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nell'Apocalisse di Giovanni

CINA

I cuori parlano di nuovo

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tratto da Das Goetheanum n.26 2008

AUTUNNO 2008 • NUMERO UNDICI • NEWSLETTER TRIMESTRALE • ANTROPOSOFIA OGGI • ARTEMEDICA

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“L’onorevole terremoto” verificatosi il 12 maggio nella provincia di Sichuan è stato un’esperienza incisiva e profonda per le persone colpite. Astrid Schröter, che all’epoca lavorava nella scuola Waldorf di Chengdu, descrive le trasformazioni e il senso comunitario verificatisi dopo quell’evento nella società cinese. Descrive, inoltre, come il collegio insegnanti affronta quella catastrofe naturale. Un pezzo d’elaborazione.

Sull’ufficio è calato un silenzio di piombo. Alla bimba che entra saltellando, vivace come l’argento vivo, passa di colpo la voglia di muoversi. Sirene che ululano, treni e automobili che suonano il clacson. Una contraddizione al silenzio? No, il suo approfondimento. La gente prega. Il telefono tace. 19 maggio 2008, dalle 14.28 alle 14.31. In tutto il Paese le bandiere sono a mezz’asta e i giornali vengono stampati solo in bianco e nero. I membri del Congresso Popolare Nazionale stanno a capo chino, hanno un fiore di carta bianco all’occhiello: in Cina il bianco è il colore del lutto. Si sono mai visti così i “signori degli anelli” (lo Spiegel n. 15 del 2008 definisce così il governo cinese)? Ogni lavoro è cessato, il traffico si ferma, i cantieri tacciono, persino i giochi on-line su internet vengono interrotti e la televisione trasmette solo foto in diretta della popolazione in lutto. In un Paese in cui c’è un solo fuso orario, negli stessi tre minuti, si fermano tre miliardi di persone. Certuni sono sprofondati in se stessi, altri sono fuori di sé dal dolore. I sentimenti e i pensieri di tutti si concentrano sui defunti del 12 maggio. “Sappiamo che non siete andati lontani” titola un giornale a l’ufficio della scuola Waldorf di Chengdu dopo il terremoto

caratteri cubitali, esprimendo i sentimenti di tutti. Chi è sopravvissuto si sente fraternamente legato a qualsiasi altro essere umano che viva e respiri. La catastrofe è sopportabile solo con quel fratello accanto. “Siamo insieme!” Questo “noi” cela una nuova sfumatura che la Cina non ha mai vissuto così. Include, infatti, i colpiti di qualsiasi nazionalità e apre persino uno spiraglio di comprensione e di rappacificazione ai giapponesi, di solito, per ragioni storiche, accanitamente odiati. Attraverso il terribile sconvolgimento irrompe l’inumano.

Fraternamente collegati Una settimana prima, nella provincia di Wenchuan, nella parte occidentale della provincia di Sichuan, la terra ha tremato con una potenza di 7,8° sulla scala Richter. Nella città di 11 milioni di abitanti di Chengdu, 92 chilometri a sud est di Beichuan, che non fa parte della zona direttamente colpita dalla catastrofe, molti stabili sono stati danneggiati da crepe; fortunatamente, però, la città non è stata quasi toccata da perdite di vite umane. Tuttavia, anche qui i movimenti tellurici ondulatori hanno sconvolto la gente sino al midollo, fisicamente e animicamente. Nella città ricca di grattacieli, la folla di gente che fuggiva dagli appartamenti ha creato il caos. Nell’arco di poche ore Chengdu è diventata il centro logistico dei lavori di salvataggio. Per ore e ore la gente è rimasta in fila per donare sangue. Folle di persone profondamente disponibili all’aiuto, ma non coordinate, hanno bloccato le strade e gli ospedali. Chiunque riusciva ancora a fare benzina è subito partito in direzione nord-ovest per prestare aiuto. L’aeroporto era chiuso al consueto traffico passeggeri. Nei giorni seguenti i reporter non si stancarono di tributare rispetto ai disinteressati volontari. Molte relazioni dei giornali sembrano una raccolta delle caratteristiche animiche che contraddistinguono l’attuale epoca culturale: “Giovani volontari mantennero la calma nel momento del massimo pericolo.” Oppure: “Capii di dover tranquillizzare i bambini.” Un giornale cinese stampa in formato gigante la foto di una persona che prega. Un’altra foto mostra un taxista che porta dei feriti a Chengdu: il suo sguardo è rivolto verso il suo interno. A Sichuan tutti ricorderanno, per tutta la vita,

minuziosamente ciò che hanno visto e udito all’epoca del terremoto. Nella piccola scuola Waldorf alla periferia di Chengdu i bambini dell’asilo stavano appunto dormendo nei loro graziosi lettini di bambù, mentre quelli della scuola avevano appena iniziato le lezioni del pomeriggio, “quando pensai che stesse passando un treno molto pesante - dice a posteriori un’insegnante - Ma quel treno mi sembrò davvero troppo pesante; divenni insicura, mi bloccai. In quel momento un bimbo gridò ‘il terremoto!’ Pensai solo che la porta della classe si bloccava sempre e a come potevo fare ad aprirla. Le pareti si spalancavano e si richiudevano”. In pochi minuti tutti, allievi e insegnanti, si ritrovarono riuniti fuori sul prato. Non mancava nessuno! La terra continuava a sussultare, l’erba saltellava, non si sapeva dove poggiare i piedi. L’acqua dello stagno della scuola faceva le onde come fosse un catino scosso in qua e in là. Poi di colpo la natura si irrigidì. La luce si fece cupa, come dopo un’eclissi di sole. Gli alberi erano come di piombo fuso e nessun animale si muoveva. I compiti si suddivisero da sé. Gli uni andarono a prendere delle sedie, altri dell’acqua potabile, altri ancora distribuirono dell’anguria; ben presto riuscimmo a ricevere notizie tramite le autoradio. I cellulari rimasero muti a lungo così che nessuno aveva notizie di amici e parenti che abitavano nella zona della catastrofe. Le tende, i materassi e le coperte, che di solito servivano per il campeggio estivo dei bambini, si trasformarono in rifugi d’emergenza. Circa 120 persone si organizzarono alla meno peggio per la notte, poi iniziò anche a piovere. Gli uni dopo gli altri arrivarono anche i genitori che avevano impiegato ore a percorrere la strada che porta a scuola. Un poliziotto si informò sullo stato di salute dei bambini. Quando seppe che erano tutti incolumi, prese un pezzo d’anguria e nel miglior dialetto Sichuan disse “Onorevole terremoto! Qui abbiamo ancora avuto fortuna. Ma non ho la più pallida idea di quel che dobbiamo fare ora! Prima aspettiamo, poi vediamo cosa dice il governo”. Questo atteggiamento non stupisce in un Paese che ha un’autocrazia talmente lunga e gerarchica. Rispetto alla catastrofe naturale emerge poi anche un altro fenomeno con cui molti hanno dovuto confrontarsi nelle settimane seguenti: dopo il primo shock subentra una singolare paralisi corporea che si estende alla volontà, così che a una persona sola sembra impossibile combinare qualcosa. In gruppo, invece, si è come meccanicamente in condizione di fare l’incredibile.

Il corpo è fatto di tutte le sostanze della terra Molti trascorrono i minuti di silenzio in piedi. E il corpo frattanto si fa sentire. Sette giorni dopo il terremoto, a poco a poco, affiora una profondissima stanchezza. A molti viene la diarrea, il raffreddore e il mal di gola. La preoccupazione per l’acqua potabile e i viveri, l’instancabile impegno negli ospedali e nelle scuole a favore degli orfani provenienti dalle zone della catastrofe e l’incertezza sul futuro della scuola corrodono le forze. A tutto questo si aggiungono le costanti scosse di assestamento. Cresce con forza il desiderio di solido terreno. Dal momento del terremoto il collegio si incontra quotidianamente per fare euritmia, per commemorare i defunti e per elaborare assieme un nuovo livello di comprensione leggendo le considerazioni di Rudolf Steiner sulle catastrofi ambientali. È una cosa che sostiene. Nel corso di quei colloqui è emerso chiaramente che per molti colleghi alcune delle descrizioni di Rudolf Steiner sull’essere umano, di fronte al terremoto hanno assunto una nuova dimensione, perché l’hanno recepita sul proprio corpo: come la descrizione, ad esempio, riportata ne’ La Teosofia: “L’anima umana è un arto del (…) mondo animico così come il suo corpo è parte del mondo corporeo fisico”. Un collega affermò di aver vissuto come unico lo sconvolgimento del corpo fisico della Terra e del proprio. Senza riuscire a riassumerlo a parole, in quel momento capì in modo cristallino che il suo corpo fisico era fatto di tutte le sostanze della Terra, alle cui leggi soggiaceva, e che era una copia microcosmica del macrocosmo. Il suo corpo è diventato per lui il suo migliore e più intimo amico, che egli ama e onora per la sua incolumità e che si distingue inequivocabilmente dall’ambito della personalità in cui nascono i sentimenti. Così il collegio insegnanti intuì che sia la causa che l’effetto di un terremoto sono connessi all’intento morale con cui gli esseri umani collegano il proprio corpo fisico a quello della Terra. In questo senso è stata citata anche una monaca cinese: “Non si possono continuare a tagliare i boschi senza aspettarsi delle risposte dal cielo. (…) Forse questo terremoto riuscirà a salvarci.” Nel collegio insegnanti si è ridestato il pensiero che “Il terremoto è un dono. Grazie ad esso notiamo qualcosa che prima non vedevamo: un grande amore che fluisce da tutti. I cuori delle persone parlano di nuovo. Questo, forse, è il più grande dono che ci ha fatto il destino”.

Una rapida occhiata nell’eternità A Chengdu, quattro settimane dopo il terremoto, un ciclo lunare dopo, quasi nessuno più salta per aria alle scosse di assestamento o spreca una parola in proposito. L’organismo ci si è abituato e per bilanciarle ha sviluppato un meccanismo proprio. Gli animi chiedono solo normalità, anche nelle case del tè si gioca di nuovo a majong e si beve tè, come sempre. Gli occhi però, parlano ancora degli abissi in cui hanno gettato un’occhiata. I due edifici bassi dell’asilo infantile Waldorf oramai sono stati scomposti in parecchi mucchi di mattoni ripuliti sbattendoli tra di loro, che possono essere usati di nuovo. La scuola è finalmente ripresa. Perché il collegio si sentisse in grado di farlo è stato necessario superare notevoli ostacoli fisici e animici. Ciò che, ora più che mai, sostiene è il compito di far fronte a tutto, ma assieme. Ora, chi vuole recarsi nella zona della catastrofe può farlo solo grazie a buone relazioni e ai necessari permessi. Lo spontaneo impulso del cuore con cui tutti hanno prestato il loro aiuto si è placato. La soluzione che quattro settimane fa è stata di sostegno animico, ora non serve più allo scopo. Ora è nata una campagna “promozionale” in cui gli aiuti ai terremotati vengono messi in relazione ai giochi olimpici: “Siamo assieme. Avanti, Cina!” Il “noi” ha già perso il calore del cuore e si è riaffermato lo spirito individuale. Ciò nonostante… Tre minuti di silenzio hanno riflesso uno sguardo aperto sull’eternità. L’apertura era subentrata quando, il 12 maggio, l’insegnante si era bloccata nel parlare, così da consentire all’allievo di capire lucidamente quanto accadeva. Dopo, per giorni interi, la gente ha vissuto con stupefacente semplicità di ciò che dava in amore. Chi era vivo amava la gente, che fossero amici o nemici, per la volontà di vivere. “Intendiamo donare il nostro amore a tutti e a tutto ciò che vive”. Anche la campagna legata alle olimpiadi rivela che era solo quella l’atmosfera di cui effettivamente hanno vissuto per giorni e giorni innumerevoli persone in Cina. Che, per una volta, c’è stata e in quel modo.

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