Poggiarello, Perini&Perini, Costa Binelli, Borgofulvia e 4 Valli. Oggi il Gruppo si sviluppa su circa 200 ettari di vigneto, per un totale di circa 10 milioni di bottiglie prodotte annualmente, delle quali oltre il 50% è destinata ai mercati esteri, soprattutto Russia, Germania, Belgio, Stati Uniti e Spagna.



News Benvenuti al nord: apre a Milano “Il Mannarino” Macelleria con cucina e griglia a vista: no non siamo in Puglia, siamo a Milano. Questa è l’accoglienza che offre “Il Mannarino”, la nuova macelleria di quartiere con cucina a vista che ha aperto a Milano in p.za De Angeli 1. Nel cuore del quartiere di Marghera-De Angeli, una vera e propria macelleria che si trasforma in locale mantenendo la tradizione italiana della cucina conviviale e offrendo un’esperienza unica. La migliore qualità di carne totalmente italiana viene cucinata al momento da un team di chef professionisti specializzati e appassionati. Stefano e Andrea sono i “mannarini” per eccellenza, cresciuti direttamente sul campo tra eredità familiare di macelleria e un curriculum formato in grande distribuzione, portano in tavola la loro massima expertise in fatto di cucina alla griglia e tipicamente pugliese. 45 coperti per una cucina tipica casereccia che non delude in fatto di gusto ed esperienza gastronomica. Nessun menù fisso, è l’ospite a scegliere direttamente cosa mangiare dal banco tra i migliori tagli di carne disponibili. Il progetto nasce dall’idea di tre talenti millennials Luca, Filippo e Gianmarco, che hanno voluto ricreare una nuova situazione di convivialità di quartiere che a oggi mancava: un concept nuovo nel capoluogo meneghino.

Cinque consigli per una colazione a 5 stelle!

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l bar sono generalmente associati alla colazione fuori casa, un luogo più o meno familiare, dove bere un caffè, mangiare qualcosa e fare due chiacchiere prima di ributtarsi nel caos quotidiano. In albergo, questo momento, rappresenta l’ultimo pasto prima di partire e l’ultimo ricordo che rimarrà impresso. Ecco 5 consigli utili per servire una colazione a 5 stelle: • Utilizza le etichette per indicare i diversi alimenti, non è detto che un ospite sappia distinguere tra tipologie diverse di croissant o di pane.

Arrivano i nuovi Pizza Lab di Partesa Da sempre promotrice della formazione come chiave strategica per la crescita professionale, Partesa ha proposto a giugno sette workshop tematici su tutto il territorio su un’eccellenza italiana: la pizza. Sono i Pizza Lab, full immersion formativi a disposizione dei clienti su tecniche e segreti che ruotano intorno al mondo della pizza, dalla scelta dei migliori ingredienti alle nuove esigenze dei consumatori, dalla scelta delle farine più adatte ai metodi di cottura. Un percorso accompagnato dall’esperienza dei professionisti Partesa grazie a cui sarà possibile acquisire nuovi strumenti valorizzare al meglio la propria attività. Gli eventi di giugno hanno interessato non solo le grandi città ma anche i piccoli centri per dare la possibilità a chiunque di partecipare.

• Sii cortese, la gentilezza e la disponibilità del personale costituiscono un valore inestimabile. • Le brioche devono essere cotte appena prima del servizio e non riscaldate. • Quando è possibile taglia e porziona, l’ospite non farà fatica a servirsi e così eviterai anche che la torta si rovini. • Cavalca i nuovi trend emergenti prediligendo farine integrali e alimenti benessere per distinguerti con un’offerta unica. Il consumatore di oggi è molto più esigente di quello di un tempo, è attento al benessere e alla salute e ricerca un prodotto appagante e nuovo, infatti si registra un + 9% dei claim «better for you» per rispondere a chi è attento al binomio qualità-salute. Per Délifrance, che dal 1978 produce e commercializza prodotti da forno surgelati, il successo del cliente è al primo posto: ogni lancio si focalizza sulle esigenze di un consumatore consapevole di quello che mangia. L’azienda ha dedicato proprio al momento della colazione il lancio del mini mix croissant: un impasto integrale al burro (16,5%) con una sfoglia alveolata e dorata in superficie, ripieno di una ricca farcitura benessere, 15% di miele o frutti di bosco. Perché scegliere questo prodotto? Il suo formato mini lo rende ideale per il servizio al bar o in hotel, per una colazione leggera o per un piccolo break, mentre le sue farine e i suoi ripieni benessere lo rendono capace di offrire grandi soddisfazioni anche ai consumatori più attenti alla qualità e sensibili al tema del benessere.


Dopo City Life, Peck apre in Porta Venezia

Amor Mio: una sorpresa effervescente

Si chiama semplicemente Peck Porta Venezia, la nuova gastronomia di quartiere che il celebre marchio milanese ha appena aperto in via Tommaso Salvini 3, nel cuore di Porta Venezia. Il nuovo negozio si presenta come un piccolo punto vendita al cui interno è possibile trovare una selezione delle infinite prelibatezze che hanno reso Peck il simbolo dell’alta gastronomia milanese nel mondo. La nuova apertura segue quella di Peck CityLife – gastronomia, ristorante, enoteca, cocktail bar – dello scorso dicembre, a conferma della strategia di espansione del brand. Peck Porta Venezia inaugura una nuova idea, quella del piccolo negozio di quartiere, capace di offrire un’esperienza di acquisto quotidiana, “sotto casa”. Uno spazio di 30 metri quadrati pensato per portare le specialità prodotte negli storici laboratori di Via Spadari 9 più vicine agli abitanti della zona. Un concetto di qualità a portata di mano che consiste non solo nell’attenta selezione di prodotti, ma che offre anche l’esperienza e il servizio del personale di Peck. Quella capacità di sviluppare un rapporto di conoscenza diretta del cliente, di assistenza all’acquisto, di consulenza sulla selezione e gestione dei cibi. A questo si accompagna la tavola calda con i must Peck (lasagne, parmigiana, arancini, cotolette…) e una ricca varietà di proposte stagionali.

Acqua Minerale San Benedetto presenta Amor Mio, la novità ideata in esclusiva per il mondo Horeca, disponibile in due varianti originali, Mandarin Orange e Lemon. Il risultato è un gusto unico, caratterizzato dalla purezza dell’acqua minerale naturale, dalla brillante effervescenza delle bollicine unita alla vellutata morbidezza degli agrumi italiani: ingredienti lavorati da San Benedetto in una ricetta di armoniosa freschezza, senza conservanti e a ridotto apporto calorico, ovvero con il 30% di calorie in meno rispetto agli altri prodotti sul mercato. La personalità di Amor Mio si esprime già a prima vista attraverso il colore del packaging, che comunica gioia e ricercatezza al tempo stesso. È costituito da una preziosa bottiglia in vetro nel formato da 0,25 l.

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News La linea Tassoni Fiori & Frutti diventa Bio Cedral Tassoni novità 2019: Fior di Sambuco, Mirto in Fiore e Pescamara, gli inimitabili soft drink con aromi naturali della linea Fiori & Frutti Tassoni, sono ora in versione biologica. La linea Bio, nata per rispondere alle nuove tendenze del mercato, che richiede sempre più bibite naturali, è un’assoluta novità Tassoni. L’altissima qualità è garantita dall’accurata selezione dei fornitori e dal controllo costante e puntuale della filiera produttiva, dall’acquisto delle materie prime fino al prodotto finito, a garanzia di qualità dell’intero ciclo di vita del prodotto. Disponibile dal giugno 2019, la linea Fiori & Frutti Bio andrà a sostituire gradualmente la linea attualmente in vendita nei canali Gdo e Horeca. Sarà sia in formato singola bottiglia sia in confezione da 4 bottiglie di vetro per proteggere la qualità delle bibite e rispettare l’ambiente. Tutti i soft drink possono essere gustati lisci o miscelati per cocktail freschi e particolari: Mirto Cocktail Tassoni con Grappa Bianca, Sambuco Cocktail Tassoni con Vodka e Cocktail Pescamara Spritz con Prosecco, consigliati sempre con l’aggiunta di ghiaccio.

Il Miglior Bartender d’Italia 2019 è Salvatore Scamardella Salvatore Scamardella è stato proclamato Miglior Bartender d’Italia alla finale nazionale del Diageo Reserve World Class 2019, la prestigiosa e acclamata competizione internazionale istituita da Diageo Reserve che celebra l’arte della mixology e che mette in scena il più grande, aspirazionale e autorevole palcoscenico del settore dei luxury spirits, mediante la ricerca e la selezione dell’élite dei bartender di più di 50 paesi nel mondo. La finale nazionale, tenutasi quest’anno alle Officine Riunite di Milano, ha visto sfidarsi gli 8 migliori bartender provenienti da tutta Italia selezionati dagli esperti Diageo dopo Salvatore Scamardella accurate ricerche e training. I bartender si sono confrontati con i prodotti Reserve, una gamma di spirit e distillati del portfolio luxury di Diageo che comprende il gin Tanqueray No. TEN, il whisky single malt Talisker, Bulleit Bourbon, la vodka Ketel One, il rum Zacapa e il tequila Casamigos. Salvatore ha battuto gli altri bartender superando brillantemente prove di creatività e tecnica che hanno messo in luce tutto il suo savoir-faire e abilità dietro al bancone. Conquistata la giuria con la sua abilità e padronanza della situazione, Salvatore è pronto ora per volare a Glasgow dal 21 al 26 settembre per la finale globale di World Class, dove rappresenterà l’Italia, e contendersi il titolo di Bartender of the Year 2019 con altrettanto professionisti del settore da tutto il mondo.

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La Cimbali: nasce M100 Attiva Elevate performance e costante qualità in tazza, grande semplicità di utilizzo e massima possibilità di personalizzazione. E’ ciò che consente al barista M100 Attiva, il nuovo modello La Cimbali presentato in anteprima mondiale al World of Coffee 2019, dal 6 all’8 giugno a Berlino. Disegnata da Valerio Cometti, “firma” di altri modelli di successo dello storico brand di Gruppo Cimbali vincitori di prestigiosi riconoscimenti internazionali, M100 Attiva è l’unico modello sul mercato a offrire, nelle sue diverse versioni, tre soluzioni termiche differenti (versioni HDA, GTA, TDA), esaltando gli aromi e i sapori delle bevande preparate, attraverso la gestione dei valori di pressione e di temperatura dell’acqua. Il risultato è un menù ampio e variegato che comprende, accanto al tradizionale espresso e a tutte le cosiddette “EBB” (Espresso Based Beverage) come cappuccino o caffè latte, anche preparazioni “lunghe” come il french coffee, il Cafè Crème e il double and triple shot. La semplicità di utilizzo è assicurata da una nuova interfaccia, con la possibilità di scegliere tra un sistema completamente touch di ultima generazione o una pulsantiera elettromeccanica – a tre o sei tasti – con display Oled sul quale si possono visualizzare le informazioni più importanti dell’erogazione.


Mio Lab, rivoluzione per l’aperitivo A un anno esatto dalla sua inaugurazione, il Mio Lab (miobar@hyatt.com) presenta la sua nuova drink list, nata dall’incontro tra l’estro del mixologist Oscar Quagliarini e l’expertise dei barman del Park Hyatt Milano, capitanati dal Bar Manager Alessandro Iacobucci Vitoni. Il cocktail bar ha riaperto a giugno il suo caratteristico dehors affacciato sulla suggestiva Galleria Vittorio Emanuele II e offrendo una nuova carta dalla duplice anima: alla nuova seconda iconica edizione di tarocchi seguono i cocktail intramontabili del Mio Lab. Già la scorsa estate la drink list del Mio Lab si era tramutata in un mazzo di carte da interrogare, dedicata ai 12 arcani maggiori, interpretati nei disegni del fumettista Sergio Gerasi, che ha mescolato l’iconografia tradizionale dei tarocchi con indizi che rimandano alla storia e agli ingredienti dei cocktail. E se questa prima edizione era stata caratterizzata da cocktail dal sapore deciso, da degustare nel momento dell’after dinner, la seconda edizione vede selezionati altri 7 arcani abbinati a cocktail questa volta più leggeri e beverini, perfetti per il momento dell’aperitivo. Queste alcune delle nuove ricette: Le Stelle -Tequila bianca, triple sec aromatizzato al Vetiver, lavanda, acqua di fiori d’arancio e succo di lime; Il Sole - Gin allo zafferano, pomodoro giallo Maida, succo di lime, tintura di Yuzu e berberè; Il Diavolo - Gin alle noci, top con velluto di vermouth rosso con gocce di bitter homemade al cioccolato, peperoncino, caffè, e Mio Lab bitter. La seconda edizione dei tarocchi segna anche la nascita di un bitter creato dal laboratorio Le Garagiste di Oscar Quagliarini e Romano Bonacorsi, in esclusiva per Park Hyatt Milano: un bitter meno amaricante a basso contenuto di genziana, per sottolineare le note agrumate di arance e pompelmo giallo e rosa. E poi i famosi Bloody Mary, di cui troviamo una ristretta selezione, esemplificativa delle numerose varianti che i barman possono realizzare. A rendere unici i Bloody Mary dei Mio Lab, la passata di pomodoro bio, rossa e gialla, e le spezie “Essendo nativo dell’Etiopia, sono un amante delle spezie e quindi ho arricchito la nostra collezione di Bloody Mary di erbe aromatiche. Abbiamo una selezione di 20 pepi e sali differenti, così che possiamo chiedere all’ospite che siede al banco di scegliere il pepe e il sale che preferisce”. (Alessandro Iacobucci Vitoni). Produzione di un bitter esclusivo, maniacale selezione di materie prime e recupero dell’antica tradizione milanese dei tarocchi: sono i piccoli accorgimenti a fare grandi i cocktail del Park Hyatt Milano. La formula estiva dell’aperitivo del Mio Lab mixa grandi cocktail e tapas curate dallo Chef bi-stellato Andrea Aprea, il tutto amalgamato dalle note del resident Dj Nelson Tordera, che per tutta l’estate, dal lunedì al sabato, shakererà il Salotto più esclusivo di Milano.

Apre Staj, il primo Noodle Bar di Napoli Apre Staj, il primo noodle bar di Napoli. In via Bisignano, a Chiaia, nel cuore elegante della città, questo piccolo ristorante dal design semplice e minimale, aperto a pranzo e cena, propone una carta di piatti di tradizione asiatica e comfort food di ispirazione internazionale. Al centro dell’offerta ci sono i noodle: tra i piatti più identitari della cucina orientale, serviti in brodo (ramen) o saltati nel wok; ma anche i bao, i panini morbidi cotti al vapore farciti di carne, pesce e verdure, tipico cibo di strada taiwanese. Oltre ai ramen la carta di Staj propone i noodle saltati in padella al wok (stir fry), con verdure carne o pesce e altri piatti asiatici come i gyoza e dumplings (ravioli), il pollo fritto, un’ampia varietà di bao sia salati sia dolci. Un packaging studiato consente infine un pratico takeaway e un affidabile delivery service. In cucina c’è Lucio Paciello, napoletano, classe 1985 e formazione internazionale: già sous chef e pastry chef di Lino Scarallo a Palazzo Petrucci, poi chef a Classico Ristorante Italiano, in Staj mette tutte le sue esperienze accumulate in giro per il mondo, dal Giappone all’Australia passando per la Cina. I noodle di Staj vengono lavorati a mano dallo chef tutti i giorni con farine di grano tenero locali e con farine di riso.

Molino Dallagiovanna porta le eccellenze della pizza da New York a Napoli Nel 2017 l’Unesco ha dichiarato l’arte del pizzaiolo napoletano come patrimonio immateriale dell’umanità, e questa nomina ha confermato il successo di un prodotto semplice in cui l’ingrediente principale è la farina. Per questo motivo Molino Dallagiovanna ha studiato le farine perfette per ottenere la vera pizza, sia napoletana sia romana. Con queste farine Molino Dallagiovanna si è presentato agli appuntamenti più importanti del periodo: il Summer Fancy Food Festival di New York che si è concluso il 25 giugno, l’evento dedicato al food più importante del Nord America che proponeva le associazioni alimentari del mondo a buyers internazionali, dove era presente il Maestro pizzaiolo Pino Arletto. Dall’8 al 10 luglio, invece, Molino Dallagiovanna era a Napoli alle Olimpiadi della Pizza, un concorso internazionale, che ha visto come protagonista la Vera Pizza a cui hanno partecipato pizzaioli provenienti da tutto il mondo. I concorrenti hanno potuto destreggiarsi non solo con Margherita e Marinara, ma anche con altri tipi di pizza, utilizzando ingredienti a propria scelta, purché non in contrasto con le regole della gastronomia partenopea. A queste si è aggiunta una categoria speciale per gli «Under 35» a cui ha partecipato Lorenzo Sirabella, sostenuto dal Molino Dallagiovanna.

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HANNO GIÃ ADERITO LE SEGUENTI AZIENDE:


L’opinione

Ristoranti e gastronomie, cresce la corrispondenza di Stefano Bonini

Botteghe gastronomiche e ristoranti è un’accoppiata vincente che si sta sempre più espandendo nel fuori casa Ristorante e bottega, un’accoppiata che evoca le trattorie di paese di una volta, che di fianco alla cassa vendevano marmellate e sughi pronti, salumi e pasta e magari esponevano anche l’insegna della tabaccheria. Oggi questa formula si sta riproponendo in versione 3.0 con botteghe enogastronomiche che affiancano alla vendita di specialità del territorio e prodotti di nicchia, un’offerta ristorativa di alta qualità dove mangiare piatti firmati dallo chef-bottegaio. In un momento di grande fervore per il settore del food & wine sono le nuove botteghe del gusto a darsi arie da ristorante o i ristoranti a nascondersi dietro le gastronomie? Diciamo entrambe le cose, ecumenicamente si tratta di una nuova tendenza food, piuttosto smart che sembrerebbe fare il verso alle épicerie-bistrot d’Oltralpe. Ecco crescere dunque “ristonomie e gastroranti”, esaltazione della cosiddetta filiera corta, virtuoso processo per cui tra produttore e consumatore si inframezzano momenti intermedi distorsivi soprattutto dei prezzi di acquisto finale. In questi casi la bottega gastronomica, da “semplice” vetrina si trasforma in vero e proprio atelier del gusto dove i prodotti proposti in vendita al bancone o tra gli scaffali vengono cucinati a prezzi intelligenti per un immediato e confortevole consumo ai tavoli. Salumi selezionatissimi, sottoli fatti in

casa, diverse stagionature delle carni e grandi formaggi, pani rigorosamente fatti con lievito madre, proposte ittiche freschissime e tavoli accanto agli scaffali oppure di fronte al banco frigo. E’ così che si crea quella corrispondenza di amorosi sensi tra materie prime di eccellenza, grandi produzioni artigianali e ristorazione di qualità, smart e informale. Il format è in netta crescita nelle grandi città come in provincia, cambiano solo le declinazioni, giustamente adattate al mercato locale. Un esempio molto pop è quello dei mercati gastronomici (Mercato di San Lorenzo a Firenze, Mercato Centrale di Roma e Torino, Mercato delle Erbe a Bologna, ma anche lo storico Albinelli di Modena) che abbinano i banchi di produzione a quelli di consumo e dilatano gli orari per accogliere tanto la clientela che vuole solo fare la spesa quanto il pubblico interessato a pranzare o cenare. Ma i casi più interessanti e sfiziosi sono le proposte nate in seno a botteghe di consolidata esperienza che, per chiudere il cerchio, hanno intrapreso la strada della somministrazione per offrire un’esperienza a 360 gradi ai propri clienti e, non secondario, far quadrare i conti. Damini Macelleria e Affini ad Arzignano, Roscioli a Roma, Peck a Milano, Ingredienti degli Alajmo a Rubano, sono i casi più significativi di questo con-

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cept gastronomico-ristorativo che offre ai propri clienti la possibilità di godere di una proposta sì limitata ma trasparente e visibile, consapevole che per quelle pietanze paga meno di quanto pagherebbe in un ristorante vero e proprio. Le parole chiave sono artigianalità, sempIicità e consapevolezza, un mix che produce un’offerta innovativa che interpreta il crescente bisogno di genuinità e informalità che i consumatori contemporanei ricercano. Tra macellai e pescivendoli che fanno un passo avanti verso la ristorazione e chef e ristoratori che fanno un passo di lato verso la bottega e il piccolo negozio di vicinato, il panorama del “fuori casa” continua ad ampliarsi e arricchirsi dimostrandosi vivo e dinamico.•



Bar

Tenda Bar di Lignano: 25 anni di successi Questo locale, aperto da un quarto di secolo, è uno dei più storici della riviera friulana. In piena stagione, solo nella serata di sabato, è in grado di attirare 3mila persone

“Siamo aperti da marzo a settembre – dice uno dei 4 soci del Tenda Bar, Paolo Bartolini – iniziando con i soli week end nei mesi di marzo e aprile e proseguendo poi con un’apertura a pieno ritmo, 7 su 7, negli altri mesi della bella stagione”. “Partiamo alla mattina con la colazione – prosegue Bartolini – per poi passare al momento del pranzo, continuare con l’aperitivo e il dopocena. Insomma, posso dire che nella stagione estiva non abbiamo un attimo di pausa, per fortuna!”. Un locale ben gestito e in grado, soprattutto, di fare grandi numeri… “I soci, come detto, sono quattro: Alberto (padre) e Federico (figlio) Bornacin, Raffaele Antonaz e io. Abbiamo una terrazza, con servizio al tavolo, con 450 posti a sedere. Nel pieno della stagione, lavorano nel nostro staff una trentina di persone. Di questi, una decina sono con noi da diversi anni e costituiscono una base di figure di riferimento, da cui tutti gli altri prendono esempio”. “Abbiamo parecchie serate

evento – continua Bartolini – e ogni week end è dedicato a iniziative a tema. Tanta, poi, la musica che proponiamo, di tutti i generi e in svariati modi per soddisfare ogni tipo di richiesta. Senza dimenticare che al centro del locale c’è il Chiringuito che fa i cocktail. Inoltre, accanto al Tenda Bar c’è il Lele’s Chiosco, dove si possono gustare delle birre fresche alla spina, con un’atmosfera molto informale. Solo nella serata di sabato, in piena stagione, riusciamo ad arrivare a un’affluenza di circa 3mila clienti, giusto per dare una dimensione di grandezza!”. Ovviamente per fare questi numeri e

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garantire la clientela sulla qualità e la varietà di quello che servite da bere, ci vogliono dei partner affidabili. “Certamente – conclude Paolo Bartolini – ed è proprio per questo che, da subito, ci siamo affidati per tutto quanto riguarda il mondo del beverage a Partesa Tessaro, che opera in Lignano Sabbiadoro, oltre che, con più depositi, su tutto il territorio regionale. Si tratta di un partner serio e affidabile a cui poter fare riferimento in ogni momento e per qualsiasi occasione. Il nostro successo venticinquennale è, sicuramente, dovuto anche a loro. Provare per credere”. •



Bar

Lisbona, la mixology rilancia i consumi di Gualtiero Spotti

L’affascinante vista dalla terrazza del Gastrobar

La bartender Flavi Andrade e il Gastrobar di João Rodrigues a Lisbona: una meta eccellente da visitare per provare cocktail originali Lisbona, e non è una novità, è una città che ormai da tempo è sulla cresta dell’onda. Meta turistica sicuramente tra le più affascinanti in Europa e, da qualche tempo a questa parte, diventata perfino una destinazione tenuta sotto osservazione anche da foodies e appassionati di cucina. Una escalation convincente e supportata da una generazione rampante di nuovi cuochi e da un sottobosco di materia prima di qualità che aiuta non poco, compresi i vini, da riscoprire anche uscendo dalla capitale lusitana. E se ne sono accorti anche cuochi da esportazione come Nuno Mendes, che rientra in patria occupandosi della ristorazione rinnovata del Barrio Alto Hotel o il pluristellato iberico Martin Berasategui, che proprio a Lisbona ha aperto uno dei locali a sua firma, il Fifty Seconds. Detto questo, in una scena capace di offrire novità a ripetizione, quella forse più appetibile e divertente dell’anno rimane, a oggi, l’apertura del Gastrobar Rossio, ospitato sul rooftop dell’albergo Altis Avenida Palace, in pieno centro cittadino. Chiuso qualche mese fa il ristorante Rossio che, con vista su Avenida da Liberdade, offriva i pasti del bravo e solido chef João Correia, la ristorazione si è spostata di qualche metro sull’altro versante del tetto, quello con il panorama più appetibile e rivolto verso la piazza di Rossio e il fiume Tago. Qui, da

un paio di mesi a questa parte ha inaugurato un vivace e spettacolare Gastrobar in stile Art Decò (mantenendo così le linee architettoniche del modernista Cristino Da Silva, che ha realizzato l’intero edificio) con una terrazza aperta e la cucina delle due principali firme dell’universo Altis, il già citato João Correia e quel João Rodrigues, titolare della cucina del ristorante stellato Feitoria a Belem, che firma a quattro mani il nuovo menù. L’approccio è, chiaramente, quello di una cucina e di un ambiente più easy e informale, pur con lo stile e l’eleganza della casa che da sempre punta molto sulla ristorazione. I piatti stuzzicano l’appetito e sono centrati sulla rappresentazione di prodotti gastronomici reinventati in chiave bistronomica, perfetti da accom-

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Al centro Flavi Andrade e il suo team

pagnare con l’aperitivo e per cene agili. Uno stile se vogliamo un po’ lounge visto che a rendere più avvincente la proposta ci pensa anche Flavi Andrade, quarantunenne iperattiva e creativa miscelatrice brasiliana che, ormai da più di dieci anni in Europa, nel 2015 si è anche aggiudicata il titolo di miglior donna bartender del Portogallo e sa bene come mantenere alta l’attenzione quando si tratta di approcciare una carta dei cocktail. Il suo percorso professionale l’ha portata prima in Spagna, a Siviglia e Barcellona (qui occupandosi della cocktaileria del ristorante Fogo, del cuoco brasiliano João Alcantara), e negli ultimi quattro anni, in Algarve, in Portogallo, al bar Guarita Terrace. Oggi arriva a Lisbona per far ballare i suoi shaker al Gastrobar (oltretutto lavorando con il suo compagno Gui Lacerda, bartender carioca che divide con lei la postazione dietro il banco), grazie una selezione che in qualche modo rivela bene le sue origini sudamericane (ispirazioni creole, esotiche, con ananas e cocco, e suggestioni asiatiche), ma che sa rendersi curiosamente glocal grazie all’utilizzo delle birre (si, nei

Lo chef João Rodrigues

cocktail) di Dois Corvos, sempre a Lisbona, o nella versatilità che la spinge a scegliere un Pisco peruviano, oggi molto di moda qui sulle rive del Tago. Vale la pena sedersi in terrazza per sorseggiare, ad esempio, un Peach, con Brandy Isabel Regina, Calvados Daron, uno sparkling alla pesca e cioccolato, oppure l’aromatico Basil, che mette in fila Tequila Blue Agave aromatizzata con basilico, St. Germain, Luxardo e Chartreuse verde. In un panorama, quello dei tetti di Lisbona, che negli ultimi tempi si è vivacizzato con altre proposte sparse nei diversi quartieri del centro, quello del Gastrobar rimane il più riuscito e spettacolare, per la felice posizione che abbraccia l’intero orizzonte, ma soprattutto per l’intera proposta, perfetta in ogni aspetto. La cucina del duo Rodrigues/Correia funziona perché unisce tocchi di classe fine dining più concettuali a gusto e sapori ri-

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conoscibili e in grado di soddisfare una clientela variegata (da provare le finte ciliegie al foie gras con brioche tostata o la Ceasar Salad di pollo con formaggio Sao Jorge delle Azzorre, stagionato 30 mesi), mentre i cocktail portano con la mente verso spiagge esotiche e a momenti di svago e libertà vacanziera. Che alla fine sono sensazioni facili da incontrare in una città come Lisbona, forse la meno europea per stile di vita e con un clima mite che avvolge abitanti e turisti in un piacevole limbo climatico per buona parte dell’anno. Per vivere alcune di queste sensazioni basta salire al settimo piano del Gastrobar (oggi poi l’ingresso è stato slegato da quello dell’albergo) e sedersi su una delle comode poltrone in terrazza. Sotto di voi si spalanca la grande piazza Dom Pedro IV e in lontananza si stagliano le mura severe del Castello di Sao Jorge. www.rossiogastrobar.com •


Bar

Quando il drink è Spiritual di Nadia Afragola

Una nuova start up torinese creata da giovani professionisti che propongono linee di distillati e ingredienti per cocktail Sono delle vere e proprie alchimie quelle di cui parliamo entrando nel mondo di The Spiritual Machine. Ma dove siamo? Di cosa si occupano? Qual è la novità? Chi c’è dietro? Sul mercato si è visto ormai tutto e il contrario di tutto, eppure questi ragazzi, con la loro start up, nata nel polo dell’innovazione torinese Ex Incet, a gennaio 2018, qualcosa di nuovo ce lo hanno fatto intravedere. Il loro è un progetto di rottura degli schemi, sia in ambito beverage sia in ambito food, partono dalle botaniche, cercano equilibri che puoi raggiungere solo dosando attentamente le note aromatiche e le tecniche di lavorazione e arrivano a delle tinture e dei distillati che sono naturali al 100% e che possono essere utilizzati da chiunque per creare lo spirito più vicino ai propri gusti. Parliamo di linee personalizzate di Gin, Vermouth, Bitter, Amari e New Spirits, parliamo di un estro da assecondare per aggiungere autenticità a ciò che finirà per essere il protagonista delle vostre serate. Tre sono le linee distinte, presentate al momento e concepite per poter essere miscelate anche fra di loro per dare vita a Spiriti di nuova concezione, senza dimenticare che tanti sono gli chef che hanno deciso di utilizzarle per dare un tocco unico ai loro piatti. Linea Distillati. Distillati di cereali e diversi blend di botaniche: per ogni spezia viene utilizzata la metodologia di distillazione più idonea a conservarne

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Giulia Bosis

Elisa Cravero

il profilo aromatico. I distillati sono dei concentrati di sapore grazie ai quali bastano pochi ml per dare una netta direzione aromatica alla propria ricetta. Linea Tinture. Spezie macerate secondo tempi e concentrazioni percentuali diverse a seconda del tipo di botanica. Ciò che si ottiene è una tintura perfettamente bilanciata e pronta per essere miscelata. Linea Amari. Partendo da una soluzione di alcol acqua e zucchero e aggiungendo le 4 basi, più le tinture a piacere è possibile ottenere degli amari che assecondano ogni gusto.

E poi? Poi fa capolino l’idea che li ha fatti arrivare al grande pubblico, che aggiunge un tocco ludico al tempo speso con gli amici e i familiari. Arriva la linea “Crea il tuo aperitivo” che rende il drink non solo un’esperienza da bere, ma un momento da vivere, pensata apposta per gli amanti del cocktail fatto in casa: nascono così le Selezioni Red, White e OriGin. Tre selezioni di prodotti con i quali creare l’aperitivo che più vi si addice: Gin & Tonic, Spritz, Negroni e tanto altro. Anche in questo caso parliamo di essenze 100% naturali, versatili e che vi permetteranno di cimentarvi nella professione del bartender… anche solo per un giorno. Dietro ogni miscela, tentativo andato a buon fine, cantina visitata, idea messa a punto c’è Elisa Cravero, lei sta dietro la logistica, a volte oltre la logica: qualsiasi cosa deve succedere, lei la farà succedere. CEO spirituale, risoluta e carica di energia; Matteo Fornaca, un visionario di polso: ama sentire proprie le cose che fa, il suo tocco è ovunque e sempre ben riconoscibile; Matteo Dispenza, uomo di mondo che connette persone, mercati, idee. Metti un seme nella sua testa e aspetta: nel giro di poco si vedrà crescere una bellissima pianta e per finire Giulia Bosis, una che rompe gli schemi, e spesso si ritrova a essere contro tutto e tutti, la sua missione spirituale è trovare un

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equilibrio dove inizialmente non c’è. Insieme sono partiti da un vino, una vodka, la loro base Gin o un analcolico, hanno abbinato le botaniche, le tinture e i distillati. Hanno sperimentato sapori, e iniziato a fare cultura, in qualche modo, intorno al mondo della liquoristica, non più solo italiana. Scegliendo la selezione OriGin intraprenderete un viaggio tra i sapori di Asia, Africa e Latin America che accompagnano Juniper Essence, il Gin balsamico e rotondo che combinato con le Origini sarà il compagno ideale per una serata a base di Gin&Tonic. Provare per credere! •


Cover Story

Inkiostro, la cucina di Terry Sapienza e follia

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di Gualtiero Spotti Servizio fotografico a cura di Stefano Borghesi

Spirito errante e innovativo, lo chef friulano approdato da anni a Parma, non smette di stupire per la sua carica di totale eccentricità e ricerca assoluta sulla materia. Carattere ben evidenziato dai menù in perenne evoluzione E’ difficile immaginare in Italia un ristorante più sorprendente e innovativo dell’Inkiostro (www.ristoranteinkiostro.it) di Parma. Sin dalla sua apertura, qualche anno fa, ha saputo subito mettere in evidenza le doti e le qualità migliori di Terry Giacomello, cuoco originario di Pordenone, ma dall’animo errante. Solo oggi ha saputo mettere radici in Emilia, in combutta con la famiglia Poli che da

Terry Giacomello

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Cover Story queste parti gestisce un hotel, ma prima, per lunghi anni, ha girovagato per mezzo mondo spinto da una curiosità e una passione che non hanno pari, frequentando i migliori nomi della cucina internazionale. Da Renè Redzepi a Ferran Adrià, solo per citarne due dei più altisonanti, perché in realtà la lista è davvero lunga e se dovessimo mettere in fila i curriculum dei cuochi italiani probabilmente non ne troveremmo altri di così completi e intriganti. La spinta iniziale è venuta con l’amore per la cucina spagnola e per

l’ondata tecnoemozionale di El Bulli, ma poi è arrivato il resto, con la crescita professionale personale, l’osservazione di nuovi orizzonti gastronomici, la continua sperimentazione e la ricerca di ostacoli da superare senza paraocchi mentali. Perché Terry Giacomello è uno che non si accontenta mai e lo dimostrano i menù sfornati in queste stagioni, così come quello che dal mese di luglio e per circa un anno caratterizzerà la proposta più intrigante e personale di Inkiostro. Sia ben chiaro, solo il menù più impegnativo sulla distanza di diciannove portate resterà invariato, perché alla carta, invece, ci saranno sempre piatti diversi, dettati dal ritmo delle stagioni. Ma vediamo quali sono le sorprese del nuovo percorso degustativo. Che iniziano sin dal primo piatto curiosamente chiamato E Lo So Fa Gola, in una storpiatura linguistica che cela l’esofago di gallina fritto con paprika dolce e formaggio Asino, originario del Friuli Venezia Giulia, e prosegue con Mummia, ovvero la zampa di gallina, sempre fritta, con salsa barbecue e alga Tororo, un kombu essiccato al sole e messo in ammollo nell’aceto di riso. Con il successivo A-Natto si passa alla fermen-

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tazione dei fagioli di soia, ovvero il Nattò giapponese, che però qui viene rivisitato utilizzando l’Annatto, ovvero l’estratto di una pianta amazzonica, la bixa orellana, e “finito” con semi di lino e Parmigiano stagionato 48 mesi. Ed è un piatto che ad ogni boccone ci accompagna in giro per il Mondo, ritornando a casa. Stessa logica che anima il Kombu Parma, un piatto ispirato dalla Kombucha (un tè fermentato) utilizzando però in questo caso il succo di melone. Ma poi ci sono anche il brodo di culatello (del Podere Cadassa di Colorno) e il pepe Sancho in salamoia. La sequenza di piatti è una continua giravolta di sensazioni olfattive e gustative che mantiene uno stretto

legame con il territorio parmense ma anche nazionale, come dice il successivo Canapé di Coniglio (il Grigio di Carmagnola, eccellenza piemontese) che mescola le carte proponendo la purea di fegato, il cervello fritto, il lime grattato e il gel di vermouth, cui si aggiunge il Papalo, una pianta del Sud America. Freschezze e sapidità, gusto e tradizione, ma anche equilibrio nel sapore e distinzione dei singoli ingredienti, che non è cosa da poco. Il piatto sicuramente più spiazzante e controverso è però l’Insalata Folle, che come dice bene il nome a differenza delle diverse insalate proposte negli anni da molti titolati cuochi nostrani si spinge oltre e unisce in un sol colpo erbe e germogli di provenienza internazionale. Così troviamo l’erba pappagallina, l’unghia di gatto amazzonica, il cappero di tarassaco, il cactus, la foglia di begonia, la Reynutria Japonica e l’erba camaleontica e il lampone artico, tra gli altri. In tutto diciassette diversi elementi, tra i quali spicca il Sechuan Botton, proveniente dall’Amazzonia, quello che risulterà responsabile del vostro senso di intorpidimento anestetizzante del palato. Ma non c’è da preoccuparsi, è solo uno dei sorprendenti effetti e delle suggestioni di un lungo menù del quale vale la pena accennare ancora solo alcuni piatti. Magari muovendo dalle parti dei dessert, con il Mochi – Madre (il Mochi è un dolce tradizionale nipponico costituito da pasta di riso glutinoso, tritato e pestato ad ottenere una pasta bianca, morbida ed appiccicosa che viene poi foggiata in una tipica forma tondeggiante), qui reinventato con semi di acacia e un ripieno di spuma di lievito madre, e l’ormai già celebre Limone Dimenticato, che visivamente impressiona per le sue muffe, ma è totalmente commestibile. Anzi, ben rappresenta l’approccio di Giacomello alla cucina, che da queste parti è quasi sempre stupore e qualcosa

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di sorprendente e inaspettato, un po’ come accade quando si assiste per la prima volta a un gioco di prestigio ben riuscito. Il limone utilizzato è uno zagara della Costiera Amalfitana che viene cotto nello zucchero e successivamente spennellato nel latte e con Penicillium Roqueforti, una muffa alimentare che i più attenti e gli appassionati di materia casearia riconosceranno nel procedimento che porta a realizzare il celebre formaggio erborinato Roquefort. Il limone, attaccato dalle muffe riposa poi per 6 giorni a 22 gradi, ed è ripieno di pelle di limone bruciata e meringa all’italiana. Infine non si può non citare il piatto che chiude il cerchio del menù, ed è chiamato TERRYediBILE, perché si mangia l’immagine del cuoco preparata su una pasta di zucchero e aceto, con pera, frutto della passione, cocco e ganache di cioccolato. Insomma, se qualcosa non ha soddisfatto il vostro palato, ma ne dubitiamo, potete sempre sbranare il cuoco di casa in versione dessert… •


Protagonisti

Fiola at Dopolavoro Trabocchi Revolution di Alberto P. Schieppati

L’ingresso del JW Marriott, cinque stelle lusso all’Isola delle Rose, Venezia

Lo chef-imprenditore di origine marchigiana, che ha creato concept di grande successo negli Usa, approda al JW Marriott di Venezia, all’Isola delle Rose. Con il suo talento e la sua raffinatezza, porta in Italia la sua audace e collaudata esperienza Fabio Trabocchi non è uno chef qualunque. Bravo, talentuoso, creativo. Grande selezionatore di ingredienti e materie prime, sensibile ed attento nelle esecuzioni, fortemente orientato (ma non condizionato) all’estetica del piatto, conoscitore di tendenze e di mercati. Ma, soprattutto, imprenditore. In Italia non siamo abituati, a parte alcune eccezioni importanti, a imbatterci in chef-imprenditori, strateghi acuminati nonché creatori di brand di successo, oltre che abilissimi e fantastici cucinieri. Fabio Trabocchi, chef atipico, è oggi riconosciuto fra i ristoratori leader nel mondo. E non è un caso. Marchigiano, originario di Osimo (An), da dove è partito per costruire la sua carriera in ambito internazionale, ha toccato con mano le location più significative del mercato globale della ristorazione: Londra, dal 1997 al 2000 (Floriana in Knightsbridge e altro), Washington, dal 2000 al 2007 (Ritz Carlton e altri locali top level), New York, dal 2007 al 2010 (Fiamma, una stella Michelin). E ancora Washington, da Bice, nel 2011/12.

Il ristorante Fiola at Dopolavoro è in una palazzina autonoma dall’hotel, immersa fra gli ulivi

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Ma è con la creazione del concept di Sfoglina, una catena di successo di ristoranti gourmet (a Washington, Miami, e presto in Virginia), espressione della migliore tradizione culinaria italiana, e della catena Del Mar (ristorazione ispanica, ispirata dalla moglie e socia Maria Font) ,che Fabio rafforza e calibra magistralmente le sue esperienze, operando in un contesto competitivo complesso e spietato come quello del bacino delle grandi metropoli


Lo chef Fabio Trabocchi

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Protagonisti Michael Cusumano, il talentuoso sous chef, braccio destro di Fabio Trabocchi

Tartare di ricciola, caviale Calvisius, limone amalfitano e salsa alla burrata

Calamari al nero di seppia e crema di tartufo, carciofi di Sant’Erasmo polenta bianca e spuma al Parmigiano

Giorgio Cassano, barman e mixologist del Fiola Bloom Bar: aperitivi e drink memorabili

statunitensi. Non è un caso, quindi, se una catena alberghiera dell’importanza di Marriott (JW Marriott, per l’esattezza) lo ha voluto qui, a Venezia, sull’Isola delle Rose, nell’incanto della Laguna. Per portare la sua esperienza e il suo know how nella città più bella del mondo. Per mettere la sua professionalità al servizio di una location luxury di altissimo livello. Per abbinare il repertorio culinario italiano alle esigenze della clientela internazionale. Per fare la differenza, quella differenza necessaria, fra una ristorazione di buon livello e un’impresa di ospitalità in cui equilibrio, savoir faire ed esperienza siano il vero valore aggiunto.

Lo staff del Fiola: da sinistra Cassano, Celeghin, lo chef Trabocchi e Giuseppe Perrotta, restaurant manager

La presenza di Fabio Trabocchi, 38 anni, all’interno del Fiola at Dopolavoro –un nome suggestivo, che si ispira al vezzeggiativo che nella sua regione, le Marche, identifica la “figliola”, così definita dai genitori-, ha un significato preciso: comunicare la passione dello chef per l’arte culinaria e l’accoglienza di livello elevato. Due sculture all’ingresso del ristorante,

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dell’artista Giancarlo Franco Tramontin, simboleggiano questo concetto di “declinazione artistica della femminilità”. Il menù di Fabio, che si avvale di un sous chef di grande esperienza, Michael Cusumano, e di un restaurant manager di alta professionalità, Giuseppe Perrotta, si fonda sulle autentiche tradizioni italiane e veneziane. Ogni piatto esprime


Al Bloom Bar, erbe e golosità

Il bar del Fiola at Dopolavoro, propone una inedita lista di drink e cocktail la cui base è composta dalle erbe officinali e dalle piante spontanee che crescono negli orti dell’isola. Una sorta di km zero concreto, nel quale sono protagoniste le materie prime locali abbinate all’estro e alla maestria di un grande bartender, Giorgio Cassano, talentuoso e appassionato. Qualche esempio dalla lista: Orto75, una reinterpretazione del French75, con un tocco di basilico e menta, che ingentiliscono gli ingredienti principali, Bombay Sapphire, Lime e Prosecco. O il Venetian Boulevard, a base di Knob Creek Bourbon, Aperol, infuso al rosmarino, Vermouth Cocchi Torino; o lo Spritz At Fiola, l’interpretazione di un classico veneziano, a base di Sky Vodka, Spremuta di pompelmo, Bitter, St. Germain e Prosecco. Straordinario il momento dell’aperitivo che, in perfetto stile americano, consente agli ospiti del Fiola di Fabio Trabocchi di scegliere dal menù la sequenza della propria cena. Per ingannare l’attesa, il bar propone una lista di appetizer straordinari, per gusto e eleganza: Gnocco fritto emiliano, Baccalà mantecato e polenta bianca fritta, Prosciutto d’oca affumicato, Pane con acciughe del Cantabrico e burrata, Ostriche fine de claire al limone amalfitano, Fritto veneziano calamari e mazzancolle.

la passione di Fabio e della sua brigata per ingredienti lagunari di prima scelta, supportati egregiamente dagli aromi di erbe e verdure provenienti dall’orto lì accanto, a pochi metri dalla cucina. Il Raviolo all’astice, vero piatto signature, la cui modernità è sempre attuale (nonostante il piatto sia stato concepito nel 1997) fino agli asparagi bianchi di Bassano, cotti e crudi, che esprimono amore estremo per la stagionalità. “Vi invito a scegliere i piatti che stuzzicano maggiormente la vostra curiosità, dice Fabio Trabocchi alla sua clientela, oppure lasciatevi guidare dal nostro personale di sala, che vi guiderà al meglio nel vostro percorso”. Michael Cusumano, chef resident, Giuseppe Perrotta, restaurant manager, Simone Celeghin (il sommelier), Giorgio Cassano (il barman) sono i componenti di una pattuglia affiatata e preparata, “profilata” al meglio per accogliere ed esaudire i desideri e le necessità di una clientela internazionale, ma anche veneziana, che sceglie il JW Marriott Venice all’Isola delle Rose per la propria esperienza di vacanza. L’hotel cinque stelle lusso, che vanta una spa di prim’ordine e una ristorazione di livello

Asparago bianco di Bassano cotto e crudo, condimento di noci e nepitella dell’orto

Ravioli, astice, zenzero e cipollina

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in tutti i segmenti dell’offerta, anche al ristorante “normale”, il Sagra, la cui brigata è in mano a un giovane chef molto capace, Antonino Manna, offre ai propri clienti un’ospitalità esclusiva: il fatto di essere su un’isola come questa rende ancora più fascinoso il soggiorno degli ospiti. La direzione è quella indicata da Fabio Trabocchi durante la nostra conversazione: “Make people happy!”. A cominciare dai piatti, fino al format del bar, concepito come un laboratorio di mixology che si avvale delle erbe dell’orto, fino alla sala, guidata con eleganza e attenzione estrema verso l’ospite dalla squadra guidata da Perrotta, l’esperienza del Fiola vale davvero il viaggio. •


Nuove aperture

Costa Smeralda, nasce Pacifico Rosemary Il format di successo, creato dai fratelli Signani, dopo Milano e Roma replica in Sardegna con una nuova apertura

Costa Smeralda, estate 2019: cinquant’anni dopo la prima apertura, il Rosemary si ripresenta al mercato della clientela gourmet e del turismo luxury internazionale con una nuova e raffinata veste, destinata a regalare agli ospiti l’atmosfera magica della Costa Smeralda, in tutte le sue declinazioni, ma con un forte orientamento contemporaneo. Per gli imprenditori che hanno riportato il brand Rosemary ad essere il riferimento gourmet della Costa Smeralda, si tratta soprattutto della realizzazione di un sogno, carico di nostalgia e di ricordi, prima ancora che di un business. Jacopo e Leonardo Signani, che insieme a Guillaume Desforges hanno creato il brand Pacifico, ormai diventato una catena di ristorazione, già presenti a Milano e Roma, hanno infatti trascorso le estati della loro infanzia e giovinezza proprio qui, a Liscia di Vacca, a pochi metri dall’antico Rosemary, che oggi ha riaperto con una nuova veste e con l’insegna Pacifico Rosemary. Erano gli anni d’oro della Costa Smeralda, quando le barche più belle di tutta l’isola erano ancorate a Porto Cervo, e le notti scorrevano all’insegna di consumi di lusso… Il primo Rosemary nacque nel 1969, su volontà di una allora giovane Susan Ayme, inglese di nascita, che decide di aprire un ristorante con una cucina semplice, contaminata da influssi britannici e mediterranei, in cui il grande barbecue posto nel giardino fronte mare ed i dolci erano i protagonisti

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assoluti. L’architettura e gli arredi erano semplici, nel rispetto della casa all’interno della quale il ristorante era ospitato, ovvero il vecchio “stazzu” di proprietà della famiglia Orecchioni, di Liscia di Vacca, tutt’oggi proprietaria dell’immobile. Per decenni, questo luogo semplice ma a suo modo raffinatissimo è stato il luogo preferito di scrittori, finanzieri, artisti e star del cinema, che qui trovavano un ambiente informale e rilassato, una sorta di nascondiglio tra la vegetazione della macchia di vegetazione mediterranea. Il loro “buen retiro”, insomma. Rosemary è stato, per oltre 40 anni, il ristorante più famoso ed affascinante della Costa Smeralda. E il neonato Pacifico Rosemary si pone come obiettivo principale quello di farsi ambasciatore di quello spirito che caratterizzò gli “Anni d’oro” della Costa Smeralda, con tutta la sua atmosfera e la rete fi relazioni fra vip che caratterizzavano con la loro presenza la vita di questo angolo incantato di Sardegna Naturalmente l’attuale versione del ristorante è stata totalmente rinnovata, per adeguarsi agli stili di vita contemporanei e per soddisfare il gusto e le esigenze della clientela moderna. Il design ed il decoro del locale - curati dalla interior designer Marsica Fossati e progettati dell’architetto Simone Colombo dello Studio SC+ e Associati di Milano- sono stati concepiti per conservare e proseguire la tradizione di Rosemary, che affonda le proprie radici negli stilemi semplici e colorati degli anni ’70: mobili rustici dipinti a mano, sedute di bambù e giunco, tavoli di ginepro locale, tessuti

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Nuove aperture marini; tutto richiama un’epoca in cui la semplicità e la spensieratezza erano le parole d’ordine. Anche i leggendari murales floreali e la grande scritta “Rosemary” sono stati restaurati e riportati agli antichi splendori. Il giardino panoramico, affacciato sulla baia di Liscia di Vacca, vuole proseguire la macchia mediterranea, con una successione di lentischi, fichi d’India, alberi di fico selvatico e cespugli di rosmarino. Il concept di cucina di Pacifico Rosemary, pur ispirandosi alla tradizione mediterranea del primo Rosemary, vedrà un ampliamento, per la prima volta, della pro-

pria proposta culinaria, affiancando alla cucina fusion “nippo-peruviana” - DNA del gruppo, di cui il famoso ceviche è star assoluta - una carta “Grill Mediterranea”, grazie all’imponente barbecue posto al centro del giardino panoramico, ed una sezione del menu “Raw Bar” dedicata alle specialità di pesce crudo di ispirazione italo-giapponese, come carpacci, sushi e grandi piatti di crostacei. La maggior parte della materia prima ittica è di provenienza locale, anche grazie ai numerosi pescherecci indipendenti presenti nella zona. Vera e propria star del menu barbecue è poi la carne di Wagyu 100%

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giapponese: l’intero animale viene macellato in esclusiva per Pacifico Rosemary e proposto in molteplici tagli, anche i più inconsueti, nell’arco di tutta l’estate, con la possibilità da parte dei clienti di grigliare personalmente alcune selezioni di tagli su mini-barbecue ai tavoli. Alla guida della cucina, Jaime Pesaque, Corporate Chef ed un po’ anima gastronomica di Pacifico, affiancato da Nicolas Schmidt come Exectutive Chef. Una tappa fondamentale nella crescita del gruppo? “Sì – dice Jacopo Signani – anche se stiamo pensando ad altri importanti progetti”. •


OGNI MOMENTO È BUONO PER PARTIRE DA MALPENSA.

Più di 30 tra bar ed eccellenze gourmet p e r s o d di s f a re ogni pal at o.

milanomalpensa-airport.com


Novità

Arriva Sober Up, il “detox” intelligente di Theo Smith

Nel mondo degli integratori e degli antiossidanti naturali, c’è un nuovo arrivato, in grado di contribuire fattivamente al riequilibrio psicofisico. Parola di Siggi Clavien e di Pietro Biscaldi Siggi Clavien e Pietro Biscaldi raggiungono la redazione di Bartù in una calda giornata di luglio. Siggi, il founder di Equilibrium Labs arriva da Londra, mentre Pietro, il celebre imprenditore che ha lanciato in Italia brand di fama internazionale, è partito da Genova: questo incontro milanese ha il sapore degli eventi unici, che non si dimenticano facilmente. Per lo spessore e la competenza dei protagonisti, innanzitutto. L’obiettivo del meeting è soprattutto quello di raccontare (e di ascoltare) le virtù concrete di un prodotto “ad alta innovazione”, destinato a fare la differenza nel mondo dei cosiddetti integratori. Sober Up (www. soberup.com) nasce da un lungo e meticoloso lavoro di ricerca scientifica da parte del londinese Equilibrium Labs e di Siggi Clavien, ovvero dalla elaborazione di un progetto fortemente condiviso dal Gruppo Biscaldi, che se ne è fatto intelligente interprete al punto di diventarne il distributore esclusivo sul mercato italiano. Ma perché Sober Up, chiediamo a Siggi Clavien: “Partendo dal presupposto che prevenire è meglio che curare, direi che le finalità del prodotto –ci dice Siggi- sono ben riassunte da quanto

espresso da uno dei claim di Sober Up, indicato su ogni confezione: Enjoy a good time without the bad times! Mi spiego meglio, Sober Up non è un semplice integratore alimentare, bensì un potente antiossidante, la cui assunzione, un vero e proprio detox shot, tende a migliorare lo stile di vita di chi, nel vortice del lifestyle contemporaneo, svolge una intensa attività lavorativa, deve affrontare delle sfide continue ed è sottoposto a continui e inevitabili stress. E’ il primo attivatore a base di detossificanti naturali, estratti botanici e Colina che aiutano il corpo a eliminare le tossine nocive. Allo stesso tempo, contribuisce al benessere e all’equilibrio dell’organismo, aiutando a mantenere una corretta salute epatica”. Il progetto ha visto all’opera gli specialisti di Equilibrium Labs, coordinati dal

Siggi Clavien

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Siggi Clavien con Pietro Biscaldi

geniale Siggi Clavien, per oltre 12 lunghi anni, con il risultato di studiare, concepire, realizzare e finalmente proporre in esclusiva sul mercato italiano, un prodotto decisamente rivoluzionario. “Help the body, help the mind”! Come? Le indicazioni sono chiare: 1) Bevete Sober Up (un flaconcino ha la capienza di 22 ml), 2) Bevete un bicchiere d’acqua, 3) Amate la vostra vita. Fra gli ingredienti di questo vero e proprio detox brand, sottolinea Pietro Biscaldi, troviamo la Colina, che è una sostanza energetica nota anche co-

me vitamina J, con importanti proprietà neuroprotettive e antiossidanti. La Colina è fondamentale per il corretto funzionamento del fegato, in modo particolare se costretto a sollecitazioni continue, oltre a svolgere un ruolo importante nelle prestazioni atletiche e sportive. Anche il Ginseng, presente nel Sober Up, ha una funzione prioritaria nel migliorare le performance intellettuali, riducendo lo stress negli stati di affaticamento psicofisico. Possiede notevoli proprietà antiossidanti, stimola l’attenzione e agi-

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sce come tonico, stimolando le capacità di apprendimento. Qualche elemento in più: Sober Up non contiene caffeina, non ha coloranti, non ha zuccheri aggiunti, contiene solo 11 calorie per flacone. Pietro Biscaldi crede molto in questo prodotto: “Vedo una collocazione ottimale sul mercato, anche dell’Horeca, nel quale talvolta gli eccessi nei consumi hanno necessità di essere ridimensionati, attraverso un attento monitoraggio delle proprie condizione psicofisiche e un indispensabile riequilibrio delle funzioni epatiche, ma anche mentali”. E’ evidente che non si parla qui di un prodotto miracoloso, ma di un contributo fattivo al miglioramento dell’equilibrio fisico e mentale: d’altra parte, oltre a Colina e Ginseng gli ingredienti di Sober Up sono completamente vegetali: menta piperita, astragalo, artemisia, curcuma, salvia, kudzu, (un potente disintossicante naturale, fondamentale nel contrastare le dipendenze da sostanze nocive), miele, estratto di alga. Ingredienti in linea con le necessità chi vive stress quotidiani e vuole concretamente liberarsi di condizionamenti negativi sulla propria salute, migliorando il proprio stile di vita attraverso un controllo del proprio metabolismo, aiutando a ristabilire rapidamente l’equilibrio, in una logica disintossicante per il fisico e la mente. Destinazioni esclusive di Sober Up la fascia alta dell’Horeca, mixology bar ma anche ristorazione gourmet, negozi specializzati e – con il marchio De-liver-ance- spa, centri benessere e resort. Una sfida, quella di Siggi Clavien, destinata a far discutere. •


Food

Tendenze in cucina: contaminazione docet! di Maurizio Bertera

Sono sempre più i ristoranti e gli chef che guardano all’Oriente. Una visione della tavola che prende piede nelle cucine italiane Contaminazione: non è un termine particolarmente accattivante, ma è la parola più di moda nel mondo della cucina, da interpretarsi in senso positivo e non pensando a problemi legati agli alimenti. E’ una visione che solo negli ultimi anni ha iniziato a prendere piede nelle cucine italiane, soprattutto guardando all’Oriente. Ed è una visione che viaggia in parallelo perché se da un lato si trovano sempre più tecniche e ‘cose’ straniere nei piatti italiani, dall’altro c’è una decisa accelerazione da parte di cuochi cinesi/ giapponesi nell’utilizzare materie prime di casa nostra. Premessa importante: contaminazione non è riproposizione della’ fusion’ che peraltro non ha mai incontrato fortuna sulle tavole italiane, non perché sia negativa di suo ma per una cattiva interpretazione di chi l’affrontava, tanto da far coniare il neologismo ‘con-fusion’. L’obiettivo della fusion autentica è ambizioso: unire elementi e tecniche di più cucine, a volte lontanissime, per crearne una ex-novo. Non si tratta di tocchi esotici ma proprio di un mondo a parte che può trovare grandi espressioni: basti pensare alla Nikkei, nata dal confronto tra la tradizione dei giapponesi sbarcati in Perù già nell’800 e le eccezionali materie prime locali. Il ceviche, popolare anche da noi, è l’emblema della Nikkei. Del resto, i

Paolucci, Liu, Koga del Gong

Raviolo d’Oro

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cuochi del Sol Levante hanno una marcia in più sulla rotta, vedi anche la cucina nippo-brasiliana (che in Italia ha il guru in Roberto Okabe, sin dagli anni ‘90 con i vari Finger’s) o quella panasiatica che risente di influenze cinesi, thai e vietnamite. Ma torniamo alla contaminazione, senza pregiudizi visto che pure i nostri Maestri qua e là utilizzano elementi un tempo impensabili: Cedroni va pazzo per l’alga wakame, Cannavacciuolo ed Esposito si servono della nori (l’alga che avvolge il maki nel sushi). Uno dei piatti storici di Crippa è la crema di patate al tè lapsan souchon con uovo di quaglia e tartufo bianco che a un langarolo – prima di assaggiare e goderne – sembrerebbe sacrilegio. Il primo ad aver affrontato ufficialmente la cucina italiana contaminata, facendone pratica e non slogan, è stato Yoji Tokuyoshi, bravissimo braccio destro di Bottura per nove anni: capace di prendere nel suo locale milanese una stella Michelin in dieci mesi, con un menu


Anatra reale, con porri fritti e anguilla

Stella Shi del Cu_Cina

Yoji Tokuyoshi

che cambia spesso e di grande impatto, anche estetico. Se dovessimo scegliere un piatto simbolo del suo talento, puntiamo su Tajarin e katsuboshi. Poi c’è il fronte opposto, ossia di chi servendosi di una base tecnica asiatica - cinese in primis utilizza un sacco di bontà italiche. Come fa la barese di origine cinese Stella Shi a Cu_Cina, nel rione Monti, dove gioca in modo originale sulla tradizione capitolina (Animella cotta nel burro, chutney d’albi-

cocca, cipollotti glassati, liquirizia; Fagottini di brodo, trippa, cannella e cetriolo; Ravioli ripieni di coda alla vaccinara, gel di sedano e lime) o Chang Liu – figlio dello Yangzou e allievo di Redzepi nonché finalista di Hell’s Kitchen Italia - che al milanese Serica propone il Bao allo zafferano con ripieno di ossobuco, i Wanton con ripieno emiliano e salsa al Parmigiano, il Gambero Rosso in foglia di fico, mascarpone e salsa di sesamo. Ritu Dalmia, la cuoca del milanese Cittamani è un caso a parte, sul tema della contaminazione: il più famoso dei sei ristoranti che gestisce in India si chiama Diva Italian e serve i nostri piatti, sulla base della sua storica passione per l’Italia. Sotto la Madonnina, invece propone – parole sue – “nuove prospettive di gusto, con un cuore indiano”. Da qui un menu dove si incontrano il rombo speziato come il biryani, il masala e il Parmigiano. In questo senso, il nuovo locale – Spica, progettato insieme a Viviana Varese, la chef di Alice in Eataly – si preannuncia ancora più all’avanguardia: una sorta di giro del mondo, fatto di tanti piatti nazionali, riprodotti fedelmente o rivisti per i palati italici. Per raffinatezza e studio, resta difficile fare meglio di Gong, ristorante della famiglia Liu – sempre

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Distillati & Cocktail Il sakè nei cocktail codificati e/o inediti non fa più notizia. Ma stanno prendendo sempre più spazio iI gin e il costoso whisky, lo shochu – distillato a base di riso, patate dolci o castagne – e lo shiso in foglie. O ancora l’umeboshi a base di prugne salate. Il Giappone è protagonista anche nelle contaminazioni alcoliche: ci sono posti specializzati come Huan Bistrot, Shimokita e Dhole a Milano, Zuma e Off a Roma. Ma un twist orientale in un classico c’è praticamente nella drink list di ogni cocktail bar italiano.

sotto la Madonnina - che ha in Giulia un’esperta patronne. Stagione dopo stagione, ha ‘sistemato’ i tanti piatti in tre menù degustazione (Classico, Tradizione, Evoluzione) con piatti squisiti come Foie Gras tra Asia e Occidente, il Piccione sulla Via della Seta e il Raviolo d’Oro che è una pasta allo zafferano ripiena di ragù di ossobuco con crema di risotto alla milanese. Il Gong è anche un’interessante case history: patronne italiana di origine cinese, uno chef romano (Gugliemo Paolucci) e uno giapponese (Keisuge Koga). La contaminazione passa anche (e soprattutto) per la condivisione tra persone. •


Eventi

Obiettivo Chianina: uniti per valorizzarla di Claudio Zeni

Consegnato al nostro Direttore Alberto P. Schieppati il Premio Ezio Marchi durante la rassegna “La valle del Gigante Bianco” Nell’ambito della XVa edizione della rassegna “La valle del Gigante Bianco” dedicata alla tipologia Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale - Chianina Igp, è stato consegnato al nostro Direttore Alberto P. Schieppati, da Giovanni Corti, Presidente dell’associazione Amici della Chianina, il premio ‘Ezio Marchi’ con la seguente motivazione: “Per la sua grande professionalità e capacità di far rivivere eventi legati al mondo della ristorazione e ospitalità con un linguaggio fluido e comprensibile a tutti”. Nato il 28 giugno 1869 a Bettolle (Si), Ezio Marchi è considerato il padre dell’odierno allevamento della Chianina. Convinto del principio che l’apostolato scientifico non dovesse limitarsi alla scuola e alla cattedra, ma proseguire anche nella vita, Marchi prese viva parte a dibattiti e conferenze che si tennero in quegli anni in Italia, oltre a essere giurato e relatore in molti concorsi ed esposizioni di bestiame. Sempre in contatto con la realtà ma soprattutto con il mondo contadino e con gli allevatori della sua terra, la Valdichiana, iniziò qui i suoi primi studi pubblicando nel 1888 una delle sue più importanti memorie cliniche, ovvero ‘Il rachitismo congenito nella razza bovina di Val di Chiana’ seguita da altri scritti quali ‘La razza bovina di Val di Chiana e la sua varietà (1895)’, ‘Sull’indirizzo neces-

Da sinistra: Giovanni Corti (Presidente Amici della Chianina), Edo Zacchei (Sindaco di Sinalunga), Alberto Schieppati (Direttore di BARtù),Riccardo Terrosi (Presidente Circolo Ezio Marchi)

Crudo di carne, agretti, asparagi e insalata a cura di Alma

sario per migliorare la razza bovina di Val di Chiana (1901)’e ancora ‘Appunti sulla origine della razza bovina di Val di Chiana (1906)’. Si deve infatti al suo lavoro quel miglioramento genetico che, da animale da lavoro, ha reso la Chianina animale da

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carne, apprezzata e conosciuta oggi in tutto il mondo. La cerimonia di premiazione si è svolta nel suggestivo scenario della rinnovata dimora storica Villa il Casato, con la cena di gala “Chianina in tavola”, coordinata dall’impareggiabile Loris Mozzini, che nell’occasione ha festeggiato i cinquant’anni di attività nel mondo dell’ospitalità. Una cena che ha permesso ai commensali di degustare i prodotti della vallata, le più antiche e famose ricette toscane e piatti a base di carne Chianina Igp realizzati dallo Chef Salvatore Quarto del ristorante Ferdinando I del Fonteverde Resort Terme & Spa e dagli Chef di Alma (la Scuola Internazionale di Cucina Italiana fondata da Gualtiero Marchesi): Francesco De Rosa, Martina Sabbioni, Nicoletta Caragica e Lorenzo Meli, sotto la guida del Direttore


Una selezione di vini

no Centrale dove attraverso un semplice test sensoriale sono state esaminate e degustate carni di più razze al fine di riconoscere quella Chianina e scoprire quanto sia importante, anche in questo settore, una corretta informazione che permetta, sia in macelleria sia al ristorante, di scegliere un prodotto autentico senza il pericolo di farsi turlupinare da chi “spaccia” in maniera indebita la carne per Igp Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale. “La valle del Gigante Bianco edizione 2019 ha confermato la validità del nostro progetto di valorizzare questa eccellenza Cena di Gala

Paccheri della Valdorcia ripieni di stinco di Chianina con salsa al cacio e riduzione scura

Didattico Alma Chef Matteo Berti. Il menu si è aperto con ‘L’Amarcord – Evoluzione del Quinto Quarto’ per poi proseguire con Testina croccante, limone salato e alloro (Alma), Paccheri della Valdorcia ripieni di stinco di Chianina con salsa al cacio e riduzione scura (Salvatore Quarto), Crudo di carne, agretti, asparagi e insalata (Alma), Pancia arrosto, salsa al peposo e bieta (Alma), Gelato di mela rugginosa della Valdichiana con la sua composta (Salvatore Quarto), La piccola pasticceria di Alma.

Eccellente la carta dei vini che ha accompagnato il menu con pregiati prodotti di aziende appartenenti ai Consorzi di Tutela Prosecco Doc, del Vino Nobile di Montepulciano, del Vino Chianti Classico, del Vino Brunello di Montalcino e del Syrah di Cortona, serviti da sommelier Fisar Delegazione Valdichiana. Tra le altre iniziative dell’annuale kermesse ‘La Valle del Gigante Bianco’ è d’obbligo ricordare l’incontro ‘Ri-conoscere la Chianina’, un format a cura del Consorzio di Tutela del Vitellone Bianco dell’Appeni-

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italiana nel suo territorio di origine – ha sintetizzato Giovanni Corti, presidente dell’associazione Amici della Chianina al termine della manifestazione – la presenza di illustri personaggi del mondo della comunicazione, della ristorazione, dell’ospitalità, delle istituzioni locali e regionali ha dato lustro a questa quindicesima edizione gettando nel contempo le basi per una continua e proficua collaborazione futura nella promozione della razza Chianina”. •


Food

Rivoluzione a Lugano, arriva Badalucci di Rocco Lettieri

A Lugano c’è un nuovo ristorante nel posto che fu dello storico Al Portone. Lo chef è Marco Badalucci, forte di esperienze internazionali A distanza di alcuni mesi dall’apertura ha schiuso i battenti anche per la stampa nazionale e internazionale il “Ristorante Badalucci Taste of Art” con ai fornelli lo chef Marco Badalucci e come “brand manager” il socio Matteo Galbani, grande gourmet. Il ristorante rimesso tutto a nuovo ha mantenuto gli stessi spazi, con tavoli ben distanziati nelle due sale, per circa 50 persone. Molto luminoso, con pareti bianche e quadri “animati” la cui brand identity è stata realizzata dall’agenzia di comunicazione Aimaproject SA di Stabio. Il nome del ristorante prende spunto dal suo chef, Marco Badalucci, quaran-

Marco Badalucci e Matteo Galbani

taduenne con una vasta e importante esperienza maturata in 30 anni di attività in cucine prestigiose quali Le Calandre a Padova ***, all’ex Gambero Rosso di San Vincenzo di Livorno **, executive chef dei tre ristoranti dell’Hotel Cristallo a Cortina d’Ampezzo, e anche chef all’Amarcord a Cap Cana nella Repubblica Dominicana, dove è stato anche insignito con la medaglia d’oro come uno dei migliori chef italiani all’estero. Un cammino professionale di riguardo il suo, che ora con la grande passione che lo contraddistingue, vuole offrire ai vecchi e nuovi ospiti nel nuovo locale “Ristorante Badalucci Taste of Art”. Un ristorante che propone piatti che debbono emozionare, lasciare un segno tangibile di quello che si è degustato. Su questa idea Marco lavora per cercare nuovi accostamenti di pietanze, che fanno rivivere in chiave moderna, le radici di una tradizione che spesso suscita ricordi di gusti e sapori del passato, ora arricchite da un’intima fusione tra colori e tecniche di cottura. La prima idea è che il locale è destinato a essere punto focale di “pesci di mare”, freschissimi, i migliori che si possono trovare sulla piazza luganese e già scorrendo la carta delle vivande si percepisce lo stile di una cucina che esalta i più interessanti valori mediterranei: “Gamberi rossi di Mazara impanati a crudo con salsa al curry e sorbetto di mandorle”; “Raviolo ripieno di cipolla di Tropea caramellato all’anice con salsa al gorgonzola e finocchi canditi”; “Dentice scottato con trippette di baccalà e broccoletti”; ma non mancano alcuni piatti di carne come il: “Gioco del piccione con le sue frattaglie e i suoi fegatini allo zenzero” e/o il: “Maialino da latte cotto a bassa

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temperatura con scarole saltate e purè di salsa alla senape” e anche: “Pancetta di vitello in agrodolce con cime di rapa, patate e sorbetto al peperone”. La carta del menù offre quattro capitoli: L’Essenza (5 piatti, da 20 a 48 franchi) - I crudi, sali e aromi. In essa si raggruppano gli alimenti lavorati con spezie e aromi. Chiara Verga

Una combinazione in grado di dare vita a un’armonia per il palato, dove tutti i principi si intersecano, creando emozioni. Primordi e l’Evoluzione (6 piatti, da 24 a 35 franchi) – Un intreccio tra i principi della cucina e l’evoluzione della tecnica: ciò che diventa era. Un insieme tra ricordi in chiave moderna, in cui l’animo antico emozionale traspare sempre e in cui si riscoprono le radici primordiali dei ricordi. Eppure nulla è scontato e ogni attimo termina con un punto interrogativo. Guardare avanti è il futuro, ma il nostro bagaglio culturale resta, quale fondamenta e forza inestinguibile. La Pienezza e L’Eleganza (8 piatti, da 36 a 55 franchi) - La massima espressione della ricerca, nonché ricetta ricca di esperienza ed eleganza. Elementi intersecati per ottenere armonia di colori e gioia. Le Coccole (formaggi e dessert) (5 piatti, da 15 a 20 franchi) – La rassicurazione. In essa si raccolgono tutte le cose buone

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in cui ci rifugiamo e ci coccoliamo. Non semplici peccati di gola, ma la ricerca tra formaggi di qualità, dessert e sorprese. Segnalo per chi ci legge, un solo piatto per ognuna delle quattro offerte: Millefoglie di spigola al foie gras e carciofi con insalatina e gelè di aceto balsamico; Risotto alle ostriche con salsa di lattuga e coulis di pomodoro; Piovra del mediterraneo alla piastra su crema di melanzane alla cenere con salsa di soia caramellata e pepe della Valle Maggia; Crema di liquirizia con sorbetto di mandorle e lamponi e meringhette. Marco Badalucci è uno chef a tutto tondo, pertanto anche panificatore e pasticciere. Va da sé che i prodotti delle preparazioni sono di prima scelta e quindi pani, focacce e grissini davvero gustosi e croccanti e cura anche per i vegetariani e vegani, che trovano piatti comunque a loro adeguati. Marco ha così dichiarato: “La mia cucina è da sempre frutto di passione, sensibilità ed esperienza, ma ciò che condividerò con voi sarà quell’ingrediente invisibile che la rende unica, cioè l’idea”. La carta dei vini, dove trovano posto alcune pregiate etichette ticinesi, vanta una scelta ponderata e di tutto rispetto in cui scegliere il miglior abbinamento cibo-vino. Menu degustazione da 4 a 8 portate con prezzo a richiesta per intero tavolo – mediamente da 100 a 140 franchi. In sala la brava e simpatica Chiara Verga. La Imago Art Gallery si occupa dell’allestimento del locale con opere d’arte moderna e contemporanea. Il Ristorante Badalucci Taste of Art è in Viale Cassarate 3 a Lugano. www.badalucci.com •


Trattorie

Jole, anima spontanea: in cucina con amore Nel quartiere Testaccio, a Roma, la nuova “signora” della cucina romana omaggia le nonne. Da Jole il ritorno è in trattoria e alle buone maniere Da Jole è la storia a farla da padrona: la vera fonte di ispirazione sono le mani d’oro delle nonne dei proprietari. Il titolare è Luca De Medio, da 25 anni operativo nel settore ristorativo e con diversi locali e consulenze all’attivo. Oggi insieme a Luca Piperno proprietario del Ristorante Dolce (in via Tripolitania), ha trasformato i suoi ricordi a tavola in realtà. Forti di una passione nei confronti della cucina romana, cimentandosi in piatti genuini e dal gusto verace, hanno deciso di rimanere fedeli alla tradizione culinaria della città. Ricette semplici che rispecchiano i sapori di un tempo e cha da Jole tornano a essere quanto mai attuali. Jole è un luogo dove respirare la cucina delle nostre nonne attraverso ricette di

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famiglia, tramandate di generazione in generazione, con piatti che comunicano un territorio e la specificità dei suoi prodotti, ma anche valori autentici e porzioni pantagrueliche. Sullo sfondo, la cucina italiana con le sue più ricche sfaccettature. Dopo il restyling del locale, rinnovato nello stile e negli arredi, da Jole si vive il ritorno alla trattoria, alla cui anima spontanea e romana è stato dato un tocco di indispensabile leggerezza. Da una ristorazione casalinga che mescola le

usanze giudaico-romanesche di uno dei proprietari alle massaie del Sud, i piatti seguono il filone romano e il ritmo delle stagioni. Un’atmosfera familiare, piatti non tanto rivisitati ma che giocano sulle consistenze, un mix di sapori ricercati con attenzione dai proprietari che, con la loro solarità non possono far altro che farti sentire a casa, riscaldati dal calore del loro affetto. La pasta all’uovo è fatta in casa e tirata rigorosamente a mano. Qui i ravioli sono

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una delle ricette più rappresentative: il concetto del pranzo della domenica è racchiuso in questa pasta ripiena di coda alla vaccinara insieme a tante altre proposte che seguiranno l’estro di Jole. In un’atmosfera accogliente e informale mangiare è un gusto accessibile per tutte le tasche: con un prezzo medio a persona di circa 25 euro (bevande escluse) è possibile ordinare un pasto completo. Molto divertente la linea degli antipasti e la formula del pre antipasto abbinato a cinque drink serviti in un bicchiere vintage e dal sapore e dalla forma “come una volta”. Dietro ogni portata un ricordo d’infanzia e un lavoro minuzioso, quasi maniacale, come per i pomodori al riso mignon, panzanella e verdure tagliate su misura o la vignarola con uovo in camicia. Da Jole sono sempre i piccoli gesti a fare la differenza: su ogni tavolo viene servita una pagnotta intera sfornata e sull’onda della convivialità e del ritorno alle buone maniere, anche l’atto di spezzare il pane riunisce e rende tutti compagni. Jole, in Piazza Orazio Giustiniani n.2, è aperto tutti i giorni a cena e accoglie i suoi ospiti anche per il classico pranzo domenicale in famiglia, mentre dal lunedì al venerdì si adotta la formula del light lunch. Tra una quarantina di coperti interni più quelli nel dehors, Jole incarna il ritratto della nuova cucina popolare, senza troppi vezzi in sala e nei piatti. La carta dei vini al momento è caratterizzata da circa 25 etichette e qualche bollicina. •


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Etnico

Cittamani a Milano Alchimia delle spezie di Alberto P. Schieppati

Un ottimo riferimento nel segmento della cucina etnica di alta qualità. Il ristorante indiano, aperto nel 2018 e guidato dalla celebrity chef Ritu Dalmia, attira la migliore clientela. E, presto, una nuova apertura, Spica Il benvenuto si vede anche dallo snack, potremmo dire: venire accolti al Cittamani (www.cittamani.com) , in piazza Mirabello a Milano, con il Papadam, ovvero una cialda croccante con spezie, è sicuramente di buon auspicio. Il mio “benvenuto” nel ristorante indiano aperto in città nel 2018 non poteva essere migliore. Del resto, la professsionalità di chi accoglie, Lucas Martin Ahumada, il giovane responsabile di sala, balza subito agli occhi. Saluta con discrezione, ti fa accomodare al tavolo, con l’uso di termini appropriati descrive la cucina del ristorante e, con altrettanto savoir faire ti introduce alla Chef resident, Shivanjali Shankar, affiancata da Kevin Ray. Entrambi allievi di Ritu Dalmia, la celebrity chef e imprenditrice che ha creato una catena di ristorazione top, Diva, con locali importanti a Dehli (v. box): è innamorata dell’Italia, Ritu Dalmia, e ben lo dimostra la sua storia. Qui al Cittamani siamo nel regno dell’alta cucina indiana che, in realtà, è la cucina delle famiglie: largo uso di verdure, spezie e riso, proposti all’insegna di equilibrio e armonia, come ci si aspetta da un ristorante di livello, che non sia una semplice destinazione gastroturistica ma

un luogo distintivo e raffinato, nel quale deve prevalere l’impronta dello chef, insieme all’uso di ingredienti eccellenti. E così è. La cena a Cittamani merita di essere ricordata soprattutto in virtù della qualità delle portate proposte, tutte all’insegna di quella rivoluzione del gusto che ci svela una cucina inaspettatamente delicata, che fa un uso intelligente delle

spezie (un solo tipo per piatto). Una linea di cucina moderna e equilibrata, senza forzature ma, sotto certi aspetti, ingentilita- nella sua osservanza rigorosa delle ricette indiane- dall’armonia gustativa della cucina italiana, ben sedimentata nella cultura di Ritu. Gli ingredienti che compongono il menù di Cittamani, non a caso, sono quasi tutti di origine italia-

Analjit Singh e Leeu Collection

Leeu Collection è una società fondata da Analjit Singh, attuamente attiva sui mercati di Sud Africa, Inghilterra e Itala. Comprende svariati resort a cinque stelle, ubicati fra i suggestivi vigneti del Sudafrica, oltre a ristoranti (come Cittamani, Diva e molti altri), giardini privati e gallerie d’arte. Leeu Collection sta portando avanti diversi investimenti nel mondo dell’ospitalità luxury: il primo ha consentito l’apertura di Linthwaite House, un prestigioso Boutique hotel nella campagna inglese, precisamente nel villaggio di Windermere (nel Lake District), uno dei luoghi più suggestivi del Regno Unito. Il secondo porterà alla realizzazione di Villa Querce, a Firenze, un cinque stelle L con più di settanta camere e grande parco-giardino (apertura prevista nel 2021). Un potente piano di investimenti che porterà il Gruppo Leeu (in africano significa “leone”) a rivelarsi un attore strategico nel panorama dell’ospitalità internazionale.

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Etnico

Ritu Dalmia Esperienza e talento

Nata in una famiglia di commercianti di marmo, ne ha seguito gli affari per anni, fino a quando, giovanissima, è entrata nel mondo del “food militante”. Inutile dire che i viaggi in Italia hanno contribuito a consolidare la sua grande passione per la cucina. Dopo avere aperto il primo ristorante già nel 1993, oggi conduce a Dehli i ristoranti Diva Italian, Diva Spiced, Caffè Diva, The Café at ICC, presso l’Ambasciata italiana di Chanakyapuri a Dehli, il Latitude 28 presso il Khan market, uno dei distretti dello shopping più famosi di Dehli. E’ imminente la nuova apertura di Spica, a Milano, sul quale torneremo sul prossimo numero di BARtù ad apertura avvenuta. Autrice di libri e programmi tv che hanno spesso l’Italia e le sue tradizioni culinarie come argomenti, Ritu è stata insignita dell’onorificenza dell’Ordine della Stella d’Italia, destinata a tutti coloro che hanno acquisito particolari benemerenze nella promozione dei rapporti fra l’Italia e il resto del mondo. Ritu Dalmia

na, scelti personalmente da Ritu Dalmia durante lunghi viaggi di esplorazione attraverso la rete di piccoli produttori di eccellenze, sparsi in ogni dove nel nostro paese. “Le spezie, però, sottolinea Ritu, provengono direttamente dall’India”. La sequenza memorabile della cena, svoltasi lo scorso maggio, rispecchia questa filosofia culinaria attenta ai dettagli e lontana da ogni approssimazione. Si parte con il Carrot kebab, tortino di carote con formaggio di capra e polvere delle 5 spezie, seguito da Salmon tikka, salmone all’arancia e tamarindo: notevole. La

successiva portata, il Tandoori chicken: pollo tandoori (il “tandoor” è il tradizionale forno a carbone indiano), rimanda ai grandi piatti della tradizione indiana. Con il Wok crab, granchio saltato nel wok con pepe e foglie di curry del Kerala accompagnato al Naan edamame (“naan” è il tipico pane indiano, cotto nel forno tandoori e servito, in questo caso, con edamame e zenzero), si raggiungono vertici elevatissimi. La Costoletta di agnello al tandoori in salsa rogan josh, con patate saltate al tamarindo e le Polpette di zucchine in salsa di noccioline allo zenzero e pulao con edamame rispecchiano la ricerca della brigata di cucina nel preparare piatti di ricerca, ma senza sperimentalismi inutili. Il Bharta: melanzane arrosto con spezie indiane, piatto del nord dell’India, è stato degno preludio al dolce: Mango srikhand , yoghurt di mango e zafferano, racchiuso in una cupola di cioccolato fondente (specialità del Gujrat). Si è trattato di un’esperienza completa, resa ancora più interessante dallo stile architettonico e dal design complessivo del locale. Situato nel cuore di Brera, Cittamani è il primo ristorante progettato dallo studio londinese Paolo Cossu Architects per la celebrity chef Ritu Dalmia e per Leeu Collection (v. box).

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Il risultato della stretta collaborazione fra Paolo Cossu, il local architect Giuliana Barilli e la proprietà è un design elegante e senza tempo, che mantiene inalterata la storica pavimentazione in “seminato”, le ampie vetrate e gli archi, arricchendo lo spazio con materiali di pregio come ottone, marmo, pelle e specchi. Le applique e gli sgabelli in ottone sono stati creati artigianalmente in India su disegno esclusivo dell’architetto, mentre all’esterno comode panche verniciate e incassate nelle vetrine regalano otto posti a sedere e aprono un dialogo fra il ristorante e la città. Elementi che fanno respirare all’unterno del locale un’atmosfera di elegante sobrietà, tanto essenziale quanto confortevole. Da ritornarci. •


#PerNonMangiarsiilFuturo

#StessoMercatoStesseRegole Firma anche Tu l’appello della #ristorazione alle istituzioni italiane La cucina italiana: orgoglio degli italiani, ispirazione per gli stranieri, ali e radici per chi viene e torna nel nostro Paese. In numeri, la nostra ristorazione vale 300mila imprese, 85 miliardi di fatturato e 43 miliardi di valore aggiunto all’anno per 1 milione di occupati. Meno puntuale, ma non meno strategico, il valore intangibile del settore in termini sociali, storici, culturali, antropologici e come volano dell’attrattività turistica e dell’intera filiera dell’agroalimentare del Paese. Ora, poi, il settore sta vivendo una popolarità senza precedenti, con gli Chef famosi come attori e contesi come influencer, a dimostrazione che la cucina - da sempre strumento di comunicazione - è appetibile anche come strumento di consenso. Bene, insomma, ma non benissimo. Questi risultati sono la punta di un iceberg fatto del lavoro di centinaia di migliaia di imprese che, con la loro professionalità, creatività e quotidianità, fanno la forza di questo settore, che riceve a parole grandi pacche sulle spalle, ma nei fatti rischia oggi un impoverimento senza precedenti. Ogni giorno nelle scelte politiche si incentivano settori che effettuano di fatto somministrazione, senza essere sottoposti alle stesse regole che si applicano alla ristorazione e ai pubblici esercizi in generale. Ci riferiamo agli operatori del settore agricolo, ai circoli privati, al terzo settore, ai negozi di vicinato, agli home restaurant, allo street food etc. Perché se non ti chiami “pubblico esercizio”, non importano i servizi igienici, la presenza di spazi per il personale, gli ambienti di lavorazione idonei, la maggiorazione sulla Tari e il rispetto delle normative di Pubblica Sicurezza.

La disparità di condizioni non genera nel mercato soltanto concorrenza sleale, ma finisce per impoverire il mercato stesso nel momento in cui le attività di ristorazione chiudono, magari per reinventarsi in esercizi più semplici, dove tagliare i costi del servizio e di preparazione, con effetti immaginabili sulla qualità del prodotto, sui rischi alimentari dei consumatori, sull’occupazione del settore e l’attrattività delle nostre città. Non chiediamo meno regole: chiediamo che vengano applicate le stesse regole per la stessa professione, anche a tutela e a salvaguardia dei 10 milioni di clienti che ogni giorno frequentano i Pubblici Esercizi. Non chiediamo meno concorrenza: auspichiamo, anzi, che ce ne sia sempre di più, ma per migliorare il mercato, non per renderlo più fragile. Non chiediamo privilegi o corsie preferenziali: chiediamo alle Istituzioni più attenzione e un tavolo, promosso dai ministeri competenti, con la partecipazione dei diversi attori della filiera - che apparecchi una visione strategica complessiva e consapevole per il settore. I sottoscrittori di questo appello hanno fatto degli investimenti qualitativi e del rispetto delle regole, un punto di merito e uno stimolo per migliorare la qualità del settore, tutelando le scelte di milioni di consumatori. È così che vogliamo difendere la categoria, quella delle imprese della ristorazione: salvaguardando il contributo che offre all’economia italiana, un contributo di varietà e, soprattutto, di qualità, tratto distintivo del Food in Italy che tutti conosciamo. E amiamo.

https://www.fipe.it/pernonmangiarsiilfuturo.html


Intervista

Etica professionale? Si parte dagli ingredienti... di Nadia Afragola

Diego Crosara, il maestro pasticcere vicentino, racconta a BARtù il suo pensiero. L’esperienza di Care’s, i locali del Gruppo Prada, le nuove tendenze Era gennaio 2018 quando Diego Crosara venne ufficialmente presentato al mondo nelle nuove vesti di responsabile prodotto della storica pasticceria milanese, Marchesi 1824, oggi di proprietà del gruppo Prada. Lui che non ha bisogno di presentazioni. Lui che è già campione del mondo di pasticceria e due volte campione del mondo di gelateria. Diego oggi è un pastry chef, lo abbiamo incontrato a Care’s a marzo, laddove l’etica viene insegnata, sviscerata, raccontata sotto tutti i punti di vista da quanti ne hanno fatto una missione giornaliera. Il maestro pasticcere vicentino è uno dei migliori che l’Italia possa annoverare di avere dalla sua e in questi mesi lo ab-

biamo visto alle prese con l’apertura del nuovo negozio nel cuore di Londra, per la precisione al numero 117 della celebre Mount Street, nel prestigioso quartiere Mayfair, il primo locale all’estero della storica insegna milanese. Cosa è etico per lei? Scegliere di partire dall’ingrediente, dal suo reperimento; avere il pieno controllo, dalla nascita fino al laboratorio dove viene sviluppato, prima che arrivi nelle mie cucine. Questo discorso va applicato alle fave di cacao quando si parla di cioccolato ma vale per ogni ingrediente. Il controllo della filiera ti permette di valorizzare gli artigiani che lavorano in un

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determinato modo e di avere una qualità costante delle materie prime che andrai ad utilizzare e di conseguenza dei piatti che andrai a servire ai tuoi clienti. È stato tra i protagonisti di Care’s, organizzato dal tre stelle Michelin Norbert Niederkofler. Cosa rappresenta un simile appuntamento? Se a risponderti dovesse essere solo Diego ti direi che è un bellissimo ritrovo di amici, se a parlare deve essere anche il pastry chef Crosara allora c’è da dire dell’altro. Per noi, per tutti coloro che ogni anno decidono di esserci o hanno la possibilità di essere lì, è una vera e propria sfida: sei chiamato a presentare sempre cose nuove, sei chiamato ad essere coerente con quello che dici, sei chiamato a dare rispetto, a pensare al futuro senza accontentarti di vivere bene il tuo presente e devi essere affamato, sempre alla ricerca di quel pizzico in più tale da lasciare il segno. Sono giorni stimolanti perché ti ritrovi insieme a colleghi che arrivano dai quattro angoli del globo… proprio io poi che di solito ho a che fare solo con pasticceri come me. A Cares’ ha portato “La mia foresta nera”. Di cosa si tratta? È una rivisitazione della Foresta Nera, quindi gli ingredienti sono: Kirsch, cioccolato e amarene. Il piatto è nato in pochissimo tempo. Ho preso spunto dalla fava di cacao, che non viene usata spesso in pasticceria, proprio perché è la buccia e non è l’elemento primario per fare il cioccolato. Da lì ho costruito questo dolce, dal desiderio di dare maggiore risalto a questo ingrediente. Troverete una frolla con il croccante di fave di cacao, come base c’è un pan di spagna al cioccolato Venezuela e poi un cremoso sempre al


Diego Crosara

cioccolato Venezuela. Il pan di Spagna è inzuppato in una bagna al Kirsch. Come guarnizione le amarene semicandite rigorosamente Agrimontana, una cialda con la frolla alle fave di cacao, una bavarese al Kirsch, una gelatina di amarene, che prolunga l’acidità, e sopra un gelato al cioccolato con del Kirsch all’interno. Il tutto poi è impreziosito con del kefir, il latte fermentato, che dà una nota inattesa di acidità che ti invoglia a scoprire il dessert. Come vengono scelte le materie prime e i fornitori? Che “speranza” ha un produttore di poter entrare nelle cucine o nei laboratori di uno chef, di un pastry chef che ha già le sue certezze? La prima cosa che faccio quando mi presentano un prodotto è andare a vedere l’etichetta, che già è sinonimo di qualità e dice tutto ciò che dovrei sapere su quel prodotto. Meno ingredienti sono indicati, più il prodotto è naturale. Poi si va a gusto. Si assaggia e l’esperienza fa il resto. Tradizione italiana a livello di pasticceria. Come può farsi avanguardia e andare oltre i soliti classici? Non c’è innovazione, se non c’è tradizione. La pasticceria italiana sta affrontando un percorso di crescita florido in questi ultimi anni, anche a livello di risonanza internazionale e l’Italia sta iniziando a farsi conoscere nel mondo. La tradizione è ciò che dà la forza per andare avanti. La classica torta italiana si compone di tre strati di Pan di Spagna, crema pasticcera e copertura, bene, questa base va riportata ai giorni nostri. Ecco perché avremo sulle nostre tavole dessert sempre meno dolci e sempre più leggeri, creme con

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Intervista

meno grassi e meno zuccheri, ma mantenendo pur sempre la sensazione di dolce. Nuove tendenze, sperimentazione. La pasticceria in che direzione sta andando? Sta ritornando al classico. Anche se una nota di sapidità serve sempre. Quanto conta il fattore umano? Per me è il 98%. Con i ragazzi che fanno parte della squadra deve esserci una simbiosi. Diventi quasi il loro papà, li aiuti a decifrare le emozioni. Un tempo si usavano metodi molto grezzi, ora per fortuna non è più così. Che età hanno i suoi collaboratori? Lavoro con un team di 18 persone, che hanno una media di età di 32-33 anni. La maggior parte di loro sono ragazze. Che caratteristiche hanno le ragazze rispetto agli uomini? Sono molto più puntigliose, più fini, più pulite, più eleganti. E anche a livello di degustazione sono molto più avanti degli uomini. Questa analisi pare funzioni più in pasticceria che in cucina, vero? Sì, ne sono convinto, forse perché il dolce è donna. Che sapore ha la felicità? L’importante è che sia un piatto di qualità, che sia dolce o salato non importa. Se proprio devo sbilanciarmi… mi fanno impazzire le alici. Quando un professionista arriva al suo livello, come si alimenta l’entusiasmo? Le aspettative sono la linfa che ti spinge a fare sempre meglio e allo stesso tempo ti fanno stare bene. Mi piace prima di tutto compiacere gli altri, voglio che il prodotto della mia pasticceria sia perfetto:

il mio è un atto d’amore verso il cliente. Formazione: in pasticceria come siamo messi? Come sono i curriculum che le arrivano? La risposta a queste domande sta nelle scuole alberghiere, perché è quello il punto critico. Rispetto ad altri paesi, nelle scuole italiane i ragazzi sono ancora molto, troppo, protetti. L’atmosfera è ovattata. Manca il contatto con il mondo vero del lavoro, con i metodi e i tempi

con cui avranno a che fare una volta fuori da lì. Bisognerebbe spiegare meglio la vita da laboratorio, ma allungando i tempi di apprendimento e alternando i momenti dedicati alla scuola con quelli da passare in laboratorio. Nelle sue esperienze c’è sia la Spagna che la Francia. Rigore o fantasia? Quale delle due l’ha più segnata o condizionata? Entrambe mi hanno aiutato ad arrivare fin qui e a tracciare quel cammino che sto ancora seguendo. Forse la scuola spagnola però è quella a me più affine. Marchesi 1824 è un pezzo di storia tutta italiana. Qual è la sua proposta gastronomica e cosa ci si deve aspettare quando si varca quella soglia? Avevo una pasticceria di famiglia, poi

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l’ho lasciata per fare il docente, ed ho insegnato per 18 anni nelle scuole. Penso che ogni 10 anni sia necessario cambiare qualche aspetto nella propria vita. Mi mancava qualcosa. Marchesi 1824 è un grande gruppo, che si occupa anche di moda. Chi entra, sa di essere in una pasticceria di lusso. E per me diventa ancor più difficile creare un dolce che non disattenda queste aspettative. Il cliente trova sì una pasticceria classica, ma con accorgimenti che in Italia sono abbastanza rari, sia per il servizio che per il packaging. Il cliente non è tale solo finchè è dentro la pasticceria, ma deve esserlo anche e soprattutto fuori, quando torna a casa. Abbiamo clienti che vengono da noi anche per collezionare le nostre confezioni. Qual è il prodotto che vende di più? Il panettone. Rigorosamente classico. Anche se in realtà ogni negozio, avendo caratteristiche diverse, riflette un consumo proprio. Ad esempio, in Monte Napoleone il cliente è più di passaggio, quindi preferisce una colazione veloce; in Galleria Vittorio Emanuele invece ci sono più turisti, che si fermano e hanno più tempo da dedicare; in Corso Magenta, sede storica della pasticceria, la clientela è quella classica, da sempre. Lei usa i social? Come si relaziona con gli haters? Ho una brava agenzia. Non sono mai stato tecnologico, parlo proprio a livello di manualità. Penso però che servano molto i social oggi, per arrivare più in là di dove siamo fisicamente. Non ho la presunzione di andare a criticare il piatto di altri colleghi e non do molto peso agli attacchi gratuiti. Chi è un critico per lei? Uno che sa fare questo lavoro, quello del pasticcere, intendo! Accetto una critica anche da chi non ne sa nulla di cucina ma esprime un parere personale, che riguarda solo il suo gusto. Una critica vera, però, la accetto solo da chi sa rifare quel dolce e lo farebbe meglio o diversamente. Solo così c’è un confronto costruttivo. •


Loacker Classic Double Choc Quando croccantezza e cioccolato si incontrano, la bontĂ raddoppia.

Tre croccanti cialde al cacao e un cremoso ripieno al cioccolato e cacao preparato con ingredienti di alta qualitĂ .


Pastry Chef

AtelieReale, il regno di sua maestà Il Panettone di Fiorenza Auriemma

Il bistellato Antica Corona Reale e il laboratorio, pur essendo due realtà distinte, sono legati a doppio filo Galeotto fu quel centinaio di panettoni che una decina d’anni fa Gian Piero Vivalda – chef del ristorante di famiglia Antica Corona Reale di Cervere (Cn), due stelle Michelin – pensò di preparare come regalo natalizio per i clienti migliori, sfruttando il forno del ristorante. L’anno successivo il numero lievitò a 300, quello dopo raddoppiò per arrivare quello dopo ancora a un migliaio. Perché il panettone era buono e, come ricorda Vivalda, “tutti ne reclamavano uno”. Altrettanto galeotti sono stati i grissini – preparati in casa con una ricetta che ha quasi trent’anni e stirati a mano – talmente buoni che i clienti a fine pasto chiedevano di poterli portare a casa. Quando si presenta l’occasione di acquistare una vecchia cascina adiacente al ristorante, Vivalda capisce che è giunto il momento di ‘pensare in grande’. Ed è così che nel 2016 si inaugura AtelieReale, luminoso spazio di 200 mq situato tra i tavolini del dehors estivo del ristorante da un lato e l’orto dall’altro: all’interno, un laboratorio-gioiello dove lavora una squadra di sei persone capitanata dal pasticcere cuoco Luca Zucchini, classe 1988, già capo-pasticcere del ristorante dal 2011. AtelieReale è attrezzato di tutto punto: due forni rotativi, un’impastatrice a braccia tuffanti, una planetaria, due celle lievitatrici (una fermalievita e una a caldo),

Gian Piero Vivalda e Luca Zucchini controllano l’impasto Nuvola Reale

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una pezzatrice per i grissini e una seconda a tamburo per i lievitati, una temperatrice per il cioccolato, una sfogliatrice per i croissant, oltre ad abbattitore e cella frigorifera. Tutto quanto serve per produrre lievitati, biscotti, grissini e pane: questi ultimi sono il ‘ponte’ che lega il laboratorio al ristorante, dato che entrambi confluiscono nei cestini del pane. “Per noi si è trattato di un grosso investimento: abbiamo dato vita a una piccola azienda a tutti gli effetti, con le attrezzature migliori e ricette che migliorano di anno in anno”, racconta con orgoglio lo chef. E ha ragione di essere fiero della scelta: in poco tempo, il suo Panettone Reale è diventato ‘famoso’ e molto apprezzato in Italia e all’estero. “Capita spesso che mi chiedano quale sia il segreto: non c’è, a parte il fatto che usiamo materie prime top, lievito madre e una lunga lievitazione, e che seguiamo con attenzione e cura tutte le fasi di produzione”, dice Vivalda. Vediamole più da vicino, queste materie prime: le farine provengono rigorosamente da grano italiano, per i lievitati il burro di montagna è Inalpi, le uova sono


siamo noi che dobbiamo essere attenti e assecondarla”. Identica attenzione e cura viene dedicata ai grissini, l’altro pezzo forte di AtelieReale. “Anche questa lavorazione richiede molta manualità e un’accurata scelta delle materie prime: la ricetta classica prevede un 10% di olio extravergine d’oliva, e quindi per evitare che il mese dopo la produzione possa nascere sentore di rancido, usiamo olio taggiasco”, specifica lo chef. “Lavoriamo con un paio di frantoi, in modo da avere sempre a disposizione l’olio ottimale per le nostre esigenze”. I grissini vengono prodotti anche in altre varianti: con olive taggiasche, con crema Luca Zucchini, responsabile del laboratorio

fresche, l’acqua di sorgente alpina Sparea: al panettone tradizionale si aggiungono poi succo d’Uva Moscato d’Asti La Spinetta Bricco Quaglia e arance candite Agrimontana; stessi ingredienti per la Colomba Reale, più nocciole del Piemonte Igp e mandorle di Sicilia. E poi c’è l’ultimo nato, battezzato Nuvola Reale: impasto simile a quello del panettone, con doppia lievitazione (una prima di 12/14 ore e una seconda di 8 ore), cui segue cottura in forno e caratteristica fase di riposo a testa in giù. Rispetto al classico dolce natalizio, la ricetta della Nuvola però ha meno uova e burro, e il suo punto di forza è il ricco mix di frutta candita: amarene di Istria, fichi bianchi di puglia, albicocche di Costigliole, mandarino di Calabria, ananas e vaniglia in bacca fresca delle isole Vanuatu. Il risultato è un lievitato soffice che ricorda la veneziana, con in più quella freschezza e quel tocco di acidità conferita dalla frutta. Per le sue caratteristiche, la Nuvola Reale – in pezzature da 600 grammi – si va naturalmente a collocare nel periodo tra la Pasqua e ottobre. “L’idea di questo dolce mi è venuta ricordando quando a Wimbledon all’ora del tè vedevo servire un lievitato accompagnato da confettura”, racconta Vivalda. “C’è voluto un anno e mezzo per identificarne la struttura ide-

ale: la frutta candita che Agrimontana ci fornisce è volutamente molto delicata. E poi è un prodotto che ha i suoi tempi di lavorazione, e non va stressato”. La Nuvola Reale è stata presentata ufficialmente e servita per la prima volta lo scorso maggio sulle tribune dell’ultimo Monaco Grand Prix di Formula Uno a Montecarlo, in un privé alla presenza dei miglior pasticceri d’Europa. “Ma prima l’avevo già fatta assaggiare a molti miei amici chef, per avere un loro parere”, ammette Vivalda, aggiungendo che: “Tutto ciò che produciamo qui deve essere controllato continuamente. La lievitazione ad esempio avviene come e quando vuole,

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di pomodori bio secchi, con rosmarino e con farina integrale. E non finisce qui, perché il laboratorio, a seconda della stagione, sforna altri dolci tipici piemontesi come torta di nocciole, brutti ma buoni, baci di dama, paste di meliga, sabbiosini al cacao e caffè. “Questo nostro piccolo atelier sta facendo un po’ da apripista. Oggi ci troviamo a gestire una richiesta importante: sempre più clienti di un certo livello chiedono i nostri prodotti, mentre enoteche e drogherie di alta gamma vogliono poterli vendere”, dice con soddisfazione Vivalda. Nell’attesa che la Nuvola Reale venga servita a bordo campo a Wimbledon, alle 17 in punto. •


Protagonisti

Piano 35 riapre Il ritorno di Marco Sacco di Nadia Afragola

Lo chef bistellato del Piccolo Lago riprende in mano le redini della ristorazione del grattacielo torinese di Intesa San Paolo. E con lui troviamo una squadra di grandi professionisti Il grattacielo torinese di Intesa San Paolo firmato da Renzo Piano ospita il ristorante più alto d’Italia. Riapre a settembre con al timone un pezzo di storia della cucina italiana, Marco Sacco. Ma prima di parlare di quello che sarà, facciamo un piccolo riassunto delle puntate precedenti per chi si fosse sintonizzato solo ora. Allora, Piano 35 ha aperto sotto i migliori auspici (ma con le perplessità di chi ne sa, ndr). Ha cambiato “capitano”, dopo appena un anno, a maggio 2017 via lo chef Ivan Milani, spazio al secondo Fabio Macrì. Poi ha chiuso tra infinite polemiche. E infine ha riaperto a settembre dello scorso anno con Marco Sacco, due Stelle Michelin, da oltre un decennio, in quel di Verbania. Nel mentre la gestione del tutto ha fatto, ancora, discutere. Tanto. E dopo aver cambiato tre cuochi in soli due anni e mezzo di attività, ristorante e lounge-bar a fine 2018 sono rimasti senza società di gestione: il contratto con Affida s.r.l. scaduto alla mezzanotte del 31 dicembre, non è stato rinnovato. E così Piano 35 e lounge bar hanno chiuso nuovamente al pubblico, fino a nuovo ordine. Nelle scorse settimane però un nuovo capitolo nella vita del grattacielo è ufficialmente iniziato. Dal 3 settembre infatti, lo chef Marco Sacco, patron bistellato del

Cinzia Ferro insieme a Marco Sacco

“Piccolo Lago”, ritorna al Piano35, come gestore in proprio della ristorazione, del lounge bar (37imo piano) e dello spazio al 36imo piano adibito agli eventi privati. Con lui nella serra bioclimatica troverà casa anche la barlady ( e bar manager) Cinzia Ferro, nome di prestigio nel mondo della miscelazione, la cui creatività da sempre è ispirata dal mondo dell’arte . Il ristorante manterrà i 60 coperti (a cena) e avrà tre differenti proposte, ognuna di quattro o di sette portate a seconda che si scelga la versione light o completa. Spazio quindi ad un menù Piemonte, un menù Mediterraneo e uno denominato “Piccolo Lago” che permetterà a quanti lo vorranno di conoscere i piatti che nell’omonimo ristorante hanno reso famosa la famiglia Sacco. Marco Sacco è per tutti “lo chef del lago”, perché è li che è nato ed è li che è tornato per fare la differenza. Cresce dentro una cucina, quella del padre ristoratore, al

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Cinzia, barlady di ferro

quale da giovanissimo confida la volontà di diventare uno “chef stellato”. C’è la Francia nella sua gavetta ma anche tanta Asia. Nel 2004 arriva la prima Stella Michelin, nel 2007 la seconda… per lui mangiare bene è un investimento culturale e non è un caso che il 30 maggio scorso abbia inaugurato ad Hong Kong Castellana, il primo ristorante in cui viene celebrata la cucina piemontese. Con che cadenza la vedremo a Torino? Ho dalla mia una fortuna: i tanti anni di esperienza al Piccolo Lago, con la mia “community” dove far crescere le persone, individuando così i più talentuosi da far diventare professionisti, capaci di andare in altre strutture e camminare sulle proprie gambe. Questa è la sesta apertura come imprenditore della famiglia Sacco, molte menti che saranno qui arrivano dal mio Lago perché si sono formate li, ecco perché sono così fiducioso. Io poi sarò il drone che si muove di qua e di là. Se Torino fosse un piatto, cosa sarebbe? Il vitello tonnato: cremoso, sostanzioso, dolce e sapido, esteticamente sabaudo, infatti sarà sempre in carta. Cosa dobbiamo aspettarci dal Menu Piccolo Lago? I classici: la città di Torino deve conoscere chi sono, ma so già che qui nasceranno dei nuovi piatti e non è detto che questo andare e tornare non mi spingerà a portare dei piatti da Torino al Lago. Il suo piatto icona, qual è? La carbonara “alla Koque“, una visione dell’italianità, il piatto più conosciuto al mondo, pensato 25 anni fa, mai cambiato, eppure tanto attuale. Avrete degli orari flessibili?

È una delle bar manager d’Italia più affermate, proprietaria attualmente dell’Estremadura Café di Verbania, punto di riferimento per il mondo della mixability. Circa 400 cocktails in carta, 700 etichette di distillati e di liquori, oltre 1000 etichette di vino e una interessante proposta food fanno del locale, rilevato da Cinzia, insieme al compagno Stefano un punto di riferimento dei cocktail bar del Nord Italia. L’abbiamo incontrata a Torino, subito dopo la conferenza stampa di presentazione del nuovo progetto che la vede tra i protagonisti, nella serra che ambisce a essere qualcosa di più di una scenografia, per farsi ispirazione a 150 metri di altezza: “Non ho mai guardato niente e nessuno dall’alto in basso, ma stavolta mi toccherà farlo. Guardo Torino da quassù, insieme alla sua arte, la sua storia, i suoi giardini, i suoi tramonti e lo faccio con occhi pieni di passione”. Come è nata l’idea di venire qui a Torino? Conoscevo già da tempo la location, il fascino mi ha catturato subito, chiaramente. Tutto è nato grazie ad una proposta di Marco (Sacco, ndr), da anni collaboro con lo chef, ci piace pensare di essere bravi a giocare e sperimentare insieme in armonia… Se Torino fosse un cocktail cosa sarebbe? Qualcosa di complicato, bellissimo ed affascinante allo stesso momento, che racchiuda la storia e la poesia che caratterizzano da sempre questa città. Dici Torino e pensi al Vermouth che io amo. Non per caso quattro anni fa mi sono inventata “Vermouth sul lago” un evento che si tiene a settembre sul lago Maggiore, che ospita tutti i produttori ed è la mia dichiarazione d’amore verso questo prodotto. Con che cadenza la vedremo a Torino? Nel primo periodo quasi sempre, oserei dire poi ci sarò almeno tre giorni la settimana e quando non sarò presente io, a fare il mio ci sarà Luca Menegazzo, mio collaboratore da quasi un decennio, mio braccio destro e all’occorrenza anche sinistro. Andremo insieme a creare uno staff molto torinese, come è giusto che sia ma o io o lui saremo sempre qui. Quella di abbinare i cocktail ai piatti non è più solo una moda, vero? Il food pairing è una meraviglia, è ispirazione e succede spesso che gli chef mi facciano leggere una loro ricetta e mi si materializzi in testa subito l’abbinamento di un cocktail. Non parlo di quello che era il foodpairing agli inizi, della perfetta unione molecolare ma di semplice armonia tra un cocktail e un piatto. Nel suo spazio oltre al bere ci saranno anche delle proposte gastronomiche? Assolutamente sì, per permettere a quanti, magari in tarda serata, vorranno stuzzicare qualcosa. Torino è la citta del caffè. Avrete una proposta di cocktail dedicata? Assolutamente sì, spazio sia a cocktail ghiacciati, che caldi legati al caffè. Pensate all’inverno e immaginate il nostro spazio come un grande giardino, super accogliente, dove tanti, piccoli accorgimenti renderanno indimenticabile la vostra serata.

Lo spazio centrale è aperto dalla mattina alla sera e lì verranno costruiti dei pacchetti ad hoc. Il ristorante a pranzo apre a mezzogiorno, per chiudere alle 14.30; riapre poi dalle 19 fino alle 22.30. La lounge apre dalle 18.00 alle 2.00 del mattino, con la sua proposta di aperitivi, con il food abbinato e la possibilità di mangiare dei piatti in base alle esigenze dei clienti. Nel complesso mi sembra un lasso di tempo interessante per i turisti e i torinesi. Avrà dei cocktail dedicati al ristorante che possono essere bevuti solo lì? Si, immagino una carrucola che dalla lounge arriva al ristorante, pensiamo alle bottiglie, firmate e dedicate in cui

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ci sarà il drink, con accanto il bicchiere ghiacciato. Abbiamo spazi diversi, enormi, o usiamo dei paracadute, o iniziamo a giocare e vediamo poi cosa accade. Lavorerà per essere lo chef del primo ristorante stellato dentro una banca? Non è impensabile lavorare in quella direzione. Banca Intesa San Paolo è avanti in questo, basti pensare allo spazio su Milano occupato in banca da Iginio Massari: entri e da un lato prendi i soldi, dall’altro prendi un cannolo di Iginio. Mi impegnerò in tale direzione poi se arriva, arriva. Lavoro per la mia clientela e le guide faranno altrettanto con i loro lettori e daranno, se lo riterranno opportuno, un riconoscimento a questo spazio. •


Concept

Cucina vitale incentrata sulla stagionalità di Arianna Augustoni

Il giovane chef Massimiliano Volonterio è il nuovo responsabile del Palmaria Restaurant del Grand Hotel Portovenere, in provincia di La Spezia Ironico, audace negli accostamenti e decisamente creativo. Massimiliano Volonterio è il nuovo chef del Palmaria Restaurant di Porto Venere. Una cucina vitale e concentrata sulla stagionalità dei prodotti. Classe 1980, ha origini lariane e sul lago ha iniziato ad avvicinarsi a questo mondo, sulle orme delle donne di famiglia. Sua mamma e sua nonna avevano infatti una gastronomia nella frazione di Piazza Santo Stefano a Cernobbio. Un’infanzia vissuta tra profumi forti che caratterizzano il pesce di lago e quelli più dolci che i bambini sono soliti ricordare per tutta la vita. La sua idea di cucina è sicuramente gentile e accondiscendente, pronta a rispondere ai palati dei clienti, senza forzare la mano con sperimentazioni troppo spinte perché le persone, soprattutto gli stranieri, sono alla ricerca di una cucina italiana semplice e profumata. Dopo la formazione all’Istituto alberghiero Carlo Porta di Milano con stage al Savini e agli Orti di Leonardo, consolida la sua carriera a Villa D’este e i suoi mentori sono gli chef Luciano Parolari e Michele Zambanini. Dopo un’esperienza triennale a Londra, diviene sous-chef di Stefano

Risotto Passion-fruit e tartare di gambero di Mazzara

Cavallini, primo chef italiano ad avere ottenuto la stella Michelin in Inghilterra, torna in Italia per lavorare alla corte di Ducasse all’Andana Relais. Notato dai grandi imprenditori del settore, viene chiamato come Executive chef al Tombolo Talasso Resort, fino ad approdare al Grand Hotel Portovenere, forte delle proprie esperienze. “La cucina richiede attenzione e creati-

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vità, spirito di innovazione e, soprattutto, una grande fermezza, sia nel gestire i piatti da inserire nei menù sia nell’organizzazione della brigata – esordisce Massimiliano Volonterio –. Per uno chef, comunque, non deve mai mancare la voglia di fare ricerca e di sperimentare. La passione che ti lega a questa professione è fortissima e, solo nel corso degli anni, ti rendi conto che, attraverso il tuo lavoro, riesci a comunicare nuovi messaggi e nuove sensazioni. Nel menù del Palmaria Restaurant gli ospiti potranno trovare nei piatti sapori e tecniche che ho avuto occasione di sperimentare in diverse esperienze. La cucina del celebre Chef Gualtiero Marchesi rimane il primo riferimento da cui trarre ispirazione. Ricerco, infatti, per lo più piatti genuini e gustosi con una grande attenzione alle materie prime del territorio. In carta, la cucina italiana la fa da padrona, nelle sue sfaccettature regionali e locali, con uno sguardo attento ai presidi Slow Food”. •


Lo chef Massimiliano Volonterio

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Protagonisti

Storie di passione Esempio di autodidatta

Stefano Callegari

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di Maurizio Bertera

Stefano Callegari, romanissimo, ha lasciato Alitalia per aprire locali di successo fra la capitale, New York e Torino. Un imprenditore coraggioso e che ama l’innovazione In un periodo dove la pizza sta producendo – giusto o sbagliato che sia – dei ‘maestri’ che si sentono chef, ci sono pizzaioli che si sentono tali, anche se facilmente sono più bravi di quelli che vanno ai congressi o sulle copertine. Stefano Callegari, romanissimo, classe 1968, sorriso contagioso, non è manco un ‘pizzaiolo’. Per noi rappresenta la cara vecchia pizza, quella del sabato sera con la famiglia e del giovedì dopo la partita di calcetto. Diretta nel gusto ma non semplice, popolare ma non popolana, con topping corretti, buoni ma non pretenziosi. E poi è mister Trapizzino che rappresenta una sintesi mirabile tra storicità e innovazione dello street food. Non male per chi una quindicina di anni

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Protagonisti

Trapizzino, grandi cocktail… E 120 etichette

Prima all’interno di Mercato Centrale a Porta Palazzo poi piazza Carlo Emanuele II, meglio conosciuta come piazza Carlina, sede nel 1700 del mercato del vino. In un solo mese, Trapizzino ha raddoppiato nel capoluogo piemontese ed è interessante vederne l’evoluzione pensando al futuro del brand: il nuovo locale si chiama Trapizzino-La Vineria.
occupa uno spazio spettacolare (soffitti alti sette metri, stucchi e affreschi sulla volta e grandi vetrate con affaccio sulla piazza) e potendo contare sul prossimo dehors – potrà ospitare sino a 160 persone. Ogni servizio prevede 5 gusti classici e 3 del giorno a rotazione tra le 30 ricette che compongono la proposta più qualche concessione al territorio vedi il Torino-Roma (Salsiccia di Bra, tuorlo, pepe e Castelmagno), qualche ‘ospitata’ di colleghi (con le ostriche di Corrado Tenace) e qualche provocazione come il Dolce Trapizzino Triplo Cioccolato: una sacher con il ripieno del cuneese, pan di spagna al cioccolato, ganache al rhum, ricoperta di cioccolato fondente croccante; servito anPaul Pansera che al piatto con gelato. La Vineria è invece il luogo per gli appassionati del buon bere. La carta dei vini supera le 120 etichette scelte con passione e competenza da Paul Pansera: non mancano Champagne e c’è la giusta attenzione al Piemonte, Proposte che si potranno godere in bottiglia o al calice e che regalano una veste inedita al Trapizzino,.
La cantina si accompagna a una lista di Cocktail fatta di grandi classici: miscelati, non shakerati. Spazio a Gin tonic e Martini, un omaggio al Vermouth- istituzione torinese - con il Vermouth Del Professore Riserva Speciale Trapizzino.
Una riserva speciale in edizione limitata, prodotta a partire da una esclusiva ricetta, dedicata al famoso angolo di pizza farcito. Più artigianalità italiana di così…

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fa era ancora steward dell’Alitalia e oggi quando manca uno dei trenta pizzaioli sparsi nei suoi locali si mette al forno, con la gioia di sempre. Ma riavvolgiamo il nastro. Callegari, lei non solo è autodidatta ma pure non è il classico figlio d’arte. Un miracolo… Ma no, è che ho sempre avuto una passione per i forni. Sono cresciuto intorno a un negozio di Prati, dove un fornaio faceva cose buonissime e 20 anni mi prese come garzone. Guardavo e imparavo. Poi mi piaceva preparare le pizze a casa per gli amici che facevano un sacco di complimenti ma restavo comunque un buon dilettante. Quando ha capito che invece aveva la capacità di essere pizzaiolo? In un villaggio turistico dalle parti di Roma, dove facevo l’animatore. Mancava il responsabile della pizzeria e mi sono offerto per una prova: sono rimasto otto mesi, con i clienti che non volevano mollassi il posto… Era il 1992 ma solo tredici anni dopo ho deciso di farne una professione, licenziandomi dall’Allitalia, per aprire Sforno. Poi sono arrivate 00100 e Tonda, altre pizzerie di successo citate nelle guide ‘serie’, a partire dai Tre Spicchi del Gambero Rosso, Sono contento ovviamente in realtà ho creato più locali non per inseguire riconoscimenti ma perché da appassionato cliente quale sono, mi piaceva dare la possibilità ai romani di fare meno strada per assaggiare il mio lavoro…E lo stesso concetto è alla base del Trapizzino che si può gustare non solo a Roma. Ma dietro la leggenda, come è nato realmente? Partendo dalla pizza bianca che a Roma è un must: volevo che potesse essere usata per un ripieno gustoso, non asciutto come la mortadella, da gustare anche in piedi. Ma non trovavo la quadratura. Poi una notte mi sono detto: “perché non usare l’angolo di una pizza, piegato a forma di tasca?” Ho fatto vari esperimenti


e ha funzionato. Ora utilizzo l’impasto di una pizza bianca - ovviamente a modo mio – la cuocio nel forno elettrico e in teglia. Continuo a mettere a punto nuove farciture perché al pubblico piace cambiare, senza abbandonare quelle storiche. La mia soddisfazione è che ricevo centinaia di proposte per aprire punti vendita, ma vado con i piedi di piombo. Mai saturare il mercato. New York, Milano e ora Torino: posti molto diversi: eppure piace a tutti. Nel primo caso, hanno una storia enorme di street food e amano i sapori particolari: loro nel Trapizzino vedono la romanità del gusto, la nostra golosità. Milano è ormai una città con il pubblico più internazionale in Italia e dovevamo esserci. Torino all’inizio mi spaventava ma dopo la prima esperienza al Mercato Centrale, mi sono deciso ad aprire la Vineria (vedi box) in Piazza Carlina: un posto bello,

spazioso, dove bere bene e mangiare seduti. Poi va detto che i piemontesi hanno un senso innato per il buon cibo. Lasciamo il Trapizzino. Se l’aspettava il trionfo della pizza negli ultimi anni? Ai livelli attuali onestamente no. E’ stato un insieme di situazioni favorevoli: il costo contenuto a meno di pretendere una pizza gourmet, la forza della tradizione, un’idiosincrasia atavica per l’alta cucina e anche il fascino del prodotto: la fiamma del forno a legna, il fatto che ogni pizza non sia mai uguale a un’altra, i colori del topping…Guardi che sono

Le insegne di Callegari

Sforno, Tonda e Sbanco. Anche nelle insegne, Stefano Callegari ha talento. Tre locali di forte impronta romana ma con una visione internazionale, dove emerge l’innata capacità di far stare bene la gente ma anche l’applicazione sul prodotto, a partire dall’ impasto. Lo si intuì all’apertura di Sforno dove ‘impose’ al pubblico del quartiere Cinecittà e poi ai neofiti - che si spostavano in via Statilio Ottato 116 - il culto per il lievito madre acido di 200 anni, le cotture portate al limite del bruciacchiato nel forno a legna, gli ingredienti di prim’ordine e la fantasia nell’assemblaggio. Qui sono nati pezzi da maestro come la mitica Cacio e Pepe, la spiazzante Greenwich con blue stilton e riduzione di Porto, la provocante Fumo con provola affumicata e speck altoatesino. Ma l’intelligenza di Callegari è stata concentrarsi sulla pizza, senza abbandonare il contorno che poi non è tale: così nella carta di Sforno, erano presenti sin dall’apertura fritti gustosi, dolci curati e un’ampia lista di birre artigianali, alla spina come in bottiglia. Dall’esperienza di Sforno ne ha beneficiato Tonda, in via Valle Corteno 31: da dieci anni resta al vertice del gradimento per i pizzofili capitolini, grazie anche a esperimenti molto riusciti tipo il ‘rosettone’, una pizza a forma di grande rosetta farcita in modo diverso per ogni spicchio: scarola e olive, cotoletta di pollo, ventricina. Quanto a Sbanco, l’ultima nata in via Siria 1, è il posto giusto per concedersi oltre alle pizze qualche ‘extra’ super golosi e ultra saporito cui Stefano ci ha abituati da tempo: dal supplì con la coda alla vaccinara alla perfetta mozzarella in carrozza e ‘nduja. E naturalmente ai trapizzini nelle versioni più diverse.

aspetti importanti Ma non trova che se ne parli sin troppo seriamente, rischiando di perdere la filosofia secolare che l’ha portata al successo? Buona domanda. Senza dubbio è stato importante e giusto dare finalmente attenzione a un cibo amatissimo ma sottovalutato. Però non bisogna stressare i clienti sul racconto, su come si fanno gli impasti, sulle qualità delle farine…Ora l’aspetto nutrizionale è importante, la salute ancora di più ma non amo i percorsi troppo lunghi. Quindi? Forse perché ragiono da appassionato, a me basta che la pizza sia cotta bene, con un topping gustoso, e possibilmente bella. In questo senso, per me ultimamente si utilizzano troppo le farine integrali e ne escono pizze bruttine e poco goderecce. Ma sono scelte personalissime di colleghi che stimo, sia chiaro. A proposito – al pari di pizzaioli, lievitisti e pasticcieri vari – anche lei sostiene che l’impasto è qualcosa di vivo?

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Lo so che sembra folle, ma un impasto riconosce la mano di chi lo lavora. C’è come uno scambio di energia e al di là della qualità della farina, se la persona non lo ‘interpreta’ con passione, al risultato finale mancherà sempre qualcosa. Chiudiamo parlando di scuole, perché lei è considerato uno dei big di quella romana. Come si stanno evolvendo? I pizzaioli del Nord sono molto ‘scientifici’ nella preparazione dell’impasto e raffinati nella ricerca del topping, credo di non esagerare dicendo che sono degli chef della pizza. Quanto ai napoletani, è evidente che lavorano benissimo seguendo la tradizione e quindi guardano con un occhio tutto loro all’innovazione. Penso che la scuola romana sia la più pratica, diciamo la più smaliziata perché qui devi proporla tonda, in teglia, bianca, gourmet… E’ un mercato vivo, importante nei numeri che conta anche sul lavoro di grandi fornai. Forse per questo, i giovani della Capitale diventano rapidamente bravi e vincono le manifestazioni a livello nazionale. •


Anniversari

Corazziere e Silvio 100 anni di storia di Pier Paolo Chirulli

In provincia di Como, quest’anno, due ristoranti festeggiano i loro primi cento anni di vita e di successi. Due voci fuori dal coro, ma caratterizzate dall’imprenditorialità di chi le guida Stiamo parlando del “Corazziere” di Baggero e del “Silvio” di Bellagio. Due località, in contesti molto diversi, che ospitano questi storici locali in grado di resistere trionfali a tutte le vicissitudini del tempo che hanno attraversato. Al giorno d’oggi siamo abituati a vedere aprire e chiudere a distanza di poco tempo osterie, trattorie, ristoranti, e ultimamente anche “mangiatoie” che con la ristorazione hanno ben poco da spartire, quasi sempre per mancanza di professionalità e molta approssimazione. Cosa credono, che si possa passare dal fuoco dei copertoni a quello dei fornelli con così tanta facilità? E che dire dei ristoranti agonizzanti tenuti in vita attraverso accanimenti terapeutici che lasciano perplessità di ogni genere?

In questo contesto desolante, Corazziere e Silvio, seppur differenti fra loro per storia e format, sono da considerarsi voci fuori dal coro, non solo per la longevità ma per la passione, l’attaccamento al lavoro e la costanza dimostrati in questo burrascoso secolo di vita. Nel 1919, in una Brianza che faceva i conti con la grande guerra appena terminata, a Baggero, una frazione del comune di Merone, sulle rive del fiume Lambro, allora ricco di parecchie varietà di pesce (compresi i famosi gamberi che abbondavano sulle tavole delle più importanti famiglie nobili milanesi di quei tempi), Giuseppe Camesasca, apriva l’Osteria dei Pescatori, subito ribattezzata con il nome storico. “Corazziere”, in quanto, Giuseppe, in virtù della sua altezza e prestanza fisica, aveva fatto parte dello squadrone dei Corazzieri a Roma, servendo per lunghi anni Vittorio Emanuele III, svolgendo pure un ruolo importante in sua difesa durante l’attentato anarchico del 14 marzo 1912, contribuendo a salvare l’incolumità dei Sovrani. A dar man forte, qualche tempo dopo, giunse il figlio di questi, Armando Camesasca, capace di rendere sempre più smaltato questo ristorante di qualità nella verde e laboriosa Brianza, tanto da farlo diventare negli anni ’70 la mèta preferita

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In questa pagina: tre immagini riguardanti il ristorante “Il Corazziere” di Baggero (Co); nella pagina a fianco: il ristorante “Silvio” di Bellagio (Co)


dei villeggianti milanesi e dei facoltosi industriali, specie del mobile, che lì andavano con i loro clienti provenienti da ogni parte d’Europa. Oggi a mantenere in alto il mitico nome del “Corazziere” c’è la terza generazione dei Camesasca, con Andrea in primis. I quali hanno condotto il ristorante a una nuova dimensione, adeguandosi ai tempi moderni ma tenendo conto anche delle radici tradizionali. Importante è la loro opera a salvaguardia dell’ambiente, che sogna di rivedere una grande Brianza verde con i fiumi limpidi, puliti e pescosi come cento anni fa. Il Lario è considerato da taluni il lago più bello del mondo, dove, circolando per gli stretti e tipici vicoli, in “stagione”, si possono incontrare personaggi famosi di ogni genere, compresi quelli della cultura. Bellagio, situata all’origine della biforcazione dei due letterari rami, ne è la sua perla. Qui, un secolo fa, nasceva ad opera di una famiglia di pescatori locali una osteria che ancora oggi porta il nome di uno di loro: Silvio. A Silvio Ponzini non bastava pescare. Si dilettava a cucinare il

pescato del giorno in maniera tradizionale e schietta. La clientela apprezzava quel genere di proposta e Silvio intuì le potenzialità. Il “Silvio”, ben presto, da osteria a conduzione famigliare si trasformò in un qualcosa che sarebbe rimasto alla storia. In una pigra cornice di grazia, affacciato proprio sopra il lago, con una vista mozzafiato, il ristorante è riuscito con il tempo a diventare famoso attirando attraverso il passaparola amanti del pesce di lago e del suo semplice modo di cucinarlo. Tempo ne è passato, ma il “Silvio” non ha mai cambiato la sua regola: sulle tavole del ristorante va servito pesce uni-

camente frutto della pesca quotidiana dei Ponzini. Regola rispettata con orgoglio e virtù da Cristian, figlio del mitico Silvio, che per anni ha affiancato sulle barche e nelle cucine il padre, e che oggi regge sapientemente il peso della storica eredità. È riuscito infatti a traghettare il “Silvio” nelle molteplici realtà dei nostri giorni, senza però discostarsi dalle fondamentali origini e tradizioni. “Corazziere” e “Silvio” hanno vissuto intensamente questo frenetico secolo, il secolo dei cambiamenti epocali. Ma questi cento anni non hanno cambiato le idee e le passioni dei ristoratori alla base di queste eccezionali realtà,

anzi, si può dire che le hanno rafforzate, rinsaldate. Due ristoranti quanto mai diversi, ma accomunati dall’amore che una famiglia ha incondizionatamente riversato in loro, cementandone le fondamenta, di modo da resistere alle inevitabili difficoltà, uscendone ogni volta rafforzati. Celebriamo allora non i primi cent’anni di questi storici ristoranti, ma l’inizio del loro secondo secolo di vita, persuasi che il tempo passerà per ognuno, ma sempre con il piacevole ricordo di Giuseppe in alta uniforme che spalanca le porte della sua osteria, e di Silvio che ritira le reti piene di pesce fremente, pensando a come, di lì a poco, lo avrebbe preparato. •

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Alberghi

Excelsior Hotel Gallia, il talento dei Lebano di Maurizio Bertera

La suggestiva terrazza del Gallia

Uno degli hotel più belli ed esclusivi di Milano, con la ristorazione della Terrazza curata dai fratelli Cerea Nessun dubbio che l’Excelsior Hotel Gallia sia uno dei migliori “frutti” della nuova Milano. Nuova in questo caso vuol dire rinata, visto che il grand hotel (re) inaugurato nel 2015 nacque nel 1932: ci voleva Katara Hospitality – uno dei fondi sovrani dell’Emirato del Qatar – per riportarlo ai suoi fasti, con una spesa vicino al mezzo miliardo di euro. Ne è valsa la pena: il cinque stelle della Luxury Collection di Starwood è una delle più lussuose strutture in Europa (basti pensare alle 500 opere d’arte diffuse e al lampadario in vetro di Murano alto 30 metri che sovrasta la hall…) con 235 camere e 53 suite contraddistinte da uno stile unico. Per la cronaca, la Katara Royal è la più grande suite in Italia, con i suoi 1.000 mq di superficie mentre l’hotel dispone anche della prima Shiseido Spa italiana, estesa su due piani. A valorizzare ulteriormente la struttura, c’è Terrazza Gallia che si affianca alle altre due unità ristorative: Gallia Lounge Bar (aperta a colazione, pranzo e cena) e Gallia Restaurant (solo a colazione). Ma torniamo al settimo piano, con una spettacolare vista sulla piazza della Stazione Centrale e i dintorni: una lunga terrazza e un grande spazio al chiuso, in tutto, circa 150 coperti. “L’hotel è aperto alla città – sottolinea l’esperto general manager Marco Olivieri – chiunque può venire a pranzo, a cena, a bere il tè o l’aperitivo. Il bello della Terrazza Gallia è che è quasi

La mise en place del ristorante

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Da sinistra: Antonio e Vincenzo Lebano

un all day dining con apertura dalle 12.30 alla una di notte, fatto di varie realtà che si sovrappongono puntando sempre sulla qualità”. Per esempio, si può bere tutto il giorno al bar, con la possibilità di consumare uno snack sino alla mezzanotte. Al pranzo è dedicato l’arco orario dalle 12.30 alle 14.30, alla cena quello dalle 19 alle 22.30. E non mancano gli spazi privati: l’elegante saletta Maserati per il ristorante e Montefiore, a place for gin, pensata e realizzata in collaborazione esclusiva con Plymouth Gin e da un’idea di Giovanni Fiorin. Immersa in un piccolo giardino interno in stile tropicale, offre otto selezionati coperti, un mini-bancone equipaggiato con gin station e mixologist dedicato. A vigilare su Terrazza Gallia, sin dall’apertura, c’è l’ineffabile occhio dei fratelli Cerea che strada facendo hanno creato un business lunch in 45 minuti (due portate e piccola pasticceria a 40 euro) e la Domenica Italiana, brunch in stile familiare e italianissimo, basato sui piatti classici. Da elogiare l’idea di un prezzo diverso a seconda l’età di chi siede a tavola: sino a tre anni non si paga, da 4 a 12 anni il costo è di 32,50 euro e al di sopra si spendono 65 euro a persona, bevande escluse. I Cerea hanno fatto un

vedi l’immancabile Cotoletta alla milanese per due persone o le ricette vegetariane. Ci limitiamo a citare un piatto per sezione, apparso particolarmente valido: Insalatina tiepida di pesci e crostacei al vapore; Spaghettoni Masciarelli “Miseria e Nobiltà” pane atturrato e caviale Asetra; Ricciola alla brace con pomodoro del Piennolo e scarola riccia all’olio Evo; Cannolo di meringa, cioccolato all’eucalipto, mango e mela verde. Due i menu degustazione, Oltre il mare a 80 euro e Mediterraneo a 100 euro, entrambi disponibili con pairing. A proposito di vino, la cantina vanta un migliaio di etichette, con tutti i grandi classici ma anche ‘chicche’ di piccoli produttori: è ben curata dal 29enne Paolo Porfidio, laureato in enologia all’Università di Milano e con un debole (sottoscrivibile) per le annate Filetto di manzo, pochè di patate alle erbe, storiche, italiane e francesi. Vini al top morchelle e rapa bianca ma anche una drink list tutta da scoprire, prima e dopo l’esperienza a tavola, o per un aperitivo ‘rinforzato’ dagli eccellenti finger food dei Lebano. Simpatica l’idea di denominare i cocktail della casa con i nomi di dieci stazioni ferroviarie italiane: si può sorseggiare un Centrale a base di Plymouth gin, infuso allo zafferano, rabarbaro Zucca, Ramazzotti come un Brignole realizzato eccellente lavoro anche con Havana 3 rum, su Antonio e Vincenzo liquore alla rosa, sciLebano: i ‘guaglioni’ a cui roppo di basilico e hanno affidato il ristoolive, limone, soda. rante sembrano davvero Triglia nel mare, zuppetta di bouillabaisse, “Anche questa novità arrivati alla meta. Perché alga Kombu e tartufi di mare fa parte del progetto la loro cucina – liberache stiamo portando ta da qualche fronzolo avanti a 360° – spiegiovanile e senza contaminazioni – non ga Stefano Carnelli, impeccabile venue devia mai dalla rotta di un’italianità piamanager di Terrazza Gallia, anche lui cresciuto alla scuola dei Cerea – perché cevole, interpretata in modo contempoal di là della qualità generale di un’offerta, raneo e ‘solare’ come deve essere fatto da articolata e completa, come la nostra, è il due trentenni campani, cresciuti con un gusto innato per il prodotto e successiconcetto dell’accoglienza a guidarci ogni vamente alla scuola di Brusaporto. Bravi giorno”. Niente di strano: gusto, allegria con le proposte di pesce e nei primi, i (e grande servizio, come lo si trova qui) Lebano non deludono sugli altri fronti sono patrimonio storico dei Cerea. •

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BR

B a r | Al b e r ghi | Ristoranti

Una presenza ancora più forte e una penetrazione più capillare: BARtù è nelle VIP Lounge degli aeroporti di Malpensa, Linate, Bologna, Napoli, Firenze, Verona, Venezia; nell’esclusiva location milanese Clubhouse Brera e nelle edicole Hudson News degli aeroporti di Malpensa, Linate e Stazione Centrale di Milano.

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Alberghi

Epoque Hotel a Bucarest Stile classico e alta cucina 68

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di Gualtiero Spotti

Questo Relais & Chateau nella capitale della Romania colpisce per la gestione professionale e la cura della ristorazione, guidata da un talentuoso chef francese La facciata dell’albergo Epoque, con un po’ di fantasia, riporta alle suggestioni cinematografiche di Grand Hotel Budapest, il brillante film firmato da Wes Anderson qualche anno fa, ma qui siamo nella vita reale, in Romania, nella quasi omonima capitale Bucarest e l’hotel, che presenta un look un po’ classico, ha una storia decisamente recente da raccontare, visto che è stato inaugurato solo pochi anni fa, nell’autunno del 2010. L’Epoque si trova ai margini del rigoglioso parco Cişmigiu, che lo separa del centro cittadino, ed è un’oasi di tranquillità preziosa in un quartiere ideale per chi vuole visitare la capitale rumena restando a distanza moderata dall’imponente Palazzo del Parlamento (uno degli edifici più grandi al mondo ed eredità dell’era Ceausescu) e dal rutilante e vivace via vai delle strade che ruotano intorno a Calea Victoriei. Entrato a far parte da poco tempo della prestigiosa raccolta di alberghi di Relais & Chateaux (ed è l’unico in Romania con il ristorante Le Bistrot Français, anche questo a Bucarest), l’Epoque coltiva un certo gusto per l’art de vivre e per l’ospitalità vecchio stampo, come si evince non solo dall’ambiente, ma anche da molti dettagli e dai servizi offerti. A partire dalle biciclette che sono messe a disposizione degli ospiti per muoversi agilmente alla scoperta della città. Il grande salone che accoglie gli ospiti nell’area del lounge bar celebra poi in alcuni dipinti ai muri le figure preminenti della cultura rumena, da Constantin Brancusi alla cantante Maria Tanase, mentre la Spa sotterranea presenta un’area piscina moderna e funzionale cui si aggiunge una lista di trat-

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Alberghi la sua seconda casa, non solo professionale. Dopo aver frequentato diversi ristoranti stellati in patria è stata proprio l’occasione di trascorrere del tempo in Romania a stimolare la curiosità del cuoco e a convincerlo nel costruirsi un futuro in salsa balcanica. L’approdo a L’Atelier è stato infine il riconoscimento naturale delle sue capacità ai fornelli già messe in evidenza attraverso consulenze, aperture di locali e partecipazioni (queste più recenti) a talent gastronomici e programmi televisivi dedicati al mondo del food. Il suo stile non può che essere un curioso e

tamenti e massaggi per chi vuole lasciarsi coccolare. Uno dei punti di forza qui rimane però la cucina, firmata dal francese Samuel Le Torriellec nel delizioso e minuscolo ristorante de L’Atelier, ospitato in una terrazza chiusa e a semicerchio con vista sull’esterno dell’hotel. Samuel Le Torriellec non è un novellino capitato per caso a cucinare nell’est Europa ed è, di fatto, un rumeno d’adozione visto che si è trasferito dalla Francia ormai da circa undici anni e ha trovato a Bucarest il suo ambiente ideale,

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stimolante incrocio di tradizione francese e rumena (e qualche incursione italica), un po’ per soddisfare le esigenze di una clientela, quella dell’hotel, a metà strada tra l’internazionale e il locale, e un po’ per comprensibili scelte dettate dalla formazione professionale e di approvvigionamento della materia prima. Molta della


vongole e pak choi, il Rombo alla Rossini con millefoglie di patate e timo, o il Branzino cotto nel burro con spugnole e una salsa al pesto. Ed è un’esperienza che si può definire a tutti gli effetti da fine dining in una città che per la scena gastronomica e per la capacità di spesa dei suoi abitanti solo negli ultimi tempi ha saputo dare segnali interessanti di cresci-

quale arriva si dalla Francia (certe carni, ad esempio), anche se poi le verdure e la frutta sono recuperate quotidianamente da alcuni dei principali mercati di Bucarest come i fornitissimi Obor (il più grande in città) o il vicino e più a portata di mano di Piata Matache. Ma veniamo ai piatti del menu, che raccontano con buon senso la storia della Romania in tavola presentando un classico Borsch,

ovvero la zuppa di barbiabietola della Bucovina arricchita da una tartare di erbe; il Fegato della gallina con un’insalata e mousse di uova, il Maiale mangalitza alla griglia con timo e verdure o l’Orata con mousse di polenta e formaggio Telemea. E ovviamente la Francia, come dice bene la Terrina di fegato d’anatra con zenzero, rabarbaro e peperoncino, il Pavé di salmone in crosta di olive Kalamata con

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Lo chef Samuel le Torriellec

ta verso cultura del cibo presso le nuove generazioni. Samuel Le Torriellec nel suo menu si diverte, sicuramente, a mischiare le carte e a gettare qualche nuova intuizione all’attenzione di una clientela attenta a quanto arriva nel piatto. Anche quando si tratta di paste all’italiana, come nel caso dei Paccheri al polpo o dei Tortelli fatti in casa, con ricotta e spinaci, e una crema vellutata al Parmigiano. Il resto della proposta de l’Atelier si completa con solidi e convincenti piatti di carne, come accade in quasi tutti gli Stati balcanici, tra una Faraona cucinata sous vide e una Tenderloin con patate e salsa al tartufo. Interessante la carta dei vini che rivela qualche buona etichetta locale (e non solo) per chi vuole andare alla ricerca di qualche vitigno rumeno come la Feteasca, anche se poi chardonnay, sauvignon, cabernet e shiraz sono arrivati fin qui.•


Alberghi

Labelon Experience Beach Club. Quando il Sud investe...

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Una nuova luxury experience sulla spiaggia di Bacoli (Na) tra mare, fine dining, tramonti e night life. Un club che punta sulla gioia di vivere Nasce Labelon Experience Beach Club. Non un semplice lido balneare ma un’esperienza da vivere che combina lusso e gioia di vivere, premium services, eventi, alta cucina e buon bere. Un luogo che cambia pelle e atmosfera con il passare delle ore: dal mattino presto a tarda notte. Labelon come la “belon”, l’ostrica nativa del Mediterraneo dalla rinomata madreperla piatta, diventata una leggenda gastronomica per la sua rarità. La regina delle ostriche racchiude nella sua conchiglia tutto l’immaginario del “bien vivre”: lusso, benessere, fine cuisine & wines, design e confort. Fonte creativa del naming e del logo firmati Wstaff, il prezioso mollusco era allevato proprio qui, nel vicino Lago di Fusaro, dagli antichi Romani come racconta Plinio il Vecchio. Non è dunque un caso se Labelon nasce qui, in questa terra di miti e leggende dal forte potere evocativo connotando il brand d’identità di marca, valori e status symbol.

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Una struttura architettonica di ispirazione razionalista, 28mila metri quadrati di superficie, 200 metri lineari di fronte mare e il più bel tramonto della costa: questi gli spazi dell’ambizioso progetto che propone la più completa e coinvolgente esperienza di lusso, relax e benessere mai offerta fino a ora da un beach club campano. Un sistema offerta studiato per un target premium che raccoglie un apparato coerente di eccellenze basato su servizi esclusivi che strizzano l’occhio ai competitor internazionali: dallo Champagne & Cocktail bar all’area beauty. Due i ristoranti d’alta gamma


Alberghi Area piscina, spiaggia e una sala al coperto di 1000 metri quadri con ingresso indipendente e spazi interamente personalizzabili e modulabili, anche grazie alla preziosa collaborazione dei più apprezzati party planner nazionali. Un luogo ideale per iniziative di grande richiamo. Senza dimenticare che la struttura ospita un eliporto privato e un banchina pensati per chi desidera atterrare/attraccare direttamente, viaggiando nel modo più confortevole. Un servizio tender gratuito accompagnerà gli ospiti nell’area vip. La struttura dispone di tre suite per concedersi piccole fughe dalla routine

per una offerta gastronomica completa che va dalla cucina mediterranea a un selezionato menu di crudités di pesce e molluschi provenienti da tutto il mondo. Tra i servizi esclusivi, anche un eliporto e un attracco per chi arriva via mare. Un universo valoriale gestito in modo armonico, con determinate caratteristiche e associato a un immaginario forte, con una qualità senza compromessi e una comunicazione d’élite. L’obiettivo è creare un’esperienza memorabile, offrire servizi che vanno a cogliere bisogni latenti per generare valore intangibile e simbolico. Concept e restyling portano la firma dell’architetto Giuseppe Falconio che ha enfatizzato l’architettura “total white” originaria aggiungendo una allure internazionale al progetto: via il cotto tradizionale, poco coerente con l’architettura, e spazio a pavimentazioni materiche color grigio cemento; doghe di legno Ipe per i grandi dock esterni che segnano lo spazio intorno alle piscine, palme e altre essenze. Luci a scomparsa e un sistema di illuminazione dimmerabile (regolabile elettronicamente, ndr). Pagode e letti king size per la spiaggia. Come si accennava, al di là dell’aspetto ludico, Labelon è ristorante con molte-

plici proposte di cucina: con Champagne Bar e Lounge. Poi c’è il Ristorante Mediterraneo à la carte con la cucina firmata da Fenesta Verde: una cucina di tradizione campana, fresca, combinazione di orto e mare al passo con le stagioni. Accanto al Mediterraneo c’è il Ristorante Oceanico con un menu à la carte firmato da Kiss Kiss Bang Bang e Métis e un’offerta di ostriche e crudi di mare dal mondo. E, infine, il BAE bar e il Tiki & Tropical Bar sul pool deck delle due piscine aperti all day long con servizio in spiaggia. Ma Labelon è anche una location per eventi privati e aziendali di alto profilo.

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“pied dans l’eau”. È altresì disponibile un servizio di “courtesy car” da e per Napoli. Labelon propone, inoltre, un’area con palestra, sauna, bagno turco e un’area beauty con una vasta gamma di trattamenti. E, infine, offre tanti servizi pensati per le famiglie con accoglienza professionale e divertente per i piccoli fino a 12 anni. Un’area di 160 mq coperti e 200 mq all’aperto con mini club, area giochi, animazione, spazio per piccole feste e divertimento in spiaggia nell’area family consentiranno ai genitori di godere dell’esperienza Labelon in totale relax. www.labelon.it •


Wine

Concours di Bruxelles La volta della Svizzera a cura di Alberto Schieppati e Rocco Lettieri

Alla importante competizione enologica internazionale, svoltasi quest’anno a Aigle, alla quale BARtù era presente con il proprio direttore come giurato internazionale, grande affermazione dei vini italiani. Con un forte exploit per i prodotti biologici, destinati a mercati in evoluzione La 26°esima edizione del Concours Mondial de Bruxelles si è tenuta nel cuore del Centro Mondiale del Ciclismo a Aigle, nel Vallese Svizzero. Dal 2 al 5 maggio scorso, 63 giurie di 5 persone hanno ognuna valutato fino a 50 vini al giorno. I campioni erano divisi in serie e per parametri. Da pochi giorni sono stati ufficializzati i risultati che vede svettare su tutti la Spagna (626 medaglie), secondo posto per la Francia (614) e terza l’Italia con 382 medaglie tra Grand’Oro, Oro e Argento (Puglia: 70; Veneto: 66; Sicilia: 60), quarto il Portogallo (365). Le varietà autoctone tricolore hanno comunque sbaragliato la concorrenza nella sfida della qualità, con Sangiovese (39), Primitivo (32), Glera (25) e Nero d’Avola (21). La Toscana si è aggiudicato i premi ‘Vino Biologico Rivelazione Internazionale’ (Fabula Riserva 2015 di Montebelli) e ‘Vino Dolce Rivelazione internazionale’ (Poggio Salvi Bianco 2007 di Poggio Salvi di Jacopo Bameri & css). I bilanci per il prestigioso concorso enologico itinerante che lo ha visto nelle ultime edizioni appunto in Svizzera, in

Cina, in Spagna, in Bulgaria ecc. ecc. e che si prepara a sbarcare nella Repubblica Ceca per il 2020 (a Brno, 1-3 maggio), sono stati davvero molto lusinghieri. Erano 9.150 i vini provenienti da 46 Paesi produttori. Il Paese ospite (la Svizzera) ha iscritto al concorso circa 600 vini (oltre il doppio rispetto al 2018), posizionandosi al 5° posto per le iscrizioni, preceduto da Francia, Spagna, Italia e Portogallo. Per capire l’incremento avuto, basti pensare che la Svizzera che partecipa al concorso sin dalla sua creazione nel 1994, e che in quella prima edizione aveva iscritto solo 8 vini. La competizione si è confermata ancora una volta essere un appuntamento imperdibile e di rilievo mondiale, registrando non a caso una crescita esponenziale sul fronte delle adesioni. Guardando solo al Belpaese, ad esempio, le iscrizioni sono aumentate del 5% rispetto al 2018, percentuale che sale al 20% per il Messico, al 23% per la Repubblica di Moldova e addirittura al +260% per la Svizzera, che con i 600 vini (contro i 166 dello scorso anno) ha segnato un

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Wine Carlo Dugo con Karin Meriot, responsabili del concorso

vero record storico. E proprio la nazione ospitante si è inoltre piazzata al quinto posto nella graduatoria complessiva dei paesi vincitori, con 172 medaglie (con in testa Chasselas, Pinot Noir, Merlot, Petite Arvine e Cornalin). Nell’ambito dei vitigni a bacca rossa più premiati nel 2019, svettano Merlot (268), Tempranillo (260), Cabernet Sauvignon (221), Syrah

(135) e Grenache (93), mentre tra i vitigni a bacca bianca i favoriti della giuria sono stati Sauvignon Blanc (102), Chardonnay (91), Chasselas (30), Verdejo (29) e Alvarinho (20). Da notare che solo l’1% dei vini degustati ha ricevuto l’ambita medaglia Grand’Oro, il riconoscimento più alto assegnato dal Concours Mondial de Bruxelles. Tra questi, appunto, le etichette

italiane (19 su 88 medaglie Grand’Oro assegnate) che hanno primeggiato su quelle di Spagna (18), Francia (11), Portogallo (11) e Svizzera (7). E a dimostrazione della grande attenzione che la competizione riserva al rapporto qualità-prezzo, vale la pena ricordare che oltre il 50% di tutti i premiati viene venduto a meno di 8,5 euro (prezzo franco-cantina). Ancora l’Italia è risultata primeggiare per le medaglie conquistate per i vini bio (46 su 153 totali), davanti a Spagna (32), Francia (32)

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Concorso 2020 in Moravia

La Moravia del sud e più precisamente la città di Brno nella Repubblica Ceca è stata scelta per ospitare il Concorso mondiale di Bruxelles nel 2020. La notizia è stata rivelata il 5 maggio, dopo l’ultima sessione di degustazione ad Aigle. Fedele alla tradizione della competizione, il sindaco di Aigle, Frédéric Borloz, ha consegnato solennemente il bicchiere di vino del Concorso mondiale al Dr. Bohumil Šimek, governatore della regione della Moravia meridionale. “Come amministratore fiduciario di Aigle e anche presidente della Federazione svizzera dei viticoltori, sono stato doppiamente onorato e orgoglioso di ospitare a casa il Bruxelles World Contest. Nel vedere i volti applauditi nell’ultimo giorno, penso che abbiamo raggiunto il nostro obiettivo di dimostrare la qualità dei nostri vini e della nostra Svizzera. Auguro ai miei colleghi di Brno il piacere di organizzare un evento prestigioso come il Concorso Mondiale di Bruxelles “. Per celebrare l’occasione, la Repubblica ceca ha quindi invitato i membri della giuria del 26° Concorso a un pranzo tradizionale al Castello di Aigle, accompagnato da uno spettacolo di musica popolare della Moravia. Principalmente noti per le loro birre, molti non sanno che il vino nella Repubblica Ceca è più vecchio del paese stesso. In realtà, la viticoltura nella regione della Moravia meridionale risale ai tempi dell’impero romano. “Con l’organizzare ogni anno il concorso in un paese diverso, abbiamo un’opportunità unica per scoprire le gemme nascoste del mondo del vino e far brillare i riflettori sulle regioni del vino che molti ancora ignorano”, ha affermato Baldwin Havaux, presidente del Concours Mondial de Bruxelles.  La Repubblica Ceca ha partecipato alla competizione sin dal suo inizio nel 1994. Nel 2019, hanno gareggiato 142 vini cechi, oltre il 20% in più rispetto all’anno precedente. Thomas Costenoble, direttore del Concours Mondial de Bruxelles, sostiene la scelta della città per le sue eccellenti strutture per la degustazione e l’alloggio situato nelle immediate vicinanze del centro, così come la ricchezza dei vigneti circostanti. “Brno offre tutti i prerequisiti per una competizione di successo”, ha concluso Thomas Costenoble.  Il concorso mondiale di Bruxelles 2020 si terrà dal 1 ° al 3 maggio 2020 presso il centro esposizioni di Brno, uno dei più grandi centri espositivi in Europa. Qui di seguito potete vedere il filmato degli incontri tenutosi ad Aigle: https://www.facebook.com/Karin.Meriot/posts/10213581765594767 R.L.

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e Cina (14). La rivelazione più sorprendente di quest’anno, entrando ancora più nel dettaglio della sfida, è stato indubbiamente il Chant d’Eole Brut Blanc de Blancs – Cuvée Prestige dal Belgio, con i prodotti di Domaine du Chant d’Eole che sono riusciti a superare la concorrenza di oltre 700 vini internazionali ricevendo il punteggio più alto nella categoria “spumante“. Invece una conferma, ma questa volta per il Vino Biologico Rivelazione Internazionale, quella ottenuta dall’Italia per il secondo anno consecutivo grazie al Fabula Riserva 2015 dell’Azienda Agricola Montebelli in Toscana. Un primato ottenuto dal Belpaese anche guardando al Vino Dolce Rivelazione Internazionale (il Vin Santo del Chianti Doc, Poggio Salvi Bianco 2007, di Poggio Salvi di Jacopo Bameri & css) e al numero complessivo di medaglie conquistate per i vini bio (46 su 153 totali), davanti a Spagna (32), Francia (32) e Cina (14). Come da consuetudine, inoltre, per ogni Paese è stato individuato il proprio vino rivelazione e, nel nostro caso, è stato il Veneto con l’Amarone della Valpolicella Docg Mai dire Mai 2011 di Pasqua Vigneti e Cantine S.p.A. a portare a casa il titolo di Vino Rivelazione dall’Italia. Dal Messico il Vino Rosso Rivelazione Internazionale del 2019 è stato il Caipirinha 2016 (un blend di Cabernet Sauvignon, Syrah, Nebbiolo e Malbec) firmato dalla cantina di EL Cielo. Parlano infine spagnolo i vini che hanno ottenuto i punteggi più alti rispettivamente nella categorie Vino Bianco Internazionale (il 42 by Eneko Atxa 2015 – un vino del vitigno Hondarrabi Zerratia, originario dei Paesi Baschi – dell’azienda Gorka Izagirre) e Rosè Rivelazione Internazionale (il Quelias Rosado 2018 – un blend di Albillo 50%, Grenache 30%, Verdejo 10% e Tempranillo 10% – prodotto da Bodegas Sinforiano nella regione di Castilla-y-León). Al seguente link è possibile consultare tutte le Rivelazioni e i risultati del 2019: https://concoursmondial.com/it/risultati/ •


Eventi

Ticino, i mille volti di un territorio gourmet S.Pellegrino Sapori Ticino ha chiuso la sua tredicesima edizione in omaggio ai sapori della Svizzera e non solo. Un plauso a Dany Stauffacher, ideatore dell’evento, organizzatore di eccellenza

Se l’enogastronomia è diventata un fattore sempre più importante a livello turistico, oggi il piccolo e delizioso Canton Ticino ha le sue carte da giocare. Oltre ai paesaggi bellissimi, ai suoi laghi e ad un’accoglienza solare, infatti, il più meridionale dei cantoni svizzeri si distingue per la sua vocazione gourmet e gourmand. La tredicesima edizione del festival enogastronomico S.Pellegrino Sapori Ticino si è appena conclusa dopo 21 eventi di grande cucina. Per il folto programma del 2019 è stato scelto come tema un omaggio alla più importante associazione di ristoranti e hotel di alta cucina della Svizzera, Les Grandes Tables de Suisse. Gli chef appartenenti a questo prestigioso gruppo si sono scambiati il testimone in diverse, eleganti location del Ticino per regalare agli ospiti della kermesse un assaggio di alcuni tra i talenti elvetici più affermati. Dagli chef 3 stelle a quelli con 19 punti GaultMillau, la guida che in territorio rossocrociato è una vera e propria istituzione. Oltre agli chef nazionali e ai membri de Les Grandes Tables de Suisse, il festival ha contato anche un paio di eccezioni tricolori che hanno portato un assaggio della nostra cucina anche oltre confine. Ospite del Blu Restaurant & Lounge di Locarno, Enrico Bartolini del Mudec a Milano ha

raccontato la gastronomia d’autore al popolo di S.Pellegrino Sapori Ticino. Lo chef di origini toscane ha conquistato i gourmet ticinesi con alcune delle sue ricette storiche, dimostrando piatto dopo piatto come mai è lo chef più stellato d’Italia con i suoi sei preziosi astri. Dall’altro lato della sponda, invece, è arrivato Marco Sacco, chef del Ristorante Piccolo Lago di Verbania, scelto dalla kermesse per regalare ai suoi ospiti la grandissima cucina lacustre che sta alla base della sua gastronomia. La cucina dello chef piemontese ha forti radici nel territorio e parla di sapori lacustri, ben noti anche sul lago di Lugano, dove ha cucinato ospite del Ristorante Metamorphosis. La serata ha saputo raccontare tutte le sfumature di quei pesci che spesso vengono considerati meno pregiati, ma

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che attraverso un menu d’autore diventano nobili protagonisti sulla tavola. Le due parentesi italiane durante il festival enogastronomico svizzero hanno fatto il tutto esaurito, dimostrando la grande vicinanza di spirito e di gusti tra il Bel Paese e il cantone elvetico di lingua italiana. La ricerca dell’eccellenza da parte di S.Pellegrino Sapori Ticino non si ferma solo ai piatti e agli chef. Sulle tavole della kermesse, infatti, la grande cucina è stata degnamente accompagnata da grandi vini in omaggio al territorio. Protagonisti di brindisi e abbinamenti ricercati, i vini ticinesi hanno giocato un ruolo di primo piano in ciascuno degli appuntamenti gourmet. Le aziende locali hanno partecipato fin dagli albori all’occasione unica che il festival rappresenta per loro: un palcoscenico di grande prestigio


Dany Stauffacher con Paola Chiericati di Ticino Welcome

Enrico Bartolini

per raccontare i risultati raggiunti dalle cantine ticinesi in questi ultimi anni. Il Ticino, conosciuto prettamente per il suo vitigno principe, il Merlot, oggi ha fatto passi da gigante. Se il Merlot resta in assoluto l’indiscusso protagonista del mondo vitivinicolo locale, con riconoscimenti mondiali di grande importanza, le aziende ticinesi raccontano sempre più

spesso di etichette diverse che stanno conquistando i palati gourmet. Insomma, il Canton Ticino è un luogo da scoprire, bicchiere dopo bicchiere, e che potrebbe regalare inaspettate emozioni ai wine-lovers. Merito di Ticinowine e del grande lavoro di promozione delle chicche locali che è stato fatto dall’Ente per la promozione della Vitivinicoltura ticinese, ma

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anche di S.Pellegrino Sapori Ticino che ha creduto nelle potenzialità dei piccoli e grandi produttori del territorio fin dagli esordi e che ha regalato loro una vetrina davvero unica. Ma il festival enogastronomico, come da tempo è abituato a fare, ha ospitato grandi vini internazionali. Se nelle passate edizioni gli ospiti hanno avuto occasione di degustare Chateau Mouton Rothschild, Chateau Angelus e Chateau Palmer, quest’anno a rappresentare i vini italiani sono state le cantine Terlan e Jermann. Ora che il festival enogastronomico ha chiuso la sua tredicesima edizione, Sapori Ticino guarda avanti ad altri progetti. Lo staff si trasferirà a Vevey, nella Svizzera francese, per la grande Fête des Vignerons, la festa dei vignaioli che si svolge ogni 20/25 anni e che è considerata Patrimonio Mondiale dell’Umanità da Unesco. Qui, con il progetto Maison Ticino, tutto il buono e il bello del cantone verranno promossi al meglio. •


La ricetta di BARtù

Tortello e lavanda L’eleganza di Aurora

Tortello di Parmigiano Reggiano al profumo di lavanda, crema di burro, noce moscata e mandorla

di Giorgio Ascorti

Uno dei migliori locali della ristorazione emiliana. Possiede una stelle Michelin.

Ingredienti per quattro persone PER LA PASTA FRESCA 200 gr farina di semola rimacinata grano duro 100 gr farina 00 2 uova intere 2 tuorli PER IL RIPIENO DEI TORTELLI Aurora Mazzucchelli

E’ una delle certezze della ristorazione emiliana e il miglior locale sulla rotta Bologna-Firenze: il Ristorante Marconi dal 2008 si fregia di una stella Michelin, grazie soprattutto ad Aurora Mazzucchelli: dopo aver frequentato l’istituto alberghiero, nel 1983 è entrata subito nello staff del ristorante dei genitori e sette anni dopo, insieme al fratello Massimo – grande uomo di sala - inizia a gestire il locale. Al di là dei riconoscimenti ufficiali – nel 2018 per esempio il premio Identità Donna - il vero merito di Aurora (e di Massimo ovviamente) è aver trasformato un locale di buon livello in un posto importante dove non ci si scorda del passato ma si esplorano nuove frontiere. Il tutto in un ambiente di classe, con tocchi originali (vedi il tavolo unico da 26 coperti del ‘Convivio’) e la solita grande accoglienza emiliana. Il menu? C’è tanta Italia, c’è un po’ di mondo e c’è la tradizione rivisitata genialmente. Eccone un esempio. •

Procedimento PER LA PASTA FRESCA: impastare il tutto lo stretto necessario e mettere a riposare per 30 minuti prima di tirare per fare i tortelli che vanno cotti in acqua salata

300 gr Parmigiano Reggiano 24 mesi vacche bianche. 100 gr panna liquida 60 gr latte 2 gr fiori lavanda secchi PER LA CREMA AL BURRO 1 lt brodo di carne 80 gr farina 00 70 gr burro 400 gr burro a pomata per montare Sale, noce moscata

PER IL RIPIENO DI PARMIGIANO REGGIANO: portare a 70° panna e latte ,uscire dal fuoco e aggiungere la lavanda lasciare in infusione per 2 ore. Trascorso questo tempo, filtrare e riscaldare versare sul Parmigiano (fuori dal fuoco) emulsionare con il minipimer o cutter, mettere in sac à poche e farcire la pasta fresca, tirata sottilmente PER LA CREMA DI BURRO: realizzare una roux con burro e farina. Scaldare il brodo, versarlo sopra e portare a cottura. In planetaria mettere una parte del burro e poco brodo al fine di creare una crema abbastanza densa, alternando sempre brodo e burro. Aggiustare di sapore e condire i tortelli. Per la guarnizione, utilizzare una noce moscata grattuggiata e circa 200 grammi di mandorle pelate e tostate

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La foto di BARtù

EROS BURATTI, IL PIACERE DEI FORMAGGI

Patischie

Eros Buratti, selezionatore e affinatore di formaggi: un professionista al servizio di ristorazione d’eventi di qualità

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Pillole Da Bedussi Gelateria arriva l’esclusiva macchina Modbar

Gli Chef Relais & Châteaux celebrano il World Oceans Day 2019

Fjord: una vocazione per l’eccellenza tutta italiana

La mecca della dolcezza declinata in forma di gelato, pasticceria, lievitati e grandi pizze si evolve aggiungendo un tassello importante alla sua offerta. Se fino a ieri i clienti del prestigioso bar bresciano facevano colazioni e pause lavoro scegliendo tra un variegato menù, oggi a disposizione c’è un caffè ancor più esclusivo di quello a cui erano abituati. È, infatti, appena arrivata in casa il non plus ultra della caffetteria, Modbar, la macchina con cui vivere una grande “esperienza caffè”. È la macchina da caffè under-counter più costante e termicamente stabile sul mercato, realizzata e venduta in partnership con La Marzocco. Il prodotto è frutto di anni di collaborazione tra i dipartimenti di Ricerca e Sviluppo di Modbar e de La Marzocco: permette di estrarre il caffè alle temperatura e pressione desiderate dal barista, la temperatura viene regolata con il sistema PID cioè una sonda che permette di avere grande stabilità termica in modo da non rovinare ottimi caffè, lo Steam System (lancia a vapore performance touch) permette di cambiare la pressione e quindi decidere come utilizzare il vapore e a che potenza, il sistema PourOver è automatizzato e utilizzato per le preparazioni di caffè a filtro (memorizza fino a 25 ricette diverse accessibili mediante un tasto e modula il flusso d’acqua in modo da adattarlo alle proprie preferenze).

L’8 giugno 2019 ristoranti e chef stellati in tutto il mondo (25 in Italia) hanno rinunciato a salmone, tonno, branzino e altre specie ittiche “nobili” per portare in tavola menu a base di pescato del giorno locale e pesci poco conosciuti, per sensibilizzare tutti e promuovere la biodiversità. Sabato 8 giugno, infatti, si è festeggiato il World Oceans Day, la giornata Mondiale per la protezione degli oceani e le risorse marine promossa dalle Nazioni Unite. Anche quest’anno Relais & Châteaux, la più ampia rete di chef al mondo, ha preso parte alle celebrazioni con Fish Unknown: un calendario di cene, eventi e iniziative di sensibilizzazione in tutto il mondo per celebrare, a tavola, la biodiversità di mari, laghi e fiumi di ogni regione.

Fjord, storico marchio, tra i più noti sul mercato italiano per la produzione di prodotti ittici affumicati di alta qualità, quali principalmente salmone, storione, spada e tonno, di proprietà di Agroittica Lombarda, fa tesoro della grande esperienza e cura maturate dall’azienda leader mondiale nella produzione del caviale per offrire sempre i migliori prodotti, alla costante ricerca di una cultura gastronomica di alto livello. Fondamentale caratteristica che accompagna da sempre il marchio è la manifattura, frutto di una lunga e onorata tradizione italiana che coniuga l’impiego di tecnologie sostenibili, la cura maniacale dei dettagli e l’attenzione alla qua-

Il croissant vegano Délifrance Sono ormai poco meno di 2 milioni (1,8) gli italiani che seguono una dieta vegana (il 3% circa della popolazione). Da qui la necessità di fornire a questo target di consumatori dei prodotti adeguati alle loro esigenze. Délifrance ha ideato, quindi, per bar e alberghi il Croissant vegano, con pesca, aloe e curcuma. L’azienda alimentare, per realizzarlo, ha organizzato un test con centinaia di persone in tutta Italia. A queste potenziali consumatori è stata presentata una gamma di impasti e farciture e sono stati invitati a scegliere tra le proposte la loro ricetta del croissant del domani. Il risultato è stato, appunto, il Croissant vegano, con la farcitura di pesca, varietà “Nettarina”, l’aloe vera e l’estratto di curcuma.

lità. La passione e la maestria dello staff e l’artigianalità dei vari processi di lavorazione si fondono con la massima attenzione alla sicurezza alimentare. Il brand Fjord è presente sul mercato con varie referenze di altissimo livello: dal salmone scozzese affumicato, classico e al whisky, al Red King, al salmone norvegese in fettine sottili o taglio sashimi, anche nelle varianti semi di sesamo e Alga Nori.

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Nuovi gusti per Tyrrells Potato Chips, le artigianali inglesi Dal cuore verde dell’Inghilterra, più precisamente dall’Hertfordshire, ecco Lady Claire e Lady Rosetta. Non sono eroine di Jane Austen, ma due tra le più antiche varietà di patate che vengono coltivate con passione, da tre generazioni, nella Tyrrells Court Farm. Qui le patate sono selezionate con cura, per essere poi affettate finemente e fritte in piccoli lotti. Il risultato è una patatina artigianale di altissima qualità che con il marchio Tyrrells viene esportata in tutto il mondo. Croccanti, profumate, naturalmente genuine perché senza Ogm o conservanti artificiali, le Hand Cooked Potato Chips Tyrrells, nelle eleganti confezioni Old Style, sono apprezzate per la varietà dei gusti proposti. Oggi, tra le inconfondibili confezioni colorate, spiccano le ultime nate che si rifanno alla tradizione gastronomica italiana con due ricette deliziose: Tyrrells Chips con Pomodoro e Mozzarella e Tyrrells Chips con Pesto. E, per gli amanti di un gusto più croccante, ecco le Tyrrells Chips Rustiche. Il marchio Tyrrells è uno dei brand importati e distribuiti da Eurofood Spa.


Praga Premium Pils Original Czech Premium Beer È con grande entusiasmo che il Gruppo Biscaldi presenta al mercato italiano Praga Premium Pils, birra Igp prodotta da Praga Brewing Group a České Budějovice (Budweis), Repubblica Ceca secondo le più antiche tradizioni birraie. Praga Premium Pils rappresenta un sogno diventato realtà, l’orgoglio di produrre non solo una superba birra Igp, ma un vero simbolo dell’autentico patrimonio ceco. Praga è una Pilsner lager a bassa fermentazione con una gradazione alcolica di 4.7°. E’ caratterizzata da un colore ambra dorato e da un aroma morbido, invitante e davvero piacevole; si percepiscono dolci note di malto, cereali e un pizzico di agrumi. Fresca, leggera e piacevolmente luppolata, Praga è perfetta da essere degustata in qualsiasi momento della giornata. Praga Premium Pils ha vinto la medaglia d’oro al World Beer Championships Award 2013.

Un’etichetta da collezione The Metal Label Pz è un’azienda altamente specializzata nella produzione di monete, medaglie e altri accessori personalizzati. E’ stata realizzata, per il settore vinicolo e dei distillati, un’etichetta metallica adesiva da applicare direttamente sulla bottiglia interessata o sul packaging. L’obiettivo dell’azienda è quello di comunicare direttamente sulla confezione realizzata la qualità del prodotto proposto con un’etichetta metallica capace di rendere la bottiglia selezionata esclusiva e differente dai propri competitor. Ulteriori informazioni al sito web: http://themetallabelpz.com/

La Poke Sauce di Kikkoman Confermatosi anche lo scorso anno leader di mercato delle salse orientali, il brand Kikkoman può vantare una gamma veramente completa di prodotti in grado di soddisfare le esigenze di tutti consumatori. Ben dieci referenze, a cui si aggiunge oggi una vera novità per il mercato italiano. La nuova tendenza food, che impazza ovunque, si chiama Poke Sauce e trae ispirazione dal più famoso piatto hawaiano, il Poke Bowl, una preparazione semplice e leggera a base di pesce crudo, riso, verdure, cipolla e spezie. La Poke Sauce di Kikkoman nasce proprio come condimento ideale di questa ricetta: una classica salsa di soia, sapientemente mixata con olio di sesamo tostato, una spruzzata di succo di limone e un pizzico di peperoncino piccante. A garanzia di gusto e di risultati di sicuro successo c’è l’ingrediente base della Poke Sauce, la classica Salsa di Soia Kikkoman. Tutta la gamma Kikkoman è importata e distribuita da Eurofood.

Sara Lovari

Torrefazione Morandini lancia la nuova linea di cialde La Torrefazione Morandini offre una novità: la linea Classe – Italian Style Coffee. Il mix perfetto tra qualità, praticità e sostenibilità. Classe – Italian Style Coffee è una linea di capsule (compatibili Nespresso® e Lavazza A modo Mio®) e cialde (E.S.E. System) che racchiude in sé i valori dell’azienda con la mission di unire il sapore dell’autentico caffè italiano all’attenzione per l’ambiente. Il consumatore può scegliere tra quattro miscele: Delicata 100% Arabica, Audace miscela Robusta, Leggera miscela Dec e la Responsabile Biologica. Un look di classe contraddistingue il packaging della nuova linea della Torrefazione. Per rendere la linea Classe – Italian Style Coffee unica nel suo genere anche esteticamente, i fratelli Morandini hanno scelto di affidarsi all’artista Sara Lovari, famosa per le opere dove i collage di macchie di colore e materiali di recupero come carta, cartoni e antichi giornali danno nuova vita a pezzi del passato in un mood vintage.

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BARtù giugno 2019

Stock trionfa anche quest’anno al World Drinks Awards È con grande entusiasmo che Stock Spirits Group è stata tra i protagonisti dell’edizione 2019 dei World Drinks Awards, la manifestazione internazionale che premia i prodotti migliori nelle categorie birra, vino e spirits, organizzata da TheDrinksReport.com, sito leader dedicato ai professionisti del settore. L’assegnazione dei premi avviene secondo due criteri: il gusto e il design. In quest’ultima edizione, Stock Spirits Group si è aggiudicata 5 importanti riconoscimenti in ben 3 categorie differenti: nei World Vodka Awards 2019 hanno vinto Keglevich Dry, miglior vodka liscia di origine ceca - Gold categoria Gusto; Amundsen Expedition, miglior vodka liscia di origine polacca - Gold categoria Gusto. Nei World Liqueur Awards 2019 hanno vinto Keglevich Pesca, migliore liquore alla frutta di origine ceca - Gold categoria Gusto; Syramusa, miglior liquore alla frutta di origine Italiana - Gold categoria Gusto. Infine, nei World Brandy Awards - Extra Old Brandy 2019, Stock 84 XO è vincitore della categoria Brandy - Gold categoria Gusto.


Tech News La prima green partnership per neutralizzare le emissioni degli imballaggi in plastica Crocco SpA, azienda leader nella produzione di imballaggi flessibili in plastica, e Granarolo fanno rete con un accordo di filiera all’insegna dell’innovazione sostenibile. Lo fanno a partire da un approfondito studio scientifico – condotto da Crocco attraverso un accordo volontario con il Ministero dell’Ambiente – che ha calcolato l’impronta ambientale del packaging (film termoretraibile) lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla produzione all’utilizzo, al fine vita, con l’obiettivo di ottimizzare la progettazione sostenibile degli imballaggi – attraverso azioni di riduzione del peso e di messa a punto di nuovi materiali meno impattanti – e di mettere a disposizione delle aziende clienti uno strumento per neutralizzare le emissioni di gas serra nella fase di estrazione delle materie prime, di produzione e di trasporto del packaging. Le emissioni generate dalla produzione di film termoretraibile che Crocco ha fornito a Granarolo nel 2017 – quindi dall’estrazione delle materie prime alla distribuzione compresa – sono pari a 1.748 tonnellate CO2 equivalenti. Queste emissioni sono state neutralizzate attraverso l’acquisto di carbon credits Gold Standard, certificato da un ente terzo indipendente (Energyway). Le emissioni neutralizzate sono equivalenti a 3.100 viaggi di un camion che trasporta 20 tonnellate di prodotto e percorre i 170 km che separano la sede Crocco di Cornedo Vicentino da quella di Granarolo a Bologna, e all’accensione 24 ore al giorno e 7 giorni su 7 di quasi 27.000 lampadine LED da 11,5 watt per un anno intero.

Unox rivoluziona i processi di cottura Unox, società padovana che produce e commercializza forni professionali per i settori della ristorazione, del retail, della pasticceria e della panificazione, prosegue il suo processo d’innovazione e presenta i nuovi forni Cheftop Mind.Maps™ Big, frutto di due anni di ricerche del team di R&D del gruppo. Cheftop Mind.Maps™ Big è il forno combinato intelligente, connesso a Internet, in grado di realizzare qualsiasi tipo di cottura, in qualsiasi ambiente, 24 ore al giorno e a pieno carico, e racchiude in sé la perfezione in termini di potenza, affidabilità e performance di cottura. Si tratta di una linea di forni combinati professionali studiati per le cucine dei grandi centri cottura, di hotel e laboratori di pasticceria e panetteria, che riscrive le regole del forno perfetto. Grazie all’innovazione di cui sono permeati, garantiscono un risparmio di tempo, energia e lavoro senza necessità di supervisione. I nuovi Cheftop Mind. Maps™ Big fondono design, ergonomia, affidabilità e performance di cottura in un unico corpo.

Online il nuovo sito web di Augusto Contract Augusto Contract, azienda di arredamento e general contractor, aggiorna la propria presenza nel web e lancia il restyling del suo sito corporate (www.augustocontract.com). Il nuovo progetto digitale ripercorre la storia e racconta i progetti dell’azienda di Jesi specializzata nella realizzazione ‘chiavi in mano’ di spazi del foodservice, nell’hospitality e nel retail. L’interfaccia del sito appare essenziale, lineare e moderna, l’utilizzo dei colori aziendali rafforza l’identità del brand, mentre la navigazione è ben studiata per l’alternanza di immagini, citazioni ed elementi grafici, rendendo accattivante l’esperienza. L’intero layout del sito è basato sul concetto di sviluppo: una linea leggermente inclinata, presente in tutta la navigazione, suggerisce l’idea di crescita. Una linea con una inclinazione ben precisa, del 10%, che simboleggia un progresso sostenibile e solido, lo stesso che Augusto Contract intende perseguire e indicare ai clienti che si affidano alla sua esperienza e professionalità. Ottimizzato per tutti i dispositivi – dal pc al notebook, dai tablet agli smartphone – bilingue italiano-inglese, il sito è stato realizzato con il supporto di Fliplab agenzia marchigiana specializzata nel web.

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BARtù luglio/agosto 2019


“Blushing Bar”: il banco bar realizzato in quercia rossa americana “Blushing Bar”, nato dalla collaborazione degli architetti Chan+Ears e Sebastian Cox con AHEC, American Hardwood Export Council, è composto da 10 moduli in quercia rossa americana pensati per la preparazione di cocktail (acqua, alcol, frutta, erbe, holder, ghiaccio, bicchieri, soda, lavandino). Tutti i moduli si connettono per formare la particolare struttura circolare e sono tinti con una nuova tecnica sperimentata per far risaltare il colore e le venature del legno. Per tingere il legno, Sebastian Cox con il suo team, ha creato una serie di buchi uniformi nella fitta rete di venature della quercia rossa, circa 25 mm di profondità e 14 mm x 30 mm di larghezza. Il legno è stato poi inserito in un macchinario appositamente creato per la tintura. “Le proprietà del legno sono tradizionalmente pensate in relazione alla sua resistenza, durezza e peso, ma quando si comincia a osservare la struttura cellulare del legno, si possono cominciare a esplorare altre proprietà. Quest’unico anello poroso in quercia rossa è stato un'esplorazione della composizione cellulare di questo particolare specie di legno americano e di come possiamo usarla in modo divertente per ottenere una nuova estetica,” ha affermato Cox.

Satispay sancisce l’alleanza fisico-digitale Nata nel 2015 come strumento di pagamento elettronico, ora l’applicazione rappresenta un’importante piattaforma di marketing in virtù dei quasi 700mila utenti attivi e 75mila esercenti aderenti, con oltre 80mila negozi. Dopo gli indipendenti e le piccole catene, si guarda ora ai grandi player. “Nel 96% dei casi, per ora, – afferma Andrea Allara, chief business development officer – sono commercianti con un solo punto vendita, mentre i restanti sono piccole, medie e grandi catene. Questo vuol dire che siamo particolarmente apprezzati dai piccoli player e, parlando proprio

Deliveristo: il mercato di produttori per la ristorazione Presentata alla stampa e a un selezionato numero di ristoratori la nuova piattaforma Deliveristo, strumento innovativo in Italia, che mette in contatto chef, gestori e patron di locali, ristoranti, enoteche e bistrot con i produttori di tutta la Penisola. L’evento di presentazione, che si è tenuto nel ristorante milanese di Eugenio Boer, ha coinvolto alcuni degli chef più interessanti del panorama cittadino, che hanno cucinato, assieme al padrone di casa, piatti creati con le materie prime selezionate da Deliveristo. Ai fornelli, accanto a Boer, si sono avvicendati Simone Zanon, dell’Antica Osteria Il Ronchettino che ha offerto il suo risotto e Alessandro Leone di Mater Bistrot, che ha costruito il dessert. In degustazione, anche altre eccellenze presenti nel ‘mercato’ Deliveristo, come le Belle di Cerignola di Gastronomie Italiane, i formaggi di Guffanti e i salumi Re Norcino. Ad accogliere gli ospiti e a raccontare la piattaforma, il team Deliveristo, una squadra di giovani imprenditori del food & beverage, composta da Ivan Aimo, Luca Calia, Erica Fifield, Nicolò Villa, Gabriele Angieri, Simone Russo, Lorenzo Tassone, Sofia Andreotti e Claudio Geraci. “Ne ho visto il beneficio immediatamente, è uno strumento utile, più smart, per ottenere ciò che ci serve”, così chef Eugenio Boer durante l’evento.

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BARtù luglio/agosto 2019

Andrea Allara, chief business development officer di loro, è incredibile che in un Paese come l’Italia, culturalmente lontana dal concetto di pagamento digitale anche sul fronte dei merchant, Satispay abbia trovato una strada percorribile all’inizio e veloce nel corso degli ultimi anni. Questo perché Satispay è trasparente. Noi applichiamo una formula molto chiara: sotto i 10 euro i negozianti non pagano e sopra i 10 euro pagano 20 centesimi. Inoltre, ci ha aiutato il fatto di essere indipendenti dalle carte di debito e credito, quindi di posizionarci lontano dal quel mondo che anche i merchant non percepiscono tanto bene. Satispay è una realtà che si è sviluppata molto velocemente: ora ci lavorano circa 70 persone”.


Alberto’s choice

Anna Stuben di Ortisei Alta cucina e sana ospitalità PROFESSIONALITA’ IN SALA E PIATTI RAFFINATI

LEGENDA

ANNA STUBEN HOTEL GARDENA GRODNERHOF

Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e stile dell’offerta

Via Vidalong, 3 0471 796315 39046 ORTISEI- ST.ULRICH (Bz)

Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza

Si fa un gran parlare del valore della “sala” nell’alta ristorazione: certo, nell’offerta di ristorazione contano la qualità del cibo, il talento dello chef, l’ambiente e l’atmosfera, ma la vera forza -dice qualcuno- sta nell’accoglienza del cliente che fa il suo ingresso al ristorante. Beh, se qualcuno volesse verificare di persona i livelli raggiunti dalla “sala” nell’alta ristorazione, l’esempio del Gardena di Ortisei-St.Ulrich è davvero eloquente. Se l’ospitalità in hotel, infatti, è all’insegna della raffinatezza assoluta (una costante ricorrente dell’acceuil altoatesino), è all’ Anna Stuben (www.annastuben.it), il ristorante gourmet stellato all’interno della struttura cinque stelle lusso, che la professionalità supera se stessa. Qui si viene accolti da un giovane molto preparato, sommelier ma anche restaurant manager: non a caso, Egon Perathoner è “allievo” di Franz Lageder, storico professionista dell’ospitalità, grande conoscitore di vini di tutto il mondo, figura chiave del ristorante Anna Stuben. La competenza di Egon si rivela da molti particolari: l’attenzione verso l’ospite è altissima, ma

Lo chef Reimund Brunner insieme al sommelier nonché restaurant manager Egon Perathoner

discreta; la proposta dei vini segue criteri di territorialità, ma lascia spazio alle curiosità e alle richieste del cliente; la descrizione dei piatti è accurata e precisa, ma mai invadente; la narrazione della linea di cucina dello chef è completa, ma chiara ed essenziale. Dopo un approccio di questo tipo, in cui realmente (complice la bellezza dell’ambiente e la raffinatezza di questa piccola, fascinosa stube all’interno del locale) l’ospite si sente a proprio agio, arriva la folgorazione dalla cucina. Piatti che fanno dire wow e che si rivelano all’altezza delle aspettative: il merito è di Reimund Brunner e della sua giovanissima brigata. Fin dal saluto della cucina si percepisce la cura nelle preparazioni, frutto di esperienza e passione. Reimund Brunner, nato a Velturno, ha 38 anni, ha lavorato con chef di prestigio tra cui Horst Petermann, del Kunststube, vicino a Zurigo, Hans Haas al Tantris di

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BARtù luglio/agosto 2019

Due corone = Linea di cucina corretta

Una corona = Dignitoso e affidabile

Corona nera = C’è ancora molto da fare

Tre cervelli = Un vertice nel suo genere

Due cervelli = Qualità e attenzione al cliente

Un cervello = Bravi, ma non basta

Cervello nero = Scarsamente ragionevole



Colophon

Alberto’s choice

BARtù N° 101 luglio - agosto 2019 Direttore editoriale Alberto P. Schieppati Direttore responsabile Andrea Aiello Redazione Walter Govoni - walter.govoni@edifis.it Collaboratori Nadia Afragola, Giorgio Ascorti, Arianna Augustoni, Fiorenza Auriemma, Guido Bernardi, Maurizio Bertera, Stefano Bonini, Oscar Cavallera, Luisa Contri, Beatrice Coppola, Angelo Foresti, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Rocco Lettieri, Aldo Nenzi, Gigi Pavesi, Andrea Penazzi, Michele Maria Pizzillo, Giovanna Moldenhauer, Giovanni Ponzoni, Vincenzo Russo, Theo Smith, Gualtiero Spotti, Claudio Zeni, Stefania Zolotti Grafica e impaginazione Daniele Scozzari Contatti bartu@edifis.it - www.bartumagazine.it Pubblicità dircom@edifis.it Traffico pubblicitario Roberta Motta - roberta.motta@edifis.it Amministrazione amministrazione@edifis.it

Monaco, e il nostro Herbert Hintner al Zur Rose di Appiano. Privilegia nella sua cucina ingredienti di provenienza il più possibile locale e sostiene che “la qualità della materia prima, unita alla riconoscibilità dei piatti e alla loro comprensione totale, è il fondamento dell’eccellenza”. La sua Entrecote “Dry Aged”, servita con ceci, scalogno e finferli, è strepitosa, così come i suoi Ravioli con ripieno di agnello, assolutamente memorabili. Nel suo repertorio culinario, utilizza piante locali come l’Olivello spinoso o i Germogli di abete rosso, il cirmolo, le noci nere, all’insegna di una cucina raffinata, attenta alle opportunità del territorio, sempre alla ricerca di caratterizzazione. Anche il dessert è incentrato sulla naturalità: la Carota con sorbetto agli agrumi, biscuit e zenzero va nella direzione di gusti chiari, gradevoli e ben identificabili al gusto. Un’esperienza gastronomica che, come dice Michelin, vale decisamente il viaggio. Fra le altre opportunità per gli ospiti del Gardena, l’hotel ha messo a punto un’ampia gamma di pacchetti e proposte “en plein air”, offrendo innanzitutto la possibilità di avvalersi di un’esperta guida alpina che aiuti nella scelta di itinerari escursionisti personalizzati a seconda delle proprie capacità (preparandosi al meglio nell’area fitness dell’hotel, tra ginnastica, saune e massaggi), oltre al noleggio gratuito di bastoni telescopici, zaini e cartine escursionistiche.

Foto Archivio BARtù, Alvise Barsanti, Benedetta Bassanelli; Marcello Bocchieri, M. Borchi, Stefano Borghesi, A. Carra, Claudia Calegari, Ferdinando Cioffi, Gaetano Del Mauro; Armin Huber, Pieter D’Hoop, Davide Dutto, Paco Lloret, Villagra Lopez, Martina Mambriani, Matteo Mancini, Mauro Montana, Patischie, Barbara Santoro, Roberto Savio, Brambilla Serrani, Daniel Töchterle, Lido Vannucchi, Marco Varoli, Renato Vettorato Stampa Aziende Grafiche Printing S.r.l. - Peschiera Borromeo (Mi) Prezzo per una copia E 5,00 - Arretrati E 10,00 Abbonamento Italia: E 45,00 - Europa: E 80,00 - Resto del mondo: E 100,00 abbonamenti@edifis.it

Registrazione del Tribunale di Milano n. 222 del 24/03/2000 Iscrizione Registro Operatori della Comunicazione n. 06090 Tutti i diritti di riproduzione degli articoli e/o foto sono riservati. Manoscritti, disegni, fotografie e supporti audio e video anche se non pubblicati non saranno restituiti. Per le fotografie e le immagini per cui, nonowstante le ricerche eseguite, non sia stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara disponibile ad adempiere ai propri doveri. Ai sensi del Reg.EU 679/2016 l’Editore garantisce la massima riservatezza nell’utilizzo della propria banca dati con finalità redazionali e/o di invio del presente periodico. Ai sensi dell’art. 15 il ricevente ha facoltà di esercitare i suoi diritti fra cui la cancellazione mediante comunicazione scritta a EDIFIS Spa - Viale Coni Zugna 71 - 20144 Milano (o ai riferimenti sotto trascritti), luogo della custodia della banca dati medesima.

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