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Le crisi biografiche nei giovani

brani tratti da Crisi biografiche, QF 24, Editrice Novalis

Walter Reed Army Medical Center, foto di Sgt. Sara Wood, © Photo courtesy of US Army

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“Una vita senza crisi non è vita - sostiene Ulrich Meier, sacerdote della Comunità dei cristiani - Di fatto nessuna vita umana è così sterile da non finire, prima o poi, in crisi. Ogni crisi cela in sé anche l’opportunità di ricominciare da capo. Ci sono tanti tipi di crisi biografiche, esse dipendono dal momento scatenante, ma soprattutto dalla reazione soggettiva dell’interessato e da ciò che fa o non fa della propria crisi.”

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L’esperienza della guerra Anna Prouse, responsabile della ricostruzione in Iraq Sono seduta nella sala d’attesa del Walter Reed Army Medical Center, l’ospedale militare alle porte di Washington DC dove vengono ricoverati i soldati feriti in Iraq. Specializzazione: amputazione degli arti! Appese su un lato della sala d’attesa otto gigantografie di “personalità” in alta uniforme. Non leggo i loro nomi. Non m’interessa sapere chi sono. Non è per questi Generali che sono qui. È per tutti quei soldati che, vittime di qualche sogno, hanno ora la vita rovinata. […] Il mio sguardo viene calamitato da un ragazzo di chiare origini ispaniche che ride e scherza. I suoi schiamazzi, mentre tenta di stare in bilico col busto su un pallone, assomigliano a quelli di un bambino appena sceso dalle montagne russe. […] “Mi chiamo Mandy, sono Messicano e ho 24 anni - il suo inglese è perfetto, la sua voce è infantile - Ero di pattuglia a Sadr City quando il mio veicolo è incappato in un ordigno esplosivo.” Sadr City! Il solo nome mi fa rabbrividire. Mandy se ne accorge. Ha sentito che sono stata in Iraq. “È per proteggere voi che pattugliavamo quel luogo. Sadr City non è poi così lontana dalla Zona Verde. Da lì, come da altre zone a ridosso della Green Zone, sarebbe stato facile lanciarvi missili.” “Fatico a ricordare il giorno in cui ciò non è avvenuto” ribatto. “Certo. Se però non ci fossimo stati noi a disturbarli, prima o poi avrebbero colpito nel segno.” Rimango senza parole, anche se non è certo intenzione di Mandy quella di farmi sentire in colpa. “A ognuno il suo compito - prosegue - Tu avevi il tuo, io quello di tenerti in vita. E poi sono fiero del mio ruolo laggiù. In quanto Sergente avevo un gruppetto di ragazzi di cui occuparmi. Sono contento che quello colpito non sia stato uno dei miei.” Non commento. So quanto lo spirito di gruppo conti in Iraq. L’ho provato sulla mia pelle. “Mi telefonano una volta alla settimana. Mi mancano. E io manco loro. Non sono mai stato così fiero di appartenere a un gruppo come lo sono stato in Iraq. E poi ora sono cittadino americano. Pochi giorni dopo l’amputazione si è presentato un signore. Ho dovuto apporre qualche firma qua e là. Tutto qui. Non ho dovuto fare altro. È successo così in fretta.” Stento a credere a ciò che sento. “Hai perso le gambe, Mandy! Non è un prezzo sufficientemente alto?”

“Si, ma adesso ho un lavoro in una compagnia telefonica in California, voglio iscrivermi a Berkley e rimettermi a studiare. Ho una vita davanti a me… - ride - Adoro Laura Pausini e vorrei tanto incontrare il Papa. Sono cattolico e la mia fede mi ha aiutato.” Mandy ha deciso di prendere la vita alla giornata. Il primo passo è quello di uscire da Walter Reed al più presto e di cominciare a lavorare. “Ho promesso che ce l’avrei fatta entro un mese. Dicono sia impossibile. Ma ho bisogno di prefiggermi delle scadenze.

tutto mi aspettavo fuorché di trovare ragazzi pronti a guardare avanti con ottimismo a un destino che, un bel giorno, ha deciso di voltare loro le spalle

Abbraccio Mandy. Sono confusa. Tutto mi aspettavo fuorché di trovare ragazzi pronti a guardare avanti con ottimismo a un destino che, un bel giorno, ha deciso di voltare loro le spalle. […] Steve Cozzi è a capo del dipartimento di psichiatria. […] “Mi parli dei ragazzi ricoverati qui. E di quelli che combattono in Iraq…” chiedo. “La prima cosa che devono capire è che il cervello va ripulito, come qualsiasi arma o veicolo da combattimento. Tutte le sere i soldati controllano lo stato del loro fucile; altrettanto devono fare col proprio cervello per esaminarne lo stato di salute. […] Non vi è nulla di male nel chiedere aiuto quando situazioni di stress rischiano di mettere a repentaglio la propria psiche. È compito degli psichiatri far comprendere ai soldati che gran parte delle reazioni sono normali: essere irascibili, soffrire d’insonnia, sobbalzare al minimo rumore, smettere di mangiare, piangere. Chiedere supporto per affrontare le difficoltà non è debolezza. Anzi.”

Disorientamento totale Aileen Steinweg, 23 anni Il fondo l’ho percorso tra i 14 e i 16 anni. Anche prima ho vissuto delle crisi che hanno contribuito poi a provocare la mia “immensa crisi”, ma il vero fondo l’ho toccato nei due anni vissuti a Colonia. Durante l’infanzia ho traslocato spesso e catalogo i periodi della mia vita in base ai luoghi in cui abitavo. […] Traslocammo, quindi, per necessità a Colonia e là per me è crollato tutto. Da quel momento non ho più voluto vivere. Ho tentato un suicidio dopo l’altro. [In città] per un verso c’era la limitazione della libertà di movimento dovuta alla vita in appartamento, per altro verso c’era la continua paura di mia madre. A questo va aggiunto che non riuscivo a far fronte alle molte impressioni che mi piombavano addosso in città; non riuscivo ad elaborarle tutte. Ciò scatenava in me dei sentimenti che non sapevo gestire. Interiormente ero continuamente inondata. […]

Tentavo di tagliarmi le vene dei polsi o di saltare dalla finestra, platealmente. Ovviamente i maestri se ne sono accorti e hanno parlato coi miei genitori. Allora mia madre mi ha portato da una terapista da cui sono andata tre volte. Senza alcun risultato. […] Ho avuto l’impressione che non mi vedesse neanche, ma che mi rovesciasse addosso i suoi metodi. Mi sentivo proprio sganciata; come se si stesse lavorando a maglia una mia immagine. […] In qualche modo andavo avanti più senza gioia che con gioia; ma almeno continuavo a vivere. Tiravo solo avanti. Avevo degli amici. Iniziai a danzare e mi cercai degli hobby che mi salvarono dal mio stato di bisogno. A 15 anni ero definitivamente arrivata al punto di volermene andare da casa perché non sopportavo più quelle limitazioni e quei continui litigi. Vivevo in una sorta di costante tensione: io non potevo essere me stessa. […] Al compimento dei 16 anni ho smesso di ballare. Teatro, pittura e danza erano stati il mio unico sostegno, mi avevano aiutato. Tuttavia li ho abbandonati e da quel momento mi sono limitata a stare davanti alla televisione. […] Dopo sei mesi sono uscita di sera per la prima volta; da sola perché non avevo più contatti con nessuno. […] Uscii, quindi, e ballai e ballai. Non avevo neppure bisogno di alcol, godevo semplicemente di muovermi al suono della musica. Devi sapere che danza e movimento, per me, sono ciò che per gli altri è respirare. Fare così mi ridava vita, ma poi iniziai a bere un po’. Mi ubriacavo molto in fretta perché non c’ero abituata; non fumavo neppure. […] A quell’epoca, non appena avevo bevuto un po’, non riuscivo più a porre dei limiti agli uomini. Se qualcuno mi avvicinava accettavo. Sono andata a letto con un numero incredibile di uomini; ma solo dopo aver bevuto. Questa storia della danza e degli uomini la sfogavo solo nei fine settimana, ma da allora regolarmente. […] [Quando andavo con gli uomini] dopo mi sentivo completamente vuota. Inoltre, avevo sempre la sensazione di avere fatto loro un piacere che mi si rivoltava contro. A un certo punto, per salvare la mia dignità, iniziai ad aspettarmi una controprestazione, in una forma qualsiasi. A volte denaro, che mi venisse offerta la serata, di venire riportata a casa, di ricevere piccoli regali. Successivamente che mi dessero della droga. Avevo almeno tanto senso della giustizia da voler ricevere qualcosa in cambio. […] Ho iniziato con la cocaina, ma non mi sono fermata lì. Poi ho iniziato a farmi anche con le pillole. Ho deciso di iniziare a drogarmi poco prima di compiere 17 anni. L’ho fatto del tutto consapevolmente. Intendevo fare la cantante e credevo che essere passata da storie di droga ne facesse parte. Credevo che altrimenti la gente non mi avrebbe presa sul serio. […] Di colpo mi è stato chiaro quel che stavo e non stavo facendo di me stessa. Per la prima volta mi sono chiesta molto lucidamente se intendevo diventare adulta a quel modo, se doveva essere quella la fine, se volevo uscire così dal ruolo di ragazza o in altro modo. Mi sono giurata di non bere mai più nulla, di non estraniarmi mai più e di dare un taglio alle storie con gli uomini. […] Ho vissuto quel periodo come se fossi finita, addirittura di corsa, dentro un tunnel, in cui non vedevo più nulla, in cui non sapevo più in che direzione correvo. Il periodo della crisi è stato come un terremoto che mi ha destata. Mi sono rimessa di nuovo in carreggiata. Nel periodo successivo sono andata in terapia e per me ciò è stato altrettanto violento e foriero di crisi. Da quel momento mi sono fatta luce da sola e ciò ha davvero dato frutti. Da quel periodo ho imparato molte cose. Credo semplicemente che le crisi esistano per dare frutto. Ci sono per ridestare, per produrre una comprensione.

il periodo della crisi è stato come un terremoto che mi ha destata. Mi sono rimessa di nuovo in carreggiata

Il tunnel dei disturbi alimentari Markus Treichler, psicoterapeuta La maggior parte delle crisi esistenziali ha un aspetto di Giano bifronte: da un lato, dall’esterno, si rovescia sull’uomo qualcosa che non ha nulla a che fare con lui o quanto meno che non sembra avere nulla a che fare con lui; dall’altro lato ciascuno reagisce in modo molto individuale agli spunti che gli arrivano dall’esterno e li elabora a modo suo. […] Sono quasi sempre le donne a soffrire di anoressia, di tanto in tanto anche gli uomini. Dal punto di vista biografico queste persone rifuggono dallo strutturare la propria vita e dall’assumersi la responsabilità del proprio sé. Ciò coinvolge risvolti comportamentali, tra cui, essenziale, la sessualità. Il corpo senziente fa molta fatica a connettersi a quello fisico. Questo riguarda sia la funzione corporea di chi sta crescendo, che il suo ruolo sociale e psicologico. L’essere umano, o il suo corpo animico, si spaventano davanti al corporeo, alla sessualità e alla vita e così inizia un percorso d’involuzione. Il corpo animico rifugge dalla percezione animica e si ritira all’interno del corpo ove regredisce poi dal terzo al secondo settennio. Il corpo si ciascuno reagisce in modo molto individuale agli spunti che gli arrivano dall’esterno e li elabora a modo suo

evolve di conseguenza a ritroso, spariscono i caratteri sessuali, la sessualità s’involve e l’essere umano ha di sé una percezione asessuata. […] La bulimia per lo più colpisce persone maggiori per età, in cui il corpo animico si è già sviluppato, persone che vivono quindi nel quarto settennio; quando l’anima senziente si sviluppa precocemente la bulimia può però manifestarsi anche prima del 21esimo anno d’età. L’anima senziente s’interroga allora su come recepisce il mondo e se stessa. Coloro che soffrono di bulimia non trovano una vera risposta all’interrogativo “come recepisco il mondo”. In loro insorge un vuoto e trovano solo risposte insoddisfacenti. Per loro tutte le risposte sono solo esteriori e funzionali, ma non penetrano nelle profondità dell’anima. Allora, a poco a poco, l’anima senziente si ritira da quel vuoto. Nel vuoto e nella mancanza di significato che vengono a crearsi, quelle persone si rivolgono a soddisfazioni sostitutive, da un canto ad attività esteriori, all’efficienza e d’altro canto alla seduzione esteriore. Il loro corpo deve essere attraente, su di esso valutano il proprio senso di sé. Ad essere importante per loro sono le misure, il peso, i numeri. Questo riguarda le pazienti bulimiche di peso normale che mangiano per poi vomitare. Esse si buttano completamente sull’esteriorità anche se ciò facendo sono mortalmente infelici. […] [La cura di questo tipo di pazienti avviene] rispettando e stimando i loro valori interiori, ricercando gli interrogativi posti dall’anima senziente che non hanno ricevuto risposta e rispondendo loro. Una persona del genere deve impegnarsi in questo. Un’esperienza di affidabilità e stima, ad esempio, può venir fatta sia all’interno di una relazione umana, sia di una relazione terapeutica. Oltre a ciò bisognerebbe puntare su finalità in grado di dare soddisfazione all’anima senziente. Allora il paziente in questione potrà infiammarsi per scopi superiori. Potrà scoprire cose nuove e trovare, alla fine, risposta ai propri interrogativi.

La spirale dei bisogni indotti Peter Zwegat, consulente esperto in materia di debiti Se guardo la giovane generazione vedo che abbiamo coltivato delle esigenze che non sono neppure esaudibili. Noi strapazziamo oltre misura la rete sociale, lo trovo incredibile, ma anche in questo caso non ho la controproposta

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adeguata. Ogni quartiere di Berlino ha, ad esempio, una scuola frequentata da allievi che hanno dei problemi a concludere gli studi superiori. All’interno di una nuova misura scolastica ora si tenta di qualificare questi 1718enni per gli esami delle superiori; al contempo essi percepiscono però Hartz IV(1). Hartz IV è molto e poco al contempo. È però sempre più di quanto potrebbero guadagnare al livello lavorativo inferiore. Come posso motivare qualcuno al lavoro se a) non ci sono posti di lavoro b) i giovani facendo un lavoro faticoso e alzandosi presto guadagnano meno che con Hartz IV? Col che non voglio assolutamente dire che Hartz IV sia troppo elevato, il che richiederebbe di inoltrarsi in argomentazioni troppo speciose. Intendo però dire che dobbiamo cambiare modo di pensare! Bisogna che al lavoro venga di nuovo riconosciuto il suo valore, altrimenti si preferisce stare a casa a fare tutto il giorno il pieno di talkshow del più differente livello, istupidendosi sempre di più e diventando incapaci di fare alcunché. […] Alla nostra gioventù viene inculcato che deve fare tante esperienze; i centri fitness e i parchi acquatici diventano sempre più grandi, i cellulari sempre più raffinati. Tuttavia, tutto ciò che occorre fare per essere “cool” costa denaro. Ormai anche una visita allo zoo in metropolitana con successivo gelatino per una famiglia di quattro persone è un divertimento costoso. Gli insegnanti, intanto, si stupiscono che i genitori non riescano a finanziare una gita scolastica di un giorno e preferiscono continuare a organizzare gite a Vienna anziché nello Harz. Ma perché un 13enne dovrebbe voler andare nello Harz se a quattro anni è già andato a Maiorca, dove si può andare in volo al costo di 99 euro per fare shopping? In questo quadro si innescano anche altri fattori. È normale (io dico abbastanza grave) che un giovane si intrattenga per ore via sms col suo amico per decidere dove incontrarsi eventualmente, senza arrivare poi a un dunque perché si sono scambiate solo sciocchezze. Però ciò costa venti volte di più di una conversazione orale, viene promosso dalla pubblicità e venduto come ovvio. Così l’atteggiamento consumistico viene proprio coltivato e viene acquistato con denaro che non si ha. Oggetti di cui non si ha bisogno, per farsi notare da altre persone che non ci piacciono. La gioventù deve godersi la vita e amare consumare, altrimenti l’economia ristagna. Al contempo c’è un’ignoranza incredibile. Proprio coloro che comunicano solo per SMS sono quelli che poi non sanno scrivere neppure due righe. Le lezioni hanno perso il rapporto con la vita e l’istituzione scolastica favorisce solo limitatamente l’ingresso della vita dalla porta dell’aula.

Ho collaborato spesso con allievi e insegnanti, semplicemente perché avevo cose importanti da dire. Nelle occasioni in cui un insegnante di matematica, ad esempio, mi ha invitato a delle manifestazioni cui partecipavano allievi, genitori e insegnanti chiedendomi di occuparmi dei corsi di perfezionamento professionale, i miei seminari sono stati molto frequentati e richiesti. Il tutto ha avuto termine durante una manifestazione a Kassel ove ho parlato davanti a 150 consulenti di debitori sulle ben note situazioni; la preside di quell’insegnante di matematica ha messo il veto. A suo parere quel che egli stava facendo era eccessivo e disdisse tutti gli altri incontri organizzati. Un’azienda avrebbe invitato l’insegnante di matematica a proseguire e l’avrebbe premiato con un aumento di stipendio, lì gli tagliarono il numero di ore con la conseguenza che lasciò perdere tutto. Quando richiesero al ministro dell’istruzione Böger i miei seminari, questi, dimostrando una grande lungimiranza, rispose che non ce n’era l’esigenza, giacché i giovani non possono contrarre debiti prima dei 18 anni. C’è anche un 19° anno di vita, di esso però il ministro dell’istruzione non era più responsabile. Nel mio lavoro incontro 22enni che hanno contratto debiti di oltre 22.000 euro e che sarebbero stati ben contenti se, quattro anni prima, avessi insegnato loro a capire qualcosa in materia.

L’abuso sessuale Brigitte Christiansen(2), 48 anni Quando ripenso alla mia infanzia, per primi affiorano molti ricordi di una bambina infelice, triste che desiderava sempre allontanarsi dalla famiglia. Assieme ai miei genitori ho certo vissuto anche dei bei momenti, tuttavia essi erano sempre adombrati dalla paura che in un qualsiasi momento la situazione cambiasse di nuovo. Non c’era sicurezza; ogni momento bello poteva trasformarsi all’istante nel suo contrario a causa della mania di bere di mio padre. […] A 13 anni mio padre ubriaco mi ha aggredita nel cuore della notte, mentre dormivo, e mi ha violentata. Mi manca qualsiasi ricordo di ciò che è accaduto immediatamente dopo e nei giorni successivi a quella vicenda; quel periodo è come cancellato. A 35 anni mi sono resa conto che da quella violenza ero scivolata adagio, ma di sicuro, in una dipendenza da analgesici. […] Cerco semplicemente di far fronte al quotidiano, vado a scuola, come se tutto fosse normale, come sempre. Tuttavia nulla è normale, nulla è mai più come prima. I miei ricordi si annebbiano, tutto è un po’ indefinito, irreale. Non mi fido più dei miei ricordi e quindi neppure di me. Cos’è vero? Cosa non è vero? Ho perso qualsiasi relazione? Chi sono io? Tutto ciò che mi attornia è davvero reale o anch’esso non è reale? Cos’è successo? Perché è successo? Perché non l’ho saputo evitare? È successo davvero? Pura fantasia? Non può essere, non è possibile! Le mestruazioni si bloccano, non può essere. Sono incinta? Del mio stesso padre? Non è possibile! O sì? Ho 13 anni e so queste cose, anche se solo grazie alle riviste porno che circolano a casa nostra. Ho una particolare sensibilità per le cose che vanno o non vanno bene. Ora questo solido terreno mi è sfuggito da sotto i piedi; non so più nulla e dubito di tutto, anche della mia esistenza. […] Vivo in attesa della mia Cresima. […] Per me la Cresima è un punto di appoggio. Decido la mia appartenenza religiosa, la mia fede che mi dà sostegno. Dopo, non solo ho la sensazione di essere maggiorenne dal punto di vista religioso, ma mi sento superiore a mio padre. Al momento della Cresima l’aggressione di mio padre risale a quattro mesi prima. Da allora del mio pane quotidiano fa parte una maggiore attenzione perché non capiti di nuovo. L’aggressione è avvenuta di notte, nel sonno, da allora soffro di disturbi ad addormentarmi e a dormire tutta la notte di fila, ho attacchi di panico al buio, paura comunque. […] È sempre dietro di me, per lo più ubriaco. Ma no, non è ubriaco, non “è” possibile. Non ne sa niente nessuno, non deve saperne niente nessuno, neppure noi. L’argomento dell’alcol è tabù. Nonostante l’argomento sia tabù siamo sempre impegnati a fargli fronte. A stare sempre attenti che non beva. È un argomento che ci ha occupati da quando riesco a ricordare. […] Una volta ce la fa ad acchiapparmi nella vasca da bagno. Mi butta sott’acqua. È solo uno scherzo o un’amara realtà? Mi accorgo che l’atmosfera si ribalta e che si diverte a farmi paura. Combatto per la vita, non riesco a respirare, bevo acqua, quasi annego. Per una volta mia madre mi salva, ma dopo c’è solo silenzio. Anche questo episodio è tabù. […] A casa nostra c’è qualcosa che non va, lo so già da lungo tempo. Troppi argomenti di cui non si deve parlare: alcol alla guida, alcol già

la gioventù deve godersi la vita e amare consumare, altrimenti l’economia ristagna

di mattina, ritiro della patente, debiti sopra debiti, posate d’argento al monte dei pegni, persino la vera nuziale al monte dei pegni; non se ne parla e a ciò si aggiunge l’inenarrabile. Io vorrei parlarne, sfogarmi, ma non posso, perché diverrei colpevole. Sono colpevole se lo dico? Finché non si dice nulla è come se non fosse accaduto. Un giorno, però, dovrà ben venir detto…. Continuare a tacere. E poi la paura per la sopravvivenza, sempre in fuga, sempre quegli schifosi tentativi di approccio da ubriaco. […] La famiglia del mio padrino mi fu d’esempio. Nel corso dei miei soggiorni estivi presso di loro mi mostrò che la vita familiare può anche essere diversa, rafforzando così il mio senso della normalità. La fortuna di conoscere gente e soprattutto famiglie che avevano vite diverse dalla nostra mi ha trasmesso dei valori che si sono radicati solidamente in me e, al contempo, mi ha fatto capire che da noi c’era qualcosa che non andava. […] Le donne più importanti della mia vita sono state mia nonna, una prozia e una delle mie zie: loro mi hanno dato quella sicurezza che non ho sentito accanto a mia madre. […] Tutte quelle donne erano molto religiose e hanno sviluppato anche in me la religiosità. Come mi ha confermato poi un sacerdote della Comunità dei Cristiani, per lungo tempo la mia costante compagnia e il mio libro preferito è stata una buona Bibbia per i bambini. […] Oggi sono convinta che una profonda religiosità assorbita sin dalla più tenera infanzia ha talmente irrobustito il mio sistema immunitario animico da permettere alla mia anima di far fronte ai molti attacchi subiti.

Note 1) Dal nome del presidente della commissione per la riforma del mercato del lavoro, Peter Hartz. La riforma, del 2002, prevede diverse fasi di attuazione, fra cui la fase IV che istituisce un sussidio di disoccupazione calcolato sulla base dell’ultimo reddito percepito (insieme a reddito famigliare, assicurazioni pensionistiche, proprietà e altre fonti di reddito possibili) e mai inferiore ai 350 euro mensili. La riforma Hartz nel suo complesso è continuamente posta in discussione da diversi settori della società civile e fortemente contestata da più parti. (N.d.R.). 2) Il nome è stato cambiato dalla redazione.

Il male e la libertà Riflessioni sul caso di Mary Bell

di Sevak Gulbekian tratto da Info3

Gitta Sereny

Lo scalpore dei media inglesi per una donna condannata 40 anni fa per omicidio ha avuto forti ripercussioni in tutta Europa. L’autore, in questo testo del 1998, prende spunto da questo caso per una riflessione sul rapporto che il nostro tempo ha col male.

Nel corso dell’ultima settimana di aprile i giornali scandalistici inglesi si sono scatenati in autentico isterismo a causa di Mary Bell, una 41enne che trent’anni fa è stata condannata per l’uccisione di due bambini, uno di tre e uno di quattro anni. All’epoca, nel 1968, quei terribili crimini suscitarono molto scalpore. Erano tremendi quanto incomprensibili. Come poteva una ragazzina di 11 anni uccidere altri due bambini? Mary Bell ebbe l’ergastolo, ma a 23 anni fu liberata perché ritenuta non più pericolosa. Lo scorso aprile ha fatto molta sensazione venire a sapere che Mary Bell aveva aiutato la nota scrittrice e giornalista Gitta Sereny nella stesura del libro Grida dal silenzio-Storia di una bambina. Il libro, uscito a inizio maggio, è un serio tentativo di arrivare a capire quel delitto studiando attentamente chi l’aveva commesso, ed è costruito attorno a un’intervista di sei mesi fatta dall’autrice a Mary Bell. Molti, tra cui il primo ministro Tony Blair, si sono dichiarati sconvolti dal fatto che la Sereny abbia condiviso con Mary Bell parte dell’acconto ricevuto dal suo editore. Nel corso di molte interviste la giornalista ha dichiarato che se non l’avesse fatto si sarebbe sentita di sfruttare Mary Bell, proprio come avevano continuamente fatto altri dal momento della sua nascita in poi. Gitta Sereny si riferiva ai terribili anni dell’infanzia di Mary Bell, di cui nel suo libro si parla in modo esauriente e per la prima volta: si tratta del grave abuso, emozionale, corporeo e sessuale, che ha improntato l’infanzia di Mary. Sua madre, una prostituta, costrinse Mary Bell ad assistere alle sue pratiche sadomasochiste e anche a parteciparvi. La presenza di una bimba innocente era evidentemente apprezzata dai clienti e fruttava maggiori guadagni. Né il suo patrigno, un delinquente occasionale, né altri membri della famiglia andarono in aiuto della ragazzina. Il serio tentativo di Gitta Sereny di capire come mai una ragazzina abbia potuto diventare un’infanticida non è stato apprezzato dalle riviste inglesi, le quali hanno iniziato subito a fomentare odio contro Mary e a scatenare la caccia all’identificazione della sua attuale identità (dall’epoca del suo rilascio dalla prigione, Mary Bell vive sotto falso nome, e sua figlia di 14 anni e la sua sfera privata sono protette per disposizione del tribunale). Dopo pochi giorni il Sun annunciò fiero: “Abbiamo trovato Mary Bell”. La sua casa fu assediata dai reporter e madre e figlia, per sfuggire al rischio di linciaggio, dovettero essere prese in custodia dalla polizia. La cosa orribile di quella triste storia fu però che la figlia di Mary Bell venne improvvisamente a conoscere la vera identità di sua madre, mentre la casa era assediata dai giornalisti (Mary Bell

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intendeva rivelare l’intera verità a sua figlia al compimento dei diciotto anni). Nonostante le conseguenze disumane provocate da un vergognoso “giornalismo” di quel tipo, i media non hanno dimostrato rimorso. Hanno giustificato la loro collera affermando che Mary Bell era una “crudele infanticida” meritevole del perpetuo disprezzo e dell’odio della società, senza considerare che aveva perpetrato quei delitti 30 anni prima e, secondo tutte le apparenze, era ora una donna diversa e una madre. Al contrario dei media isterici, l’intelligente e lucida giornalista Gitta Sereny (un’autrice che ha ricevuto molti riconoscimenti per le sue pubblicazioni sui nazisti Albert Speer e Franz Stangl, fondate su ottime ricerche) sembra essere la voce della ragione e della serena riflessione. Combatte per la comprensione; alla madre di una delle due vittime di Mary Bell ha scritto: “Doveva esserci una ragione per quella terribile sofferenza che ha causato”. La stampa, rimasta di diverso parere, ha ironizzato sulla comprensione di Sereny. “Capire perché Mary Bell uccise?” si è chiesto beffardo il Daily Express nel suo articolo di fondo, concludendo che la comprensione non è né possibile, né auspicabile. Le riviste scandalistiche hanno addotto unanimi una spiegazione dell’enigma: Mary Bell uccise semplicemente perché era fondamentalmente cattiva.

Omicida per cattiveria? Prima di occuparci delle tesi di Gitta Sereny e di altri che si sono premurati di capire Mary Bell, desideriamo considerare più da vicino in questo contesto l’uso moderno, consueto ai tempi nostri, del vocabolo “cattivo”. Da anni i giornali scandalistici guidano una campagna d’odio contro individui quali Myra Hindley o Yorkshire Ripper, che si sono resi rei di terribili delitti. Il loro atteggiamento e il ripetuto uso del vocabolo “cattivo” implicano che costoro abbiano perpetrato i loro delitti a seguito di una decisione consapevole e per desiderio di fare male. Questa è l’unica conclusione logica che consente relazioni di questo tipo. Se quegli assassini fossero, infatti, semplicemente nati “cattivi” e facessero il male senza colpa, non potrebbero di certo essere ritenuti personalmente responsabili delle loro azioni. In definitiva non ne sarebbero responsabili. D’altro canto, se avessero fatto il male solo in conseguenza dell’educazione ricevuta e di influenze esteriori, non potrebbero essere pienamente responsabili del loro comportamento: sarebbero i prodotti della società in cui sono nati e di conseguenza si dovrebbe complessivamente attribuire la respon-

quando un delinquente risulta irriducibile, la logica conseguenza della filosofia punitiva è la pena di morte

sabilità del loro agire alla società. Se quindi i delitti violenti vanno odiati, come pare chiaramente attendersi da noi la stampa scandalistica, che ritiene i loro autori totalmente responsabili delle proprie azioni, dobbiamo partire dal presupposto che compiono i loro delitti in libertà, capendo e riconoscendo ciò che fanno. È importante riflettere a fondo su questa questione, perché è il tipo di logica che plasma sostanzialmente la base filosofica del diritto penale inglese e di molti altri Stati occidentali. Per 18 anni l’ultimo governo conservatore, a sostegno degli Stati Uniti, ha fondato la propria politica penale, non riformistica o riabilitativa, su questo modo di pensare. (Nonostante come misura sia completamente fallita, è stata ripresa con entusiasmo dal nuovo governo laburista che, come i suoi predecessori conservatori, vuole conservarsi la fama di fare “processi brevi” ai delinquenti). Quando un delinquente risulta irriducibile, la logica conseguenza della filosofia punitiva è la pena di morte, che paghi con la vita. I sostenitori di “misure di ravvedimento”, al contrario, credono che un delinquente possa venire completamente riabilitato da educazione ed esempio e trasformato in un responsabile membro della società.

Il male e la libertà Un delinquente agisce liberamente quando compie il suo delitto? Se così fosse l’attuale sistema, prevalentemente orientato verso la pena, sarebbe adeguato. Se invece non è libero, e cioè se partiamo dal presupposto che soggiace probabilmente ad altre influenze (nel caso in questione alle forze del male), allora l’interessato ha senza dubbio bisogno d’aiuto. Non è se stesso, questo significa che in quel momento non è completamente e realmente essere umano. In tal caso sarebbe molto più sensato applicare delle misure riabilitative: la persona in questione ha bisogno di guida e di aiuto per venire riabilitato alla vita sociale.

l’essere umano non è libero per il semplice fatto di poter compiere un’azione o un’altra. Siamo liberi quando agiamo movendo dal nostro autentico e completo essere uomini

Il nucleo di questo dilemma è un problema filosofico. Di solito per libertà si intende che abbiamo la possibilità di scegliere tra il bene e il male. Sono libero di uccidere o non uccidere un essere umano. Nel suo libro La filosofia della libertà Rudolf Steiner rifiuta decisamente questa opinione e afferma che l’essere umano non è libero per il semplice fatto di poter compiere un’azione o un’altra. Siamo liberi quando agiamo movendo dal nostro autentico e completo essere uomini. In altri termini la vera libertà è la somma meta cui ogni essere umano può tendere per se stesso: la sfida ad agire movendo dal nostro Sé spirituale superiore. Noi siamo completamente esseri umani solo quando agiamo movendo da quell’Io superiore: una via su cui abbiamo ancora tutti da percorrere un buon tratto. In questo senso si potrebbe concludere

che gli omicidi o gli infanticidi sono talmente lontani dall’agire movendo dal proprio autentico essere uomini che, di fatto, vanno definiti malati gravi. Dal punto di vista spirituale il loro Io è talmente sepolto che le potenze maligne se ne impossessano e possono indurlo ad azioni degeneri. Intervenire con una grave punizione sarebbe, di conseguenza, completamente privo di senso. La persona in questione ha bisogno di aiuto e di guarigione per ritrovare la sua autentica essenza umana. (Non intendiamo occuparci qui della questione di un’azione malvagia compiuta in totale consapevolezza, visto che tale concetto ai tempi nostri non è generalmente valido). Nel caso di Mary Bell è evidente che ella non ha perpetrato un omicidio liberamente, e non solo nell’accezione appena descritta. Bimba di 11 anni, non aveva ancora raggiunto la maturità necessaria per agire sostenuta dalla comprensione e dalla chiara intenzione di una consapevolezza individuale.

Predisposizione o educazione? L’esatta disamina del caso di Mary Bell ci conduce quindi a due metodi cui si ricorre solitamente per spiegare delitti simili. Questi due metodi rappresentano una polarità che racchiude sostanzialmente l’antico dilemma sulla predisposizione o l’educazione, “natura” contro “alimentazione”. L’interrogativo recita: cosa forma l’essere umano? La sua predisposizione (“genetica”, animica o spirituale) o il suo ambiente e la sua educazione? In altre parole, un essere umano è per natura predisposto al male o il male lo attira a causa di esperienze fatte nel corso della vita terrena? La prima ipotesi suggerisce che la nostra natura è in qualche modo predestinata. Questo potrebbe significare che

un essere umano è per natura predisposto al male o il male lo attira a causa di esperienze fatte nel corso della vita terrena? non esiste delitto al mondo che chiunque, nella misura in cui appartiene alla quinta epoca postatlantica, non abbia inconsciamente tendenza a compiere

accettiamo l’opinione della scienza moderna che sostiene che siamo condizionati dai nostri “geni” o che alla formazione della nostra individualità partecipano forze sovrannaturali. In base al secondo punto di vista siamo solo prodotti del nostro ambiente: il risultato del nostro ambiente culturale, della nostra posizione sociale o della nostra famiglia. L’argomento della natura è generalmente ritenuto conservatore, l’argomento dell’alimentazione passa per un punto di vista liberale, sociologico.

Sulla via di un’immagine più completa dell’essere umano Forse il caso di Mary Bell può contribuire a farci andare oltre queste due argomentazioni semplificatrici, visto che ambedue, da sole, sono insufficienti. Il libro di Gitta Sereny testimonia della spaventosa e tragica infanzia di Mary Bell improntata all’abuso, all’abbandono e che pare confermare la teoria dell’alimentazione. Non possiamo però dedurne che un’educazione del genere porti necessariamente alla criminalità, così come è successo a Mary Bell bambina. Se partiamo dal presupposto che ogni essere umano ha una natura spirituale individuale, ne consegue che persone differenti reagiscono anche in modo individualmente diverso a una serie di situazioni. Non ne consegue di certo che l’abuso sessuale, fisico ed emotivo fanno diventare un essere umano un assassino. Col che non si intende condannare Mary Bell, ma solo attirare l’attenzione sul fatto che gli influssi esterni non sono l’unico fattore nella vita di un essere umano. D’altro canto, considerando solo la predisposizione o la natura, corriamo il rischio di ignorare il destino e il karma di un’individualità. Se in Mary Bell vediamo un essere umano dalle cattive predisposizioni, non prendiamo in considerazione l’importanza della sua incarnazione attuale, la sua esigenza di incarnarsi per una qualche ragione in una simile costellazione di influssi. Come le riviste scandalistiche dovremmo arrivare alla conclusione che, nella sua più intima essenza, ella è cattiva per tutta l’eternità. La sua educazione, il suo ambiente, il suo destino quindi, perdono qualsiasi rilevanza. Qui potrebbero aiutarci ad andare avanti le seguenti parole di Rudolf Steiner: Sin dall’inizio del quinto periodo postatlantico (e cioè dall’inizio del XV secolo), nell’inconscio di tutte le persone ci sono le cattive predisposizioni, le tendenze al male. Proprio in questo consiste l’ingresso dell’essere umano nel periodo culturale moderno, nel suo accogliere in sé le tendenze al male…

Non esiste delitto al mondo che chiunque, nella misura in cui appartiene alla quinta epoca postatlantica, non abbia inconsciamente tendenza a compiere. Abbia la tendenza, se poi nell’uno o nell’altro caso la tendenza al male porti esteriormente a compiere un’azione cattiva, dipende da ben altri rapporti che da questa tendenza. (O.O. 185, conferenza del 26 ottobre 1918).

Le circostanze di cui parliamo qui contemplano senza dubbio anche l’aspetto karmico, il che non vuol dire che Mary Bell fosse “predestinata” a uccidere in questa vita due bambini. In proposito Rudolf Steiner dice che abbiamo tutti una tendenza al male, non possiamo vedere il male come qualcosa di distaccato da noi, nonostante i succitati media vogliano proprio spronarci a fare questo. Il male che c’è dietro alle azioni di Mary Bell è qualcosa con cui abbiamo tutti costantemente da combattere. Se continuiamo a proiettare il male all’esterno concentrando la nostra attenzione su altre persone che per una qualche ragione hanno compiuto azioni inspiegabili, veniamo distolti dal nostro combattimento individuale, dal ritrovare in noi il nostro autentico essere uomini e a diventare davvero liberi. D’altro canto, se possiamo imparare a riconoscere l’individualità (la natura) e il destino (l’alimentazione) di ogni essere umano, forse riusciremo ad afferrare alcuni dei molti fili che alla fine ci consentiranno una comprensione più approfondita di persone come Mary Bell e della tragedia sconvolgente che hanno dovuto attraversare le famiglie dei due bambini che furono le sue vittime.

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