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COVER KRUG, LA SFIDA DEL PEPERONE

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EDITORIALE Michelin, capire i nuovi criteri?

COCKTAIL BAR Mendeleev a Mosca Alta mixology

MILANO Heinz Beck Attimi di gioia

LECCE Isabella Potì, il Sud coraggioso



Editoriale BARtù

Michelin, capire i nuovi criteri? La terza stella Michelin a Enrico Bartolini al Mudec (e la seconda al suo Glam di Venezia), la seconda a Michelangelo Mammoliti, della Madernassa di Guarene (Cn), la prima a tanti, giovani o meno, che certamente se la meritano per impegno e passione. Fin qui non si discute e i nostri più sinceri complimenti vadano a questi professionisti di valore, che in gran parte conosciamo e apprezziamo da tempo. Senza se e senza ma. Qualche domandina (o domandona) però ci sorge spontanea, dalla mente e dal cuore, vedendo tante aspettative senza risposta o notando alcune “cancellazioni” operate in questa edizione 2020. La trasferta piacentina, dove la guida è stata presentata, ci ha lasciato un po’ di amaro in bocca. E siccome il nostro mestiere è di informare, vogliamo capire. Soprattutto per informare meglio. Sarà che abbiamo sempre speso parole positive per la guida rossa, che seguiamo puntualmente almeno dal 1984. Sarà che la abbiamo ritenuta e forse continueremo a farlo “la più seria e autorevole delle guide”: una sorta di “vangelo” a cui affidarsi con sicurezza, senza timori, con la certezza e la garanzia di scegliere sempre bene consultandola e carpendone i messaggi. Ma stavolta certe scelte ci lasciano basiti. E’ pur vero che, come dice qualcuno, il solo fatto di parlarne avvalora il prestigio (e la visibilità) della guida

stessa. E, in un modo o nell’altro, anche le critiche diventano uno strumento di marketing a favore della guida stessa. Ma il silenzio-stampa non ci è mai piaciuto e, da giornalisti, sentiamo il dovere di comprendere quali siano gli effettivi criteri ai quali la guida oggi si ispira e di capire che cosa è cambiato. Andiamo diritti al dunque e ci permettiamo di porre alcuni quesiti a chi ha operato certe scelte “punitive”. Il primo: perché togliere la stella a Giancarlo Morelli, uno degli chef più bravi della scena contemporanea? Il suo Pomiroeu mi pare un esempio indiscusso di cucina che “merita la tappa”. Perché solo due nuovi “due stelle” sulla scena nazionale? La varietà e la ricchezza dell’offerta di alta ristorazione non consentirebbero l’attribuzione della doppia stella ad almeno (secondo noi) altri 6-7 ristoranti sparsi in Italia (Cracco, Berton o Oldani solo a Milano, per dirne tre: i “Marchesi Boys” devono stare al passo?). Perché togliere la seconda stella a Luisa Valazza del Sorriso? Insieme al marito Angelo conduce dal 1981 un luogo di altissimo livello (la prima stella venne assegnata nel 1982, per arrivare poi alla terza nel 1998: poi, progressivamente, la discesa e il ritorno a una stella: vuol dire che il Sorriso oggi vale come 37 anni fa? Suvvia...). Perché non assegnare la terza stella a chi lavora quotidianamente su una base di perfe-

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zione assoluta (non voglio imbarazzare nessuno, ma ci siamo capiti…)? Perché non dare la prima stella a Daniel Canzian? I suoi sforzi incredibili, la sua passione, la tecnica e i risultati, non sono meritevoli di una stella? E Eugenio Boer non se la meriterebbe? O Alessandro Buffolino dell’Acanto? O Fabio Silva del Derby Grill? E Wicky Pryan? E Paolo Lopriore? E Fabio Abbattista? E quanti me ne sfuggono… Possibile che su 328 “una stella” non ci sia spazio per almeno altre trenta strutture (e chef) di alto valore? Rispondeteci per favore. E poi: la seconda tolta a Vissani, perché? Qui potremmo andare ancora avanti, ma non vogliamo correre il rischio di venire accomunati ai tanti “soloni” della critica che imperversano sulla scena e spesso non hanno i titoli per farlo. Chiudiamo, stendendo un velo sulla mancanza di nuove segnalazioni “di servizio”, utili “a chi viaggia” (come la stessa guida dichiara nelle sue linee programmatiche). Due casi per tutti: la mancanza assoluta in guida di una trattoria suprema, come l’Osteria di Fornio, a Fidenza, pone ulteriori interrogativi: soprattutto perché l‘offerta del luogo corrisponde in toto a quanto si legge nelle comunicazioni ufficiali della Michelin a proposito dei Bib Gourmand… O l’assenza totale di segnalazione per locali come il Corazziere, albergo quattro stelle, resort immerso nella natura all’insegna della sostenibilità, condotto da un imprenditore visionario: un unicum nell’offerta alberghiera.• Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it


Sommario

Editoriale 1 Michelin, capire i nuovi criteri? 4-18 News L’opinione 20 Il valore delle guide? È sempre in discussione Cover Story 22 Krug for Pepper. Chef e magia Bar 26 Manuela Fensore: come si diventa campioni 28 Host Milano 2019 chiude un’edizione record 30 Presentata l’esclusiva collezione mixology di Nude 32 Mendeleev a Mosca: mixology eccellente 34 Tirreno C.T. I suoi primi quarant’anni L’intervista 36 Antonello Colonna, romano ma anche milanese Ristoranti 40 Attimi al City Life. Lo stile di Heinz Beck 44 Claudio Sadler, chef oste. La stessa passione di sempre 48 L’allievo di Ramsay non finisce di stupire 52 Pietro Leemann festeggia i suoi “verdi” 30 anni 54 Jacopa: anche a Trastevere si guarda avanti 56 Isabella Potì ovvero Lady Bros’ 60 Aria d’autunno alla Scaletta ascolana 62 Pasabahce veste la tavola di classe 64 Radicchio di Treviso, quale futuro? 66 San Martino 26, la linea è italo-albanese Alberghi 68 Ospitalità romana, l’Eden compie 130 anni 70 Chateau Monfort dove il brunch è di successo 72 Arriva la seconda stella al Glam di Donato Ascani 74 NH Fori Imperiali: una realtà d’eccellenza La ricetta di BARtù 78 Il Tiramisù Toscano al Caffè dell’Oro dei Ferragamo La foto di BARtù 80 Macelleria Motta 82 Pillole 84 Tech News Alberto’s choice 86 Bambù al Labirinto. La scuola di Spigaroli

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In copertina: Krug e il peperone, in ogni sua variante e tipologia. L’ingrediente di quest’anno è stato oggetto dell’attenzione di 13 Chef delle Krug Ambassade di tutto il mondo, riunitisi in Messico, che lo hanno declinato in diverse ricette gourmet, dando vita al volume Rock the pepper: una straordinaria avventura gastronomica, che ha goduto di abbinamenti eccellenti con Krug Grande Cuvée e Krug Rosè.

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EDITORIALE Michelin, capire i nuovi criteri?

COCKTAIL BAR Mendeleev a Mosca Alta mixology

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direttore editoriale Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it

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Ristorante miX by Alain Ducasse negli Emirati Arabi Il prestigioso Emerald Palace Kempinski, in una posizione centrale e situato sulla mezzaluna occidentale di Palm Jumeirah, è stato scelto dal pluristellato chef francese Alain Ducasse per l’apertura del suo primo ristorante a Dubai. Distribuito su tre livelli, forte di una variegata offerta gastronomica, il miX Dubai è il più grande locale di proprietà dell’omonimo gruppo e conta più di quattrocento posti a sedere. Inaugurato a dicembre 2018, il progetto è il risultato della stretta collaborazione tra lo chef e l’architetto Manuel Clavel. Il ristorante si contraddistingue per un ambiente lussuoso e sofisticato, con una vista fronte mare, interni futuristici e terrazze esterne in tonalità naturali. Nella sala del miX Restaurant, le cui finiture vogliono essere una rivisitazione in chiave moderna dello stile architettonico islamico del Muqarnas, è impossibile non notare il gigantesco uovo dorato, che pare fluttuare al centro della stanza culminando all’interno della cupola dell’hotel. Il miX bar and lounge offre un’esperienza culinaria variegata: gli ospiti possono infatti sorseggiare un drink o gustare deliziose tapas in un ambiente elegante, dall'atmosfera rilassata. Per gli interni del miX Restaurant sono stati scelti gli arredi Pedrali: le collezioni Ester, Vic e Laja. Prodotti raffinati dalle tonalità tenui, che rispettano il fondale neutro in cui vengono presentati i piatti dello chef Ducasse, vere opere d’arte.

Gli alberghi italiani sul podio degli Awards for Excellence 2020 Sette sono i premi all’eccellenza nell’ospitalità assegnati a prestigiose strutture italiane da Condé Nast Johansens, punto di riferimento nel settore dei viaggi di lusso da oltre 37 anni. I vincitori degli Awards for Excellence 2020, il premio annuale dei migliori alberghi del mondo, vede l’Italia premiata in 7 categorie su 19: meeting e conferenze, matrimoni ed eventi speciali, proprietà piccola ed esclusiva, esperienza coinvolgente, esperienza culinaria, miglior hotel sull’acqua e sostenibilità. I premi sono stati consegnati durante la consueta ed esclusiva cena di gala al The May Fair Hotel di Londra. Sul podio da nord a sud Sina Centurion Palace, Masseria Susafa, Relais Villa Olmo, Il Castelfalfi Experience Resort, Gardena Grödnerhof Hotel & Spa, casa Fantini/lake time e Venissa Wine Resort Hotel. I premi sono il risultato di un anno intero di voti espressi online, di riscontri degli ospiti e report degli esperti locali di Condé Nast Johansens, in merito agli alberghi che compaiono sia sul sito sia sulle guide cartacee. Ogni vincitore è stato premiato con un certificato incorniciato, un trofeo e una bottiglia di champagne Pol Roger Brut Reserve NV. C.Z.

Premi Les Grandes Tables Du Monde Awards 2019 Quest'anno, 4 vincitori sono stati premiati nel corso di una cerimonia svoltasi nei sontuosi giardini di Villa Ephrussi de Rothschild, a Saint-Jean-Cap-Ferrat. L'associazione, che celebrava anche il suo 65° anniversario, ha scelto di svolgere il suo congresso annuale sotto l'egida di Jean Cocteau e della dolce Riviera francese. Ecco l’elenco di premi e vincitori. Premio per il miglior ristorante dei grandi tavoli del mondo: Birgit Reitbauer, Steirereck, Vienna, Austria; Premio M. Chapoutier per il miglior sommelier delle grandi tavole del mondo: Aldo Sohm, Le Bernardin, New York, Stati Uniti; Premio Valrhona per il miglior pasticciere del ristorante alle Grandes Tables du Monde: François Perret, La Table de L'Espadon al Ritz Paris, Francia; Premio Mauviel 1830 per il miglior direttore di sala dei grandi tavoli del mondo: Cristiana Romito, Ristorante Reale, Castel di Sangro, Italia. Alcuni di questi premi sostengono l'impegnativa visione del grande ristorante difeso dall'associazione. Per David Sinapian, il suo presidente, “anche se c'è, e sempre ci sarà, una questione di patrimonio e tradizione, la grande tavola rotonda del XXI secolo non intende riposare sulle sue conquiste”. I quattro vincitori dei premi 2019 ne sono un grande esempio. Donne e uomini incarnano il legame indissolubile che unisce tradizione e innovazione nell'esperienza gastronomica.

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I cuochi di Apci riuniti a congresso Si è tenuta a Roma l’11 e il 12 novembre la XXII edizione del congresso “Les Toques Blanches d’Honneur”, evento organizzato da APCI ,quale importante momento di incontro e confronto. Oltre 150 professionisti si sono ritrovati in un luogo speciale di questa città, il Roma Convention Center, meglio noto come la Nuvola, celebre progetto dell'architetto Massimiliano Fuksas, per poi spostarsi nella seconda giornata alla Fiera di Roma, per visitare il Mercato Mediterraneo. L’evento ha ricevuto il patrocinio dell’Assessorato allo Sviluppo economico, Turismo e Lavoro del Comune di Roma, di FIPE – Federazione Italiana Pubblici Esercizi e della Fiera di Roma. Di grande spessore gli appuntamenti formativi, occasione per i cuochi presenti, di aggiornamento professionale e di confronto con i propri interlocutori. In particolare il Presidente di APCI, Roberto Carcangiu e il consigliere Michele Cocchi hanno dato vita al seminario tecnico “To buy or to make – Identikit di una scelta”, nel quale hanno delineato il profilo del cuoco moderno, consapevole delle proprie scelte di acquisto e di servizio. In un panorama variegato di proposte, è fondamentale affidarsi a dati oggettivi come unico strumento concreto per valorizzare la propria professionalità. A supporto di quanto teorizzato, il fondamentale apporto delle principali aziende leader del mercato del Foodservice. Nel pomeriggio sul palco del Congresso APCI, gli chef eccellenti del territorio romano e laziale, una cascata di Stelle neo riconfermate dalla Guida Michelin, tra cui Francesco Apreda, Adriano Baldassarre, Marco Bottega, Roy Caceres, Fabio Ciervo, Iside De Cesare, Riccardo Di Giacinto, Lorenzo Di Gravio, Giuseppe Di Iorio, Anthony Genovese, Kotaro Noda, Andrea Pasqualucci, Gino Pesce e Patrizia Ronca, Sandro Serva, Salvatore Tassa e Massimo Viglietti. Presenti inoltre gli amici Paolo Gramaglia, dalla Campania e Erny Lombardo, il noto volto televisivo. E’ stato poi il momento, sempre emozionante, della consegna della prestigiosa onorificenza Les Toques Blanches d’Honneur, premio alla carriera conferito da una commissione che ha valutato il percorso professionale di ognuno dei premiati che consiste in un gioiello d’autore: il Cappello, simbolo principe della professione, serigrafato con il logo APCI e con inciso il nome e il cognome del cuoco, proprio a sottolineare il riconoscimento alla persona.

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Davide Comaschi crea il panettone in una pralina Il dolce per antonomasia di Natale non era mai stato rinchiuso in una camicia di cioccolato di quattro centimetri. Solo un campione del mondo del cioccolato poteva riuscirci e Davide Comaschi con la sua pralina Galaxy al panettone ha superato sé stesso. Sempre alla ricerca della perfezione nel mondo della pasticceria, Davide Comaschi ha presentato la pralina Panettone – Milano al settimo piano di Rinascente presso il suo corner nell’area cioccolateria. Una nuova pralina che arricchisce la linea “Unforgettable Chocolate Experience” con cui Davide Comaschi ha saputo coniugare gusto e design in un percorso esperienziale unico per offrire agli amanti del cioccolato indimenticabili degustazioni: la qualità del cioccolato, la freschezza degli ingredienti e il loro equilibrio, uniti alla bellezza delle forme rendono le sue creazioni un piacere indimenticabile. La nuova linea di praline e cioccolato firmata da Comaschi esplora, infatti, tutti i colori del cioccolato; dal nero del fondente sino ad arrivare al Gold e alla nuova categoria Ruby Chocolate, il cioccolato naturalmente rosa che ha conquistato il mercato con il suo gusto fresco e piacevole. Il corner di Davide Comaschi offre, oltre alle praline, una selezione di cinque tavolette di cioccolato da degustazione e una delicata produzione di biscotteria denominata “Viaggio in Italia”. Davide Comaschi

Michele Ceccarelli nuovo Segretario Generale di CheftoChef emiliaromagnacuochi Il ravennate Michele Ceccarelli è il nuovo Segretario Generale di CheftoChef emiliaromagnacuochi, l’associazione che riunisce i cinquanta migliori chef, le cinquanta aziende dei prodotti tipici (compresi i più importanti Consorzi) e i gourmet di riferimento dell’Emilia Romagna. Eletto all’unanimità nel corso dell’ultimo Consiglio Direttivo dell’associazione, Ceccarelli subentra a Enrico Vignoli. Michele Ceccarelli, già responsabile comunicazione e associati di CheftoChef, ricoprirà l’incarico con quella determinazione e l’impegno che da sempre hanno contraddistinto il suo operato Michele Ceccarelli all’interno dell’associazione. «Dopo qualche mese di riflessioni, assieme al Presidente Massimo Spigaroli e ai Consiglieri, proseguiamo nello sviluppo di interessanti progetti che contiamo di riuscire a finalizzare e concretizzare entro la fine del 2019, per poi incrementarli nel corso del 2020 – sottolinea Ceccarelli –. Il mio nuovo ruolo, che si aggiungerà a quanto già facevo all’interno di CheftoChef, mi porterà a investire ancora più tempo ed energie per la nostra associazione, che nel corso della propria storia decennale si è sempre impegnata, contraddistinta e dedicata alla valorizzazione della cucina d’autore e della cultura gastronomica dell’Emilia-Romagna dentro e fuori i confini nazionali». Presidente dell’Associazione, unica nel suo genere, è Massimo Spigaroli, Vice Presidenti Massimo Bottura e Paolo Teverini, Presidente Onorario Igles Corelli. C.Z.

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Appius, la collezione: le cinque cuvée firmate da Hans Terzer Un grande vino è come un’opera d’arte e questo è il caso di Appius, l’esclusiva Cuvée della Cantina San Michele Appiano. Appius (il cui nome è radice storica e romana del nome Appiano) è il sogno che il winemaker Hans Terzer ha realizzato per la prima volta nel 2010, dopo anni di sperimentazione con i vini bianchi della Linea Sanct Valentin: creare con le migliori uve, provenienti da vecchi vigneti con resa minima, un vino superbo capace di rispecchiare fedelmente il millesimo. Presentata nel 2014, la prima limitatissima edizione di APPIUS ha aperto un nuovo capitolo nella produzione d’eccellenza della Cantina: a oggi sono cinque le Cuvée realizzate da Hans Terzer, una collezione di “opere” uniche, anche nel design, in procinto di arricchirsi della sesta edizione, Appius 2015, che è stata presentata alla recente Milano Wine Week e sarà disponibile nei primi giorni di dicembre 2019. Dalla prima alla quinta edizione, la “formula” è rimasta la stessa, con delle variazioni (nelle proporzioni delle singole varietà di uve) che rendono l’incontro con questo grande vino un’esperienza sempre unica. Appius si compone di diversi vigneti storici del Comune di Appiano. Nella prima Cuvée la varietà principale è lo Chardonnay, il resto è ripatito tra Pinot Bianco, Pinot Grigio e Sauvignon. Le Cuvée, prodotte in numero limitato, riportano tutte la firma di Hans Terzer.

Hans Terzer durante la presentazione di Appius 2015


Il nuovo Pacifico più spazio sia in sala sia in cucina

Le Bisous Bisous a Cannes

Ha riaperto con una nuova struttura e un nuovo spirito Pacifico, il ristorante di San Marco che ha introdotto, a Milano, la vera cucina Nikkei sotto la guida di Jaime Pesaque. Pacifico ha due nuove sale e soprattutto un nuova cucina che consente di garantire un’offerta più articolata disponendo di uno spazio più ampio. Rinnovato anche nella carta, cui ora si affianca alla cucina Nikkei, pilastro gastronomico del ristorante, una proposta di piatti alla griglia che si ispirano anch’essi alla tradizione culinaria sudamericana: la parrilla e una serie di “crudi” di alto livello. Sulle nuove proposte di Pacifico, ha certo influito l’esperienza di Pacifico Rosemary, aperto l’estate scorsa in Costa Smeralda. Nuovi piatti e soprattutto nuovi fornitori con una materia prima di insuperabile qualità; è il caso del pollo che proviene da un allevamento biologico che seleziona di volta in volta i polli da fornire, o delle verdure, acquistate da piccoli coltivatori diretti della campagna lombarda. Un discorso a parte merita il tonno, trattato con metodo giapponese ikejime e per cui Pacifico è certificato i.c.c.a.t. che garantisce la filiera della pesca. Il progetto di ampliamento d’interni di Pacifico (dotato di 2 altre vetrine su via San Marco) prosegue con le nuove sale: sono ispirate ai blu della superficie del mare (la prima, che si affaccia sulla grande cucina a vista) e a un’ideale isola selvaggia (la seconda, dedicata a cene ed eventi privati).

Sopra il Palazzo del Festival, in posizione ideale nel cuore di Cannes, il gruppo Barriére ha inaugurato Le Bisous Bisous, un club original ed elettrico in cui festa, condivisione, estetismo ed eclettismo esprimono il loro pieno significato. Il club Bisou Bisous, sospeso nel cuore della città, unisce musica house e look anni Settanta per un'atmosfera eccentrica. Alla direzione artistica, il duo Mozart e Géraldine Hunter – famosi a Cannes dopo il successo del Boudoir Majestic, il temporary bar dell'Hotel Le Majestic, e del 'Bal des Fous' – ha voluto creare un'atmosfera conviviale e insolita, in collaborazione con Geoffroy Tanguy, il direttore del locale. Spazio alla diversità, alla tolleranza e alla gentilezza. Ballerini, paillettes, luci e musica, sia disco sia New Wave. Accogliente e colorato, costellato da alcuni pezzi iconici degli anni Settanta, il look in gran parte ispirato ai favolosi Seventy contribuisce pienamente a questa atmosfera rilassata e seducente. C.Z.


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I primi 55 anni della famiglia Cortesi

Ezio Indiani e Giacomo Guzzardi

Giacomo Guzzardi eletto Hotel Manager dell’anno 2019 Impegnativi progetti di sviluppo e il riposizionamento di due importanti strutture romane sono le principali motivazioni che hanno convinto la giuria a conferire a Giacomo Guzzardi il Premio “Hotel Manager Italiano dell’Anno 2019”. A consegnarlo nelle mani del General Manager de Le Méridien Visconti Rome e Palazzo Scanderbeg, il Presidente europeo e Delegato Nazionale Ezio A. Indiani, General Manager dell’Hotel Principe di Savoia di Milano, in occasione del Meeting autunnale del Chapter Italiano di EHMA (European Hotel Managers Association) svoltosi presso lo storico Hotel Royal Victoria a Varenna, sul lago di Como. “La collaborazione pluriennale con un importante gruppo imprenditoriale romano mi ha consentito di centrare obiettivi rilevanti sul piano dell’hôtellerie nazionale e internazionale – ha commentato Giacomo Guzzardi –. Questo premio rappresenta il raggiungimento di un obiettivo professionale molto importante”. “Un premio ampiamente meritato che riconosce i valori professionali, l’impegno e la passione espressi da Giacomo Guzzardi durante tutta la sua carriera”, ha affermato il Presidente Ezio A. Indiani. Nell’ambito del Business Council di Marriott, Guzzardi partecipa attivamente in attività a scopo sociale come l’organizzazione umanitaria ‘Rise against Hunger’. Inoltre, ogni anno Le Méridien Visconti Rome ospita gratuitamente famiglie con bambini bisognosi di cure mediche che vengono negli ospedali pediatrici della capitale. C.Z.

Al ristorante milanese Charleston, in piazza del Liberty, Alberto Cortesi ha voluto festeggiare i primi cinquantacinque anni della sua attività imprenditoriale: oltre mezzo secolo di presenza incessante nel capoluogo lombardo, dove ha creato un network di ristoranti di altissimo livello, per carisma, tradizione, qualità. Dalla Torre di Pisa al Coco Pazzo, dai Quattro Mori al Santa Lucia, al Charleston appunto, che spicca per l’atmosfera di elegante semplicità, nel rispetto per la tradizione italiana. La Famiglia Cortesi al gran completo “Quando sono arrivato a Milano, ci ha detto Cortesi, non avevo niente: solo sogni”. Capacità e spirito di iniziativa hanno consentito, nella Milano degli anni Sessanta, di intraprendere un percorso imprenditoriale straordinario, che ha visto Mariuccia, moglie di Alberto, con i figlioli Silvia e Fabio, apprendere dal padre il mestiere di ristoratore e impegnarsi in prima persona per far crescere questa grande realtà. Durante i festeggiamenti, svoltisi alla fine di ottobre, è stata allestita una cena gourmet, nella quale lo chef Sergio Mei è stato protagonista, insieme alla brigata del Charleston che, una volta di più, ha confermato livelli di professionalità elevatissimi.

Terme di Saturnia Natural SPA & Golf Resort si allea con Starhotels Starhotels e Terme di Saturnia Natural SPA & Golf Resort annunciano la nuova collaborazione a carattere commerciale che avrà inizio con il 1° gennaio 2020. Saranno oggetto della collaborazione l’inserimento di Terme di Saturnia nell’offerta di Starhotels Collezione – brand di lusso che raggruppa dimore prestigiose dalla spiccata personalità – il supporto nell’ambito della promozione e vendita da parte della rete commerciale di Starhotels in Italia e all’estero, nelle attività di marketing e comunicazione e nella definizione delle politiche di Revenue Management del Resort, oltre all’integrazione dei sistemi di prenotazione e l’inserimento nel Loyalty Program Starhotels “I Am Star”. L’accordo prevede uno sviluppo congiunto del business per Terme di Saturnia Natural SPA & Golf Resort, complesso noto a livello europeo, facendo leva sulla notorietà, la forza commerciale e le capacità in ambito di Marketing e Revenue Management di Starhotels Spa, società che oggi rappresenta il primo Gruppo privato alberghiero italiano per fatturato, leader nei segmenti Upper-Upscale & Luxury. Terme di Saturnia manterrà la sua autonomia gestionale e operativa nel rispetto degli standard Starhotels Collezione. Terme di Saturnia Natural SPA & Golf Resort si sviluppa intorno alla millenaria sorgente dalla quale, da 3000 anni scaturisce un’acqua unica al mondo.

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CONCORSO

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Il Camparino si rifà il look con il Pan'cot di Oldani Il Camparino in Galleria, già primo sito produttivo del Campari e casa natale dell’aperitivo, si prepara a scrivere un nuovo capitolo. Dalla collaborazione tra Campari e Davide Oldani nasce, infatti, un innovativo concetto di cucina creato intorno al cocktail pairing, con un’evidente impronta italiana e un legame particolare con la città di Milano. “Sin dall’inizio abbiamo cercato per il rinnovo del Camparino un progetto di qualità con un contenuto nuovo che fosse capace di esaltare il suo straordinario spirito d’innovazione e la sua ricchezza di storia e tradizione” – dice Bob Kunze-Concewitz, Chief Executive Officer di Campari Group -. “Non ci siamo limitati ad affiancare il nome di Davide Oldani e il suo stile di cucina al Camparino, insieme abbiamo voluto dare vita a qualcosa di unico”. Al centro dell’anima food del Camparino, Oldani pone un’ideazione culinaria: il Pan’cot. Letteralmente significa ‘pane arrostito’, dichiarando l’origine attinta dal dialetto e dalla stessa tradizione milanese di Campari. “Sono nato a Milano. Campari e Camparino sono espressione della mia città. Lo stesso vale per il Pan’cot” spiega l’Ambrogino d’oro (premiato nel 2008) “Mia mamma faceva il pane ammorbidito in acqua o latte, poi arrostito in padella. Anche questo è un pane cotto, pur essendo un prodotto completamente nuovo”.Nel cocktail concept messo Davide Oldani a punto dall’esperienza di Tommaso Cecca, a capo della squadra di bartender del Camparino in Galleria, si trova la stessa ricerca di equilibrio tra tradizione e innovazione, che ripercorre la storia di Campari e dei suoi cocktail per offrire una miscelazione capace di guardare al futuro con rispetto. Il nuovo rito del Camparino ruota intorno a due elementi fondamentali: i cocktail Campari e il Pan’cot, entrambi legati alla tradizione, ma che insieme rappresentano una storia del tutto inedita. Vero tempio della nuova esperienza di pairing del Camparino sarà la Sala Spiritello al primo piano, fresca di ristrutturazione a cura dello Studio Lissoni Associati, che nei suoi menù svelerà i contenuti più innovativi con una proposta di abbinamento studiata nei minimi dettagli. “La curiosità del progetto è proprio l’abbinamento di un cibo nuovo ma di tradizione come il Pan’cot con il mondo dei cocktail, che è particolarmente stimolante perché varia con profumi e ingredienti stagionali” commenta Oldani. “Si può studiare un abbinamento perfetto, utilizzando erbe, spezie, note sapide e dolci. Anche nel pairing si può comporre per assonanza o cercare il contrasto, creando un gioco ancora più ampio”. Nella drinking list del piano superiore si esprime un concetto contemporaneo di essenza e sfumatura del gusto di ogni singolo cocktail; i classici sono rivisitati con twist ispirati dall’eredità artistica del marchio Campari, unica nel suo genere. Al Bar “di Passo” si troveranno le grandi icone che hanno reso Campari celebre nel mondo, dal Campari Seltz, vera firma del locale sin dalla sua apertura nel 1915, al Negroni che celebra i suoi 100 anni.

Cool Head Europe lancia Cool Wise e amplia la propria linea d’offerta Cool Head Europe, gruppo italiano specializzato nei sistemi di refrigerazione professionale, ha annunciato un nuovo marchio per una nuova gamma di prodotti rivolta al mondo dell’Horeca. Cool Wise è il brand scelto per una serie di prodotti per la refrigerazione, che hanno la particolarità di essere brandizzati con il logo di aziende produttrici di bevande e gelati. Cool Head Europe ha deciso di curare particolarmente questo segmento dopo aver notato una crescita spontanea della domanda da parte dei produttori, prima nei mercati esteri e poi in Italia. Parallelamente Cool Head Europe ha lanciato un importante ampliamento della propria linea d’offerta, per mettere a disposizione del mercato una scelta più ampia, che riguarda sia tipologie di modelli sia fasce di prezzo. Alcuni prodotti rappresentano delle vere e proprie novità in catalogo, come ad esempio gli armadi per la pasticceria, in configurazione da 550 litri, 600 e 1100 litri. Altra novità sono i murali, uno strumento che negli anni ha conosciuto una costante diffusione dovuta soprattutto ai nuovi format di ristorazione che si sono affermati sul mercato. L’intera gamma è stata studiata per valorizzare al massimo i prodotti esposti all’interno, con luci e led e vetri laterali panoramici per massimizzare la vista.

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Annamaria Clementi di Ca’ del Bosco Best Franciacorta Grande successo per Ca’ del Bosco al termine degli ultimi “Champagne and Sparkling Wine World Championships 2019”. Il Franciacorta Annamaria Clementi 2009 in magnum si è infatti aggiudicato i due super premi Best Franciacorta e Best Italian Sparkling Wine 2019. In aggiunta, la casa franciacortina ha vinto 4 medaglie d’oro rispettivamente con Franciacorta Cuvée Prestige in formato bottiglia, Franciacorta Vintage Collection Brut 2014 in magnum, Franciacorta Vintage Collection Satèn 2014 in magnum e Franciacorta Annamaria Clementi 2009 in magnum e 3 medaglie d’argento con Franciacorta Vintage Collection Dosage Zéro 2014 in magnum, Franciacorta Vintage Collection Brut 2014 in bottiglia e Franciacorta Annamaria Clementi 2009 in bottiglia.



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Rational: la sostenibilità dietro le quinte Alcuni ritengono che la protezione del clima significhi ridurre le emissioni di CO2 dovute alla guida degli autoveicoli o ai rifiuti alimentari, altri non utilizzano più imballaggi di plastica e altri ancora controllano i loro sistemi di riscaldamento. Il comportamento sostenibile è diversificato e non si ferma alle cucine professionali né a quelle industriali. Sempre più ospiti non solo desiderano un pasto sano, ma anche un pasto proveniente da una produzione sostenibile. Questo rende la cucina più complessa. Ma non è solo nelle cucine professionali e industriali che pensiamo a come il settore della ristorazione possa contribuire alla protezione del clima. Anche Rational, leader mondiale a livello settoriale e tecnologico nella preparazione di piatti caldi, lavora costantemente allo sviluppo dei propri prodotti per preservare le risorse. Secondo il suo rapporto sullo sviluppo sostenibile, l'azienda vuole garantire che le generazioni future abbiano una base naturale e intatta per la vita attraverso prodotti ecologici e metodi di cottura che promuovano la salute. Ma il produttore di apparecchi di cottura sostiene soprattutto i ristoratori: gli apparecchi Rational richiedono infatti fino al 40% in meno di elettricità e fino al 10% in meno di materie prime. “Attualmente, secondo le nostre stime, in tutto il mondo vengono utilizzati poco più di 600.000 Combi-Vapore Rational e circa 30.000 VarioCookingCenter, producendo fino a 130 milioni di pasti al giorno. Con apparecchi efficienti, possiamo dare un importante contributo alla protezione dell'ambiente", dice Enrico Ferri, ad Rational Italia.

Starhotels: Elisabetta Fabri è Cavaliere del Lavoro Elisabetta Fabri, Presidente di Starhotels, ha ricevuto l’insegna di Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. L’onorificenza rappresenta il merito di Elisabetta Fabri nell’essersi distinta in qualità di imprenditore, avendo portato avanti l’internazionalizzazione del Gruppo, oltre che per i valori morali e sociali. “Sono onorata e felice di ricevere questo prestigioso riconoscimento – ha commentato Elisabetta Fabri –. Voglio condividerlo prima di tutto con i miei collaboratori che con il loro impegno quotidiano contribuiscono al successo di questa azienda. Ho sempre operato per affermare e valorizzare ai massimi livelli lo stile di vita Elisabetta Fabri e il Presidente Mattarella e dell'ospitalità italiana agli occhi del mondo. Per questo ringrazio quanti mi hanno riconosciuto questo ruolo di promozione del nostro immenso patrimonio culturale, oltre che il nostro contributo allo sviluppo turistico in Italia”. Fiorentina e madre di due gemelli, Elisabetta Fabri ha vissuto e lavorato all’estero prima di tornare a Firenze. Nel 1992 il suo primo atto da imprenditrice, con la fondazione della Starhotels International e l’acquisto del The Michelangelo a New York, hotel di cui si è occupata per anni in prima persona. C.Z.

Montelvini brinda in Villa Necchi Campiglio a sostegno del FAI Per la prima volta alla Milano Wine Week, Montelvini è stata protagonista della kermesse dedicata al mondo del vino inaugurando la settimana con un evento in Villa Necchi Campiglio, Bene del FAI. Una location scelta non a caso. Da questa estate, infatti, la storica Cantina di Venegazzù, ha deciso di sostenere il FAI – Fondo Ambiente Italiano, attraverso l'adesione al programma di membership aziendale Corporate Golden Donor. Una decisione dettata dalla volontà di continuare l’ambizioso progetto di tutela e salvaguardia del territorio, già intrapreso dall’azienda con il “Vigneto ritrovato”, un’iniziativa di recupero di una antica vigna, già censita dalle mappe napoleoniche, all’interno del centro storico di Asolo. “Siamo sempre attenti al tema della bellezza intesa nel senso più ampio del termine. Per questo abbiamo scelto di sostenere il FAI per continuare a ‘proteggere’ e valorizzare il vastissimo patrimonio paesaggistico e culturale del nostro Paese. E lo facciamo attraverso quello che siamo, una Cantina che produce vini di territorio che meglio interpretano l’anima dei nostri luoghi, ha affermato Alberto Serena, amministratore delegato di Montelvini. Da qui la nostra vicinanza al FAI per sostenere progetti che creano valore, sono inclusivi e diffondono cultura”.

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Alberto Serena



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Esmachlab Smart, per una facile gestione del lievito madre

Generatore di lievito madre “Mini”. Impastatrice a spirale compatta. Planetario da banco. Cella di lievitazione con processo innovativo brevettato Climother®. Piano da lavoro. Forno elettrico modulare. Questo è EsmachLab Smart: in meno di 3 mq di spazio è possibile stupire i propri ospiti con prodotti da forno freschi e genuini, con i profumi e i sapori che ricordano i prodotti di una volta. «È vero che si tratta di un sistema ‘in miniatura’, ma senza perdere niente a livello di funzionalità, facilità di utilizzo e qualità del prodotto finito – spiega Paolo Zunino, ad di Esmach –. In questo modo ogni bar, ogni hotel, ogni ristorante che voglia dedicarsi alla preparazione di prodotti a lievitazione naturale, ha la possibilità di farlo senza preoccuparsi dello spazio a disposizione». EsmachLab Smart, presentato a Host 2019, è infatti un sistema modulabile e flessibile, che si adatta allo spazio che il ristoratore ha a disposizione e alle attrezzature per la panificazione attualmente in suo possesso, permettendogli di acquistare anche solo gli strumenti necessari per la sua attività. Oltre allo spazio, altro elemento tutt’altro che secondario, è il tempo. Ovviamente, questo nuovo metodo di lavoro permetterà di avere un risparmio sui costi legati all’acquisto di questa tipologia di merci da fornitori esterni, e allo stesso tempo di proporre ai propri clienti una più ampia gamma di prodotti naturali e genuini.

Parla napoletano il miglior panettone al mondo Arriva dalla Campania il miglior panettone artigianale tradizionale al mondo, ed è quello di Alessandro Slama, Ischia Pane, Ischia (Na). La giuria di tecnici composta dai maggiori pasticcieri, chef nazionali e internazionali ha decretato il miglior panettone tradizionale artigianale tra 32 finalisti in gara. Mentre una giuria composta da esperti giornalisti, gourmet e accademici della cucina italiana ha scelto quale panettone da incoronare con il premio della critica, un altro campano: Salvatore Gabbiano – Pasticceria Gabbiano, Pompei (Na). “E’ una gioia indescrivibile per me aver vinto – ha dichiarato Alessandro Slama, il vincitore –. Questa vittoria è il premio all’impegno, alla passione e ai miei sacrifici”. Alessandro Slama, maestro panificatore, nasce a Ischia, e fin da piccolo apprende l'arte dei lievitati e del lievito madre. La passione per questo mestiere lo spinge a viaggiare, acquistando molte abilità e capacità e diventando tecnico e maestro per alcune scuole e aziende. Allievo del grande maestro Rolando Morandin, partecipa inoltre a molti corsi affiancando importanti Maestri, dai quali apprende nuove tecniche e metodologie. Nel 2011 vince il primo premio per il Dolce da forno alla manifestazione Sigep Bread Cup a Rimini. Nel 2004 nasce Ischia Pane, punto storico dell’isola. Nel 2015 apre, sempre a Ischia, un nuovo punto vendita, dove vince sempre la regola del lievito madre.

Design a tavola: le nuove proposte fall/winter Schönhuber Franchi Piatti, bicchieri e posate si trasformano, nei nuovi assortimenti di Schönhuber Franchi, in oggetti che donano alla tavola un deciso segno di modernità. Restano inalterate la praticità d’utilizzo e la resistenza all’uso intensivo, caratteristiche tecniche che rendono la mise en place perfetta per il settore Horeca. Vediamo alcuni dei prodotti proposti. I piatti Aura sono caratterizzati da linee delicate e morbide. L’eleganza si esprime nella combinazione di materiale e forma: il bianco candore della porcellana Fine Bone China, immacolata purezza, si sposa con i profili sinuosi dei piatti. Il servizio, dal design essenziale, sorprende per la sua versatilità. Forme semplici, pulite e la porcellana in Fine Bone China dal bianco splendente rendono la collezione Ring di Schönhuber Franchi davvero speciale, anzi gourmet. Si compone di piatti coupe proposti in due differenti misure dal diametro di 28 e 31 cm e si distingue, come indica il nome stesso, per la forma ad anello il cui centro vuoto è stato pensato per accogliere la ciotola abbinata, della stessa dimensione del vano. Una delle ricette più povere della cucina italiana ha trovato posto anche sulle tavole gourmet. A rivalutarla è stato lo chef Davide Oldani che non solo ha proposto la sua personale versione portando in auge una pietanza dimenticata, ma ha ideato in collaborazione con Schönhuber Franchi il piatto per servirla: Pan'cot, in Fine Bone China.

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Alessandro Slama


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Caffè Bonomi si rinnova

Cattel SpA: nella nuova sede un Training Center

Caffè Bonomi la torrefazione storica milanese nata nel 1886, ha presentato a ottobre il suo official re-branding in occasione della fiera internazionale HOST 2019. Nuovo logo, nuovi packaging per le miscele e il focus sui Caffè Monorigini, che hanno riscontrato un feedback fortemente positivo sul mercato. “Ci aspettiamo un 2020 rivolto all’estero, vogliamo rafforzare gli attuali rapporti con gli Stati Uniti e allargare gli orizzonti sui Paesi europei che ancora non abbiamo raggiunto” dice Federico Bonomi, amministratore delegato dell’azienda milanese. Tra gli obiettivi dell’azienda per il nuovo anno ritroviamo infatti l’ampliamento del mercato estero che attualmente rappresenta già il 45% del fatturato totale. Quella di Caffè Bonomi è una realtà storica che guarda al di fuori dei confini milanesi, alla continua ricerca di innovazione sia sul campo qualitativo sia in quello produttivo. A simbolo di questo, è stata creata una tazzina che celebra il legame con la culla della torrefazione. Sulla tazza le due facce di Milano che rappresentano la città storica con i suoi emblematici monumenti, ma anche i suoi nuovi e moderni grattacieli. Così anche Caffè Bonomi, una torrefazione familiare, migliorata dai processi tecnologici di oggi.

È un approccio trasversale quello della formazione fornita da Cattel SpA ai suoi venditori, pensata per mettere a disposizione dati, esperienze, conoscenze e fare la differenza nel modo di lavorare. Un progetto nato per coerenza con la mission stessa dell’azienda. Cattel – punto di riferimento per la distribuzione di prodotti alimentari e non nel canale Horeca – ha recentemente aperto le porte del suo Training Center, uno spazio di learning culinario allestito nell’innovativa sede di Noventa di Piave, alla sua forza vendita. Si tratta di una cucina industriale, meticolosamente attrezzata, affacciata ad un’aula – scuola dotata di telecamere che catturano ogni movimento delle abili mani dello chef dell’azienda per rimandarlo sui monitor in aula e offrire al pubblico una più chiara e fruibile visione. Un aggiornamento continuo quello promosso da Cattel e orientato soprattutto agli agenti di vendita che devono essere in grado di proporsi come consulenti alimentari e dunque conoscere nel dettaglio le materie prime che presentano. Nascono da qui gli appuntamenti formativi settimanali “Incontriamoci in cucina”: ogni venerdì, le porte del Training Center si aprono alla rete vendita per consentire di scoprire nel dettaglio il vasto mondo di Cattel, che oggi conta oltre 7400 referenze tra food e no-food.

Caffè Milani a Host: baristi italiani e cinesi a confronto Caffè Milani era presente a Host con uno stand vivace e decisamente internazionale. Novità assoluta per l’azienda di Lipomo (Co) è un settore dedicato al brewing, con diversi metodi di estrazioni e nuovi caffè con una tostatura più chiara per permettere agli aromi estratti con la french press, il V60 o l’aeropress di sprigionarsi al meglio. Sono in lattina da 125 grammi di macinato con la giusta granulometria per queste estrazioni (un poco più grossa della moka): pronte da utilizzare sia per il barista sia per il consumatore finale. Comprendono due singole origini della linea Puro, Etiopia Sidamo e Guatemala Genuine Antigua, un caffè dolce e fruttato; infine la miscela 100% arabica Action Espresso Bio, con caffè provenienti da Brasile, Etiopia, Indonesia e Perù, tutti naturali. Protagonista dello stand è stato il lungo bancone che accoglieva due macchine espresso pronte a erogare i migliori caffè della Torrefazione. Due le iniziative inedite e di grande interesse: un vero confronto tra baristi italiani e cinesi sui temi della latte art e della mixology. Qui ogni giorno i visitatori potevano degustare la miscela “storica” Gran Espresso che ha meritato la medaglia d’oro all’International Coffee Tasting 2012, l’attualissima miscela Action Espresso Bio 100% arabica ed Espresso System. Una terza postazione si rivolgeva al mondo della ristorazione con Espresso System Milani, per offrire a fine pasto un espresso eccellente.

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Liòn migliore ristorante per Restaurant & Bar Design Awards

Al Four Seasons i piatti di Borraccino

In occasione dell’undicesima edizione di Restaurant & Bar Design Awards – competizione riconosciuta a livello mondiale dedicata al design di bar e ristoranti, che si è tenuta a Londra – il Liòn Seafood Wine&Cocktails di Roma si è aggiudicato l’ambito riconoscimento di migliore ristorante europeo. Progettato dallo studio romano Collidanielarchitetto, l’innovativo indirizzo in Largo della Sapienza che fa parte del gruppo Tridente Collection – corporate dei fratelli Emidio e Fabrizio Pacini – ha saputo conquistare il favore di una giuria composta dalle personalità più influenti del settore design, hospitality e lifestyle a livello internazionale, ottenendo il primato nella sezione ‘Europe Restaurant’. “Uno spazio bello e suggestivo il cui design parla da solo” così ha commentato il giudice Lydia Forte, esperta di hotellerie e ristorazione di alto livello. Liòn si differenzia anche per il nuovo concept culinario che unisce il mare al bere bene. Avvalendosi delle linee guida dello chef executive Francesco Apreda, il giovane chef Luca Ludovici propone specialità di pesce, per un pranzo informale o per una cena raffinata, pensati per soddisfare i palati più raffinati regalando un’esperienza gastronomica di primo livello. E per il pre e after dinner, ci si affida all’estro del bartender Antonio De Meo pronto a proporre una mixology che spazia dai grandi classici a cocktail di tendenza e alternarla ai signature, punto di forza del Liòn. C.Z.

L’arrivo dell’executive chef Fabrizio Borraccino al Four Seasons di Milano, lo scorso gennaio, è stato foriero di grandi aspettative, che non sono andate davvero deluse. Già titolare di una stella Michelin, nel lussuoso Borgo San Felice, in Toscana, diretto da Danilo Guerrini, Fabrizio ha portato a Milano il suo spirito innovativo, la sua sensibilità e il suo amore talentuoso per le tradizioni della sua terra. E la scena milanese si arricchisce di nuovi stimoli. Fabrizio ha avuto anche la fortuna di avvalersi di un team affiatato e con grande esperienze (Silvano Prada, uno dei più rappresentativi allievi di Gualtiero Marchesi, in testa), tutti a loro volta discepoli del grande Sergio Mei. Il Four Seasons di Milano, ora condotto da Andrea Obertello, talentuosa direttrice d’albergo con esperienze internazionali di calibro, è stato recentemente teatro di una cena esclusiva, con protagonista il tartufo bianco, che ha visto un menù composto da eccellenti piatti realizzati da Fabrizio e dalla sua brigata, impreziositi dai tuberi di Savini Tartufi e abbinati ai grandi vini di Montevertine, la leggendaria azienda agricola della Famiglia Manetti che produce, fra l’altro, l’iconico Pergole Torte.

Hotel Food R-evolution: come cambia la proposta food & beverage in hotel Appuntamento mercoledì 22 gennaio alla Fabbrica del Vapore di Milano per la prima edizione di Hotel Food R-evolution, l’evento dedicato all’evoluzione della proposta food & beverage in hotellerie. La giornata, infatti, sarà l’occasione per confrontarsi con numerosi esperti del settore per approfondire la situazione del mercato, scoprire progetti innovativi, conoscere le startup che si stanno facendo strada e analizzare il comportamento del segmento turistico legato alla ristorazione in hotel. Il programma prevede l’apertura dei lavori con un’overview del mercato internazionale e nazionale, per proseguire con un approfondimento scientifico e la presentazione dell’Hotel Food Index. Dopo una pausa di networking, il multi evento termina con due interventi: il primo, dedicato ai migliori progetti innovativi (nazionali e internazionali) nati nell’ultimo anno; il secondo, focalizzato su come il cibo influenza il comportamento del turista e come il turista influenza le strategie degli hotel in riferimento alla progettualità e ai format dei servizi f & b proposti. Quattro le conferenze previste e oltre venti i relatori esteri e nazionali, professionisti del settore, in grado di fornire una panoramica della realtà attuale, ma soprattutto una visione e un'analisi precisa di quello che accadrà nei prossimi anni.

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Fabrizio Borracino


CINDY CRAWFORD


L’opinione

Il valore delle guide? È sempre in discussione di Stefano Bonini

Ghiotta ed edotta dissertazione sul valore delle guide in tempi in cui i canali social imperversano, anche sui temi alimentari e sulla gastronomia Autunno, tempo di pagelle per gli chef. Insignito qualche settimana fa della prestigiosa terza stella Michelin nel suo ristorante milanese al MUDEC, lo chef Enrico Bartolini non ha esitato a dichiarare che aver conquistato le tre stelle è come aver vinto una medaglia d’oro alle Olimpiadi. Contemporaneamente il focoso chef Gianfranco Vissani, toccato dalla perdita di una delle sue due stelle a Baschi, ha inveito sostenendo che la Michelin è una guida di compromessi e che avergli tolto un “macaron” è semplicemente una “vergogna italiana”. Da questo dicotomico atteggiamento rispetto a un divaricante riconoscimento della Guida Rossa per due, comunque grandi ristoranti italiani, nasce la vera questione in merito alle valutazioni e ai giudizi delle guide gastronomiche. E di conseguenza prendono corpo le riflessioni sull’utilità e il valore delle stesse. Per il pubblico in prima battuta, per gli addetti ai lavori in seconda, le guide gastronomiche possono quindi essere ancora considerate un valido riferimento in un mercato sempre più in mano a blogger, influencer e presunti gourmet da tastiera? Non vogliamo giudicarne l’importanza dal punto di vista economico, che la stella Michelin sia in grado di condizionare in maniera considerevole il bilancio economico di un ristorante è un dato

di fatto avvalorato da statistiche e ricerche, riconosciuto recentemente persino dal “nemico” Vizzari (direttore guide L’Espresso). Non altrettanto d’altra parte riescono a fare, i pur forieri di prestigio e fama, cappelli e forchette. Quello che ci preme è piuttosto capire come, in un mondo nel quale si diffondono a macchia d’olio siti, blog e forum nei quali tutti si sentono e si comportano da esperti enogastronomici e “sparano” democratiche sentenze senza filtri su chef, camerieri e ristoranti, le guide gastronomiche e ristorative possano ritagliarsi un ruolo di rilievo e continuare a essere acquistate e consultate. La prima considerazione da fare è relativa al target a cui le guide si rivolgono. E’ evidente che i loro lettori sono primariamente gli addetti ai lavori culinari e poi gli appassionati gourmet, per i quali stelle cappelli, forchette e chiocciole sono codici e simboli con un significato preciso e recondito. Un mondo fatto di persone che si riconoscono, che parlano un linguaggio comune fatto di basse temperature, roner, vitigni autoctoni e sottovuoto. Un’enclave, vieppiù crescente, che guarda ovviamente con una certa diffidenza e fastidio a Tripadvisor e a tutti quei luoghi virtuali nei quali chiunque può pontificare, nel bene e nel male, su un’esperienza gastronomica e ristorativa senza per questo dover dimostrare di possedere alcuna competenza culinaria. Si tratta in sostanza di uno strumento al servizio di una nicchia di persone che ha

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un rapporto stretto con il cibo, l’enologia e la ristorazione. E che è in grado di comprenderne lo stile editoriale e le considerevoli differenze di valutazione, facendo a meno delle istruzioni per l’uso. Sono guide scritte da giornalisti, gastronomi, ex ristoratori e appassionati, che raccontano solo il meglio dell’offerta gastronomico-ristorativa del nostro Paese. Oggi non c’è più traccia infatti, come in un passato di raspelliana memoria, di voti gravemente insufficienti e giudizi tranchant (seppure divertenti per il lettore), per quelli oggi ci sono Tripadvisor e affini. Oggi le guide sono dei vademecum la cui lettura è adatta soprattutto a chi ha un approccio edotto con il cibo e la tavola, a chi riconosce a un pasto un valore non banale, anzi speciale, a chi comunque (anche con umiltà) preferisce affidarsi, in epoca di tuttologia estrema, al giudizio e alla valutazione di un critico esperto che ne sa certamente di più del cliente medio. Le guide con stili, filosofie e modalità diverse, che ognuno di noi può per ciascuna di esse più o meno condividere o criticare, si pongono l’obiettivo di leggere il mercato, traccia re delle tendenze, individuare i ristoranti, le trattorie e le osterie che hanno qualcosa da dire e nei quali non si sbaglia a fermarsi. Fondamentalmente hanno l’arduo compito di aiutarci a spendere nel miglior modo possibile i nostri soldi a tavola fuoricasa. Diciamo che ci riescono… quasi sempre. A mio avviso certamente molto di più delle democratiche piattaforme... •


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Cover Story

Krug for Pepper Chef e magia Un viaggio in Messico porta Eric Lebel, Chef de Caves della Maison di Reims, alla scoperta di un ingrediente meraviglioso, il peperoncino. Le interpretazioni di 13 Chef delle Krug Ambassade rendono l’esperienza memorabile, grazie agli abbinamenti con le Grande Cuvée e il Krug Rosé

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di Alberto P. Schieppati

FRITTURA DI PEPERONI SHISHITO RIPIENI DI GAMBERI TIGRE GIAPPONESI

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Siamo ormai al quinto libro della Maison Krug che, anno dopo anno, dedica a un singolo ingrediente a e al suo abbinamento con il mitico Champagne, un volume che riassume una straordinaria esperienza, condotta fianco a fianco con gli Chef delle Krug Ambassade di tutto il mondo. Ad inizio 2019, lo Chef de Caves di Krug, Eric Lebel, ha accompagnato 13 Chef delle Krug Ambassade provenienti da 12 Paesi differenti in un insolito viaggio in Messico, patria dell’affascinante ingrediente di quest’anno, il peperone, in ogni sua tipologia e declinazione. Ed è così nato Rock the pepper... Durante il loro viaggio gli Chef hanno ammirato le varie fasi di lavorazione del prodotto, dalla coltivazione al mercato e dal mercato al piatto. Da questa esperienza sono nate le innumerevoli sperimentazioni culinarie della Maison Krug, la cui creatività sconfinata ha dato vita a squisiti piatti che spaziano dagli amuse-bouche allo street-food di alto livello, dagli antipasti ai piatti principali e persino ai dessert, tutti pensati per abbinarsi a un calice di Grande Cuvée o Krug Rosé. Credendo nella Maison e in ciò che rappresenta, questi Chef hanno saputo interpretare in modo molto originale il peperone, traendo ispirazione dalle rispettive culture, per creare abbinamenti sorprendenti. Gli Chef delle Krug Ambassade hanno espresso al meglio il loro talento creativo, realizzando ricette memorabili che, attraverso un pairing straordinario, hanno dato vita ad esperienze caratterizzate dal puro piacere. “C’è sempre una passione contagiosa intorno a una bottiglia di Krug, sostiene Olivier Krug, sesta generazione della famiglia Krug e Direttore della Maison. Tutti concordano che la vera essenza dello Champagne sia il piacere stesso. I Krug Lovers comprendono che non sono necessarie regole o esperienza per apprezzare un calice di Krug”. Come ha scritto Kelly Russell, Krug Lover e


Cover Story / Krug giornalista, “è un’esperienza illuminante percorrere un cammino che milioni di esseri umani hanno intrapreso prima di te, rivivendo una storia più grande di quella che nessun singolo individuo avrebbe mai potuto lasciarsi alle spalle. Questo legame si fa più profondo quando ti rendi conto che, compiendo questo viaggio, anche tu sei entrato a far parte della storia”. Dal Messico al resto del mondo, il peperoncino ha esercitato il suo fascino per millenni, e quando lo Chef de Caves Eric Lebel e i 13 Chef delle Krug Ambassade si sono riuniti a Oaxaca per rendere omaggio alla sua tradizione, i loro piatti sono stati il punto di intersezione fra passato e presente. Gli Chef che hanno preso parte alla avvincente spedizione messicana, in cui le loro ricette col peperoncino protagonista hanno dato vita a un avvincente food

LO CHEF DI TOKYO, YOSUKE SUGA: “SONO FIERO DI FAR PARTE DELLE KRUG AMBASSADE”.

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Lo Chef de Caves di Krug, Eric Lebel, durante la degustazione al Seta, del Mandarin di Milano

Grandi abbinamenti Krug con i piatti di Antonio Guida Per trascendere la nozione stessa di millesimato, andando aldilà di ogni luogo comune, nella creazione di Champagne di qualità eccezionale, Joseph Krug decise di sviluppare una collezione di vini di riserva, a cui hanno contribuito sei generazioni della famiglia. La collezione oggi è composta da 150 vini, che esprimono ognuno la personalità di un unico vigneto. Ogni anno, per creare una nuova Edition di Krug Grande Cuvèe o di Krug Rosé, Eric Lebel insieme al Comitato dei degustatori prova circa 250 vini dell’ultima vendemmia insieme a 150 vini di riserva, provenienti da 14 annate diverse e registra oltre 4.000 note di degustazione. Ogni Édition viene completamente ricreata e le bottiglie vengono quindi lasciate riposare per diversi anni nelle cantine di Reims prima di venire commercializzate. Le loro storie vengono rivelate online tramite il Krug ID indicato sulla retroetichetta di ogni bottiglia (v. foto). Venendo al millesimo 2006, lo scorso ottobre, Eric Lebel ha condotto una memorabile degustazione, svoltasi a Milano presso il ristorante Seta del Mandarin Hotel, dove Krug 2006 è stato protagonista, con la 162ème Édition, di un abbinamento ai grandi piatti dello Chef due stelle Michelin Antonio Guida. Le creazioni del 2006 hanno mostrato la loro vera forza: il Krug 2006 con il suo profilo aromatico generoso ed espressivo, grazie a 12 anni di riposo nelle cantine; la Grande Cuvée 162ème Édition la sua fragranza floreale e i sentori di frutta secca e matura, marzapane, panpepato e agrumi. Un’esperienza che non si può dimenticare.

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pairing con gli Champagne Krug, sono: Yosuke Suga, dal Giappone, Juan Amador, Austria, Julien Lefebvre, Francia, Andreas Bagh, Danimarca, James Won, Malesia, Danielle Alvarez, Australia, Kirk Westaway, Singapore, Cassidee Dabney, Usa, Nuno Mendes, Gran Bretagna, Otto Hendrik, Germania, Guillame Galliot, Cina, Kazutoshi Narita, Giappone, Giuseppe Iannotti, Italia, talentuoso chef del ristorante Kresios, una stella Michelin, grande interprete della tradizione della sua regione campana. Il peperone, che ha dato vita a ricette incredibili, è un ingrediente eclettico e versatile. “L’ingrediente di quest’anno, ha sottolineato Eric Lebel, è eterogeneo ed enigmatico, ancorato sia alla terra che alla storia. Con una miriade di forme e varietà, oggi vengono coltivate più di 50.000 specie di peperoni, tutti discendeti dalla originaria stirpe messicana. Avventurandomi dai vigneti ai campi di peperoni di Oaxaca, ho accompagnato gli Chef alla ricerca del loro singolo ingrediente, e ho osservato con meraviglia le loro stimolanti e inedite ricette, preparate per accompagnare gli Champagne Krug in un incomparabile food pairing. •


Bar / Caffè

Manuela Fensore: come si diventa campioni La campionessa mondiale di Latte Art si racconta. E’ una delle protagoniste che partecipa al Milan Coffee Festival dal 30 novembre al 2 dicembre

© Specialty Pal

Un esempio di coraggio, testardaggine e forza d’animo sia per coloro che condividono lo stesso sogno sia per tutte le donne che non smettono di lottare per perseguire la loro realizzazione personale. Noi le abbiamo chiesto i suoi segreti per diventare una campionessa. Manuela, non molto tempo fa ti abbiamo chiesto cosa significa essere una “Women in Coffee” e tu ci hai risposto: “Veramente io mi sento più una donna della Latte Art”. Cosa intendevi? Sono una ragazza che si diverte a cercare e ricercare figure e creazioni per poi riportarle in una tazza o da cappuccino o da espresso, perché è una cosa che mi piace tanto come l’arte in generale. Mi stuzzica molto di più riuscire a disegnare con solo l’utilizzo della lattiera. Che cosa rappresenta la Latte Art per te? Indubbiamente rappresenta uno stile di vita differente. E’ una passione che mi ha tirato fuori da un periodo veramente difficile e nonostante tutto – perché penso ci siano problemi di alti e bassi per chiunque – continua ancora oggi ad aiutarmi. E’ una passione che credo che difficilmente mollerò, per il semplice fatto che mi estranea da ciò che sono e dalle problematiche della vita. Anzi… le verso in una tazza sotto forma di arte ma

Manuela Fensore

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non in un modo troppo triste perché non mi piace. Preferisco sempre quella linea sottile tra realtà e fantasia. È cambiata la tua vita dopo che sei di-

ventata la campionessa del mondo di Latte Art? Assolutamente sì. Mi ha stravolto totalmente la vita, nonostante sia anche mamma. Faccio fatica a incastrare orario

Essere una “woman in coffee” Il Milan Coffee Festival 2019, ospita un panel rappresentato dalle donne più influenti del panorama italiano del caffè

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Parliamo di donne che dedicano la propria vita completamente al caffè, ambasciatrici della cultura e dell’innovazione. Le donne barista, che con il loro occhio attento cercano di perfezionarsi ogni giorno di più e lo fanno attraverso l’altro, attraverso il/la collega e con il cliente. Le trainer, addette dell’insegnamento della cultura del caffè teorica e pratica, che trasmettono tutta la passione e l’amore come solo una donna può fare. Alcune di loro hanno iniziato a raccontarsi…

HELENA OLIVIERO, campionessa italiana Cup Tasters 2018 e trainer indipendente “La donna nel caffè è stata sempre discriminata e continua a esserlo e ci sono differenze di genere in tutto il mondo, non solo in Italia. Però è anche vero che spesso la figura della donna è usata male: per puntare sul genere si finisce per fare un’errata comunicazione”.

© Specialty Pal

SERENA FALCITANO, barista di Ditta Artigianale, Firenze “Come prima cosa penso a tutte le donne che lavorano nelle piantagioni, e poi subito dopo penso alla donna nello specialty coffee: attenta, parsimoniosa. La donna ha quel tocco in più durante la preparazione del caffè, cura ogni minimo dettaglio… diciamo che ha l’occhio lungo”.

ILARIA NOCENTINI, barista e trainer presso Espresso Academy “Sono orgogliosa di essere una barista e amo il mio lavoro, ma non viene preso sul serio come si deve. Spesso, dopo la maternità molte mie colleghe hanno cambiato mestiere soprattutto per la precarietà contrattuale. A volte è difficile conciliare la sfera affettiva con quella lavorativa, ma credo sia importante per le donne aumentare la loro autostima ed essere più ambiziose”.

di lavoro con il tempo da dedicare a mio figlio, ma quando lui mi dice: “Grazie mamma che lavori per me” oppure: “Sei la ‘campiona’ del mondo” mi ripaga di tutto. Vincere mi ha aperto molte porte, sia in Italia sia all’estero, ma questo lo devo a tutta la mia costanza e dedizione che fino a oggi ho dato per la Latte Art. Che consiglio vuoi dare a tutti quei ragazzi che sono appassionati di Latte Art e che vorrebbero partecipare alle gare? Indubbiamente, mai mollare un sogno come raggiungere un palco molto ambito – che penso sia il sogno di qualsiasi competitor – e mai mollare l’allenamento anche quando si è stanchi. La costanza e la dedizione ci devono essere sempre, è lì che si vede quando si ha passione. Non bisogna essere eroi, bisogna, un minimo, sfiorare l’idea del sacrificio. Se si fa, allora si sfiora anche l’idea di potercela fare. Non è scontato e l’ho provato sulla mia pelle. Bisogna prepararsi alla perfezione per riuscire a essere anche quel poco meno che perfetti in gara per poi riuscire a raggiungere il proprio obiettivo. Il momento più bello del mondiale? E’ stato con la mia coach Chiara Bergonzi: è bastato solo uno sguardo tra di noi per capire di avercela fatta! Si è precipitata da me prendendomi in braccio. Penso che quello sia stato il momento più bello di tutta la competizione, ma non perché il resto non sia importante, ma perché insieme avevamo un obiettivo. L’obiettivo che avevo io era di riscattare Chiara attraverso me. E’ una competitor e coach molto valida che oggi ho la fortuna di conoscere come persona e che risceglierei altre dieci volte. I tuoi progetti? Certamente aprire un’Academy che sia anche sotto forma di “Gym della Latte Art”, per offrire uno spazio in cui allenarsi a tutti i competitor che ne avessero voglia o bisogno e quindi continuare nella formazione. •

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Bar / Fiere

Host Milano 2019 chiude un’edizione record Oltre 200.000 presenze (+8% sul 2017), il 40% delle quali internazionali. Operatori da 171 nazioni, con importanti delegazioni da Stati Uniti, Canada, America Latina e Medio Oriente Si è chiusa recentemente, con numeri in forte crescita, la 41a edizione di Host Milano, la manifestazione leader mondiale dell’ospitalità, organizzata da Fiera Milano. In cinque giorni, oltre 200mila presenze (+8% rispetto al 2017), di cui il 40% internazionali, da 171 Paesi, hanno animato l’intero quartiere. Oltre che da Paesi europei come Spagna, Germania, Francia, Regno Unito o Svizzera, delegazioni particolarmente numerose da USA, Cina, Medio ed Estremo Oriente e c’è chi ha percorso molte migliaia di chilometri per arrivare a Milano, perfino dalle Isole Fiji o dal Nicaragua. Intensi anche gli incontri di business con gli hosted buyer, arrivati a Milano, grazie anche alla collaborazione di ITA-ICE. “I risultati straordinari di questa edizione di Host – ha commentato l’amministratore delegato e direttore generale di Fiera Milano Spa, Fabrizio Curci – confermano la validità della strategia di Fiera Milano, che punta a fare delle proprie manifestazioni hub di riferimento internazionali”. Il motivo è presto detto: ad attendere i visitatori professionali c’erano 2249 espositori, in crescita del 3,8% rispetto al 2017, di cui 1.360 italiani e 889 esteri da 55 nazioni. Aziende top, ma anche piccole realtà innovative e

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stories) superando 1,1 milioni di utenti unici. Host 2019 si è rivelata, quindi, un’opportunità unica anche per condividere competenze ed esperienze, grazie a un palinsesto di oltre 800 eventi di alto profilo dedicati alla formazione e l’informazione su temi come la sostenibilità o le tecnologie 4.0 quali l’Intelligenza artificiale o l’internet delle cose, oltre a coinvolgenti competizioni, dimostrazioni e show-cooking con chef stellati, esperti e maestri delle diverse discipline. A questo proposito, desideriamo qui ricordare il talk show organizzato da APCI e dedicato al tema “Le professioni della ristorazione di domani”, a cui hanno preso parte esponenti di FIPE e Afidamp,

start-up piene di idee. Al di là dei numeri, Host Milano si è confermato come l’appuntamento che presenta in anteprima mondiale l’innovazione tecnologica e che anticipa le tendenze e gli stili di consumo del

fuoricasa, grazie alle numerose novità presentate dagli espositori italiani e internazionali e ambientate in contesti, spesso di design, che ‘raccontano’ in che modo i prodotti rispondono ai desiderata degli utenti. Una propensione allo storytelling che si è rispecchiata nel dinamismo dei social media: gli account Instagram collegati alla manifestazione hanno registrato più di 650 contenuti (tra post e Instagram

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oltre al nostro direttore, Alberto Schieppati. Si è trattato di un’opportunità in più per parlare e confrontarsi su: talento, competenze, professionalità. Fra gli argomenti trattati, oltre alle problematiche relative alla cucina e alla gestione della sala, l’importanza del management, l’igiene, il marketing e la comunicazione. L’appuntamento con la prossima edizione di Host Milano è a Fiera Milano dal 22 al 26 ottobre 2021.•


Bar / Mixologist

Presentata l’esclusiva collezione mixology di Nude In collaborazione con il bartender Remy Savage, il famoso marchio ha proposto, a Host 2019, la Savage Collection con le sue originali novità Grande successo per Nude a Host, la rassegna fieristica milanese. Il noto marchio, specializzato nella produzione di glassware, ha presentato l’ultima collezione di bicchieri da cocktail realizzata in collaborazione con il mixologist di fama mondiale Remy Savage, head bartender all’Artesian di Londra. Il bartender è stato protagonista di un evento ad hoc il giorno di apertura di Host, facendosi ammirare per la propria professionalità. Per creare questa collezione, il design team di Nude ha lavorato a stretto contatto con il mixologist. La Collezione Savage è stata ideata per aiutare a risolvere i problemi più comuni dei principali bar del mondo: vale a dire la tendenza di abbinare premium spirits a bicchieri generici di grandi dimensioni e sarà disponibile dal febbraio 2020. La collezione è di nuova generazione. Si presenta raffinata, elegante e di dimensioni più contenute. Il design è accattivante, le linee classiche, e ogni modello è progettato per l’uso quotidiano nel settore ospitalità. Vediamo quali sono i prodotti.

Remy Savage

Coupe presenta una coppa profonda che consente di servire sia bevande con albume sia con ice ball. Il suo bicchiere gemello, il Coupetini, mixa il classico bicchiere da Martini con una moderna coupette ed è adatto sia per un boulevardier sia per un daiquiri. Entrambi i modelli hanno stelo snello e slanciato e un aspetto ricercato ed elegante. Il Pony glass è più alto e inferiore in volume rispetto agli standard tradizionali, ha una raffinata base arrotondata e uno stelo lungo e sottile. Emulando il design dalle linee morbide tipiche del bicchiere da liquore, il bicchiere da acqua è impilabile e ha una capacità di 240 ml.

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Lowball e Highball, sono entrambi leggermente svasati per evitare scheggiature. Inoltre, sono consistenti e robusti da maneggiare. Il pluripremiato bartender Savage ha spiegato che la collezione è stata creata in parte in risposta alla crescente domanda di premium sprits. “I consumatori sono consapevoli di ciò che bevono e noi volevamo sviluppare una serie di bicchieri più piccoli, elegantemente progettati, per garantire che il sapore di ogni drink venga valorizzato al massimo. Ciò che adoro della collaborazione con Nude è come il design semplice e delicato definisca una separazione impercettibile tra il consumatore, il drink e il bicchiere. Con un bordo eccezionalmente sottile, il liquido diventa la vera star”. •



Bar / Russia

Mendeleev a Mosca: mixology eccellente

di Gualtiero Spotti

Un indirizzo sicuro nel mondo moscovita della miscelazione, dove poter bere bene ma non solo… La scena della miscelazione moscovita sta crescendo velocemente, così come sta facendo passi da gigante quella della ristorazione, trainata da due ristoranti entrati nei 50 Best, come White Rabbit e Twins Garden. Perfino gli appassionati di vini naturali e biodinamici oggi hanno di che divertirsi nella capitale russa con un locale come Big Wine Freaks, che mette in fila bottiglie di pregio con qualche riferimento anche italiano (Casa Belfi, Camillo Donati, Podere Il Saliceto, Lammidia), sloveno (Movia), austriaco (Michael Gindl), neozelandese (Kindeli) e non solo una ricca selezione di Champagne. Tornando però alla scena più underground (in tutti i sensi) e che raccoglie gli indirizzi per un dopocena divertente, per chi non vuole spostarsi troppo dal centro cittadino e gravitare dalle parti del Cremlino e del teatro Bolshoi, Mendeleev rimane l’indirizzo più pratico e originale, per non dire storico, ormai. Trovarlo non è poi così facile, visto che parliamo di uno speakeasy, e fin qui nulla di strano; se non fosse che si trova all’interno di un altro locale e, per l’appunto, è totalmente sotterraneo e nascosto alla vista dall’esterno. Per accedervi bisogna entrare nel take away asiatico Lucky Noodles che si trova in Ulitsa Petrovka, la via dove si concentrano alcuni dei più interessanti cocktail bar della capitale russa, da Voda a Santo Spirito; poi, una volta raggiunto il

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fondo del locale e sorpassato il controllo del classico buttafuori che fa selezione visiva all’ingresso, si scendono due rampe di scale e ci si inoltra in un ambiente un po’ bohemien e gotico, con due grandi

banconi per il bere miscelato di qualità, uno spazio che ospita eventi e deejay set notturni nel fine settimana e una fauna piuttosto variegata che passa dal turista capitato un po’ per caso al moscovita. Il

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punto di forza di Mendeleev, ormai locale che, visti gli anni di vita alle spalle si può ben definire un “classico” della vita notturna in città, sono i cocktail a base di assenzio, anche se la scelta qui è davvero varia e originale, grazie alla consulenza del famoso mixologist russo Roman Milosteviy, già guru di altri locali notturni come il Chainaya, posizionato qualche tempo fa al ventottesimo posto della lista dei migliori bar al mondo. Mendeleev però rimane un indirizzo unico e davvero sorprendente sia per l’anima multifunzione capace di attirare appassionati di musica techno o di jazz (a seconda del giorno, quindi è bene consultare prima il sito del bar se non si vuole capitare nella serata sbagliata…), sia per l’ottima qualità dei cocktail e la perizia di barman davvero instancabili e perfetti anche negli affollati fine settimana. L’anima clubbing di Mendeleev è piuttosto forte, ma le sale per chi vuole ballare sono separate, così l’ampia area dedicata alla mixology rimane a disposizione di chi desidera stupirsi di fronte a preparazioni elaborate e spettacolari con incroci di liquori e amari dove si passa dal vermouth al gin o dalla vodka allo scotch in un battito di ciglia. E, per chi vuole accompagnare il drink a qualcosa da mettere sotto i denti, si può perfino ordinare qualche piatto panasiatico che arriva direttamente dal vicino ristorante in superficie. http://www.mendeleevbar.ru/ •


Bar / Accoglienza

Tirreno C.T. i suoi primi quarant’anni Appuntamento dall’1 al 4 marzo del 2020 per la rassegna fieristica di riferimento dell’ospitalità e della ristorazione, che continua a crescere e ad ampliare i suoi consensi Da quarant’anni punto di riferimento per il mondo dell’accoglienza e, ultimamente, anche per gli stabilimenti balneari. Tirreno C.T. (che si svolgerà dall’1 al 4 marzo 2020 presso il complesso fieristico di Carrarafiere) soffia sulle candeline di un traguardo che fa di quella toscana una delle fiere più longeve di un settore che coinvolge ristoranti, bar, alberghi, pizzerie, gelaterie, pasticcerie. La manifestazione in questi anni è diventata un vero e proprio punto di riferimento grazie alla continua crescita di consensi. Sia in termini di offerta commerciale con oltre 430 espositori in rappresentanza di quasi 900 marchi, sia in termini di pubblico con 62mila presenze che caratterizzano il successo della quattro giorni apuana. Tra i 40mila metri quadrati dei padiglioni di Carrarafiere, Tirreno CT ha il suo vero cuore nell’incontro qualificato fra domanda e offerta di questo settore per dare vita a un importante scambio business-to-business tra gli operatori del Centro e Nord Italia. La fiera è un momento di confronto con i tanti eventi collaterali che ogni anno arricchiscono un programma denso di convegni, seminari e workshop, master gratuiti per professionisti, incontri con esperti di settore, campionati nazionali e internazionali di pasticceria, cucina, gelateria, pizzeria e

barman, oltre a degustazioni e dimostrazioni per tutti gli operatori. Come quanto propone lo spazio della Fucina dei Saperi Sapori e Conoscenze con la presenza di personaggi e ricette della tradizione italiana per dare visibilità alla manualità e ai racconti di questa professione. Nella quattro giorni della passata edizione, si sono tenuti oltre 100 appuntamenti di approfondimento, tra seminari, cooking show, convegni, tavole rotonde che hanno fatto, e fanno, della fiera un grande momento di formazione e aggiornamento professionale per pasticceri, pizzaioli, ristoratori, barman. A caratterizzare ogni edizione dell’evento grandi marchi del food&beverage italiano che propongono non soltanto la semplice esposizione delle novità e dei prodotti di punta, ma anche presentazioni e momenti di approfondimento. Dal pane alla pizza, dai prodotti lavorati e semilavorati per la cucina alle forniture alberghiere, passando per la gelateria e la pasticceria; un’intera area

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dedicata al caffè e alle innovazioni del settore grandi impianti. Inoltre tutto ciò che riguarda le attrezzature per la tavola, bar, gelateria e pasticceria fino all’arredo contract per interni ed esterni, compresi tappezzerie e arredo bagno. Ormai da qualche anno hanno preso sempre più piede operatori del settore wine and beverage. A partire dai migliori prodotti per il lavoro dei mixology e dei barman (rappresentati dalle principali associazioni di categoria) passando per tutto il settore emergente delle birre artigianali. Un’ampia selezione poi di aziende vitivinicole, ma anche distillerie con la presenza diretta dei produttori. A questo si aggiunge il legame con Balnearia, il salone professionale dell’outdoor design, benessere e attrezzature balneari che fanno di Tirreno CT un unico grande evento di riferimento per il segmento dell’accoglienza, dalla ristorazione al wellness, dallo street food all’hotellerie per arrivare all’ospitalità in spiaggia. •



L’intervista / Antonello Colonna

Antonello Colonna, romano ma anche milanese

di Maurizio Bertera

Il ristorante Open Colonna di Milano dello chef imprenditore di Roma propone una “cucina buona basata sui grandi classici”, appetibile per tutti Ci mancava solo lei, Colonna. Ora a Milano, nel suo nuovissimo Open, abbiamo il simbolo della Roma culinaria, quella tradizionale: carbonara e abbacchio, trippa menta e pecorino, la mitica cacio e pepe. Se pure lei scappa dalla Capitale… “E’ dal 1978 che vengo spesso a Milano, non me ne sono mai staccato. Sentivo questo profumo internazionale, di città raffinata, di stile. Adesso mi pare persino anglosassone. Un anno fa, cucinando per l’apertura dell’Hub di Identità Golose, ho scoperto che qui mi apprezzavano. E non ho potuto resistere alla tentazione di aprire. Quando si è presentata l’occasione l’ho colta al volo. Che dovevo fà?” Antonello Colonna, classe 1956, tra alti e bassi è il ‘signore’ della cucina dentro e fuori le mura di una città che lui continua ad amare perdutamente. Nel suo sito ufficiale si definisce ‘romano d’animo e di origine, che ha fatto del legame con il territorio il punto di forza’. L’uomo ha una discreta considerazione di se stesso. Sempre nel sito, prova a inquadrarsi: ‘un concentrato di astuzia, senso pratico, strafottenza leggermente dissimulata e genialità, nonché archetipo dello chef imprenditore’. Tutto sommato, ha ragione. Figlio, nipote e bisnipote d’arte, si è rivelato nell’85 quando rilevando la trattoria di famiglia fece la ‘rivoluzione’

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Una squadra giovane, ma di esperienza

in una terra di reazionari culinari. All’entrata del locale viene installata una porta rossa, che diventerà presto il simbolo del ristorante che cambia nome e pelle: all’“Antonello Colonna” di Labico viene adottato un nuovo ‘regime’ conservando tipologia e sapore dei piatti romani-laziali ma rivisitandoli per incontrare i gusti del tempo. Successo immediato che porta fama, pubblico e buone conoscenze. Non bastasse, apre un locale a New York e diventa un ‘cuoco di Stato’: segue la Nazionale azzurra di calcio, Casa Italia a due Olimpiadi, l’ENIT e Palazzo Chigi per conto del quale cura un memorabile banchetto per Elisabetta d’Inghilterra, in visita a Roma. E non manca la giusta dose di tivù, in tempi (quasi) eroici. Colonna, saprà bene che la chiusura dell’Open Colonna all’ultimo piano del

L’Open Colonna milanese si trova in un palazzo appena ristrutturato, l’ingresso è in via Bassano Porrone – a due passi da Piazza Cordusio – al numero 8: le storiche mura esterne sono rimaste, l’interno invece è completamente ripensato in chiave moderna. Il ristorante, che funziona anche come bar e bistrot – con la cucina aperta non stop dalle 12 alle 22 – si affaccia su un grande cortile interno, silenziosissimo e dove ci sono tavoli da utilizzare nella bella stagione L’ambiente è gradevole, i vini, allineati in una moderna cantina a vista, si scelgono in una carta non convenzionale, con un’apprezzabile inclinazione per gli Champagne e valide proposte al calice. Visto l’orario prolungato, non può mancare la mixology, affidata a Mattia Battistelli in stretta collaborazione con Mag, cocktailbar amatissimo dai milanesi. Anche il resto della squadra è giovane: il direttore è Simone Dimitri, già colonna di Trussardi alla Scala e Seta del Mandarin Oriental, lo chef Alessio Sebastiani, a cui tocca l’onere e l’onore di interpretare il ‘Colonna-pensiero’ mentre Emanuele Sala, socio di Colonna e Dimitri, si occupa della comunicazione. La cucina? “Non voglio insegnare niente a nessuno: sono arrivato a Milano in punta di piedi, non ho intenzione di seguire una linea “contemporanea” come si dice oggi o lanciarmi in provocazioni gourmet – risponde Colonna – voglio solo fare una cucina buona, basata sui miei grandi classici e su piatti milanesi, non per una sfida personale ma perché credo che piacciano a quanti cercano la sostanza e non i fronzoli”. Il menu comprende una ventina di proposte e un menu degustazione di quattro portate a 80 euro. Per il resto ci sono carbonara e abbacchio, trippa menta e pecorino, la mitica cacio e pepe e il giusto omaggio a Milano, a partire dal risotto e dalla cotoletta.

Palazzo delle Esposizioni e la conseguente ‘emigrazione’ a Milano, in pieno centro, è stata vista come l’ennesimo segnale di decadenza capitolina? Non lo sapevo (ndr, ride sornione). L’Open è stata una grande avventura iniziata nel

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2007: nessuno a quell’epoca pensava si potesse fare ristorazione di qualità in uno spazio del genere, all’interno di un museo. Riproviamo: non solo da anni si è rifu-


L’intervista / Antonello Colonna

La mitica Cacio e Pepe di Antonello C’è un episodio che più di tutti, spiega di che pasta (eh eh) sia fatto Antonello Colonna: nel momento in cui – da antropologo e archeologo del cibo qual è – si rese conto che la Cacio e Pepe stava perdendo il filo, decise di intervenire direttamente. “Sembra impossibile a pensarci ora – racconta Colonna – ma all’inizio del 2000, rischiava di scomparire a svantaggio della triade carbonara-amatriciana-gricia. Solo poche osterie la facevano secondo tradizione, troppi i ristoranti che la cucinavano aggiungendo ingredienti quali la panna, il burro, a volte un po’ di latte per mantecare il tutto. Sbagliato, sbagliatissimo. Un orrore culinario”. Il colpo di genio? Il cuoco di Labico chiama l’amico Stefano Bonilli (fondatore del Gambero Rosso) e organizza un evento a Palazzo Ferrajoli dove confronta la ‘sua’ ricetta del piatto con l’imperante sushi dei maestri giapponesi. Vince la sfida, ma non è questo il fatto eclatante bensì il ritorno in grande stile di questo piatto: “Ho pensato che bisognava nobilitare una delle creazioni più alte della cucina popolare romanesca – spiega – in un momento in cui era diventata parodia. Così ho iniziato a cucinarla a mo’ di risotto, mantecandola lentamente, facendomi aiutare davanti al cliente dai miei addetti di sala”. La bravura di Colonna però è stata la rivisitazione in chiave moderna. “Sì perché quella originale serviva unicamente per far consumare tanto vino nelle osterie. I bucatini venivano scolati molto bene, messi nella tipica scodellina e conditi con una manciatina di pecorino grattugiato e tanto pepe in polvere. Ma risultava un piatto asciutto e pepatissimo che ‘scaldava’ i clienti in modo bestiale e così il vino scorreva a fiumi”. La pasta di Colonna invece è appunto simile a un risotto con tutta la morbidezza regalata dal Pecorino Romano, rigorosamente non giovane perché il difetto di molte preparazioni è l’utilizzo di uno qualsiasi, con un finale triste: il formaggio a mò di ‘palla elastica’ che non si lega per nulla ai bucatini. E che il cuoco romano trovi in questo piatto la sua summa, ma non lo ‘rinchiuda’ lo prova l’abbinamento con il vino. “Nel rispetto del territorio, consiglio un Trebbiano o una Malvasia dei Castelli Romani. Ma preferisco lo Champagne, perché ho scoperto nel 2015 che utilizzandolo per la mantecatura del mio Freddo di Cacio e Pepe, lo rendeva fantastico”.

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giato in campagna, nello splendido Resorts & Spa di Labico, ma adesso proprio ha mollato la sua città. La campagna faceva parte del mio percorso di vita: a 50 anni si scappa con una russa o si torna a casa... Ho creato un posto di puro design, portando il ristorante alla Stella Michelin, dove la tradizione – mai tradita, sottolinealo per favore – è stata punto di partenza per la rivoluzione. Battuta a parte, non ho abbandonato la capitale: a dicembre apro uno spazio bellissimo nella Stazione Termini e raddoppio l’Open Bistrò a Fiumicino. Quanto alla mia città, che dire? Tra fine anni ’90 e primi anni 2000, si esportava il ‘modello Roma’ a Milano. Oggi c’è una corsa alla fuga, lo ammetto, in modo esagerato secondo me. Perché resta la città più bella del mondo, con tutti i difetti che ha. Andiamo diretti: si mangia meglio a Milano o a Roma? A Roma, perché sono rimaste le ‘botteghe’ a preservare quel minimo di identità culinaria che sta sparendo un po’ dappertutto. E nelle case private si continua a far da mangiare, non al livello di Napoli che resta la numero uno in questo senso, ma comunque imparagonabile a Milano. Qui dagli anni ’80, è sparito il concetto di cucinare anche se nelle case dei ricchi vedi dei ‘blocchi’ da 50mila euro che

dappertutto si parla di rivisitazione o si pensa che bastino una tovaglia a quadri e i bicchieri infrangibili. Meglio una trattoria di lusso dove puoi spendere quanto vuoi, da 15 euro per una grande amatriciana all’infinito se bevi il top. Lo scriva: nella cucina italiana di oggi, salvo eccezioni, basta arrivare al sei e siamo a posto.

non trovi nei ristoranti. Detto questo, Milano ha una scelta pazzesca di locali e di fornitori ma si è presa anche quella ‘confusione’ di generi che sta mettendo in crisi la cucina italiana. Ah, siamo in crisi. Questa è la notiziona: tutti a dire che viviamo il migliore periodo della nostra storia culinaria e lei contesta. Posso? Tanto rumore per nulla. I grandi stellati sono frequentati dall’1 per cento degli appassionati, vivono grazie agli stranieri e fungono da vetrina per creare le situazioni dove si guadagna davvero. In Italia non c’è e non ci sarà mai il piacere di spendere tanto per mangiare. Le osterie? Quelle autentiche non esistono più, manco nei Castelli Romani, perché

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Se la sentono i migliori, gli italiani della The World’s 50 Best Restaurants… Sono posti dove non puoi andare una volta alla settimana. Esperienze uniche, per pochi intimi. Ma poi i locali che si riempiono sono quelli non stellati dove la gente spende tanto ma si sente coinvolta, si diverte. Fanno cucina di sapori come la mia che definisco ‘per non vedenti’ tanto è oggettiva. Colonna, nella carta del suo Open, ci sono piatti milanesi in mezzo ai suoi classici, alla zuppa di pesce e al piccione. Una provocazione? No, io non voglio insegnare niente a nessuno. Arrivo a Milano in punta di piedi, nun me ne po’ frega’ de meno di piatti gourmet o contemporanei: io voglio solo fare una cucina buona. E non mi vanto di niente, per carità. Però la mia cotoletta non è male. E sa perché? E’ quella classica, milanese, immortale... •


Ristoranti / Grandi Chef

Attimi al City Life Lo stile di Heinz Beck 40

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di Alberto P. Schieppati

Una squadra di giovani professionisti guida con passione questo piccolo tempio gourmet, che attira i milanesi al Bistrot e al Dining Una premessa necessaria al pezzo: la prima cosa che mi sento di dire è che Heinz Beck, oltre ad essere uno chef senza uguali, ha una capacità straordinaria nello scegliere i propri collaboratori, in Italia e nel mondo. Già ne avevo avuto conferma in Giappone, durante una visita lo scorso anno a quell’Heinz Beck Tokyo che si distingue per la assoluta perfezione, di cucina e di sala. Heinz non sbaglia un colpo: e lo ha sempre dimostrato con i fatti, al ristorante tristellato di Roma, la Pergola (dal 2001), ma anche nell’Algarve, in Portogallo, e a Dubai, dove ha creato strutture diventate leggendarie per eccellenza dell’offerta e passione delle conduzioni. Poi ha portato la sua genialità anche nel format Attimi, prima all’Aeroporto di Fiumicino (2016) e poi al milanese City Life (2018). Lo Shopping District di Milano, diventato Heinz Beck punto di riferimento di insegne food in gran voga in questi anni, con l’apertura di Attimi by Heinz Beck, lo scorso anno, ha vissuto la sua vera evoluzione in chiave gourmet. La visione di Heinz (e la strategia, e il corretto posizionamento, e la segmentazione dell’offerta, e la selezione dei migliori collaboratori) tocca ogni aspetto della vita del format Attimi, fino ai minimi particolari. Non a

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caso, il primo locale di Roma Fiumicino, Attimi by Heinz Beck, ha recentemente vinto il premio internazionale “Best Restaurant in Mobility” de La Liste, una delle più autorevoli selezioni di ristoranti di alta cucina al mondo, fondata a Parigi da Philippe Faure. Un premio che, come ha detto Cristian Biasoni, ceo di Chef Express, la società che gestisce tutte le attività di ristorazione in concessione del Gruppo Cremonini, “conferma la validità della nostra strategia di realizzare partnership per progetti, come Attimi, di altissima qualità”. E di questa ulteriore evoluzione a Milano si sentiva proprio il bisogno, visto che City Life, pur nella versatilità dell’offerta complessiva delle oltre trenta insegne food, soffriva la mancanza di una vera e propria proposta gourmet di alto livello. Attimi by Heinz Beck è declinato in tre, anzi quattro segmenti di offerta: la caffetteria con le prime colazioni, il cocktail bar per gli aperitivi, il bistrot, ovvero la “alta cucina quotidiana” e il Dining, cuore dell’offerta gourmet più raffinata, tutto in perfetto “Stile Heinz Beck”. Lo spazio del bistrot, apparentemente più informale ma di livello qualitativo elevato, con una una fascia di prezzo fra i 30 e i 40 euro, introduce poi al Dining, il raffinato ambiente che si raggiunge dopo aver superato la vetrata della cucina a vista, suggestivo palcoscenico di un teatro in cui opera una brigata di professionisti guidata dal napoletano (è nato a Piazzolla di Nola) Francesco Nunziata. Trentadue anni appena compiuti, Francesco è una vecchia conoscenza di Heinz: dopo la formazione scolastica,


Ristoranti / Grandi Chef avvenuta all’istituto alberghiero Ottaviano, e alcune esperienze di formazione sul campo in diverse realtà dove ha imparato a lavorare con i gusti e i sapori della sua terra, la Campania, ha sentito l’esigenza – come ci ha detto in una breve intervista- di “sfamare la mia curiosità gastronomica e coltivare la passione per la cucina, perciò ho iniziato a girare l’Italia consolidando la mia conoscenza della cucina regionale italiana, fino a raggiungere il regno dello chef Heinz Beck al ristorante tristellato La Pergola, dove il sogno è diventato realtà”. Dopo qualche anno ha deciso di capitalizzare la sua esperienza e lo Chef Heinz gli ha dato la possibilità di mettersi alla prova nelle sue cucine di Londra e Pescara come Sous chef, per poi portarlo come Executive Chef nella cucina di Attimi di Fiumicino, definito come miglior concept food mondiale all’interno degli aeroporti, come abbiamo scritto sopra (La Liste). Ultimo e recente atto: da Roma venire a Milano dove il concept si è allargato nella proposta con il bistrot e e con il Dining gourmet. Francesco guida una bella e motivatissima brigata di giovani professionisti, fra cui Antonio Romanp, Saverio Picuccio, Giuseppe Albanese, il Pastry Chef. La sala di Attimi è “presidiata” da un altro grande professionista dell’accoglienza, Sergio Frasca: romano,

esperienza. La cucina di Heinz Beck al City Life si avvale di materie prima di qualità altissima, il meglio possibile, e i due Menù degustazione del Dining, uno a 4 a 65 euro e l’altro di 6 a 85 euro lo dimostrano nei fatti: dal Foie gras con composta di pesca al pepe sechuan e basilico, fino al Pinzimonio di verdure in agrodolce (nella foto), tutto dichiara nell’estetica del piatto e nei sapori degli ingredienti l’amore per l’eccellenza. Da provare: i Tortelli di melanzane pomodoro e frutti di mare, il Rombo asparagi e codium, l’Agnello lamponi mandorle e asparagi. Ma non scherzano anche il Lo chef e la sala, l’accoppiata vincente

nato nel 1983, è qui dallo scorso febbraio. Sommelier, maitre, responsabile di sala: un’esperienza ricchissima e diversificata. Ha lavorato persino, nel 2004, presso il Mirabelle dello Chef Marco Pierre White, tristellato Michelin a Londra). Ha maturato esperienze in diversi ristoranti stellati e di prestigio in Europa, imparando perfettamente l’inglese, ha poi deciso di rientrare in Italia per accettare la proposta come Chef de Rang presso la Pergola, dove è rimasto per 5 anni, dopodichè ha voluto rimettersi in gioco nella posizione di Restaurant manager presso la prestigiosa struttura stellata “La Posta Vecchia”, di Palo Laziale, poi ancora come Maitre Sommelier nel famoso Hassler di Roma, al Ristorante stellato Imago. Insomma, un curriculum di qualità, che oggi lo vede a capo della sala di Attimi, che guida con passione e

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Risotto finocchio e polvere di erbe, con la sua perfetta mantecatura e la corretta cottura, e il Piccione con la scorzonera, eccellente. Se al Dining l’esperienza gourmet è garantita, il Bistrot a sua volta offre l’opportunità di una golosa pausa di “alta cucina quotidiana”, Stessa brigata, stessa materia, stesso stile ma proposti in versione informale, con un servizio più semplice e diretto, per una consumazione più veloce e in linea con chi ha tempi più ridotti: in questo caso, il Tagliolino cacio e pepe è il piatto signature che consigliamo a viva voce. •


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Ristoranti / Protagonisti

Claudio Sadler, chef oste La stessa passione di sempre

di Maurizio Bertera

Stellato da numerosi anni, rappresenta uno dei punti di riferimento classici della Milano “da mangiare”. Abbina alla cucina anche l’aspetto formativo È sempre interessante parlare con Claudio Sadler, 63 anni, 33 di cucina. Sempre a Milano, più o meno sui Navigli. “Erano quelli del mio cuore, di grande fascino e bohemiens – spiega – anche se ammetto che oggi vorrei gestire ‘qualcosa’ in centro”. Ha iniziato sulla Ripa di Porta Ticinese all’Osteria di Porta Cicca, nel 1986: erano i tempi del Marchesi in via Bonvesin della Riva e di Santin all’Antica Osteria del Ponte. Cinque anni dopo la prima stella Michelin per una cucina ‘moderna in evoluzione’, studiata a lungo e disegnata – con i pastelli, ieri come oggi – prima di testarla ai fornelli. Nel 1995, il trasloco in via Trailo dove nel 2002 arriva la seconda stella Michelin. Terzo trasloco, sul Naviglio Pavese, nel 2007: a fianco del ristorante gourmet c’è un secondo spazio, Chic ‘n Quick-Trattoria Moderna. Uno dei migliori bistrot italiani, anche se a Sadler il termine non piace. “L’ho chiamata così perché vuole sottolineare le caratteristiche della cucina, italiana, e dell’evoluzione nel menu rispetto all’osteria” sostiene. Del resto, il cuoco milanese aveva anticipato il concetto, a metà degli anni ’90, con il Sadler Wine & Food, in via Monte Rosa, sempre a Milano. Ma è stato precursore pure dell’Italia in Oriente, con un locale a Tokyo nel ’96 e uno a Pechino nel 2008 come

Ravioli di cotechino con lenticchie di Ustica, brodo di Grana Padano 27 mesi Riserva e gel di agrumi

del banqueting, che segue con attenzione da un ventennio. Scrive bene – i suoi libri di cucina sono un must per appassionati e addetti ai lavori – ed è ancora più bravo a insegnare. Sia ai cuochi giovani sia ai dilettanti che affollano i corsi della sua scuola. “E’ un bel mondo: tiene allenata la mente perché prima di insegnare, devi imparare a insegnare” spiega. E non ha preclusioni: è stato tra i creatori dell’abbinamento tra birra e alta cucina ma ha pure ‘progettato’ panini per una nota catena. “Quando mi propongono cose semplici, che capisco subito e mi piacciono, parto e non mi preoccupo se la cosa ha un iter molto lungo”. Negli ultimi

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anni, ha deciso che era tempo di farsi vedere di più ‘in società’ e darsi da fare per la categoria ed eccolo stimato presidente de Le Soste, l’associazione dei ristoranti top. Alcuni dei soci li conosce dai tempi in cui fu fra i fondatori di JRE, i Jeunes Restaurateurs. Proprio perché è un pioniere, la sua visione della cucina di oggi non può che incuriosirci. Da dove partiamo? “Da come è cambiato il nostro lavoro, meno fisico di un tempo per fortuna, ma che richiede una preparazione diversa – risponde Sadler – nel senso che da un lato l’ambiente è più sano e pratico ma dall’altro bisogna imparare l’utilizzo di strumenti molto sofisticati. Il vecchio


Claudio Sadler

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Ristoranti / Protagonisti

Polpo stufato al vino rosso e lingua di vitello, crescione, rapanelli e mele senapate

forno, per esempio, è diventato come un computer”. Un altro progresso? “L’importanza del food cost, quando ho iniziato praticamente non se ne teneva conto e quindi succedevano casini a ripetizione. Oggi bisogna fare un calcolo molto preciso e la gestione dei fornitori è fondamentale: ci si attacca al telefono, cercando di portarsi a casa il meglio senza muoversi.

vogliono orari sopportabili e non assurdi, numeri in brigata corretti e non inferiori al necessario, il rispetto del patron e dei colleghi. Se queste condizioni sussistono, i ragazzi restano a lungo in un posto. Se devo dare un consiglio in generale è quello di andare nei grandi ristoranti più sovente di quanto vedo fare, in quello la mia generazione era fissata. Ora, ma non è un bene in questo caso, esiste internet…”. Da esperto maestro, con più attività, pensa che un giovane debba avere una specializzazione o meno? Crostata di alchechengi con caco “Tendenzialmenmela e pistacchi te non amo spostarli all’interno del mio gruppo. Fermo restando che ognuno mostra una vocazione per un aspetto del nostro lavoro o un altro, credo nella specializzazione e sono convinto che le scuole dovrebbero valorizzarle sin dai primi mesi di studio e non schiacciarle un po’ come succede”. In definitiva, ci pare che sia tutto meglio nel 2019 o ci sbagliamo? “Diciamo che è più difficile lavorare bene, nonostante si affermi il contrario. Intanto, la location conta molto di più che in passato perché la gente non ha voglia di fare tanti km per andare in ‘quel’ locale. Sarà per la Ovvio che fa piacere andare al mercato nascita continua di nuovi posti o anche o in campagna per acquistare i prodotti per il fatto che ormai ogni nuovo hotel ha dal vivo ma è complicato per ragioni di un ristorante all’interno, sta di fatto che tempo e talvolta per la posizione geograil pubblico è cambiato, non risulta facile fica”. Si dice tutto il bene e tutto il male trovare la chiave giusta per attirarlo”. possibile dei giovani cuochi, Sadler ne Dimenticavamo: la cosa che la rende più ha avuti (e ne ha) a decine. “Premessa: felice? “Oltre al favore dei clienti, direi sono più preparati di come ero io alla vedere tanti ragazzi che ho cresciuto qui, loro età e girano molto di più tra una tornare dopo aver girato magari anche cucina e l’altra, spesso nel mondo. Non per anni. Vuol dire che sono stati bene, è vero che il loro turn over sia legato allo che hanno un buon ricordo. E poi oggi ci stipendio – che peraltro, se regolarizzato, vuole una brigata molto forte, compatta è onesto pensando a tante altre profescon i sous-chef protagonisti perché gli sioni – ma alle condizioni di lavoro: ci chef sono impegnati su mille fronti”. •

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We’re raising our glass to the best restaurant in the world.

At Nude we’re proud to see our Stem Zero glasses being raised every day by guests at Mirazur. Now it’s time for us to raise our glasses and congratulate the exceptional chef Mauro and his 3 Michelin-starred restaurant Mirazur, on being awarded The World’s Best Restaurant at The World’s 50 Best Restaurants 2019.

Paşabahçe Store Milan, Corso Matteotti, 3 02-49523780


Ristoranti / Montagna

L’allievo di Ramsay non finisce di stupire

di Rocco Lettieri

Al Ristorante Bella Vista di Veleso (Co), lo chef Paolo Longoni, che vanta un curriculum internazionale di prim’ordine, guida questo locale con menù mixati fra tradizione e innovazione Cominciamo con il parlare di Veleso, a 826 m slm, piccolo e caratteristico paese montano situato nell’entroterra del Triangolo Lariano ai piedi del monte San Primo. Sue frazioni sono Erno e Gorla. L’altitudine, gli alpeggi e le vicine vette montuose favoriscono un ambiente salubre, tranquillo, risposante in cui è possibile vivere un periodo di vacanza trascorrendo parte del proprio tempo tra passeggiate lungo sentieri verdi, scoprire posti ricchi di storia e pittoreschi, ammirare suggestivi panorami e gustare anche le caratteristiche culinarie del luogo. Di interesse culturale tre chiese e una Pinacoteca. Un tempo le risorse locali erano cereali, alberi da frutta, castagni e l’allevamento del bestiame nei pascoli ad alta quota, che ancora oggi in parte viene praticato. Proprio grazie a questo, in alcune baite sparse tra i pascoli del territorio è possibile gustare ottimi formaggi di capra e vaccini. Nei ristoranti della zona si possono gustare diversi piatti tipici fra cui pulénta vüncia, supa de scigulin, paradell e pulenta balota. Per arrivarci due sono le strade: la prima passando da Canzo/Asso/Rezzago. Si prosegue per Caglio e quindi arrivati al Piano del Tivano si scollina per arrivare

Risotto alla Bella Vista, piatto bandiera dello chef

a Veleso con strade strette e tortuose. La seconda strada è quella di Como che porta a Bellagio, passando da Torno, Pognana, Nesso e siamo giunti a Zelbio, che sorge sulle verdi pendici del monte San Primo, a 802 m slm, circondato da maestosi castagneti cui si alternano boschi di faggi, querce, betulle e pinete. Tutto questo preambolo per invitarvi a salire a Veleso dove da una decina di anni, nell’albergo di famiglia, il Bella Vista (e

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che vista su tutta la catena lariana con il nostro lago e le sue ville), opera uno chef ancora giovane ma con un curriculum di tutto rispetto, Paolo Longoni, che per ben 14 anni ha girato in lungo e in largo l’Europa per imparare il mestiere di “cuoco” lavorando anche fianco a fianco con il famoso chef inglese Gordon Ramsay. Lui stesso mi ha confessato che: “E’ stato un periodo duro quello vissuto a Londra però ne è valsa la pena. La conoscenza di


Paolo Longoni

un personaggio così mediatico ti obbliga a seguire le sue leggi in cucina: precisione, puntualità, pulizia e lavorare sodo… Qui ho davvero imparato il mestiere e ho capito di amare questo lavoro”. La sua carriera comincia alla scuola professionale di Monte Olimpino, poi nel Pub Ristorante The Old Dunny di Como, nel 1998 ai Due Pini di Porto Santo Stefano, nel 2002 al Grand Hotel Savoy di Londra, nel 2003 al Talaya Mar di Barcellona, nel 2006 con il Group Ristol Viladecavalls sempre a Barcellona, e poi da Gordon Ramsay, a seguire da Georges Blanc di Vonnas/Lione in Francia, e ancora a Pari-

gi nel Ristorante Il Cortile. Nel 2007 torna a Barcellona al Ristorante Fishhh e nel 2008 chiude il suo girovagare lavorando a Roma in Via Veneto. Nel 2008, dopo l’ultimo lavoro a Roma, la svolta di Paolo Longoni: il padre Dorino e la mamma Marina hanno bisogno di lui nel loro albergo ristorante Bella Vista (anche edicola e bar e da pochi anni anche Spa). La scelta di ritornare a casa è stata dura anche perché nel “suo” locale sono sempre stati serviti piatti tipici locali: tortelli, polenta, coniglio, arrosti, selvaggina (in stagione), salamelle, costine, qualche volta i pesci di lago

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(missultit) e formaggi degli alpeggi dei monti lariani, sia freschi sia stagionati. Una clientela solo di paese, qualche avventore e i clienti dell’albergo. Mettere in pratica un cambio di menù radicale con quanto ha imparato girando all’estero sarebbe stata una sfida improponibile. Bisognava partire piano piano proponendo piatti innovativi a una clientela di richiamo, che arrivasse da fuori, pur di provare a Veleso, tra i monti, la cucina dei suoi maestri Ramsay e Geoges Blanc, una cucina di stile francesizzante che potesse richiamare anche la stampa di settore. La sua pagina social, infatti, racconta:


Ristoranti / Montagna genitori, offre un’esperienza di genuinità non banale con ricette che ti fanno sentire a casa con una punta di piede all’estero. Infatti, nel menù, troviamo una bella scelta anche nella descrizione. Tra i piatti, frutto di una visita con altri due amici, citiamo: Ricordo del carpione: patè di trota salmonata, giardiniera di verdure, spugna al dragoncello e timo; Risotto alla Bella Vista del Dorino (pomodoro, pesto, pancetta, peperoncino); Tortelli ripieni di baccalà con salsa al curry, coriandolo e polvere di olive nere; Duetto di Salmone scottato con spezie caraibiche, loto croccante, friggitelli appassiti, salsa allo

Paolo Longoni e il suo sous chef

“Cibo eccellente, prodotti di primissima qualità cucinati in modo divino. Accostamenti di sapori favolosi, a ogni boccone i gusti che si sprigionano in bocca mandano in estasi il palato. Il panorama è da cartolina dal terrazzo e dalle camere, la cordialità e la familiarità dei gestori ti fa sentire a casa ... Soggiorno breve ma da ricordare”. Oggi la cucina del Bella Vista coniuga perfettamente tradizione e voglia di nuovo, sapori dal passato con la ricerca dell’innovazione. La sala, con il suo terrazzino, si apre sullo splendido panorama del ramo del Lago di Como, tra il Triangolo Lariano e il Monte San Primo, e offre un ambiente tranquillo, semplice ma allo stesso tempo raffinato. Vi è un locale intimo adatto a cene riservate; una sala più grande ideale per rinfreschi o piccoli ricevimenti a buffet, battesimi, cresime e comunioni; e infine una veranda per piccoli gruppi. Il ritorno a casa, per guidare il ristorante di famiglia, è stato accompagnato da una

nuova osservazione e influenza di una cucina in continua evoluzione, ispirata da esperienze nuove, sapori diversi e complessi. Pur conservando con cura le proprie radici, la cucina appresa in casa dalla mamma e dalla nonna, e senza rinunciare al gusto delle piccole cose di un tempo e della tradizione della valle del Triangolo Lariano, anche nella ricerca di ingredienti freschi e di stagione, la cucina di Paolo Longoni è migliorata e si presenta giovane, moderna, fresca, vivace e di bella presenza. Paolo Longoni, ancora con la guida dei

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zenzero, polpetta con cipollotto e melanzane; Piccione in tre cotture (petto scottato con porro bruciato – coscia croccante con chutney di peperone rosso e ananas – canederli di ali e fegatini con brodetto alla patata al forno). Chiusura con Crème brulée allo zenzero. Una cucina che va scoperta e fatta conoscere poiché Veleso non è a Como o a Milano. Bisogna andarci. E di certo ritornerete per la qualità del cibo, per la simpatia di Paolo e per una vista panoramica senza eguali. Il menù degustazione Easy (tre portate) euro 35. Il menù degustazione Chef (6 portate scelte dallo chef) euro 55. La carta dei vini è migliorabile, ma i vini proposti, buoni/ottimi, hanno costi accessibili. •


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Ristoranti / Protagonisti

Pietro Leemann festeggia i suoi “verdi” 30 anni

di Fiorenza Auriemma

Il famoso chef italo-svizzero dello stellato Joia di Milano, è stato il capostipite dell’alta cucina vegetariana in Italia Sono passati 30 anni da quando – in via Panfilo Castaldi, a Milano – Pietro Leemann decide di dar vita al Joia, primo ristorante di alta cucina vegetariana in Italia. Una vera e propria scommessa, ai tempi, che lo chef ha indubbiamente vinto su tutti i fronti. Aperto il 29 settembre del 1989, nei primi anni ‘90 il pubblico e le guide gastronomiche iniziano ad apprezzarlo, e nel 1996 diviene il primo ristorante vegetariano europeo a ricevere la stella Michelin. Ancora oggi, Joia è l’unico stellato vegetariano in Italia, un vero e proprio tempio di questo tipo di cucina frequentato da una clientela italiana e internazionale, compresi molti ‘onnivori’ desiderosi di fare un’esperienza diversa a 360 gradi. Tutto questo, tiene a sottolineare Leemann, è stato ed è possibile grazie al contributo e all’impegno di molte persone che gravitano intorno al locale e ne condividono la filosofia. «Da soli, non si può far niente. Fin dall’inizio ho avuto a fianco collaboratori che mi hanno aiutato a costruire il progetto. All’epoca ci rendevamo conto che il mondo e le abitudini delle persone stavano velocemente cambiando, e che un ceto culturale e sociale medio alto dedicava sempre più tempo al proprio benessere fisico e psichico, e si avvicinava alla cucina vegetariana», ricorda lo chef. Nel corso degli anni, questo cambiamento ha

Pietro Leemann

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coinvolto sempre più persone, attente a come si nutrono. «Il cibo che mangiamo è il nostro specchio. A volte in casa di amici apro il frigo per vedere che cosa c’è dentro: mi serve per capire meglio le persone», racconta ridendo. «E non e che io sia perfetto, basta aprire il mio, di

frigo…». Perfetto forse no, però grande maestro sì, dato che in questi tre decenni dalla sua cucina sono passati e cresciuti diversi cuochi che a loro volta hanno aperto ristoranti vegetariani di successo, come – cita lo chef – Osterie, a Stazzona in Valtellina, e Maggese, a San Miniato.

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«Sono consapevole di aver gettato un seme: in questi 30 anni il nostro progetto è diventato ampio e articolato, Joia ora è una comunità che ruota insieme ad altre comunità, e io sono molto più conosciuto di prima», dice Leemann. «Quindi sento di avere la responsabilità di contribuire ulteriormente a questa trasformazione, anche nella ristorazione. Perché, paradossalmente, mentre le persone sono diventate più consapevoli di ciò che mangiano, molti ristoranti – specie quelli che offrono una cucina semplice – hanno mantenuto un’offerta non coerente con i tempi che corrono». Leemann ha scelto perciò di investire un anno di lavoro in un libro di 700 pagine, “Il codice della cucina vegetariana”, appena uscito per Giunti, che raccoglie ricette, segreti e filosofia della cucina verde. «Quando ho aperto Joia, in Italia e in Europa non esisteva una cucina vegetariana gourmet, per cui mi sono avvalso delle mie esperienze in Oriente dove avevo vissuto a lungo. In questi anni ho quindi gettato le basi di questo tipo di cucina, e le ho volute raccogliere ora in questo compendio che spiega tutto: da quali coltelli usare a come preparare le basi, dall’estetica del piatto alla filosofia della cucina, fino agli approfondimenti e ai contributi di medici ed esperti. È un libro pensato per durare nel tempo: mi piacerebbe diventasse un caposaldo e fosse d’aiuto anche ai colleghi che vogliano proporre piatti vegetariani». Dato che lo chef è amico di tutti i cuochi italiani più importanti, ha chiesto il loro sostegno per lanciare un ulteriore progetto legato alla sostenibilità e alla cucina vegetariana: un decalogo (per citarne alcuni dei punti: meno zuccheri, meno piatti con carne e almeno quattro proposte veg in carta, più materie prime bio, meno plastica, sprechi e consumi di elettricità e acqua) che Leemann e alcuni collaboratori stanno consegnando fisicamente – in auto elettrica e bicicletta – agli chef dei dieci ristoranti tristellati italiani. •


Ristoranti / Controcorrente

Jacopa: anche a Trastevere si guarda avanti

di Elisa Tricarico Foto di Andrea di Lorenzo e Max Littera

Audacia, semplicità, libertà: i cardini degli chef Jacopo Ricci e Piero Drago in questo locale di Roma

Nella parte meno caotica e piaciona di Trastevere ha aperto nell’aprile 2019 un piccolo ristorante gourmet che si distingue per lo stile informale e contemporaneo associato a una cucina di spessore. Il Ristorante Jacopa si trova al piano terra del boutique Hotel San Francesco, aperto 18 anni fa dal patron Daniele Frontoni. Nella hall, alle spalle del cocktail bar, si accede a un ambiente intimo e raccolto, con pochi tavoli e dal design attuale. La

proposta gastronomica è creativa e irriverente al primo impatto e sofisticata nella sostanza. Gli chef Jacopo Ricci e Piero Drago, amici da una vita, propongono una cucina dall’appeal schietto e genuino, ma nella realtà raffinata e meditata: definiscono i loro piatti rock, immediati. È riconoscibile l’esperienza di entrambi nelle cucine del Ristorante Il Pagliaccio, 2 stelle Michelin, così come l’interpretazione

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personale e giocosa di due ragazzi legati alla tradizione dei Castelli Romani, loro zona di provenienza. L’impostazione si palesa subito con il benvenuto: Ferratella ai ceci e scorza di limone, adagiata su un piattino fatto di giunchi come un piccolo nido, coscetta di rana fritta e pan brioche con fegato di maiale e nespole. Il culto della semplicità che diventa coreografia nella sua fruizione, è evidente nella presentazione del pane: portato a tavola intero, da spezzare con le mani e da intingere liberamente nell’olio. Nessuna velleità ma un solo credo: la materia prima, che deve essere sempre riconoscibile e rispettata, interpretata con giocosità e rigore contemporaneamente. Oltre a essere ovviamente di qualità, è sostenibile per l’ambiente: di stagione e fornita da piccoli produttori. Nel menù spiccano ad esempio piatti a base di quinto quarto, molto caro ai due chef: animelle, trippa, rigaglie. Partendo dagli antipasti: Animella, prosciutto e fichi, sontuosamente cotta nel burro, o Trippa, trippe e fagioli; o il primo Ziti, rigaglie e peperoni. Degli ingredienti vengono usate tutte le parti, senza sprechi, nobilitandole con estro e semplicità. Come le orecchie del maiale, che fanno capolino a sorpresa nel piatto Maiale, erbe e giardiniera. Lo stesso concetto è evidente nell’Anatra arrosto: più che un piatto, cinque assaggi che compongono l’anatra nell’insieme, testa, organi e zampe, oltre al petto e alla coscia, serviti coreograficamente su un vassoio. Così vengono realizzati anche gli strepitosi Ravioli agnello e yogurt, con tutte le parti dell’animale. Nel menù fanno capolino numerosi richiami


Jacopo Ricci e Sergio Drago

ai boschi dei Castelli, tanto cari agli chef, come funghi, misticanza ed erbe, ad esempio nei Tortelli brie e funghi serviti con il loro brodo a parte, o in Manzo, misticanza e funghi. Non mancano le proposte di mare, che seguono sempre le linee guida di materie prime locali e utilizzate nella loro interezza: per realizzare il piatto Ombrina, lattuga, ginepro e tonica arriva nelle cu-

cine di Jacopa l’ombrina intera; Alfabeto, pesci di scoglio è una zuppa di pesce ricca e consolatoria, un classico che affida l’elemento sorpresa alla pastina dei bambini a forma di letterine. Fra un colpo di scena e un sapore da amarcord,

conclude il pasto un godurioso Paris Brest alle nocciole. I tavoli si presentano essenziali, senza orpelli, ma ugualmente molto curati: proprio come i piatti che escono dalla cucina. La mise en place è priva di tovagliato ma elegante e contemporanea grazie alla scelta di stoviglie, dettagli di design e interpretazioni personali: dal tovagliolo arrotolato, al piccolo elemento di ceramica per le posate, dai piattini di legno alle ciotoline e brocche contenenti brodi e salse da versare sul momento. Il servizio di sala è discreto e garbato,

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non ingessato, guidato dalla giovane e amichevole Alessia Sama. La carta dei vini, italiani e internazionali, presta attenzione alle etichette naturali. Un plus di Jacopa sono le proposte del bartender Emanuele Broccatelli che è stato chiamato come consulente: cocktail curati e originali serviti al bancone del cocktail bar o nell’accogliente terrazza sul roof dell’albergo. La terrazza è un piccolo salotto urbano a cielo aperto, che suggerisce per atmosfera e arredamento un’informale dehors sul mare, ma è impreziosito dalla vista a 360 gradi sui tetti e le cupole del centro di Roma. www.jacopa.it •


Ristoranti / Protagonisti

Isabella Potì ovvero Lady Bros’

Intervista esclusiva con la chef leccese più conosciuta d’Italia di Nadia Afragola Isabella Potì e Floriano Pellegrino. O meglio Floriano Pellegrino e Isabella Potì. I Bros’. Prima o poi i due chef di cui tutta Italia parla convoleranno a nozze, per il momento li troviamo alla guida del ristorante gastronomico, una Stella Michelin a Lecce e al timone di una Trattoria che

Isabella Potì e Floriano Pellegrino

ha preso forma in una vecchia masseria Salentina a Scorrano, Roots. Nel mezzo c’è di tutto, ma proprio tutto: una limited edition pensata (da lei) per il Cornetto Algida, un loro brand di abbigliamento venduto tramite e-commerce, poi rappresentano brand sportivi di moda, di occhiali, guidano (lui) l’auto giusta e parlano (lei) di calcio sulla rete ammi-

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raglia, non dopo aver vestito i panni del giudice severo (sempre lei) in un talent per aspiranti cuochi. Del futuro non v’è certezza fatto sta che di loro non si può non parlare. Si possono non amare, potranno non convincere i più tradizionalisti eppure continuano a essere al posto giusto, nel momento giusto. Isabella l’abbiamo incontrata nei giorni


scorsi a Roncade, all’interno di H-Farm, piattaforma digitale che aiuta i giovani a lanciare iniziative innovative e supporta la trasformazione delle aziende verso il digitale. Tra i protagonisti della seconda edizione del Futureshots a parlare di Innovazione non poteva mancare certo Lady Bros’. Perché chiedono a uno chef come lei di parlare dal palco del Festival dell’Innovazione in H-Farm? «Perché faccio Innovazione – sorride – o forse perché in fondo, molto più semplicemente, non ho fatto altro che raccontare quello che facciamo nel nostro piccolo giù, a Lecce, nell’universo che è Bros’. Nella vita faccio quello che più mi piace, cucinare ma non mi limito a fare solo quello. Studio il mio territorio, partendo dalle usanze, dalle abitudini e soprattutto dal gusto. Quando parliamo di Bros’ deve essere chiaro a tutti che il background gustativo è quello salentino». Al Futureshots 2019 si è parlato di clima, di come è cambiato. È mutata anche la stagionalità dei prodotti? «Abbiamo fatto nei giorni scorsi il cambio del menù al ristorante, precisamente il 26 settembre. Siamo in autunno ma dell’autunno non c’è nemmeno l’ombra e i prodotti di stagione sono in ritardo di un mese. Di solito il cambio menù che porta all’autunno lo facciamo un po’ più tardi, quest’anno siamo stati costretti, perché chiuderemo per la prima volta a novembre dopo 4 anni di non stop. Sfrutteremo il mese per fare tutte quelle uscite esterne che di solito non ci è concesso fare se non in casi straordinari. Andremo a Sofia, Kiev, a Dublino: siamo contenti di essere arrivati a poter chiudere, concedendoci del tempo per fare altro. Non si direbbe ma questo break per noi è un traguardo che andava raggiunto». Che coordinate ha il vostro menù autunnale? «È un menu veloce, quasi una special

edition per il mese di ottobre. Non troppo autunnale, anche se abbiamo provato a metterci dentro dei cachi e delle castagne. Abbiamo sicuramente poca carne, ma quella è la base salentina dalla quale partiamo, tutta la prima parte del menù, quello da 15 portate è quasi integralmente vegetale; troverete ancora il nostro amato rancido: lo spaghetto freddo mantecato con il grasso arancione che affiora da un brodo fatto con gli scarti dei migliori prosciutti del Salento, aglio e peperoncino. Poi torneremo al timballo di anatra, che sostituisce la versione fresca ed estiva. Anche qui spazio al burro rancido. Abbiamo scelto di riproporre, per quanto breve la nostra storia, dei piatti iconici, come la cipolla che rientra in carta rivisitata ma è sempre lei». È tempo di guide, stelle, cappelli e lustrini. Com’è questo periodo per voi chef? La stella Michelin anche se la si dà per scontata, oltre a essere presa, va confermata e magari poi arriva anche la seconda… «Stiamo bene perché siamo pieni di lavoro in ogni caso e oggi al resto pensiamo poco. Ci sono stati tanti cambiamenti nella nostra azienda e altrettanti ce ne saranno. Siamo molto presi da altro e

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concentrati meno sulle guide e sui premi, anche se gli attestati di stima in qualsiasi forma si presentino fanno sempre piacere». Si parla tanto di scelte etiche. Cosa è etico per voi? «Continuare a far vivere quelle che sono le nostre usanze, il nostro modo di essere, quello che piace a noi. Io e Floriano abbiamo scelto di vivere, in maniera fissa, in un paesino come Scorrano, che conta meno di 7000 anime. Ci sono tante piccole realtà alle quali siamo legati nel profondo, a partire dalla masseria degli zii di Floriano con i vitellini appena nati, che produce latte e formaggio, passando per la signora Ada, che ha seguito Floriano sin da quando era bambino. Un tempo riforniva la famiglia di Floriano, oggi la nostra e anche Roots. Ada ha origine sarde, ha un piccolo allevamento di capre e pecore e produce ricotta in base a ciò che ha. Ecco perché quando arriviamo da lei l’unica cosa che le diciamo è: “Dacci quello che hai”. Scelte come le nostre servono perché incentivano queste piccole produzioni e questa gente speciale a non smettere, ad andare avanti, nonostante siano consapevoli che non diventeranno mai ricchi con ciò che fanno. E poi se alla fine il conto fa 10, io


Ristoranti / Protagonisti le do 15: è l’unico modo che conosco per incentivarla». Dicono che oggi gli chef devono essere polivalenti e che lei rappresenta alla grande la categoria. Che vuol dire essere uno chef polivalente? «Essere contemporanei e toccare tutti i campi della vita a 360°. Non puoi tirarti indietro dal comunicarti, dal mostrare alla gente quello che fai, altrimenti corri il rischio di rimanere confinato nel tuo ristorante e nessuno può vedere cosa accade dentro. Non sarei qui se non fossi uno chef polivalente a 360°: altri chef in giro non ne vedo! Sono qui per raccontare la nostra rivoluzione e innovazione interna, parliamo di cucina ma anche di come le cose possano essere viste in maniera differente. È molto importante per noi questo approccio: siamo Millennials, siamo nati in un’epoca in cui c’è tutto concesso, nel senso che ci possiamo prendere tutto se vogliamo. Abbiamo i mezzi per fare qualunque cosa perché non dovremmo sfruttarli? Questo è il punto, allora perché non essere contemporanei in toto?». L’equilibrio come si mantiene? «Lavorando comunque 18 ore, quasi tutti i giorni della tua vita in cucina, anzi per

la precisione 5 giorni alla settimana su sette». La paura che si ha, parlando di questo nuovo corso degli chef è che passino poco tempo in cucina. «Questo è quello che cerchiamo di non fare noi a Lecce. Faccio un esempio due giorni fa ero a Venezia per un evento e oggi sono ritornata qui per parlare al Futureshots, nel mezzo 24 ore che ho scelto di passare giù tornando a casa, al ristorante, anche se logisticamente e forse anche umanamente non aveva senso andare su e giù per l’Italia. Preferisco fare avanti e indietro 4 volte in 3 giorni pur di non perdere un giorno di servizio. Ecco come si mantiene l’equilibrio: continuando ad avere il focus sulla cucina». Metaprogetto è il vostro programma di ricerca. Per un profano di cosa si tratta? «È un mix di tutto ciò che ci porta a essere Bros’. Dalla ricerca sul food intorno al territorio, passando ai nostri argomenti di spicco, in questo momento è il rancido, alle masserie autarchiche, le usanze che ci guidano nella costruzione del menù, il processo creativo intorno a un piatto, lo stile che deve avere graficamente il menù o il ristorante, le divise dei ragazzi in sala o in cucina, la linea di abbigliamento che marchia i nostri amici come parte integrante della family. Tutto questo è il

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nostro Metaprogetto. L’anno prossimo tutto ciò lo presenteremo in modo concreto al pubblico, giù, perché noi non ci spostiamo, vogliamo che siano gli altri a venire da noi, vogliamo spostare il focus al Sud, a Scorrano». Si considera una leader? «Io non particolarmente, sto crescendo e provo a esserlo. Abbiamo ragazzi che sono molto più giovani di noi, nonostante la nostra giovane età e vogliamo continuare a lavorare con ragazzi, per diffondere in maniera equa e coerente la nostra visione. Difficile avere accanto qualcuno molto più grande di noi, non potremmo crescere insieme. Il team di sala e cucina entra a far parte del mondo Bros completamente e in futuro ci saranno tante cose nuove che è meglio non disperdere forze ed energie. Non posso svelare ancora nulla. Per tornare alla sua domanda la leadership è importante, perché serve a spiegare a chi sta al tuo fianco per cosa lavora e cosa insegue. Il primo leader per me è Floriano, io in primis ho seguito lui e ogni giorno lavoro sui miei valori di leadership e su come trasmetterli ai ragazzi». Cambiate spessissimo i ragazzi della vostra brigata, parlando del ristorante stellato di Lecce, non crede che alla lunga possa togliervi qualcosa?


«Abbiamo avuto un turnover molto importante un po’ per la mole di lavoro molto pesante, un po’ perché alla fine abbiamo sempre scelto ragazzi molto giovani, che sono in fase di crescita e quello che vuole un cuoco nella sua fase esplorativa è proprio quello, continuare a esplorare. Abbiamo scelto ragazzi affamati di sapere e quando hanno deciso di andare all’estero li abbiamo anche aiutati a continuare il loro viaggio, è giusto così, non serve incatenare nessuno. Stiamo cercando però di avere qualcuno che rimanga nel progetto fisso. Abbiamo

ragazzi che arrivano da tutto il mondo, perché il taglio delle nostre brigate sarà sempre internazionale, questo aspetto è importante per sentirsi nel mondo, pur stando con i piedi piantati a Lecce e poi serve a noi per vedere attraverso i loro occhi il nostro territorio». Siete cresciuti tanto… il ristorante meno, parlando di spazio fisico, è previsto uno spostamento? «Si, abbiamo in programma lo spostamento del Ristorante Bros’. Confesso che ci sentiamo stretti. Parliamone tra un anno e mezzo e saprò aprirvi le porte del nostro nuovo mondo». L’ultimo nato in famiglia è Roots. Perché avete sentito l’esigenza di un simile spazio? Come fate a farvi capire dai locali più che dai turisti? «È un posto un po’ difficile da spiegare ai locali, ma in fondo non ci stiamo im-

pegnando più di tanto in tal senso. Sta vivendo della stessa clientela di Bros’, nonostante sia un mood differente: siamo in una masseria con gli alberi di ulivo, il pozzo, i gatti che circolano tra i tavoli, le balle di fieno dove sedersi a bere il caffè. Quando vado in vacanza, secondo voi ho sempre voglia di andare a mangiare in uno stellato? Voglio vedere anche la cucina autentica, ecco perché abbiamo scelto di vendere un doppio pacchetto e infatti chi arriva da Bros’, chiede di poter andare subito dopo in Trattoria e viceversa. Non ci sono sicuramente tanti local da Roots, ma questo vale anche per il Ristorante di Lecce ma chi conosce una delle due realtà non può non conoscere l’altra. Roots è lo step prima di Bros, i gusti combaciano, a volte cambiano solo le tecniche». Chi inizia a lavorare nelle cucine o in sala da Roots, può ambire a raggiungere il ristorante stellato? «Si, abbiamo iniziato a lavorare in tal senso e anche i ragazzi italiani possono adesso far parte delle nostre brigate, apertura che fino a poco fa non esisteva. Per tutti Roots sarà un campo di addestramento». Qual è il cibo del futuro e qual è il futuro del cibo? «Il futuro del cibo? Green, parlando di scelte. Tutti dobbiamo impegnarci in tal senso, non solo quando ordiniamo da mangiare ma nella quotidianità di tutti i giorni. Un mondo plastic free nell’alta ristorazione sarebbe auspicabile ma siamo purtroppo ancora lontani. Anche in tal senso con Metaprogetto stiamo portando avanti degli studi importanti per eliminare ciò che sappiamo fare male al nostro futuro. Il cibo del domani? Quello dei nostri nonni, siamo concreti: la carne dovrebbe sparire, o almeno dovremmo avere la forza di bloccare gli allevamenti intensivi. Non punto a mangiare o servire insetti, preferisco concentrarmi sul mondo vegetale. Pesce? Zero, non ce n’è. Tra 50 anni non vedo pesce. Quello che più è in pericolo oggi è il nostro mare. Avete

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idea di quanto sia cambiato il mondo e il mercato del pesce negli ultimi dieci anni? Ecco perché le proteine del futuro saranno vegetali e i legumi torneranno alla riscossa». Cosa non entrerà mai nel frigorifero di casa sua? «Zero cibo da fast food. Il nostro frigo di casa è vuoto, durante tutta la settimana per riempirsi il martedì e il mercoledì in occasione delle nostre cene con gli amici. Cuciniamo a casa solo nei due giorni liberi e se non siamo fuori. Il nostro mercato è in una piazza, quella di Scorrano, c’è Angelo il fruttivendolo, Ada per i formaggi…». Siete reduci dal riconoscimento arrivato a Barcellona. Sono andati infatti in scena, nelle scorse settimane, i The Best Chef Awards 2019, la classifica social ideata dall’italiano Cristian Gadau. Siete arrivati 97°. «Barcellona è un risultato straordinario. Essere nei top 100 vuol dire esserci definitivamente affermati anche sul piano internazionale con la nostra filosofia e il nostro gusto. C’è poco da dire se non che siamo orgogliosi del duro lavoro e che dobbiamo farne ancora tanto, perché abbiamo 97 posizioni da scalare». Quando uno esce dal vostro ristorante riceve un palloncino bianco. Perché? «È un gesto simbolico, per ricordarsi di quella che è stata l’esperienza. È il nostro totem, un must, come avere finalmente in mano la chiave d’accesso per entrare a far parte della nostra family». Un buon motivo per venire a Lecce dai Bros’? «Un buon motivo per venire a Lecce sono i Bros’. Per capire cosa vogliamo dire. E anche se non siamo geograficamente comodi credo che ne valga la pena. Veniteci per conoscere una nuova era del cibo e per avvicinarvi ai Millennials che quasi temete, soprattutto in Italia». •


Ristoranti / Abbinamenti

Aria d’autunno alla Scaletta ascolana

Si respira aria autunnale in questo locale di Ascoli Piceno. Lo chef Mirko Petracci lo celebra in un menù dedicato alle pizze La vulcanica mente di Mirko Petracci, anima della pizzeria La Scaletta di Ascoli Piceno, ha elaborato un originale e sfizioso menù che non solo celebra la ricchezza e varietà degli ingredienti che la natura offre in questo periodo, ma anche abbinamenti audaci e fuori dagli schemi. La carta autunnale de La Scaletta vede protagonista Gran’Aria, l’impasto ideato e brevettato da Petracci, risultato di oltre

un anno e mezzo di ricerca. Il segreto di questa nuova e sorprendente esperienza di gusto, lanciata ufficialmente con il nuovo menù stagionale, è innanzitutto nell’altissima percentuale di acqua presente nell’impasto, che conferisce maggiore leggerezza, croccantezza e soprattutto digeribilità. All’alta idratazione si unisce anche un procedimento unico nel suo genere, basato su 3 pre-fermenti, ciascuno con una farina diversa. Il pre-fermento è la fase iniziale dell’impasto, quella in cui si sviluppa la base lievitante della pizza. Per Gran’Aria Mirko Petracci usa lievito madre e per i 3 pre-fermenti altrettante farine integrali, macinate a pietra, del marchio Petra di Molino Quaglia, da tempo partner de

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la Scaletta. Si crea così un blend che arricchisce con aromi unici l’impasto. La lievitazione, lenta e naturale, è l’ultimo tassello del processo che trasforma Gran’Aria in una pizza viva. Le nuove pizze de La Scaletta sono il frutto della collaborazione sempre proficua tra Mirko Petracci e lo chef Davide Camaioni, che della qualità delle cotture ha fatto il proprio credo. Grazie alla voglia di sperimentazione e al desiderio di creare abbinamenti insoliti ma strutturati, nascono i topping, disponibili nel menù autunnale. Particolare attenzione è stata data alla ricerca dei migliori tagli di carne adatti a cotture a bassa temperatura. Ne è un esempio Stinco di Santo, che vede lo


stinco di maiale adagiato su una crema di castagne e accompagnato da melograno e scaglie di pecorino semi-stagionato di Pienza. Oppure RoManzo Padano: tagliata di manzo cotto a bassa temperatura su una fonduta di parmigiano reggiano, con pesto di rucola e mandorle. Per gli amanti del pesce, nella Contro-

corrente è il salmone delle Isole Faroe, aromatizzato con maggiorana, timo e rosmarino, a farla da padrone, il tutto guarnito con crema di ceci aromatizzata al rosmarino, robiola di caprino, mousse di topinambur. Ma non manca anche l’effetto sorpresa, che lascerà di stucco (e ancora più ingolositi) gli ospiti:

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con Oltre il Sentiero, su una vellutata di porri, assieme a funghi porcini e nocciole Igp selezione Ceretto, ci sarà anche una pioggia di tartufo nero pregiato grattugiato fresco al momento. Gli estimatori della tradizione, troveranno in carta anche tre cavalli di battaglia di Mirko Petracci: Margherita 2.0, con pomodoro Pera d’Abruzzo presidio Slow Food, stracciatella di burrata ed emulsione di basilico; Sant’Emidio (in onore al santo patrono della città), con pomodoro Bio, bufala campana Dop, spicchi di pachino, alici siciliane ed emulsione di basilico; Amatriciana, un topping a base di salsa di pomodoro San Marzano Bio fatta in casa, cipolle bianche, guanciale di maiale da allevamenti semibradi, pecorino romano Dop e macinata finale di pepe fresco. Confermate anche Miseria e Nobiltà, con vellutata di zucca, stracciatella di burrata e noci, Sottobosco della Sibilla, con scamorza, funghi porcini e pancetta croccante, Sapori del Tirolo, con speck, gorgonzola, pomodoro e radicchio. Con il menù autunnale, Mirko Petracci conferma il proprio desiderio di porre sempre più “la pizza al centro” della vita delle persone, trasformando un “semplice” disco di pasta in uno strumento di convivialità che aumenta il piacere dello stare insieme e del godersi gli ingredienti unici e i colori che ogni stagione sa offrire. •


Ristoranti / Design

Pasabahce veste la tavola di classe Presentate alla recente rassegna fieristica Host, svoltasi a Milano, le ultime novità dell’azienda internazionale del vetro Host Milano 2019, la grande fiera dell’ospitalità, ha proposto in anteprima diverse novità di prodotto che le aziende del settore hanno lanciato per il canale Horeca. Fra queste, non poteva mancare Pasabahce, società leader nel mercato della vetreria di pregio, che offriva nell’ambito della manifestazione parecchie novità. Per esempio, Pasabahce ha presentato le alzate Villa Patisserie, deliziosi food storage decorativi e funzionali, entrati a far parte della grande e apprezzata famiglia Patisserie. Questa linea è composta da tre cupole di vetro impilabili, prodotte secondo gli alti standard qualitativi di Pasabahce. Villa Patisserie è caratterizzata da un design affascinante, un prezioso ornamento per ogni tavola, che alletterà e attirerà la vostra clientela. Degne di citazione, poi, le nuove collezioni impilabili Hill e Grande Sunray. Sono state, in effetti, tra le novità poste in esposizione da Pasabahce alla fiera milanese. Hill è disponibile in 2 formati e Grande Sunray viene proposta in 4 dimensioni. Si tratta di prodotti estremamente pratici e impilabili. Sono le soluzioni perfette per risparmiare spazio nei locali che, come sappiamo, non è mai abbastanza. Ci sono, inoltre, le già acclamate collezioni di Pasabahce dedicate al mondo della ristorazione. Allegra, Iconic, Amber e Linka si arricchiscono, infatti, delle

Collezione Patisserie Highness

Iconic

Timeless

varianti colore turchese e grigio. L’azienda ha proposto ai visitatori le nuove colorazioni di Allegra, una delle collezioni più amate. Presentata, anche, Iconic, contraddistinta da un design semplice ed elegante. E’ una collezione composta da calici e tazze disponibili in tre formati e due misure di bicchieri. C’è pure Amber,

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notevole per la varietà di calici e per i diversi design proposti. Tra le novità in mostra c’era poi anche Linka con le sue linee accattivanti, indispensabile nelle migliori apparecchiature. Un’altra serie, infine, che Pasabahce ha presentato alla fiera per l’International Hospitality è Leafy, che risalta per il suo design d’impatto. Leafy, è composta da bicchieri disponibili in diversi formati, incisi con motivi a foglia. I suoi bordi ampi le conferiscono un aspetto davvero elegante: una proposta elegante per un beverage di qualità. •



Ristorazione / Prodotti

Radicchio di Treviso, quale futuro?

di Theo Smith

Affermare il brand e dare maggiore spazio alla comunicazione del prodotto, espressione di qualità e tipicità. Un convegno fa il punto su un prodotto IGP di grande pregio. In attesa dei grandi freddi che porteranno a maturazione la varietà tardiva, il Consorzio del Radicchio Rosso di Treviso IGP e Radicchio Variegato di Castelfranco IGP guardano al futuro delle varietà che da 23 anni tutelano, e lo fanno attraverso un convegno dal titolo “Il radicchio si interroga sul suo futuro”, svoltosi lo scorso ottobre. Un’iniziativa che è parte di un percorso iniziato dal Consorzio cinque anni fa con l’obiettivo di formare e informare soci produttori, associazioni di categoria e amministratori su quelle che possono essere le potenzialità di sviluppo e i traguardi raggiungibili attraverso la valorizzazione e la promozione delle 3 varietà protette. Un prodotto che registra un trend in continua crescita dal 2015, ma che necessita di pianificare il prossimo futuro per mettersi in gioco anche in ottica globale e non solo territoriale. A fornire il proprio contributo quattro relatori ognuno dei quali ha espresso il proprio punto di vista su quelle che possono essere le prospettive di breve e medio periodo delle pregiate cicorie. Ad aprire le riflessioni Roberto della Casa, docente, fondatore e coordinatore di Italiafruit News che ha indagato le dinamiche del mercato ortofrutticolo nella distribuzione moderna rispetto a

Nello scatto magistrale di Ferdinando Cioffi, uno dei più grandi fotografi al mondo, Celeste Tonon, ristoratore di Volpago del Montello (Tv). Da sempre è testimonial del Radicchio tardivo!

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diversi tipo di consumatori “Il radicchio ha tutte le carte in regola per fare da traino per questo territorio – spiega Dalla Casa – Il cliente cerca un prodotto buono, garantito, sostenibile, tracciabile, biologico ma premia anche il suggerimento e l’abbinamento consigliato. Nella distribuzione moderna dovrebbe esserci più spazio dedicato ad un prodotto come il Radicchio Rosso di Treviso IGP per far comprendere cosa c’è dietro. Va considerato che tra Treviso e Bologna l’impatto del ‘fiore che si mangia’ è diverso pertanto o il consumatore conosce quello che sta acquistano o probabilmente non lo acquista, soprattutto se ha un costo superiore ai prodotti simili – e conclude - bisogna elevare il concetto di ‘mark’, dobbiamo far parlare il prodotto prima, in modo immediato, ha bisogno di un marketing che spieghi cos’è come si produce, ricette, abbinamenti, e aiuti a leggere un prodotto locale in ottica globale.” A rafforzare i punto di vista anche l’intervento di Roberta Garibaldi docente e componente di presidenza della Società Italiana Scienze del Turismo che ha sottolineato come grazie all’attenzione mediatica sviluppata nei confronti dei prodotti agroalimentari ci troviamo davanti ad una vera e propria “Gastromania”. “Oggi la ricchezza enogastronomica è considerata uno degli elementi più rilevanti per la scelta della meta turistica. La totalità dei turisti vuole vivere esperienze enogastronomiche (86%) - e sottolinea – quello che emerge è che c’è un forte gap tra domanda e offerta, perché spesso le aziende alimentari non sono preparate a rispondere ad un segmento di domanda affine al loro core business. Singolare inoltre l’esempio che evidenzia come paesi qual Thailandia o Giamaica si stiano evolvendo molto in questa direzione pur avendo una cultura e una proposta alimentare più ristretta di quella italiana. Ed infine conclude “Da considerare inoltre in un’ottica di accoglienza finalizzata alla valorizzazione del Radicchio Rosso di Treviso IGP che

a richiedere esperienze sono, non solo i turisti abbienti, ma anche i giovani e i millennials”. Riflessioni più tecniche durante la seconda parte del convegno dove è stata evidenziata l’importanza delle certificazioni nelle transizioni dei prodotti ortofrutticoli grazie all’intervento di Maria Chiara Ferrarese, Vicedirettore CSQA di Thiene “La certificazione è una scelta, è un concetto di garanzia che si è affermato per i retailer di tutto il mondo i quali hanno bisogno di tutelarsi rispetto al prodotto che stanno mettendo in commercio. Questo perché molto spesso le certificazioni comunicano claim sensibili

al consumatore. Il Global GAP i questo momento è uno standard mondiale che rappresenta un elemento basilare per vendere non solo alle catene più note ma anche nei discount i quali, sempre più, chiedono le stesse garanzie delle catene maggiormente conosciute. Global GAP è Una certificazione che oggi conta 200.000 aziende registrate al mondo di cui 110.000 solo in Europa, - e sottolinea come in questo momento – si stanno sviluppando dei moduli aggiuntivi chiesti dai grandi retailer che vanno a toccare aspetti sociali e di sostenibilità rivolta all’intera filiera. Non sono mancate inoltre le precisazioni sulla Certificazione

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Residuo Zero, partita nel 2018 “sarà un indicatore utile per il consumatore in quanto oltre al residuo di pesticidi sul prodotto finito (inferiore a 0,01 mg/kg) attesta anche un sistema di rintracciabilità in tutte le varie fasi e valuta il procedimento attivato per arrivare al risultato finale”. A chiudere la sessione Paolo Fontana, presidente di World Biodiversity Association “La sostenibilità non è una alternativa, è l’unica strada. Ci sono due aspetti che dimostrano il perché la sostenibilità non è un’opzione ma sono i cambiamenti climatici e gli insetti alieni a farla da padroni. I prodotti agricoli non sono qualcosa di standard, ma sono esposti al ciclo organico, meteorologico, di stabile c’è poco. Gli organismi risentono molto dei cambiamenti climatici e si comporteranno in modo diverso e L’agricoltura degli ultimi 70anni non è resiliente, è fragile da tanti punti di vista, è vulnerabile, la moderna agricoltura deve fare qualche passo in avanti e si deve sviluppare in un’ottica ecologica capace di adattarsi e progredire, come è sempre stato, in un’ottica di ciclo ecologico”. Tanti gli spunti per la platea presente composta prevalentemente da produttori e ristoratori, che oggi hanno la fortuna di operare in uno dei settori con maggiore margine di successo e innovazione nella proposta di prodotti. Un settore al centro di numerosi dibattiti ma che, soprattutto in termini di accoglienza e valorizzazione, può ancora esprimere molto grazie a spazi a misura d’uomo situati ad un passo dalle grandi mete turistiche e gastronomiche. Necessaria quindi la formulazione di un’offerta articolata al consumatore e agli operatori professionali della ristorazione che esprimono, sempre più, l’esigenza di incontrare il produttore. •


Ristoranti / Equilibrio

San Martino 26, la linea è italo‐albanese

di Claudio Zeni

Vista della sala del San Martino

Lo chef Ardit Curri, di origini albanesi, propone un giusto mix di sapori tra la su cucina d’origine e quella italiana “La forza sta proprio nella squadra, formata da professionisti del settore gastronomico e dell’accoglienza a disposizione degli ospiti per rendere una sosta al San Martino 26, piacevole e indimenticabile” è questo il leit motiv del San Martino 26, accogliente ristorante ubicato in Via San Martino 26 (nomen omen) nel centro di San Gimignano, dove interessanti proposte culinarie, cordialità e raffinatezza si fondono con la natura circostante. Un piccolo bancone reception/bar all’ingresso del locale con una sala principale divisa da un caratteristico arco, pareti a pietra e mattoni, soffitti a volte, scale dai corrimano in ferro, colori pastello, giochi di luci e ombre, il tutto unito a un arredo curato in ogni particolare con gusto, compreso la ‘mise en place’, crea un’atmosfera veramente deliziosa, mentre nel piano interrato sono state ricavate due sale, un privè e la cantina. Alla guida del ristorante il giovane ed emergente chef Ardit Curri con un team composto dal fratello Albert Curri (sous chef), Mattia Bagni (capopartita), Francesco Sorino (sommelier) e Rajib Fakir (collaboratore). Ardit Curri, con padre Halit insegnante di storia e geografia e mamma Nexhmije farmacista, ha vissuto in Albania, lavorando dall’età di tredici anni come cameriere in vari ristoranti di Tirana.

Ardit Curri

“A sedici anni decisi di abbandonare la mia patria per un futuro migliore seguendo le orme di Albert, mio fratello più grande, che già viveva in Italia dal 1997 – esordisce Ardit –, successivamente mi trasferii ad Arezzo per seguire gli studi presso l’Istituto d’Istruzione Superiore Statale ‘Angelo Vegni’ a Cortona (Ar), dove l’incontro con Gianfranco Giannetti, professore del corso ‘Di cucina’, mi fece innamorare sempre di più della gastronomia, del cibo e delle materie prime”. Terminati gli studi Ardit approda a San Gimignano al ristorante Perucà della

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famiglia Pernarella, dove già lavorava da qualche anno nel periodo estivo come capopartita a fianco della cuoca e titolare Lidia Rugi. Nel 2014 nasce la seconda impresa della famiglia Pernarella, il ‘San Martino 26’, un nuovo ristorante nel quale proporre una cucina con una chiara impronta gourmet. Da questo momento inizia il bellissimo percorso di Ardit. “La mia cucina si basa sulla ricerca, lo studio e la consapevolezza di riproporre la tradizione interpretata secondo il mio punto di vista, ovvero dare spazio alla semplicità al fine di riuscire ad avere un binomio di due culture, quella della mia origine e quella della mia patria adottiva – sottolinea Ardit –. Nei miei piatti l’ospite non troverà mai una sovrapposizione di gusti, ma un giusto equilibrio di sapori”. Tre sono i menu degustazione in carta: ‘Conoscersi’ quattro portate a 55 euro, ‘Insieme’ cinque piatti a 65 euro e ‘San Martino’ sette portate a 80 euro, il tutto frutto di una sapiente e accurata scelta delle materie prime elaborate dallo chef con grande professionalità. Ampia e ben costruita la carta dei vini elaborata dal sommelier Francesco Sorino, dove la parte più consistente propone giustamente etichette del territorio e toscane, con una scelta anche di mezze bottiglie. •


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Alberghi / Anniversari

Ospitalità romana, l’Eden compie 130 anni Il gioiello della Dorchester Collection festeggia una data importante, che rivela una storia lunga e ricca di cambiamenti. Ma tutti nel solco di una evoluzione continua Hotel Eden di Roma, albergo 5 stelle lusso della catena Dorchester Collection, festeggia un importante anniversario: sono infatti trascorsi 130 anni da quando l’hotel aprì le sue porte nel 1889, 130 anni di una storia meravigliosa ed entusiasmante. Durante una visita all’allora nuovo e già prestigioso quartiere Ludovisi a Roma, Francesco Nistelweck, albergatore nativo di Monaco di Baviera, si innamorò di una signorile residenza a tre piani situata all’angolo fra Via Porta Pinciana e Via Ludovisi. Nell’ottobre del 1889, trasformò la struttura in un elegante hotel con sessantatre camere arredate dalla moglie, Berta Hassler: il costo di una camera doppia all’epoca era di sole 9 Lire, meno di 20 centesimi oggi. Hotel Eden, uno dei primi hotel dotati di acqua corrente, elettricità, riscaldamento e persino un ascensore, diventò in breve tempo la meta preferita dei turisti stranieri in visita a Roma, grazie alla sua vicinanza alla nuova stazione ferroviaria di Termini. Col tempo vennero aggiunti gli altri piani, fino ad arrivare agli anni 60, quando la terrazza - che fino ad allora veniva usata per stendere ad asciugare le lenzuola di lino, la biancheria e le tovaglie finemente ricamate dell’albergo venne trasformata in un iconico rooftop con la sua vista mozzafiato che ancora

oggi seduce viaggiatori internazionali e clientela locale. Il ‘Libro d’Oro’ dell’Hotel Eden testimonia molti momenti di grande valore storico, con nomi e immagini che risalgono al XX secolo, come un ritratto della Principessa Maria di Borbone in abito da sposa, mentre esce dall’albergo, nel giorno delle sue nozze con il Principe Giovanni delle Asturie. Nel libro compaiono le firme dei rappresentanti delle più importanti casate reali d’Europa, tra cui il Re Alfonso XIII di Spagna, la Regina Amelia di Portogallo e la Granduchessa Olga di Russia. L’hotel diventò anche il quartier generale del Comando dell’esercito inglese dopo la Liberazione: il generale Bernard Montgomery firmò il libro nel 1945. Fin dalla sua apertura, Hotel Eden ha sempre rappresentato un’eccellenza

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Fabio Ciervo

dell’ospitalità romana, divenendo il ritrovo privilegiato delle star del cinema de La Dolce Vita. Tra i suoi ospiti più celebri l’attrice Ingrid


Bergman e il marito, il regista Roberto Rossellini, il Maestro Federico Fellini, che scelse la vista impareggiabile dall’ultimo piano dell’albergo per rilasciare le sue interviste; Sigmund Freud, il fumettista belga Hergé, ideatore di Tintin, che lasciò un fumetto di Tintin e Snowy come ringraziamento allo staff per essersi preso cura di lui. E’ proprio il servizio impeccabile offerto dal team, insieme allo stile unico e al fascino tutto italiano, che hanno reso Hotel Eden una destinazione privilegiata a Roma, in cui la clientela può vivere un’esperienza indimenticabile, grazie a un’atmosfera che ricorda l’accoglienza della propria casa. Per celebrare questo importante anniversario e condividerlo con i propri ospiti, l’ Hotel Eden ha ideato una serie di iniziative disponibili fino a fine anno, un cocktail, un piatto e un rituale spa creati ad hoc per l’occasione: ‘‘Royal Eden’: Silvio Favot, storico ex bar

manager dell’Hotel Eden, creò molti anni fa una nuova ricetta per Costantino II di Grecia e il drink divenne subito il preferito della regina madre Federica. Per molto tempo gli ingredienti rimasero segreti, ma oggi Il Giardino Bar propone questo cocktail celebrativo con la ricetta originale a base di vodka, dry vermouth, Campari, acqua tonica e gocce di orange bitter. ‘Polipo e sedano’: un piatto che appartiene alla tradizione di Hotel Eden. L’executive chef Fabio Ciervo ha ritrovato la ricetta nei menu storici dell’hotel, e oggi interpreta il piatto in versione contemporanea al ristorante stellato La Terrazza. ‘Il Giardino dell’Eden’: nel 1889, anno di apertura dell’Hotel Eden, lo scrittore Gabriele D’Annunzio, che soggiornò in albergo, pubblicò ‘Il Piacere’, dedicato al piacere dei sensi. Per celebrare questo capolavoro, The Eden Spa ha creato un rituale in collaborazione con Mei: 130

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minuti di piacere, un percorso sensoriale con fragranza di fico e oli essenziali di rosa e gelsomino, per un corpo sinuoso e una pelle del viso radiosa. Ieri come oggi, con una storia lunga 130 anni di Dolce Vita, Hotel Eden continua a rappresentare ogni giorno un’eccellenza dell’ospitalità romana riconosciuta ed apprezzata tanto nella Città Eterna quanto in tutto il mondo. C.Z.


Alberghi / Relais

Chateau Monfort, il brunch è di successo

di Giorgio Ascorti

In molti hotel italiani viene dedicata attenzione al fenomeno del brunch domenicale. L’esempio meritevole di un cinque stelle di Milano Siamo partiti tardi rispetto ai Paesi Anglosassoni ma anche sul brunch abbiamo recuperato bene. Premessa storica: il termine nasce dalla fusione tra breakfast e lunch. Ufficialmente venne coniato nel 1895 grazie allo scrittore Guy Beringer, per identificare la sua idea di colazione domenicale, più sostanziosa del solito onde potersi riprendere dagli eccessi del sabato sera. In realtà le origini del pasto affondano nell’Inghilterra del XIX secolo, rifacendosi ai fastosi buffet organizzati dall’aristocrazia al termine delle battuta di caccia. Mentre il primo sviluppo si ebbe negli hotel delle metropoli americane, intorno agli anni ’30 che non solo portarono a creare dei piatti entrati nella storia (esempio tipico le uova alla Benedict), ma anche l’affermarsi di cocktail intramontabili quali il Bloody Mary, il Bellini e il Mimosa. Da lì, il concetto entra nelle case verso gli anni ’50 pur restando patrimonio degli alberghi. A distanza di quasi un secolo, anche in Italia – a parte lodevoli eccezioni – sono le strutture interne agli hotel a dare il meglio sul tema, con Roma ma soprattutto Milano – scontato dirlo ma è così – a interpretare la tendenza da più tempo e maggiore attenzione. Tra i brunch più godibili (e lucidi) c’è quello di Chateau Monfort, centralissimo cinque stelle del gruppo Planetaria Hotel. Per-

ché convince? Per la capacità di spingere molto su una visione italiana, meritoria considerando l’internazionalità della città e della clientela. “Noi abbiamo un obiettivo, non facile ma molto stimolante: venire incontro a tre tipologie di ospiti: gli italiani che sono in netta maggioranza durante la settimana, gli stranieri che al contrario sono più numerosi nel fine settimana e quanti vengono per il brand Relais & Chateaux che ci caratterizza” spiega Domenico Mozzillo, executive chef di Chateau Monfort. In effetti, non è semplice: tanto più pensando che in un boutique hotel come questo, bisogna pensare a tutto e di più, dalla ricca colazione alla cena gourmet passando per il business lunch e l’aperitivo con finger food preparati al momento. Sempre con il tocco in più, vista la clientela di livello. Il Sunday Brunch è la ciliegina della tor-

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L’executive Chef Domenico Mozzillo


ta, da vivere nelle tre sale ben arredate: Alcova che richiama un bistrò parigino, Rubacuori dal sapore veneziano con romantiche sedie a cuore e la Caccia che richiama un casino venatorio inglese. Da una parte ci sono gli evergreen anglosassoni: pancake e muffin, torte, succhi e tè, uova alla Benedict e hamburger, insalate e omelette… Ma dall’altro c’è grande spazio per le specialità di casa nostra – dallo street food alle paste – che attirano un pubblico di fedeli e conquista i neofiti.

“Il punto fermo dell’intera proposta culinaria della struttura è la territorialità: piace a me e lo pretende la clientela che non si accontenta di una generalità italiana ma vuole scoprire la cucina del posto. E’ anche il recente messaggio di Relais & Chateaux che sottolinea sempre il profondo rispetto per l’ambiente che ospita i locali” sottolinea Mozzillo. A Milano non è semplice, ma si può fare: così a fianco di una (grande) mozzarella in carrozza o degli arancini, spunta il tipico pan de mej che lo chef campano ha studiato e testato con grande professionalità, arrivando a un risultato invidiabile. Un brunch di successo deve tenere conto di altri fattori – a partire dal servizio che qui è eccellente – come spiega Stefano Risolè. “Prima di lanciare il brunch nel format attuale – dice il direttore di Chateau Monfort – abbiamo studiato la zona circostante, perché al di là dell’elevata qualità della proposta che per noi resta un aspetto naturale, il posizionamento sul mercato è importante. Da qui la scelta di un prezzo di 45 euro a persona,

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acqua minerale e caffè inclusi, mentre, per i bambini al di sotto dei 10 anni si scende a 22 euro. E lo stesso concetto è stato applicato al menu di Rubacuori, che è sicuramente diverso da quello del Venissa che l’ha preceduto. Oggi cerchiamo assolutamente di venire incontro ai desideri del cliente e alle tendenze, con un prezzo corretto”. Non sono parole, come dimostra la scelta di creare un menu vegetariano – dopo l’introduzione di qualche piatto – a fianco di quattro menù degustazione o la visione del brunch, che piace a grandi e piccini. •


Ristoranti / Venezia

Arriva la seconda stella al Glam di Donato Ascani

di Gualtiero Spotti

è da attribuire in buona parte alla verve dell’executive chef di casa, il laziale (e originario di Fiuggi) Donato Ascani, un cuoco trentaduenne cresciuto alla corte di Enrico Crippa e di Paolo Lopriore, dai quali non a caso ha appreso l’arte del contrappunto gustativo, dell’espressione dell’amaro, e uno stile da battitore libero che si permette di spaziare tra fermentazioni, consistenze, variazioni di temperature, affumicature, sottili giochi di spezie, marinature e accostamenti dove la materia prima locale viene reinterpretata, e dove a volte la cucina alta incontra quella bassa, tra snack, panini, friselle e piacere ludico che tocca la pancia e al

Non sempre è facile mangiare bene in Laguna… Questo locale, situato a Palazzo Venart, grazie al suo chef esprime vero Fine Dining: merito anche di Enrico Bartolini Parlando di Venezia una premessa è quasi d’obbligo. La città lagunare è, da sempre, una meta che attira turisti da tutto il mondo e questo la rende una preda facile per la ristorazione usa e getta che bada al sodo, che presta facilmente il fianco alle esigenze di una clientela poco incline alla qualità e a un visitatore piuttosto distratto quando si tratta di pasteggiare, forse perché impegnato a osservare la bellezza circostante. Così, all’ombra del campanile di San Marco, trovare qualche indirizzo capace di far sobbalzare sulle sedie non è poi così facile, pur nel generale miglioramento dell’offerta di alto profilo avvenuto negli ultimi anni in città. Certo, non si può dimenticare che nel frattempo è arrivata la stella di Davide Bisetto al Cipriani, che è transitato per qualche stagione Perbellini al Marriott, che gli Alajmo hanno decisamente marchiato il territorio e che anche sulle isole circostanti (vedi la realtà di Venissa con Brutto), qualche buona sensazione la si può vivere. In più, sono cresciute realtà di ristorazione più accessibile e regionale come Local e Zanze XVI, oltre a qualche buon indirizzo per cicchetti o scrigni del buon bere come La Tavernetta al Lido. Insomma, si può dire che c’è una scena un po’ più vivace rispetto a qualche anno

fa e nella quale spicca, e non poco, la cucina di carattere di Donato Ascani al ristorante Glam, ospitato al piano terreno di Palazzo Venart, in un hotel di stile placidamente appoggiato sulle rive del Canal Grande. Aperto ormai da tre anni e con il marchio indelebile del successo sin dall’avvenuto esordio sulla piazza veneziana, questo grazie alla firma dell’ineffabile Enrico Bartolini, il Glam ha saputo mantenere fede nel corso degli anni alle aspettative, e, anzi, oggi si mostra agli occhi di tutti come un ristorante dai contenuti fortemente innovativi e perfino sorprendenti per un luogo come Venezia. Il merito, in questo caso,

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Donato Ascani

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Ristoranti / Venezia

tempo stesso riesce a far riflettere. Un esercizio non da poco, a ben guardare, che si manifesta in due percorsi degustazione (Arte orti e laguna oppure Natura e Origini), ma anche nella carta un po’ ristretta dove si lascia maggior spazio a idee contemporanee e a divagazioni global tra Oriente, Nordafrica, Mediterraneo e laguna. Quello del Glam a tavola è un viaggio che non sembra avere un inizio e una fine ben definiti, ma semplicemente ama seguire i ritmi del palato quasi fossimo impegnati a districare le note

di una partitura di musica free jazz. Il piacevole Rostro al nero di seppia con caviale di aringa e finger lime ci ricorda visivamente dove siamo, a Venezia, ma poi si parte con incisive interpretazioni autunnali (Fungo non fungo con patè di fegatini e gioco di spezie), sferzate contemporanee (Mela marinata, sgombro,

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miso e prugna fermentata), accostamenti mare/terra (Lattuga di mare e cuore di piccione) e divagazioni umami (Crema d’uovo, bottarga, lime e chilli). Sono molte le parole che arrivano sulla punta della lingua tra percezioni salate, minerali, amare che riescono a toccare perfino la cucina locale, e d’altro canto, un piatto come il festival delle acquadelle riporta a un classico bartoliniano come le Sarde in Saor. In tutto questo c’è anche il talento di chi riesce a riassumere un mondo in pochi, pochissimi bocconi, o magari in un unico assaggio, come nel caso del raviolo di fagiano e cavolo o nella Seppia affumicata al mirto, ormai da tempo uno dei must della casa. A ben guardare, diverte e non poco anche il contrasto tra l’austerità e l’eleganza da dimora del Doge dell’albergo e la spinta creatività del ristorante che esce sia in bocca sia nell’impiattamento. Il tutto in un ristorante piccolo e intimo, con pochi coperti, con la vista discreta sul giardino interno del palazzo e un servizio non meno attento e curato dove ci si sa muovere seguendo i tempi giusti e lasciando spazio alla tranquillità e al piacere della tavola agli ospiti. In più bisogna rimarcare la predisposizione verso una scelta di vini piuttosto variegata e interessante, come dimostra la bella carta inclusiva di bottiglie di assoluto pregio in stile convenzionale così come di scelte più radicali, vicine ai gusti naturali o biodinamici. Quasi d’obbligo, forse, in una piazza che già da tempo offre enoteche dove rifermentazioni e metodi ancestrali la fanno da padrone. Intanto, per non sbagliare ci si può accomodare, prima del pasto, nel giardino con vista sul canale, magari davanti a un buon bicchiere del Collio a firma di Franco Terpin… •



Alberghi / Roma

NH Fori Imperiali: una realtà d’eccellenza

di Gualtiero Spotti

Questo boutique hotel, nel cuore della Roma Imperiale, si avvale oltre che dell’invidiabile posizione, della cucina mediterranea dello chef siciliano Natale Giunta Già da qualche tempo la catena di hotel NH aveva messo in chiaro come Roma fosse una piazza strategica e importante nel quadro della crescita del brand

Collection, quello che identifica il top di gamma tra gli alberghi del gruppo. Così poco più di due mesi fa è avvenuta l’inaugurazione dell’ultimo nato in ordine di tempo, il boutique hotel NH Fori Imperiali che si trova a un tiro di schioppo dalla Colonna Traiana e dall’Altare della Patria in una posizione davvero privilegiata. Poco più di quaranta camere, tra cui 9 suite, e realizzato riqualificando un edificio che raccoglieva al suo interno una serie di anonimi uffici, il Fori Imperiali si presenta oggi come un albergo dall’eleganza discre-

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ta e con un legame molto forte con la realtà capitolina. Come dimostrano le immagini distribuite al suo interno, che raccontano, attraverso una serie di fotografie selezionate, l’antica storia di Roma nella rappresentazione cinematografica del genere peplum, quello dei film storici che vanno da Scipione l’Africano a Ben Hur, passando per il Barabba interpretato da Anthony Quinn. Una scelta azzeccata, visto che l’albergo si trova nel cuore della Roma Imperiale e a pochi metri dal Colosseo, tanto per stuzzicare la curiosità dell’ospite prima


Natale Giunta

ancora che questo possa vivere in prima persona la magnificenza della Storia antica. Tornando però ai giorni nostri, l’NH Fori Imperiali punta molto anche sulla ristorazione, come dimostra lo sbarco in città di Natale Giunta, il cuoco siciliano che già da qualche stagione offre la sua consulenza a NH per altri due alberghi, ad Amalfi e a Taormina. In questo caso, però, Giunta si espone in prima persona con un ristorante a suo nome, l’Oro by Natale Giunta al piano terreno dell’albergo, aperto sia agli ospiti sia agli esterni, in una versione bistronomica efficace e dai contorni più gourmet, e poi con la terrazza all’ultimo piano, che gode di una vista impareggiabile e gioca le sue carte in agilità mescolando il buon senso della cucina locale (vuoi non fare una cacio e pepe all’occorrenza?) e la materia prima classica mediterranea che il cuoco conosce bene. Forte di una visibilità mediatica non indifferente e di una simpatia innata, Giunta ha da poco dato alle stampe un libro di ricette in compagnia di Elisa Isoardi e della cuoca bolognese Alessandra Spisni (si intitola Buonissimo!, la Grande Avventura della Cucina Italiana, edito da Rai Libri), ma nel suo nuovo ristorante Oro, (“il nome è ispirato al sole” dice il cuoco, “e poi non si può dimenticare il ruolo dell’oro nella storia

della cucina italiana, con Gualtiero Marchesi e il suo mitico riso oro e zafferano”) spinge più l’acceleratore in un incrocio di gusti tra Roma e la Sicilia, sua terra di origine. Come si evince dal largo uso di prodotti come il peperone crusco, le melanzane, gli agrumi o il pistacchio, che punteggiano molte preparazioni. C’è il pesce crudo, con le tartare, i carpacci e i crostacei uniti a zenzero, soia, olii, polvere di frutta ed essenza di agrumi, oppure quello cucinato come il Calamaro leggermente scottato con lamelle di carciofi e bottarga di tonno favignanese; le paste (i Bottoni con polpa di agnello, spinacino in due versioni e frutti di bosco), e i secondi equamente divisi tra terra e mare, con il Filetto di rombo e cavolo nero croccante o la Rib-eye di manzo con patate e salsa olandese affumicata. Per avere un’idea più completa dello stile di Natale Giunta ci si può anche affidare a due diversi menu degustazione da otto e sei portate, rispettivamente dedicati al pesce oppure alle carni e verdure. Qui però si tratta di percorsi proposti a mano libera, e quindi è il cuoco originario di Termini Imerese a decidere cosa portare in tavola. Sono però sempre piatti che lasciano un po’

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di margine alla creatività del cuoco, ma senza lasciarsi andare a troppi eccessi stilistici, anche perché da queste parti arriva una clientela che vuole sedersi a tavola gustando l’Italia e la gastronomia regionale senza complicarsi la vita ragionando troppo su una cucina d’autore, che comunque esce alla distanza, perché si racconta pur sempre il percorso lavorativo di un cuoco che affonda le sue radici nel Mediterraneo più profondo. Inutile quasi ricordare che qui la terrazza al sesto piano è l’ambiente più spettacolare e certamente più richiesto, anche perché gode di un angolo perfetto per l’aperitivo o per il dopo cena, grazie al Secret View Cocktail Bar. Comodamente seduti con vista sui tetti circostanti, una mixology di classici senza tempo, e una selezione di vini, fanno da perfetto accompagnamento agli snack e alla cucina pronto uso di Giunta. L’altro valore aggiunto dell’hotel è sicuramente la posizione un po’ defilata, perché pur trovandosi nel cuore della zona turistica più movimentata di Roma qui ci si rilassa in un ambiente ovattato e intimo, proprio a partire dalle stanze, che, anche quando offrono all’ospite la vista sull’esterno e la frenesia dei turisti che visitano i Fori o ammirano l’Altare della Patria, mantengono intatta la caratteristica di un luogo sempre distaccato e lontano, dove prendersi un momento di pausa. •


La ricetta di BARtù

Il Tiramisù Toscano al Caffè dell’Oro

di Giorgio Ascorti

Lo chef di questo locale di Lungarno Collection, a Firenze, ha reinterpretato la ricetta classica di questo dolce italiano Si sta veramente bene al Caffè dell’Oro, uno dei locali di Lungarno Collection: una collezione di hotel e ristoranti di classe naturale che da Firenze si è allargata a Roma ed è attesa a Milano, negli spazi dell’ex Seminario Arcivescovile in Corso Venezia. Il Caffè dell’Oro – aperto dalla colazione al dopo cena – occupa un’elegante location, ispirata all’atmosfera anni ‘50, con arredi vintage: dalle ampie vetrate si vede il Ponte Vecchio, da una posizione privilegiata. Ma si sta bene anche per la cucina, affidata al giovane e talentuoso Alessio Mori che – giustamente – per un bistrò amato dagli stranieri ma ben frequentato dagli italiani, ha

Procedimento Per preparare la pate à bombe – ossia la base – miscelare gli ingredienti, portare a 85 °C e montare il composto fino a che non diventerà freddo, possibilmente lavorandolo in planetaria. Sempre in planetaria montare panna e mascarpone. Successivamente preparare la crema tiramisù, miscelando insieme la panna, il mascarpone e la pate à bombe. Per ogni porzione, bagnare tre cantucci nel Vin Santo (ne occorrono 30 gr a testa) e adagiarli in una cocotte di porcellana. Coprire con la crema tiramisù e completare spolverizzando con il cacao.

Tiramisù Toscano Ingredienti per quattro persone 500 gr di mascarpone 600 gr di pate à bombe 500 gr di panna al 35% Cantucci di Prato Vin Santo Cacao

Alessio Mori

PER LA PATE À BOMBE 180 gr di tuorli 340 gr di zucchero (280 gr di zucchero semolato + 60 gr di destrosio) 100 ml di acqua

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creato un menù fatto di piatti tipici della tradizione italiana e in particolar modo toscana, con grande attenzione alla materia prima. Così tra prosciutto toscano, pasta e fagioli, le carni alla griglia spunta un Tiramisù Toscano, per concludere al meglio l’esperienza a tavola. “Il tiramisù classico è composto da savoiardi, caffè, cacao amaro e crema al mascarpone – sottolinea Mori – mentre nella nostra versione l’ingrediente chiave è il cantuccio di Prato che reinventa il classico dolce italiano donandogli due particolarità: la croccantezza delle mandorle di cui è fatto e il profumo del Vin Santo”. Assaggiato: goloso, perfetto. •


OGNI MOMENTO È BUONO PER PARTIRE DA MALPENSA.

Più di 30 tra bar ed eccellenze gourmet p e r s o d di s f a re ogni pal at o.

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Patischie

La foto di BARtù

DALLA PARTE DELLA CARNE Al centro, Sergio Motta, patron della celebre Macelleria, www.macelleriamotta.it, a Bellinzago Lombardo, in provincia di Milano. A sinistra, Fabio Zucchelli, sommelier, a destra, Daniele Colombu, chef. Sergio Motta, figlio di Giuseppe, macellaio e macellatore a Inzaghi, ha aperto questo ristorante nel 2010, puntando decisamente sull’alta qualità delle carni e sulla semplicità delle esecuzioni; straordinario rapporto qualità prezzo. Una destinazione che merita una visita.

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LA CARTA AMA GLI ALBERI 1.500 campi da calcio al giorno. Così tanto crescono le foreste europee. Quelle da cui si ottiene il legno per fare la carta. Questa è una notizia, vera.

Scopri le notizie vere sulla carta www.naturalmenteioamolacarta.it Fonte: FAO, 2005 - 2015 Foreste europee: 28 Paesi dell’Unione europea + Norvegia e Svizzera


Pillole Lindor spegne 70 candeline e festeggia con Lindor Pistacchio I Maîtres Chocolatiers Lindt sperimentano continuamente nuovi abbinamenti per incantare i Lindor lover con nuove sorprendenti ricette e quest’anno, oltre al rosso, sarà il verde il protagonista dell’autunno, il colore di Lindor Pistacchio. Una novità che regala ogni giorno un’incredibile esperienza di gusto, un momento unico in cui lasciarsi trasportare dall’intenso e armonioso gusto della pralina. Grazie al goloso incontro tra la dolcezza del cioccolato al latte e le note tostate del pistacchio i Lindor lover proveranno una sensazione di vera estasi. In onore di questa sorprendente declinazione di Lindor, la scatola Cornet Lindor che racchiude le golose boule Lindor Pistacchio si è colorata di verde, affiancando i classici Cornet Lindor Latte, Fondente e Assortito. Questa novità Lindor è stata declinata anche nel formato tavoletta per un momento di piacere infinito nel dolce mondo di Lindor Pistacchio.

Arcane Cane Crush, l’eccellenza del Rum Da oltre due secoli l’Isola di Mauritius è conosciuta come una delle migliori zone al mondo per la produzione di canna da zucchero. Fino al 2006 vi era però il divieto di produrre Rum agricolo, ottenuto cioè dal succo della canna da zucchero, a causa della fortissima preponderanza dell’industria della raffinazione dello zucchero. Oggi questo veto è caduto e Mauritius è diventata sede di poche ma prestigiose distillerie che propongono sul mercato mondiale una gamma di Rum di altissimo livello. Arcane è una di queste, beneficiando del delicato equilibrio tra il clima dell’isola e la natura del terreno. Cane Crush è uno dei prodotti di punta della Distilleria che dà una nuova visione del Rum bianco. Il Rum bianco si differenzia dal Rum più classico perché non è invecchiato in fusti e risulta di solito meno aromatizzato e più delicato. Cane Crush è il Rum da mixology a cui è impossibile rinunciare. Tutta la gamma Arcane è importata e distribuita in Italia da D&C, storico distributore italiano nel settore beverage.

Absolut Comeback, il nuovo packaging è sostenibile La sostenibilità fa parte della mission di Absolut ormai da anni. Absolut si impegna per un mondo più circolare, in cui le risorse vengano riutilizzate a vantaggio delle economie locali, delle comunità e degli ecosistemi. Coerentemente con la propria missione, Absolut presenta la nuova bottiglia in edizione limitata, fatta con più del 41% di vetro riciclato – esattamente come tutte le bottiglie Absolut –, come invito a costruire un futuro migliore. Nei rifiuti Absolut riconosce potere e bellezza e crede basti un po’ di creatività per far sì che qualcosa di vecchio possa tornare a vivere in una forma nuova. Ed è proprio quello che Absolut Comeback vuole dimostrare: una bottiglia di Absolut Vodka può rinascere con una veste nuova, unica e assolutamente originale, tanto da divenire un’edizione limitata collezionabile. L’iconico design di Absolut, riconosciuto e riconoscibile in tutto il mondo, insieme alla personalizzazione di questa edizione limitata, ricreata grazie a una particolare molatura del vetro, rendono Absolut Comeback il manifesto della campagna “Create a Better Tomorrow, Tonight”.

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Un delizioso Natale firmato Whirlpool Il Natale è quasi alle porte. Le luci colorate stanno per accendersi, i biscotti stanno per essere sfornati e l’atmosfera inizia a farsi più magica. É il momento di pensare al Menù Natalizio e quale miglior alleato se non Whirlpool con i suoi innovativi microonde: un mix di design all’avanguardia e di tecnologia innovativa che dimezza i tempi di cottura. Il Microonde Supreme Chef è il prodotto speciale firmato Whirlpool che promette di rendere ogni preparazione unica, grazie alla capacità di grigliare, cuocere e friggere perfettamente ogni tipo di piatto. Dal look sofisticato e ricercato, anche il Microonde Extra Space è l’elemento di design perfetto per una cucina di stile e di eleganza. Con il suo tocco di nero lucido, entra negli ambienti casalinghi e non solo per regalare ancora più spazio e ricette dai sapori deliziosi: una capacità netta di 25 litri ma con spazio interno utile pari a un microonde da 30 l.


Gaggia Milano presenta la sua collezione completa

Make It Fresco: in bar e hotel i primi estratti in 20 secondi

Salsa di soia Kikkoman: 43% di sale in meno

A pochi mesi dal rilancio del marchio Gaggia Milano, lo storico brand di macchine professionali per il caffè ha presentato a Host 2019 la gamma completa delle nuove macchine, che partecipano al rilancio del brand, all’indomani dall’acquisizione da parte di Evoca Group. La nuova collezione incarna perfettamente i punti di forza che contraddistinguono il brand: la cura del design che reinterpreta in chiave moderna lo stile dei mitici anni ‘50, il posizionamento premium e l’innovazione tecnologica nei sistemi di infusione. La Reale, top di gamma a cui è stato affidato il compito di scrivere un nuovo esaltante capitolo della leggendaria storia di Gaggia Milano, si arricchisce oggi con la versione DFC, che consente un controllo dinamico del flusso di portata. La Giusta, presentata in anteprima mondiale, è un modello che coniuga lo stile moderno con il gusto vintage. La Radiosa, la prima macchina professionale superautomatica a marchio Gaggia Milano, si distingue per elettronica avanzata, connessione integrata e tecnologia EvoMilk. La Decisa e La Precisa completano la gamma con raffinatezza, ergonomia, praticità.

Da oggi preparare un estratto è ancora più semplice: bastano dei cubetti di pura frutta, un po’ d’acqua e uno shaker, e in 20 secondi si ha a disposizione un fit juice con tutto il gusto e le proprietà della frutta fresca. È la rivoluzione Make It Fresco, la linea di estratti-senza-estrattori ideata dall’italiana Fresco e pensata per bar e hotel con lo scopo di ridurre i tempi di servizio e rendere efficienti le attività del personale. La preparazione degli estratti Make It Fresco è semplice e immediata: si inseriscono i cubetti nello shaker, si aggiunge acqua calda o latte, a seconda delle preferenze del cliente, si agita e si serve. Senza dover pulire o sbucciare la frutta, e naturalmente senza scarti. A lanciare sul mercato questo modo rivoluzionario di gustare la frutta è Fresco, la smart food company made in Italy che, guidata da un giovane team calabrese, intende ridefinire il mercato dell’healthy food con i suoi prodotti fit-frozen.

Da secoli nel paese del Sol Levante sono note le grandi proprietà nutritive di questo prodotto semplice e ricco allo stesso tempo. Semplice perché per ottenere la famosa salsa di soia Kikkoman viene utilizzata solo soia di grande qualità che, dopo la fermentazione naturale a temperatura controllata con frumento, acqua e sale, dà vita a una salsa che non ha bisogno di niente altro per conquistare i palati di tutto il mondo. Niente coloranti, esaltatori del gusto o aromi artificiali, solo pochi selezionati ingredienti. Ricca perché la soia è una grande fonte di proteine e estrogeni di origine vegetale in grado di combattere efficacemente il colesterolo, i disturbi legati alla menopausa, l’osteoporosi, oltre che l’incidenza del cancro al colon e alla prostata. Con il 43% di sale in meno la salsa di soia Kikkoman è la soluzione ideale per coniugare gusto e salute, grazie a un procedimento che sottrae alla classica salsa circa la metà del sale. Perfetta dunque per chi deve seguire particolari regimi dietetici senza perdere nulla del gusto inimitabile della salsa di soia originale. Kikkoman è distribuita in Italia da Eurofood Spa.

Bottega Pomegranate: liquore a base di melagrana di Sicilia Pomegranate Bottega è un liquore alla melagrana che si caratterizza per la piacevole freschezza e per gli intriganti sentori organolettici tipici del frutto. Il melograno è una pianta di origine asiatica, che fin dall’antichità è presente nell’area mediterranea, dove è considerata simbolo di fertilità e di prosperità. Il frutto, chiamato melagrana, è ricco di sali minerali, di vitamine. È inoltre apprezzato per le riconosciute proprietà antiossidanti. Pomegranate Bottega viene prodotto con succo naturale di melagrana di Sicilia, estratto dai semi detti “arili”, che viene poi miscelato con alcol, grappa e zucchero. È un liquore fresco di grande carattere e personalità, che si caratterizza per il colore rosso rubino intenso. Al naso i delicati sentori fruttati si amalgamano con l’intenso aroma di melagrana. Al palato risultano in piacevole equilibrio le note dolci e quelle acidule. La moderata gradazione alcolica (20% vol.) ne fa un inedito e gradevole dopo pasto. L’elegante packaging ne completa il profilo. L’originale bottiglia di forma ovale ha una capacità di 50 cl.

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Tech News

Partnership tra Nexi e Zucchetti per il mondo Horeca Nexi – la PayTech leader nei pagamenti digitali nel nostro Paese – e Zucchetti – la prima azienda italiana di software – annunciano di aver siglato un’importante partnership grazie alla quale le app Zucchetti destinate al mondo Horeca saranno disponibili su tutti gli SmartPOS di Nexi. Le app sviluppate da Zucchetti a completamento delle proprie soluzioni gestionali per bar, pizzerie, ristoranti e professionisti del food & beverage potranno essere scaricate da tutti gli esercenti dotati dello SmartPOS di Nexi: sarà sufficiente accedere al Nexi app Store sul device e selezionare l’app desiderata (il nome riprende la soluzione di riferimento: Zmenu, Zdinner, PosMaster 3, RistoQuick, Il Conto) per installarla. La partnership, oltre a rispondere alle esigenze dei professionisti dell’Horeca che necessitano di servizi capaci di semplificare la gestione della propria attività, rappresenta un’importante opportunità per la digitalizzazione dei punti vendita: gli esercenti, direttamente dallo SmartPOS di Nexi, potranno chiudere il conto direttamente al tavolo dei clienti e, contestualmente, incassare il pagamento.

È online il nuovo sito Ken Foods Panna Ken e l’Italia. Proseguono le attività di Ken Foods per rafforzare questo binomio. Oltre agli eventi che vedranno la gamma completa di panna dell’azienda spagnola protagonista in tutta la penisola, un’altra importante novità arricchisce questo autunno all’insegna del marchio Ken: è infatti online il nuovo sito internet, kenfoods.com/it. La novità più interessante, soprattutto per i professionisti della ristorazione e della pasticceria, è la possibilità di consultare il sito anche in lingua italiana. Il bianco è assoluto protagonista della veste grafica del nuovo sito web. Il sito, diviso in tre sezioni, offre una panoramica completa sull’azienda e sui passaggi che portano dallo stabilimento alle cucine i prodotti Ken. La prima sezione prende in esame i prodotti commercializzati in Italia, con un focus specifico sulle caratteristiche organolettiche e di utilizzo di ogni singolo articolo, inoltre, la scheda tecnica in allegato permette ai professionisti di analizzare a 360° le specificità delle Panne Ken. La seconda sezione è sicuramente la più golosa: sono presenti in effetti numerose ricette, dolci e salate, per esaltare al massimo le proprietà delle Panne Ken. Infine, nella terza sezione, viene presentato un approfondimento dettagliato sull’azienda e sulla catena distributiva.

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Dickson Woven Flooring per alberghi e ristoranti Woven Flooring è la collezione di tessuti in vinile per rivestire i pavimenti creata da Dickson. Ispirata a nuove tendenze grafiche e colorate, è composta da 42 articoli suddivisi in 6 gamme con un assortimento di tinte unico: Be Smart, Be Natural, Be Optic, Be Easy, Be Tweed e Be Different. Autentica innovazione sul piano tecnico, sviluppata per gli ambienti più esigenti come uffici, alberghi, negozi e ristoranti, la gamma di rivestimenti Dickson si adatta alle abitazioni e a ogni genere di spazio e consente di creare ambienti eleganti, accoglienti e originali. Dickson ha sviluppato una collezione di rivestimenti tessili per pavimenti a base di fibre dalle caratteristiche rivoluzionarie: la combinazione di fili di trama e di ordito sulla superficie di calpestio permette di creare diversi look e di modulare varie sfumature di colore, tracciando prospettive in base all’intensità luminosa. Un prodotto che imita il vero tessuto, senza averne gli inconvenienti: molto resistente, è comodo e facile da pulire. Nonostante la sua struttura tessile presenti un certo rilievo, infatti, l’esclusivo processo di assemblaggio utilizzato da Dickson garantisce una totale impermeabilità ai liquidi, alla polvere e allo sporco. Questi tessuti vinilici per pavimenti sono resistenti alle macchie, imputrescibili, antibatterici, refrattari agli acari, alle muffe e ai funghi e i fili dell’ordito e della trama trattengono lo sporco su una sola faccia.


X-Oven presenta la Burger Machine X-Oven, azienda che produce e distribuisce a livello mondiale forni a brace con il sistema brevettato a cassetti griglia estraibili, ha presentato a Host l’ultima innovazione di gamma. Si tratta di X-Oven Burger Machine, forno a brace con piastra di cottura incorporata ideato per soddisfare le esigenze dei numerosissimi format di ristorazione nati negli ultimi anni che mettono l’hamburger gourmet al centro della propria proposta. X-Oven Burger Machine nasce come evoluzione della linea X-Oven che ha ottenuto lo Smart Label nella edizione 2015 di Host. Fedele all’approccio innovativo che caratterizza l’azienda di Alfredo Mercurio e Enrico Piazzi, anche questo forno a brace si distingue per l’efficacia nel recepire e risolvere le esigenze dei ristoratori.

Marco Serra

Wiko celebra il World Pasta Day Wiko, brand di telefonia franco-cinese, da sempre attento a nuovi fenomeni culturali e amplificatore di trend, ha voluto celebrare l’edizione 2019 del World Pasta Day a suo modo. L’ha fatto con una ricetta fusion, ispirata proprio al suo doppio passaporto, alla sua unicità che lega Marsiglia e l’Europa alla più lontana e avveniristica Shenzhen, polo dell’innovazione cinese, creata per l’occasione dallo chef italiano Marco Serra. La pasta, simbolo dell’italianità per eccellenza, diventa protagonista di un crocevia di culture e gusti, attraverso una “contaminazione” che mette insieme Oriente e Occidente. Così nasce il raviolo giallo all’oca con vellutata di cocco, foie gras affumicato al miso e julienne di peperone rosso: la creazione di Serra, patron chef di Marco Serra Piccola Cucina & Enoteca, per Wiko. Dalla Sardegna, sua terra d’origine, a Vienna, città d’adozione e sede del suo ristorante, dove mixa tradizione e innovazione, Marco Serra è abituato a fondere culture e sapori di vari paesi. Con questa ricetta-tributo per Wiko, lo chef racconta un viaggio che parte dall’Italia, passa dalla Francia e finisce in Cina per celebrare un melting pot di culture, sapori e mondi. Proprio come succede oggi, nel mondo iperconnesso, questo piatto mette in tavola uno spaccato della società e del mondo del secondo millennio, sposando e facendo vivere diverse anime in un gioco inedito di equilibri.

Zebra Technologies presenta il nuovo lettore compatto Zebra Technologies Corporation, azienda innovatrice con soluzioni e partner che consentono alle imprese di ottenere un vantaggio in termini di prestazioni, ha presentato l'elegante serie DS9300 di lettori di codici a barre che offre prestazioni di scansione migliorate e un'esperienza cliente ottimale alle imprese del settore alberghiero e del mondo retail. La serie compatta ed ergonomica DS9300 di lettori di codici a barre presenta un design unico e innovativo per integrarsi armoniosamente in ogni ambiente, dalle raffinate boutique ai fast food, fino ai minimarket. La serie DS9300, intuitiva, facile da installare e usare, offre una tecnologia di scansione avanzata per acquisire praticamente ogni tipologia di codice a barre, digitale o cartaceo, in qualsiasi condizione, inclusi gli imballaggi di prodotto con Digimarc®, per una lettura rapida. La serie DS9300 riduce i tempi di attesa nel punto vendita grazie alla sua ottima velocità di scorrimento e al supporto dei sistemi checkpoint per disattivare automaticamente le etichette antitaccheggio. Offre anche una funzionalità di lettura delle patenti di guida per la verifica dell'età, controllo carte fedeltà e le richieste di credito.

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Alberto’s choice

Bambù al Labirinto La scuola di Spigaroli LO CHEF ROCCO STABELLINI UN ESEMPIO DI STILE Al Bambù Strada Masone 121 43012 Fontanellato (Pr) 0521 1855372 www.ristorazionelabirinto.it

Incontrare Rocco Stabellini, nel ristorante Al Bambù di Fontanellato, tra Parma e Fidenza, è stata un’esperienza notevole, quasi rigenerante. Innanzitutto per il suo carattere aperto e disponibile, poi per il suo coraggio, non disgiunto però da una grande dose di umiltà e modestia, nel senso più alto del termine. Nato a Parma nel 1992, Rocco ha effettuato studi classici, che gli hanno sicuramente dato una visione aperta sul mondo e che ben si sono combinati con la sua passione innata per la gastronomia. Dopo il Liceo, studi ad AL- Massimo Spigaroli MA, il network egregiamente condotto da Andrea Sinigaglia, poi esperienze di cucina al Geranium, a Copenhagen, e poi stage presso grandi nomi, stellati e non.

Ma il richiamo della sua terra d’origine, forte e determinato, è stato “intercettato” da Massimo Spigaroli, un nome che non ha bisogno di presentazioni. Si deve a Massimo e alla sua famiglia l’avere dato impulso culturale (e alta visibilità) alla sua terra, in cui sorge l’Antica Corte Pallavicina (a Polesine Parmense), ristorante e relais fascinoso sugli argini del Po, a due passi dalla casa di Giuseppe Verdi: la Corte, una stella Michelin, è icona di ospitalità raffinata e di cucina di altissimo livello, unica per ricerca-selezione-esecuzione delle materie prime, Culatello in primis. Tornando al Bambù, dobbiamo ammettere che l’intuizione di Spigaroli a proposito della scelta di Stabellini è stata vincente, come tante altre peraltro che lo hanno portato ad essere il riferimento principale per generazioni di giovani chef. Il ristorante Al Bambù, aperto nel 2016 all’interno di quel capolavoro dell’arte contemporanea che si chiama Labirinto della Masone, di Franco Maria Ricci (un luogo suggestivo e affascinante, da visitare con calma, se ancora non lo avete fatto), è un luogo elegante, di impronta solida e strutturata, voluto dallo stesso Ricci il quale, fin dall’inizio, ha scelto Massimo Spigaroli per la gestione di tutta la ristorazione del luogo (dal bar fino al

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LEGENDA

Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e stile dell’offerta

Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza

Due corone = Linea di cucina corretta

Una corona = Dignitoso e affidabile

Corona nera = C’è ancora molto da fare

Tre cervelli = Un vertice nel servizio di sala

Due cervelli = Qualità e attenzione al cliente

Un cervello = Bravi, ma non basta

Cervello nero = Scarsamente ragionevole


FIGLI 2020 FOTO FRANCESCO ZIZOLA TESTO PIETRO VERONESE

BARtÚ con Amani per garantire casa, scuola e salute ai bambini e alle bambine di strada di Nairobi, Kenya e Lusaka, Zambia. I proventi saranno destinati all’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti del Kivuli Centre, casa di accoglienza per bambini di strada di Nairobi

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Alberto’s choice

BARtù N° 104 novembre - dicembre 2019 Direttore editoriale Alberto P. Schieppati Direttore responsabile Andrea Aiello Redazione Walter Govoni - walter.govoni@edifis.it Collaboratori Nadia Afragola, Giorgio Ascorti, Arianna Augustoni, Fiorenza Auriemma, Guido Bernardi, Maurizio Bertera, Stefano Bonini, Oscar Cavallera, Beatrice Coppola, Angelo Foresti, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Rocco Lettieri, Aldo Nenzi, Gigi Pavesi, Michele Maria Pizzillo, Giovanna Moldenhauer, Sonia Ricci, Vincenzo Russo, Theo Smith, Gualtiero Spotti, Elisa Tricarico, Claudio Zeni, Stefania Zolotti Grafica e impaginazione Daniele Scozzari

Rocco Stabellini

Contatti bartu@edifis.it - www.bartumagazine.it Pubblicità dircom@edifis.it

catering). La cucina di Rocco si ispira fortemente a quello straordinario concetto di ristorazione definita “gastrofluviale” da Massimo Spigaroli che, forte dell’azienda agricola di famiglia a Polesine Parmense, sa di poter contare su grandi prodotti autenticamente di territorio, dagli ortaggi alle carni, alla frutta ai vini. Un patrimonio incomparabile, che consente esperienze gourmet all’insegna del piacere totale. “Questo è l’unico modo per avere e proporre un cibo autentico, in cui protagonisti sono i sapori del nostro territorio”, sottolinea Rocco Stabellini. “Dove non riusciamo a produrre direttamente, ci rivolgiamo ai migliori artigiani dell’area limitrofa, prediligendo prodotti dall’origine certa e sostenibile”. La cucina di Rocco e della sua brigata, sempre sotto la supervisione talentuosa di Massimo Spigaroli, l’executive indiscusso, colpisce però anche per gli abbinamenti inediti, con piatti certamente ispirati al territorio ma inclini alle contaminazioni intelligenti, frutto di sapiente ricerca sulla materia e aliene da azzardi spericolati, fatti solo per stupire: la presenza del bambù come ingrediente di alcune proposte è significativa in tal senso. In carta troviamo antipasti come il Culatello di Zibello “Spigaroli” o l’Uovo pochée, zabaione al parmigiano e spalla cotta extra, caviale Royal Calvisius, o lo Sformato di zucca, gel di saba e verdure d’autunno o, ancora, Pepite di fegato grasso d’anatra, mela, uva e frutto della passione. Fra i primi, Tagliolini verdi di prezzemolo e bambù, bambù e Culatello, Spaghetti Cavalieri, bottarga, alici e vongole, Agnolotti di patate e dal sottobosco: lumache, castagne, funghi e tartufo, gli immancabili Tortelli di erbetta. Fra i secondi, la Pernice in tre cotture, la Guancetta di Nero di Parma, polenta croccante e verdure d’autunno, il Rombo à la Grenobloise, limone capperi e pane croccante. Fra i dolci, la Tartelletta ai due limoni e bambù candito, la Mela delle sorelle Tatin, “come una tarte-tatin”, il Bon Bon d’oro con le nocciole e molto altro. La selezione dei vini è molto attenta, con ricarichi intelligenti e adeguati al tono del ristorante e della sua offerta gastronomica.

Traffico pubblicitario Roberta Motta - roberta.motta@edifis.it Amministrazione amministrazione@edifis.it Foto Archivio BARtù, Alvise Barsanti, Benedetta Bassanelli; Marcello Bocchieri, M. Borchi, Stefano Borghesi, A. Carra, Claudia Calegari, Ferdinando Cioffi, Gaetano Del Mauro; Armin Huber, Pieter D’Hoop, Davide Dutto, Giovanni Latorella, Paco Lloret, Villagra Lopez, Martina Mambriani, Matteo Mancini, Mauro Montana, Patischie, Francesco Pruneddu, Barbara Santoro, Roberto Savio, Raimondo Santucci, Brambilla Serrani, Tiberio Sorvillo, Cinthia Soto, Daniel Töchterle, Lido Vannucchi, Marco Varoli, Renato Vettorato Stampa Aziende Grafiche Printing S.r.l. - Peschiera Borromeo (Mi) Prezzo per una copia E 5,00 - Arretrati E 10,00 Abbonamento Italia: E 45,00 - Europa: E 80,00 - Resto del mondo: E 100,00 abbonamenti@edifis.it

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