12 minute read
I protagonisti del clean climbing
from CLEAN CLIMBING
Ma il fatto di non utilizzare chiodi era il risultato della mancanza, in certi tratti di parete, di fessure o buchi adatti ad accoglierli. Quando era possibile mettere un chiodo, esso veniva utilizzato non solo per la protezione, ma anche per la progressione. L’arrampicata alpinistica nei decenni successivi assunse questi connotati. Da un lato “i liberisti”, che arrampicavano essenzialmente in libera proteggendosi con pochi chiodi, dall’altra “gli artificialisti”, che miravano al superamento della parete con qualsiasi mezzo.
Anche in Inghilterra, comunque, si parla di arrampicata senza chiodi sin dagli anni venti: alcune fonti riportano che nel 1926 Morley Wood, durante la prima salita di Piggot’s Climb (VS) al Llamberis Pass (Galles), fu il primo climber a usare dei ciottoli bucati con un cordino passante con lo scopo di proteggersi durante la scalata. In Inghilterra essi furono poi rimpiazzati dai così detti nut durante gli anni cinquanta. Nel 1961, John Brailsford di Sheffield, Inghilterra, fu il primo a pensare di produrre nut creando un’impresa apposita. Parallelamente anche la Sassonia, nell’Europa centrale, conobbe uno sviluppo dell’arrampicata completamente differente rispetto ad altre zone. La morfologia delle pareti, torri di arenaria piuttosto sabbiosa, non permetteva l’utilizzo dei chiodi. Certo essi potevano essere utilizzati, ma nell’arenaria sabbiosa non davano nessuna sicurezza. Anche i nut e i friend, a differenza di altre zone, non permettevano una protezione affidabile e vennero pertanto banditi perché intaccavano l’arenaria cambiando la morfologia delle fessure. In Sassonia e in Boemia si affermò pertanto una forma molto particolare di clean climbing, in cui l’unica protezione ammessa era costituita dai cordini, opportunamente annodati e strozzati nelle fessure. Nei tratti dove questo non fosse stato possibile, era tuttavia consentita l’infissione di anelli fissati con piombo fuso, messi però a grandi distanze tra loro e rigorosamente salendo dal basso. Anche se queste vie potrebbero, a ragione, non far parte del clean climbing, presentando di fatto la presenza di chiodi a espansione, va tenuto presente che sono moltissime le vie in Sassonia che sono completamente pulite e la cui salita è psicologicamente molto impegnativa. Inoltre, allora come oggi, non è ammesso l’utilizzo dei nut e i friend, dunque l’impegno originario è rimasto immutato.
Volendo limitarci tuttavia al clean climbing propriamente detto, e cioè quello che si diffuse a partire dagli anni sessanta e poi nel decennio successivo fu etichettato col questo termine, non si può non ricordare alcuni pionieri che furono fondamentali per lo sviluppo negli anni successivi di questo stile.
Joe Brown, inglese, fu sicuramente uno dei precursori dell’arrampicata libera e pose le basi per quello che sarebbe poi divenuto il clean climbing. Nel 1951 e 1952 superò in libera alcune vie vicino al Llamberis Pass (Galles) su difficoltà che oggi sono ritenute intorno al 6b. La Fissure Brown sulle Aiguille de Chamonix, superata nel 1954 con Don Whillans, è ritenuta uno dei primi 5.11 (6c) della storia oltre che una fessura larga e improteggibile (offwidth). Per proteggersi, Brown incastrò dei sassi che si fece passare dal compagno e intorno ad essi ci fece passare dei cordini, praticamente una sorta di nut preistorico... Anche se il 5.11 era già stato superato prima da altri arrampicatori (nel 1949 è accreditata a Peter Harding la salita di un 6c expo nel Peak District), l’apporto di Brown al clean climbing fu fondamentale, in quanto fu lui a promuovere il concetto di nut da incastrare nelle fessure e poi togliere da parte del secondo di cordata.
Parallelamente, in America, John Gill stava sconvolgendo l’arrampicata con alcune rivoluzionarie innovazioni che gli derivavano dal suo passato di ginnasta.
rotazione
irregolarità
buco o scalino rotazione
forza forza
Possiamo eventualmente unire dadi e tricam nello stesso moschettone.
In buchi o fessure orizzontali
Avvolgiamo come prima cosa la fettuccia dentro i binari e inseriamo il tricam nel buco o nella fessura con la punta rivolta verso il basso e la fettuccia che esce dalla parte superiore. Strattoniamo la fettuccia per verificare la tenuta del dispositivo, che dovrebbe ruotare e fermare saldamente i binari contro la roccia. Una volta soddisfatti sganciamo il tricam dal mazzo e posizioniamo sulla fettuccia un rinvio sufficientemente lungo per fare in modo che la corda non lo smuova durante la salita. Con un po’ di pratica riusciremo a fare queste operazioni anche con una mano sola.
In fessure verticali
Avvolgiamo la fettuccia dentro i binari e inseriamo il tricam nella fessura con la punta che guarda verso il basso, alloggiandola nel foro o nella costrizione adatta a contenerla, che dobbiamo avere preventivamente individuato su uno dei lati della fessura. In questo modo la fettuccia cadrà verso il basso (direzione di caduta) e i binari toccheranno la fessura sulla parte opposta rispetto al fulcro. Diamo a questo punto un bello strattone per assicurare il più possibile il dispositivo in posizione, sganciamolo dal mazzo e posizioniamo un rinvio sulla fettuccia. In questa situazione è ancora più importante che il rinvio sia sufficientemente lungo e la corda sia libera di scorrere senza spostare il dispositivo; utilizziamo anche un cordino se necessario.
Modalità passiva
Piazzare semplicemente il dispositivo nella costrizione senza necessità di avvolgere la fettuccia tra i binari: sarà comunque più difficile da inserire rispetto a un dado. In alcuni casi possiamo comunque avvolgere la fettuccia prima di inserire il tricam per un posizionamento di tipo passivo; questo creerà una azione congiunta che renderà il posizionamento più efficace (anche se più laborioso).
Rimozione dei tricam
Per rimuovere un tricam cerchiamo di rilassare la fettuccia per invertire il processo di rotazione. Se il dispositivo si fosse incastrato a seguito di uno strattone o di un volo, potrebbe essere necessario l’aiuto del cava-nut, unitamente a un martello o una pietra per smuoverlo. Una volta smosso e riportato il tricam nella posizione in cui lo abbiamo inserito, se vogliamo riuscire a estrarlo potrebbe essere comunque necessario il cava-nut per sollevare il fulcro dal buco che lo teneva in posizione.
PROTEZIONI ATTIVE Ball nut
I ball nut sono un dispositivo composto da un sottile rettangolo di metallo su cui è incisa una scanalatura a “V”, e da una “pallina”, che spinta da una molla è in grado di scorrere lungo questa scanalatura facendo assumere un diverso spessore al dispositivo durante il suo tragitto.
grilletto
scanalatura
pallina premendo
Se tiriamo tutta la molla, la pallina si ritirerà quasi completamente all’interno della parte più profonda della scanalatura; al suo rilascio risalirà invece lungo quest’ultima sporgendo sempre più dal rettangolo di metallo. Essendo estremamente sottili, i ball nut sono in grado di proteggere fessure dove nemmeno il più piccolo dei friend riesce a entrare, molto utili ad esempio per proteggersi nei buchi lasciati dalla rimozione di chiodi. Questo è vero in particolare per le misure #1 e #2. A partire dalla #3 possono essere sostituiti in maniera più efficace da micro friend, che essendo in grado di distribuire la forza su una superficie di roccia maggiore, risultano in genere più sicuri.
Per via delle dimensioni esigue e concentrando l’attrito contro la roccia su una superficie molto piccola (la pallina appunto), dobbiamo fare attenzione al fatto che la superficie di contatto non sia troppo liscia ma offra qualche tipo di appoggio o supporto per la pallina, altrimenti è facile che il dispositivo non sia in grado di reggere alla forza del volo e fuoriesca dalla fessura. Da notare che questo si può verificare anche se il dispositivo sembra reggere bene a strattoni di prova o al carico del nostro peso in maniera statica. Anche se a prima vista il dispositivo sembra ben piazzato, è difficile stabilire a priori quanto questo possa reggere. Usate quindi la massima attenzione prima di fidarvi ciecamente. Inoltre, su rocce tenere come l’arenaria o quando il granito presenta fragili cristalli superficiali, è possibile che il dispositivo provochi la rottura della roccia, causandone anche in questo caso la fuoriuscita.
I ball nut prediligono quindi rocce dure come il granito, e possibilmente “rugose”, per offrire alla pallina la massima aderenza possibile alle pareti della fessura. In queste condizioni sono assolutamente in grado di trattenere anche lunghi voli.
Se le condizioni non sono tali, possiamo comunque utilizzare i ball nut per progredire in artificiale, senza dover rovinare la roccia piantando chiodi.
Vantaggi dei ball nut
• Indispensabili in piccole fessure parallele dove nessun
friend riesce a entrare (esempio: fori lasciati dalla rimozione di chiodi); • Facili da posizionare (stesso processo di un friend); • Essendo dispositivi a espansione attiva, tendono a essere meno smossi dalla corda rispetto ai dadi.
Svantaggi dei ball nut
• Difficile prevederne l’effettiva tenuta in caso di volo
(per questo motivo è preferibile un micro friend, se possibile, al posto dei ball nut di dimensioni maggiori); • Possono essere difficili da rimuovere senza cava-nut in caso di volo o anche semplicemente a seguito di forti strattoni di prova.
Posizionamento dei ball nut
Raccogliamo i ball nut in un moschettone semplice, possibilmente senza il dentino, come fossero dadi. Possono essere messi senza alcun problema in mezzo al mazzetto dei dadi. Per inserire il ball nut nella fessura azioniamo il grilletto, che farà ritirare la pallina nella scanalatura; a questo punto cerchiamo di inserire il dispositivo nella fessura assicurandoci di
posizionare la pallina contro qualche asperità della fessu-
ra o per lo meno sul lato meno liscio di quest’ultima. A questo punto rilasciamo il grilletto e controlliamo che la pallina non scorra troppo all’interno del dispositivo prima di bloccarsi. Durante un volo la pallina potrebbe percorrere un’ulteriore porzione del suo tragitto prima di arrestare la caduta (anche tra il 25% e il 50%). Un piazzamento ideale è quindi abbastanza “stretto”, all’interno del primo 25% di percorso della pallina. Una volta soddisfatti del posizionamento inseriamo un rinvio sul ball nut e testiamone la tenuta con forti strattoni, tenendo bene a mente che questi non sono sufficienti a darci garanzia che il dispositivo tenga in caso di volo. I ball nut, come i friend, sono tenuti in posizione dall’azione della molla, e tendono quindi a essere meno smossi dalla corda rispetto ai dadi. In certi casi però l’azione della corda potrebbe far ruotare il ball nut verso l’alto. Facciamo attenzione che questo non ne possa compromettere la tenuta e, nel caso, allunghiamo la protezione con un rinvio o una fettuccia lunga a sufficienza.
Un piazzamento sicuro per un ball nut, dove la pallina è bloccata dalle asperità della roccia
Rimozione dei ball nut
Premere sul grilletto per far rientrare la pallina all’interno della scanalatura e liberare il dispositivo. È facile che la pallina si incastri a seguito di un volo o di forti strattoni di prova: nel caso potrebbero essere necessari un cava-nut e un martello (o una pietra) per sbloccarla.
Friend
I friend sono il dispositivo che ha rivoluzionato l’arrampicata in fessura, e non solo, a partire dalla fine degli anni ’70. Sono infatti l’unica protezione sicura, rapida ed efficace per la protezione di fessure lisce e parallele e sono attrezzi indispensabili nel corredo di chiunque si voglia avvicinare all’arrampicata “clean”. I friend sono costituiti da uno stelo centrale su cui sono inserite una serie di camme di metallo tenute in tensione da una molla (solitamente quattro, ma esistono anche versioni a tre camme). Queste camme, grazie alla loro costruzione a “spirale logaritmica” sono in grado di mantenere un angolo costante tra di esse e le pareti della fessura, indipendentemente da quanto siano “chiuse” o “aperte”. Questo angolo costante assicura sempre il massimo attrito possibile tra le camme e la roccia, e consente di trasformare la forza di spinta verso il basso sullo stelo in forza di spinta laterale sulle pareti della fessura. In questo modo il forte attrito generato tra le camme e la roccia è in grado di tenere il friend in posizione.
Questo dovrebbe essere sufficiente ad allungare di parecchio la vita del guantino, ma se notiamo l’inizio di un cedimento intorno all’occhiello possiamo rinforzarlo con il nastro nella maniera seguente: con strisce sottili fasciamo i lati dell’occhiello nella direzione del carico e applichiamo due strati per parte. Con altre due strisce di nastro, una più sottile e una più spessa, andiamo a fissare sopra e sotto l’occhiello le strisce messe in precedenza, facendo un paio di giri intorno. Questa operazione, se fatta per tempo, regalerà un po’ di vita in più ai nostri vecchi guantini.
1 2 3 4
x2 x2
Per le fessure di mano larga (cups), dove l’incastro fa pressione in maniera abbastanza dolorosa sulla parte appena sottostante le nocche, prima di infilare i guantini può essere
utile applicare un paio di strisce di nastro a protezione di
quell’area.
Se necessario possiamo anche proteggere con uno o più strati di nastro l’intero dorso della mano al di sotto dei guantini; questo ci darà un’ulteriore protezione al prezzo di un leggero aumento di spessore.
Se è necessaria la fasciatura del pollice ricordiamoci di eseguirla prima di infilarci i guantini!
Daniel Haböck in fase di nastratura Foto: Michele Caminati/Arch. Wild Country
03. DITO A CIAMBELLA (friend #0.4 largo/#0.5 stretto)
Nastratura consigliata Fasciatura completa del dito.
È possibile realizzare questo incastro particolare quando la dimensione della fessura è appena sufficiente a ospitare la nocca del dito. Viene realizzato generalmente utilizzando il dito medio, quello più forte, ma può essere fatto anche con indice o anulare. In genere le dita hanno uno spessore leggermente differente e una di queste potrebbe prestarsi meglio a questo incastro, dato che il margine di larghezza su cui è possibile eseguirlo è davvero millimetrico. Inserire il dito disteso e rilassato nella fessura. Una volta all’interno chiudere con forza il dito provocando l’espansione dei tessuti molli intorno alla nocca, che forniranno l’attrito necessario all’incastro. Può essere eseguito dritto o rovescio. Il grosso vantaggio di questo tipo di incastro è che non si deve compiere alcun movimento di torsione o rotazione per farlo funzionare; saremo quindi liberi di muoverci in ogni direzione con il corpo senza scaricare l’incastro. Lo svantaggio è che non è un incastro molto forte e risulta abbastanza traumatico per il dito e per la nocca.