Davide Ludovisi
Il potere dei dati IL DATA JOURNALISM E LE NUOVE FORME DEL COMUNICARE
Intervista a Luca Sofri
Luca Sofri è direttore de Il Post (www.ilpost.it), una testata giornalistica online nata nel 2010 e gestisce il blog Wittgenstein (www.wittgenstein.it). Come giornalista collabora anche con Internazionale e Vanity Fair, e in passato ha scritto per Il Foglio, l’Unità, GQ, Panorama, Diario, Wired e La Gazzetta dello Sport. È stato anche conduttore televisivo (La7), radiofonico (Radio2) e ha scritto diversi libri, tra cui Notizie che non lo erano (Rizzoli 2015), un saggio sulle notizie false, con particolare attenzione alle dinamiche del giornalismo online.
Di entrambi, e in generale di un’arretratezza culturale e un conservatorismo che in Italia riguardano ogni cosa. Naturalmente da maggiori poteri derivano maggiori responsabilità, come dice l’Uomo Ragno, quindi i giornalisti sono più colpevoli del ritardato adeguamento.
INTERVISTA A LUCA SOFRI
Se in Italia l’informazione online è percepita come ‘inferiore’ rispetto a quella cartacea, è dovuto più a un approccio stereotipato da parte dei lettori o dei giornalisti?
L’impressione è che le testate generaliste, soprattutto nelle versioni online, da noi abbiano timore a raccontare storie basate sui dati per paura di allontanare il pubblico e perché (banalizzo) si ottengono più click con una news sui gattini che con un articolo che spiega dei numeri. È anche questo un comodo stereotipo? Non lo chiamerei ‘timore’. In Italia c’è in generale una cospicua distanza dai fatti, nel racconto giornalistico: prevalgono le scelte narrative e letterarie, il sensazionalismo, e tutto ciò che ‘colpisce’ il lettore. La descrizione dei fatti e la spiegazione della realtà non sono una priorità, e i lettori non sono peraltro abituati ad averle come priorità. Per questo fanno pochi click. Poi non sopravvaluterei ‘i numeri’. Il data journalism deve essere considerato come giornalismo dei dati di fatto più che
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dei dati numerici: sono legati assieme, ma non bisogna pensare che il risultato del data journalism sia un’esposizione di numeri: è un’esposizione e un’analisi di fatti, a partire da indagini sui dati. Parliamo di soldi. Oltre ai contributi pubblici e al finanziamento attraverso la pubblicità, da noi potrebbero prendere piede modelli di business alternativi (penso per esempio a ProPublica, dove in parte sono grosse fondazioni non-profit e i lettori a finanziare direttamente i contenuti)? IL POTERE DEI DATI
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Non lo so. Ogni modello di business che funziona è legato a un particolare contesto e a un particolare prodotto. Non esistono soluzioni buone per tutti, e le ragioni dei successi sono spesso appese a batter d’ali. In Italia però non esistono fondazioni o istituzioni che finanziano progetti di informazione.
DAVIDE LUDOVISI
Leggendo il tuo libro Notizie che non lo erano in generale la qualità del giornalismo nostrano risulta piuttosto bassa (poco controllo delle fonti, approssimazione ecc.). Per un giornalista o aspirante tale che vuole fare data journalism, questo scenario rappresenta più un’opportunità o un ostacolo? Un’opportunità, se si vuole fare data journalism. Se si vuole uno stipendio, un ostacolo. Al Post fate un giornalismo piuttosto rigoroso, avete mai pensato di creare una sezione di data journalism? No. Perché come dicevo non ritengo il data journalism una categoria a sé. È una parte del metodo di ricerca e
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verifica delle notizie e dei fatti. In quanto tale lo applichiamo già in parte: nella gran parte in cui potremmo applicarlo ulteriormente la questione è di mancanza di risorse, come per molte cose che potremmo fare meglio.
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