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Bar Edoardo Nono, rendo felici i miei clienti

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Edoardo Nono, rendo felici i miei clienti

di Alberto del Giudice

Intervista a “shaker aperto” a un noto personaggio del mondo del bere miscelato. Un vero maestro della mixology

Il talento di Edoardo Nono è l’ospitalità e fare felici le persone da dietro un bancone. È partito dalla provincia, bar e discoteche, ha trascorso lunghe stagioni estive nei villaggi vacanza. E via, in giro per il mondo, a bordo di navi da crociera. Molte avventure, tanta fatica e la necessità di imparare rapidamente il mestiere. Farne tesoro e infine aprire due locali cult a Milano: il Rita e il Tiki Room.

La tua prima fuga dalla scuola e dalla provincia? Un tour operator che si chiamava Club Vacanze, con un livello alberghiero molto alto. Lì ho avuto la fortuna di incontrare Andrea Bertelli, che ha saputo vedere in me il classico diamante grezzo. Lui ha saputo imprimermi una sterzata rapidissima. In quei luoghi devi essere pronto subito. Inoltre, da lui ho ricevuto dritte ancora utili, ho imparato tanto sull’utilizzo di scarti, materie prime, sulle preparazioni home made, che allora erano quasi inedite. Anche se noi allora lo facevamo per lucro!.

Quanto è cambiato da allora il mestiere di bartender? Molto. Oggi siamo nel pieno della nuova Golden Age del bartending. Fino al 2000 il nostro mestiere è stato più legato allo stile di servizio che alla preparazione del prodotto e all’invenzione di drink nuovi. Poi prodotto e tecnica sono diventati centrali, si è andati a ricostruire il percorso storico del Proibizionismo, ci siamo avvicinati all’universo cucina e utilizziamo preparazioni più sofisticate. Oggi, il rischio è il contrario: allontanarsi troppo dal cliente perché concentrati solo sul prodotto.

Il cliente è più o meno esigente di prima? Il cliente è più informato di una volta. Anche se negli Usa è tutta un’altra cosa, perché loro hanno nel dna la cultura del bere. Lì anche la signora anziana si presenta al ban cone, anzi, magari sale sul bancone, ti chiede un Planter’s

Punch e pretende di averlo con il Rum Myers. Immagina tua nonna che va in un locale e pretende che le servano il “suo” Rob Roy!.

Nella mixology torniamo ad apprezzare il passato. Penso all’impiego di vermouth e amari quasi dimenticati… Vi sono corsi e ricorsi storici. Le mode del momento che recuperano liquori e distillati più in voga ieri e l’altro ieri, ma questo non vuol dire che il cognac sia destinato a diventare lo spirit del futuro. Il gin che oggi è in gran voga, molti sostengono che stia già passando di moda. Io non ci credo. In realtà quello che succede in città non va preso troppo

sul serio. In città le cose accadono velocemente, mentre dovresti andare in provincia a vedere che cosa arriva e che tipo di percezione c’è, per esempio, nel centro Italia, lontano da Roma.

Oggi fanno tendenza anche tequila e mezcal. Per fortuna, anche perché del tequila è passato il concetto che deve essere 100% agave, mentre il tequila mixto significa solo sbronzarsi di brutto. Ci sono meno persone che vengono a dirti: “No guarda il tequila e il gin mi fanno star male”. Pensa alle schifezze che servivano qualche anno fa in discoteca. Si è alzata tanto la qualità media.

I grandi distributori importano prodotti di qualità che prima non raggiungevano i nostri mercati. Anche i grandi produttori. Se guardo la nostra vetrina, con un centinaio di gin, resta il fatto che i prodotti più affidabili e interessanti e i best seller sono quelli delle grandi maison. Perché hanno capacità tecnica e interpretativa. Costanza della materia prima. Dove c’è un Mastro distillatore si sente la differenza. Sai che negli anni in cui sono usciti tutti i gin Premium sarebbe arrivato un prodotto super centrato. E così è successo.

Con quali criteri elaborate una nuova carta dei cocktail? Se parliamo di Tiki Room, alle sue spalle c’è un studio filologico. Il locale ha un format vintage, quindi dietro c’è una storia e dovevamo essere coerenti con quello stile. Abbiamo studiato, recuperato libri che hanno riportato alla luce quella cultura. La carta del Tiki è la carta n°1, ma è comunque sempre destinata a evolvere nel tempo, fondandosi su radici solide. Riguardo al Rita, ora il 95% del lavoro lo fa Leonardo Todisco, il nostro capo barman super creativo. Leo va in una direzione più contemporanea, utilizza tecniche innovative e sofisticate, infusion, carbonizzazioni, chiarificazioni ecc. La carta del Rita, inoltre segue di più la stagionalità. Si introducono periodicamente cocktail nuovi, mentre il Tiki è più comfort zone.

Quanto conta lo storytelling di un drink? Il cliente non va mai troppo stimolato, perché potrebbe non volere essere indottrinato. Ma puoi stimolare la sua curiosità. Metti il nostro banco. È come un vero e proprio palcoscenico. Quindi puoi venire tentato da quel che avviene nel gran teatro del bar. E se disponi di bravi barman, da cosa nasce cosa. Essere capaci di costruire un racconto intorno a un drink resta fondamentale.

Che cosa giustifica il prezzo di un cocktail? È un mix di cose. Primo, la location. Secondo, la location. Terzo… la location. Scherzi a parte, anche l’incidenza della materia prima. Di quanti posti disponi, la tua proposta di pairing, il servizio. Da ogni drink devi ottenere un certo incasso. In un locale dove si fa miscelazione di buon livello, se offri anche una carta dei vini, devi avere vini di alto profilo in

modo che la remunerazione del singolo bicchiere sia circa quella che avresti con un cocktail. È l’unità quella che conta. Di solito le persone ordinano un bicchiere e occupano un tavolo per un’ora. E un’ora è poco.

Qual è la regola perché un locale abbia successo nel tempo? Il mix è bizzarro. C’è una componente fashion ancora molto importante, ma non rende realmente giustizia alla qualità e al livello del locale. Anche l’aspetto della relazione umana è centrale. Ci sono pub che non sono nulla di che, ma che sono sempre affollati, perché ti senti come a casa tua e non fai tanto caso alla qualità di quel che bevi e mangi. Un locale che fa miscelazione e funziona bene è quello che trova il giusto equilibrio tra l’aspettativa e il prodotto. La mixology oggi ha rotto degli schemi comportamentali nella clientela. Quanto più un locale diventa famoso, tanto più il cliente si affida alla carta. Così, se prima il menu era diviso in cocktail classici, cocktail nuovi e signature, in proporzione 60/40, quindi 50/50, ora abbiamo solo drink originali. •

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