Propaganda pop

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Davide Mazzocco

PROPAGANDA POP IL FASCINO DEL CONSENSO NELL’ERA DIGITALE



INTRODUZIONE



INTRODUZIONE

Propaganda: da vocabolario l’azione intesa a conquistare il favore o l’adesione di un pubblico sempre più vasto mediante ogni mezzo idoneo a influire sulla psicologia collettiva o sul comportamento delle masse. Siamo nel 2016 e la propaganda non è mai stata così in salute. Neanche nel secolo breve delle grandi ideologie e dei totalitarismi, neanche nel Novecento dei conflitti mondiali, delle guerre fredde, delle dittature e delle autocrazie la propaganda è mai stata così trasversale, invasiva, endemica, subliminale. Venuti meno i confini che separavano la vita pubblica da quella privata e la politica dall’informazione e dall’intrattenimento, la propaganda è diventata la forma privilegiata della comunicazione politico-economica e il sottotesto più o meno subliminale di una parte consistente della cultura mainstream. Non ci sono rifugi, né oasi, non ci sono ‘zone temperate’ in cui fuggire a una propaganda o alla contropropaganda che la contesta. Chiunque, a qualsiasi livello, partecipa al suo gioco, anche subendola, anche contestandola, superandola. In soli vent’anni il web ha rivoluzionato l’interazione sociale avvicinando, sempre di più, la relazione fisica fra gli individui a quella digitale mediata da uno schermo. Questo salto evolutivo dagli esiti assolutamente imprevedibili ha fornito un’idea di democratizzazione dei rapporti umani in cui, potenzialmente, chiunque

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può comunicare con il presidente degli Stati Uniti mandandogli un tweet. È ovviamente un’idea illusoria, ma in un’ottica propagandistica la distanza tra le categorie sociali è stata colmata e il signor John Smith o il signor Mario Rossi possono contattare pubblicamente i loro rispettivi capi di Stato e, nel giro di pochi secondi, questi hanno la possibilità di rispondere. Ora, lo spostamento da una comunicazione prioritariamente televisiva a una comunicazione che utilizza gli strumenti del digitale è anche un progressivo avvicinamento dell’utente al mezzo tecnologico, del corpo alla macchina: dai due-tre metri di distanza dallo schermo televisivo ai 40 centimetri dello schermo del Pc, per finire con i 20 centimetri dello smartphone e con i pochi millimetri dei Google Glass, la sottrazione della distanza è il dato ‘fisico’ di un significato ideologico. L’informazione è hic et nunc, è una seconda pelle. E il destinatario può diventare egli stesso fonte, nodo, traduttore, interprete, commentatore di un qualsivoglia evento. La rivoluzione dei tempi, dei modi e dei mezzi, il superamento delle categorie mentali e la contaminazione fra politica e spettacolo, fra comunicazione e intrattenimento, necessitano adesso di una nuova simbologia, una rinnovata retorica che cristallizzi in pochi e semplici nuclei ideologici il messaggio da veicolare. La propaganda pop è dunque da intendersi come una mitologia contemporanea: si serve di quegli archetipi che prendono forma nel dibattito pubblico, in un rapporto ormai osmotico fra produttori e consumatori, governanti e governati. Di conseguenza oggi la propaganda non può che diventare pop, adottando elementi estetici e simbolici attraenti per il pubblico di massa. Per farlo ha bisogno di archetipi, simboli, figure iconiche che vadano da una parte a contrastare l’inafferrabilità della società liquida successiva allo ‘scioglimento’ del mondo


1 Cfr. Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002.

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bipolare1, dall’altra a colmare la lacuna di riferimenti morali sempre più difficili da rintracciare in una politica e in un intrattenimento definitivamente mercificati. Nuovo, libertà, giovinezza, consumi, fede, identità, ambiente e democrazia sono le parole con le quali viene giocata la partita del presente, a qualsiasi latitudine. Una riflessione sui nuovi equilibri geopolitici e all’economia dell’età della crisi potrebbe portare a pensare che l’ideale dell’americanizzazione o dell’occidentalizzazione del mondo sia fallito, quando invece il soft power a stelle e strisce ha apertamente vinto la partita, anche nei luoghi più impensabili. Un esempio? Il 25 novembre 2014 Apple ha oltrepassato la barriera di 700 miliardi di capitalizzazione, vendendo, in un solo trimestre, 39 milioni di iPhone: stiamo parlando di un oggetto che, per quanto utile, non è affatto necessario, di un oggetto sostituibile con altri smartphone dotati delle stesse funzioni, ma di qualità inferiore. A fare la differenza è stato proprio il valore archetipico, che ha consentito ad Apple di diventare l’azienda con la maggiore capitalizzazione al mondo. Qualcuno potrebbe obiettare che questo primato è stato guadagnato grazie alla qualità, se non fosse che la qualità è al contrario un archetipo del passato (o, potremmo dire, un archetipo del passato subordinato a un archetipo del presente); i vecchi frigoriferi di una volta, le lavatrici chiassose e immortali degli anni Settanta e i tv color degli anni Ottanta erano la concretizzazione dell’idea di qualità. Pensiamo a “Zoppas li fa e nessuno li distrugge”, slogan di una nota casa produttrice di lavatrici che prometteva, testualmente, “una durata eterna”: in un’economia dominata dalla legge di Moore, secondo la quale “le prestazioni dei processori, e il numero dei transistor ad esso relativo, raddoppiano ogni 18 mesi”, l’eternità diventa un disvalore, quindi una lavatrice capace di durare decenni è

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antitetica al pensiero dominante che richiede un continuo ricambio degli accessori tecnologici. Il mercato e le leggi e le politiche che lo sostengono necessitano di simboli in grado di polarizzare le aspettative, perché sono le aspettative l’anima del commercio (e del voto). “Post coitum omne animal triste est” diceva Galeno di Pergamo riferendosi alla malinconia che segue l’atto sessuale, evidentemente imparentata con l’insoddisfazione alla base della dinamica produttoreconsumatore, quella che vede nella novità l’unico valore plausibile. Fra gli archetipi che resistono nell’immaginario comune, anche nell’epoca del digitale, vi sono la fede religiosa e la democrazia. Nonostante alterne fortune la fede religiosa continua a essere un forte elemento di coesione sociale. La democrazia, nel senso stretto del termine, come sistema di governo nel quale la sovranità è esercitata, direttamente o indirettamente, dall’insieme dei cittadini, è fortemente condizionata dall’ingerenza delle lobby dell’industria che veicolano il loro potere economico attraverso due persuasioni: quella nei confrtonti degli elettori, resa attraverso l’utilizzo dei media, e quella nei confronti della politica, ottenuta tramite il finanziamento dei partiti. La democrazia, continuamente evocata come regno del bene contro le forze del male dell’oligarchia, della dittatura e dell’autocrazia, è di frequente espressione di un oligopolio capace di tradire qualsiasi forma di patto pre elettorale. Il multitasking e l’ipercinesi che caratterizzano la contemporaneità, l’affievolirsi della memoria, la liquidità sociale e una nuova costruzione delle reti sociali filtrata da uno strumento in grado di controllare i nostri spostamenti, le nostre idee e preferenze, rimodellano il concetto di libertà, parola che viene resa merce e strumento da parte della politica e del mercato, che si nutrono, in realtà, dell’esatto opposto di questa: il controllo.


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Negli otto capitoli che seguiranno si parlerà molto di cinema, dal momento che questa forma d’arte, fin dai suoi primi decenni di vita, si è imposta come il più potente veicolo per le ideologie contemporanee e come mezzo di svago capace di imporsi globalmente e trasversalmente a generazioni, culture e ceti sociali. È stato il cinema a creare lo star system che, negli ultimi decenni, è diventato il modello per i primattori della politica e del mercato. Pensiamo a Barack Obama e Steve Jobs, all’immaginario che si è costruito intorno ai loro personaggi e a quanto questo immaginario sia lontano dai riscontri fattuali. Il cinema, più degli altri media, funge, a livello globale, da infrastruttura dell’immaginario. Pensiamo a come i media abbiano imposto canoni di bellezza stereotipati e a come il mito della giovinezza sia diventato un archetipo globalmente condiviso. Anche l’ecologia e la tutela dell’ambiente sono argomenti a uso e consumo della politica e del mercato che vogliono attrarre gli elettori e i consumatori più consapevoli, per poi tradirne le aspettative una volta ottenuto il loro voto. La fede invece è obbligata a rinunciare alla propria autoreferenzialità e ad aprirsi alla contaminazione con la cultura pop. Lo notiamo nella rivoluzione mediatica e sostanziale del pontificato di Papa Francesco e nella coeva mediatizzazione del fondamentalismo islamico. Contiguo alla fede è il principio dell’identità, il culto della difesa dei confini e delle radici che si rafforza in maniera inversamente proporzionale alla distribuzione del benessere. Strumento di propaganda che fornisce un facile accesso al consenso popolare, la difesa dell’identità coincide con la proposta politica della destra europea, diventa la scintilla con la quale far esplodere le tensioni etniche in Medio Oriente o nell’ex Unione Sovietica o innescare rivendicazioni separatiste, come in Catalogna o in Scozia.

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Per resistere sulla scena pubblica, gli archetipi hanno bisogno di essere reiterati fino allo sfinimento perché, come affermava Joseph Paul Goebbels, “una menzogna ripetuta all’infinito diventerà la verità”. Inoltre, per farsi pop, la propaganda ha bisogno di superare le categorie, avvicinare la politica ai cittadini con l’intrattenimento televisivo e, nella direzione opposta, far credere che l’intrattenimento quotidiano sui social network possa avere la valenza di un atto politico. Per non recitare il ruolo di attori passivi gli unici anticorpi sono quelli forniti dall’informazione che – a saperla scovare – non è mai stata così abbondante e accessibile come adesso. Inoltre, al lettore contemporaneo è concesso un ‘lusso’ non da poco: quello dell’ipertestualità e della facilità del confronto fra le fonti più diverse. Perché, come diceva San Tommaso D’Aquino, occorre sempre diffidare di chi ha letto un solo libro.

DAVIDE MAZZOCCO



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