UP CLIMBING #23 - CLEAN CLIMBING

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BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO

STORIA DI COPERTINA Trad & Crack. Una storia di emozioni da Gaia a Greenspit / BohuslänCrack Paradise / Arrampicata clean, tra perfezione e compromesso. James Pearson ITW / Ignacio Mulero Trad Passion / Il Clean Climbing secondo Mike Hutton / Clean climber da sempre. Tom Randall ITW / La maniera più profonda / Star Trek , una scalata “clean”, ma non troppo / Il Clean Climbing in Corsica / The clean way FOCUS Arrampicata in Wyoming Ideas Metodo vade retro di L. Merlo Ekarrrt Conquistatori dell’utile di A. Conz Vertical Tales Astroman Jollypower Questioni di tattica

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EDIZIONI
8.00 € in edicola il 20 marzo 2023 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A. P. Aut. n° MBPA/LO-NO/048/A.P./2019 Periodico Roc -NE/VR
VERSANTE SUD #23
mar/apr 2023
CLEAN CLIMBING

La scalata fluida, di vertente e di namica ha un nuovo MANTRA Sensibilità massima, adattabilità a ogni superficie e ritorno elastico sono il risultato dell’unione dei migliori ingre di enti tecnologici con la magia La Sportiva: No-Edge™ , Dynamic Technology™ e P3 System™ .

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Sommario

004 Editoriale di Richard Felderer

STORIA DI COPERTINA

006 Trad & Crack Una storia di emozioni da Gaia a Greenspit di Michele Caminati

018 Bohuslän - Crack Paradise di Michele Caminati

028 Arrampicata clean, tra perfezione e compromesso James Pearson ITW a cura di Richard Felderer

038 Ignacio Mulero trad passion di Ignacio Mulero

050 Il Clean Climbing secondo Mike Hutton di Mike Hutton

056 Clean climber da sempre Tom Randall ITW a cura di Silvia Rialdi

064 La maniera più profonda di Mauro Calibani

068 Star Trek, una scalata “clean”, ma non troppo di Samuele Mazzolini

072 Il Clean Climbing in Corsica di Jean François Andreucci

086 The clean way di Francesco Deiana

FOCUS

095 Arrampicata in Wyoming di Miriam Aloisio

IDEAS

106 Metodo vade retro di Lorenzo Merlo Ekarrrt

110 Conquistatori dell’utile di Alessio Conz

VERTICAL TALES

112 Astroman di Giacomo Meliffi

JOLLYPOWER

116 Questioni di tattica a cura di Alessandro Jolly Lamberti

VETRINA

118 Proposte prodotti

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Editoriale

Il fantastico mondo di “Facciamo che!” e la resa dei conti.

Trad, clean, french free, rotpunkt, redpoint, pinkpoint, headpoint...

Il glossario dello scalatore moderno deve essere sempre aggiornato, e… attenti alle sfaccettature!

Vi si aspetta dietro l’angolo incappucciati per picchiarvi se fate un errore, anche solo una sbavatura!

Quindi giocando un po’ con le parole vediamo di capirne qualcosa in maniera sistemica. E allora spingiamoci oltre le colonne d’Ercole, ed entriamo nel fantastico mondo di: “Facciamo che!”

E per farlo partiamo dai fatti, che è più facile! Poi giochiamo.

Il modo più semplice e puro di scalare una parete o una via è quello di andarvi sotto e salirla senza niente che ci aiuti nella progressione e ci protegga dalla morte in caso di caduta. Viene fatta una concessione solo per scarpette e magnesite.

Gli anglofoni lo chiamano free solo. Nel mio slang la chiamo “slego”, ma non sono così vincolato alle parole. Il free solo nel gioco che ci inventiamo noi scalatori forse non appartiene al pianeta “facciamo che!” perché a differenza di tutti gli altri, quando cadi il gioco è finito. Non c’è “facciamo che” che tenga, e in

caso di errore il gioco finisce per sempre. Agli antipodi del pianeta “facciamo che!” ci sono le ferrate, sulle quali non esprimo il mio pensiero, ma che se scomparissero da questo pianeta ideale non credo che verserei molte lacrime. Ma per continuare nel gioco, diciamo che nello stesso emisfero, suo malgrado, c’è l’artif puro, quello in cui quasi il corpo non tocca la roccia, ma si sale una parete solo con ausilio di diavolerie tecniche, friend, nut e chiodi fra le più semplici da capire. Ma poi rurp, copper, big fish, bat hook e la lista si allunga. Si piazzano o appoggiano, o incastrano tali strumenti nella roccia in qualche maniera e ci si issa verso l’alto a volte anche solo di poche spanne alla ricerca di un sistema per muovere il prossimo passo. E così per un bel po’. Durante le rivoluzioni del nostro pianeta immaginario intorno al sole questo stile ha avuto periodi di luce e altri d’ombra. E se il tema vi incuriosisce e volete saperne di più, l’editore è già pronto con un bel volume dal titolo “intelligenza artificiale”, ottimamente scritto da Fabio Elli e Diego “Jim” Pezzoli. Il perché del soprannome dovrebbe stimolare il lettore ad approfondire il tema. Ma andiamo avanti e esploriamo questo nuovo mondo!

Nelle terre di mezzo c’è di tutto, e quanto sembra

Testo Richard Felderer
Editoriale 4

andare per la maggiore da cinquant’anni a questa parte è il gioco/disciplina piuttosto infantile ma sempre valida del “free climbing”. Le cui regole sono semplici. Facciamo che parto da terra e arrivo in cima al muro di roccia, alla parete, senza mai appendermi, come se fossi in free solo, ma con la corda di sicurezza che passerà nei rinvii a proteggermi in caso di caduta. Facciamo che!

E così ho dimostrato che sono arrivato in cima alla parete senza usare altro che le mie mani e i miei piedi per la progressione.

Anche questa filosofia viene poi tirata per i capelli. Ad esempio Honnold, quando fece il Triple Crown (concatenamento delle tre pareti simbolo di Joesemite: Nose, Half Dome e Mount Watkins slegato), aveva però imbrago e daisy chain, tirava qualche protezione e proteggeva qualche passo. Una sorta di french free senza corda. Che nel fantastico mondo di “facciamo che!” va benissimo. È stato onesto, chiaro e comunque ha fatto una cosa incredibile, sia ben chiaro! Poi, se ci annoiamo, volendo analizzare il gioco un po’ più a fondo, sarebbe interessante vedere a cosa attacchiamo i nostri rinvii! Li attacchiamo agli spit, ai friend, ai nut, ai chiodi? Un po’ e un po’? Facciamo che non ci siano protezioni fisse, siano esse chiodi o spit.

Se salgo una parete che non offre possibilità di agganciarmi in qualche maniera ad alcunché di preposizionato in maniera fissa, allora possiamo parlare di trad. O forse di clean. Dipende dal periodo storico, da alcune sfaccettature relative ai chiodi e altri cavilli.

In questa isoletta del pianeta “facciamo che”, probabilmente mi piace pensare che il denominatore comune sia l’integrità della roccia e la sua pulizia. Il fatto di affrontare una parete e lasciarla come sfida ai posteri esattamente come l’abbiamo trovata, senza compromessi.

Il trad in questi ultimi anni si sta espandendo, un po’ come gioco più complesso dell’arrampicata sportiva, un po’ come preparazione a vie lunghe o nuove aperture, dove saper posizionare un friend o un cliff in fretta può tornare molto utile!

Certo, rimane un’isola piccola e poco popolata, un gioco che non godrà mai di un grande numero di praticanti (almeno nel Bel Paese, in UK è la norma), in nome della sicurezza e di altre panzane politically correct. Ma che di sicuro desta interesse e affascina, perché porta il gioco a diventare più difficile, pericoloso e sempre più vicino all’annullamento del compromesso, la fine del gioco stesso e il redde rationem, la resa dei conti!

Michele Caminati su Slagsmålsklubben (Fight Club), 7b+, Amaliagrottan (Svezia).
Editoriale 5
Foto: Michele Caminati

Trad & Crack

Una storia di emozioni da Gaia a Greenspit

Storia 6
Testo Michele Caminati

Ho mosso i primi passi d’arrampicata nella palestra “Rock Dome” di Parma, quando avevo circa tredici anni. In palestra c’era una vecchia televisione con un videoregistratore, in cui giravano film di arrampicata: il film di François Legrand sull’arrampicata in Thailandia, quello di Ben Moon e Jerry Moffatt dove facevano boulder a Fontainebleau e poi lui, Hard Grit. Ricordo ancora la prima volta che venne proiettato: si era formato un gruppetto di persone attorno alla televisione, e sempre in più smettevano di arrampicare per accorrere a vedere di cosa si trattasse.

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Michele Caminati su Braille Trail, E7 6c, Peak District. Foto: Michele Caminati
Storia

Il volo di Jean-Minh Trin-Thieu nella scena di apertura, con il sottofondo audio del cuore che batte, è sicuramente una delle immagini più “forti” di arrampicata che siano mai state girate; ne rimasi affascinato, colpito e turbato al tempo stesso. Quel video e l’arrampicata che in esso veniva presentata mi sembravano una cosa “primordiale”, un tuffo nel passato e nel futuro al tempo stesso; una cosa abbastanza intuitiva da immaginare per me, che stavo muovendo i primi passi tra i boulder dei Lagoni e talvolta avevo bisogno di una corda dall’alto per provare o pulire i passaggi. Non avevo un trapano né tantomeno sapevo come si mettesse uno spit. Andavo con i miei spezzoni di corda, che legavo attorno ad alberi o spuntoni di roccia e non avevo né dadi né friend. Ricordo una volta di aver appeso un crash pad a un masso, utilizzando un moschettone a mo’ di cliff; probabilmente quello è stato il primo “piazzamento” della mia vita ora che ci penso.

“FECI BOULDER PER PARECCHI ANNI, SPESSO DA SOLO, E ARRIVAI AD AVERE UNA CERTA ESPERIENZA ANCHE SU QUELLI PIÙ ALTI.

FONTAINEBLEAU E CRESCIANO ERANO ORMAI PER ME COME CASA, AVEVO ESPLORATO LA MAGGIOR PARTE DELLE AREE BOULDER D’ITALIA E NON SOLO; NEL PEAK DISTRICT PERÒ ERO

STATO SOLO UNA MANCIATA DI GIORNI, APPENA SUFFICIENTI A FARE UN PAIO DI BLOCCHI FAMOSI COME DELIVERANCE E BRAD PIT, MA NON CERTO SUFFICIENTI PER APPREZZARE DAVVERO COSA VOLESSE DIRE LA SCALATA SU GRITSTONE; “GOD’S OWN ROCK” COME DICONO GLI INGLESI!

In quei giorni avevo fatto comunque in tempo a vedere qualcuno che traversava la parete slegato, a 15 metri di altezza, e in cuor mio pensai che mai avrei fatto una cosa del genere, di questo ne ero certo. Lo ero? Fu nel febbraio 2011 quando finalmente ebbi l’occasione di visitare il Peak District in maniera più approfondita. Partii in auto con un mio amico di Siena, grande appassionato e utente attivo del forum inglese UKBouldering. Non c’era un piano ben preciso: grazie ai suoi contatti fummo ospitati entrambi per una settimana, poi il mio amico partì e io ebbi la fortuna di trovare un’altra sistemazione per un po’ di tempo a casa di altri scalatori, all’incirca miei coetanei. Finii per stare da loro quasi un mese, buttato su un materasso nella stanzetta dove tenevano alcuni strumenti musicali. A quei ragazzi devo tantissimo di quello

che sono ora: ero probabilmente finito in casa con il gruppo di giovani scalatori più forti d’Inghilterra ai tempi, un paio di loro potreste averli sentiti nominare, hanno fondato una certa azienda che vende travi di legno, dal nome “Beastmaker”.

Tutti i giorni, almeno quando non pioveva, mi aggregavo a qualcuno di loro per scalare. Si andava a provare dei boulder difficili, o talvolta delle vie trad corte con i crash pad, in fin dei conti erano boulder anche loro, solo un poco più alti. In quei giorni, seguendo le loro orme, salii le prime vie classiche senza corda: Archangel E3 5b, White Wand E5 6a, Ulysses’ Bow E6 6b. Feci persino la mia prima via mettendo qualche protezione: Unfamiliar E8 6c, che non era altro che un highball di 7c, al termine del quale bisognava mettere delle protezioni per il ribaltamento finale. Con l’arrivo della primavera e delle giornate più miti, andammo sempre più spesso a provare qualche via trad con corda e protezioni, oppure a fare qualche facile solitaria, giusto per godere del movimento e della scalata. Fu così che imparai pian piano a gestirmi, ad affrontare le cose per gradi e a controllare le mie paure. Più che altro a conoscere le mie paure: è essenziale infatti comprendere come la nostra mente possa reagire, dato che in certi casi, soprattutto su terreno facile, non c’è spazio per esitazioni o attimi di panico. Imparai sia ad essere confidente e “azzardare” quando potevo permettermelo, che ad essere calmo e rilassato ove le difficoltà rientravano nel mio margine di sicurezza. Imparai soprattutto a capire quando era il caso di rinunciare, anche se poi un paio di volte non sono stato molto bravo in questo… Così arrivarono anche le prime salite “ground-up” (senza ispezione con corda dall’alto) di soddisfazione, come Balance it is E7 6c, e infine, uno degli ultimi giorni di quella indimenticabile vacanza, mi trovai persino in cima a Gaia E8 6c, la famosa via della scena di apertura di Hard Grit, che tanto negli anni avevo sognato. Nel 2011 partii per l’Inghilterra come boulderista, ma tornai profondamente cambiato, si era accesa in me una miccia che tutt’ora continua ad ardere e ad alimentare la mia passione di scalata. Tornato a casa ebbi poi l’occasione di partecipare al raduno internazionale del CAAI in valle dell’Orco. Ero già stato nel 2010, più che altro come curioso spettatore, ma quando tornai nel 2012, arricchito dall’esperienza inglese, riuscii veramente a sperimentare e a divertirmi. Salii proteggendomi il primo tiro di Cannabis (7b), ed ebbi persino l’occasione di provare Greenspit (8b), assieme a Pete Whittaker, che ne fece una seconda ripetizione davanti al nostro naso per scattare delle fotografie. All’epoca facevo l’8b+

8 Storia Trad &
Michele Caminati su Ganja, 8a+, Zillertal. Foto: Claudia Amatruda
Crack
9 Storia Trad & Crack

Storia Trad & Crack

Claudia Amatruda su Diagoline, 6c, Bolzano. Foto: Michele Caminati

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Nel 2019 dopo varie vicissitudini, il mio incidente in Inghilterra su The Elder Statesman, e un lungo periodo di ripresa riuscii finalmente a salire Greenspit. Ma con quella salita non passò di certo la mia voglia di esplorare il mondo delle fessure. C’era ancora un genere particolare, le offwidth, di cui conoscevo ancora ben poco e in cui avevo ampi margini di miglioramento. La scalata su offwidth può essere estremamente lenta, fisica e faticosa; richiede tecniche molto specifiche, senza le quali le speranze di riuscita sono ben poche. L’occasione di migliorare arrivò grazie alla stesura del manuale di clean climbing: come potevo insegnare qualcosa che in prima persona non mi sentivo di padroneggiare?

Costruii così una offwidth regolabile in garage, e passai mesi a studiare nel minimo dettaglio ogni tecnica. Imparare sul legno scivoloso è molto educativo: quando andremo fuori su roccia sembrerà poi tutto più facile! Grazie alla stesura del manuale ho quindi imparato tanto, e sono riuscito anche a chiudere un via in Svezia che l’anno precedente mi aveva dato filo da torcere. La via si chiama Presenten, “solo” 7b+, ma in ogni modo tra le fessure più complicate che abbia mai salito. Al giorno d’oggi la mia passione per il trad è sempre viva e sono in costante ricerca cose nuove da poter realizzare. Qualche volta mi concedo ancora la salita di vie un po’ pericolose a cui tengo parecchio, come ho fatto l’anno scorso con Is Not Always Pasqua E9 7a, ma per il resto cerco di dedicarmi in sicurezza alle fessure. Per fortuna la zona dove vivo, Bolzano, è una miniera di vie in fessura da sviluppare sulle sue pareti rosse di porfido. Queste pareti sono passate per anni inosservate, data la vicinanza con le Dolomiti, e solo pochi pionieri si sono dedicati al loro scoperta. Per me, tuttora amante del boulder e della bella roccia, sono di certo molto meglio delle Dolomiti per arrampicare: offrono quel mix perfetto tra avventura, difficoltà e sicurezza che solo le fessure sanno dare. Venite a provare vie come Manico di Scopa 7c o Skinwalker 8a/+ per toccare con mano!

MAURIZIO OVIGLIA Maurizio è nato a Torino il 9 giugno 1963. Frequenta le Alpi dall’età di 9 anni dove con il

1982, seguita da una lunga

padre ha salito 30 cime sopra 4000 metri. Ancora adolescente inizia ad arrampicare e nei

primi anni ’80 ripete vie di estrema difficoltà nell’arco alpino. La prima via nuova risale al

dalle pareti della Turchia al Marocco, dal Venezuela al Messico. Ha arrampicato, oltre che

serie che lo porterà ad aprirne più di 3000 in tutto il mondo,

in Europa, in Himalaya, Patagonia, Canada, Giordania e Stati Uniti. Nel 1986 si trasferisce stabilmente in Sardegna, iniziando un’esplorazione capillare delle

montagne dell’isola, dove aprirà innumerevoli vie nuove e contribuirà con i suoi articoli

“Remember the rock, the other climbers — climb clean” Yvon Chouinard e Tom Frost, 1972

e suoi libri a renderla famosa tra gli arrampicatori sportivi di tutto il mondo. Si è diplomato grafico e fotografo nel 1981 Torino. La sua attività come scrittore comincia

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nel 1987, con la guida alle arrampicate della Valle dell’Orco. Nel 1988 pubblica la fortunata

guida Pietra di Luna sull’arrampicata in Sardegna, giunta ormai alla V edizione. Ha altresì

Queste sono le ultime parole dell’articolo che nel 1972 Yvon Chouinard e il suo amico, nonché socio in affari, Tom Frost

pubblicato varie guide sul Piemonte e la Corsica, ideato e diretto l’annuario UP per la casa

pubblicarono sul catalogo della Chouinard Equipment L’articolo, intitolato “Una parola”, incentivava l’utilizzo dei nut al

editrice Versante Sud. Per il CAI e il Touring Club Italiano ha scritto Sardegna della Collana

redattore della rivista internazionale Vertical Magazine per più di 10 anni. Accademico del

Monti di Italia, che ha vinto il Premio Cardo d’Argento al Festival di Trento. È stato

anni si dedica all’insegnamento e allo sviluppo del clean climbing in Italia.

MICHELE

posto dei chiodi. Tale articolo, vero manifesto, vera origine della rivoluzione dell’arrampicata libera, cambiò le

abitudini degli scalatori. Per anni friend nut sono diventati comodi strumenti per integrare le protezioni già in loco, spesso a chiodi, su vie

multipitch e solo in alcune zone come la Val di Mello e la Valle dell’Orco ne erano, e ne sono tutt’ora, una parte

essenziale della salita. Da alcuni anni, vuoi per la rivalorizzazione di alcune aree di monotiri non spittati in Valle dell’Orco, vuoi per la nascita

tra l’altro sempre più sicuri e funzionali grazie agli studi delle principali aziende costruttrici.

di paradisi per il clean climbing come Cadarese e Yosesigo in Val d’Ossola, è esplosa la passione per questi strumenti,

CAMINATI Nato a Parma il 25 febbraio 1985, Michele Caminati ha cominciato ad arrampicare all’età di in arrampicata sportiva è arrivato a salire alcune vie di grado 8c, ma negli ultimi anni si sempre più appassionato di arrampicata in fessura, viaggiando per Italia ed Europa alla ricerca delle vie più iconiche in questo stile, tra cui spicca la salita di Greenspit (8b) in Valle dell’Orco. Da sempre appassionato di fotografia, si dedica ora all’attività di fotografo e film-maker professionista, cercando di raccontare per immagini storie di arrampicata e di montagna.

specialità diventando campione

anni appassionandosi velocemente alla disciplina del bouldering. Per anni si è dedicato a

Questo manuale si concentra sulle tecniche di clean climbing per il monotiro, consapevoli che una buona tecnica di

protezione nelle palestre naturali porti poi facilmente all’utilizzo di strumenti a incastro anche su vie lunghe, per chi

già è in grado di muoversi su pareti multipitch protette tradizionalmente.

Ma non è solo un manuale di tecnica, perchè, in linea con la collana Performa Maurizio Oviglia e Michele Caminati

sono convinti che una buona conoscenza della storia e della cultura alpinistica, contribuisca in modo essenziale alla

dimensione del sogno e a moltiplicare le emozioni di cui ogni scalatore è costantemente alla ricerca: un itinerario è

una linea sulla roccia, ma se si conosce chi l’ha salita, quando, come e perchè, ogni via acquista un sapore diverso,

e una parte del manuale presenta 31 schede biografiche dei principali fuoriclasse di questa attività.

speciale e unico per ognuno di noi. Per questo un ampio capitolo introduttivo narra l’evoluzione che ha avuto nello spazio e nel tempo questa disciplina

DEL CLEAN CLIMBING protagonisti del clean climbing STILI DI SCALATA TRAD Trad climbing (Arrampicata alpinistica - Arrampicata mista Crack climbing) –e Repubblica Ceca ETICA DEL CLEAN CLIMBING Rotpunkt Rotkreis – On sight – Head point – Pink Point – Green point SCALE DI DIFFICOLTÀ Scala UIAA – Scala francese – Scala inglese – Scala arenaria o Scala di Dresda MATERIALI E PROTEZIONI Protezioni passive (Dadi) – Protezioni semi attive (Eccentrici - Tricam) – Protezioni serie di friend attualmente in commercio – Ancoraggi naturali (Clessidre - Alberi

mente, il libro propone una serie di località, in Italia e in Europa, dove andare a praticare, dalle più vicine e abbordabili www.versantesud.it

a quelle più distanti e impegnative. 38,00 € IVA inclusa ISBN: 978 88 85475 861

– Accessori (Cava-nut Guanti da fessura e nastro) LA TECNICA DI PROTEZIONE CON I NODI materiali (Corde Guanti Cavigliere - Magnesite - Rinvii Scarpette Fettucceprotezione (Fessure - Lancio della bambola Rimozione dei nodi Clessidre - Buchi GESTIONE DI UN TIRO DI CLEAN CLIMBING Operazioni preliminari (Scelta e preparazione delle protezioni - Una o due corde? - Secchiello (Premessa - Precisazioni tecniche Collegamento all’inglese degli infissi di sosta Fessura ARRAMPICATA IN FESSURA Guantini o nastro? – Eseguire la nastratura/fissaggio dei guantini – Ispezione della Economia delle protezioni – Tecniche di arrampicata in fessura – Fessure di dita – Fessure

su incastri di mano precari – Progressione di base: entrambi i pugni a dorso in alto –

Tecnica di piedi e scarpe adatte in fessure di pugno – Fessure offwidth – Progressione Progressione in fessure strapiombanti di mano/mano – Progressione in fessure di mano/mano Progressione in fessure verticali di mano/pugno – Progressione in fessure strapiombanti mano/pugno molto strapiombanti o di tetto – Progressione in fessure verticali di pugno/pugno

trad inglese e negli anni successivi ha ripetuto parecchie delle vie di riferimento su gritstone, Christian Doseth - Beat Kammerlander Roberto Mazzilis Johnny Dawes John Redhead - Arnaud

pugno basso a dorso in basso – Progressione con giro dell’incastro – Progressione da

di pugno/pugno – Progressione in fessure di pugno/pugno molto strapiombanti o di tetto shoulder bar – Progressione in fessure strapiombanti di arm bar/shoulder bar – Progressione strapiombanti o di tetto – Progressione in fessure verticali di chickenwing – Progressione Progressione in fessure

ricordiamo la salita di Is not Always Pasqua E9 7a (8b), a Interprete. Nella sua attività Berthod - Barbara Zangerl Hazel Findlay Ignacio Mulero Jacopo Larcher - Madeleine Cope Matteo CLIMBING SPOTS Italia (Pilier Rhodo – Val di Susa Valle dell’Orco Cadarese - Balmanolesca Val Masino Falesia

STORIA - Capo Pecora - Garibaldi - Punta Istiotta - Lu Lurusincu) – Europa (Portogallo - Francia - Corsica -

Maurizio Oviglia, Michele Caminati CLEAN CLIMBING Storia, materiali e tecniche di arrampicata in fessura Con le schede di 26 spot in Europa e di 30 fuoriclasse “puliti” PERFORMA EDIZIONI VERSANTE SUD Maurizio Oviglia –Michele Caminati CLEAN CLIMBING
Infine, in coda, perchè non siano questi insegnamenti teorici che rimangano inattivati in un cassetto della nostra
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CAI, Istruttore Nazionale di Arrampicata Libera, fa anche parte del Club Alpino Inglese. questa
È apprezzato blogger sui social network, ha scritto articoli su tutte le riviste mondiali di
alpinismo e arrampicata, come fotografo ha pubblicato diverse copertine e calendari. Oltre
che alla promozione dell’arrampicata sportiva, come attrezzatore e come pubblicista, da più
di
italiano
nel 2008 e partecipando a numerose competizioni internazionali. Su roccia ha salito numerosi passaggi in tutto il mondo fino all’8b+ e ha contribuito allo
sviluppo di parecchie aree boulder in Italia come Lagoni, Ceriola, Pietra del Toro e il Monte
Amiata. All’età di 26 anni, a seguito di un viaggio nel Peak District, si è appassionato all’arrampicata di chickenwing molto strapiombanti di tetto – Come scegliere girarsi dal lato opposto in una offwidth – Consigli per proteggersi con friend su una offwidth I PROTAGONISTI EUROPEI DEL CLEAN CLIMBING Joe Brown - John Michael (Mike) Kosterlitz - Bernd Arnold Jean Claude Droyer - Igor Koller Ivan
fino all’ E8 7a tra cui: Gaia The End of the Affair The New Statesman The Elder Statesman Successivamente ha cercato di sviluppare e di ripetere vie di questo stile anche in Italia, tra cui - Dave MacLeod - Lionel Catsoyannis - Nicolas Favresse - Tom Paul Randall - Matteo Della Bordella
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Bohuslän Crack Paradise

Storia 18
Testo Michele Caminati

Nell’estate del 2019, alla ricerca di una meta per le vacanze di agosto, mi imbattei in un articolo di 27 Crags dove si parlava delle migliori destinazioni estive in Europa. Assieme a posti che ben conoscevo, come Céüse o Magic Wood, si parlava di posti famosi come Flatanger, e di altri meno conosciuti come appunto Bohuslän. Era da tempo che avevo in mente di vedere Flatanger, ma mi aveva sempre spaventato la lunghezza del viaggio; il fatto di trovare una destinazione intermedia per poter spezzare il viaggio mi convinse finalmente ad organizzare una vacanza itinerante alla scoperta della Scandinavia.

Case isolate nella riserva naturale di Ramsvikslandet.
Storia 19
Foto: Michele Caminati

Bohuslän si trova infatti al sud della Svezia, circa un’ora a nord di Göteborg e due ore a sud della capitale norvegese Oslo. Da lì a Flatanger circa 900 km di distanza, percorribili in una giornata di viaggio. Per giungere a Bohuslän da Bolzano sono invece 2000 km di strada, che abbiamo percorso con una tappa intermedia in Germania a Ettringen Lay, altra bella falesia di basalto dove è possibile arrampicare in fessura con i friend. Fu una vera e propria vacanza itinerante: molto poco lo spazio rimasto in auto tra tenda, crash pad, corde, friend e tutto il necessario per cucinare. La tappa più lunga fu quella di cinque giorni a Flatanger, mentre ci fermammo a Bohuslän tre giorni all’ andata e due giorni al ritorno del viaggio. L’esperienza scandinava, sebbene stancante, fu proprio stimolante. Flatanger è proprio la grotta dei sogni per l’arrampicata sportiva che mi aspettavo; anche l’ambiente “nordico” dei suoi dintorni, pieno di fiordi intricati, è davvero magnifico. Bohuslän però fu proprio la rivelazione inaspettata: un luogo dove ti puoi perdere tra chilometri di spigoli e fessure di granito rosso, dove i boschi alla base delle falesie sono pieni di meravigliosi blocchi e dove soprattutto si respira e si tocca con mano la storia dell’arrampicata. È un feeling strano, difficile da descrivere, che magari qualcuno di voi avrà vissuto visitando il Peak District per l’arrampicata trad, il Verdon, Céüse, o Finale Ligure per l’arrampicata sportiva oppure Fontainebleau per il bouldering.

CON DETERMINATEZZA E SOPRATTUTTO CON TANTA UMILTÀ.

OGNI ESTATE SIAMO TORNATI A BOHUSLÄN E, NONOSTANTE ORMAI ABBIA SALITO PARECCHIE VIE DI RIFERIMENTO, SENTO CHE QUESTO POSTO HA ANCORA TANTO DA POTERMI OFFRIRE.

UN PO’ DI STORIA

L’arrampicata a Bohuslän si è sviluppata piuttosto recentemente, è infatti attorno al 1975 che le prime vie vennero aperte da scalatori di Göteborg. Ben presto però il posto venne scoperto dagli scalatori norvegesi, che all’epoca erano più all’avanguardia per quanto riguarda stile ed etica, ed iniziarono così a salire le prime vie in arrampicata libera, spingendo le difficoltà a livelli notevoli per l’epoca. Fu infatti nel 1979 quando Jan Liliemark salì in libera il mitico tetto fessurato di Tor Line, alla falesia di Häller, una via di grado 7 (sarebbe un nostro 6c+), che sfido chiunque si muova su quei gradi a ripetere… d’altronde il paragone con la nostra Sitting Bull in valle dell’Orco, sempre dello stesso grado e della stessa epoca, è abbastanza impietoso.

Michele Caminati su Presenten, 8 (7b+), Änghagen. Foto: Michele Caminati
“QUI OGNI LINEA RACCONTA ANCORA LA STORIA DELLA SUA APERTURA, E NECESSITA DI ESSERE AFFRONTATA
È
PER QUESTO CHE DA ALLORA
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Storia Bohuslän - Crack Paradise
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Storia Bohuslän - Crack Paradise

anche se in alcune occasioni si possono trovare tali protezioni nelle vie. Tuttavia, quello che cerco è la massima pulizia possibile. Ad esempio, La Bruja 8c+/9a, una delle vie che ho scalato, collega due sezioni di una fessura con un tetto attrezzato a spit, quindi non la considero una via trad.

L’IMPEGNO E LA PAURA NEL TRAD

Mi attrae questo aspetto di posizionare il proprio materiale; questa scalata ti richiede di assumere pienamente le possibili conseguenze delle tue decisioni e dei tuoi errori. In altre parole, cerco di scalare con la massima sicurezza fino al limite che mi offre la roccia senza pensare di modificarla. Di solito provo i progetti più esposti in top rope o con assicurazioni pre-posizionate, per cercare di prepararmi fisicamente e soprattutto mentalmente.

Tuttavia, il processo di preparazione spesso porta a veri e propri dilemmi interiori quando si decide di tentare veramente la via. Se non mi sento capace o preparato, dovrei semplicemente prendere la decisione di non arrampicare, ma quasi mai è facile sapere con certezza se sei o meno preparato. Si finisce sempre per assumersi un certo rischio e si deve accettare pienamente la possibilità di farsi male.

IL GRADO

In una via del tipo che stiamo considerando, il grado di difficoltà come è comunemente inteso non esprime tutta la difficoltà della via. Suppongo che questo derivi da ciò che abbiamo accennato, ma è importante sottolineare il fatto che concatenare una via con un grado inferiore può richiedere molto più tempo e sforzo rispetto a un grado maggiore in arrampicata sportiva.

VIE PREFERITE

Parlerò ora di alcune delle vie che mi sono piaciute di più o che mi hanno segnato in qualche modo.

La Fuerza de la Gravedad (Vadiello) 8a+/b

In quel momento era la via di fessura in autosicura più difficile della Spagna (8b+). Quando l’ho provata, è stata anche la mia prima vera esperienza con l’autosicura. Si tratta di una via in cui il posizionamento delle protezioni è relativamente semplice, con pezzi medi e grandi e molto sicuri in caso di caduta. Ma mi è servita per prendere confidenza e vedere che le cadute su friend erano possibili e che potevo sbagliare senza che succedesse nulla, poiché fino ad allora non mi era mai successo di cadere.

Mengollo. Foto: Nacho Caballero
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Storia Ignacio Mulero trad passion

BEN RUECK

Ben Rueck, classe 1986, è cresciuto tra le fattorie del Colorado. Oggi è un climber di altissimo livello a 360 gradi – dal trad alla falesia fino alle big wall – ma da ragazzino l'arrampicata su roccia era l'ultimo dei suoi pensieri.

Ciao Ben, raccontaci di te! Come tanti altri campioni hai cominciato a scalare quando eri molto giovane?

«In verità non sapevo neppure che esistesse la scalata! Il deserto mi ha fatto appassionare alle avventure all'aria aperta, tuttavia non riuscivo a comprendere la bellezza di essere parte della natura. Ciò che stava là fuori era semplicemente uno strumento, un attrezzo da usare. Ma a diciassette anni tutto è cambiato: ho incontrato la scalata e la mia vita si è intrecciata con la complessità dello sport. Ho smesso di essere un osservatore per diventare un protagonista attivo, sforzandomi di allargare la mia “comfort zone”: desiderio di imparare, esplorare e creare.

A che età la tua prima multipitch? Quando hai iniziato a usare i tricam?

Ai tempi delle superiori, sull’Independence Monument vicino a Grand Junction, nel Colorado. Quella volta ho subito fatto conoscenza con i tricam. L’arenaria del deserto è nota per la sua tendenza a liberarsi dei friend: protezioni apparentemente ottime possono inaspettatamente saltare. Ero con un gruppo di amici, compagni di classe, guidati da un guru di questo genere di scalata. La via era la classica di 5.9 aperta nel 1911 da John Otto.

Subito alla prima via salivi da primo e posizionavi friend e tricam?

No no! Fortunatamente salivo da secondo e, rimuovendo friend, nut e tricam, ho capito come avrei dovuto posizionarli. Ma ero anche perplesso: spesso i friend uscivano prima che li raggiungessi, scivolando più o meno velocemente lungo la corda su cui restava agganciata una triste serie di aggeggi ormai inutili.

Però meglio dei nut…

Dei nut è meglio non parlare: erano talmente precari che bastava un niente per liberarli dalle loro misere cavità.

Preoccupato, mi sono sentito paralizzato, incapace di scalare: come avrei fatto, da capocordata, con protezioni del genere? I miei dubbi sono però svaniti quando ho raggiunto il primo tricam: infilato in una tasca poco profonda, in posizione attiva, all’inizio non mi sembrava garantire troppa sicurezza. Ma quanto ho cercato di rimuoverlo non voleva saperne di uscire. Lo spostavo, tentavo di ruotarlo e lui opponeva un’inattesa resistenza. Soltanto dopo dieci minuti di sforzi me lo sono ritrovato in mano, libero e pronto per essere usato un’altra volta. E ho capito che quella meraviglia, semplicissima ed efficace, era la migliore protezione della via».

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Il mio primo incontro con i Tricam

per la roccia, perché non essere disposti ad utilizzare tutti i metodi per salire è davvero qualcosa di umile, per lo più in un mondo in cui per riuscire spesso si “adattano” le regole al proprio comodo. L’arrampicata è stata e rimarrà (almeno per molti) un’avventura, caratterizzata quindi dall’incertezza di riuscire o meno in una scalata, perché anche due metri quasi lisci rappresentano un’avventura, un limite, cioè la concreta possibilità di dover tornare indietro, se si è deciso di lasciare a casa il trapano.

Star Trek, al Gran Sasso, forse non è la via “clean” perfetta: le soste attrezzate e qualche chiodo di passaggio la rendono in qualche modo un po’ addomesticata. Ma racchiude senz’altro il concetto di arrampicata tradizionale, esposta, avventurosa, dove lo spit non è ammesso ma è invece contemplato il poter tornare indietro.

Per i tempi in cui è stata aperta (1987) è stata sicuramente una grande prova di determinazione degli apritori, che hanno scovato e salito in grande stile una linea diretta di fessure che porta in cima al Corno Piccolo. Una via tutt’ora poco ripetuta, per l’obbligatorietà dei passaggi e l’aleatorietà delle protezioni, che obbligano a “pensare” e “agire” con decisione, come sempre meno siamo abituati a fare. Chiodatura sistematica fitta, difficoltà omogenee, rese tali talvolta anche da prese scavate (o incollate) dove si salirebbe senza, ci hanno tolto l’abitudine all’incertezza. Sicurezza ad ogni costo insomma, spesso, per salire ovunque e comunque... e se si pensa che il free climbing è partito dal “clean”, sembra grottesco che si sia arrivati in alcuni casi a questo. Forse sono solo io che sono troppo vecchio, il mondo sta cambiando e non lo capisco, non lo seguo e sono poco attratto dalle sue strade sicure e preconfezionate. Perché alla fine preferisco fallire piuttosto che barare, ammettere di aver avuto paura piuttosto che fingermi coraggioso, allenarmi senza riuscire ma non trovare scuse.

PARETE ISOLATA, L’ODORE DELLA PIOGGIA. PREFERISCO LA FATICA DI UN LUNGO CAMMINO AD UN COMODO SENTIERO, PERCHÉ È LÌ CHE HO CAPITO CHE LA FINZIONE DURA POCO E LASCIA IN BOCCA SOLO UN GUSTO AMARO CHE SPESSO NON SE NE VA.

Oppure sono solo un romantico, un innamorato della vita. E a pensarci bene la scalata “trad” è un po’ così: quando si ama ci si può far male, ferire, ma ne valew sempre la pena. E anche giocare con friend e dadi c’è questo rischio, ma quello che ti resta è davvero tanto prezioso.

Giacomo Leopardi, non certo un alpinista, scriveva che “il forse è la parola più bella del vocabolario italiano, perché apre delle possibilità e non delle non certezze, perché non cerca la fine, ma va verso l’infinito”. Allo stesso modo Armando Aste diceva che noi alpinisti siamo in fondo dei “cercatori di infinito”, e io credo proprio che lo dicesse perché l’infinito è lo spazio che si concede ancora alla meraviglia, mentre tutto il resto ha confini, strade tracciate e finali già visti, che possiamo però rendere unici ogni volta che ci precludiamo la certezza della riuscita.

E tutto questo, in sintesi, è per me l’arrampicata “clean”.

“PREFERISCO SENTIRE IL PROFUMO DI UN FIORE, IL SOFFIO DEL VENTO IN UNA
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Storia Star Trek, una scalata “clean”, ma non troppo

UN ANGEL PER AMICO

Angel è un sistema innovativo di protezione veloce brevettato dalla start up Italiana Alternative Current di Verona, che a partire dalla tecnologia del classico friend ne amplia le possibilità di applicazione e ne risolve i punti deboli. Ne parliamo con il tester Martino Pilatti del Team Valsabbiaclimbing.

Ciao Martino, come si passa dalla sicurezza dell’arrampicata sportiva all’aleatorietà della scalata trad?

A prescindere dal sistema di protezione, pongo massima attenzione a tutti i fattori per evitare cadute pericolose. La distrazione in falesia può portare a conseguenze peggiori di un volo in montagna. Molte vecchie vie a spit presentano protezioni distanti, mal posizionate o in cattivo stato di conservazione, in questi casi mi sento più tranquillo se ho la possibilità di integrare.

Ti è mai capitato di volare su protezioni veloci?

Sì, in Patagonia ho fatto il mio primo volo su un nut mal posizionato: non ha tenuto, ma un friend ben piazzato ha arrestato la caduta senza conseguenze.

…e sugli Angel?

Ho effettuato il mio primo fall test intenzionale sull’Angel in valle dell’Orco, e devo dire con esito molto positivo! video disponibile: Instagram angel.ac.climbing.

Che vie hai fatto durante il tuo Viaggio Trad?

Tra le migliori “Cojote”, sul Monticolo vicino a Bolzano, per poi passare alla “Fessura della disperazione” in Valle dell’Orco ed infine alla via “Astroman” in Yosemite. Ho concluso l’avventura sulle numerose fessure del parco nazionale di Zion, in Utah.

Che ruolo hanno avuto i sistemi di protezione veloce?

Su queste pareti non abbiamo trovato quasi nulla se non le soste, è stato quindi fondamentale avere un buon assortimento di protezioni: dai micro nuts ai “big bro”. Una coppia di Angel è stata di

provvidenziale aiuto su tiri come l’Enduro Corner della via Astroman, dove una doppia serie di friend non sarebbe stata sufficiente per affrontare lo spaventoso diedro strapiombante.

Che differenza hai riscontrato tra Italia e USA nell’utilizzo delle protezioni?

In Italia è di moda la protezione fissa, ma grazie alla diffusione della cultura Clean le nuove generazioni di climber stanno scoprendo che le protezioni veloci sono affidabili, performanti e sicure.

Raccontaci i vantaaggi degli Angel sui friend...

I principali sono dati dal maggior campo di apertura: 5 misure in un unico Angel! Questo permette di ridurre il numero dei pezzi e di non perder tempo a cercare la misura precisa: l’Angel si adatta sempre! Altro grosso vantaggio è l’ingombro ridotto in posizione di chiusura, che permette maggior libertà di movimento in progressione. Infine si adatta a tutte le morfologie della roccia, compresi buchi e fessure orizzontali, e in modo stabile: una volta piazzato Angel non “cammina” come capita spesso ai friend.

Quali sono gli aspetti critici?

È leggermente più complesso da estrarre, per riposizionarlo va riarmato, ed è meno economico rispetto ai friend.

Ma il costo maggiore è compensato dalla versatilità e da una durata di vita maggiore grazie alla possibilità di sostituire le parti in caso di rottura/usura.

Ne avevi due: li ritieni sufficienti nella dotazione?

Si: ho raddoppiato all’occorrenza le misure medie, e mi hanno permesso di risparmiare peso ed ingombro nei bagagli. Per chi ne fa un uso saltuario, un pezzo da usare come jolly è sufficiente. Per gli amanti del trad qualcuno in più non guasta!

Quali consigli hai riportato ad Alternative Current?

Di sviluppare anche misure piccole e grandi in modo da coprire tutta la gamma.

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90 Storia The clean way
Francesco Deiana sull'ultimo blocco di Greenspit
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The clean way
Foto: Arianna Colliard
Storia

concentrazione è sui tuoi movimenti, finché non cadi e allora la dura realtà ti riporta sul pianeta Terra. Mi ricordo bene di aver provato questa sensazione quando ho ripetuto Nemico Pubblico (un tiro a Balma sul 7c+), che considero il primo tiro clean che ho fatto. Avevo già fatto tiri trad più duri, ma questo era il primo non in fessura e c’è una grossa differenza, infatti nel crack-climbing ti puoi proteggere quasi dove vuoi e se sei stanco ti appendi, su questo tiro no, i posti per le protezioni sono quelli e li devi raggiungere. Una volta arrivati in sosta rimane ancora un’ultima cosa da fare: ripulire la via per rifare un altro tentativo e non sempre questa operazione è semplice. Su Greenspit, che è un tetto lungo una decina di metri, io e Matteo le abbiamo studiate tutte: prima risalire il tiro top-rope togliendo mano a mano le protezioni, operazione che portava via troppe energie; poi farlo con le staffe e i tiranti da artificiale, ma la situazione non migliorava. Infine, visto che le protezioni erano tutte ottime e vicine, abbiamo deciso di smontarlo togliendone una alla volta e cadendo su quella precedente, così la gravità faceva il lavoro per noi.

A pensarci bene, la cosa che più mi piace del cleanclimbing è l’insieme di sensazioni che si provano durante tutto il percorso, è un po’ come costruirsi il proprio tiro, ovviamente in senso metaforico, e mi porta un diverso appagamento rispetto alla scalata in falesia. Con questo non voglio sminuire la scalata a spit, anzi, mi permette di migliorarmi come arrampicatore e passare belle giornate in gruppo. Alternare il clean con la falesia attrezzata, inserendoci anche qualche via lunga, mi permette di avere più stimoli e non rischiare di cadere nella monotonia. Per concludere volevo fare un breve accenno sui tentativi ground-up e “a vista” nel clean-climbing. L’onsight, ovviamente, non mi permette di vivere tutto il processo precedentemente descritto, ma solo l’ultima parte, e diventa ancora di più una sfida con me stesso, un modo per mettere alla prova i miei nervi, anche se non mi permette di esprimere al meglio le mie potenzialità. Assomiglia più ad un test che alla prassi.

Post Scriptum. Lo sappiamo tutti: il clean climbing è un’attività ancora più pericolosa della scalata a spit, quindi per intraprenderla serve la giusta preparazione. Rubando uno slogan al mondo della sicurezza sul lavoro, le tre parole chiave sono: formazione, informazione e addestramento.

Francesco Deiana su Vieux et fou a Cadarese.
92 Storia The clean way
Foto: Arianna Colliard

Ortovox

Peak Light

Per gli alpinisti più esigenti Ortovox propone Peak Light, uno zaino 4 stagioni leggero, tecnico e ultra funzionale. Forma e vestibilità si combinano per permettere di approcciare la parete con forte carico, ma anche di scalare agevolmente. Dotato di doppio porta piccozze e porta sci diagonale a scomparsa e rimovibili, come anche cappuccio, telaio dorsale e cintura permettono di ridurne il peso già contenuto del 30%. Peak Light è attento anche all’ambiente: i due principali materiali esterni sono realizzati in poliammide riciclato al 100% e al 50%, il che non solo rende lo zaino particolarmente sostenibile, ma anche molto robusto, resistente e durevole. Inoltre, è privo di PFC e prodotto a impatto climatico zero. Disponibile in diversi colori nelle versioni 30/32/38/40 litri. www.ortovox.com

La Sportiva Miura VS

Tra le novità della collezione La Sportiva, la Miura VS si propone come una scarpetta tecnica ed estremamente precisa: grazie ad una costruzione particolarmente strutturata ed alla chiusura con 3 velcri, è l’ideale per chi ricerca la massima precisione e il migliore supporto in fase di scalata. Anche il tallone è stato migliorato per essere più preciso in fase di tallonaggio e l’intersuola LaSpoflex da 1.1mm nella parte anteriore, abbinata alla tecnologia P3 System, garantisce il ritorno elastico del prodotto ed il mantenimento della forma originale nel tempo. La tomaia è in vitello scamosciato e la suola in Vibram XS Edge da 4mm per il modello uomo, mentre per la versione donna si è scelta la Vibram XS Grip2 da 3,5 mm. www.lasportiva.com

Ande

Breithorn JKT

Realizzata in due differenti tessuti tecnici Breithorn è la giacca che offre un ottimale compromesso tra funzione antivento, traspirabilità, calore e libertà nei movimenti. Ideale per tutte le attività outdoor invernali o estive, può essere utilizzata sia come giacca che come gilet grazie alla possibilità di rimuovere in maniera pratica e veloce le maniche per mezzo di due leggere e finissime zip. Il cappuccio è estraibile dal colletto e i polsini in lycra hanno il taglio per l’inserimento del pollice creando l’effetto mezzo guanto. Disponibile nelle versioni uomo e donna in differenti varianti di colori. ande.it

E9 Uccio e Oliva

Dalla nuova collezione E9 due novità pensate appositamente per offrire massima libertà di movimento e comfort. Per lui Uccio, il pantalone uomo realizzato in cotone organico, elastico e traspirante, con vita regolabile, tasca posteriore con ricamo e vestibilità slim. Per lei Olivia, il pantalone donna che esprime al meglio l’identità di E9. Realizzato in lino, cotone e lyocell, è leggerissimo e offre massima traspirabilità. Dotato di fascia elastica sulla vita e sul fondo, con tasche e ricamo sul davanti, ha una vestibilità morbida e confortevole. Tutti Made in Italy. www.e9planet.com

Rock Experience

Lasagna per Spaghetti Boulder

Italiana, non convenzionale, trasversale: la nuova capsule collection firmata Rock Experience - Spaghetti Boulder. Due brand Italiani che si uniscono per omaggiare l’Italia e l’outdoor creando una linea di abbigliamento moderna e concettuale che non vuole semplicemente rappresentare l’arrampicata ma vuole essere un vero e proprio stile di vita. Discipline sportive che contaminano il lifestyle e viceversa, per un mix vincente, completo e innovativo. La t-shirt girocollo Lasagna in cotone, fa parte di questa collezione. Taglio contemporaneo, logo a petto e un The Hanged Man dai dettagli non ordinari stampato a tutta schiena rendono Lasagna perfetta per l’arrampicata ma anche da indossare per un aperitivo. rockexperience.shop

Vetrina prodotti 118

Wild Country Syncro

Il Syncro ha una costruzione robusta con un nucleo in schiuma di polistirene espanso e un guscio in resistente policarbonato, con una piastra superiore rinforzata per una maggiore protezione contro l’impatto dall’alto, dal lato, dalla parte anteriore e posteriore. Il sistema di cinghie con fettucce morbide è completamente regolabile e si adatta alla forma della testa. Con ventilazione abbondante per un comfort ottimale. Un casco resistente e versatile per tutte le discipline, dall’arrampicata sportiva, al trad, all’arrampicata alpina. Peso: 260 grammi, disponibile in 4 colorazioni .

www.wildcountry.com

Alternative Current Angel AC

Ideato e realizzato in Italia, questo “angioletto” da portarsi attaccato all’imbraco è stato progettato per coprire fessure da 26mm a 100mm con un unico attrezzo; in pratica è come avere 4 o 5 misure diverse sempre con sé, per poter raddoppiare quando serve o integrare lungo qualche via, senza avere troppe preoccupazioni di essersi portati le misure giuste. Facile, veloce, sicuro e leggero: si adatta automaticamente alla dimensione della fessura, basta un gesto per posizionarlo, ha una tenuta fino a 1400Kg e un peso di soli 250g. alternativecurrent.it

C.A.M.P. Energy CR3

La Energy CR3 è un’imbracatura molto comoda e leggera, ideale per l’arrampicata su roccia a tutti i livelli. Grazie al suo design essenziale, è un’ottima scelta per ogni specialità, dalla scalata indoor alla falesia fino al trad. L’interno termoformato permette un perfetto adattamento al corpo di cintura e cosciali, assicurando quindi un comfort eccezionale. I cosciali regolabili garantiscono la personalizzazione del prodotto, completato da 4 anelli portamateriale e dall’anello di recupero posteriore. Disponibile in diversi colori nelle taglie da XS (cintuone 58-68 cm) alla XL (cinturone 86-96 cm).

www.camp.it

Black Diamond Vapor

Rift 2

Un nuovo modello si aggiunge alla collezione di tende 3 Stagioni Ferrino: Rift 2. Una tenda leggera, due posti, con caratteristiche di ottima abitabilità e aerazione garantite dalla struttura in duralluminio con palo di colmo e dal doppio ingresso con abside. Autoportante, dal peso minimo di 2 kg è la tenda perfetta per le attività che richiedono leggerezza e velocità di montaggio. Sacca porta tenda, kit di riparazione e istruzioni video attivabili con QRCode, inclusi. www.ferrino.it

Vapor è il casco superleggero di Black Diamond, adatto a tutti i climber, che si presenta per la prossima stagione estiva completamente ridisegnato per essere ancora più leggero. La struttura del caschetto è caratterizzata da uno strato superleggero in composito Aluula sopra alla parte in policarbonato che protegge la testa riducendo il peso al tempo stesso. I lati del caschetto sono in schiuma EPP modellata, che garantiscono un’ampia ventilazione e un’estetica più elegante. Il caschetto è inoltre dotato di cordoncino ultraleggero per regolare il fit e di clip per lampade frontali.

eu.blackdiamondequipment.com

Versante Sud Beastmaking

Se un trave d’allenamento fa bella mostra di se, in casa o in palestra, vale la pena sfruttarlo al meglio, ecco perché Ned Feehally, fortissimo scalatore e appassionato di allenamento a secco, ha scritto Beastmaking il manuale bestseller, che arriva finalmente anche nella traduzione italiana nella collana Performa della casa editrice Versante Sud. L’idea alla base di questo libro è di fornire un sufficiente livello di informazioni per permettere di individuare e comprendere i fattori da allenare e aiutare il lettore nelle metodologie più efficaci per farlo. Inclusi nel manuale anche i consigli di 8 grandi campioni: Alex Puccio, Adam Ondra, Jerry Moffatt, Melissa Le Nevè, Tomoa Narasaky, Alex Megos, Alex Honnold e Shauna Coxey. www.versantesud.it

Vetrina prodotti 119

BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO

Marzo 2023. Anno V. Numero 23

Direttore responsabile

Richard Felderer

Coordinamento editoriale

Eugenio Pesci

Samuele Mazzolini

Alberto Milani

Redazione

Tommaso Bacciocchi

Roberto Capucciati

Matteo Maraone

Marco Pandocchi

Damiano Sessa

Copertina

Ignacio Mulero su La fuerza de la gravedad, 8b

Foto: © Javi Pec

Grafica

Tommaso Bacciocchi

Correzione di bozze Fabrizio Rossi

Hanno collaborato

Impaginazione

Francesco Rioda

Disegni Eugenio Pinotti

Alessandro Lamberti, Alessio Conz, Francesco Deiana, Giacomo Meliffi, Ignacio Mulero, Jean François Andreucci, Lorenzo Merlo Ekarrrt, Mauro Calibani, Michele Caminati, Mike Hutton, Miriam Aloisio, Riki Felderer, Samuele Mazzolini, Silvia Rialdi

Versante Sud Srl

Via Rosso di San Secondo, 1 – 20134 Milano tel. +39 02 7490163 versantesud@versantesud.it info@up–climbing.com

Abbonamenti e arretrati www.versantesud.it

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© Versante Sud 2023

Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione totale o parziale del contenuto della pubblicazione senza autorizzazione dell’editore.

Registrazione al Tribunale di Milano n. 58 del 27/02/2019

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