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Bar | Alberghi | Ristoranti

COVER STORY Amor, pizza & cocktail Alajmo apre a Milano L’INTERVISTA Riccardo Camanini, la precisione e il talento PROTAGONISTE La rivoluzione delle donne chef COCKTAIL BAR Al Carnaval di Lima si impara la mixology TRADIZIONE Clemy e Gianni Bolzoni Format inossidabile Maggio 2019

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Editoriale

Ma dove vai, se l’evento non ce l’hai?

La febbre da “evento” non accenna a placarsi. Tra food blogger, influencer, event manager e altri ruoli più o meno emergenti (o talmente emersi da essersi già consumati, nonostante i tanti follower sui social), l’attenzione che viene data quotidianamente a centinaia e centinaia di manifestazioni, presentazioni, conferenze stampa, rassegne gastronomiche ecc. ecc. è strabordante. Eccessiva, direbbe qualcuno, premurandosi di dire subito che si tratta del suo punto di vista, e non di un dato oggettivo e conclamato, per non dire evidente. In realtà mi verrebbe da dire, senza alcuna remora, che la quantità di “eventi” o cosiddetti tali, è francamente esagerata, spesso senza capo né coda; cosa ancora più antipatica, la gran parte di essi risulta venire organizzata senza un motivo preciso, senza una storia vera da raccontare (e ascoltare, e comunicare), senza un contenuto ragguardevole e preciso, senza un senso compiuto, insomma. Se non quello di coinvolgere numeri elevati di partecipanti (quando accade), senza neppure indagare sulla qualità degli stessi. Presumendo soprattutto di avere dei ri-

torni-stampa generici. E’ il numero che conta, mamma mia, non la qualità. C’è il tale evento, al quale non si può mancare. Chi non ci viene non esiste. Stop. Questo approccio, ancora molto diffuso, ci pare vecchio, obsoleto, per non dire arcaico. Il mondo è cambiato, continuiamo a ripetercelo ed è sotto gli occhi di tutti: non si può ragionare ancora con le vecchie logiche alfanumeriche. Contano la selezione, la mira, la qualità dei contenuti che si vogliono comunicare, conta il valore delle relazioni e dei contatti, conta la profondità di un rapporto concreto che si viene a creare, ma anche la qualità di chi poi deciderà se e come informare i propri lettori. Ci sono agenzie di pr che esibiscono ai loro committenti database di invitati (o imbucati) a questa o quella presentazione, che spesso non scrivono una riga di articolo da anni, ma sono molto bravi a millantare esperienze, competenze, relazioni. Che in realtà non possiedono. E non sarebbe ora di aggiornarli, ‘sti database? Le aziende più serie, alla fine, si accorgono di questo bluff. E cercano di avvalersi di collaboratori di alto livello professionale, dotati di capa-

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cità critica, li cercano “col lanternino”, in continuazione, fanno selezioni incredibili prima di scegliere a chi affidare la propria comunicazione corporate o di brand. Questo caratterizza il momento che stiamo vivendo: la ricerca esasperata di contatti di qualità, finalizzati ad aumentare le conoscenze e ad implementare i business reciproci. Con stile, cultura, rispetto, serietà. E con una priorità assoluta: i contenuti di livello, insieme alla credibilità delle persone e al contatto diretto. Certo, un evento di livello può essere utile alla causa, ma non deve essere una vetrina autoreferenziale, o un circo numerico di partecipanti da esibire, magari richiamati dal “regalino” per la stampa o dal fatto di poter accedere alla cucina di uno chef difficilmente avvicinabile in altro modo. Anche noi, ovviamente, facciamo eventi, ci mancherebbe. Si tratta però di momenti di incontro con la nostra comunità di lettori, con le aziende e con i professionisti, ma anche con gli opinion maker, affinchè lo scambio di idee, esperienze, competenze sia la base per costruire delle storie autentiche, un percorso comune, pur nella diversità dei ruoli e degli obbiettivi. Con protagonisti, sempre, i contenuti di qualità, le storie vere, le relazioni schiette e approfondite. Anche così, credo, si aiuta la società a comprendere i cambiamenti in atto. • Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it


Sommario

Editoriale 1 Ma dove vai, se l’evento non ce l’hai? 4 B.A.R News Cover Story 16 Alajmo arriva a Milano. E nasce Amor Focus Bar 20 La Grotta Azzurra, una e trina… 24 Bar Carnaval a Lima, campioni di mixology 28 Panificazione e Mixology 30 Il Bar e Ristorante del futuro? Fanno tappa a HostMilano Focus Attrezzature 31 Forni & Abbattitori SkyLine: sinergie Cook&Chill L’opinione 32 Tra food porn e food sharing L’intervista 34 Camanini, Lido 84. “Qui si parte dal food cost” Protagonisti food 38 Pepe in grani, quando la pizza è Arte 42 Donne in cucina. La riscossa rosa 46 Antonio Sinesi un “Divo” a New York 50 E Roma rinasce Focus Vinitaly 54 La 53ª edizione chiude con 125mila visitatori Focus Food 56 S.Pellegrino Sapori Ticino 2019: Svizzera Superstar 60 Il Piccolo Principe: una carta e 7 menú 62 L’invisibile secondo Bocchia Focus Food 64 Buona e sana: è la Robiola di Roccaverano Dop 66 Ocean di Lisbona. Audaci e creativi Focus Beverage 70 DCasadei presenta la linea Le Anfore 72 Bersano, realtà vinicola del Piemonte Focus Alberghi 74 Sina Villa Medici: mix di tradizione e modernità Focus Mercati 78 I vantaggi dell’accordo firmato da UE e Giappone La foto di BARtù 82 Giancarlo Marena al Pietramare, Calabria La ricetta di BARtù 83 Flora, quella freschezza tanto sognata 84 Pillole Alberto’s choice 86 Stile e signorilità abitano al Fulmine

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In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi

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In copertina: Le Calandre a Padova, tre stelle Michelin, Caffè Quadri a Venezia, una stella Michelin, Café Stern a Parigi: e ora Amor, a Milano. Una vera e propria escalation, quella della famiglia Alajmo, alla conquista diCOVER STORY Amor, pizza & cocktail piazze importanti. In collaborazione conAlajmo apre a Milano l’architetto Philippe Starck, Raffaele eL’INTERVISTA Massimiliano Alajmo sono ora anche aRiccardo Camanini, la precisione e il talento Milano, in Corso Como, nella capitale italiana della ristorazione gourmet, conPROTAGONISTE La rivoluzione un locale fast casual, destinato a sicurodelle donne chef successo.COCKTAIL BAR

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€ 5,00

Al Carnaval di Lima si impara la mixology

TRADIZIONE Clemy e Gianni Bolzoni Format inossidabile

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direttore editoriale Alberto P. Schieppati

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alberto.schieppati@edifis.it

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B.A.R. News Lavazza tra i “BrandZ Top 30 Most Valuable Italian Brands 2019” Lavazza è tra i 30 marchi italiani con maggior valore sulla scena mondiale con ottimi risultati in termini di Brand Contribution, secondo quanto emerge da BrandZ™ Top 30 Most Valuable Italian Brands, lo studio condotto dal Gruppo WPP e Kantar sulla Brand Equity e la valutazione del Brand a livello globale. Con un brand value pari a 763 milioni di dollari (+6,7% rispetto al 2018), un 29esimo posto nell’unico ranking di valutazione del brand che combina rigorose analisi finanziarie con il percepito dei consumatori su oltre 800 marchi, e un riconoscimento speciale per i significativi risultati in termini di Brand Contribution, Lavazza riconferma la solida presenza e il forte apprezzamento del marchio a livello internazionale. “Questo risultato testimonia la determinazione e il costante impegno con cui Lavazza lavora per favorire lo sviluppo e la crescita del brand a livello internazionale” – ha affermato Carlo Colpo, Global Head of Marketing Communication di Lavazza. “Sostenere l’innovazione e la dinamicità del marchio attraverso un approccio creativo e dirompente ci consente di ampliare il nostro target di riferimento, di capitalizzare la crescita nei mercati in rapido sviluppo anche attraverso nuovi linguaggi di comunicazione”.

8 ½ Otto e Mezzo Bombana Hong Kong premiato con il premio Arte dell’Ospitalità Al Wynn Palace di Macao si sono svolte le premiazioni dell’’Asia's 50 Best Restaurants’, l’evento sponsorizzato da S.Pellegrino e Acqua Panna considerato da molti come l'Oscar della buona tavola, che riunisce i migliori chef che lavorano in Asia. La selezione dei 50 migliori ristoranti è il risultato delle votazioni di 300 opinion leader del settore tra cui giornalisti, critici, chef e ristoratori. 8 ½ Otto e Mezzo Bombana Hong Kong, dello Chef Umberto Bombana ha guadagnato il dodicesimo posto e premiato con l’importante riconoscimento dell’Art of Hospitality Award’. “Per noi Italiani l’ospitalità è un obbligo, Umberto Bombana e Marino Braccu un obiettivo a cui tendere sempre – ha ricordato Umberto Bombana al termine della cerimonia di premiazione – è il risultato del lavoro di tutto il team e sono felice che questo riconoscimento arrivi adesso, dopo anni durante i quali abbiamo dimostrato di lavorare con costanza”. Marino Braccu, General Manager del ristorante ha ritirato il premio insieme allo Chef Bombana. “Il nostro lavoro è quello di valorizzare i piatti dello Chef, ma anche di raccontare l’arte italiana dell’ospitalità – ha ricordato Marino Braccu – la ricerca della qualità in sala, come in cucina, è una costante e tutti i ragazzi del mio team continuano a studiare, ad aggiornarsi e a crescere. Questo riconoscimento è un premio a tutto lo staff che lavora costantemente per essere all’altezza di un grande Chef”. 8 ½ Otto e Mezzo Bombana Hong Kong è stato inaugurato nel 2010 e dal 2011 vanta tre stelle Michelin. Nel 2012 lo Chef ha deciso di aprire le porte di 8 ½ Otto e Mezzo Bombana a Shanghai (oggi due stelle Michelin) e nel 2015 a Macao (una stella Michelin). C.Z.

Vermouth Gran Torino piace dal 1861 Nome di origine tedesca (Wermut) per un prodotto italianissimo, il Vermouth è diventato un successo mondiale, un rito, un fenomeno di costume, una piacevole occasione d’incontro, un modo di stare insieme. Per l’aperitivo è l’ingrediente base di moltissimi cocktail e, se il Vermouth è Gran Torino, non c’è dubbio che il risultato sarà eccellente. La ricetta di questo pregiato vino aromatico è rimasta segreta per più di un secolo, da quando, nel 1861 la famiglia Ferrero elaborò a Torino l’antica e originale miscela basata su un’accurata selezione di uve delle migliori qualità di moscato delle colline piemontesi, erbe di montagna ed essenze rigorosamente naturali. Oggi sappiamo che non possono mancare aromi come l’assenzio comune, i semi di finocchio e di coriandolo, le foglie di alloro e di ortica, i fiori di camomilla e di sambuco, la cannella, le radici di zenzero, di liquirizia, di genziana e di angelica, i chiodi di garofano, la noce moscata, le bucce di arancia, di limone e di bergamotto e tante altre essenze che rendono unico il Vermouth Bianco Gran Torino. Gran Torino Vermouth Rosso, invece, trae le sue origini da una selezione di pregiati vini rossi piemontesi miscelati a loro volta con erbe di montagna ed essenze naturali. Gran Torino Vermouth Rosso è l’indiscusso protagonista di tanti cocktail. Gran Torino è distribuito in esclusiva per l’Italia da D&C.

A sinistra, Carlo Colpo, Global Head of Marketing and Communication Lavazza e Federico Capeci

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O-I realizza una “preziosa” bottiglia per i 120 anni di Sanpellegrino O-I (Owens-Illinois), leader mondiale nella produzione di packaging in vetro, ha realizzato una bottiglia unica e davvero “preziosa” per celebrare il 120° anniversario di Sanpellegrino, brand ambasciatore del Made in Italy nel mondo. Lo sviluppo della speciale Edizione dell’Anniversario è stato reso possibile grazie alla intensa collaborazione tra O-I e Sanpellegrino, che ha dato vita a una iconica bottiglia da collezione ispirata a un diamante: un elemento naturale puro e prezioso, che trae origine dalla terra, proprio come l’acqua Sanpellegrino. Al fine di realizzare un prodotto super premium e studiare la soluzione tecnica ideale per rendere al meglio l’effetto di una luminosa “cascata di diamanti”, O-I ha messo in campo una perfetta sinergia tra il team di vendita e marketing locale ed europeo, gli esperti del Mould & Container Design di O-I a Origgio(Va) e dell’Innovation Center O-I di Düsseldorf, che hanno lavorato a più riprese e a stretto contatto con il team marketing di Sanpellegerino. L’Edizione dell’anniversario sarà protagonista sulle tavole dei migliori ristoranti italiani.

Enrico Marmo

A Castel Monastero cambio della guardia in cucina: chef Enrico Marmo Approda a Castel Monastero il talento e l'amore incondizionato per i prodotti del territorio di Enrico Marmo, chef originario di Canelli, che ha da poco concluso la sua esperienza allo storico Balzi Rossi di Ventimiglia. Marmo è rimasto folgorato dalla bellezza del borgo medioevale trasformato in hotel diffuso e della Toscana, in cui intravede alcuni tratti delle sue Langhe. Soprattutto per quanto riguarda l'importanza delle antiche tradizioni culinarie, che qui sono state custodite e valorizzate. A Castel Monastero, Chef Marmo sarà responsabile del concetto di ristorazione a 360°: dalle colazioni – da sempre un momento indimenticabile per gli ospiti del resort – al pranzo nella “Cantina Toscana”, situata nelle cantine medioevali, dove per secoli ha riposato il Chianti della tenuta originaria, agli aperitivi nella suggestiva piazzetta del borgo, fino al ristorante gourmet “Contrada”, dove fascino ed eleganza della location saranno il denominatore comune anche dei suoi sofisticati menu.

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Bellavista, la nuova immagine Vintage Selection Nei millesimati di Bellavista è possibile apprezzare tutto ciò che l’Italia sa fare al meglio: l’Italia della raffinatezza e dei sapori, l’Italia dell’innovazione e del carattere. È sembrato dunque naturale offrire a ciascuno di questi vini un design che prendesse ispirazione dal meglio della creatività italiana, esprimendo al contempo la singolare personalità di ogni vintage. Francesca Moretti, AD di Terra Moretti Vino, parla del progetto della nuova immagine: “È nata così l’idea di immergersi nei tesori della maison Dedar che dal 1776 crea in Italia tessuti e carte da parati di pregio, caratterizzati da seducenti gamme di colori e motivi originali. I decori, scelti a partire dal carattere di ogni vino, hanno trovato completezza nelle spettacolari architetture di un’Italia classica e piena di fascino per far vibrare anche sulla confezione la grande arte di vivere all’italiana. Immagini che intendono comunicare la storia di Bellavista e dei suoi millesimati, frutto di un’attenta scelta delle migliori esposizioni e piena espressione dello stile italiano, unita all’amore delle cose fatte bene.” Le quattro selezioni Vintage sono: Pas Operé (Architettura di Pompei); Rosé (Giardini di Villa Doria Panfili a Roma); Satèn (Ninfeo Villa Papa Giulio III a Roma); Nectar (Dea Iside a Pompei).


B.A.R. News

Branca dedica un cocktail alla città di Milano La Fratelli Branca Distillerie, fondata a Milano nel 1845, ha voluto rendere omaggio alla sua città dedicandole un cocktail che rappresenta la sintesi di una storia che ne unisce cultura e capacità innovativa, ispirazioni, talenti ed energia da più di 174 anni. “BrancaMilano” è stato presentato a Palazzo Marino, dove Niccolò Branca, Presidente di Fratelli Branca Distillerie, ha consegnato nelle mani del Sindaco Giuseppe Sala la pergamena celebrativa e la ricetta ufficiale. Il progetto consolida il profondo legame di Branca con la città, Niccolò Branca con il Sindaco meneghino Giuseppe Sala rimasto immutato attraverso i secoli e che, grazie alla vocazione globale dell’azienda e dei suoi prodotti, porta il nome di Milano nel mondo dal 1845. “BrancaMilano”, un cocktail nato a Milano per Milano, è stato pensato come omaggio al luogo dove la storia imprenditoriale di Branca ha le sue radici, rafforzando così la sinergia con il territorio, la sua tradizione e la capacità di proiettarsi nel futuro. Branca è oggi un gruppo che custodisce e valorizza il patrimonio del saper fare italiano di alcuni dei brand più noti al mondo. Il cocktail BrancaMilano è realizzato con un cuore composto dei tre prodotti icona dell’azienda: 1,5 cl Fernet-Branca, 6 cl Antica Formula e 1,5 cl Stravecchio Branca.

Milano apre le porte a Dispensa Emilia Dispensa Emilia, la catena di ristorazione gastronomica originaria dell’Emilia sbarca nella capitale lombarda, in Stazione Centrale, lato Piazza Luigi Savoia. Una tappa importante quest’ultima, che segna l’ingresso nel canale del travel retail, un settore strategico che supporterà il brand nella crescita e nella notorietà del marchio, al di fuori dei centri di aggregazione di massa che hanno caratterizzato i primi ristoranti aperti. Milano gode, quindi, di una nuova offerta che amplia la scelta nella ristorazione informale milanese grazie a un format che punta sulla tradizione della ristorazione emiliana, riconosciuta per la sua bontà e fortemente apprezzata in Italia e nel mondo per i suoi piatti tradizionali come tigelle, tagliatelle al ragù, e lasagne che Dispensa Emilia, per prima, è riuscita a riproporre in una nuova veste, unendo il rispetto delle ricette della tradizione a un servizio veloce e attento. In particolare, il cuore dell’offerta di Dispensa Emilia è la tigella: un sottile pane rotondo tipico dell’appennino modenese, il cui impasto deriva da una ricetta esclusiva, frutto di un mix di farine macinate a pietra e cereali che, oltre a impreziosire il contenuto nutrizionale, rendono la tigella ancora più fragrante e digeribile. Cotta al momento dell’ordine, viene poi farcita con ingredienti freschi e genuini. Nel menu sono disponibili 25 gusti diversi di tigella farcita.

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Carlo Cracco

Brexit, what’s next? Scenari e previsioni dell’Europa che verrà Di questo, e molto altro, si è parlato recentemente, nel ristorante di Carlo Cracco a Milano, durante la conferenza ‘Brexit, what’s next?’ organizzata da AHDB Beef&Lamb, la divisione di Agriculture and Horticulture Development Board, Ente britannico non governativo per il sostegno e lo sviluppo dell’industria agroalimentare, che rappresenta 110.000 allevamenti bovini e ovini nella sola Inghilterra. “Da quando il 51,8% dei cittadini britannici si è espresso per il “leave” il 23 giugno 2016, ci siamo interrogati molto sul potenziale impatto che il commercio di prodotti agricoli avrebbe potuto subire a breve e a lungo termine”, ha commentato Jeff Martin, responsabile AHDB Beef&Lamb per il mercato italiano. “Il comparto bovino e ovino, che noi rappresentiamo insieme a quello dell’orticoltura, sono in particolare i settori che potenzialmente potrebbero essere più colpiti da una Brexit senza accordo”. “Il risultato più auspicabile per tutti gli operatori del settore, britannici ed europei – conclude Martin – è sicuramente quello di un accordo che garantisca un commercio fra i due blocchi alle stesse condizioni esistenti ora. Non ci resta che seguire i prossimi sviluppi”. Chiusura in bellezza con degustazione delle carni inglesi cucinate dallo chef Cracco.


Gluten Free Class: Dr Schär Foodservice in tour con Andrea Greco Nel 2019 inizia Gluten Free Class, il progetto di formazione sulla ristorazione senza glutine organizzato da Dr Schär Foodservice nelle scuole alberghiere d’Italia. Il tour, iniziato nel 2017 in collaborazione con Filippo La Mantia, Oste e Cuoco, quest’anno vede accompagnare la divisione dedicata all’Horeca del Gruppo Dr Schär, leader europeo nel senza glutine, lo Chef Andrea Greco, esperto di senza glutine nonché uno dei primi in Italia aprire un ristorante gluten free. “Ho iniziato la mia attività quando ancora non si conosceva bene la celiachia e si trovavano davvero pochissime offerte di piatti e menù senza glutine. Da allora ciò che per me conta è offrire delle pietanze buone e sempre nuove, non solo al celiaco, ma anche a chi lo accompagna, senza differenze. Giocare con la creatività e sperimentare sempre. E a oggi posso dire che il mio sacrificio ha dato i suoi frutti, migliorando la vita della mia comunità”, afferma lo Chef. Obiettivo in comune con Dr Schär, che dalla sua fondazione si impegna per migliorare la vita di chi ha specifiche esigenze alimentari e che dal 2009 ha istituito la divisione Foodservice, per affiancare i professionisti del canale Horeca nell’offerta di piatti gluten free sicuri e ricchi di gusto. Gluten Free Class mira a fornire un servizio alle scuole e ai suoi studenti, mostrandogli tutte le possibilità del senza glutine e come questo possa essere offerto con creatività.

Andrea Greco

Faema E71E si aggiudica il prestigioso Red Dot Award 2019 Faema E71E, sviluppata in collaborazione con la Divisione Industrial di Italdesign, è tra i vincitori del Red Dot Award 2019, uno dei più importanti e prestigiosi concorsi di design al mondo. L’innovativo modello dello storico brand di Gruppo Cimbali si è aggiudicato il premio, assegnato da una giuria internazionale “per lo straordinario design” della macchina, nella categoria “Product Design”. Ispirata al mondo automobilistico, Faema E71E incarna perfettamente il linguaggio stilistico del brand Faema e la filosofia di design che da sempre caratterizza i progetti di Italdesign: ergonomia, funzionalità, tecnologia. Intuitiva e dalla grande facilità di utilizzo e massima personalizzazione sia nel setting, sia nella scelta degli accessori, Faema E71E semplifica, esaltandole, la manualità e l’esperienza dei baristi, per un’estrazione a regola d’arte capace di valorizzare il profilo organolettico di ogni singola miscela o origine di caffè. “Siamo molto orgogliosi di questo importante premio assegnato a Faema E71E – ha affermato Luigi Morello, Traditional Coffee Machines Business Unit Director Gruppo Cimbali – modello nato da una lunga e proficua collaborazione con Italdesign. La macchina per caffè è non solo un elemento fondamentale per la qualità in tazza, ma anche sempre più un elemento di arredo e di arte, seguendo o addirittura creando le nuove tendenze di caffetterie e coffee shop”.

Dal 6 al 12 maggio 2019 la IV edizione di Florence Cocktail Week Dopo il successo delle scorse edizioni, torna a Firenze dal 6 al 12 maggio 2019 Florence Cocktail Week (FCW), la manifestazione dedicata alla miscelazione “made in Florence” ideata e organizzata da Paola Mencarelli e Lorenzo Nigro. Una settimana ricca di incontri scandita da momenti importanti, come masterclass e night shift con ospiti italiani e internazionali, tavole rotonde ed eventi rivolti a un pubblico di professionisti e appassionati. Giunta alla quarta edizione, è l’appuntamento primaverile più atteso dagli appassionati e dai professionisti del settore, con un calendario di eventi sempre diversi, realizzati grazie al fondamentale supporto di importanti sponsor e partner come Campari, Compagnia dei Caraibi, Diageo, Frescobaldi, Ginarte, Martini, Michter’s, Nardini e altri. FCW coinvolge i migliori cocktail bar di Firenze e della Toscana ed è patrocinata dal Comune di Firenze, che è anche promotore dei festeggiamenti dedicati al Centenario del Negroni, storico cocktail fiorentino conosciuto in tutto il mondo. Aumenta nel 2019 il numero dei cocktail bar partecipanti a FCW. Saranno, infatti, 30 i locali fiorentini che proporranno ognuno una Cocktail List composta da: un Signature Cocktail (Twist sul Negroni), un RiEsco a Bere Italiano, un I Love Bitter e un Green Drink, nei quali i bartender daranno libero sfogo alla loro creatività.

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B.A.R. News Cinque nuovi ristoranti per la 37esima Le Soste Le Soste quest’anno è arrivata a quota novantuno soci, prima Associazione di ristorazione in Italia istituita da Gualtiero Marchesi il cui fine è quello di creare un’istantanea attraverso il prestigioso volume dei migliori ristoranti di cucina italiana nel nostro Paese e nel Mondo. Entrano in guida il ristorante Cracco a Milano, nuovo nato dello chef Carlo Cracco; Magnolia di Cesenatico, grazie alla mano dello chef Alberto Faccani; Taverna Estia a Brusciano (Na), con l’eleganza dello chef Francesco Sposito; Il Ristorante - Luca Fantin all’interno dell’hotel Bulgari Tokyo per un’interpretazione gourmet della cucina italiana in Asia; Amelia di San Sebastiàn, diretto dal giovane Paulo Airaudo creatore di una sua personale versione di fine dining italiana in Spagna. L’anima più autentica dell’Associazione Le Soste è rappresentata dal volume di lusso, impreziosito da una veste grafica e tipografica elegante e raffinata. Cambio di look dopo qualche anno con la copertina rigida di colore blu oltremare, mentre viene mantenuto il formato quadrato. La distribuzione tradizionale del volume avviene a titolo di omaggio presso gli ospiti dei ristoranti Soci, con una diffusione mirata presso le principali manifestazioni enogastronomiche italiane, pubblicata in 25.000 copie in italiano e in inglese.

Illycaffè alla Design Week di Milano Nel fermento della Design Week di Milano, illycaffè si è affermato anche quest’anno come “caffè del design”, un’attestazione concreta in forza del ricco percorso tracciato in città tra i tanti “hot spot” creativi dove la sua qualità inconfondibile è stata protagonista e condivisa. Anche quest’anno l’azienda è stata Global Coffee Partner: illycaffè era presente in fiera e negli eventi collaterali ufficiali con spazi dedicati alla degustazione e alla scoperta del suo unico blend. Una visione creativa totale, che ha spaziato dalla collaborazione con i grandi designer italiani per le macchine da caffè, a quella con artisti di fama mondiale per le celebri tazzine della illy Art Collection. Proseguendo poi, e moltiplicando, le direzioni dalla Fiera al Fuorisalone, in tanti luoghi simbolo, dove ritrovarsi a gustare l’inconfondibile blend 100% arabica: in tanti hanno scelto di accogliere il pubblico con il gesto autentico di un caffè illy.

Order of Merit a Firenze Sono passati tanti anni da quando Danilo Bellucci creò Order of Merit, premio da conferire ai bartender che nella loro carriera si sono particolarmente distinti per la loro professionalità, classe, eleganza e per aver dato lustro a questo mestiere nobile e delicato. In data 18 marzo nella splendida cornice di Antica Officina Profumo – Farmaceutica Santa Maria Novella di Firenze questo speciale riconoscimento è stato conferito ai professionisti che hanno fatto dell’italianità la bandiera da portare come elemento distintivo nel loro posto di lavoro ricoprendo ruoli di prestigio con onore e merito. I prescelti sono stati: Arrigo Alan Cantinetta Antinori – Montecarlo – Monaco; Bolzonella Walter Hotel Cipriani – Venezia Italia; Carlino Carlo Hotel Villa San Michele – Fiesole (Fi) – Italia; Crea Giorgia – Global Brand Ambassador – Miami – USA; Da Como Mario Badrutt’s Palace Hotel – St. Moritz – Svizzera; Di Francia Luca The Westin Excelsior Rome – Roma – Italia; Fadda Giorgio Vice President I.B.A. – Dro (Tn) – Italia; Ferraro Carmine – Da Caio Bar – The George Hotel Design – Hamburg – Germania; Pascu Carlo Park Hyatt Mallorca – Mallorca – Spagna; Picchi Luca Gilli 1733 – Firenze – Italia; Venturini Michele – Cahoots – Londra – U.K.; Zagaria Vincenzo Il Baretto al Baglioni – Milano – Italia; Zanini Leonardo Bar Vendôme Hotel Ritz – Parigi – Francia.

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B.A.R. News AUGUSTO Contract a Milano in Cordusio con Panino Giusto First Floor Ancora una volta AUGUSTO Contract – foodservice general contractor – azienda di arredamento e primo general contractor specializzato nella realizzazione “chiavi in mano” di locali di ristorazione commerciale è a fianco dei grandi brand del settore. E’ stato, infatti, inaugurato giovedì 11 aprile a Milano, in piazza Cordusio, Panino Giusto First Floor, il nuovo spazio dello storico marchio milanese che ha reso famoso l’autentico panino italiano e per il quale l’azienda di Jesi ha realizzato i banchi, gli elementi di complemento e i rivestimenti a parete dello spazio di 450 mq, con una sala di somministrazione di 300 mq e 160 posti a sedere. Di grande impatto anche la bottigliera che sovrasta il bancone del bar, a dimostrazione di come l’accostamento mixology – ristorazione sia ormai un trend affermato e che l'azienda marchigiana sta seguendo da vicino. Ubicato al primo piano di uno spazio concepito in partnership con Yamamay, il cui store si trova a piano terra, Panino Giusto First Floor è il terzo punto vendita del gruppo realizzato da AUGUSTO Contract. Inoltre, in occasione del lancio di Panino Giusto First Floor, l’azienda ha annunciato una nuova collaborazione eccellente con la chef Caterina Ceraudo, che con la sua proposta entra a pieno titolo nell’area menu dedicata ai Maestri della cucina italiana, accanto a Claudio Sadler. Il primo panino concepito da Caterina Ceraudo si chiama Petelia, come il nome greco di Strongoli, la cittadina calabrese in provincia di Crotone che ha dato i natali a questa giovane chef.

L’Università della Farina e l’Almanacco della Pizza

Terrazza Triennale Osteria con Vista vince il concorso Partesa Una Smart For Two Coupé è l’ambito premio che Riccardo Giuliani, Amministratore Delegato di Partesa, ha consegnato a Marco Giorgi della Terrazza Triennale Osteria con Vista di Milano, nell’ambito del concorso Sete di Vincere edizione inverno 2018, il concorso a premi legato al programma di fidelizzazione di Partesa Horeca Street Club. Horeca Street Club è il programma riservato a gestori di bar, ristoranti, pub,

Marco Giorgi e Riccardo Giuliani

Petra-Molino Quaglia è una delle aziende più attive nel panorama food italiano e nel 2019 tiene fede alla sua missione, visto il lancio di due iniziative, presentate a Identità Golose da Chiara Quaglia (proprietà) e Piero Gabrieli (direttore marketing): l’Università della Farina e l’Almanacco della Pizza. La prima nasce dalla volontà di cambiare la visione attuale di pizza e pane (nella maggioranza dei casi l’accento va sul topping o sull’impasto) e riportare la farina in primo piano. L’obiettivo quindi vuole essere quello di trasferire ai nostri artigiani (panettiere, pizzaiolo o pasticciere che sia) la conoscenza dei cereali, e aiutare chi trasforma la farina a farlo con consapevolezza, Tre sono gli insegnamenti che l’Università della Farina si propone di trasmettere: la conoscenza dei cereali, la macinazione degli stessi e la condivisione della filiera. L’almanacco della Pizza nasce invece da un lavoro effettuato al PizzaUp® 2018 quando quindici pizzaioli sono stati intervistati, fotografati e filmati in diretta. Maestri che hanno saputo applicare coraggiosamente un'idea innovativa nella preparazione degli impasti, che sono stati i primi a usare ingredienti freschi e di stagione, che hanno messo in evidenza e valorizzato il legame con i contadini e la terra, che hanno ridefinito gli equilibri tra acqua, farina e lievito per rendere gli impasti più leggeri, o ancora che per primi hanno visto per la pizza un futuro di alta cucina. A loro è dedicato l’Almanacco, perché si possa raccontare questo loro momento di svolta che rappresenta una rivoluzione dell’intero mondo della pizza. “L’Almanacco – spiega Piero Gabrieli – è un libro che racconta storie sui cambiamenti avvenuti nel mondo della pizza nell’ultimo decennio. Cambiamenti che hanno innalzato la pizza dall’essere un prodotto dozzinale a gourmet”. L’Almanacco (in versione cartacea e digitale) è stato pensato con cadenza biennale: i profili sono stati raccolti a voce e restituiti su carta da più autori. La prima copia in stampa pregiata e rilegatura elegante sarà presentata all’edizione 2019 di PizzaUp®.

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lounge bar, pizzerie e hotel che permette di partecipare a tutte le iniziative organizzate da Partesa, dalle promozioni agli eventi B2B. Un club che premia la fiducia e il lavoro dei clienti iscritti riservando un mondo di privilegi e di vantaggi esclusivi. Aderendo al programma, i clienti Partesa possono conoscere tutte le novità del mondo Horeca e aderire automaticamente alle iniziative proposte. La meccanica è semplice: i clienti che acquistano i prodotti contrassegnati dal logo identificativo della promozione possono accumulare punti, dal 1 marzo al 31 dicembre (agosto escluso). Grazie ai punti raccolti possono partecipare all’estrazione di premi esclusivi del concorso, due volte l’anno, nell’edizione estate e inverno.


Riapre a maggio il Ristorante Teatro alla Scala Dopo il rinnovamento dei locali apre a maggio il Ristorante Teatro alla Scala – Il Foyer, evoluzione del Marchesino creato da Gualtiero Marchesi nel 2008. In occasione del Salone del Mobile 2019, Il Foyer, guidato da un affiatato team giovane e dinamico, dal Pastry Chef italo-argentino Matias Ortiz all’Executive Chef Anatolij Franzese, ha inaugurato il bar del ristorante con un soft opening che ha accolto l’attenta clientela milanese sempre pronta a scoprire le grandi novità che la città offre. Il riso e oro di Gualtiero Marchesi, piatto icona riconosciuto nel mondo, diventa il centro del marchio del nuovo ristorante Il Foyer che rappresenta il luogo dove la Grande Cucina Italiana, partendo dal Da sinistra Matias Ortiz con Anatolij Franzese “Riso, oro e zafferano”, si esprime nel modo più semplice e diretto permettendo a un pubblico internazionale di gustare i tradizionali simboli della nostra cucina in chiave moderna. Il nuovo locale è completamente ristrutturato e ispirato ai decori del Teatro alla Scala. Il progetto è stato affidato e realizzato da Michael Vincent Uy, architetto con base a Milano e con una lunga esperienza maturata a livello internazionale nel mondo del lusso.

Arriva “Tel Quel” di San Benedetto Nasce San Benedetto Tel Quel, un nuovo modo di assaporare tutte le proprietà e le caratteristiche di frutta e verdura in quattro gusti che sorprendono per il loro aroma, la loro freschezza e la loro originalità. Con questo nuovo prodotto San Benedetto soddisfa le esigenze dei consumatori di prodotti naturali che seguono uno stile di vita salutare mettendo insieme gusto e benessere. Tel Quel è la proposta pronta da bere ad alto contenuto di frutta e frutta e verdura in acqua minerale naturale San Benedetto che unisce le proprietà funzionali e organolettiche delle materie prime in un mix originale con i soli zuccheri naturalmente contenuti negli ingredienti. È disponibile in quattro gusti: due mix di frutta, Ananas Mix, un succo dolce e dissetante con tutta la bontà dell’ananas e la freschezza della mela e Frutti Rossi con lampone, fragola e uva per un succo vellutato e profumato; due mix frutta e verdura, Frutti Rossi e verdura con barbabietola e carote nere dal gusto originale e deciso e Mix Frutta e pomodoro un blend sorprendente con melograno, mela e pomodoro dall’aroma fresco e delicato. Adatto a ogni momento della giornata anche in virtù del formato comodo e pratico in PET da 0,22 l. Grazie alla sua bottiglia tascabile, è perfetto per un break in ufficio, in palestra o per una ricca merenda.

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L’Ombrone all’Airone: pranzo in ricordo di Giancarlo Bini Si chiama “L’Ombrone all’Airone” l’evento voluto da Francesca Bini in ricordo del padre Giancarlo, oste stellato, fondatore della delegazione Ais di Grosseto, cultore ed esperto di olio. Il pranzo ha avuto luogo all’Airone, appunto, lo scorso 28 aprile, grazie al supporto di Simona Tozzi dell'hotel Airone e di Antonio Stelli, delegato Ais Grosseto: l'intero incasso è stato devoluto alla Onlus La Farfalla, cure palliative. Conad Tirreno ha messo a disposizione dell'organizzazione i suoi prodotti. Inoltre hanno collaborato: per le materie prime I pescatori Orbetello, Panificio Corsini, Pasticceria La Favorita, Salumificio Patrone; per l’olio extra vergine di oliva: Agraria Decimi, Az. Agr. Piero Veglio, Olio Roi, Tenuta del Pettirosso. Per il vino: Angelo Gaja Ca' Marcanda, Az. Agr. Il Mongetto, Az. Agr. La Caudrina, Braida di Giacomo Bologna, Moris Farm, Nannoni grappe, Petra wine, Tenuta Col d'Orcia, Tenuta Fertuna, Villa Crespia Franciacorta. Il titolo dell’evento evoca il nome del ristorante che Giancarlo Bini ha guidato per molto tempo, prima a Grosseto e poi a Suvereto. Considerato uno dei precursori dell'enogastronomia, Bini è stato esperto sommelier, grande cultore dell'olio extra vergine di oliva e uno dei primi imprenditori del settore della ristorazione.


B.A.R. News Senapi Maille, la firma francese del gusto Da oltre 270 anni la tradizione gastronomica francese si può fregiare di un marchio che ha conquistato, da subito, i palati più fini e raffinati. Dalle tavole delle corti europee, oggi ritroviamo Maille e le sue pregiate Senapi nelle nostre cucine per esaltare le ricette più diverse. E’ impossibile resistere alla Senape Dijon Originale Maille, capostipite della gamma e autentico capolavoro per il palato. L’antica ricetta viene ancora oggi rispettata e i semi di senape non vengono schiacciati ma tagliati finemente per ottenere un impasto omogeneo dal gusto unico e forte. Una variante all’originale è la Senape à l’Ancienne Maille, caratterizzata dalla presenza di croccanti grani di senape interi che le conferiscono un retrogusto deciso di nocciole con significativi sentori speziati. Un mix delicato che risveglia i palati più fini ed esalta in particolare le carni rosse alla brace o alla griglia: la Senape Maille al Pepe Verde è prodotta esclusivamente con ingredienti semplici e selezionati. Tra le ultime creazioni, la Senape al Miele Maille si è subito distinta per la sua grande versatilità e il suo perfetto equilibrio. Tutta la gamma Maille è importata e distribuita da Eurofood Spa.

Tognana partecipa al Giro d’Italia di APCI Tognana partecipa al Giro d’Italia – In corsa tra le eccellenze culinarie – organizzato da APCI (Associazione Professionale Cuochi Italiani) che ha preso il via da Viterbo il 18 marzo, nella cornice della suggestiva Villa Sofia, e proseguirà in tutta Italia fino a novembre. Il progetto è un tour itinerante formativo che prende in considerazione tutti gli aspetti del mondo della ristorazione. Il programma di ogni tappa si articola in una serata evento in cui chef e ristoratori del territorio partecipano a un dinner talk formativo, animato dalla Squadra nazionale APCI Chef Italia e dagli interventi di grossisti del territorio, studenti delle scuole alberghiere locali ed esperti del settore Horeca. Nel corso della serata, i ristoratori assistono alla preparazione di un menù degustazione, seguito da un momento formativo dedicato al food design e alla mise en place. In questo contesto si inserisce la presenza di Tognana come leader nella produzione e distribuzione di linee tavola e cottura. L’evento vede, infatti, l’azienda italiana coinvolta a fianco degli chef, che utilizzano alcune fra le migliori linee di porcellane nella mise en place dei loro piatti. Inoltre, alcuni dei componenti utilizzati dagli chef saranno esposti in una dispensa dedicata, mentre a fine serata, ogni ospite riceverà un kit contenente le ricette e le referenze utilizzate.

Messere Milano: l’arte del ricevere tra gusto e stile italiano Messere Milano è un nuovo brand nato dalla fervida progettualità di Alessandro Agrati, da sempre stilista del gusto e dello stile italiano. Il marchio racchiude un innovativo concept, pensato per essere riproposto in tutto il mondo, in cui è possibile immergersi in un’atmosfera sensoriale – a partire dal buon cibo – e intima, fatta di oggetti legati a una quotidianità raffinata e avvolgente. Dalle proposte dedicate alla casa, all’area bistrot e al garden decor, fino alle collezioni di capi di abbigliamento, Messere Milano presenta una visione contemporanea di stile in tutte le sue accezioni e accoglie in sé molteplici percorsi di ricerca, gusto autentico e suggestioni decorative, all’interno di un unico luogo esclusivo. Lo stile di Messere Milano si esprime anche attraverso l’offerta culinaria. L’idea alla base della food experience di Alessandro Agrati, è di celebrare la tradizione, non in modo rivisitato ma reale e vero, autentico. La sfida di Alessandro Agrati è di portare lo stile di Messere nel mondo, integrando in ciascun luogo la cultura locale e proponendo così una cucina del territorio che ne esalti l’anima e l’essenza. Il viaggio del Messere inizia nel cuore di Milano, in via Savona 11, una delle aree più amate dal mondo del design.

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Acque Minerali d’Italia diventa partner di JRE Il Gruppo che fa capo alla famiglia Pessina, al quale appartengono i brand Norda, Sangemini e Gaudianello, ha scelto di essere partner dell’Associazione JRE – Jeunes Restaurateurs d'Italia, una delle più prestigiose e dinamiche realtà della ristorazione professionale a livello europeo, che annovera fra le sue fila sia chef di riconosciuta fama sia giovani emergenti. L’accordo di collaborazione prevede iniziative e sinergie di ordine professionale, culturale e di pubbliche relazioni, sul tema dell’importanza dell’acqua in tavola come parte integrante della qualità del servizio. Sempre all’interno dell’accordo significativo il fatto che per l’acqua servita durante gli eventi e le numerose manifestazioni organizzate da JRE Italia, verrà fatto sempre riferimento alla famosa “Carta delle acque” di Acque Minerali d’Italia. Una vera e propria collezione di etichette/sorgenti diverse per origini territoriali e gusto, per impreziosire il servizio in tavola. Con questa filosofia è chiaro che essere acqua ufficiale partner di JRE Italia assume dei profondi significati. Acque Minerali d’Italia ha, infatti, ritenuto JRE un’associazione coerente alla sua mission e al suo impegno nel settore: Acque Minerali d’Italia è fortemente motivata a ricordare che le acque non sono tutte uguali e anzi si può bere l’acqua ideale in base ai propri gusti e necessità, stile di vita, bisogni e momenti di consumo.

La Cantina San Michele-Appiano deve il successo al winemaker Hans Terzer Quando Hans Terzer 30 anni fa iniziò a lavorare alla Cantina San Michele-Appiano, le proposte dell’allora ventunenne suscitarono – a dir poco – stupore. Figlio di una famiglia di viticoltori di Niclara/Cortaccia, imboccò nuove strade: fece ridurre la quantità di Schiava, coltivata in posizioni troppo alte e di conseguenza di qualità media. Favorì invece la coltivazione dei vini bianchi, soprattutto di uve Chardonnay, Pinot Grigio, Sauvignon e Gewürztraminer. Inoltre, il giovane winemaker Hans Terzer ordinò ai viticoltori di ridurre drasticamente le quantità, al fine di migliorare la qualità dei vini. Con queste nuove linee guida, nei primi anni ‘80 ai viticoltori probabilmente doleva il cuore. Oggi invece sono felici di aver intrapreso questa strada, poiché grazie a loro ebbe inizio il trionfo senza precedenti dei vini di San Michele-Appiano. Con tanta passione e ambizione, Hans Terzer fece della cooperativa vinicola una delle Cantine più importanti d’Italia. Oggi i vini contraddistinti dall’etichetta “Sanct Valentin”, nata nel 1986, sono serviti nei migliori ristoranti d’Italia. Per Hans Terzer, che ha studiato il suo mestiere alla Scuola professionale Laimburg, la viticoltura è una vera passione. Nella Cantina San Michele-Appiano, Hans Terzer è riuscito a fare quello che altri possono solo sognare: ha portato i suoi vini in cima alle classifiche.

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Unigrà annuncia l’acquisizione del 100% di Olfood Unigrà, gruppo agroindustriale internazionale leader nel settore della trasformazione e commercializzazione di oli e grassi vegetali, con sede a Conselice (Ra), ha annunciato l’acquisizione del 100% di Olfood Spa, secondo player del mercato. Un accordo grazie al quale Unigrà consegue importanti sinergie, in continuità con la propria tradizione ed eccellenza, sia in termini strategici del business sia di posizionamento nei mercati della fornitura di ingredienti a valore aggiunto per l’industria alimentare e di prodotti per il canale artigianale della pasticceria e panificazione. Fondata nel 2008, con sede a Orzinuovi (Bs), oggi Olfood realizza un fatturato di 40 milioni di euro, di cui il 10% all’estero, e si estende su una superficie produttiva di 2.500 mq a cui si aggiungono 6.000 mq di magazzino. “Siamo molto soddisfatti di aver portato a compimento l’acquisizione di Olfood – ha commentato Gian Maria Martini, amministratore delegato di Unigrà – poiché rappresenta una realtà unica, che vanta una tradizione di eccellenza, creatività e artigianalità made in Italy che ha saputo evolversi, consolidandosi nel tempo. Abbiamo acquisito Olfood – conclude Martini – con l’obiettivo di elevare il nostro livello di servizio al mercato e di ampliare il nostro portafoglio prodotti”.




Cover Story

Alajmo arriva a Milano E nasce Amor Il Gruppo Alajmo, già proprietario di 10 locali tra Padova, Venezia e Parigi, in collaborazione con Philippe Starck, ha aperto Amor al numero 10 di Corso Como, a Milano. Amor è stato studiato e realizzato per essere un locale fast-casual che si rivolge sia alla frenetica tribù metropolitana sia al contempo agli amanti della buona cucina. Il menù, incentrato sulla pizza al vapore brevettata da Massimiliano Alajmo, si basa sulla semplicità e genuinità degli ingredienti, sulla leggerezza e l’importanza del gusto. “È il luogo dove ci si reca se si è alla ricerca di una pausa veloce ma al contempo gratificante, salutare e leggera”, ha affermato Raffaele Alajmo, Ceo e maître des lieux del Gruppo. «Amor è il flagship store di una serie di locali che stiamo iniziando a realizzare» ha aggiunto sempre Raffaele. Il design di Amor è stato pensato da Starck per mettere in risalto l’innovazione di Massimiliano. Ha utilizzato tecnologie innovative come un ingegnoso e divertente sistema di carrucole che collega le luci e le cupole del vapore utilizzate per cucinare le pizze. Starck ha abilmente incorporato la vera identità del ristorante nel decoro e ha conferito un ruolo centrale al gioco di Amor sulla tradizionale maschera veneziana. Lo stile del servizio è amichevole, il menù immediato e di facile lettura. Gli ospiti potranno scegliere al banco e consumare

©Lido Vannucchi

Nuova location, in stile fast casual per i fratelli Alajmo. La struttura, disegnata da Philippe Starck, ha aperto nel capoluogo lombardo

Raffaele e Massimiliano Alajmo con Philippe Starck

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©Lido Vannucchi

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©Lido Vannucchi

Cover Story

all’interno del locale oppure ordinare per asporto. Alla sera il servizio al tavolo crea un’atmosfera più rilassata che favorisce la convivialità. Il menù è incentrato sulla pizza al vapore brevettata da Massimiliano che nasce dopo anni di studio e sperimentazione e come naturale conseguenza del suo

pensiero gastronomico che ricerca leggerezza, profondità gustativa e olfattiva, digeribilità e bellezza. Il menù è stato creato pensando a ogni momento della giornata e offre sia pizze salate sia dolci. Alla mattina gli ospiti potranno scegliere tra diverse pizze come ad esempio quella con uova e pancetta croccante, dall’impasto integrale con sopra uova al pizzo, bacon, cipolla al balsamico e paprika affumicata. Altri prodotti per la colazione includono i classici croissant, brioche all’italiana con olio extravergine di oliva al posto del burro e preparazioni con o senza farina di grano. A pranzo e a cena il menù prevede una

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selezione più ampia di pizze che include classici come la margherita al vapore oppure specialità di Massimiliano come la pizza vegana, preparata con una pasta di riso nero, verdure di stagione e semi misti o la pizza con acciughe e chorizo con stracciatella, acciughe del Mar Cantabrico, chorizo, semi di finocchio e zafferano. Massimiliano ha inoltre sviluppato la propria versione del calzone, il Masscalzone, e una mini-versione, il Masscalzino. Entrambi vengono cotti in modo da risultare croccanti sia all’esterno sia all’interno e per contenere diversi tipi di farcitura come prosciutto cotto, funghi e burrata o il quattro formaggi con gorgonzola, ricotta mozzarella, scamorza, spinaci saltati e salamino piccante. Tra i dessert, una pizza al vapore con crema pasticcera e frutti di bosco o con “Crema Eccezionale”, la crema spalmabile al cioccolato e nocciole firmata Alajmo, e nocciole caramellate. •


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Focus Bar

La Grotta Azzurra, una e trina… di Fiorenza Auriemma

Cristian Marasco

Pizzaiolo di razza, Cristian Marasco è riuscito a replicare, e triplicare, il successo dei suoi genitori. Provare per credere

©Brambilla-Serrani

Quando per natura sei un vulcano di idee, è molto probabile che tu veda lontano; e che prima o poi vada anche molto lontano. Se a questo aggiungi che fin da piccolo la passione di famiglia diventa la tua, il gioco è fatto. Lo dimostra la storia personale e professionale di Cristian Marasco, figlio di genitori campani che nel 1982 decidono di aprire a Merate, tra Milano e Lecco, un ristorante pizzeria dal nome evocativo de La Grotta Azzurra. “I miei sono stati dei pionieri, hanno portato qui piatti a base di pesce come spaghetti alle vongole, sauté di cozze, frittura di calamari, tipici della cucina tradizionale del sud. E poi ovviamente mozzarella di bufala, babà, pastiera”, racconta Cristian. “Oggi tutti li conoscono e li apprezzano, e li puoi mangiare ovunque: ma all’epoca erano difficili da trovare, soprattutto qui in Brianza”. Ed è nel locale dei genitori che Cristian – classe 1978 – cresce sostanzialmente ‘a pizza e latte’ (lo testimonia una foto in cui lui, a sette anni, impasta in piedi su una cassetta dell’acqua rovesciata), imparando il mestiere e appassionandosi sempre più. Ancora adolescente, ha l’intuizione che il lievito madre possa rappresentare il futuro per l’universo pizza, e così comincia a frequentare corsi di specializzazione, inclusi i tre livelli dell’Università della Pizza presso La Scuola del Molino di Vi-

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ghizzolo d’Este. Proprio il lievito madre diventa il centro della sua carriera professionale, fino a portarlo a essere oggi giustamente orgoglioso di due realtà che lo vedono capofila: l’impasto con 96 ore di lievitazione che porta la sua firma, e lo sviluppo dell’impresa di famiglia. Cristian Marasco è un padre premuroso e scrupoloso per il ‘suo’ impasto, che produce con una doppia fase di lievitazione. La prima, dove il lievito madre viene mescolato con acqua e farina: il panetto così ottenuto riposa per un arco di tempo variabile in base a temperatura dell’ambiente e stagione, in modo da guadagnare in sapore e poter resistere alle 96 ore di lievitazione, che a volte sono anche di più. Il giorno successivo, viene aggiunta l’acqua dell’acquedotto di Merate (dal pH neutro ideale) e un blend di quattro farine (italiane biologiche, macinate a pietra e a cilindro), poi l’impasto lavorato viene “chiuso”, cioè completato con gli ingredienti mancanti richiesti dalla ricetta, prima di essere avviato alla lunga lievitazione. “In questa fase aggiungo il sale marino integrale di Sicilia, presidio Slow Food dalla Riserva WWF di Trapani e Paceco: un quarto rispetto alle quantità media è sufficiente per avere un impasto sapido ma non salato. Per questo unisco anche un po’ d’olio, che garantisce la conservazione”, spiega Marasco, che per essere sicuro della qualità a 360 gradi del suo prodotto, ogni due mesi preleva un tampone dell’impasto e lo manda ad analizzare per verificare che non ci siano muffe o quant’altro. Per dare un’idea del giro di pizze cui sovraintende Cristian – e che costituiscono il 60% delle richieste della clientela – ogni mese nel laboratorio de La Grotta Azzurra circa 100 sacchi di farina da 25 chili l’uno diventano pasta da pizza, suddivisa poi in palline, volutamente da 220 grammi. Il risultato sono pizze fragranti e altamente digeribili, offerte in carta con una settantina di diverse farciture, a testimonianza della fantasia di Cristian, nonché della sua capacità di abbinare gli

La sala de La Grotta Azzurra

Marinara ai quattro pomodori

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Focus Bar

La Carpaccio di mare

ingredienti partendo sempre da materie prime di ottima qualità. Le Margherite tra cui scegliere sono cinque (la più particolare: la ‘sott’in coppa’, con fior di latte d’Agerola sotto, e sopra antico pomodoro napoletano, basilico fresco e olio Evo). Chi preferisce la Marinara ha a disposizione quattro versioni (ottima quella ai quattro pomodori, con San Marzano Dop dell’agro senese e nocerino, antico pomodoro napoletano, pomodorino del Pendolo, ciliegino fresco, aglio rosso di Nebbia, basilico e origano freschi, olio Evo). Gli amanti del pesce possono ordinare una delle sei pizze del Marinaro – omaggio alla vocazione per il pesce che ha reso famoso Grotta Azzurra – tra cui spicca la Carpaccio di Mare, con San Marzano, burrata pugliese, carpaccio di branzino e salmone marinati, pesce spada affumicato e un paio di foglie di rucola. E poi ci sono pizze davvero particolari, all’apparenza stravaganti ma convincenti all’assaggio. Una su tutte, la Lumbard!, con fior di latte del casaro, gorgonzola dolce Dop, Taleggio Dop, parmigiano padano Dop grattugiato, e carpaccio di polenta di mais, grano saraceno e bianca: si tratta della versione aggiornata della pizza con cui un giovanissimo Cristian nel 1996 si aggiudicò il primo premio al

La Lumbard!

campionato europeo di pizza. A Marasco dunque non mancano né inventiva né coraggio, e nemmeno spirito imprenditoriale, come dimostra il fatto che ora sono tre le insegne La Grotta Azzurra: a quella storica di Merate, nel 2013 si è aggiunta la Grotta Azzurra di Bonate di Sopra, e lo scorso anno la Grotta Azzurra di Garlate. “Li abbiamo aperti perché c’era richiesta: non potendo allargare oltre il locale di Merate, abbiamo scelto di espanderci in due località vicine ma che pescano in un bacino di utenza diverso, così da non creare concorrenza”, spiega Cristian. L’offerta gastronomica è la stessa, cam-

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bia il look: il locale di Merate mantiene l’aspetto storico; quello di Garlate è in sintonia con l’ambiente lacustre, è punto di arrivo per le gite fuoriporta e offre anche bar e lounge bar; quello di Bonate è più rustico e informale, e molto gettonato per le cerimonie. “Capita spesso che nostri clienti di Merate ci chiedano di organizzare un ricevimento a Bonate: hanno la garanzia di quello che mangeranno, però in un ambiente diverso”, specifica Cristian. Per capire meglio le dimensioni di questa azienda familiare in piena ascesa – a Merate la moglie Patrizia e la cognata Simona sono alla guida della sala, mentre il fratello Mario è lo chef di cucina; la sorella Silvia invece dirige Garlate –, basta contare i coperti: 200 a Merate, 180 a Bonate e 150 a Garlate, che nella bella stagione raddoppiano per tutti e tre i locali con i tavolini all’aperto. Nel ristorante storico lavorano 15 persone, tre delle quali seguono le pizze, cui si aggiunge Cristian che – oltre a sovraintendere puntigliosamente alle fasi dell’impasto – ha la funzione di jolly nelle tre location. “Per seguire le mie pizze seleziono persone con solo un minimo di preparazione, in modo da poterle formare io con i miei criteri e i miei standard”, specifica Marasco. Che non solo è sempre in attività, ma non smette mai di progettare. “Si sa che si ferma è perduto”, dice sorridendo. “E comunque, anche se i clienti mi dicono ‘sei bravo, fai la pizza buona’, io penso che domani può arrivare qualcuno che la fa meglio di me. Ragion per cui devo sempre impegnarmi per migliorare e per proporre novità”. •


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Focus Bar

Bar Carnaval a Lima, campioni di mixology

d Gualtiero Spotti

Un riferimento per la “cocktail culture” internazionale: new entry nella classifica dei best bar

Lima, la capitale del Perù, negli ultimi anni ha acquisito una importanza rilevante nel mondo gastronomico grazie alla cucina di personaggi dalla fama internazionale come Gaston Acurio e Virgilio Martinez. Oggi però, la seconda città più popolata del Sudamerica rischia di mettere il suo nome anche sulle mappe

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della migliore mixology mondiale, grazie a un indirizzo rampante e alla visione del suo patron e barman. Stiamo parlando del Bar Carnaval, situato nel ricco quartiere di San Isidro (con Miraflores è questa l’area più esclusiva e ricercata dell’intera città), inaugurato un anno e mezzo fa da Aaron Diaz, giovane e ed


esperto miscelatore che dopo aver trascorso una ventina di anni in giro per il mondo dietro banconi celebri (The Aviary a Chicago, per citarne uno, ma è transitato anche dalla Russia, dal Messico e dall’Argentina prima di rientrare in Perù per occuparsi della lista cocktail del ristorante Astrid Y Gaston), oggi realizza il sogno di aprire il proprio locale, già finito prepotentemente lo scorso anno nelle new entry della lista mondiale dei migliori bar, piazzandosi al 68esimo posto. Il Carnaval, come dice bene il nome, è uno specie di versione bar di un mondo un po’ surreale, allegorico e divertente, come quello, volendo fare un paragone, inaugurato dai fratelli Roca in Spagna con i gelati di Rocambolesque . Anche qui c’è grande attenzione all’ambiente, a un concept spettacolare ed ammiccante che passa attraverso uno storytelling visibile

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Focus Bar

a tutti in un grande armadio a muro, dove sono esposti gli oggetti che hanno caratterizzato il percorso intrapreso da Aaron, tra bottiglie antiche, bicchieri e vari memorabilia. Detto questo, l’esperienza del Carnaval diventa molto più concreta e chiara per gli amanti del bere miscelato quando si osserva l’impressio-

nante laboratorio del ghiaccio (è a vista e in una sala che confina con il bar ed è il regno di Raul Arcayo) dove avvengono le laboriose operazioni che portano, attraverso diverse macchine, a realizzare forme e dimensioni del ghiaccio adatte alle preparazioni dei vari cocktail pensati da Aaron e dal suo staff. Per non parlare

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della meticolosità con la quale il titolare ha scelto i suoi collaboratori. Ognuno dei barman ha specifiche competenze nella miscelazione e si prende cura di una serie ben definita di cocktail presenti nella nutrita carta del locale che mette in fila almeno 800 referenze tra liquori, distillati e bevande di varia tipologia. Così chi vi preparerà un gin tonic sarà l’esperto di gin, mentre per il rum, ad esempio, verrete affidati alle cure di un altro barman. E’ davvero complicato scegliere tra i tanti sorprendenti cocktail della lista. Viene da pensare al Quetzal, frutto di reminiscenze messicane e composto da tequila, mezcal, mela verde e lime. Oppure a El Queso Immigrante (il formaggio emigrante), che riporta alla mente il legame tra Italia e Perù con il Pisco Torontel, il Grana Padano infuso nel vermouth, kombucha e liquore al bergamotto. Se invece non volete passare inosservati (ma in realtà questo capita con buona parte dei cocktail…), la scelta giusta è The Dragon, un enorme dragone in ceramica, portato non senza qualche difficoltà al tavolo, che contiene vodka, birra al lychee, pompelmo, varie spezie ed è guarnito con Pitaya, ovvero il frutto tropicale chiamato Dragon fruit. Una ulteriore curiosità è quella di poter vivere una full immersion, tra cocktail e degustazioni, dedicata alla Chartreuse, il liquore prodotto dai monaci certosini di in un monastero delle prealpi francesi. Se poi c’è la necessità di mettere qualcosa di solido nello stomaco, Carnaval ha a disposizione anche una carta di appetizers e di dessert. •



Focus Bar

Panificazione e Mixology

©Brambilla-Serrani

I nuovi food trend passano per AUGUSTO Contract, azienda di arredamento ultraspecializzata

Panificazione e mixology: due discipline in grande evoluzione e oggi inserite tra i food trend più interessanti con i nuovi format di bread-bar. Una tendenza vissuta da vicino da AUGUSTO Contract – foodservice general contractor – azienda di arredamento e primo general contractor specializzato nella realizzazione “chiavi in mano” di locali di ristorazione. L’azienda di Jesi (An) sta, infatti, approfondendo l’accostamento fra il mondo dell’Arte Bianca e l’arte della miscelazione per proporre ai suoi clienti soluzioni operativamente valide per l’integrazione di questi due ambiti. Il pane – il cui consumo si stava riducendo fortemente sia sulle tavole delle famiglie italiane sia nei ristoranti – sta vivendo una nuova era: i più grandi chef

sono tornati a valorizzarlo e la professionalità di panificatori e pizzaioli sta crescendo molto. “Il tema è internazionale – afferma Giuliano Pediconi, consulente di panificazione – dagli Stati Uniti che con una storia del pane più recente stanno sperimentando gusti moderni e un’acidità più marcata, all’Italia che sperimenta sfumature di gusto sulle forti basi di una tradizione e varietà millenarie legate anche alle materie prime dei territori”. Una vera e propria evoluzione del settore che sta conquistando sempre più estimatori e che vede nell’abbinamento con la mixology una nuova frontiera del gusto. I cocktail studiati ad hoc esaltano l’esperienza di sapore del pane e della pizza prolungandone il gusto e l’esperienza stessa.

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L’azienda di Jesi ha affiancato alcuni fra i più innovativi brand nel panorama italiano attuale, dove l’Arte Bianca è protagonista indiscussa: Rossopomodoro – marchio che ha portato la vera pizza napoletana nel mondo, PIE Pizza Italiana Espressa – format dedicato alla pizza tailor made, ‘O Fiore Mio che ha sviluppato una base pane e pizza di grande qualità distribuita in tutta la sua catena. AUGUSTO Contract, da protagonista dell’evoluzione del comparto, ha raccolto subito la sfida sul fronte dell’integrazione panificazione e mixology. L’azienda è stata, infatti, partner di Identità Cocktail 2019, il laboratorio dedicato all’arte della miscelazione all’interno di Identità Golose. Il Congresso è stata occasione di approfondimento per comprendere le sinergie fra piatto e cocktail, con un focus particolare sul mondo del bar, da sempre nel Dna dell’azienda marchigiana, nata da una “costola” della società specializzata in tecnologia per bar, pasticcerie e gelaterie fondata da Augusto Bocchini. •


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Focus Bar

Il Bar e Ristorante del futuro? Fanno tappa a HostMilano I prodotti più innovativi, ma anche seminari, campionati e grandi protagonisti. Tutto sotto i padiglioni di FieraMilano alla 41° edizione, dal 18 al 22 ottobre 2019

Per fare un grande piatto ci vuole una cucina professionale. Inutile nascondersi dietro bandiere di naturalità e tradizione, alla fine lo chef deve essere messo in grado di lavorare al meglio. O così dovrebbe essere. L’innovazione, in cucina e dietro il banco del bar, è importante quanto creatività e redditività. Perché se il fuoricasa oggi è un comparto vitale, con sempre più persone che mangiano al ristorante o utilizzano il bar come luogo di ritrovo e di lavoro, far quadrare i conti a fine mese non è facile. I numeri parlano chiaro: nell’ultimo decennio il commercio mondiale delle Apparecchiature Professionali è aumentato di oltre 10 miliardi di euro arrivando nel 2018 a quota 27 miliardi, e dovrebbe sfiorare i 31 entro il 2021. Anche il commercio mondiale del comparto Caffè – Macchine per Caffè – Vending Machine ha raggiunto nel 2018 un nuovo massimo, superando i 17 miliardi di euro. L’universo del caffè è del resto in continua evoluzione, tra nuovi monorigine ed estrazioni che si affiancano all’espresso. È dunque vitale per ogni bu-

siness restare aggiornati su novità e tendenze. Come la passione per le cucine etniche (scelte nei primi tre mesi del 2018 da 14 milioni di italiani, il 42% della popolazione) e per il cibo d’asporto e i pasti pronti (che ha “mosso” 5,5 miliardi di euro).

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Per ristoratori, bartender, pasticceri, panettieri e gelatai dunque l’appuntamento è a FieraMilano dal 18 al 22 ottobre per la 41° edizione di HostMilano, la fiera che in centinaia di eventi, seminari di approfondimento, contest forma e informa sugli scenari futuri. Da non perdere Restaurant engineering – Evoluzione del Mondo del Fuoricasa vista da Dietro le quinte, a cura di APCI – Associazione Professionale Cuochi Italiani. I prodotti più innovativi saranno individuati dalla Smart Label, il riconoscimento di POLI.design patrocinato da ADI. Fitta anche l’agenda del Sic, Salone Internazionale del Caffè, con il Gran Premio della caffetteria Italiana, il Latte Art Grading Battle Championiship e Coffee Addition. Tutte le informazioni su http://host.fieramilano.it/ •


Focus Attrezzature

Forni & Abbattitori SkyLine: sinergie Cook&Chill SkyLine è la nuova gamma di Forni e Abbattitori di Electrolux Professional. Queste soluzioni, ridisegnano il processo Cook&Chill.

Maggiore efficienza, usabilità senza eguali, prestazioni replicabili e, soprattutto, connettività: sono questi i principali vantaggi di questa nuova gamma. Il risultato è una qualità del cibo impeccabile, costi di gestione ridotti e più tempo da dedicare alla creatività. Questo è possibile grazie alla perfetta combinazione di una tecnologia intelligente e di un design Human-Centered, caratteristiche che hanno permesso ai Forni e Abbattitori SkyLine di ottenere la certificazione 4 stelle per l’ergonomia (con riscontri reali pari a 75% in meno di assenza dal lavoro per malattia e conseguente 25% in più di produttività). Due sistemi, un forno e un abbattitore, perfettamente sincronizzati, in totale comunicazione tra loro e che condividono

lo stesso linguaggio e la stessa interfaccia touch, semplice e intuitiva: è SkyDuo, il binomio perfetto unico al mondo. Questa tecnologia garantisce una maggiore flessibilità nella pianificazione del lavoro in cucina e una migliore gestione, un prolungamento della durata di conservazione dei cibi e una qualità del prodotto servito senza compromessi. “SkyLine è stato progettato per dare prestazioni sopra la norma, assicurando eccellenti risultati in cottura e abbattimento; è fatto per il business, garantendo fino al 10% (*) di maggior profitto ed è “creato intorno a te” in quanto abbraccia il concetto di ergonomia e usabilità”,

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afferma Andrea Grandi, Responsabile Cook&Chill per il mercato Italia in Electrolux Professional. “Riteniamo che lo stress non debba essere un ingrediente necessario in cucina per creare un menù di qualità. La gamma di Forni e Abbattitori SkyLine è stata progettata esattamente per questo scopo: fornire ai professionisti della ristorazione un sistema rivoluzionario in grado di rendere la quotidianità un’esperienza migliore e il loro lavoro più profittevole”. • (*) risultato conseguibile con i forni SkyLine

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L’opinione

Tra food porn e food sharing di Stefano Bonini

La componente estetica nel cibo conta sempre di più e non solo nel piatto… Parossistica esibizione del cibo. Questa è la malattia cha ha colto milioni di italiani e non negli ultimi anni. Non è un caso che in quest’ultimo periodo siano nati decine di social network o aggregatori di notizie appositamente pensati per postare foto di ricette e piatti pronti per essere gustati. Denigrare il food porn (termine ideato nel lontano 1984 dalla scrittrice inglese Rosalind Coward) ormai non fa neanche più tendenza, tanto si è diffusa l’epidemia. E non ci sono vaccini utili a debellarla. L’irresistibile peccato che prende alla gola e agli occhi i “malati” di cibo sta modificando non solo gli atteggiamenti delle persone al ristorante, ma anche i loro stili di consumo e valutazione. Perché nel cibo ormai conta sempre più la componente estetica, e non solo del piatto, della pietanza o della ricetta, ma pure del ristorante, del locale in cui ci si trova. L’occhio vuole sempre di più la sua parte, e dunque mai come di questi tempi è valida la frase “si mangia anche con gli occhi”. Perché la goduria visiva che mette in risalto l’aspetto estetico del cibo e del luogo in cui ci troviamo fa venire voglia in un caso di mangiarlo e nell’altro di frequentarlo. In questo modo l’utente viene spinto da una pulsione irrefrenabile, dal desiderio di provare quel piatto e andare in quel posto. Anche solo dieci-quindici anni fa sa-

rebbe stato stranissimo prendere una macchina fotografica e scattare foto ai piatti in un ristorante. Oggi è insolito il contrario: essere in un ristorante pieno di clienti nel quale nessuno fotografa la propria esperienza culinaria per poi condividerla con i propri follower. Se ciò accade c’è qualcosa di cui preoccuparsi … anche per il ristoratore. Da qui l’importanza per un ristorante di creare un’immagine forte e attraente, identitaria e cool accompagnata da piatti, arredi e atmosfera che meritano di essere fotografati, raccontati e condivisi sui vari social media. I piatti sono diventati le nuove opere d’arte da presentare al meglio e i ristoranti i luoghi eletti per questa esposizione continua di colori, sapori, movimenti, luci e delizie per l’occhio e il palato. Un decennio fa, piatti, ricette e ristoranti erano protagonisti solo all’interno di riviste dedicate alla cucina inve-

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ce adesso molto, se non tutto o quasi, passa attraverso Facebook, Instagram o Pinterest. Il food sharing riguarda tanto i piatti stellati quanto quelli comfort: un piatto di spaghetti al pomodoro così come una pizza o un hamburger può diventare oggetto di attenzione social se condiviso nella maniera corretta, con la stoviglia giusta e il locale adatto. Ossessione e maniacalità del “fotografo” a parte, l’obiettivo primario di entrambe la parti (commensale e ristoratore) è collezionare like e commenti. E’ per entrambi i protagonisti un gioco sottile dettato dal bisogno di catturare l’attenzione e stimolare la curiosità dei follower dell’uno e dell’altro, per crescere in visibilità e popolarità. Attraverso il cibo si racconta un ristorante, un albergo, un luogo, una storia imprenditoriale. Se tutto ciò è instagrammabile e condivisibile sui social al meglio, allora c’è qualche probabilità in più che sia un successo. •


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L’intervista

Camanini, Lido 84 “Qui si parte dal food cost” di Maurizio Bertera

Riccardo Camanini

Lo chef più amato dalla critica racconta a BARtù i motivi del suo successo: passione, coesione, rispetto, squadra. E una attenta valutazione dei costi, grazie anche a trecento ricette attentamente codificate Parlare del Lido 84, il ristorante di Riccardo e Giancarlo Camanini, a Gardone Riviera è molto facile: bellissimo per posizione e ambiente, vanta una cucina tra le migliori d’Italia (per critici e gourmet) e registra un pieno costante di pubblico. Ma questo è il punto di arrivo, il risultato finale di un sistema unico nel nostro Paese che ha trasformato un valido locale di provincia in un vero laboratorio di idee, portando sul Garda ragazzi di tutta Italia. A parte due stranieri ‘adottati’ da tempo, non ci sono bresciani in brigata ma in compenso nelle sale risuonano accenti pugliesi, liguri, sardi, mantovani, bergamaschi e via dicendo. Tutti a Gardone Riviera – e sottolineiamo anche in dicembre - per verificare se il ‘Metodo Camanini” funzioni come hanno sentito dire o letto. E se il Lido 84 sia quella via di mezzo tra un convento (sereno) e un centro sociale (tutt’altro che anarchico) che noi per primi abbiamo definito. Lo chef di Lovere, ormai conosciuto in tutto il mondo, sorride quando lo ricordiamo. Si parte. Riccardo, il primo pensiero a cinque anni dall’apertura? E’ stata una volata pazzesca. Penso al numero delle persone che la-

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2017 è stato premiato dal Gambero Rosso come numero uno in Italia. Come vi siete divisi il lavoro? Al pass ci sono io che detto i tempi e controllo la cucina, Giancarlo guarda tutto in sala, comunica la situazione e nel caso risolve un problema.. Da noi, tutti servono i piatti. Non si tratta di snobismo né di un ritorno agli anni ’50 quando il cuoco viveva tra sala e cucina: era la necessità dei primi tempi con due camerieri per 40 coperti che si è tramutata in abitudine. L’unico timore era che i ragazzi in cucina si sentissero sminuiti nel servire, in realtà hanno capito che il sistema piace ai clienti e imparano molto di più. Come è composta oggi la brigata del Lido 84?

vorano qui. Quando io e Giancarlo, nella primavera 2014, abbiamo aperto avevamo solo sei dipendenti, ora sono ventuno, tutti assunti a tempo indeterminato con le loro ferie, i permessi e i contributi. Ovviamente con vitto e alloggio a nostro carico. E’ veramente il risultato che ci rende più orgogliosi, visto che siamo partiti con l’obiettivo di essere del tutto sostenibili senza aiuti esterni, il che ha reso tutto più lento e più difficile. Non dimentico che per due stagioni io e lui non ci siamo ricavati uno stipendio.

Spaghettone al burro e lievito

Tuo fratello è diventato un grande regista di sala, partendo da zero. Anche questo suscita un pensiero: al di là delle scuole professionali, la capacità di base è importante. In effetti, è un concetto che meriterebbe un lungo dibattito. Giancarlo è stato fondamentale per il mio progetto, una volta lasciata Villa Fiordaliso, non ce l’avrei mai fatta senza di lui. Lavorava come manager alla Fondital di Vobarno: è diventato talmente bravo nel gestire la sala che nel

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Dai veterani della prima ora, da un bel gruppo che arriva da Alma e da ragazzi scelti in base ai curricula. Ne arrivano 150 l’anno, il 95 per cento riguarda la cucina. Salvo due (il sous chef Marco Tacchetto e il sommelier Manuele Meneghini, ndr) erano o sono alla prima esperienza in un ristorante. Una scelta precisa che ha pagato e continua a pagare. Ognuno passa un mese e mezzo in ogni partita, dagli antipasti alla pasticceria. Così, in caso di emergenza, nessuno è imprepa-


L’intervista rato e l’equilibrio rimane stabile, perché il nucleo è abbastanza fisso. Si sente parlare molto del vostro metodo di lavoro. In cosa è diverso? Per orari e ferie, l’impegno è simile a quello richiesto in tanti altri ristoranti di livello che conosco. Credo che la profonda differenza sia rappresentata dal fatto che durante la chiusura, invernale, io e Giancarlo stabiliamo una decina di progetti. Alla riapertura si presentano alla brigata e si cerca di portarli sino in fondo. Possono essere sui nuovi piatti o su una carta delle tisane. Ma anche sul risparmio in questo o in quel comparto: l’importante per noi è assegnare dei

I fratelli Camanini

Cacio e Pepe Piatto “mondiale” Mai avuto dubbi che la Cacio e Pepe in vescica – una delle ‘genialate’ di Riccardo Camanini – fosse un piatto ‘mondiale’. Ora ha ricevuto la certificazione ufficiale nei World Restaurant Awards di Parigi, sorta di Oscar che guarda al mondo della cucina in modo diverso. Lo chef-patron del Lido 84 ha trionfato in una delle diciotto categorie create dai fondatori ossia l’italiano Andrea Petrini e l’inglese Joe Warwick (uno degli ispiratori della The World’s 50 Best Restaurants): gli ‘house specials’, i piatti iconici. A confermare la bravura di Riccardo, c’è stata la valutazione unanime da parte della giuria e di un gruppo di oltre 100 gourmet da tutto il mondo. Tornando alla Cacio e Pepe in vescica, l’idea nasce da due capisaldi del pensiero di Camanini: la riscoperta delle ricette antiche, se non antichissime e le esperienze in Francia. «La cottura in contenitori naturali mi ha sempre attirato, la vescica di maiale è citata da Apicio 2.000 anni fa –spiega lo chef – ma l’ha utilizzata pure un innovatore come Marco Pierre White, senza dimenticare che nella classicità francese il pollo e i volatili sono spesso preparati all’interno di una vescica». La sfida però era realizzare un piatto che non fosse la riedizione di qualcosa già visto e qui Camanini ha avuto, come spesso capita, un’intuizione magica: una pasta italianissima, che soprattutto a Roma viene interpretata con leggere differenze tra i cuochi ma senza toccarla nella sostanza. Il risultato della tecnica del cuoco di Lovere è formidabile: una Cacio e Pepe – con i rigatoni – dal sapore originario con il valore aggiunto di un golosità unica e di un amalgama senza pari, per la cottura unitaria degli ingredienti e non in fasi distinte come nella ricetta più nota. Servita direttamente al tavolo, tagliando la vescica davanti ai commensali, è un piatto che dal 2016 fa parte del menu del Lido 84: “Sono felice che piaccia così tanto, pensando a tutte le vesciche che ho buttato per la sperimentazione e alla ricerca maniacale degli ingredienti, scartati inizialmente in dosi massicce” ricorda con un sorriso.

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compiti di responsabilità al di là della normale routine. Facciamo ogni giorno un paio di briefing, molto esecutivi e il sabato per un’ora ciascuno legge un libro, scelto da noi. Dicono anche che sei un controllore maniacale, non solo in cucina. In un posto come il nostro, l’attenzione al risparmio non è un obbligo ma un dovere. Ha senso spegnere le luci dei bagni quando non servono e utilizzare i detersivi nel modo giusto. Per non parlare della spesa per la materia prima anche se nell’ultimo caso sono felice dei risultati raggiunti. I ragazzi pesano tutto e hanno una capacità bestiale di calcolare il food-cost dei piatti, comprensivi di IVA. Anche per questo, abbiamo codificato quasi 300 ricette: il punto di partenza per comprare la quantità giusta, al costo giusto e nel momento giusto. E’ un lavoro micidiale. Ne sono consapevole. E penso sia la ragione principale perché tanti cuochi amici o semplici colleghi vengono spesso a trovarci: vogliono capire come facciamo a tenere i degustazione a 75 e 85 euro sin dal giorno dell’apertura. E’ che siamo sostenibili, abbiamo sempre fatto impresa con i nostri soldi, un passettino alla volta: resto sempre perplesso di fronte allo spreco che vedo in molte cucine, anche importanti ma è pur vero che


C’è persino la carta dei tè Cinque anni fa era un’idea coraggiosa, oggi è il miglior ristorante del Garda e uno dei più monitorati d’Italia, fa parte di critica e addetti ai lavori. Rispetto a quella primavera 2014, il Lido 84 è proprio un’altra storia, a partire dall’ambiente – dove il design gioca un ruolo importante – e dalla mise en place, minimale ma elegante. Il servizio perfettamente guidato da Giancarlo Camanini (che sino al 2014 faceva il manager di una multinazionale) conquista perché i ragazzi in sala uniscono precisione e racconto del piatto, con il sorriso perenne. La cantina è arrivata a 350 referenze, con un lavoro notevole sui piccoli produttori – da qui prezzi competitivi per ottime etichette – e una suddivisione per terroir che convince. E ora c’è pure la carta dei tè, curata da La Via dei Tè. La cucina? Camanini non finisce di stupire per la capacità di ricerca, sui libri e sul campo: studia i ricettari storici e sale in montagna per assaggiare i piatti camuni, riscrive la cucina del territorio e ‘spinge’ su ogni abbinamento. Poi, ovviamente, ci mette il talento e una ‘mano’ sublime, coltivata sin dagli esordi in Albereta alla corte di Marchesi. Sono due i menu degustazione: I Classici – composto da sei portate note al cliente – costa 75 euro mentre Oscillazioni che ne prevede sette a scelta dello chef ha un prezzo di 85 euro. Curiosità: in entrambi i casi, la Cacio e Pepe in vescica va richiesta a parte, due porzioni vengono 15 euro aggiuntive a testa. Se non l’avete mai assaggiata, mettete mano al portafoglio, senza riflettere. qui siamo una piccola realtà sul Garda, gestita da due fratelli. Al di là che il ‘cassetto’ è pieno di curriculum, immagino non sia facile entrare a far parte di un gruppo con regole ferree come il vostro. L’unica cosa che inizialmente crea problemi è lo studio, I ragazzi fanno fatica, in Italia manca l’attitudine a imparare. Ma poi nel 99% dei casi, entrano a pieno regime in squadra, si sentono coinvolti nel progetto. E comunque non mi sento il loro maestro. Lavoro perché portino a

casa un’esperienza utile per la loro professione: sono sempre stato convinto che i giovani debbano avere solo delle linee guida, poi uscirà la loro libertà espressiva e la loro natura che può essere diversa da quella che si pensi. Non è retorica, ma al Lido 84 si respirano passione ed etica. Come avete fatto? Ho una convinzione, che poi è anche quella di Giancarlo: se sono corretto coi miei dipendenti, diventa alta la possibilità che loro facciano lo stesso con me. E poi se da un lato pretendo tanto da loro, dall’altro sono sempre in cucina: apro il locale all’alba preparando il pane e pulendo il pesce. Attività che mi rilassano tanto e fanno venire buone idee. Sarà interessante vedere se quanti

Torta di rose

stanno apprendendo questo metodo di lavoro unico, riusciranno magari a riprodurlo nel loro primo locale. Non saprei o meglio potrò saperlo se qualcuno di loro, diciamo tra dieci anni, diventerà bravo e ricorderà quanto ha fatto al Lido 84. Comunque restando in tema, penso sempre a una delle frasi più celebri di Marchesi: “L’esempio è la più alta forma di insegnamento”: il Maestro aveva ragione anche in questo. •

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Protagonisti Food

Questo locale, situato a Caiazzo (Ce), ha riqualificato il paese e il territorio. E’ nato da un’idea di Franco Pepe, pizzaiolo “nell’anima”

© Tuukka Koski

Pepe in grani, quando la pizza è Arte Franco Pepe

Pepe in grani si trova a Caiazzo, un borgo dell’Alto Casertano. È posto in un palazzo del Settecento, in pieno centro storico; della sua appartenenza territoriale ha recepito struttura materiale e identità spirituale. Pepe in grani è nato nel 2012 attorno all’idea di una “pizza altra”. Frutto di una solida storia di panificazione ma non precisamente tradizionale e di una solida collaborazione tra Franco Pepe, il titolare, e l’architetto Beniamino Di Fusco, grazie al quale il locale è stato progettato e realizzato. Così nasce una pizza, insomma, in grado di uscire dal folklore in cui da secoli è relegata per entrare nel mondo dell’alta cucina. Pepe in grani viene da una foto in bianco e nero: ritrae un uomo che cuoce pizze in un forno antico che indossa un cappello di carta dei sacchi di farina. È la testimonianza di una cucina delle origini, di servizio. Fatta di pazienza e tanto lavoro. Di quel tempo, neanche troppo lontano, Pepe in grani ha assorbito la matrice. Il nuovo locale regala il calore di un forno antico. Immette in un tempo diverso dove fermarsi e gustare. La grande sfida di un panificatore è ottenere l’impasto ideale, il punto di pasta. Ovvero la misura perfetta, da trovare giorno dopo giorno considerando le variabili esterne – farine, acqua, clima – e quelle interne, dall’umore al tatto. Il cir-

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di desideri e idee genera una proposta che vuole soddisfare conservatori e innovatori, viaggiatori e gourmet. Il menù è, infatti, l’interpretazione, da parte del pizzaiolo, di un incontro. L’incontro tra ciò che il territorio esprime e quello che il fruitore chiede: grande qualità, sapori autentici, innovazione. La margherita classica ha una sorella nella ormai celebre margherita “sbagliata”. Le pizze fritte, cibo del popolo, trovando nuova vita con ingredienti come la crema di grana padano o la spolverata di limone su pomodoro di Sorrento, assurgono alla dignità di oggetto di degustazione. Un percorso che però lo stesso cliente può

© Damiano Errico

© Luciano Furia

© Damiano Errico

colo degli elementi tramite cui l’impasto, corpo vivo, cresce e respira. Lavorato necessariamente a mano in una madia di legno, ricavato da una miscela di farine unica, la O Pepe, è morbido, profumato, leggero e saporito. Riposa mezza giornata in una stanza la cui temperatura è costante. Il punto di pasta è frutto tanto di una sensibilità e una manualità collaudate quanto di una ricerca puntuale sui prodotti. Ogni luogo ha il suo spirito, quello che gli antichi chiamavano “genius loci”. A Caiazzo è capitato in sorte uno spirito particolare, benigno con chi lo sa trattare. La posizione è privilegiata: poco prima dei monti del Matese, in zona ventilata, circondata una campagna varia, gene-

rosa nelle sue geometrie ridotte, con in dote molta acqua e un’aria ancora pura. La sua terra offre tutto ciò che serve a una pizza: grano, olio, verdura, latte. E quanto su una pizza la fantasia può far arrivare, dalla carne ai legumi. È l’ottica della filiera corta. Pepe in grani cresce grazie a produttori sparsi nel raggio di pochi chilometri. Basta affacciarsi dalle sue finestre per ammirare i campi dove viene coltivato il pomodoro “riccio”, gli uliveti aggrappati alle colline, o fare pochi passi per imbattersi in un caseificio a conduzione familiare, oppure in uno spazio dove ceci e fagioli vengono su come da un braccio di ferro con la terra. Il rapporto con gli ospiti è al centro della vita di Pepe in grani. L’ascolto attento

© Francesco Palladino

calibrare a piacimento. Olio Evo di prima scelta, farine con bassissimi livelli di glutine, scelte biologiche nel senso più diretto compongono un quadro di risposta alle esigenze di un pubblico attento. L’ascolto non si ferma al cibo: la stessa scelta del luogo in cui sorge è proprio un ottimo esempio di questa interazione, volta al rilancio dello splendido centro storico di Caiazzo che molti ospiti auspicavano. Perciò da Pepe

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© Wurzburger

in grani si può pernottare, in confortevoli stanze poste all’ultimo piano del palazzo, per vivere l’atmosfera del luogo. Da Pepe in grani si può prenotare. E ci si può ritagliare uno spazio privilegiato: riservando un tavolo in terrazza nella sala Belvedere, per godere con tutti i sensi le meraviglie dell’Alto Casertano, o nella sala Degustazione, per un percorso di assaggio guidato.

Le storie del buon cibo scorrono nel tempo, passano di mano in mano, portano lontano. Si tramandano e si arricchiscono al volgere delle generazioni. Da quell’uomo con il berretto di carta a un giovane di vent’anni, entrambi di nome Stefano, ne sono trascorse tre. In mezzo c’è Franco Pepe, un artigiano che nel 2012 lascia la stabilità di un locale avviato per andare in cerca della sua pizza. Avendo nel ricordo la scuola del primo Stefano, il padre, nel cuore l’orizzonte del secondo, il figlio. Franco Pepe per il suo nuovo

mondo si circonda di persone nuove. Devono essere donne e uomini, prima di tutto, e poi lavoratori. Saper ascoltare l’ospite e raccontargli questa storia di passione. Questi luoghi permettono di raccontare la pizza e la narrazione crea il contatto. Persone che parlano ad altre persone. Dopo sarà l’ospite a raccontare quanto ha visto: l’ascolto viene così restituito dal pubblico a Pepe in grani. Il cuoco nutre, con le sue creazioni, stomaco e mente; e crea felicità. Che sta nella sensazione © Damiano Errico

© Damiano Errico

Protagonisti Food

di avere qualcosa di unico, solo per sé, ritagliato sul suo piacere. Tutta la pizzeria, corpo unico tra maître, sommelier, fornai, camerieri, partecipa alla narrazione. A fine 2017 è arrivata Authentica, la più piccola pizzeria del mondo. Un forno, un bancone di lavoro, un tavolo per otto commensali. Un posto dove celebrare la pizza nei suoi aspetti cardine. Legno, pietra e ferro testimoniano la sobrietà dell’ambiente. Luci tenui. Un tavolo che è un’unica cosa con il banco di lavoro e con il forno. Con Authentica il mondo di Pepe in grani è ridotto all’essenza. L’ultima nata è un posto dove cucinare, dove cuocere e dove accogliere. Il nucleo del lavoro e di quello che lo anima: l’uomo. Lo spettacolo della pizza avviene in pochi metri. Il pizzaiolo maneggia l’impasto,

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condisce, inforna, parla con il cliente amico. Significativamente le luci sono puntate sul banco e i suoi principali protagonisti, l’impasto e le mani dell’artefice. È un ritorno a quella foto in bianco e nero. In Authentica si tengono degustazioni e serate particolari; ma soprattutto si torna a gustare la calma e il piacere dell’incontro attorno a una pietanza cui chiunque è legato. Si potrà cucinare insieme. Come faceva quell’uomo con il cappello di carta mentre lavorava. Come farà chi vorrà continuare questa storia. Il progetto di recupero e ristrutturazione della struttura che attualmente occupa Pepe in grani ha avuto almeno tre committenti: Franco Pepe, i futuri ospiti della pizzeria e l’edificio stesso. Nel processo di modernizzazione necessario per restituire a nuova vita l’edificio stesso, si è scelto di rendere ben visibile tutti gli interventi che lo hanno affrancato dall’originale uso residenziale e lo hanno reso disponibile ad accogliere i nuovi e forse più esigenti fruitori: gli spazi interni ed esterni sono stati definiti coinvolgendo i vari artigiani locali, ciascuno con le proprie competenze e con i tempi necessari. In tal senso, trascurando la distribuzione funzionale, per la progettazione degli spazi, per gli arredi e per l’illuminazione non c’è stata una scelta formale fatta a priori e imposta al luogo; il design non è stato il punto di partenza ma piuttosto una conseguenza diretta delle diverse interazioni che si sono di volta in volta stabilite con i diversi operatori. Unico filo conduttore, obiettivo posto a priori, è stato quello di definire uno spazio autentico, dotato di energia propria e che per essere apprezzato in pieno pretende l’attenzione di chi lo fruisce. In questo modo il risultato del lavoro svolto ha consentito di realizzare il giusto contenitore: il significante, per l’attuale contenuto, il significato, che è la pizzeria Pepe in grani. Pepe In Grani è in Vico S. Giovanni Battista 3 a Caiazzo (Ce). www.pepeingrani.it •



Protagoniste Food

Donne in cucina La riscossa rosa di Maurizio Bertera

Isabella Potì

Una pattuglia in crescita, quella delle chef del gentil sesso, molto brave nel saper sfatare il mito della superiorità maschile ai fornelli. E aggiungono quel tocco di delicatezza ai piatti che, nella ristorazione moderna, non guasta Cucinare al femminile: il primato è tutto italiano, dove le chef sono più numerose che in tutta Europa. Le italiane cucinano meglio? Al di là dello spirito nazionalista o delle sensazioni, lo dicono i numeri della Guida Michelin 2019: su oltre 3.300 chef stellati di 28 Paesi, le donne sono più o meno il 4 per cento. In Francia, dove la ristorazione è cosa serissima su 621 stellati le donne sono appena 16. In Italia sono 45 su 367, la percentuale più alta del mondo. L’ultima in ordine di tempo è stata la tedesca Maria Probst, in Italia dal 2004, che insieme al marito Cristian Santandrea ha riportato il riconoscimento a La Tenda Rossa, storico ristorante di Cerbaia. Scorrendo l’altra “istituzione” internazionale – The World’s 50 Best Restaurants – bisogna scendere sino al 25° posto per trovare una cuoca donna – Daniela Soto-Innes, del ristorante newyorkese Cosme – mentre la prima europea è la basca Elena Arzak (figlia d’arte e chef nel locale di famiglia a San Sebastian) che è 31a. Non a caso, per aggirare l’ostacolo e rispettare le ‘quote rosa’ sia la Michelin sia la Best Restaurants hanno creato un premio speciale ad hoc. Dietro i numeri ci sono

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Alessandra Del Favero

Marcella Gritti

Marta Scalabrini

Karime Lopez

le persone, ovviamente. A partire da Nadia Santini, che è stata la prima italiana a conquistare le Tre Stelle – nel ’96 – e a mantenerle sino ai nostri giorni, alla guida del Pescatore di Canneto sull’Oglio. O Annie Feolde, transalpina di nascita ma a Firenze dal ’69, che ha legato il suo nome al mito dell’Enoteca Pinchiorri, altro Tre Stelle in due riprese. O ancora Luisa Valazza del Sorriso a Soriso e Valeria Piccini del Caino a Montemerano: bistellate in un’epoca quasi pionieristica. Con il boom della cucina, sono aumentate anche le donne al comando e oggi possiamo vantare una fascia di 40-50enni di grande livello: Cristina Bowerman, Viviana Varese, Antonella Ricci, Isa Mazzocchi, Rosanna Marziale, Iside Maria de Cesare, Fabrizia Meroi, Aurora Mazzucchelli… Ma il meglio, forse, deve ancora venire. La carica delle under 40 – già stellate – o vicine alla meta non è mai stata così

forte: una nuova generazione di cuoche, quasi sempre passate per grandi maestri e con esperienze all’estero, che hanno tutte le carte in regola per diventare ancora più brave di oggi. Intanto da loro, si mangia benissimo: eccole. ALESSANDRA DEL FAVERO Galeotta

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fu la cucina del tristellato Da Vittorio, a Brusaporto. Qui la giovane di Pieve di Cadore, classe ’88 e diplomata all’Alma, incontra il sardo Oliver Piras – più vecchio di due anni – e decidono di unire vita e lavoro. Scelta che ha trovato il coronamento nel piccolo locale gourmet


Protagoniste Food ci sono un tributo alla tradizione e tanti ingredienti locali MARCELLA GRITTI - Ha lavorato con Paolo Frosio, Luca Brasi, Ernst Knam ed Enrico Crippa ma soprattutto è stata una delle ultime allieve di Gualtiero Marchesi, che è il suo idolo assoluto. E lo si vede nei piatti - ispirati all’arte contemporanea - che prepara al piccolo Civico 17 di Ponteranica (Bg), uno dei locali emergenti in Lombardia: spazia dal crudo di pesce ai classici del territorio, rivisitati sempre con tecnica e gusto. Trentaduenne, bergamasca doc, a 15 anni alternava studio e cucina, ma si è già fatta notare dalla critica: lo scorso anno ha vinto il premio del Gambero Rosso per il rapporto prezzo-qualità. MARTINA CARUSO - È cresciuta nell’albergo di famiglia, a Salina, ma ancora ragazzina ha iniziato a girare per scuole e cucine. Ha imparato soprattutto da Gennaro Esposito ed è tornata per prendere

in mano il ristorante dell’Hotel Signum, affiancando il padre, sino a sostituirlo. A 28 anni - stellata Michelin - è una delle più brave cuoche del Sud e ha da poco vinto il Premio Michelin Chef Donna 2019, patrocinato da Veuve Clicquot, con l’atelier des Grandes Dames. Martina ama (e in parte deve) utilizzare i prodotti del mare che circonda Salina e del piccolo territorio isolano. Con risultati notevoli. KARIME LOPEZ - Ha vinto il premio come migliore cuoca donna under 40 della guida di Identità Golose 2019. Messicana giramondo, è l’executive chef di Gucci Osteria da Massimo Bottura a Firenze. Il numero uno del mondo può considerarsi anche l’artefice del suo matrimonio, visto che lavorando in Francescana ha conosciuto l’attuale marito Taka Kondo,. Ma è da quando ha 19 anni che Karime colleziona stagioni nei ristoranti top: Noma, Ryugin, Mugaritz, Central… L’im-

Caterina Ceraudo

all’interno di Villa Trieste, l’hotel della famiglia Del Favero. Due cuori e un ristorante, premiati dalla stella Michelin nel 2015. Quella di Aga è una cucina di personalità. Piras e la Del Favero amano i richiami al Nord Europa ma inseguono una maggiore armonia, tipicamente italiana. CATERINA CERAUDO - Classe 1987, ha iniziato a lavorare nel locale di famiglia – il Dattilo, già stellato - occupandosi della carta dei vini (è anche laureata in enologia) ma la passione per la cucina d’autore l’ha sempre più coinvolta. Prima di prendere il mano il locale di Strongoli (Kr), c’è stato il passaggio fondamentale alla Scuola di Formazione di Niko Romito, nel 2012, con un periodo nella brigata del Reale. Nel 2017 è stata la Chef dell’anno per la Guida Michelin. Quella della Ceraudo è una grande cucina calabrese contemporanea, con impiattamenti essenziali ed elegantissimi. In ogni piatto

Martina Caruso

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pronta botturiana è forte, anche perché la Lopez ha lavorato a lungo nell’Osteria Francescana ma si sente anche la ‘contaminazione’ tra ingredienti e tecniche da tutto il mondo. ISABELLA POTI’ - A soli 23 anni e con un grande fascino, è l’astro nascente della cucina italiana, protagonista del programma “Il ristorante degli chef” su RaiDue. Romana di nascita, con madre polacca e padre leccese, si è formata presso Claude Bosi a Londra e da Martin Berasategui e Paco Torreblanca, in Spagna. Da tre anni è la colonna femminile di Bros, il locale dei fratelli Pellegrino a Lecce, che ha appena conquistato la stella Michelin. La pasticceria della Potì asseconda la natura degli ingredienti e cerca di rispettarne al massimo la storia, riavvicinandosi alle basi. Non a caso uno dei suoi dolci iconici è il Soufflé. SARA PRECERUTI - Pavese classe ‘83, dopo le prime esperienze, si è trovata a gestire la brigata della Locanda del Notaio a soli 27 anni, dove aveva iniziato la

zone improvviso’. Cucina mai banale, attenta al territorio ma senza barriere. È una delle cuoche più stimate da Carlo Cracco che la scelse come Ambasciatore del Gusto per gli eventi di Expo 2015. FABIANA SCARICA - Ha vinto Top Chef 2017 ma è solo una medaglia in un percorso già importante, iniziato subito dopo la maturità classica e che ha avuto come mentori Ernesto Iaccarino e Gennaro Esposito, dopo il passaggio all’Alma. A soli 27 anni, con una figlia piccola, ha Fabiana Scarica

Marianna Vitale

Sara Preceruti

carriera, conquistando la Stella Michelin l’anno seguente. Nel 2016 ha aperto il primo locale di proprietà a Porlezza, l’Acquada che in dialetto significa ‘acquaz-

aperto Villa Chiara-Orto e Cucina. Una struttura immersa nel verde, appena fuori Vico Equense. Il suo mantra? La teoria delle tre “S”: sogno e sacrificio per il sorriso. A Villa Chiara-Orto e Cucina – agriturismo di livello assoluto – i piatti nascono da prodotti il più possibile reperiti all’interno. Ma la passione vera della Scarica è per la pasta. MARIANNA VITALE - Non è facile conquistare la stella Michelin a Quarto, nell’hinterland napoletano, ma lei ha sempre avuto le idee chiare, a partire dall’insegna del ristorante: Sud. Figlia d’arte, ha deciso di fare la cuoca solo nel 2008, quando 28enne e laureata in letteratura spagnola, è entrata nella brigata di Palazzo Petrucci. Tre anni dopo era già ai vertici. Anche se in tanti gli hanno chiesto di aprire locali in altre zone, non

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vuole lasciare i Campi Flegrei. La Vitale è una delle migliori interpreti della cucina storica napoletana, rivisitata con classe e leggerezza. MARTA SCALABRINI - È arrivata tardi in cucina. Nata a Reggio Emilia nell’82, è sempre stata attratta dalla creatività. Laureata in Comunicazione e Marketing, master in Visual Merchandising presso lo IED di Madrid, era avviata verso una diversa carriera quando il richiamo di nonna Maria l’ha convinta a cambiare vita. Una serie di grandi stages e nel 2014 l’apertura di un locale nella città di origine che si chiama Marta in cucina. Per Identità Golose è stata la miglior chef donna del 2017. Ha già un piatto-icona: L’anguilla e il riassunto delle salse dei bolliti. “Rappresenta quello che facciamo: contiene il Grande Fiume, il Po, e onora la tradizione dell’anguilla in umido” dice. •


Protagonisti Food

Antonio Sinesi un “Divo” a New York di Luisa Contri

Il nuovo ristorante nell’Upper East Side di Manhattan è il “dream come true” di Antonio Sinesi, il coronamento della sua quarantennale carriera di ristoratore Ispirato alla figura dell’attore Rodolfo Valentino, al pari del suo ristorante milanese Al Valentino, che al momento ha affidato alla gestione dei figli Giuseppe e Michiko, non ne è però un clone. “Qui a New York”, dichiara Sinesi, “d’accordo con il mio socio Claudio Della Monica, ho voluto creare una bomboniera

Antonio Sinesi

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da 50 coperti, un locale adatto alla clientela che abita e frequenta il quartiere. In questa zona c’è un indotto d’alto livello. Il grosso degli avventori è e sarà costituito da americani di classe medio-alta che viaggiano, che hanno una mente aperta, che conoscono il mondo e hanno già provato la cucina italiana e quella degli altri paesi europei. Una clientela, in altre parole, che non s’accontenta della cucina pseudo-italiana che viene servita nei tanti ristoranti della Little Italy gestiti da italoamericani”. Il Divo non si propone dunque come il ristorante di un immigrato che ha aperto in America un ristorante italiano, bensì come il locale di un italiano che fa il ristoratore di professione e che è venuto a New York a proporre una cucina italiana vera. A garantire la qualità e il livello della proposta gastronomica della nuova cre-


Merluzzo alla livornese, origano e olive, cavoletti saltati Burrata, pane croccante, pomodorini, peperoni alla brace e bagnacauda

Da sinistra: Matteo Limoli e Massimo Sola

Supplì di riso e pomodoro su purea di cavolfiori

atura di Sinesi, la scelta d’avvalersi della collaborazione di uno chef di livello come Massimo Sola, stella Michelin 2007 col suo ristorante Quattro Mori di Calcinate, nel Varesotto, e buon conoscitore del mercato americano (ci lavora da 4 anni), che nel Divo ricopre il ruolo di corporate chef, affiancato a sua volta dall’executive chef Matteo Limoli. “A Massimo”, spiega Sinesi, “abbiamo dato carta bianca in cucina. Ha la piena responsabilità della scelta delle materie prime e della messa a punto del menù, compito quest’ultimo cui collaboro anch’io”. Fare vera cucina italiana a New York, assicura Sinesi, non è complicato. “Qui non

ci sono problemi d’approvvigionamento di prodotti italiani e di materie prime fresche di qualità”, afferma. “A New York si trova tutto il meglio. A poche ore d’aereo dalla Grande Mela ci sono tutti i climi. Si hanno quindi a disposizione verdure e frutta ottime. E la carne locale o quella argentina e brasiliana non ha niente da invidiare alla nostra di migliore qualità. Qualche problemino in più sussiste per il pesce. Il branzino da 2 kg, con l’amo ancora in bocca, che compravo al mercato ittico di Milano, qui non c’è. Il pesce fresco a New York arriva normalmente dal Pacifico e dall’Atlantico. Massimo riesce comunque a trarre il meglio dal pescato disponibile e dai pesci d’allevamento”.

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Come accennato, Il Divo non sarà un clone del Valentino. Il menù che cambierà con cadenza grossomodo mensile, sarà più completo e variegato a New York. Comprenderà infatti otto antipasti, altrettanti primi e secondi e ancora insalate, zuppe, pizze, contorni e dessert. Alcuni cavalli di battaglia del Valentino come le chips di patate, l’ossobuco con il risotto alla milanese e il controfiletto agli aromi comunque non mancheranno nel ristorante newyorkese. “Al Divo”, racconta Sinesi, “in più ci saranno diversi piatti di pesce, cosa che manca Al Valentino. Per esempio una cevice di tonno rosso, una frittura di calamaretti, gamberone, zucchine e aïoli e un polpo


Protagonisti Food dovuto seguire i lavori d’allestimento passo passo, perché qui gli artigiani non sono preparati come quelli italiani. Pure la gestione del locale risulta molto più cara che in Italia”. E Sinesi non si riferisce solo alle spese per l’affitto, i permessi, le licenze. Pensa soprattutto ai costi del personale.

Polpo rosticciato su verdure saltate

Caldo-freddo di capesante, crema di ceci, crescioni e bacon croccante

rosticciato come antipasti, o il Merluzzo alla livornese, origano e olive, cavoletti saltati, il Filetto di branzino rosolato con salsa allo Chardonnay e insalata di zucchine o il Caldo-freddo di capesante, crema di ceci, crescioni e bacon croccante, fra i secondi. Più in generale, grazie alla professionalità di Massimo Sola, al Divo la cucina sarà un filino più ricercata. Non escludo quindi che, una volta avviato bene il locale, chiederò a Massimo di venire a Milano a rimetter mano al menu del Valentino”. Almeno per il momento, però, Il Divo assorbe in toto le giornate di Sinesi e dei suoi chef. “Dal momento in cui mi hanno consegnato le chiavi del locale”, ricorda Sinesi, “ci sono voluti sette mesi per allestire Il Divo. E, mi creda, aprire un ristorante a New York non è cosa alla portata di tutti. Richiede una preparazione notevole che, se non hai, ti mette in condizioni di rischiare forte di farti male. Per di più costa un botto. A me, che ho la fortuna di saper progettare un locale senza ricorrere ad architetti, quindi risparmiando almeno su quel fronte, ha richiesto un investimento a sei cifre e ho

L’executive chef Matteo Limoli

“Se Il Divo fosse stato in Italia”, spiega Sinesi, “sarebbero bastate 13 persone come a Milano per gestirlo. Invece ne stiamo impiegando 20-26 a seconda delle serate. E questo perché qui il personale non si affeziona all’azienda, come fanno gli italiani. Per i camerieri americani, che comunque guadagnano di più dei loro omologhi italiani, lavorare in un locale o in un altro è lo stesso, con tutto che se il ristorante funziona ne guadagnano perché la parte variabile del loro stipendio, ossia le mance, sale sensibilmente. Il mio rapporto con loro è molto asettico, cosa cui fatico ad abituarmi. I miei ragazzi del Valentino mi chiamano per sapere come sta andando Il Divo, fanno il tifo per me,

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sono partecipi. Il contrario, ahimé, non potrebbe mai succedere”. Sinesi comunque mostra una forte dose di resilienza. E non si è scoraggiato neppure per il ritardo dell’arrivo della licenza di somministrazione di vini e liquori. “Ci hanno dato la liquor licence soltanto il 22 febbraio”, dice Sinesi, “e questo ci ha costretto a un lancio un po’ in sordina del locale, che abbiamo aperto il 30 gennaio. Comunque, la nostra proposta sembra abbia incontrato fin da subito il favore della clientela. Pensi che Woody Allen, che è venuto a mangiare da noi quando ancora non avevamo la licenza per i vini, dopo pochi giorni ha richiamato per tornare la settimana successiva”. •


Approved Event


Protagonisti Food

E Roma rinasce

Il rinnovamento della ristorazione romana non ha tregua. Il Pagliaccio di Antony Genovese ne è conferma.

La scena capitolina della ristorazione si sta rinnovando molto velocemente e gli argomenti da trattare negli ultimi mesi non sono certo mancati. Dalla nuova avventura di Francesco Apreda dopo la lunga permanenza all’Imago, il ristorante ospitato nell’Hotel Hassler, fino all’arrivo di giovani rampanti di belle speranze, come è accaduto per Antonio Ziantoni e il suo Zia, aperto ai margini del quartiere di Trastevere lo scorso anno e diventato subito un caso. C’è in qualche modo la volontà di crescere e di confrontarsi, magari incuriosendo la clientela locale con nuovi progetti, oppure riqualificando ristoranti che già hanno fatto la storia recente della cucina nella capitale. E’ il caso de Il Pagliaccio, il ristorante di Anthony Genovese in via dei Banchi Vecchi, che a distanza di più di tre lustri dalla sua apertura ha deciso di rinnovarsi nella forma (sala e mise en place, soprattutto) e in parte anche nei suoi contenuti gastronomici. Storica insegna che da anni ha appeso la doppia stella Michelin all’ingresso, il Pagliaccio è sempre stato uno dei ristoranti di maggior classe e intimità a Roma, complice una cucina che gioca su due piani diversi di raffinatezza, quella tradizionale francese studiata e amata per lungo tempo dal cuoco nel corso delle sue scorribande provenzali tra Monaco, Marsiglia e Nizza in diversi ristoranti, dopo aver frequentato la Scuola alberghiera proprio a Nizza, e

Anthony Genovese

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Protagonisti Food Francesco Di Lorenzo

Matteo Zappile

Thierry Tostivint

poi la passione per una fusion morbida, figlia dell’infatuazione successiva, e più recente, per l’Oriente. Anche questo frequentato negli anni passati. Una combinazione vincente che ancora oggi si riflette nei menu del ristorante, ma che da inizio anno può contare anche sull’”alleggerimento” della sala; per un nuovo modo di interpretare l’ambiente, sicuramente più pulito, senza tovaglie (come vuole molta della ristorazione moderna che conta in giro per il mondo) e l’utilizzo di materiali dall’eleganza minimal, vedi il caso dei piatti di legno che arrivano direttamente dal Giappone o le posate scelte ad hoc per ogni singola portata. Un restyling concettuale dove spicca, tra gli altri, il più impegnativo e lungo tasting menu chiamato Circus, e organizzato sulla distanza di dieci portate, che vuole essere il percorso ideale per entrare più in profondità nelle suggestioni di sapori molto globali che Genovese riesce sempre ad evocare. Dall’agnello con olio di argan e latte di carvi, (“il cumino dei prati”) chiave di accesso a una suggestiva cavalcata di emozioni quasi berbere, alle divagazioni tostate e saline dell’aragosta, che incontra il caffè e i capperi. Il nuovo percorso de Il Pagliaccio è anche un bel riassunto di quanto presentato in quindici anni

Tommaso Tonioni

di vita, quasi si dovesse oggi chiudere un cerchio e fosse necessario cavalcare qualche prezioso ricordo prima di ripartire con slancio. E’ il caso delle sfoglie, con il piennolo e il caciocavallo, un piatto determinato con tutta probabilità dalla permanenza di Genovese nelle cucine del Rossellinis di Ravello, a Palazzo Sasso, ma anche la ricciola con foie gras e il battuto d’ostrica con San Marzano non scherzano e rappresentano altri due pregevoli incroci tra Mediterraneo e Francia, figli naturali di un lungo viaggio professionale. La cifra stilistica della cucina de Il Pagliaccio la dà sempre la misura e la sensibilità con le quali il cuoco riesce a dosare perfettamente i sapori, anche quando racconta mondi apparentemente distanti

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tra di loro; sia che si diverta a proporre dei baozi con ossobuco o preferisca caratterizzare il Risone e il granchio con il retrogusto amaro del Negroni. Il resto dell’esperienza al tavolo è poi nelle mani sapienti del salernitano Matteo Zappile, restaurant manager e sommelier come pochi se ne incontrano lungo lo stivale. Distinto e preparato, che sa guidare con

stile nella scelta dei vini ed è sempre una presenza discreta ed attenta in sala. Già miglior sommelier dell’anno per l’Espresso nel 2017 ed esperto di sake, al punto da ricevere la qualifica di sommelier del sake nel 2016. In un locale, oltretutto, con uno spirito moderno che già si intravvedeva qualche tempo fa, pensando all’angolo bar nascosto vicino alla cucina

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e a una predisposizione al pairing con i piatti che oggi ha coinvolto buona parte della ristorazione internazionale. E senza dimenticare la preziosa cantina di 1400 etichette di vino, anche naturali e bio, oltre alle 250 di champagne sempre a disposizione. Lo spirito intraprendente e a volte un po’ impertinente della cucina ben si sposa con il rigore quasi zen che oggi si vive nella piccola sala de Il Pagliaccio e i piatti di Genovese rappresentano oggi a Roma una delle esperienze di maggior soddisfazione a tavola; capaci di aprire nuovi orizzonti gustativi, di schiudere porte verso nuovi mondi, di incuriosire oltre i sapori più riconoscibili. Non è certo cosa da poco in una piazza, quella della Capitale, non sempre facile e dove solo negli ultimi tempi sembra esserci un nuovo mood capace di stimolare tanto la clientela locale quanto i turisti di passaggio che sono alla ricerca di cucine d’autore. •


Focus Vinitaly

La 53ª edizione chiude con 125mila visitatori I buyer esteri accreditati crescono del 3% per 33mila presenze. Presentata la nuova piattaforma Veronafiere Wine To Asia, dal 2020 a Shenzhen Il 53° Vinitaly si è chiuso a Verona, registrando 125mila presenze da 145 nazioni, in linea con l’edizione precedente, ma aumentando invece la qualità e il numero dei buyer esteri accreditati che quest’anno registrano ancora una crescita del 3% per un totale di 33mila presenze. “È stato il Vinitaly più grande di sempre con 4.600 aziende, 130 in più dell’anno scorso, e 100mila metri quadrati espositivi netti, ma da domani saremo già al lavoro per migliorare ancora – ha commentato Maurizio Danese, presidente di

Veronafiere –. Continua la focalizzazione sulla selezione di visitatori verso una presenza sempre più professionale e internazionale. A riprova, sono aumentate di 20mila, per un totale di 80 mila, le presenze di wine lover al fuori salone di Vinitaly and the City. Registriamo molta soddisfazione da parte degli espositori e questo significa che la svolta intrapresa nel 2016 è la direzione da seguire. Dopo quella in Brasile, abbiamo lanciato la nuova piattaforma di promozione Wine To Asia attiva dal 2020 in Cina, a Shenzhen. Inoltre, il ruolo guida per il sistema vitivinicolo è stato confermato dall’attenzione istituzionale, con la visita del presidente del Consiglio, dei due vicepremier, del presidente del Senato, del ministro delle Politiche agricole e del Turismo, e a livello europeo con il commissario per l’Agricoltura”. “Una delle positività anche di questa edizione di Vinitaly è stata di sicuro l’internazionalità, con l’ulteriore incre-

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Giovanni Mantovani

mento di promozione permanente dedicato all’Asia. Ma questo è stato, pure, un Vinitaly sempre più digital e connesso che ha certificato la centralità nella nostra community globale della Directory online in nove lingue che conta più di 4.500 aziende e 18mila vini (aumentati del 20%) e ha registrato oltre 1 milione di visite nelle ultime due settimane, senza dimenticare il debutto della geolocalizzazione nei padiglioni, per facilitare l’incontro tra domanda e offerta”. A integrare e ampliare l’offerta di Vinitaly, si sono svolte come ogni anno in contemporanea Sol&Agrifood, la manifestazione di Veronafiere sull’agroalimentare di qualità ed Enolitech, rassegna su accessori e tecnologie per la filiera oleicola e vitivinicola, a cui quest’anno si è affiancata Vinitaly Design, che ha proposto prodotti e accessori che completano l’offerta legata alla promozione del vino e all’esperienza sensoriale: dall’oggettistica per la degustazione e il servizio, agli arredi per cantine, enoteche e ristoranti, sino al packaging personalizzato. La 54ª edizione di Vinitaly sarà in programma dal 19 al 22 aprile 2020. •

mento del 3% dei top buyer presenti tra i padiglioni – ha spiegato Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere –. Merito delle ulteriori risorse investite sull’attività di incoming, con la selezione e gli inviti da 50 paesi target e la collaborazione con Agenzia ICE. Nella top five delle provenienze degli operatori primeggiano gli Stati Uniti (+2% sul 2018), seguiti da Germania (+4%), Regno Unito (+9%), Cina (+3%) e Canada (+18%). Su questo fronte molte bene il Giappone (+11%): un risultato che, sommato agli altri registrati dal Far East, supporta la nostra scelta di creare un nuovo stru-

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Focus Food

S.Pellegrino Sapori Ticino 2019: Svizzera Superstar Dall’8 aprile al 16 giugno 2019 in diverse, splendide location l’edizione di quest’anno della manifestazione ideata da Dany Stauffacher

La tredicesima edizione di S.Pellegrino Sapori Ticino è partita alla scoperta della nazione che quest’anno brilla più che mai con un numero record di punti Gault&Millau e di stelle Michelin a dimostrazione della sua grande personalità culinaria. Dopo il giro del mondo attraverso le cucine internazionali di diversi Paesi nel 2018, oggi il festival enogastronomico ticinese, tra i più rinomati e longevi d’Europa, si appresta ad apparecchiare le tavole all’insegna della grande cucina svizzera. Una sorta di “ritorno a casa” per una kermesse che, fin dalla sua nascita, si è sempre fatta portavoce del Ticino come luogo di grandi tradizioni

Didier De Courten

André Jaeger Bernadette Lisibach

Franck Giovannini

Peter Knogl

Stéphane Décotterd

Heiko Nieder

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Chef EOC - Salute con Sapore

Bernard e Guy Ravet

Marco Sacco

Enrico Bartolini

Martin Dalsass

Silvio Germann

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turistiche e gourmet e oggi allarga all’intera nazione questo concetto. Per seguire il filo rosso dell’eccellenza nazionale, S.Pellegrino Sapori Ticino ha scelto di collaborare con Les Grandes Tables de Suisse, la più prestigiosa associazione gastronomica svizzera. Dany Stauffacher, patron del festival, ci racconta che: “Spesso si sente dire che la Svizzera, un Paese con quattro diverse lingue e contaminata da tante culture differenti non ha una propria identità culinaria. Dopo aver girato in lungo e in largo la Svizzera e i suoi ristoranti, vi assicuro che la nostra nazione è davvero unica nel suo genere, a partire dalla sua cucina. Eclettica, sperimentale ma con solide basi, ricca di talenti e passione: la cucina svizzera meritava un palcoscenico d’eccellenza per raccontarsi al pubblico in tutta la sua meraviglia e noi siamo orgogliosi di offrirglielo”. Nel programma dell’edizione 2019, omaggio alla Svizzera culinaria, non poteva mancare la serata dedicata allo chef che la guida Gault&Millau Switzerland del 2019 ha incoronato come “Cuoco dell’anno”. Heiko Nieder, (19 punti Gault&Millau – 2**M), talentuoso chef del The Restaurant all’interno di The Dolder Grand di Zurigo porterà nella cucina di Domenico Ruberto (15G&M) all’Hotel Splendide Royal di Lugano la sua cucina emozionale. Questa serata consacra una grande novità per S.Pellegrino Sapori Ticino, che inizia quest’anno una importante collaborazione con Gault&Millau Switzerland, condividendo con la guida la stessa grande passione per il cibo e il servizio di qualità. Partito il tour l’8 aprile, i primi appuntamenti sono quelli al Four Seasons Hotel des Bergues a Ginevra e al Widder Hotel di Zurigo, due splendide location del gruppo Swiss Deluxe Hotels, maestri del servizio d’eccellenza. Qui hanno cucinato alcuni tra i migliori chef ticinesi, portando oltre Gottardo la cucina più solare e mediterranea dell’intera nazione: Lorenzo Albrici (Locanda Orico,


Focus Food Morcote – 14G&M) e Frank Oerthle (Ristorante Galleria Arté al Lago, Lugano, 16G&M - 1*M) ospitati dallo chef Tino Roberto Staub (15G&M). Si torna poi in Ticino, per un itinerario di gusto tra alcune delle più belle location della Svizzera italiana. Didier de Courten (Le Terminus, Sierre – 19G&M – 2**M) è stato ospite dello chef Frank Oerthle nel Ristorante Galleria Arté al Lago del Grand Hotel Villa Castagnola di Lugano, dove ha portato i suoi piatti a metà strada tra innovazione e tradizione. E’ stata poi la volta dell’appuntamento all’ Hotel Splendide Royal di Lugano per il gala iniziale dedicato alla cucina degli Swiss Deluxe Hotels dove hanno cucinato

BLU Restaurant & Lounge - Locarno (Svizzera)

Bellinzona, 16G&M - 1*M), Luca Bellanca (Metamorphosis, Lugano), Dario Ranza e Cristian Moreschi (Villa Principe Leopoldo, Lugano, 17G&M) e Domenico Ruberto (I due Sud, Hotel Splendide Royal, Lugano) sono stati i protagonisti nella serata di Ginevra, coadiuvati dallo chef locale Massimiliano Sena (15G&M – 1*M). A Zurigo, invece, hanno cucinato Andrea Bertarini (Ristorante Vicania, Vico Morcote – 14G&M), Mauro Grandi (THE VIEW Lugano – 14G&M), Egidio Iadonisi (Swiss Diamond Hotel, Vico

Seven Lugano The Restaurant - Lugano (Svizzera)

Salvatore Frequente (La Brezza, Hotel Eden Roc, Ascona – 16G&M - 1*M), Marcus G. Lindner (Le Grand Bellevue, Gstaad – 18G&M) e Domenico Ruberto come padrone di casa. Saranno due gli chef tristellati Michelin svizzeri che parteciperanno alla manifestazione: Franck Giovannini (Hôtel de Ville, Crissier – 19 G&M – 3***M) sarà ospite del Ristorante Ciani di Lugano Villa Principe Leopoldo - Lugano (Svizzera)

Hotel Splendide Royal - Lugano (Svizzera)

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per regalare ai commensali il suo estro culinario con solide basi nella grande cucina francese, mentre Peter Knogl (Cheval Blanc by Peter Knogl, Basilea – 19G&M – 3***M) sarà il protagonista della cena al Castello del Sole di Ascona, dove si scopriranno le influenze tedesche nella cucina d’autore svizzera con l’aiuto del resident chef Mattias Roock

contare i suoi luoghi attraverso i sapori. Bernard e Guy Ravet (L’Ermitage des Ravet, Vufflens-le-Château – 19G&M – 1*M) porteranno al THE VIEW Lugano, tra i fornelli di Mauro Grandi, la loro personale idea di “cucina di squadra”, dove il team è composto proprio da padre e figlio. Torna in Ticino, poi, ospite dello Swiss Diamond Hotel di Vico Morcote Ristorante Ciani - Lugano (Svizzera)

Swiss Diamond Hotel - Vico Morcote (Svizzera)

(18G&M - 1*M). A rappresentare il terzo gioiello della cucina nazionale, Andreas Caminada, ci sarà il suo delfino Silvio Germann (IGNIV by Andreas Caminada, Bad Ragaz – 17G&M – 1*M) che offrirà agli ospiti del Seven Lugano The Restaurant l’emozione del “food sharing experience”, ospitato da Claudio Bollini. Il festival, come di consueto da 13 anni, accompagnerà i piatti degli chef con grandi vini del Ticino e non solo, a dimostrazione che i vini locali sono perfetti in abbinamento all’alta gastronomia. Al Fiore di pietra, nella cucina di Luca Bassan, nella splendida location in cima al Monte Generoso, cucinerà invece Stéphane Décotterd (Le Pont de Brent, Brent – 18G&M – 2**M), capace di rac-

Villa Orselina - Orselina (Svizzera)

e dello chef Egidio Iadonisi, Martin Dalsass (Talvo by Dalsass, Champfèr – 18G&M - 1*M) insieme al suo tocco gastronomico nel rispetto della natura e delle sue stagioni.

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Bernadette Lisibach (Neue Blumenau, Lömmenschwil – 16G&M - 1*M), “Female Chef of the Year 2015” by Gault&Millau e neostellata, insieme a Lorenzo Albrici (Locanda Orico – 16G&M – 1*M) saranno i protagonisti di una cena a quattro mani dagli esiti sicuramente sorprendenti, nel panoramico ristorante di Villa Orselina a Locarno-Orselina, ospiti di Riccardo Scamarcio (13G&M). Ciliegina sulla torta di questo programma “made in Suisse”, André Jaeger, presidente per oltre 20 anni de Les Grandes Tables de Suisse fino a pochi anni fa e, per decenni, grande interprete della cucina gastronomica svizzera. La sua serata si terrà a Villa Principe Leopoldo di Lugano dove sarà ospite dello chef Cristian Moreschi con Dario Ranza. Escursione tra i sapori mediterranei della vicina Italia grazie a Enrico Bartolini, lo chef tricolore più stellato dell’omonimo ristorante al MUDEC di Milano: a fare gli onori di casa al BLU Restaurant & Lounge di Locarno sarà Davide Asietti. Novità assoluta per il 2019 sarà la serata Salute con Sapore, in collaborazione con EOC, l’Ente Ospedaliero Cantonale: nella sede dell’Ospedale italiano di Lugano 5 chef delle strutture ospedaliere del Ticino cucineranno per il pubblico del festival, portando in tavola la propria versione di piatti salutari e gourmet. Il progetto Salute con Sapore proseguirà anche a kermesse ultimata, per portare il concetto di cibo sano tra le case dei ticinesi. S.Pellegrino Sapori Ticino si concluderà con il gala finale all’ Hotel Splendide Royal di Lugano. •


Focus Food

Il Piccolo Principe: una carta e 7 menú Sia a cena sia a pranzo, di mare, di terra o vegetariani, tutti ispirati dal territorio e dall’estro dello Chef Giuseppe Mancino: ecco la ricca offerta di questo ristorante di Viareggio

Le due stelle Michelin dello Chef Giuseppe Mancino brillano dall’alto della sala panoramica al quinto piano dello storico Grand Hotel Principe di Piemonte di Viareggio, dove si trova il Ristorante Il Piccolo Principe. Le portate sono sofisticate e creative, le proposte in equilibrio fra pesce ottimo e preziosi ingredienti di

terra, e fra tradizione e sperimentazione. Già dagli antipasti emerge tutta la complessità dello stile di Mancino: la triglia di scoglio croccante è accompagnata da scarola, mozzarella affumicata, essenza di pomodoro, olive e capperi; la mazzancolla nostrale è sublimata da fegato d’oca, miele di spiaggia, pastinaca e tuberi croccanti; le capesante sono rese intriganti da crema di crescione, caviale, limone candito e così via. Fra i primi piatti, un cavallo di battaglia dello Chef, proposto spesso anche nei menù dei ricevimenti di matrimonio: la calamarata di Gragnano con frutti di mare, calamari, crostacei e punte d’asparagi; e ancora pasta ripiena con

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i tortelli fatti a mano con cime di rapa, mozzarella di bufala e pomodoro datterino confit e con i superbi agnolotti ripieni di cipolla fondente, coda di bue, salsa al pecorino, tartufo di stagione selezione Savini e sedano croccante. Tra i secondi piatti trionfa sicuramente il pesce, data la zona a vocazione marina: dallo scorfano, crema di bietole, farro della Garfagnana, salsa al cacciucco e intingolo di molluschi e crostacei fino all’aragosta, valorizzata da topinambur, carciofi e salsa bernese affumicata, solo per fare alcuni esempi. La carta dei dessert è a parte, e comprende una selezione di formaggi italiani accompagnati da composte varie e pan


Lo chef Giuseppe Mancino

brioche, una bella scelta di sorbetti fatti in casa dai gusti non scontati (lampone, mela verde, pera, mandarino, mango) e 5 dolci tutti meravigliosamente complessi ed equilibrati, nei quali l’elemento fresco o aspro e in molti l’aggiunta di una spezia o aroma spezzano la sontuosità e cremosità della componente principale. I menù degustazione sono 5: quello di

Il Grand Hotel Principe di Piemonte Sorto nei primissimi anni Venti, si dimostra subito dimora favorita di aristocratici, intellettuali e artisti. La sua eleganza seduce la fantasia di numerosi registi diventando teatro di prestigiose produzioni cinematografiche. Tornato all’apice del suo incanto nel 2004, dopo 19 mesi di restauro, oggi il Principe si pone indiscutibilmente tra gli Hotel storici più esclusivi e raffinati esistenti al mondo. I cinque piani, arredati in stili differenti, compiono un percorso ideale attraverso l’elegante ospitalità di ogni epoca, fino alla luminosità contemporanea della piscina sul tetto con jacuzzi e solarium, uno spazio azzurro proteso sul mare. I ristoranti “Il Piccolo Principe” e “Regina” hanno certamente reso celebre nel tempo il Grand Hotel Principe di Piemonte di Viareggio. Gli ambienti intimi e accoglienti, dai quali ammirare lo splendido panorama delle Alpi Apuane e del Lungomare di Viareggio, attraggono durante tutto l’anno turisti e amanti della buona cucina. La cucina de Il Piccolo Principe, curata dallo chef Giuseppe Mancino e premiata con 2 stelle Michelin, propone un menu in cui si fondono creatività, raffinatezza e buona tecnica.

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mare, quello di terra, il vegetariano e due a scelta dello chef, da 10 o da 5 portate. Quest’anno ha inaugurato il lunch con due menù degustazione disponibili solo a pranzo a prezzi appetibili: il menù Carte Blanche da quattro portate (mise en bouche, antipasto, primo piatto e dessert) e il menù Territorio da cinque portate (con l’aggiunta del secondo piatto), entrambi proposte di piatti di mare o di terra selezionati dallo Chef Giuseppe Mancino, come in un percorso di profumi, sapori e sensazioni suddiviso fra tradizione e innovazione. Il Piccolo Principe è aperto dall’8 marzo al 31 ottobre 2019. •


Focus Food

L’invisibile secondo Bocchia L’ultima fatica editoriale dello chef parmense aggiunge contenuti di qualità al dibattito sulla cucina di eccellenza

Ettore Bocchia è cuoco (e persona) decisamente fuori dal comune. Classe ‘65, parmense di San Secondo – il paese della buonissima spalla cotta – dopo cinque anni in giro per gli alberghi di mezzo mondo, nel 1993 è arrivato al Grand Hotel Villa Serbelloni a Bellagio. Poteva accontentarsi per tutta la carriera di servire buoni piatti classici per la clientela – in gran parte straniera – di un luogo dove la posizione e l’ambiente bastano e avanzano. Invece, ossessionato dalla ‘materia’ e dalla ricerca, nel 2002 ha avuto l’intuizione che lo ha reso celebre tra gli addetti ai lavori: crea il primo menù italiano di cucina molecolare grazie agli studi fatti in collaborazione con il fisico Davide Cassi, docente di Fisica della Materia all’Università di Parma. Due anni dopo, il Mistral – il ristorante del Grand Hotel – conquista la stella Michelin sempre mantenuta. E’ piacevole leggere la sua nuova opera, che fa parte della collana I Fiori del Male di Aliberti Compagnia Editoriale: il titolo è L’Essenza dell’Invisibile e ha un corollario importante come ‘Capire la cucina molecolare’. Può apparire un concetto superato dalle mode, oggi siamo in un epoca di rivisitazione massiccia della cucina regionale, di contaminazione con quelle orientali e resiste una base nordica in tanti trentenni passati dal Noma. Invece, è importante vedere come tutto – in qualsiasi cucina – non parta dal talento dell’esecutore ma dalla materia. In

questo – lo conferma il libro – Bocchia è (e sarà sempre) un rivoluzionario, un uomo che crede nelle utopie e si ferma solo davanti all’oggettività, o perlomeno, quella che lui ritiene tale. Ed è un rivoluzionario perché ha ribaltato l’approccio alla cucina non solo formalmente (come tanti, a parole) ma sostanzialmente, roba per pochi eletti. E’ andato totalmente dentro la materia, l’ha studiata, scomposta e poi ricomposta. Non si è limitato a destrutturare un tortello, spargendone gli ingredienti elegantemente sul piatto –

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pour èpater le bourgeois – ma ha studiato tanto e chiesto aiuto a uno scienziato, per capire, sviscerare, analizzare, controllare, scoprire, sperimentare. Perché il suo obiettivo era uno solo: la perfezione nei piatti, per regalare un’esperienza unica al cliente come si legge nell’opera. Che attenzione non è un libro di ricette, per una precisa idea di Bocchia. “Non lo pubblicherò mai, perché non ne ho mai scritta una. Ho in testa tutte le mie ricette, comprese le temperature di lavorazione”. Inimitabile. M.B.



Focus Food

Buona e sana: è la Robiola di Roccaverano Dop Tramite un incontro – convegno voluto dal Consorzio di Tutela è stata ribadita la salubrità di questo formaggio caprino

Che la Robiola di Roccaverano sia buona è un dato di fatto confermato dai tanti consumatori in costante aumento, ma che al contempo sia anche un prodotto estremamente sano è stato caldamente sottolineato dagli enti preposti ai controlli tecnici sanitari sull’intera filiera produttiva nel convegno svoltosi a fine marzo marzo ad Asti nella prestigiosa cornice di Palazzo Mazzetti. L’occasione si è presentata nel contesto dell’evento: “Robiola di Roccaverano Dop – dalla molecola alla tavola” una storia tra tradizione e innovazione. L’incontro astigiano, voluto dal Consorzio di Tutela della Robiola e curato da Mariagrazia Blengio, è stato improntato sulla ricerca, legata all’interessamento del mondo accademico, verso il delizioso formaggio caprino. Mariagrazia Blengio, laureata in Scienze Biologiche indirizzo Fisiopatologico presso l’Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”, proprio con una tesi sulla Robiola, si è dunque attivata in merito rintracciando altri

Dott.ssa Mariagrazia Blengio

tre lavori analoghi. “Ho iniziato la ricerca dalla facoltà dove mi sono laureata e ho recuperato tre tesi. Ho letto i lavori e ho notato che si basavano sugli stessi produttori ed erano tutti collegati fra loro. Da questo punto di partenza ho cercato di riassumere e fare una presentazione basata su tutti i risultati ottenuti nelle quattro tesi”. Le quattro tesi della presentazione erano: Tradizione e globalizzazione nella produzione della Robiola di Roccaverano parametri microbiologici e sensoriali a

Prof. Giorgio Calabrese

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confronto di Federica Gallareto; Valutazioni delle caratteristiche della Robiola di Roccaverano di produzione artigianale e industriale: parametri igienico sanitari e microbiologici a confronto di Mariagrazia Blengio; Metodi tradizionali e molecolari per la caratterizzazione microbiologica di un prodotto tipico locale: la Robiola di Roccaverano di Silvia Carlucci; Metodi classici e molecolari per caratterizzare microbiologicamente un prodotto locale: la Robiola di Roccaverano di Debora Carena. Molti i temi trattati nella presentazione a partire dal cambio del disciplinare di produzione della Robiola avvenuto nel 2006 e che ha rimosso il vecchio disciplinare risalente al 1979 imponendo ai produttori regole ben più rigide e severe. Una scelta di saggezza, evidenziata anche dall’Assessore della Regione Piemonte all’Agricoltura Giorgio Ferrero presente all’incontro, che ha straordinariamente


elevato la qualità del formaggio. Poi le visite ai produttori, le analisi visive, microbiologiche, chimiche, la ricerca delle attività decarbossilante, la valutazione del latte utilizzato, l’identificazione dei batteri decarbossilanti, per arrivare alle degustazioni finali passando per una lunga serie di analisi tecniche. A fare da cornice al lavoro della Blengio all’evento altri relatori di prim’ordine: Maria Cristina Gerbi, Dirigente Veterinario ASL Asti, che nel suo intervento ha sottolineato il grande lavoro di controllo svolto negli anni. Antonio Quasso, Dirigente Veterinario ASL Asti, che ha ricordato come già dalla fine degli anni 60 nell’aerea territoriale di Roccaverano, prima in Italia, si iniziò a lavorare con gli animali al fine di offrire a loro il giusto benessere. Quasso si è espresso in modo molto positivo nei confronti dei produttori e del loro lavoro. Una nota tecnica da esperto nutrizionista ma anche da

simpatico uomo di palcoscenico, come siamo abituati a vederlo in televisione, l’ha data Giorgio Calabrese, astigiano di adozione ormai da oltre 40 anni. Nelle sue parole ancora una volta si è potuto constatare che stiamo parlando di un formaggio caprino molto buono, sano, prodotto con grande serietà nel rispetto delle normative. Un formaggio, la Robiola di Roccaverano, che ha poco colesterolo, che fa bene ai giovani e ai meno giovani, che può benissimo sostituire a pranzo o a cena la carne. In chiusura di evento Elio Siccardi, delegato Onaf di Asti, ha ricordato come durante l’ultima Festa della Robiola di Roccaverano nell’ambito della Fiera Carrettesca, tutte le Robiole degustate ed esaminate abbiano ottenuto punteggi decisamente elevati da parte degli esperti assaggiatori. All’incontro ha preso parte anche il Presidente del Consorzio di Tutela della Robiola di Roccaverano Dop, Fabrizio Garbarino,

DISCIPLINARE DI PRODUZIONE IN VIGORE DAL 2006 - Latte esclusivamente crudo - Percentuali latte definite - Razze definite - Obbligo del pascolo da marzo a novembre - Divieto di utilizzo mangimi OGM - No insilati - Minimo l’80% dell’alimentazione animale deve provenire dal territorio

che ha gestito gli interventi dei relatori subito dopo i saluti del padrone di casa: la Fondazione CRAsti nella persona del suo Presidente Mario Sacco che, da grande estimatore della Robiola, si è fatto promotore di una proficua collaborazione per il rilancio di questo importante prodotto. •

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Focus Food

Ocean di Lisbona Audaci e creativi La riscossa gastronomica del Portogallo è senza uguali. All’interno di questo 5 stelle lusso, la cucina dello chef Hans Neuner

Il Portogallo negli ultimi anni ha vissuto un rinascimento gastronomico stupefacente, complici alcuni interpreti di assoluto pregio che si sono fatti notare anche al di fuori dei confini nazionali con la loro cucina. Vale la pena ricordare, però, che ancor prima di Lisbona, la capitale, oggi destinazione turistica e capace di acquisire un sempre maggior rilievo internazionale per il mondo food, l’area che attirava maggiormente l’attenzione dei gourmand era pur sempre l’Algarve, la regione più a sud, dove si trovano i campi da golf e gli storici hotel di lusso lusitani. Ancora oggi, in fin dei conti, molte delle strutture alberghiere qui presenti possono contare sulla presenza di cuochi affermati, stellati, e spesso e volentieri, considerata la proprietà delle strutture quasi sempre austriaca o tedesca, di provenienza mitteleuropea. E’ il caso dell’immenso Vila Vita Parc, un cinque stelle affacciato sull’Oceano Atlantico e nel villaggio di Porches, un Leading Hotels che occupa un ampio appezzamento di terra fronte mare, nel quale è possibile quasi perdersi, viste le dimensioni. Si passa, per intenderci, tranquillamente dalla passeggiata nel parco con tanto di piscine, giochi d’acqua, cigni e papere, alla rilassante sosta nelle piccole calette cui si arriva scendendo dalle pareti di falesia che separano l’hotel dalla spiaggia. In mezzo a tutto questo, non mancano certo i servizi di altissimo livello, capaci

di ammaliare l’ospite più esigente, dalla famiglia con prole al seguito a chi invece celebra un matrimonio. Basti pensare che la struttura presenta ben quindici diverse situazioni ristorative, molte delle quali si trovano all’interno di Vila Vita, mentre alcune, come i ristoranti Praia Dourada

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o Arte Nautica, sono invece nella vicina località balneare di Armaçào de Pèra. Tra tutti questi, dove si ispezionano sapori portoghesi tradizionali o influenze marocchine, dove si fa una sosta in Giappone per un Teppanyaki o ci si sposta in Baviera tra salsicce e birra, c’è anche spazio per il vero gioiello della casa, il ristorante Ocean, forte di due stelle Michelin e della cucina audace e creativa dell’austriaco Hans Neuner. A dire il vero negli ultimi anni era girata perfino voce, almeno in un paio di occasioni, che potesse arrivare anche l’agognata terza stella, ma essendo la guida rossa in condivisione tra Spagna e Portogallo non è cosa facile superare la sempre forte ondata di rampanti cuochi


Hans Neuner

iberici. L’Ocean però rimane un luogo cui è facile affezionarsi, grazie alla sala per pochi intimi (non si arriva a trentacinque coperti, quindi l’esclusività e la discrezione sono garantiti), con la grande finestra che offre uno scorcio ineguagliabile sull’oceano, ma anche per il rigore e la precisioni teutonici della sala, la magnifica carta dei vini (la cantina presenta 11mila bottiglie) dove si passa con agilità attraverso le migliori etichette continentali e, chiaramente, la cucina a tutto tondo di Neuner. Un cuoco cresciuto alla corte di Karlheinz Hauser all’Adlon di Berlino, e transitato dal Tristan di Mallorca prima di impegnarsi al Seven Seas di Amburgo, nel suo esordio ai fornelli come executive. L’arrivo in Algarve a Vila Vita risale al 2007 e subito il cuoco impone uno stile deciso e creativo che gli vale la prima stella nel 2009 e la seconda nel 2011. Il fine dining di Neuner pesca a piene mani nell’eccellenza internazionale dei prodotti, ma non si dimentica la materia prima locale, con qualche piacevole sferzata di sapori al palato. Così capita di assaggiare, tra gli snack di apertura pasto, un chicken piri-piri o il tonno delle Azzorre con wasabi e lime. Seguiti da una açorda, ovvero la zuppa di origini alentejane, dove si fanno sentire l’aglio e soprattutto il

coriandolo che in Portogallo non manca quasi mai, insieme al classico e gustoso carabineiro. Il pesce è il protagonista quasi assoluto del menù, con divertenti incursioni tropicaliste o asiatiche, che di volta in volta caratterizzano il piatto creando passaggi gustativi mai banali. Dal cocco al calamansi, dal mizu alla papaya, le sorprese si susseguono lasciando ricordi al palato che mescolano acidità e amaro, rimandi tostati e dolcezze spinte. Non c’è da stupirsi che qualche mese fa Neuner abbia invitato, per le sue serate di CulinArt, il cileno Rodolfo Guzman del ristorante Boragò, arrivato direttamente da Santiago e impegnato in una serata a quattro mani che ha strappato applausi a scena aperta. Un cuoco, Hans Neuner,

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che ha molto a cuore anche tutti i problemi legami all’inquinamento marino e che lo ha portato, insieme al suo pastry chef Marcio Baltasar, a realizzare un dessert davvero stupefacente e capace di far riflettere. Si chiama Pollution of The Sea ed è stato realizzato ispirandosi a uno scatto famoso del fotografo americano Justin Hoffman dove si vede un cavalluccio marino nuotare avvinghiato a un cotton fioc. Scarti del mondo moderno e plastica sono stati riprodotti nel piatto (chiaramente sono commestibili, si tratta di noci, foglie e papaya) e raccontano della sensibilità di una cucina capace di far emozionare. Per tutto il resto ci sono un ristorante e un albergo dove si fiora la perfezione. G.S.


BR

B a r | Al b e r ghi | Ristoranti

Una presenza ancora più forte e una penetrazione più capillare: BARtù è nelle VIP Lounge degli aeroporti di Malpensa, Linate, Bologna, Napoli, Firenze, Verona, Venezia; nell’esclusiva location milanese Clubhouse Brera e nelle edicole Hudson News degli aeroporti di Malpensa, Linate e Stazione Centrale di Milano.

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Focus Beverage

DCasadei presenta la linea Le Anfore di Giovanna Moldenhauer

In una degustazione presentato il meglio della produzione di questa Casa vinicola I vini in anfora, che Stefano Casadei ha voluto dedicare alla figlia maggiore Elena, sono la selezione della migliore produzione dalle tre Tenute DCasadei ovvero quella di Castello del Trebbio nel Chianti Rufina, di Tenuta Casadei nell’Alta Maremma e di Olianas nel sardo Sarcidano. La linea è ottenuta secondo il metodo Biointegrale ovvero un protocollo di agricoltura etica che mette la salvaguardia della natura al primo posto, con un alto standard qualitativo. Un evento a Milano ha permesso di assaggiare la nuova gamma 2017, totalmente vinificata e affinata in anfora. Una parte dei contenitori, con una grana più grossa e maggiore contatto con l’ossigeno, ha forma ovoidale e proviene dalla Georgia, nel Caucaso, altre con un classico aspetto a orcio e chiudibili provengono dalla Toscana. Entrambe le tipologie sono conservate sotto terra in Sardegna e Maremma, riparate al Castello del Trebbio, per assicurare così un controllo naturale della temperatura. Il Trebbiano, in apertura di degustazione, è ottenuto da

macerazioni molto lunghe di 120 giorni con lieviti indigeni. A un naso di fiori bianchi, frutta gialla matura, con una nota speziata, segue all’assaggio equilibrio tra freschezza e sapidità, un sorso avvolgente, di buona lunghezza. A seguire Migiu, ottenuto da Semidano, varietà autoctona poco conosciuta al punto da avere solo 40 ettari in tutta la Sardegna, con una fermentazione di circa 88 giorni, note di macchia mediterranea, frutta gialla soprattutto di pesca, sensazioni minerali. La bocca, più spigolosa rispetto al Trebbiano, è fresca, sapida, con un buon ritorno gusto olfattivo e lunghezza al palato. Il terzo vino Moscato, ottenuto da impianti a Suvereto, parte di Moscato bianco completato da quello d’Alessandria, più noto come zibibbo, ha invece una breve fermentazione di solo 22 giorni. Il naso ha sentori di rosa, arricchiti da note speziate con chiodi di garofano e buccia d’arancia. Dei tre vini bianchi assaggiati ci ha stupito la luminosità del colore. “In anfora, si mantengono più a lungo e restano più vivi – ha spiegato Stefano Casadei – perché sono protetti da microelementi che caratterizzano il contenitore”. Il primo rosso è stato il Cannonau che resta sulle proprie bucce per 18 giorni circa prima di proseguire la macerazione in anfora per altri 6 mesi. Di un rosso luminoso è dapprima varietale con prepotenti profumi di macchia mediterranea e

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La famiglia Casadei ed Elena a destra

a chiudere liquirizia. In bocca è complesso, elegante e si esaurisce in un finale tannico e sapido. A seguire il Sangiovese, dal Castello del Trebbio, che dopo un contatto con le proprie bucce per circa 30 giorni prosegue l’affinamento in anfora per altri 6 mesi. Dominano note di lamponi e piccoli frutti rossi in confettura, una nota di viola, poi sentori di spezie dolci. Chiude il Syrah, da Suvereto, con un contatto con le proprie bucce per circa 28 giorni, un affinamento in anfora per altri 6 mesi. I profumi sono di frutti di bosco con ciliegia, mora e un elegante pepe nero. Ottima la spalla acida sorretta da tannini fini, che ne fanno un vino ancora in leggera evoluzione ma già elegante, di buona lunghezza. Chiudeva la degustazione Malvasco un passito ottenuto da Malvasia di Candia e Nasco dove l’appassimento è parte in pianta e parte sui graticci. A un breve passaggio in anfora, prima della malolattica, seguono altri 5 mesi nel contenitore. Le note olfattive di miele di Sulla sono integrate da spiccate note di frutta candita e un accenno di spezie. In bocca la sensazione di acidità e freschezza si fonde con la dolcezza e un accenno di tannino. Il nostro preferito? Tra i bianchi il Trebbiano per il suo equilibrio, tra i rossi il Cannonau per i suoi profumi esuberanti. •


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Focus Beverage

Bersano, realtà vinicola del Piemonte Una Casa antica, con una solida tradizione, che offre una selezione di vini pregiati, tipici del territorio

Bersano, storica casa vinicola piemontese, nasce nel 1907 a Nizza Monferrato cuore del comprensorio della Barbera d’Asti. Arturo Bersano, avvocato per orgoglio di famiglia e vignaiolo per passione dal 1935 alla conduzione della cantina, ha creduto in questo nobile vitigno acquisendo i vigneti migliori e investendo energie e risorse nella sua rinascita. Proseguendo sulla strada tracciata da Arturo le Famiglie Massimelli e Soave, gli attuali proprietari, in oltre trent’anni di impegno e passione hanno saputo consolidare una imponente realtà vitivinicola: oltre 230 ettari vitati tra Monferrato e Langa nei migliori terroirs del Piemonte, “core zone” del patrimonio Unesco, dove oggi come allora si coltivano uve di altissima qualità nel pieno rispetto della tradizione. All’acquisto della Cascina Cremosina, prima tenuta di casa Bersano, e dei vigneti intorno alla cantina di Nizza Monferrato, dedicati alla Barbera d’Asti, sono seguiti i vigneti di Langa, per il Nebbiolo da Barolo, l’espansione della prediletta Barbera e le prestigiose cascine dedicate a Moscato, Brachetto, Ruchè e Grignolino. Selezionati per il loro terroir e microclima unici, i vigneti sono seguiti da una esperta equipe di Agronomi e Vignaioli che stabilisce la scelta più adatta per terreni e esposizioni e le tecniche più idonee in fatto di potature e diradamenti. Grande attenzione è riservata alla ven-

La Generala - Agliano Terme (At)

Cascina San Michele Nizza Monferrato (At)

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A sinistra: Barolo Badarina Riserva; al centro: Nizza Riserva Generala e infine: Ruchè San Pietro Realto

I NOSTRI VINI CRUS - Barolo Docg Riserva Badarina - Barolo Docg Badarina - Nizza Docg Riserva Generala - Barbera d’Asti Docg Superiore Cremosina - Ruché di Castagnole Monferrato San Pietro Realto - Pinot Noir Piemonte Doc La Prata I classici del Piemonte Rossi I classici del Piemonte Bianchi SPUMANTI - Metodo Classico Arturo Bersano Brut - Metodo Classico Arturosé Brut-Rosé - Metodo Classico Pas Dosé - Pinot Opp Dop - Acqui Docg Brut Rosé VINI DOLCI - Brachetto Acqui Docg Spumante - Asti Docg - Moscato d’Asti Docg Monteolivo

Cascina Cremosina - Nizza Monferrato (At)

Cascina Prata - Incisa Scapaccino (At)

demmia dove si opera la prima selezione dei grappoli che daranno vita, in cantina, a vini di rara eleganza, con profumi intensi e grande struttura. È passato quasi un secolo da quando Arturo ha legato il nome Bersano a due grandi vini piemontesi: Barbera e Barolo. Da allora le tecniche di vinificazione si sono af-

finate con l’utilizzo di apparecchiature che garantiscono controlli sempre più sofisticati, ma i “modi” e i “tempi” per fare il vino non sono cambiati. Dalla pigiatura soffice delle uve alla fermentazione, sino alla maturazione, ogni operazione è eseguita nel pieno rispetto della tradizione con particolare attenzione ai legni per

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l’affinamento, vero e proprio patrimonio aziendale. Le grandi botti di rovere di Slavonia, essenza rara e pregiata, e i tonneaux di rovere francese di Allier grazie alla temperatura e all’umidità costanti, garantiscono al vino le condizioni ottimali per l’affinamento costituendo il vero segno distintivo delle capacità espressive dell’Azienda. Il desiderio di ricerca, approfondimento e collezione di tutto quanto aveva fatto grande il vino, accompagnò Arturo Bersano, uomo raro per intelligenza e cultura, per tutta la vita. Da questa passione nascono i Musei Bersano delle contadinerie e delle Stampe antiche sul vino che conservano oggetti, attrezzi e documenti ritrovati nelle cascine nel corso degli anni. Nei vigneti, nelle cantine e nel museo si riconosce ciò che Bersano è oggi: una realtà produttiva, etica e culturale, fatta di terre, uomini e tradizioni. •


Focus Alberghi

Sina Villa Medici: mix di tradizione e modernità di Claudio Zeni

Firenze, luogo d’elezione per il lusso, è la città ideale per questo hotel di charme. Comfort adeguato all’ambiente. Il Sina Villa Medici, Autograph Collection di Firenze ha un valore particolare per la compagnia Sina Hotels, gruppo leader nel mondo dell’hôtellerie al cui vertice è il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, affiancato dalla sorella Matilde Bocca nel suo ruolo di vice presidente esecutivo. E’ da qui, infatti, che ha avuto inizio l’attività della Società Internazionale Nuovi Alberghi, voluta dal conte Ernesto Bocca per proporre l’arte dell’accoglienza a una clientela di lusso. Firenze si fa dunque “luogo eletto” per il primo prodotto luxury del gruppo: un hotel in cui si respira l’aria della dimora patrizia del Settecento, originariamente appartenuta ai Baroni de Renzis Sonnino che popolavano le stanze dell’omonimo palazzo. “Un accurato intervento strutturale mirato alla nuova attività ha permesso la nascita del Villa Medici, lussuoso albergo che vanta tra i primi ospiti di massimo riguardo lo Scià di Persia e la moglie Farah Diba, seguiti da regnanti e celebri personalità del mondo della cultura e dell’arte – esordisce Lorenzo Vivalda, General Manager del cinque stelle fiorentino, in Sina Hotels dal 2007 – la struttura, inserita come una gemma nel cuore della città, si apre verso le strade del centro da cui si raggiungono facilmente piazza della Signoria, Ponte Vecchio, gli Uffizi

Il General Manager Lorenzo Vivalda

e uno dei tratti più nobili del Lungarno”. L’hotel fa da quinta a una naturale scenografia valorizzata dalla piazza antistante e la sua fortunata posizione dona agli spazi una luce speciale che investe il giardino interno, curatissimo e arricchito da una piscina. È proprio in queste sfumature che sta tutta la magia di un luogo fuori dal tempo, dove antico e moderno si rincorrono in un sapiente gioco di colori e arredi, selezionati e abbinati con cura nel corso del recente e imponente intervento di ristrutturazione. L’attenzione all’armonia e la cura dei dettagli regalano agli interni l’atmosfera di una abitazione calda ed elegante. È questo il valore aggiunto che la proprietà intende trasferire ai suoi clienti in tutte le strutture del gruppo: far sentire il vi-

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sitatore a casa, con il corredo di comfort adeguato a un ambiente di lusso. “Nelle cento camere e suite suddivise in stile classico e contemporaneo assecondiamo le più svariate esigenze di turisti e viaggiatori – prosegue Vivalda – mobili di pregio si alternano a pezzi di design che fanno vivere le stanze dell’albergo in un gioco di luci studiate ad arte, nei toni soft dei colori pastello”. La proprietà ha inoltre riservato particolare attenzione al tema del gusto rendendo il Sina Villa Medici, Autograph Collection un riferimento importante nel campo della degustazione enogastronomica: ha aperto, infatti, negli ambienti prestigiosi dell’albergo il ristorante “Il Giardino Gourmet” e “Il Giardino Bistrot”, in perfetta sintonia con le tendenze più


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Focus Alberghi

attuali, dove si scatenano le emozioni del palato e si vive un’esperienza sensoriale fatta di sapienti combinazioni dettate dal naturale, scandire delle stagioni unite all’ingegno e alla creatività del team in cucina. Il ristorante Il Giardino è curato nei minimi dettagli ed è arredato finemente con un design classico-moderno particolarmente esclusivo e accattivante. Alla bellezza che corre intorno a una sorta di orto botanico, si accosta la capacità e la maestria di creare piatti tradizionali in

veste contemporanea. Le proposte culinarie sono differenti, uniche e speciali a loro modo. All’interno del menù la scelta di tre piatti ha un costo di 70 euro, ma ognuno può creare il proprio percorso anche scegliendo una sola portata al costo di 25/30 euro. Completano l’offerta un servizio impeccabile di grande professionalità e l’eleganza di una location da 5 stelle lusso. La cantina annovera oltre sessanta etichette di vini. Accanto a quelli più prestigiosi e conosciuti, tra cui Champagne e

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bianchi italiani e francesi, figurano anche etichette meno note che lasciano spazio ad abbinamenti audaci e inconsueti. All’interno del Sina Villa Medici, Autograph Collection, più precisamente nella zona lounge, si può anche optare per il Bistrot il Giardino. Si tratta di un’opportunità che incontra il gusto di palati raffinati ma nello stesso tempo consente di consumare piatti delicati in modo più veloce. “Locali aperti, sia alla clientela interna sia quella esterna, importanti punto di riferimento per la ristorazione fiorentina – evidenzia Lorenzo Vivalda – una diversificazione dell’offerta che ci permette di soddisfare le esigenze della clientela, che ha la possibilità di scegliere proposte culinarie gourmet a base di eccellenze alimentari a proposte più easy come le nostre celebri ‘Pizze d’autore’, accompagnate da esclusive birre artigianali”. “L’obiettivo principale della proprietà, unitamente a mantenere un alto livello nei servizi, è quello di regalare emozioni – conclude Vivalda –. L’affiliazione della nostra struttura al brand ‘Autograph Collection Hotels’ è la conferma che il Sina Villa Medici è in grado di offrire alla sua clientela un’esperienza unica, indelebile sotto ogni punto di vista, nel pieno rispetto degli elementi fondanti del corporate: passione, tradizione familiare, sobrietà, stile, eleganza”. •


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Focus Mercati

I vantaggi dell’accordo firmato da UE e Giappone di Andrea Penazzi

L’entrata in vigore del partenariato economico tra l’Unione Europea e il Paese del Sol Levante ha molteplici riflessi: vediamo quali A seguito delle negoziazioni iniziate nel marzo 2013 e proseguite sino al dicembre 2017, lo scorso dicembre – con l’approvazione del Consiglio dell’Unione Europea – si è concluso l’iter per l’approvazione dell’Accordo di Partenariato Economico tra Unione Europea e Giappone (EPA) che è in vigore dal 1° febbraio 2019, non necessitando dell’approvazione da parte dei parlamenti degli Stati membri. L’accordo tra Giappone e Unione Europea rappresenta un ulteriore importante traguardo nell’ambito degli accordi di libero scambio bilaterali che sono diventati sempre più frequenti nel panorama internazionale in quanto permettono una più fluida negoziazione rispetto agli accordi multilaterali. E l’Unione Europea,

Tokyo, mercato del pesce

Lo chef giapponese Hide Matsumoto

comprendendo il potenziale e l’ampiezza applicativa di tali accordi, ha sottoscritto – e sta attualmente negoziando – numerosi accordi bilaterali in materia di commercio internazionale. E infatti, gli accordi bilaterali di cui è parte l’Unione Europea (fra quelli già in vigore ricordiamo l’accordo bilaterale con il Sudafrica, quello firmato con la Corea del Sud e quello concluso con i così detti Pacific States – Papua Nuova Guinea e Fiji) oltre a prevedere l’abbattimento dei dazi da parte dei paesi firmatari e l’agevolazione degli scambi commerciali, regolamentano anche svariate materie

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attinenti al commercio internazionale. Sotto tale profilo, l’EPA non fa eccezioni: l’accordo comporta il sensibile abbassamento dei dazi che le imprese europee sono chiamate a versare per esportare i propri prodotti e servizi in Giappone. L’abbattimento dei dazi ha a oggetto numerosi e importanti settori produttivi, tra i quali, ad esempio, il settore agroalimentare, quello manifatturiero, quello automobilistico e quello chimico. L’Accordo di Partenariato non prevede solamente l’abbattimento dei dazi doganali. Attraverso l’EPA si è cercato anche di abbattere gli ostacoli non necessari di natura regolamentare che impediscono l’accesso al mercato giapponese delle imprese europee (soprattutto delle piccole imprese) e costituiscono un puro costo di transazione. L’ EPA interviene, infatti, in oltre 70 aree in cui questo tipo di barriere non tariffarie risultano particolarmente gravose con il fine di armonizzare gli standard giapponesi a quelli internazionali. Inoltre, l’EPA regola la collaborazione fra Europa e Giappone anche su altre materie che, pur non avendo a oggetto direttamente la disciplina della circolazione delle merci, hanno effetti benefici sugli scambi commerciali internazionali. Le disposizioni in materia di corporate governance si ispirano alle best practices internazionali in materia, già contenute all’interno del Codice OCSE sul governo di impresa. Tra di esse vi sono disposizioni in tema di diffusione e pubblicità delle informazioni sulle imprese quotate, trasparenza delle operazioni straordinarie e responsabilità dei dirigenti nei confronti degli azionisti. L’introduzione di tali disposizioni è finalizzata a portare benefici agli scambi


Proposta di sushi in un centro commerciale di Tokyo

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Focus Mercati Specialità giapponesi

commerciali tra Unione Europea e Giappone in quanto portatrici di maggiore efficienza e trasparenza dei mercati. L’obiettivo condiviso è infatti quello di incoraggiare gli investitori cercando di ridurre al minimo gli ostacoli e le incertezze derivanti da una cornice normativa diversa, che potrebbe limitare l’accesso di nuovi capitali europei in Giappone. L’EPA contiene al proprio interno disposizioni specifiche finalizzate all’applicazione di standard in tema di commercio e sviluppo sostenibile, finalizzati all’adeguatezza delle condizioni lavorative e alla difesa dell’ambiente. Sotto il primo profilo il Giappone si è impegnato a dare il via al procedimento per la ratifica della Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), finalizzata a promuovere la garanzia dell’applicazione dei diritti fondamentali del lavoro. Invece, sotto il profilo della difesa dell’ambiente, l’EPA sostiene iniziative di etichettatura ecologica, riciclaggio e diffusione di beni e servizi eco-compatibili. La finalità di tali disposizioni, naturalmente, è quella di evitare la corsa al ribasso per attrarre unilateralmente gli investimenti, con evidenti danni sia all’ambiente che ai diritti dei lavoratori. Unione Europea e Giappone prevedevano, già prima della firma dell’EPA, normative avanzate in materia di protezione

Mercato del pesce, Tokyo

Lavorazione del pesce crudo

della proprietà intellettuale. Di conseguenza, l’accordo ha potuto limitarsi a promuovere, in linea generale, la non discriminazione tra le due parti in tale ambito e il loro impegno comune alla lotta contro la contraffazione e la pirateria. Inoltre, sono state inserite rilevanti novità in materia di indicazioni geografiche dei prodotti. In particolare, già 200 indicazioni geografiche europee hanno trovato riconoscimento e protezione con l’introduzione dell’EPA. Di queste 44 sono italiane (fra le altre, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, Barolo e Chianti), ma in futuro l’elencazione delle indicazioni geografiche riconosciute potrà essere ampliato. Infine, per la prima volta, con l’EPA vengono introdotte in uno dei principali accordi di libero scambio, disposizioni a protezione dei “trade secrets”, le quali ricalcano quelle intro-

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dotte all’interno dell’Unione Europea con la Direttiva 2016/943, finalizzata a un più ampio riconoscimento e protezione da parte degli Stati membri dei segreti commerciali. Sono state previste a favore delle imprese europee semplificazioni per la partecipazione alle procedure di gara per gli appalti pubblici tra le quali, ad esempio, la pubblicazione dei bandi di gara giapponesi su un unico sito web e la parità di trattamento delle imprese di costruzione dell’UE con quelle giapponesi. Inoltre, sono stati aperti alle imprese europee nuove tipologie di appalti pubblici la partecipazione ai quali in precedenza non era consentita. Ad esempio, d’ora in poi sarà possibile per le imprese europee partecipare agli appalti riguardanti ospedali, istituzioni accademiche e ferrovie (questi ultimi solamente per quanto riguarda gli appalti superiori a 400.000 euro). Le trattative tra Giappone e Unione Europea non hanno avuto quale risultato la sola firma dell’EPA, ma anche il raggiungimento di un’intesa riguardante la protezione dei dati personali tra le due parti. In tale ambito, il Giappone si è impegnato a innalzare gli standard di sicurezza in tema di “data protection” applicando quelli europei, i quali prevedono l’ampliamento della definizione di dati sensibili, la semplificazione dell’esercizio dei diritti di accesso e rettifica, il rafforzamento della protezione in caso di trasferimento di dati europei dal Giappone verso un paese terzo. In tal modo, l’Unione Europea ha riconosciuto che il Giappone è in possesso di livelli adeguati di protezione dei dati personali e, di conseguenza, sono stati rimossi gli ostacoli alla circolazione internazionale dei dati dai Paesi membri verso il Giappone. Le imprese europee ora possono avvantaggiarsi della libera circolazione dei dati personali anche verso il Giappone e, al contempo, avere un accesso privilegiato ai dati personali dei cittadini giapponesi, con ovvi vantaggi di natura commerciale. •



La foto di BARtù GIANCARLO MARENA AL PIETRAMARE, CALABRIA

Patischie

Giancarlo Marena, professionista del bartending e della sommellerie, ha creato un “sake-corner” destinato a far conoscere e valorizzare la bevanda giapponese. Nella foto di Patischie, lo troviamo al Praia Art Resort, (dove il ristorante Pietramare ha una stella Michelin, a Isola Capo Rizzuto, Kr), mentre prepara un drink a base di sake. La professionalità di Giancarlo è una garanzia: la sua esperienza professionale spazia dal bere miscelato, alla conoscenza e proposta dei vini migliori, italiani e internazionali, fino all’attività di restaurant manager, ruolo che ha esercitato in diverse strutture luxury in Italia e negli Usa. Alla scorsa edizione di BARtù 2018, “La Passione”, ha descritto le regole per raggiungere gli obiettivi professionali più ambiziosi.

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La ricetta di BARtù

Flora, quella freschezza tanto sognata

di Giorgio Ascorti

A Busto Arsizio i fratelli Escalante propongono una cucina a base vegetale, con materie prime il più possibile territoriali. Ed è successo

I fratelli Escalante

Busto Arsizio non fa sicuramente pensare a una ristorazione legata al territorio, invece da un paio di anni c’è un locale che si sta guadagnando il favore del pubblico e della critica, per una visione innovativa per la zona. Si chiama Flora ed è il progetto voluto fortemente dai fratelli Escalante, che dopo varie esperienze di rilievo nel settore, hanno deciso di ritornare a casa, per lanciarsi nella prima loro avventura da patron. Riccardo (il cuoco) arriva da un lungo periodo al Quay

Insalata di piselli, crescione e grana di pecora 200 g piselli 60 g crescione 60 g grana di pecora 16 fiori a piacimento 8 rametti di cerfoglio 12 foglie di menta 120 g olio extravergine 40 g succo di mela 40 g aceto di mela sale e pepe q.b.

Procedimento Creare un dressing emulsionando il succo di mela con l’aceto di mela e l’olio extravergine. Spezzettare la menta con le mani, unirla ai piselli e condire con il dressing. Posizionare i piselli sul piatto. Coprire i piselli con delle scaglie di grana di pecora. Mischiare il crescione in un recipiente e condire con altro dressing. Posizionarlo sopra le scaglie di grana di pecora. Rifinire con cerfoglio e fiori.

di Sidney, locale presente nella lista 50 Best di San Pellegrino, Gabriele (in sala) invece, ha avuto modo di formarsi a Villa Crespi e al Seta. Flora è l’espressione di una filosofia di vita legata all’alimentazione: pochi prodotti, freschi di giornata, assolutamente naturali. Così i vini con una carta di soli naturali. Una cucina fresca, mai banale con ingredienti principali provenienti il più possibile dal territorio (Flora lavora con piccole aziende agricole della zona).

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E un menù minimale per seguire la totale stagionalità. Come fa capire l’insegna, si viaggia soprattutto con un motore green, ma non c’è solo qusto: «Preferisco preparare piatti vegetariani – evidenzia Riccardo Escalante – ma non disdegno anche lavorare con la carne, che viene da un’azienda agricola di questa zona». Un posto da scoprire, con piatti semplici ma che regalano sorprese come è il caso di quello che i fratelli presentano ai lettori di BARtù. •


Pillole Ancora successi per Mezzacorona

Acque toniche Franklin & Sons Ltd

Agromonte a Tuttofood

Nuovo prestigioso riconoscimento per il Gruppo Mezzacorona in uno dei più importanti eventi enologici mondiali. In Germania, nel corso dell’edizione primaverile 2019 di Mundus Vini, il più grande concorso europeo sul vino che si svolge a Neustadt, Mezzacorona è stata insignita del Premio come Miglior Produttore Italiano ottenendo ben 12 medaglie d’oro e 19 medaglie d’argento. Il prestigioso concorso internazionale ha visto impegnati 260 esperti vinicoli di 50 Paesi diversi che hanno degustato e valutato 7.200 vini di 156 aree di coltivazione in tutto il mondo.

Franklin & Sons: un marchio con più di 130 anni di storia e un patrimonio artigianale che dall’Inghilterra arriva nel nostro Paese contraddistinto da una altissima qualità. Soft drink di grandissima tradizione, dunque, per tre referenze di Acque Toniche prodotte con l’acqua di sorgente che sgorga dai torrenti nello Steffordshire e con i migliori ingredienti naturali provenienti da piccoli fornitori specializzati inglesi. Da degustare accompagnate con ghiaccio e limone, le Acque Toniche Franklin & Sons sono anche l’ingrediente perfetto per la preparazione dei cocktail più famosi, un insostituibile alleato dei bartender per la mixology perché garantiscono alta qualità. La gamma Franklin & Sons è importata e distribuita da D&C.

Il sole della Sicilia approda a Milano e a portarlo è Agromonte. L’azienda ragusana produttrice di salse, passate e conserve, dal 6 al 9 maggio vola nella città meneghina per partecipare a Tuttofood. Il salone sarà l’occasione giusta per presentare in anteprima la Linea Passate siciliane di casa Agromonte. La linea comprende: la Passata di pomodoro e datterino già lanciata lo scorso anno, e la variante con il Pomodoro e il ciliegino presentata con una nuova ricettazione a inizio 2019. Entrambe le referenze sono in formato standard da 520 g e si presentano con il nuovo packaging.

Cantina La-Vis presenta il nuovo bianco “Maso Franch” Chardonnay e Incrocio Manzoni del vigneto Maso Franch, 24 mesi di affinamento sui propri lieviti in parte in acciaio e in parte in piccole botti di rovere francese, 10 anni di potenziale invecchiamento: ecco la carta d’identità del nuovo speciale bianco di Cantina LaVis presentato ufficialmente all’ultimo Vinitaly. Maso Franch nasce negli omonimi vigneti che si estendono alle porte della Valle di Cembra, in una zona che gode di un’ottima esposizione al sole e dove i caratteristici muri a secco delimitano i vari appezzamenti di terreno in terrazze. L’ambiente incontaminato e il bosco ceduo che circondano il vigneto esaltano la peculiarità di questo ecosistema agricolo e fanno di Maso Franch una realtà unica in Val di Cembra.

Da destra Enzo Lorenzon con i figli Nicola e Davide

I Feudi di Romans, nuovi ettari bio La cantina Lorenzon di San Canzian d’Isonzo (Go), che oggi vanta una tecnologia tra le più avanzate del Friuli Venezia Giulia per la produzione di vini di qualità con il marchio I Feudi di Romans, investe nel biologico. «A maggio del 2018 – spiega il presidente Enzo Lorenzon – sono stati impiantati due nuovi ettari destinati alla produzione di vini bio. Si tratta di Soreli, Sauvignon Kretos e Sauvignon Rytos, i vitigni a bacca bianca di nuova generazione resistenti alla peronospora e all’oidio. Grazie a queste varietà di vite, recentemente introdotte, si potranno ottenere vini di qualità con un’attenzione maggiore alla tutela dell’equilibrio naturale del vigneto andando incontro a quella fetta di consumatori sensibili ai temi della sostenibilità ambientale». Sono in tutto 7 i nuovi ettari impiantati quest’anno. La cantina ha, infatti, acquistato altri 5 ettari destinati a ribolla gialla, cabernet sauvignon e chardonnay, tutti posti in località che producono uve di eccellente qualità. La cantina Lorenzon distribuisce ogni anno 500 mila bottiglie in Italia e nei più importanti Paesi esteri.

L’Ovada Docg a Vinitaly Una sala affollata da giornalisti, produttori e operatori del settore ha salutato martedì 9 aprile, a Vinitaly, la prima uscita pubblica della nuova età del Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg, accompagnato dall’Enoteca Regionale di Ovada e del Monferrato, con la conduzione di Fede&Tinto di Decanter RadioDue. Perché #ovadarevolution? L’ha ben sintetizzato Italo Danielli, Presidente del Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg illustrando il percorso che ha visto incrementare fortemente la qualità del prodotto, formarsi una squadra compatta di 36 produttori, perlopiù giovani, finalmente orgogliosi di portare in alto la bandiera dell’Ovada Docg, e crearsi una rete di alleanze tra istituzioni, pubblico e privato che mira a rilanciare il territorio dell’ovadese.

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I distillati Berta vestono “abiti nuovi” Se ieri la grappa era il distillato dalle umili origini, oggi è un prodotto che ha saputo al tempo stesso mantenere le proprie radici tutte italiane ed elevarsi nella qualità di aromi e profumi fino a competere con i grandi distillati internazionali. Sono questi i tratti distintivi delle etichette di Distillerie Berta, la prima ad avere sperimentato e affinato l’invecchiamento della grappa in botti di legno. L’azienda di Casalotto di Mombaruzzo ha presentato a Vinitaly 2019 le rinnovate etichette e le nuove annate delle sue Riserve.


Fabrizio Capua

Caffè Mauro: fatturato 2018 a 20,3 milioni di euro Superati per la prima volta i 20 milioni di euro di fatturato nel 2018 per Caffè Mauro – azienda leader nella produzione di caffè dal 1949 – che a gennaio scorso ha chiuso l’ultimo capitolo di una lunga ristrutturazione guidata da Fabrizio Capua, Presidente e Amministratore Delegato nonché fondatore di Independent Investments, holding nata nel 2008 con l’obiettivo di identificare e rilanciare eccellenze del Made in Italy. “Siamo molto orgogliosi di questo risultato – dichiara Fabrizio Capua – frutto di un importante turn around in cui, insieme al Direttore Generale Michele Rizzo, abbiamo saputo risanare e rilanciare l’azienda, creando nuovi prodotti e aprendo mercati nel mondo. Questi impegni e sforzi ci hanno consentito di superare l’obiettivo dei 20 milioni di euro di fatturato, ben sette in più rispetto ai 13 milioni di euro che la società generava quando è stata rilevata dieci anni fa. Caffè Mauro è un brand storico, che celebra proprio nel 2019 i settant’anni di storia, e che puntiamo a far crescere in Italia e nel mondo.”

Renato Rizzardi vince il Festival del Baccalà

Veuve Clicquot e Bomba Niko Romito

Si è svolta a fine marzo a Villa Cordellina di Montecchio Maggiore (Vi) la finale della nona edizione del Festival triveneto del Baccalà. Il Trofeo Tagliapietra, l’azienda di Venezia tra le leader in Italia nell’importazione, lavorazione e commercio di prodotti ittici e in particolare del merluzzo, è stato assegnato allo chef Renato Rizzardi de La Locanda di Piero di Montecchio Precalcino (sempre nel vicentino). A conquistare sia la giuria tecnica, coordinata da Franco Favaretto, sia la critica gastronomica è stato il piatto presentato da Rizzardi: “100% Stoccafisso: Tortelli allo stoccafisso, brodetto e trippa di baccalà, alga wakame e cappuccio viola”.

Ripensare l’innovazione promuovendo la contaminazione tra mondi diversi e attivare sinergie, questa è la liason che ha visto Veuve Clicquot e Bomba Niko Romito partner dell’evento di inaugurazione del Vanity Fair Social Garden @ Milano Studio Digital, Via Tortona 35, lo scorso 10 aprile. Veuve Clicquot, la Maison de Champagne più audace e innovativa, e Bomba, il nuovo cibo da strada tutto italiano, che affonda le sue radici nella tradizione popolare per diventare cibo gourmet. Un incontro “disruptive” tra lo Champagne e lo street food, che hanno trovato un punto di incontro, un perfetto equilibrio, accomunati dall’alta qualità e dalla continua ricerca per migliorarsi e innovarsi, dando vita a un format che conquista e diverte. Il mood dell’evento Vanity Fair Social Garden, un giardino sbocciato in Via Tortona dove godere della bellezza della natura, è stato d’ispirazione per le Bombe servite durante l’inaugurazione e per la scelta dello Champagne Veuve Clicquot.

Nasce Coca-Cola Plus Coffee Prendersi un break quando serve è un piacere unico e irrinunciabile: per ripartire con una pausa arriva Coca-Cola Plus Coffee, una nuova bevanda rinfrescante che unisce l’inconfondibile gusto Coca-Cola con un delicato e piacevole aroma di caffè. Senza zuccheri e con più caffeina proveniente dall’estratto di caffè, Coca-Cola Plus Coffee è l’ultima innovazione a marchio Coca-Cola. Da consumare fredda come ogni variante di Coca-Cola, questa nuova bevanda è il prodotto ideale per una pausa ed è stata pensata per chi desidera godersi al meglio la giornata, dedicandosi un momento rinfrescante tra i diversi impegni o durante il lavoro e lo studio. Coca-Cola Plus Coffee è disponibile in lattina da 250 ml, il formato più adatto alle diverse occasioni di consumo.

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Biscaldi è orgogliosa di presentare Moritz, la birra di Barcellona Definita come la birra di Barcellona, Moritz rappresenta da anni uno dei simboli di questa città, della sua cultura gastronomica e birraria. Louis Moritz, fondatore del marchio, arriva a Barcellona nel 1851 e produce una birra artigianale che, in pochissimo tempo, raggiunge un enorme successo. Negli anni successivi, gli eredi fondano la società Cervezas Moritz S.A. che in soli 8 anni conquista il 34% del mercato in Catalogna. Oggi Moritz può vantare anche il successo della sua fabbrica-birreria nel cuore di Barcellona, riaperta nel 2011 e ristrutturata dall’architetto francese Jean Nouvel. Le birre Moritz sono prodotte solo con gli ingredienti migliori, accuratamente selezionati: malti extra pale, luppolo di Saaz e lo stesso lievito di birra usato originariamente da Louis Moritz. Sono oggi disponibili, grazie a Biscaldi, per il mercato italiano Moritz Original, la prima birra Moritz e certamente la più amata, e Moritz Epidor, che è una Toasted Lager a bassa fermentazione, intensa e aromatica. Viene prodotta con malto caramellato, ingrediente che le regala un bel colore ambrato, un piacevole retrogusto di caramello e un corpo inconfondibili.


Alberto’s choice

Stile e signorilità abitano al Fulmine GIANNI E CLEMY BOLZONI UN MITO CHE CONTINUA

LEGENDA

TRATTORIA DEL FULMINE Via Carioni, 12 26017 Trescore Cremasco (Cr) (Chiuso domenica sera, lunedì e martedì sera) Tel. 0373 273103

Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e stile dell’offerta

Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza

L’insegna

Qui c’è la Storia della trattoria italiana di eccellenza (e usiamola senza paura questa parola, perché qui non è a sproposito). Una storia fatta di amore e selezione della migliore materia ma anche di cuore, passione, rispetto verso il cliente, che fra queste mura diventa partecipe di un’esperienza unica, irripetibile altrove. Chi, magari arrivando dall’estero, cerca a Milano o a Roma, città degli chef superstellati, un’atmosfera simile, autenticamente raffinata e vera, resterà profondamente deluso. Ma per consolarsi potrà venire qui,alla Trattoria del Fulmine, in questo paesotto della Padania, alle porte di Crema, per vivere sensazioni che partono dal gusto per raggiungere l’anima, provocando emozioni senza fine. Gianni Bolzoni e Clementina Lupo Stanghellini, detta Clemy, rispettivamente sala e cucina della Trattoria del Fulmine di Trescore Cremasco (ma in realtà sono un tutt’uno), sono una coppia straordinaria, che trasmette all’ospite quella serenità e quella pacatezza della quale, in tempi di ricatti e di stress, abbiamo tanto bisogno. Lo-

Clemy e Gianni Bolzoni, coppia straordinaria Due corone = Linea di cucina corretta

Una corona = Dignitoso e affidabile

Corona nera = C’è ancora molto da fare

Tre cervelli = Un vertice nel suo genere

ro sono qui da molto tempo, dal 1963. Una vita. Hanno sempre respirato l’aria dell’osteria, quella vera. Nati entrambi nel 1940, i signori Bolzoni hanno accumulato nei decenni un’esperienza enorme, raccogliendo il testimone dai genitori e creando un polo gastronomico senza uguali Un’esperienza, la loro, che li ha portati a comprendere “dal vivo” l’evoluzione dei mercati, del costume, delle

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Due cervelli = Qualità e attenzione al cliente

Un cervello = Bravi, ma non basta

Cervello nero = Scarsamente ragionevole


quest’ultimo, adorato da Gino Veronelli e più volte citato da Gualtiero Marchesi, il Maestro, che sapeva sempre andare oltre i luoghi comuni, individuando lo stile e la finezza anche nei piatti più semplici. Al Fulmine di Trescore Cremasco si respira un’aria di altri tempi, dirà qualcuno: ma anche i nostri tempi sono ben rappresentati, nella loro parte migliore, però. Quella che vuole ritrovare il valore di ciò che si è perso o va perdendosi, e che spesso non ha interpreti adeguati alla sfida. Forse sono un po’ condizionato, nel mio amore per questo luogo magico, dal fatto di avere conosciuto il Fulmine negli anni Settanta, quando il settimanale Epoca pubblicava le schede dei migliori ristoranti italiani, a cura dello stesso Luigi Veronelli. Leggendo quelle schede (ricordo il Pinocchio di Borgomanero, della famiglia Bertinotti, il Cavallino Bianco della famiglia Spigaroli, o l’Antica Risotto con pistilli di zafferano e pasta di salame

tendenze, molto meglio di quanto possa fare un guru del marketing. Nel 2014 la Guida Michelin decise di togliere alla Trattoria del Fulmine la stella che veniva attribuita con continuità almeno dal 1989. “Punizione” inspiegabile, se non riconducibile a un non meglio precisato “mancato rinnovamento” della linea di cucina. Considerazione non del tutto pertinente. Anzi: una cucina che, certo, ha molti punti fermi, come l’inimitabile culatello e il prosciutto di Parma, o le mitiche polpettine di manzo, maiale, faraona, parmigiano e rosso d’uovo, ma che sa anche guardare avanti, proponendo piatti di grande eleganza, come quel magistrale Fegato grasso in scaloppe servito su letto di patate cremose. Un classico, il fegato grasso, capace però di esprimersi ogni volta in chiave diversa. Memorabile, degno del miglior Paracucchi. La forza di Gianni e della Clemy è proprio quella di continuare a insistere caparbiamente su

una linea di cucina fortemente radicata nel territorio (anatra, salumi, lumache, agnello, selvaggina) , pur accettando influssi, contaminazioni, suggestioni esterne. Che però non devono e non possono snaturare il credo originario: rispetto per storia e territorio. Da questo mix portentoso fra amore rigoroso per le tradizioni e apertura verso tutte le possibilità offerte dal mercato, nasce quella che chiamo la cucina (e la cantina, che meriterebbe grande spazio su queste pagine) della Bontà. Perché, come dice Beppino Occelli (il celebre produttore piemontese di formaggi e burro), “non è buono ciò che non è cattivo, ma è buono solo ciò che è buono”! Qui tutto è buono, oggettivamente buono, dalla Giardiniera servita in entrata fino alla Crema di Zucca con baccalà mantecato, patate e latte. E che dire del Carrè di agnello con piccole verdure? O del Risotto con pistilli di zafferano e pasta di salame... Piatto evocativo,

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Le mitiche polpettine


Colophon

Alberto’s choice

BARtù N° 99 maggio 2019 Direttore editoriale Alberto P. Schieppati - alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile Andrea Aiello Contatti bartu@edifis.it - www.bartumagazine.it Redazione Walter Govoni - walter.govoni@edifis.it Collaboratori Nadia Afragola, Giorgio Ascorti, Fiorenza Auriemma, Guido Bernardi, Maurizio Bertera, Stefano Bonini, Oscar Cavallera, Luisa Contri, Beatrice Coppola, Maurizio Di Dio, Angelo Foresti, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Rocco Lettieri, Aldo Nenzi, Gigi Pavesi, Andrea Penazzi, Michele Maria Pizzillo, Giovanna Moldenhauer, Giovanni Ponzoni, Vincenzo Russo, Theo Smith, Gualtiero Spotti, Claudio Zeni, Stefania Zolotti Grafica e impaginazione Daniele Scozzari Pubblicità Piera Pisati, Project Leader - piera.pisati@edifis.it Traffico pubblicitario Roberta Motta - roberta.motta@edifis.it

Fegato grasso su crema di patate

Iniziative speciali Andrea Ragusa - andrea.ragusa@edifis.it Amministrazione amministrazione@edifis.it

Osteria del Teatro del grande Filippo Chiapini Dattilo, allora giovanissimo emergente, e molti altri), antesignane delle guide gastronomiche italiane nate successivamente, riuscii ad avere un quadro completo dell’offerta di ristorazione. E a sognare di visitare con avida curiosità questi templi della cucina. Cosa puntualmente avvenuta qualche anno più tardi, con la conoscenza diretta di luoghi di grande suggesione “enogastro”. Condizionamenti a parte, credo che la Trattoria del Fulmine sia- come scriveva Michelin quando gli assegnò la stella, già negli anni Ottanta- un a vera istituzione. Nell’edizione 2013 della Michelin, ultimo anno di assegnazione della stella al locale, si leggeva: “ Per chi ama la tradizione, qui il nome trattoria non è una concessione alla moda, ma l’introduzione di una cucina del territorio fatta di salumi (primo fra tutti il culatello), animali da cortile e gli imperdibili tortelli dolci cremaschi”. E nel 2014, la stessa guida privava il Fulmine della stella, scrivendo: “Da decenni baluardo della tradizione cremasca, in un ambiente semplice e familiare le proposte annoverano salumi, paste fresche –tra cui i tortelli dolci- e un invitato d’eccezione: il fegato grasso!” Commento peraltro ripetuto nelle edizioni successive fino alla definitiva scomparsa del Fulmine dalle pagine della guida: come se neppure esistesse... Cancellata per sempre ? Un vero peccato...

Foto Archivio BARtù, Alvise Barsanti, Marcello Bocchieri, M. Borchi, Stefano Borghesi, A. Carra, Armin Huber, Claudia Calegari, Ferdinando Cioffi, Gaetano Del Mauro; Pieter D’Hoop, Paco Lloret, Villagra Lopez, Martina Mambriani, Matteo Mancini, Mauro Montana, Patischie, Barbara Santoro, Roberto Savio, Brambilla Serrani, Lido Vannucchi, Marco Varoli, Renato Vettorato Stampa Aziende Grafiche Printing S.r.l. - Peschiera Borromeo (Mi) Prezzo per una copia E 5,00 - Arretrati E 10,00 Abbonamento Italia: E 45,00 - Europa: E 80,00 - Resto del mondo: E 100,00 abbonamenti@edifis.it

Registrazione del Tribunale di Milano n. 222 del 24/03/2000 Iscrizione Registro Operatori della Comunicazione n. 06090 Tutti i diritti di riproduzione degli articoli e/o foto sono riservati. Manoscritti, disegni, fotografie e supporti audio e video anche se non pubblicati non saranno restituiti. Per le fotografie e le immagini per cui, nonowstante le ricerche eseguite, non sia stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara disponibile ad adempiere ai propri doveri. Ai sensi del Reg.EU 679/2016 l’Editore garantisce la massima riservatezza nell’utilizzo della propria banca dati con finalità redazionali e/o di invio del presente periodico. Ai sensi dell’art. 15 il ricevente ha facoltà di esercitare i suoi diritti fra cui la cancellazione mediante comunicazione scritta a EDIFIS Spa - Viale Coni Zugna 71 - 20144 Milano (o ai riferimenti sotto trascritti), luogo della custodia della banca dati medesima.

BR

Errata Corrige Osteria del Grigio

B ar | Alberghi | Ristoranti

Sullo scorso numero di Aprile 2019 di Bartù, il N. 98, nell’articolo “Borgo San Felice, arriva Juan Quintero” sono state commesse alcune imperfezioni, che necessitano di una doverosa precisazione: 1) Il nome del ristorante è l’Osteria del Grigio, che nel servizio giornalistico è indicato come Il Grigio, quindi errato. 2) Il numero di telefono corretto è lo 0577 3964 e non quello indicato, che corrisponde ad altra utenza privata.

una rivista edita da: Edifis S.p.A. Viale Coni Zugna, 71 20144 Milano - Italy Tel. +39 02 3451230 Fax +39 02 3451231 www.edifis.it

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Fonte Plose spa via Julius Durst 12 39042 Bressanone (BZ) www.acquaplose.com


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