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GARDINI
La sua missione è trasmettere conoscenza e piacere di bere. Non a caso Forbes Italia lo ha definito il “talento rivoluzionario della comunicazione enoica” in Italia e nel mondo. Lui è il ravennate Luca Gardini, 42 anni, figlio d’arte dal genio precocissimo perché nessuno sa annusare, assaggiare, coccolare e quindi riconoscere un vino come lui. I prestigiosi riconoscimenti collezionati nel tempo parlano da soli: campione italiano dei sommelier (2004), a soli 24 anni, poi campione europeo (2009) e infine campione del mondo (2010). Da quando si è dedicato esclusivamente alla comunicazione, è presto diventato il primo critico italiano a entrare nella rosa dei wine-critic di Wine Searcher e ha ottenuto il premio BWW - Best Italy Wine Critic of the World 2022 da Tastingbook.com, la più grande comunità di professionisti e appassionati di vino, con decine di milioni di visite l’anno. Ottenere quest’ultimo, in pratica, è come vincere il pallone d’oro del vino. Una metafora pertinente visto che in molti lo considerano il ‘Maradona del vino’. Come pubblicazioni ha all’attivo, fra le altre, l’Enciclopedia del vino e Il bicchiere d’argento, oltre aI suo Il codice Gardini, un manuale pensato per gli amanti del vino, scritto con un linguaggio immediato e accessibile. Cura le nuove guide Espresso, collabora con Sport Week, Forbes e con la piattaforma Zachys negli Stati Uniti per anteprime del Brunello di Montalcino. In più, nel 2015 ha lanciato con successo il sito gardininotes.com, oggi noto come Wine Killer, un portale interamente in lingua inglese dedicato alle sue degustazioni di vini da tutto il mondo.
Luca Gardini, qual è il suo primo ricordo legato al vino?
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“Ero un bambino e mio nonno Bruno, che aveva un negozio di generi alimentari a Milano Marittima, era solito andare a sulle colline di Bertinoro a prendere il Sangiovese. Un bel giorno, mentre stava ultimando un travaso, lo spillatore mi spruzzò addosso del vino. Fu una sensazione indescrivibile.
Per questo, mi piace dire che sono cresciuto con il Sangiovese nel biberon frullato con i biscotti Plasmon. Era destino, il vino e io siamo una cosa sola.”
Suo padre Roberto è stato campione italiano dei sommelier nel 1993. Lo ha in qualche modo influenzato?
“Certamente l’essere nato in una casa in cui bazzicava vino ha avuto una sua rilevanza, anche perché il mondo del vino che ho conosciuto io è fatto di storia, cultura e territorio, valori in cui credo fortemente. Detto questo, lui ha fatto il suo percorso per così dire più classico all’interno delle associazioni di categoria, a cui io sono sempre stato inve-
DEL VINO. PER QUESTO, MI PIACE DIRE CHE SONO CRESCIUTO CON IL SANGIOVESE NEL BIBERON.” ce contrario. Poi me ne sono andato presto di casa, vivendo esperienze molto intense nel giro di pochi anni.”
Chi ha creduto per primo nel suo talento?
“Giancarlo Mondini, un amico di mio padre, che considero il mio maestro. Non potrò mai dimenticarlo. Il talento senza sacrificio non vale niente, mi ripeteva sempre. E così ho imparato che il sacrificio è la base del talento.”
Lei è cresciuto nella leggendaria cantina dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze, alla corte di Giorgio Pinchiorri, per tanti il miglior maître italiano di sempre. Cosa le è rimasto di quella esperienza?
“Giorgio mi ha coccolato e fatto conoscere i grandi vini a una giovanissima età, mi ha insegnato il mestiere come un padre. Un grandissimo regalo.”
Poi, per sei anni, è stato il regista della Carta dei Vini di Carlo Cracco a Milano. Cosa deve al grande chef e imprenditore?
“Carlo mi ha cresciuto e forgiato, facendomi capire l’importanza del carisma nel fare questo mestiere. Con lui i rapporti sono tuttora buoni, come è giusto che sia tra due professioni teste di serie.”
Nel 2011 la svolta verso l’arte della comunicazione. Lei è il primo ad aver messo i jeans alla figura del sommelier, togliendo giacca, cravatta e tastevin (Ndr, la piccola tazza tonda con il fondo martellato che un tempo qualificava il sommelier). Perché?
“Per far bene comunicazione e condividere quanto si è imparato con tutti, bisogna essere semplici e diretti. Occorre promuovere la cultura del vino senza farla cadere dall’alto. Le associazioni di categoria sono un buon punto di partenza ma vanno rinnovate completamente, si sono troppo ingessate e hanno creato loop mentali e tecniche vecchie. Chi l’ha detto che il carciofo non va abbinato al vino? Chi l’ha detto che per riconoscere un buon vino serva annusarlo a lungo e poi dilungarsi in un infinito elenco di profumi di fiori e di frutti che non si trovano nemmeno in un orto botanico? Così, il povero appassionato di vino si spaventa. La verità
Da 20 anni selezioniamo ogni giorno solo materie prime d’eccellenza per offrire ai nostri ospiti un’esperienza coinvolgente fatta di ricerca ed equilibrio con lo sguardo aperto di chi riscopre continuamente la bellezza e i sapori del nostro mare e della nostra terra.
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Rotonda Don Minzoni 13 48016 Milano Marittima (RA)
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+39 348 4433793 info@felixristorante.com è che l’abbinamento perfetto non esiste, ma solo quello ideale per ciascuno. L’abbinamento è emozione, testa, anima e golosità. E poi i sommelier devono sbronzarsi almeno una volta, ovviamente nel giusto contesto e quando non si deve guidare. Non servono gargarismi, il vino è passione e va tenuto in bocca, la sua bontà va riconosciuta anche qualora non dovesse corrispondere al proprio stile di bevuta.”
L’Italia paga quindi lo scotto di cattiva comunicazione. In quale direzione bisogna andare?
“Se siamo sempre stati un po’ indietro è perché in fondo tendiamo a denigrarci, a ricercare confronti. E la Romagna ne è un pessimo esempio. Non dobbiamo collocarci, ma puntare in alto. E per farlo c’è bisogno di parlare del nostro territorio, valorizzando i punti di forza dei nostri vitigni. Poi sarà il cliente a scegliere. Il vino non ha bisogno di novità ma di innovazione, perché è già di per sé storia, arte e cultura.”
Inevitabile chiederle cosa preferisce il suo palato: quali i vitigni e i vini migliori?
“I miei vitigni rossi preferiti sono Sangiovese, Nebbiolo, Riesling, Cabernet Franc e Pinot Nero. Per i bianchi punto sul Rebula della Slovenia e Malvasia del Friuli, per i rossi Lo Schioppettino di Prepotto e Aglianico del Taburno. Miglior vino rosato? Il Jet di Castello di Montepò. Il mio preferito tra gli orange è poi il Vitovska di Zidarich. Tra i bianchi adoro Strati degli Ottomani, tra i rossi il Galatrona di Petrolo e tra i dolci il Marsala di De Bartoli.”
I cinque vini del cuore?
“Cabochon di Monte Rossa Franciacorta, Barolo Ravera di Cogno, Sette della Tenuta Sette Ponti, Verdicchio Le Vaglie di Stefano Antonucci, Trebbiano Fosso Cancelli di Chiara Ciavolich.”
La più grande bevuta fatta?
“Un vino Magnum di Chateau Cheval Blanc del 1947 (Ndr, considerata la migliore annata del secolo. Due casse di questo vino sono state battute all’asta di Sotheby’s nel 2020 a 242 mila e 229.900 sterline).”
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