narrative
Stefano Cecchi
Violitudine Il privilegio di tifare Fiorentina
PeRSoNaGGI
Pepito Per riconoscerlo tra i mille Rossi del pianeta calcio, quelli col nome tutt’attaccatto (Marcorossi, Paolorossi), viste le frequentazioni spagnole nel villarreal lo hanno chiamato Pepito. Ma sembra un sacrilegio. I campioni non hanno nomi da panino con la braciolina (‘el pepito de ternera’) o da romanzo con don Camillo (Pepito Sbazzeguti è il falso nome col quale si mimetizza Peppone per vincere al totocalcio). dunque meglio Jo Red, come lo chiamavano in Inghilterra ai tempi della sua permanenza a Manchester sponda united. In fondo, la sua è una storia che rimanda più al sogno americano che non alla sonnolenza da siesta iberica. adrenalina, mica melatonina. Giuseppe Rossi, campione viola destinato a illuminare il cielo sopra il Franchi, è infatti nipote di quell’Italia partita sui bastimenti e scesa nei porti del Mondo a cercare fortuna e vita. Figlio di un abruzzese e di una molisana, è nato nel New Jersey, terra più consona alla ruvidezza di una mazza da baseball che non alla carezza di un dribbling. Ma il sangue non mente nemmeno
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a distanza. e un italiano nel dna ha l’istinto di rincorrere una palla, mica di bastonare una pallina, che diamine. Certo, come odisseo, Marcel Proust, l’uomo Ragno e Leopardi, Pepito Rossi fa parte della categoria dei campioni con dolore. di quelli che sanno come per arrivare al successo si paghi sempre un prezzo fatto di sofferenze. Nel caso, la sua sofferenza è iniziata nell’ottobre del 2011 quando, giocando contro il Real Madrid, il ginocchio destro gli si è sbriciolato. da lì, un’odissea infinita fatta di ricadute e operazioni (tre) che potevano portarlo per sempre lontano dal calcio e dai suoi sogni traditi di campione (il Barcellona stava per acquistarlo per 35 milioni prima di preferirgli Sanchez). “Quando cade la tristezza / in fondo al cuore / come la neve non fa rumore”, avrebbe cantato un cantautore di certa fama in Italia. Per questo, quando nella prima gara del campiomato contro il Catania, dopo 700 giorni di buio freddo e senza rumori, è riuscito di nuovo a gonfiare la rete con un suo gol, la grigia neve che era caduta nel suo cuore si è sciolta con l’applauso caldo e liberatorio del Franchi. Momenti belli. e a proposito di bomber in miniatura. La Fiorentina ne ha conosciuti di varie categorie. L’indemoniato alla Marco Nappi. Il 9 ‘light’ alla ezio Sella. Il martellatore alla desolati. a quale categoria appartenga Giuseppe Rossi lo ha dimostrato semplicemente quando ha affondato con tre reti
PeRSoNaGGI
la Juventus, diventando per sempre il campione di una gara epica che, nei cuori viola, rimarrà in etreno accanto ad altre emozioni forti, l’uomo che cammina per la prima volta sulla Luna, il passaggio della cometa di halley. Roba che insomma ha a che fare con la meraviglia del Cosmo. Ma per raccontare la pasta di questo bomber-gentiluomo è più utile riandare a un altro suo gesto tecnico, compiuto contro il Catania. ovvero: quando, libero davanti ad andujar che oramai s’era rassegnato al peggio, invece di tirare e fare doppietta ha regalato la palla a Gomez per lasciare al compagno di attacco il privilegio del gol. e poco importa che Marione abbia sbatacchiato quella palla sul palo come un dertycia bavarese: quel gesto racconta la pasta del campione altruista non accecato dall’ego. Il ragazzo bomber che pensa al calcio come al coro del Nabucco e non all’urlo del soprano, il senso dello spogliatoio che va oltre lo stagno di Narciso. Peccato solo non abbia fatto in tempo a spiegarlo a Ljajić. Ma questa è un’altra storia che prima o poi andrà raccontata.
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