Diverse sfumature d'anguilla

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Milena Djoković

DIVERSE SFUMATURE D’ANGUILLA RICETTE E STORIE DAI SARGASSI ALLE LAGUNE illustrato da Azzurra Galatolo



L’anguilla: facciamo un po’ di chiarezza



Ho cercato un biologo esperto della natura locale, che avesse a che fare con i pesci, e più precisamente con i pesci della laguna. Ho trovato Mauro Lenzi, biologo dell’istituzione che gestisce la laguna per conto del Comune, ovvero l’unica e storica cooperativa di pescatori di Orbetello, La Peschereccia. La cooperativa ha parte integrante in questa storia: infatti pesca le anguille, le ‘sfuma’, le vende e le serve ai turisti nel punto ristoro sulla laguna. È probabilmente l’istituzione più caratteristica, più radicata nel territorio e che meno è cambiata negli ultimi anni a Orbetello. La prima cosa che chiedo a Mauro è un ragguaglio sul pesce, sulle sue caratteristiche generali, sulle sue abitudini e sulla condizione dell’anguilla oggi. Disponibilissimo, chiaro ed esauriente, mi offre informazioni illuminanti. L’anguilla europea (Anguilla anguilla) è un pesce allungato, affusolato, dalla testa appuntita che le serve per inserirsi nel sedimento soffice, dove si apposta per la sua attività di caccia. È un animale prevalentemente notturno, e preda pesciolini, piccoli crostacei, ma anche insetti, girini. L’anguilla è un predatore abile e resistente. All’occorrenza può uscire dall’acqua, quando piove, e strisciare verso i campi per cercare nuove pozze d’acqua, alla ricerca di

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cibo, e questo grazie alla sua conformazione fisica serpentina e allo strato di muco che la sua pelle spessa e porosa produce. Infatti questo muco è uno strato per la maggior parte proteico, che serve a mantenere il pesce umido e idratato anche all’aria, consentendogli l’ossigenazione. La cosa più interessante è che l’anguilla attraversa varie fasi di crescita e metamorfosi, nel corso del suo ciclo vitale, che può essere molto lungo (si ritiene possa vivere anche una cinquantina d’anni!). Le larve che escono dalle uova danno luogo ai leptocefali, piccolissimi, trasparenti e appiattiti lateralmente, a forma di foglia di salice. Si nutrono di zooplancton e si lasciano trasportare dalle correnti (ho scoperto che “per questo motivo lo stadio si definisce planctonico”). Questo stadio di vita è relativamente lungo e può durare fino a tre anni. Tanto, infatti, è il tempo che impiegano a ritornare dalle fosse profonde dell’oceano Atlantico verso le acque europee. Quando i leptocefali arrivano in prossimità della costa, compiono un’altra metamorfosi, che li porta allo stadio di cieca (in inglese, glass-fish, pesce-vetro). Questa misura pochi centimetri ed è ancora trasparente, ma assume una struttura allungata e tubolare (non più piatta), che ricorda la forma adulta. È in questa fase che entra nelle acque interne, risale fiumi, ruscelli e popola le lagune. Pian piano, assume la pigmentazione e la conformazione che ci è nota. Lo stadio giovanile, ben pigmentato e affusolato, fino a una lunghezza di una quindicina di centimetri, è chiamato ragano. L’animale giovane compie il suo percorso, come si è detto, dal mare aperto verso i fiumi, spingendosi nelle acque più interne, invadendo l’intero bacino idrografico di un corso d’acqua. Si trova bene anche nelle lagune, ma sono le acque interne il vero habitat dell’anguilla. Nelle acque dolci c’è una maggior percentuale di femmine, mentre

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in mare si ha una percentuale più alta di maschi. Infatti, negli ambienti dissalati le anguille trovano maggior fonte di nutrimento (insetti, girini, piccoli vermi), ed è la femmina ad aver bisogno di più nutrimento, che le consentirà poi, in fase migratoria, di maturare le uova. È a questo punto che ci troviamo di fronte all’anguilla adulta, che conosciamo. E in questa fase possiamo distinguere due tipi di aspetto. Il primo è quello dell’anguilla detta pantanina (che a Orbetello viene chiamata anguilla ‘tòrta’). A questo stadio la colorazione è bruno-nerastra sul dorso e bruno-gialla ventralmente. In questa fase, che può durare anni, l’animale è in crescita, e non pensa altro che a mangiare. Raggiunta una certa dimensione, attorno ai 150 grammi per i maschi e 200-250 grammi per le femmine, può aver luogo una nuova metamorfosi, che porta allo stadio di anguilla argentina (a Orbetello ‘dritta’). Questo è lo stadio della fase riproduttiva, che è anche la fase migratoria. L’anguilla dunque assume la livrea nuziale: nero scuro sul dorso e bianco argentato ventralmente, mentre gli occhi si fanno più grandi per vedere nelle profondità marine. A questo stadio dello sviluppo cessa di alimentarsi – il che produrrà poi il degenerare dell’apparato digerente – perché ha immagazzinato sufficienti grassi per compiere la sua spedizione riproduttiva, ovvero la lunga migrazione autunnale che dalle acque interne e costiere europee la porterà oltre l’oceano Atlantico. Non è ben conosciuto il meccanismo ormonale per il quale si ha la trasformazione da pantanina ad argentina, né per quale ragione alcune femmine ne sono escluse, rimanendo tutta la vita nel luogo di pascolo, accrescendosi indefinitamente oltre tre chili e raggiungendo età ragguardevoli. È in questo stadio, che include i soggetti a partire L’anguilla: facciamo un po’ di chiarezza

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da 350 grammi, che l’anguilla è detta capitone, e mantiene una colorazione chiara, simile a quella della pantanina. Il grande mistero dell’anguilla, l’enigma che per anni e anni ha confuso gli studiosi e su cui ancora in realtà si discute, senza trovare vere e proprie certezze, è proprio quello della sua migrazione. Nel tempo sono state formulate varie teorie, ma quel che sappiamo per certo è che per riprodursi questi pesci devono trovare condizioni idonee; hanno bisogno di un mare aperto, profondo, forse le fosse del Mediterraneo, forse il mitico Mar dei Sargassi, che per tradizione sarebbe il luogo deputato alla riproduzione delle anguille, nell’Atlantico, vicino al triangolo delle Bermuda (altro luogo assai mitizzato). Recentemente si è rafforzata la convinzione di un’area riproduttiva nel Mar dei Sargassi, che in parte si sovrappone all’areale riproduttivo dell’anguilla americana (Anguilla rostrata). La mescolanza di areali e il fatto che la migrazione dell’anguilla europea dovesse avvenire per circa seimila chilometri ha fatto ipotizzare che essa non arrivasse mai a destinazione, e che fossero i leptocefali dell’americana, veicolati dalle correnti marine, ad arrivare alle coste europee. Il lungo percorso, rispetto a quei leptocefali trasportati dalle correnti lungo le coste americane, produrrebbe una differenziazione tra le due anguille (che non sarebbero due specie distinte, secondo questa ipotesi) relativa al numero delle vertebre (una maggiore segmentazione nella metamorfosi di questo stadio), spiegando così il numero di vertebre maggiore dell’anguilla europea, rispetto all’americana. Quante informazioni… E soprattutto, chi l’avrebbe mai detto che la vita delle anguille fosse così complicata? La 20

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loro strenua resistenza, le fatiche dei lunghi viaggi, le mutazioni che attraversano nella vita (smettono perfino di nutrirsi, in fase migratoria!), la capacità di uscire dall’acqua e strisciare nel fango alla ricerca di cibo… e poi, un’esistenza in generale lunga, caratterizzata da grande adattabilità e resistenza! Veramente, c’è da restare meravigliati. Ma allora, come mai l’anguilla è considerata una specie a rischio? È un problema di inquinamento, come per la maggior parte dei casi? Qualche radicale cambiamento nell’ecosistema? L’avvento di un predatore misterioso? L’inquinamento non è determinante, mi spiega il biologo, l’anguilla non è poi così sensibile a questo tipo di mutamento ambientale. È resistente, e sa adattarsi bene ad ambienti diversi, come dicevamo. E allora? L’interrogativo che mi pongo è sempre lì, irrisolto: se l’anguilla è un pesce così vitale, adattabile, poco esigente, e se, come mi è stato spiegato, non è particolarmente sensibile all’inquinamento ambientale, cos’è che ha determinato il forte calo della presenza dell’anguilla nelle zone europee? Il calo è oggettivo e certificato, tanto che l’Unione Europea, dopo aver dichiarato la specie a rischio di estinzione (tecnicamente, ‘specie in pericolo’, cioè un gradino prima dell’estinzione) ha proposto perfino di sospenderne del tutto la cattura per alcuni anni. La pesca che pratichiamo è dunque così distruttiva? No, o almeno, non esattamente. I problemi, mi spiega il biologo, sono essenzialmente due. Il primo, forse più significativo a livello numerico, è la cattura delle cieche sotto costa. Infatti, al loro rientro in Europa dalle profonde acque atlantiche, vicino alle coste del Portogallo e della Spagna, le cieche vengono intercettate e pescate all’ingresso del Mediterraneo. Parliamo di L’anguilla: facciamo un po’ di chiarezza

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quantitativi inimmaginabili per chi non è del mestiere. Il flusso è enorme, e il commercio estremamente redditizio. Che fine fanno, poi, queste cieche? Vengono vendute a paesi come il Giappone e la Cina, e destinate agli allevamenti, oppure ai ristoranti (ma questa parte è numericamente poco rilevante). Quindi una reale, urgente misura sarebbe salvaguardare lo stock in entrata, per permettere alle cieche di svilupparsi e poi riprodursi. La seconda causa è la manipolazione degli alvei dei fiumi. Molto spesso, infatti, i fiumi, soprattutto nelle zone di attraversamento delle aree urbane, sono regimati con opere di muratura, mediante la cementificazione degli argini o la realizzazione di piattaforme di cemento che creano numerose cascatelle artificiali (le abbiamo viste spesso nei grandi fiumi cittadini), allo scopo di rallentare il flusso e costringerlo in ambiti ristretti, evitando quei processi erosivi degli argini, potenzialmente rischiosi. Le anguille, che viaggiano in direzione contraria al flusso, perché si spostano dal mare verso l’area più interna, non riescono a risalire le cascate. Questo riduce l’areale distributivo, impedendo così alle cieche di raggiungere la vasta rete dei bacini idrografici dei fiumi. Di conseguenza si verifica una maggior concentrazione di pesci in un habitat più piccolo. Le giovani anguille, a corto di nutrimento e di spazio per espandersi, alla fine muoiono. Quindi, le anguille andrebbero tutelate anche nella loro risalita dei fiumi. Ora, l’Europa si è mobilitata con leggi, restrizioni e piani di monitoraggio, e in parte la situazione sta migliorando, ma la cattura e il business delle cieche sono troppo redditizi. E nella laguna di Orbetello? Mi interessa scoprire come funziona questo microcosmo: il calo risente solo della flessione generale o c’è dell’altro? Mi spiega Mauro che qui si è registrata una fluttuazio22

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ne, ma la percentuale di anguille presenti in laguna (naturalmente ci si basa sullo storico della pesca, i cui dati vanno dal 1960 a oggi) è stata in salita, soprattutto negli anni ’80 (con un picco fra il 1981 e il 1985), per poi calare significativamente all’inizio degli anni ’90. Questo perché negli anni ’90 l’anguilla ha sofferto, indipendentemente dalla flessione europea; stava male in laguna a causa delle conseguenze della forte eutrofizzazione di cui l’ambiente aveva beneficiato. La modifica dell’habitat, e in particolar modo la sparizione delle piante a radice (delle fanerogame marine), che sono differenti dalle alghe vere e proprie e costituiscono il loro habitat migliore, ha reso più difficile il pascolo dell’anguilla e ha favorito altre specie, soprattutto i cefali. La riduzione delle praterie di fanerogame ha reso più facile la predazione delle anguille da parte degli uccelli acquatici. Inoltre ‘eutrofizzazione’, alla fine, significa accumulo di materia organica nel sedimento, che è il substrato in cui esse si nascondono e da cui escono la notte per predare. Questo accumulo comporta un cambiamento della natura sedimentaria, che è intollerabile per la vita di questa specie, la qule si trova costretta a ridurre sempre più la superficie in cui può sopravvivere. Quando c’è un eccesso di materia organica nei sedimenti dei fondali, le anguille tendono ad andarsene. A questo punto mi sorge un’altra domanda: quando parliamo degli allevamenti delle anguille, allora, di cosa stiamo parlando, se l’animale non si può riprodurre in cattività? Presto detto: stiamo parlando di cieche catturate, svezzate e successivamente, una volta raggiunte le dimensioni di ragano (circa 10 centimetri) seminate in ambienti vallivi, ovvero le piane lagunari di basso fondale, lontane dalle foci marine; quello delle anguille è stato il primo alL’anguilla: facciamo un po’ di chiarezza

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levamento intensivo praticato in Italia, ma è stato in gran parte abbandonato, perché diventato dopo gli anni ’80 scarsamente redditizio rispetto all’allevamento di spigole e orate, maggiormente richieste dal mercato. È vero, sono stati fatti dei tentativi di riproduzione dell’anguilla in cattività, ma non hanno ancora dato esiti positivi. Ecco dunque che se si blocca il meccanismo, delicato e complesso, della riproduzione e dello sviluppo degli esemplari giovani, la specie intera si ritrova a rischio. E questa è stata la prima vera scoperta che ho fatto durante la mia ricerca.

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~ Linguine con le anguille [Taranto] ¬ Per 4 persone: quattro anguille da circa 150 g 350 g di linguine, 1 bottiglia di polpa di pomodoro 3 spicchi d’aglio quattro cucchiai di olio 1 mazzetto di prezzemolo tritato sale qb pepe a piacere

Fate soffriggere l’aglio in poco olio, e quando sarà dorato aggiungete le anguille pulite, eviscerate, private della testa e tagliate in pezzi grossi. Fate rosolare, e cuocere brevemente (10 minuti al massimo). Quando il pesce sarà cotto, toglietelo dal fuoco, e aggiungete all’olio di cottura il pomodoro, pepe e sale. Lasciate cuocere il sugo, e nel frattempo mettete a bollire l’acqua per la pasta. A cottura quasi ultimata, rimettete le anguille nel sugo, per amalgamarle bene al condimento. Scolate la pasta, e conditela direttamente nei piatti, aggiungendo il prezzemolo fresco tritato e a piacere del pepe.

~ Risotto con l’anguilla Per 4 persone: 350 g di anguilla 300 g di riso 1 spicchi d’aglio prezzemolo 1 foglia di alloro

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1 limone olio sale pepe

Spellate, sventrate, togliete la lisca all’anguilla e tagliatela a pezzi. Tritate l’aglio, il prezzemolo e soffriggeteli in ½ bicchiere d’olio. Unite l’anguilla, l’alloro, il succo di mezzo limone e un bicchiere di acqua; lasciate cuocere per 20 minuti. Aggiungete infine il riso, precedentemente cotto, e il sale portando a fine cottura.

~ Risi e bisato [Venezia] Questo un tempo era il piatto della vigilia di Natale veneziana. ¬ Per 4 persone: 350 g di riso 1 anguilla di circa 600g 1 l di fumetto di pesce o brodo di verdura 5 cucchiai di olio d’oliva 1 piccola cipolla ½ bicchiere di vino bianco secco 2 cucchiai di salsa di pomodoro sale, pepe.

Pulite accuratamente l’anguilla, eliminate la testa, lavatela, asciugatela e tagliatela a pezzi di 5 centimetri circa. Soffriggete nell’olio la cipolla tritata e rosolatevi i pezzi di anguilla. Quando hanno preso colore, bagnate con il vino bianco e lasciate consumare, quindi aggiungete la salsa di pomodoro e un po’ di brodo, e lasciate cuocere ancora per

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circa mezz’ora. Dopo aver salato e pepato, togliete dalla pentola l’anguilla e tenetela da parte al caldo, tranne un pezzetto che dovrete sbriciolare nell’intingolo di cottura. Rimettete poi la pentola sul fuoco, versatevi il riso, mescolate finché non abbia assorbito il sugo e portate a cottura aggiungendo il fumetto di pesce o il brodo, un mestolo alla volta. Fate in modo che il riso rimanga ben asciutto e infine servite disponendo i pezzi di anguilla ben caldi al centro di un piatto da portata e versatevi il riso intorno.

~ Risotto di anguilla al limone Una variante del risotto, che prevede però uno degli odori tipici che si accompagnano all’anguilla, ovvero l’alloro, e il limone, che toglie la sensazione di grasso che spesso la carne dell’anguilla può lasciare sul palato e rende più digeribile il piatto. Per 4 persone: 350 g di riso 400 g di anguille 1 l di brodo di pesce o brodo d verdure 5 cucchiai d’olio d’oliva ½ limone 1 spicchio d’aglio 1 mazzetto di prezzemolo 2 foglie d’alloro sale, pepe

Pulite le anguille, evisceratele, eliminate le teste e tagliatele a rocchi di 5 centimetri circa. Versate l’olio in una cas-

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seruola, aggiungete l’aglio e il prezzemolo tritati, lasciate soffriggere. Aggiungete poi l’anguilla, le foglie d’alloro, il succo di limone e salate. Lasciate cuocere a fiamma moderata. A metà cottura, eliminate l’alloro, togliete i pezzi di anguilla, spellateli e togliete la lisca, poi rimetteteli nella casseruola, aggiungendo il riso. Rosolate, e poi lasciate cuocere il riso versando il brodo poco alla volta. A fine cottura, aggiustate di sale e pepe, e servite subito. ,

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